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RINASCIMENTALI
gh
LODOVICO DOLCE
DIALOGO
DIALOGO DEL MODO DI ACCRESCERE E CONSERVAR LA MEMORIA
DEL MODO
DI ACCRESCERE
E CONSERVAR
LA MEMORIA
a cura di
ANDREA TORRE
EDIZIONI
DELLA
NORMALE
SCUOLA NORMALE SUPERIORE
PISA 2001
gh
I
VI A. TORRE
TESTI E SAGGI
RINASCIMENTALI
SCUOLA NORMALE SUPERIORE
PISA
I
Collana diretta da
LINA BOLZONI
VI A. TORRE
LODOVICO DOLCE
DIALOGO
DEL MODO
DI ACCRESCERE
E CONSERVAR
LA MEMORIA
a cura di
ANDREA TORRE
ISBN 88-7642-103-3
Pubblicazione realizzata con fondi del Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, nell'ambito
del programma Il sogno nella letteratura italiana del Rinascimento: studio delle tipologie e delle funzioni e costruzione di
un archivio informatico di parole e immagini.
DIVENIRE MEMORIA V
PREMESSA
Lina Bolzoni
VI A. TORRE
DIVENIRE MEMORIA VII
a Luigi e Andrea
DIVENIRE MEMORIA IX
DIVENIRE MEMORIA
Egli si vede non rade volte avenire, nobilissimo Messer Giacomo, che per
difetto della natura, liberale a pochissimi delle sue grazie, o di altro impedi-
mento, che sia in noi, molti huomini prudenti e in qualche studio di lettere
esercitati, non possono i loro concetti, sì come essi gli hanno nell’intelletto,
così di fuor con la lingua esprimere perfettamente. La qual cosa, sì come è
compassionevole, così veramente è degna di scusa. Ma coloro i quali da folle
licenza mossi hanno ardimento di mandare a gli inchiostri le loro invenzioni,
senza ordine et ornamento, e senza sapere con qualche piacevolezza dilettare
l’animo di chi legge, sono sempre stati e debbono meritamente esser ripresi.
Il che se è difficile (ché nel vero esser si vede) molto più è da credere, che
difficile cosa sia lo esprimere o con parole, o con inchiostro i concetti d’al-
trui, di maniera che non si offenda né l’intelletto di chi gli legge, né l’orecchie
di chi gli ascolta; percioché fa di mestiero che noi quasi un’altra lingua e quasi
(se far si può) un’altra natura prendiamo. Non è dunque di sì poca importan-
za, come alcuni stimano, l’officio di tradurre un libro d’una lingua in un’altra
in modo che si possa comportevolmente leggere1.
Desidero ringraziare Lina Bolzoni per i preziosi consigli che hanno reso possi-
bile la realizzazione di questo libro e Paola Barocchi per averlo accolto tra le
pubblicazioni della Scuola Normale. Questo lavoro nasce nel dialogo curioso e
complice con Stefano Tomassini.
1
Thyeste. Tragedia di messer Lodovico Dolce tratta da Seneca, Venezia,
Giolito 1547, lettera prefatoria «al Magnifico Messer Giacomo Barbo» [corsivi
miei].
2
La prima e tuttora più completa fonte di notizie biografiche su Lodovico
Dolce è E.A. CICOGNA, Memoria intorno la vita e gli scritti di messer Lodovico Dolce,
in «Memorie dell’I.R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti», XI, 1862, 93-200.
Contributi più recenti, e tra loro differenti per tenore critico e finalità d’indagine,
ci sono stati offerti da: C. DI FILIPPO BAREGGI, Il Mestiere di Scrivere. Lavoro
X A. TORRE
Onde il DOLCE merita ogni lode in aver seguito la strada de’ Moderni,
ponendovi per entro alcune coselle di suo, per farla parer più vaga senza
obligarsi alle parole, non avendo in pensiero, come egli stesso afferma nel
principio del Libro, di far una semplice traduzione, essendo malagevol cosa
ridurre una Lingua in un’altra di parola in parola, senza accrescimento, o
diminuzione3.
4
G. RUSCELLI, Tre discorsi a Messer Lodovico Dolce, Venezia, Plinio
Pietrasanta 1553, 47-48; per la questione del commento all’Orlando furioso si
veda D. JAVITCH, Ariosto classico. La canonizzazione dell’Orlando furioso, trad. it.
Milano, Bruno Mondadori 1999, 92.
5
La citazione è tratta dalla voce Dolce, Lodovico, nella Historia delle Vite
de’ Poeti Italiani di Alessandro Zilioli, [Biblioteca Marciana Venezia, Ms. Ital., X,
118]. Sul problema della traduzione nel Cinquecento si vedano: W. ROMANI,
Lodovico Castelvetro e il problema del tradurre, in «Lettere italiane», XVIII, 1966,
152-179; B. GUTHMÜLLER, Fausto da Longiano e il problema del tradurre, in
«Quaderni Veneti», XII, 1990, 9-56.
6
Dolce giustifica così nella dedica «al molto Honorato e Virtuoso Messer
Angelo de’ Motti» l’accostamento delle epistole di Pico della Mirandola, Ermolao
Barbaro, Marsilio Ficino e Angelo Poliziano a quelle di Plinio il Giovane e del
Petrarca nella da lui curata raccolta di Epistole di G. Plinio, di Messer Francesco
Petrarca, del Signor Pico della Mirandola et d’altri eccellentissimi huomini, tradotte
per messer Lodovico Dolce, Venezia, Giolito 1548. Queste parole, che sembrano
evocare l’ormai prossima querelle fra Antichi e Moderni (su cui si veda J.A.
MARAVALL, Antiguos y Modernos. Visión de la historia e idea de progreso hasta el
Renacimiento, Madrid, Alianza Editorial 1986), sono seguite da una delle molte
prese di posizione dolciane a favore della traduzione: «Né penso che alcuno mi
debba recare a biasimo, perché io abbia posto le mani nelle cose del Petrarca,
padre e prencipe della polita Lingua Thoscana; sapendosi che le sue epistole
sono piene di dottrina, e di nobilissimi precetti morali, ma scritte (colpa di
quella rozza età) in così barbara lingua, che da pochissimi sono lette; né possono
elle per la mia traduzione perdere tanto, che non risplenda in esse alcun lume
del Divino ingegno e della mirabile eloquenza di cotale huomo in qualche parte
per aventura più chiaro, che non fa nel Latino».
7
Cfr. Dialogo dell’Oratore di Cicerone, tradotto per Messer Lodovico Dolce,
Venezia, Giolito 1547, cc. iiir-iiiiv: «Dall’altra parte considerando l’utile che
XII A. TORRE
dalla lezione di questo libro può venire a infiniti huomini, a i quali per qual si
voglia difetto è tolto di poter sentir ragionare Cicerone nella sua lingua (…);
dandomi a credere che se la traduzione non sarà di quella perfezione che si
converrebbe a sì degna opera, almeno si debbano trovare in lei due parti neces-
sarie: le quali sono (se non m’inganno) chiarezza ne i sensi e facilità nello stile, cosa
che io veggo fin qui in molte traduzioni desiderarsi. Con tutto ciò non sono io
cotanto arrogante che io presumi di avere non dirò espressa ma neppure in parte
alcuna addombrata la divina immagine di Cicerone (…); et ancho perché i
colori della nostra lingua non sono per aventura bastanti a questo ritratto. (…)
A quegli veramente che, come io odo, prendono disdegno che sì fruttuose vigilie
del Principe de gli oratori Latini siano fatte communi a tutta Italia, affermando
la mia essere fatica inutile e vana, rispondo che, serbandosi nelle traduzioni i
medesimi concetti, ragionevolmente ne segue che ’l medesimo profitto se ne
possa trarre in tutte le lingue, e tanto più nella regolata Thoscana, quando ella
è men corrotta e più ricca delle altre Italiane e Barbare. Là onde se bene alcuni
di questi tali ha doppo lunghi sudori appresa a gran pena qualche poca cogni-
zione d’alcuna parte di questo Dialogo, non però dovrebbe egli portare invidia
al ben commune, cioè che altri con poca fatica (mercè d’un bello intelletto) in
brieve tempo ne potessero intendere altretanto e più di lui» [corsivi miei].
8
Tutte le citazioni sono tratte dalla lettera «Ai Lettori» con cui il Dolce
introduce l’edizione da lui curata de L’Amadigi del signor Bernardo Tasso, Venezia,
Giolito 1560. Particolarmente significativo è un passo della lettera in cui il Dolce,
descrivendo il procedimento compositivo seguito da Bernardo Tasso, sembra
offrirci di riflesso un’immagine di se stesso impegnato nell’«officio di tradurre»:
«È ben vero che avendo il signor Tasso la invenzione col mezo di molte belle favole
trovate dal suo felicissimo ingegno, e con la disposizione, e con l’arte, ristringendo,
allargando, mutando, fatta di comune propria e sua particolare, non s’è obbligato
ad alcune cose che piacquero all’Ariosto, come di serbare la moralità ne’ principii
di ciascun canto, ma quelli è ito variando per maggior vaghezza».
DIVENIRE MEMORIA XIII
9
L. DOLCE, Somma di tutta la natural filosofia di Aristotele, Venezia, Sessa
1565 (anche in questo caso il passo appartiene alla lettera introduttiva del Dolce
«Ai Lettori»).
10
Dalla minuziosa analisi critica, che Claudia Di Filippo Bareggi condu-
ce, dell’universo editoriale veneziano nel Cinquecento emerge con definitiva
chiarezza l’oggettivo primato della produzione dolciana: in 36 anni di lavoro,
al servizio di pressoché tutte le tipografie della Laguna, Dolce diede alla luce ben
358 opere (96 originali, 202 lavori di edizione, 54 traduzioni e 6 traduzioni-
edizioni), fra le quali 263 si possono ascrivere al settore letterario e 29 a quello
storico, 25 sono invece i testi di interesse linguistico, 24 appartengono al ramo
della trattatistica, e infine 11 sono le opere esoteriche, 5 quelle filosofiche e una
sola d’argomento religioso. Differenziata fu chiaramente la distribuzione di
queste opere nel corso complessivo dell’attività del Dolce, così come sensibil-
mente differente per stagione fu la sua collaborazione con gli stampatori vene-
ziani, a testimonianza del fatto che il nostro autore fu attentissimo a cogliere
ogni cambiamento nei gusti del pubblico del tempo e particolarmente avvertito
nel leggere i rapporti di forza caratterizzanti il variabile mercato editoriale della
Repubblica (cfr. C. DI FILIPPO BAREGGI, Il Mestiere di Scrivere. Lavoro intellet-
tuale e mercato librario a Venezia nel Cinquecento, ed. cit., 58-60 e 323-327).
11
Dalla questione della lingua, in cui intervenne teoricamente, con I
quattro libri delle Osservationi Grammaticali, e praticamente, con la summa di
esempi intitolata Modi affigurati e voci scelte et eleganti della volgar lingua, ai
molti dibattiti proprî di una critica letteraria, che in Italia s’inaugurò nel 1535
proprio con La poetica d’Horatio, tradotta per Messer Lodovico Dolce; dalla dia-
lettica concernente la morfologia del genere tragico rinascimentale, a cui prese
parte con traduzioni e opere originali, alla querelle divampata intorno all’Orlan-
do furioso e più in generale intorno al rapporto fra epica classica e romanzo
moderno, querelle a cui prese parte con interventi critici [Orlando furioso di
Messer Ludovico Ariosto (…). Con una breve apologia di Messer Lodovico Dolcio
contra i detrattori dell’autore, Cravoto, Torino 1536; Orlando furioso di Messer
Ludovico Ariosto (…). Con una brieve dimostrazione di molte comparazioni et
XIV A. TORRE
stampa e la nascita dell’età moderna, trad. it. Bologna, il Mulino 1995. Sulla
stampa «come fattore di mutamento» si vedano anche: M. MCLUHAN, La galas-
sia Gutenberg. Nascita dell’uomo tipografico, trad. it. Roma, Armando 1976; W.J.
ONG, Oralità e scrittura, trad. it. Bologna, il Mulino 1986; L. FEBVRE - H.J.
MARTIN, La nascita del libro, trad. it. Bari, Laterza 1988.
15
Questa nuova figura d’intellettuale, immersa in una vasta corrente di
rapporti (con la merce e con le persone), si serve del libro come mezzo di una
personale promozione sociale e culturale, e come strumento privilegiato per
intervenire nelle principali aree del dibattito culturale cinquecentesco. Cfr. A.
QUONDAM, “Mercantia d’onore, mercantia d’utile”, in Libri, editori e pubblico
nell’Europa moderna, a cura di A. Petrucci, Bari, Laterza 1977, 53-105; ID., Nel
giardino del Marcolini. Un editore veneziano tra Aretino e Doni, in «Giornale
storico della letteratura italiana», XCVII, 1980, 75-116; ID., Il letterato in tipo-
grafia, in Letteratura italiana, 2. Produzione e consumo, a cura di A. Asor Rosa,
Torino, Einaudi 1983, 555-686; nel caso specifico del Dolce si veda invece P.
TROVATO, Con ogni diligenza corretto. La stampa e le revisioni editoriali dei testi
letterari italiani (1400-1570), Bologna, il Mulino 1991, 209-240.
16
Memorabile resta, nell’edizione giolitina della Comedia dantesca da
Dolce curata nel 1555 (quella in cui per la prima volta e proprio per iniziativa
del nostro si stampò accanto al titolo l’attributo boccacciano ‘Divina’), l’allet-
tante quanto difficilmente credibile promessa, contenuta nella dedica al vesco-
vo Coriolano Martirano, di una revisione del testo sulla base di «uno esemplare
frascritto dal proprio scritto di mano del figliuolo di Dante, avuto dal dottissimo
giovane Messer Battista Amalteo». Meno eclatante ma ugualmente indicativo
dell’abilità imprenditoriale dolciana, nonché particolarmente suggestivo per la
catena di letture che sembra costruire, è l’invito che in chiusa alla Somma di tutta
la natural filosofia di Aristotele Dolce rivolge ai suoi lettori: «Non è da tacere che
sarà senza utile a chi leggerà questi libri [scil. le Somme di Aristotele] il leggere
altresì il nostro volumetto della memoria, percioché il profitto delle lezioni è il
ricordarsi e la natural memoria ha sempre bisogno di essere aiutata dall’arte che
l’accresce e ce la conserva. Né si può dire che sia nostro altro che quello ch’in essa
memoria conserviamo» (ed. cit., 98); considerando che entrambe le opere sono
state stampate dal Sessa, il Dolce sfrutta la contiguità tematica per proporre un
XVI A. TORRE
quantunque un tal carico sia così grande, e picciolissime le mie forze, potrà a me
per aventura avenir quello, che aviene talvolta a un mediocre Scultore, il quale
togliendo a scolpire in qualche bella pietra di porfido, o di serpentino, o pure
di alcun polito e candido marmo, benché il suo lavoro non sia molto perfetto,
ella è riguardevole per la rarità della materia in cui è intagliata. Così tale da ogni
sua parte è il soggetto di che ho preso a scrivere, che potrà da se medesimo di
gran lunga supplire alla debolezza del mio ingegno et alla bassezza del mio stilo;
né pur solamente supplire ma nobilitar l’uno e l’altro, e parimente destare i Faleti,
i Tassi, i Ruscelli, i Cari, et altri nobil Scrittori dell’età nostra a scriverne degnamen-
te» [corsivi miei].
20
Sull’arte della memoria, oltre ai classici saggi di Frances A. Yates e di
Paolo Rossi e al prezioso repertorio icono-bibliografico La Fabbrica del Pensiero.
Dall’arte della memoria alle neuroscienze, a cura di L. Bolzoni e P. Corsi, Milano,
Electa 1989, si vedano i recenti: Gedächtniskunst. Raum - Bild - Schrift. Studien
zur Mnemotechnik, a cura di A. Haverkamp e R. Lachmann, Frankfurt am
Main, Suhrkamp 1991; Mnemosyne. Formen und Funktionen der kulturellen
Erinnerung, Frankfurt am Main, Fischer 1991; La cultura della memoria, a cura
di L. Bolzoni e P. Corsi, Bologna, il Mulino 1992; Ars memorativa. Zur
kulturgeschichtlichen Bedeutung der Gedächtniskunst 1400-1750, a cura di J.J.
Berns e W. Neuber, Tübingen, Max Niemeyer Verlag 1993; L. BOLZONI, La
XVIII A. TORRE
stanza della memoria. Modelli letterari e iconografici nell’età della stampa, Torino,
Einaudi 1995; Das enzyklopädische Gedächtnis der Frühen Neuzeit. Enzyklopädie-
und Lexikonartikel zur Mnemonik, a cura di J.J. Berns e W. Neuber, Tübingen,
Max Niemeyer Verlag 1998 (il volume è un’interessante antologia che raccoglie
testi di arte della memoria composti tra il XVI e il XVIII secolo); Memoria e
memorie. Atti del Convegno Internazionale di Studi, Roma, Accademia dei
Lincei 18-19 maggio 1995, a cura di L. Bolzoni, V. Erlindo, M. Morelli, Firenze,
Olschki 1999; Seelenmaschinen. Gattungstraditionen, Funktionen und
Leistungsgrenzen der Mnemotechniken vom späten Mittelalter bis zum Beginn der
Moderne, a cura di J.J. Berns e W. Neuber, Wien, Buhlau 2000; S. HEIMANN-
S EELBACH , Ars und Scientia. Genese, Überlieferung und Funktionen der
mnemotechnischen Traktatliteratur im 15. Jahrhundert, Tübingen, Max Niemeyer
Verlag 2000.
21
Sui principali momenti della vita di Johannes Host si veda N. PAULUS,
Die deutschen Dominikaner im Kampfe gegen Luther (1518-1563), Freiburg,
Herder 1903, 134-153.
22
Ibidem, 139: «Dem Kölner Oberhirten rühmt Host nach, dab er, wie
kaum ein anderer, eifrigst bestrebt sei, seine Diözese von der Pest der Ketzerei rein
zu erhalten» [corsivo mio]. Sull’identificazione tra eresia e pestilenza si veda G.
FRAGNITO, La Bibbia al rogo. La censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della
Scrittura (1471-1605), Bologna, il Mulino 1997, 114-115.
23
Host fu autore di opere teologico-catechistiche (Christliche Regell ueber
alle Gottes, Köln, apud Heronem Alopecium 1531; Determinatio miscellanea
Theologica quaestiones, Köln, apud Heronem Alopecium 1532; De idoneo verbi
Dei ministro, Köln, apud Heronem Alopecium 1532; Ratio confitendi omnibus
confessoribus simul ac poenitentibus perutilis ac scitu necessaria, Köln,Ioh. Dorstius
1532) e curò la pubblicazione di polemisti cattolici a lui contemporanei (Malleus
I. Fabri in haeresim Lutheranam, iam vehementiori studio et labore recognitus,
Köln, Quentel 1524; Enchiridion locorum communium adversus Lutheranus Ioanne
Eckio authore, Köln, s.i.t. 1525; Antilogiarum M. Lutheri Babylonia, per I. Fabri,
Köln, Quentel 1530; Farrago miscellaneorum Conradi Wimpinae a Fagis, Köln,
apud Io. Soterem 1531; Dionysii Carthusiani scalae religiosorum pentateuchus,
Köln, s.i.t. 1531; Ioannis Mensingi de Ecclesiae Christi sacerdotio libri duo, Köln,
Quentel 1532; Septem Psalmorum Poenitentialium pia atque non indocta enarratio
per Dionysium Carthus, Köln,s.i.t. 1532) e di testi Scolastici (Alberti Magni
Moralissima in Ethica Aristotelis commentaria, Venezia, Scotto 1520; Questiones
DIVENIRE MEMORIA XIX
Su ciò che io ho sofferto nei 25 anni trascorsi da quando sono stato nomina-
to predicatore per aver sempre riferito la Parola di Dio senza alcuna modifi-
ca, senza timore, forte e chiaro, potrei scrivere una tragedia (...) ci sono alcu-
ni che mi accusano di aver falsato la parola di Dio con le mie prediche; mi
definiscono “nemico della verità”, perché non ho approvato la condanna al
rogo di alcuni sospetti eretici. (...) Mi dovrei meravigliare molto più se non
avessi nemici, visto che combatto il male, non adulo nessuno, critico pubbli-
camente e privatamente i vizî degli uomini (...)25.
27
«Adhortari debeat Lutherus ut Ecclesiae primates a se et ab aliis, si quae
funesta labes fuerit, studiosissime abstergerent, ut avaritiam seponerent,
symoniam, superbiam, ambitionem, hypocrisin, gulam, luxuriam et id genus
pestes clerici vitarent, ut mundanis rebus non deservirent, sed ut haec vitia in
eis reformarentur (...) ut corruptelae et abusus a sanctuario Dei tollerentur (...)
Si haec hisque similia Lutherus docuisset, aestimo totus ei mundus fuisset
assensus. At quis laudare possit quod omnes vituperat, laicos alioqui clericis
infestos ad rapinas et sacrilegia provocat, et omnia pervertit et conturbat? (...)
Hoc tamen bonum ex illa haeresi spero Deus pro sua bonitate et omnipotentia
elicet, ut vita nostra secundum apostolica vestigia et antiquorum patrum
sanctorumque sanctiones reformetur, utque veterum statuta et piae ordinationes
quae pro nostra tepiditate ferme in abusum abierunt, reformentur, nec opus erit
novis, quia vetustae sanctissimae procul dubio existant»; il testo è una lettera
inviata da Host al vescovo di Colonia, in cui lo zelante domenicano rende conto
del proprio operato nella lotta contro i luterani. Cfr. N. PAULUS, Die deutschen
Dominikaner im Kampfe gegen Luther (1518-1563), ed. cit., 139n.
28
Per una più dettagliata trattazione di questo momento cruciale della
storia dell’Ordine domenicano si veda W. HINNEBUSCH, I domenicani, trad. it.
Milano, Ed. Paoline 1992.
29
In nome del potere taumaturgico che gli studî cabbalistici attribuivano
alla lingua ebraica, l’umanista tedesco Johannes Reuchlin (1455-1522) si era
opposto alla messa al bando dei testi talmudici, reclamata dall’ebreo convertito
DIVENIRE MEMORIA XXI
tare una sorta di prova generale per quella parte di ‘avvocato del-
l’ortodossia cattolica’ che il domenicano si trovò a impersonare lungo
tutta la vita, salvo poi esserne enigmaticamente spogliato da mor-
to30. La violenta disputa divampata su suolo tedesco tra l’ambiente
umanistico, solidale con Reuchlin, e i teologi domenicani della
Facoltà di Colonia offrì inoltre ad Host la possibilità di abbando-
nare l’officio di predicatore in patria e di essere collocato in una
sfera d’azione più diretta e avanzata: la ‘prima linea’ dell’azione
antiluterana di Host e della sua opera di riattivazione dell’insegna-
mento tomistico venne così ad essere l’Italia, dove si recò come
procuratore del suo superiore Hoogstraeten, e più specificamente
Venezia, centro culturale europeo distante, e consciamente indi-
pendente, dal mondo, di corte o di curia, italiano31.
36
Il carattere molteplice e multiforme del sapere rinascimentale contri-
buisce a trasformare l’arte della memoria, se non nell’aspetto tecnico almeno per
quanto riguarda il suo ruolo all’interno della cultura: quella che prima era una
struttura formale continuamente modificabile, diviene ora una costruzione
logico-metafisica organizzata su basi cosmologiche, alchemiche o più general-
mente magiche, una sorta di macchina universale che offre la chiave non solo
per comprendere e ricordare il reale ma anche per modificarlo partendo dal
presupposto che nella magia così come nell’ars memoriae è l’immaginazione a
governare i fantasmi (lo spirito pneumatico) che fanno da tramite fra il Soggetto
(soggetto psichico singolare o collettivo) e la Natura (animata e inanimata, il
corpo, la divinità). Sull’argomento si vedano: D.P. WALKER, Spiritual and Demonic
Magic from Ficino to Campanella, London, The Warburg Institute 1958; F.A.
YATES, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, trad. it. Bari, Laterza 1995; W.
WILDGEN, Das kosmische Gedächtnis, Frankfurt am Main, Peter Lang 1998.
37
Delineando un metodo incentrato sulla disposizione sistematica e or-
dinata delle nozioni, che sia in grado di portare alla luce l’unità profonda e le
leggi di connessione che si nascondono dietro la caotica molteplicità delle scien-
ze, Ramo prima, Bacone e Cartesio in seguito, hanno condotto, sia pure a prezzo
di una sostanziale trasfigurazione, nei quadri della logica moderna «l’antico
problema della memoria artificiale che aveva per oltre tre secoli appassionato
medici e filosofi, studiosi di retorica, enciclopedisti e cultori di magia naturale»:
contro una sterile memoria artificiale che si piegava a esibizionistici giochi
intellettuali o si era caricata di riferimenti magici essi proponevano una dottrina
«degli aiuti della memoria» che, solidamente fondata sul primato del principio
ordinatore dei luoghi, sostenesse i movimenti del ragionamento e presiedesse
alla conservazione delle conoscenze certe e dimostrate (cfr. P. ROSSI, Clavis
universalis. Arti della memoria e logica combinatoria da Lullo a Leibniz, Bologna,
il Mulino 19832, 155-197). Sul metodo ramista si vedano W. J. ONG, P. Ramous.
Method and the Decay of Dialogue. From the Art of Discourse to the Art of Reason,
Cambridge (Mass.), Harvard University Press 1958 e C. VASOLI, Dialettica e
retorica dell’Umanesimo. «Invenzione» e «metodo» nella cultura del XV e XVI
secolo, Milano, Feltrinelli 1968.
DIVENIRE MEMORIA XXV
38
I.P. COULIANO, Eros e magia nel Rinascimento, trad. it. Milano, il Saggiatore
1995, 284.
39
Su concetti come la «parola evocatrice» in Lutero o la «parola dipingen-
te» in Calvino si veda J.J. BERNS, Umrüstung der Mnemotechnik im Kontext von
Reformation und Gutenbergs Erfindung, in Ars memorativa. Zur kulturgeschicht-
lichen Bedeutung der Gedächtniskunst 1400-1750, ed. cit., 35-73.
XXVI A. TORRE
40
Per un’analisi del rapporto fra immaginazione e memoria nel pensiero
del fondatore dell’Ordine gesuitico si ricorra a: C. BOLOGNA, Esercizi di memo-
ria. Dal «theatro della sapientia» di Giulio Camillo agli «Esercizi Spirituali» di
Ignazio di Loyola, in La cultura della memoria, ed. cit., 169-222; P.H. KOLVENBACH,
Imàgenes e imaginaciòn en los Ejercicios Espirituales, in «Cis», 18, 1987, 200-
217; P.A. FABRE, Ignace de Loyola. Le lieu de l’image, Paris, Vrin 1992. Sull’ela-
borazione teorica e sull’applicazione pratica delle metodiche mnemotecniche
gesuitiche si vedano anche: J. D. SPENCE, Il Palazzo della memoria di Matteo
Ricci, trad. it. Milano, il Saggiatore 1987 e F.R. DE LA FLOR, Teatro de la memoria:
siete ensayos sobre mnemotecnia española de los siglos XVII y XVIII, Salamanca,
Junta de Castilla y Leon 1988.
41
Cfr. H. JEDIN, Genesi e portata del decreto tridentino sulla venerazione
delle immagini, in Chiesa della Fede, Chiesa della Storia, trad. it. Brescia,
Morcelliana 1972, 378: «Il decreto deve la sua esistenza senz’altro all’energia ed
alla tenacia, con la quale il capo dell’episcopato francese, il cardinale di Guisa,
in tutto il mese di novembre [1563], ma principalmente nella congregazione
decisiva del 28 dello stesso mese, insistette perché il concilio non chiudesse senza
aver emanato un responso definitivo sulla questione delle immagini, utilizzabile
nelle lotte confessionali divampanti in Francia. Esso si rivolge quindi in prima
linea contro il calvinismo colà dominante che aveva portato la questione al
centro dell’interesse, sul piano teoretico, durante il colloquio di religione di St.
Germain, ma soprattutto sul piano pratico a causa degli assalti iconoclastici».
Per i rapporti tra il decreto tridentino e le arti figurative si vedano anche P. PRODI,
Ricerca sulla teorica delle arti figurative nella Riforma cattolica, Bologna, Nuova
Alfa Editoriale 1984; M. BRUSATIN, Storia delle immagini, Torino, Einaudi 1989
e D. FREEDBERG, Il potere delle immagini, trad. it. Torino, Einaudi 1993.
42
M. ALBERTINO - G. DEL BENE, Confirmatione et stabilimento di tutti i
dogmi catholici, Venezia, s.i.t. 1555, c. 273r. Poco prima gli autori (due canonici
di Verona) avevano affermato che «le nostre Imagini devon’esser segni rimemorativi
DIVENIRE MEMORIA XXVII
principalmente della incarnazion del nostro Signor Giesù Christo» (c. 268v)
[corsivi miei].
43
TOMMASO D’AQUINO, Commentarium super libros sententiarum, lib. III,
dist. 9, art. 2, q. 2, (citato in D. FREEDBERG, The hidden god: image and interdiction
in the Netherlands in the sixteenth century, in «Art History», 5, 1982, 149, nota␣ 53).
44
Per una sistematica trattazione di questa corrente di pensiero, che fece
rifiorire il tomismo medioevale e che si svolse parallela a quelle promosse dalla
rinascita del platonismo, dell’aristotelismo (tanto averroistico quanto
alessandristico) e del naturalismo, si ricorra a C. GIACON, La Seconda Scolastica,
Milano, Bocca 1950 e a P. DI VONA, Studi sulla Scolastica della Controriforma,
Firenze, La Nuova Italia 1968.
XXVIII A. TORRE
45
Ricordando che il Congestorium fu scritto nel 1513 (ma ciò non è
determinante, essendo più significativa la data di pubblicazione), resta il fatto
che il primo attacco protestante – per la verità più iconofobico che iconoclastico
– contro le immagini risale al 1522, ad opera del luterano Carlostadio (Von
Abtuhung der Bilder); il testo suscita l’immediata reazione dei domenicani Emser,
Eck e Neudorfer (i primi due, autori di opusculi pubblicati nel 1522; il terzo,
di un testo sulla venerazione delle immagini come culto dei santi, pubblicato nel
1528), mentre è accolto più tiepidamente da Lutero, che non giungerà mai a
predicare la distruzione delle immagini pur vietandone l’adorazione. Meno
indifferente risulterà Zwingli, per il quale è necessaria una totale abolizione del
culto delle immagini così come l’Antico Testamento predicava contro il culto
materialistico-pagano degli idoli. Il più violento e sistematico attacco alle im-
magini sarà però quello di Calvino (Institutio, 1559), materializzatosi poi
nell’inarginabile caccia alle immagini che nei Paesi Bassi (1560-1566) porterà
alla distruzione di un imprecisabile numero di opere d’arte.
46
Sulla vitalità di tale indirizzo si veda L. DOLCE, I quattro libri delle
Osservationi Grammaticali, IV, Venezia, Giolito 1562, 189: «Simile al Poeta è
il Dipintore, percioché l’uno e l’altro è intento alla imitazione, dissimile in
questo: che l’uno imita con le parole e l’altro con i colori; quello per la maggior
parte cose che s’apprestano all’animo, e questo a gli occhi; (…) Nondimeno
perché i versi e le parole sono il pennello et i colori del Poeta, con che egli va
adombrando e dipingendo la tavola della sua invenzione, per fare un ritratto
cotanto maraviglioso della natura che ne stupiscono gli intelletti de gli huomini,
dee porre ogni suo principale studio e diligenza in comporgli tali, e con voci così
DIVENIRE MEMORIA XXIX
costante del suo agire tanto nel macrocosmo degli interventi che lo
videro protagonista nell’ambiente culturale veneziano, quanto nel
microcosmo delle modalità operative che contraddistinsero la sua
produzione letteraria. Di tale virtuosa relazione il Dialogo della me-
moria può essere una fedele cartina di tornasole in quanto, come si
tenterà di mostrare in seguito, proprio in nome dello scarto retori-
co dell’immagine sembrano instaurarsi interessanti riferimenti in-
crociati tra nuclei tematici presenti in più di un’opera dolciana e
suggestioni ispirate dalle caratteristiche e dalla natura della forma
dialogica scelta dall’autore per la sua riscrittura.
Al solido vincolo che fin dal mitico banchetto di Simonide
Melico unisce poesia, pittura e mnemonica in nome dell’intenso
potere della visione, e alla penna di chi come il Dolce stabilisce «a
sort of ideal conversation with the text he is translating»47 ben s’ad-
dice infatti una forma letteraria come il dialogo, inafferrabile nel
suo porsi sulla soglia che separa tra loro i generi come «un labile
confine esposto ad eterogenee frequentazioni, a differenti
attraversamenti»48. La molteplicità delle voci dialoganti riflette così
belle et appartinenti alla materia di che egli tratta, che ne riesca quel fine ricer-
cato e desiderato da chi legge, e senza il quale ogni sua fatica è posta e consumata
indarno».
47
R.H. TERPENING, Lodovico Dolce. Renaissance Man of Letters, ed. cit., 129.
Non una vera e propria monografia ma una raccolta di saggi che, pur soffermandosi
in particolare sulla produzione teatrale del Dolce, mirano a delineare l’esperienza
culturale dell’autore veneziano, il libro di Terpening si propone l’«overriding
goal» – peraltro solo superficialmente raggiunto – «of clarifying Dolce’s role in the
diffusion and expansion of culture in the cinquecento» (8), analizzando temi e
fonti di alcune sue opere, difendendo strenuamente l’autore dalla secolare accusa
di plagiatore di mediocre ingegno («Later critics seem to disparage Dolce, following
the example of Muratori and other earlier critics, often without having read the
works under discussion. It is ironic that so many critics accuse Dolce of plagiarism
when they themselves merely repeat what other have said, often using almost the
exact words and usually without acknowledgement», 174) e soprattutto insisten-
do sulla felicità dello stile e sulla indefessa volontà di giovare ai lettori, che agli
occhi di Terpening ne hanno fatto, più che un «operaio della letteratura», «the
master of those who know naught» (164).
48
N. ORDINE, Il dialogo cinquecentesco italiano tra diegesi e mimesi, in
«Studi e problemi di critica testuale», XXXVII, 1988, 155. A testimonianza del
rinnovato interesse critico su forme e fortuna del genere dialogico nel Cinque-
cento si vedano: J. R. SNYDER, Writing the Scene of Speaking. Theories of Dialogue
in the Late Italian Renaissance, Stanford, Stanford University Press 1989; R.
GIRARDI, La società del dialogo. Retorica e ideologia nella letteratura conviviale del
Cinquecento, Adriatica, Bari 1989; Il dialogo filosofico nel ’500 europeo. Atti del
convegno internazionale di studi, Milano, 28-30 maggio 1987, a cura di D.
XXX A. TORRE
52
Cfr. F. TATEO, Tradizione e realtà nell’Umanesimo italiano, Bari, Dedalo
1967, 236: «Il dialogo ciceroniano è alla base del genere dialogico della prima
fase del ’400, soprattutto per il tono eloquente che lo distingue, e viene seguito
più che nella cornice, più che nei dettagli strutturali, in certo procedimento
logico, più tipico del persuadere retorico, che del dimostrare filosofico».
53
M.S. SAPEGNO, Il trattato politico e utopico, in Letteratura italiana, 3. Le
forme del testo, II. La prosa, ed. cit., 973. Sul dialogo umanistico si veda anche
D. MARSH, The Quattrocento Dialogue. Classical Tradition and Humanistic
Innovation, Cambridge (Mass.), Harvard University Press 1980.
54
N. ORDINE, Il dialogo cinquecentesco italiano tra diegesi e mimesi, ed. cit., 167.
55
P. FLORIANI, Il dialogo e la corte nel primo Cinquecento, in La corte e il
“Cortegiano”, I. La scena del testo, a cura di C. Ossola, Roma, Bulzoni 1980, 95.
56
Cfr. T. TASSO, Dell’arte del dialogo, a cura di G. Baldassarri, in «La
Rassegna della letteratura italiana», serie VII, I-II, 1971, 134: «Abbiam dunque
che ’l dialogo sia imitazione di ragionamento fatto in prosa per giovamento degli
uomini civili e speculativi» (su Tasso teorico del dialogo si vedano F. PIGNATTI,
I «Dialoghi» di Torquato Tasso e la morfologia del dialogo cortigiano rinascimentale,
in «Studi Tassiani», XXXVI, 1988, 7-43 e G. BALDASSARRI, L’arte del dialogo in
Torquato Tasso, in «Studi Tassiani», XX, 1970, 5-46); cfr. anche F. PIGNATTI,
Introduzione a C. SIGONIO, Del dialogo, ed. cit., 43: «nell’imitazione dialogica
l’atto materiale del discorrere riconducubile ancora alla dimensione dramma-
tica dell’agire, svolgerà una funzione per così dire di involucro, all’interno della
quale la centralità sarà conquistata dalla sostanza intellettuale del pensiero e
dalle sue dinamiche ragionative. (...) se per il dialogo si vorrà parlare ancora di
azione, si tratterà ora di un’azione puramente speculativa e il linguaggio sarà,
aristotelicamente, la figura con cui questa si offre alla comunicazione degli
uomini».
XXXII A. TORRE
57
L. CSTELVETRO, Poetica d’Aristotele vulgarizzata e sposta, I, 4, a cura di
W. Romani, Bari, Laterza 1978, I, 36.
58
Su questa struttura catechistica, propria soprattutto del dialogo
ciceroniano, si veda il saggio di G. POLARA, Quali itinerarî paralleli seguirono
Bloom e Stephen al ritorno?, in Il dialogo. Scambi e passaggi della parola, a cura di
G. Ferroni, Palermo, Sellerio 1985, 47-62.
59
Spesso le parole di Fabrizio sono la puntuale traduzione dei titoli
intercapitolari del testo latino. In altri casi essi fungono da fulmineo riassunto
DIVENIRE MEMORIA XXXIII
della materia appena esposta da Horazio, istantanee summae che, affidate alla
memoria, trattengono il nucleo della lezione seguita (la res memoranda senza
esemplificazioni e ornamenti) oppure si configurano come elemento attivatore
del processo di reminiscenza che riporterà alla mente del discepolo l’intera
lezione del maestro e anche il luogo, il tempo e l’occasione di quella lezione.
60
S. TOMASSINI, L’abbaino veneziano di un «operaio» senza fucina, in L.
DOLCE, Didone. Tragedia, a cura di S. Tomassini, Parma, Zara 1996, XII. Unica
effettiva assunzione di responsabilità critica, approfondita e senza compromessi,
nei confronti di Lodovico Dolce, questo studio rivela con vibrante lucidità la
predisposizione umana, le modalità operative e i riflessi culturali di una «fuga dal
centro della letteratura» verso l’«orizzonte dell’esperienza soggettiva» finalmente
dispiegata «nei loci interni di un’ordinata e polita pagina stampata» (X-XII).
61
Cfr. G. BENZONI, La forma dialogo: un’apertura con chiusura, in Crisi e
rinnovamenti nell’Autunno del Rinascimento a Venezia, a cura di V. Branca e C.
Ossola, Firenze, Olschki 1991, 23: «E, naturalmente, detto espositore, una
volta giunto al ’500, dovrebbe sostare a lungo per inventariare un’età in cui il
dialogo prolifera incontentabile, dilagante, debordante sino a sovrapporsi alla
trattatistica precedente, ora induttivamente ora deduttivamente, di definizione
in definizione, sino ad accamparsi – al posto di questa che resiste nell’ambito
universitario – quale trattatistica tout court. (…) Non mancano, come si può
constatare, i veneziani e scrittori, anche se non tali di nascita, comunque a
Venezia – ove, pure questo va detto, si stampa il grosso dei dialoghi – operanti,
XXXIV A. TORRE
a Venezia attivi. Ciò in sintonia con una città dalla loquacità intensa e diffusa
e, anche, con le discussioni insite nella dinamica stessa dell’azione governativa
le cui direttive nascono dal dibattito nelle sedi istituzionali. C’è convergenza,
insomma, a Venezia tra “ragionar” e “parlar”».
62
Cfr. L. MULAS, La scrittura del dialogo. Teorie del dialogo tra Cinquecento
e Seicento, in Oralità e scrittura nel sistema letterario, a cura di G. Cerina, C. Lavinio,
L. Mulas, Roma, Bulzoni 1982, 262: «Essendo un genere imitativo il dialogo può
arricchire la messa in scena dei detti con fatti, anche minimi e irrilevanti, che, privi
di per sé di capacità di dilettare, hanno tuttavia la capacità di accrescere il diletto
che viene dalle parti più importanti del discorso (...). Il diletto agisce in questo caso
come attivatore e potenziatore della memoria, poiché quei piccoli e graziosissimi
fatti sono i loci ai quali la memoria collegherà, per ritrovarle più agevolmente, le
parole pronunciate dagli interlocutori» [corsivi miei].
63
Il titolo, distante sia dagli ermetico-platonici «Tempio», «Ars» e «Idea»
sia dagli enciclopedici «Arca» e «Thesaurus» (che rimandano tutti a un’idea della
memoria come contenitore di sapienza), sembra invece sottintendere l’impulso
dinamico a una quotidiana prassi mnemonica. Ugualmente, il più sobrio e
allusivamente scientifico «Trattato delle Gemme» è il titolo che Dolce propone
per il suo volgarizzamento dello Speculum lapidum di Camillo Leonardi, mo-
strando così di voler tralasciare i pur remoti riferimenti a pratiche magico-
enciclopediche.
DIVENIRE MEMORIA XXXV
64
Cfr. R.W. LEE, Ut pictura poesis. La teoria umanistica della pittura, trad.
it. Firenze, Sansoni 1974, 17: «Il Dolce può ancora accettare senza difficoltà il
vecchio concetto dell’imitazione letterale applicato alla natura in generale, ma
per quanto riguarda la figura umana, tema di gran lunga prevalente nella pittura
italiana, di fronte alla quale il resto della natura ha sempre avuto un carattere
sussidiario, il concetto non si può più applicare. Ed è a proposito della figura
umana in azione che il Dolce, seguendo il metodo dei critici letterari del suo
tempo che prescrivevano le regole della poesia rifacendosi ad Aristotele e ad
Orazio, formulò la sua dottrina dell’imitazione ideale»; a riguardo si vedano
anche E. PANOFSKY, Idea. Contributo alla storia dell’estetica, trad. it. Firenze, La
Nuova Italia 1952 e J. GRAHAM, ‘Ut pictura poesis’. A bibliography, in «Bulletin
of Bibliography and Magazine Notes», XXIX, 1972.
65
Cfr. E. BATTISTI, Il concetto d’imitazione nel Cinquecento italiano, in
Rinascimento e Barocco, Torino, Einaudi 1960, 204: «Nei suoi [scil. del Dolce]
scritti c’è indubbiamente il tentativo di trovare un accordo fra esperienza e
creazione, fra natura e stile: di qui il peso enorme che le sue pagine ebbero per
la formazione del Barocco. Specialmente la sua interpretazione critica di Tiziano
restò normativa: per merito di essa il gusto veneziano potè affiancarsi con pari
dignità teorica a quello tosco-romano». Sul Dialogo della pittura si vedano
anche: S. ORTOLANI, Pietro Aretino e Michelangelo, in «L’Arte», 25, 1922, 15-26;
ID., Le origini della critica d’arte a Venezia, in «L’Arte», 26, 1923, 1-17; M. W.
ROSKILL, Dolce’s Aretino and Venetian Art Theory of the Cinquecento, New York,
New York University Press 1968.
XXXVI A. TORRE
66
Cfr. L. DOLCE, Dialogo della pittura intitolato L’Aretino, in Trattati d’arte
del Cinquecento fra Manierismo e Controriforma, I, a cura di P. Barocchi, Laterza,
Bari 1960, 206: «E di presente io temo che la pittura non torni a smarrirsi
un’altra volta, percioché de’ giovani non si vede risorgere alcuno che dia speran-
za di dover pervenire a qualche onesta eccellenza; e quei che potrebbono divenir
rari, vinti dall’avarizia poco o nulla si affaticano nelle opere loro».
67
Cfr. A. BLUNT, Le teorie artistiche in Italia dal Rinascimento al Manierismo,
trad. it. Torino, Einaudi 1966, 133: «L’attacco in questione fu promosso
dall’Aretino e proseguito a nome suo dall’amico Lodovico Dolce. Fu ispirato da
motivi del tutto personali e non era in alcun modo connesso con le critiche serie
e di carattere religioso fatte al Giudizio Universale, benché successivamente, a
quanto sembra, Gilio da Fabriano abbia attinto argomenti dall’opera del Dolce».
68
M. POZZI, L’«ut pictura poësis» in un dialogo di L. Dolce, in Lingua e
cultura del Cinquecento, Padova, Liviana 1975, 13.
69
M. PIERI, Furore e Maniera. Alle origini della scrittura sull’arte con una
Appendice sull’Idillio, Parma, Zara 1984, 29. Sulla politica culturale dell’Aretino
e sul ruolo determinante che in essa gioca il Dolce si vedano anche G. FALASCHI,
Progetto corporativo e autonomia dell’arte in Pietro Aretino, Messina-Firenze,
D’Anna 1977, e CH. CAIRNS, Pietro Aretino and the Republic of Venice. Researches
on Aretino and his circle in Venice 1527-1556, Firenze, Olschki 1985.
70
Cfr. L. DOLCE, Dialogo della pittura intitolato L’Aretino, ed. cit., 145:
«Tiziano, il quale diede alle sue figure una eroica maestà e trovò una maniera di
colorito morbidissima, e nelle tinte cotanto simile al vero, che si può ben dire
con verità ch’ella va di pari passo con la natura»; e anche 202: «E certo in questa
tavola [l’Assunzione della Vergine di Tiziano] si contiene la grandezza e terribilità
DIVENIRE MEMORIA XXXVII
oppure una forma che può presentare contorni più ermetici, come
le imprese di famose case tipografiche veneziane75 spiegate dall’au-
tore nella seconda parte del dialogo, dove, sempre nella forma di
catalogo, il Dolce dà vita a un vero e proprio dizionario del figurabile,
utile per la composizione e la lettura di emblemi e imprese76: ogni
giudicio di quello che egli vede ogni giorno, cioè della bellezza e della bruttezza
di qualunque uomo; (...) Onde, avendo l’uomo, come ha, questa cognizione
intorno alla forma vera, che è questo individuo, cioè l’uomo vivo; perché non
la dee aver molto più intorno alla finta, che è la morta pittura?».
74
L. DOLCE, Dialogo nel quale si ragiona della qualità, diversità e proprietà
dei colori, ed. cit., c. 9v.
75
Troviamo: l’«Ancora col Delfino avoltovi a torno» (c. 54r) che fregia i
libri di Aldo Manuzio e dinota la fermezza; la «Fenice, che arde nelle fiamme,
risguardando incontra il Sole» (c. 57v), simbolo dell’immortalità e degno em-
blema quindi della tipografia giolitina «perché gl’impressori con l’imprimer de’
libri tengono vivi i nomi de gli Scrittori, e gli rendono immortali»; e infine,
esemplificativo dell’accortezza diplomatica del Dolce, «la Gatta, la quale tiene
un Topo in bocca» (c. 56v) scelta come insegna da messer Marchiò Sessa, in cui
l’autore riconosce tanto l’utilità («La Gatta mangia i Topi, i quali sono di gran
danno a una casa, percioché rodono cose di valore, come ornamenti di casa, libri
e cose simili»[corsivo mio]) quanto «che non vi può essere amicizia e concordia
che duri se non tra pari» (per la quotidiana battaglia tra gatti e cani). Quest’ul-
tima impresa ritorna anche nel Trattato delle gemme, Venezia, Sessa 1565, c. 88v:
«GATTA, figura di una gatta col topo stretto in bocca; trovandosi scolpita in un
Diaspro, fa chi la porta legata in uno anello d’oro, abondevole de’ beni di
fortuna, e massimamente della mercanzia de’ libri». Nel Dialogo della memoria
invece, stampato anch’esso per i tipi del Sessa, compare lo stesso capostipite di
questa importante impresa editoriale veneziana come personaggio di una rap-
presentazione mentale vòlta a memorizzare gli estremi di una trattativa com-
merciale (cfr. il testo a p. 188); sui Sessa si vedano S. CURI NICOLARDI, Una
società tipografico-editoriale a Venezia nel secolo XVI, Firenze, Olschki 1984, e N.
VIANELLO, Per gli «Annali» dei Sessa tipografi ed editori in Venezia nei secoli XV-
XVII, in «Accademie e biblioteche d’Italia», XXXVIII, 4-5, 1970, 262-285.
76
Sui rapporti fra impresistica e arte della memoria resta fondamentale
(anche per ricchezza di immagini) lo studio di L. VOLKMANN, Ars memorativa,
in «Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen in Wien», 3, 1929, 111-203.
Si vedano anche: L. VOLKMANN, Bilderschriften der Renaissance. Hieroglyphik und
Emblematik in ihren Beziehungen und Fortwirkungen, Leipzig, K. W. Hiersemann
DIVENIRE MEMORIA XXXIX
1923; M. PRAZ, Studi sul concettismo, Firenze, Sansoni 1946; R.J. CLEMENTS,
Picta poësis. Literary and Humanistic Theory in Renaissance Emblem Books, Roma,
Edizioni di Storia e Letteratura 1960; R. KLEIN, La forma e l’intelligibile. Studi
sul Rinascimento e l’arte moderna, trad. it. Torino, Einaudi 1975; G. INNOCENTI,
L’immagine significante. Studio sull’emblematica cinquecentesca, Padova, Liviana
1981; W. NEUBER, Locus, Lemma, Motto. Entwurf zu einer mnemonischen
Emblematiktheorie, in Ars memorativa. Zur kulturgeschichtlichen Bedeutung der
Gedächtniskunst 1400-1750, ed. cit., 351-372. Nella stessa produzione dolciana
è presente una raccolta di imprese: Imprese Nobili et ingeniose di diversi Prencipi
et d’altri personaggi illustri nell’arme et nelle lettere. Le quali, col disegno loro
estrinseco, dimostrano l’animo et la buona o mala fortuna de gli Autori loro. Con le
dichiarationi in versi di messer Lodovico Dolce et d’altri, Venezia, G. Porro 1578.
77
L. DOLCE, Dialogo nel quale si ragiona della qualità, diversità e proprietà
dei colori, ed. cit., c. 6r: «Mentre io vo riguardando questa gran Machina del
Mondo, ve n’è una non picciola, anzi forse non minore di qualunque altra: il
vedere ogni cosa distinta col suo proprio colore, dalla cui varietà prendono gli
occhi infinita contentezza e diletto. Percioché il cielo, la terra, le piante, l’herbe,
i fiori, gli animali brutti e l’huomo, tutti sono diversi non solo di specie e di
forma, ma di colori».
78
Cfr. il testo a p. 128: «Ora alle volte aviene che non troviamo agevol-
mente l’imagine della cosa di cui vogliamo ricordarci, né per intendimento di
essa, né per suono di voce, né per capi di parola. In questo caso è mio consiglio
che la imagine, da noi formata con le lettere o sillabe sovra dette, al suo luogo
tenga l’iscrizione da esso luogo di contrario colore».
79
L. DOLCE, Dialogo nel quale si ragiona della qualità, diversità e proprietà
dei colori, ed. cit., c. 12r.
XL A. TORRE
84
Ibid., 186.
85
L. BOLZONI, La stanza della memoria. Modelli letterari e iconografici
nell’età della stampa, ed. cit., XX. Vera e propria denuncia di questa ‘poetica
dell’intersezione’ è un passo del Dialogo della memoria: «Overo ce li imagineremo
per le figure come che gli dipingono i Pittori. Dell’arte de’ quali se avremo
qualche famigliarità o contezza, ci sarà più agevole il formarle. Come chi volesse
raccordarsi della favola di Europa, potrebbe valersi dell’esempio della pittura di
Tiziano; et altretanto di Adone e di qual si voglia altra favola, o historia profana
o sacra, eleggendo specialmente quelle figure che dilettano e quindi sogliono la
memoria eccitare» (cfr. il testo a p. 146).
XLII A. TORRE
V. Promemoria veneziano
86
Su Venezia come imago memoriae dei valori del Rinascimento nell’età
della Controriforma si veda W.J. BOUWSMA, Venezia e la difesa della libertà
repubblicana, trad. it. Bologna, il Mulino 1977.
87
R. PIERANTONI, I giocattoli della memoria, ne «La Stampa» del 14 ottobre
1995.
88
Cfr. L. DOLCE, Dialogo della pittura intitolato L’Aretino, ed. cit., 155: «E
dico che nell’uomo nasce generalmente il giudicio dalla pratica e dalla esperien-
za delle cose».
89
Cfr. la lettera del Dolce a «Messer Federigo Badoaro», conservata nella
Nuova scielta di lettere di diversi nobilissimi huomini, Venezia, Muschio 1574,␣ 112.
DIVENIRE MEMORIA XLIII
90
La citazione è tratta da una lettera di Dolce «Al Signor suo Compare
Messer Pietro Aretino Divinissimo», raccolta poi in Lettere scritte all’Aretino,
Marcolini, Venezia 1552, 378. Un’ulteriore, evidente e al contempo ambigua
per il carattere burlesco dell’opera, testimonianza della presunta omosessualità
dolciana – segno dell’integrazione dell’erotismo, dell’amore e della sensualità
nella cultura e nel vissuto quotidiano di Venezia in un momento di forte
ridefinizione del senso della vita – è costituita dal Capitolo d’un Ragazzo, in cui
il Dolce chiede insistentemente a messer Anselmi di permettere il ritorno a quel
ragazzo che fino a pochi giorni prima «era la mia vita, e ’l mio diletto» e che ora,
scappato, era andato a prestar servizio proprio presso di lui: bello («Egli ha un
viso da far arder Giove») e cólto («Avea il Petrarca e gli Asolani a mente»),
rappresentava l’unico sollievo («Egli la cura avea della mia stanza, / Trarmi le
calze quando andava a letto, / E di menarmi, s’io volea, la manza») e l’unico
sostegno («Meco non è Amarilli o Galatea, (…) Ma una vecchia che pare una
strega; / Che s’io voglio un servigio, e’ mi bisogna / Pregarla, e spesse volte ella
me l’ niega») per il Dolce che amaramente ne piange la fuga («E starci senza io
non ne posso un’ora») e ne sogna il ritorno («Dormirà nel mio letto a suo
bell’agio / Così ne’ fatti per modo di dire, / Egli farà la donna di palagio»).
Indicativo del carattere non del tutto faceto della composizione è il finale, dove
Dolce non nasconde qualche preoccupazione sul fatto che il Capitolo venisse
letto pubblicamente da personaggi influenti: «Mandatemi il ragazzo, e se vi pare
/ Di bruciar questa scritta, non sia rio, / Anzi sarà una cosa da lodare. / Che in
man del vostro Cardinale e mio / Potrebbe capitar per isciagura: / E mi fareste
rinnegar Iddio. / Non già ch’abbia pensiero, né paura, / Ché di me sospettasse
oncia di tristo: / Sa ben sua Signoria la mia natura. / Ma voi potrebbe cogliere
sprovisto» (Il primo libro dell’Opere Burlesche di Messer Francesco Berni, di Messer
Giovanni Della Casa, del Varchi, del Mauro, di Messer Bino, del Molza, del Dolce
e del Fiorenzuola. Ricorretto, e con diligenza ristampato, Usecht al Reno, appresso
Jacopo Broedelet 1726, 341-346).
XLIV A. TORRE
stico emerge anche dal Dialogo della memoria: un testo, che cammin
facendo non esiterà a risultare qua e là oscuramente astratto, nasce
invece da un bisogno pratico, dalla semplice e comprensibile ri-
chiesta di chi, «non per difetto d’ingegno ma per mancamento di
memoria» (p. 7), fatica a trarre il massimo profitto dai lunghi studî;
non beneficiato dal dono naturale di una memoria pari a quella
degli illustri mnemonisti che il compagno Hortensio, subito cala-
tosi nei panni del magister, gli elenca un po’ scortesemente, Fabri-
zio si affida all’aiuto dell’amico, conscio della sua esperienza in
materia («io so che molto in così fatto esercizio ti sei affaticato»,
p.␣ 9). Da un incontro che l’inizio ex abrupto del dialogo contribu-
isce a rivestire di casualità e quotidianità nasce dunque una lunga
lezione, in cui le voci dei maestri antichi e moderni dell’ars
reminiscendi si accavallano sovrastandosi l’un l’altra, vanamente
controllate da un ordine ormai spoglio della propria sistematicità,
ma attentamente ed elegantemente filtrate dalla filigrana della tra-
duzione dolciana, «perché la viva voce suole apportar sempre non
so che di più» (p. 9): la traduzione in forma di dialogo che Dolce fa
del trattato latino offre a quest’ultimo un’occasione di vita in più,
che è tanto una possibilità in più di essere ricordato, poiché di fatto
diviene una res memoranda calata e riposta in un edificio dramma-
tico immaginificamente produttivo, quanto un’opportunità in più
di vivere come scrittura, poiché il testo decomposto ancora traluce
fra le maglie della riscrittura, seppur con un riflesso deformato,
parziale, franto.
Dopo le proemiali definizioni di memoria naturale, memoria
artificiale e reminiscenza, Dolce entra nel vivo della trattazione
focalizzando lo sguardo sulle norme riguardanti i luoghi, le imma-
gini e l’ordine, elementi costitutivi di ogni mnemotecnica, il cui
«bello artificio (…) non tanto si approva per l’autorità de gli anti-
chi, quanto per la lunga pratica che si suol far di giorno in giorno»
(p. 32); e dominio del quotidiano, tanto che di essi possiamo forni-
re cataloghi alfabetici e schematiche illustrazioni, sono ad esempio
i tanti mestieri ai cui nomi e attributi possiamo agganciare ogni
nostro ricordo, ma anche il paesaggio del mondo reale che attraver-
so i canali della percezione dialoga con i loci immaginarî della no-
stra mente: da una parte infatti l’introiezione della topografia e del-
l’architettura del mondo esterno nei dominî dell’interiorità sugge-
risce un sempre più razionalizzato spazio mentale e un’immagine
della memoria come luogo ordinato e misurato, mentre dall’altra le
leggi che all’atto della conservazione mnemonica presiedono alla
formazione di un intimo paesaggio mentale, fatto di necessarie uni-
DIVENIRE MEMORIA XLV
91
Cfr. G. SACCARO DEL BUFFA, Dalla narrazione alla scena pittorica me-
diante le tecniche della memoria, in «Arte Lombarda», XXXVIII, 3-4,
1993-1994, 79.
92
L. DOLCE, Dialogo della istitution delle donne, secondo li tre stati che
cadono nella vita humana, Venezia, Giolito 1547, c. 9r.
XLVI A. TORRE
93
Cfr. il testo a p. 52: «Tu puoi vedere che io t’ho fatto un picciolo schizzo
di questa bassa parte della terra per dimostrarti che non solo il sapere le cose della
Cosmografia aiuta la memoria, ma né anco senza questa cognizione si può
intender pienamente né le Historie, né le sacre lettere».
DIVENIRE MEMORIA XLVII
94
F. A. YATES, L’arte della memoria, trad. it. Torino, Einaudi 1972, 88.
95
L. DOLCE, Dialogo nel quale si ragiona della qualità, diversità e proprietà
dei colori, ed. cit., c. 72v-73r. In questa seconda parte dell’opera, sfruttando il
XLVIII A. TORRE
da una meza ruota e cosa tale, e nella manca con le forbici divida un compas-
so. Nel secondo luogo un altro tenga inanzi al petto il libro della Fisica aper-
to, in una carta del quale sia dipinta la spera celeste, in un’altra sia notato per
via di iscrizione predicamentale, o alcun predicatore si sforzi di levare a colui
il libro. Così nel terzo luogo pongasi uno che ascendendo una scala, mostri
di adorare un Crocefisso, che sia appeso al sommo della scala, con qual si
voglia colore scrivendo queste parole: OPUS MANUUM TUARUM SUM
DOMINE. Et un altro gli leghi i piedi alla scala con penne di struzzo, et egli
tenga sopra la testa una sporta piena di fave, nel destro homero legami, nel
sinistro un’aquila, la quale col rostro laceri un bianchissimo porcello. Nel
quarto luogo finalmente porrai un segnalato predicatore, il quale con la de-
stra porga alla bocca un’ossa, e con la manca cacci le mosche. Ecco che io ti
pongo inanzi gli esempi, accioché più agevolmente tu mi possa intendere: tu
ancora farai il simile. Tutte queste cose con una sola imagine et in uno stesso
luogo non è malagevole a porre (p. 167).
97
C. OSSOLA, Rassegna di testi e studi tra Manierismo e Barocco, in «Lettere
Italiane», XXVII, 1975, 4, 450.
DIVENIRE MEMORIA LI
Percioché le voci sono segni delle cose, onde se abbiamo le immagini delle
cose è mistiero che quelle siano le voci, altrimenti non potressimo isprimer la
cosa conceputa, né la imagine allogata nella sua sede (p. 141, corsivo mio).
98
Si confronti il testo a p. 149: «Ciascun buon Poeta e Pittore con più
agevolezza si potrà servir dell’ufficio di quest’arte per la prontezza ch’egli avrà
di formar così fatte imagini per cagione di memoria».
99
Ibid., p. 97: «Le imagini delle cose facciamo in tal guisa che vi adom-
briamo la somiglianza delle nostre faccende, per la quale esse faccende somma-
riamente ci si rappresentino» (corsivo mio).
100
Si cita dalla lettera in cui il Dolce descrive ad Alessandro Contarini il
dipinto, o meglio «la poesia di Adone poco tempo adietro fatta e mandata dal
divin Tiziano al Re d’Inghilterra»; cfr. Nuova scielta di lettere di diversi nobilissimi
huomini, et eccellentissimi ingegni, ed. cit., 512.
101
Ibid., 509: «Pure quel tanto, che io ne saprò ombreggiare con questa
penna, basterà, se io non m’inganno, a crear nel vostro bell’animo una maraviglia
tale, quale alquanto a dietro produsse la mia lingua in quello del Magnifico
Messer Pietro Gradenico, in guisa che, sognandosi egli la notte una eccellenza
LII A. TORRE
incomparabile, il giorno che seguì, volendone certificar gli occhi suoi, andato
a vederlo, trovò che l’effetto di gran lunga avanzava la sua imaginazione, et il mio
abbozzamento».
102
Cfr. G. DELEUZE, Critica e clinica, trad. it. Milano, Raffaello Cortina
Editore 1996, 13: «La scrittura è inseparabile dal divenire: scrivendo si diventa-
donna, si diventa-animale o vegetale, si diventa-molecola fino a diventare-
impercettibile». In una prospettiva di piena compenetrazione tra il fare e l’es-
sere, l’esperienza dolciana si colloca nella dimensione del divenire, abita quel
centro astorico e intempestivo che vive della comunicazione con altri tempi e
altri spazî.
103
L. DOLCE, I quattro libri delle Osservationi Grammaticali, I, ed. cit., 22.
Proprio in limine quest’ultima citazione dolciana vale essa stessa da luogo di
memoria, di una memoria letteraria che si fa traccia di poetica e sfacciata affer-
mazione di sé: l’espressione sintetizza infatti i ritratti di Quintiliano (cfr. PETRARCA,
Familiares, XXIV, 7: «Equidem quantum tuo magnifico opere collato cum eo
libro quem de causis edidisti (…), satis intelligentibus patet multo te melius
cotis officio functum esse quam gladii et oratorem formare potentius quam
prestare»), Virgilio (cfr. DANTE, Purgatorio, XXII, 67-69: «Facesti come quei che
va di notte, Che porta il lume dietro e sé non giova, Ma dopo di sé fa le persone
dotte») e Cicerone (ancora PETRARCA, Familiares, XXIV, 3: «Heu et fraterni
consilii immemor et tuorum tot salubrium preceptorum, ceu nocturnus viator
lumen in tenebris gestans, ostendisti secuturis callem, in quo ipse satis miserabiliter
lapsus es»).
DIVENIRE MEMORIA LIII
NOTA AL TESTO
Criterî di edizione
Si è distinta u da v.
Si è sempre conservata la h etimologica e pseudoetimologica
(huomo, honori, herbe, historie), tranne che nelle forme del verbo
avere; nei casi di alternanza (hora / ora, anchora / ancora) il testo si
è mantenuto tale. Si sono conservati i digrammi etimologici ch e th
(christiani, thesoro, theatri, Athene, Thebe).
Si è sempre scritto -ii per -ij (vitij, principij), ma si è mante-
nuta l’alternanza fra -ii e -i.
I nessi ti e tti seguiti da vocale (proportione, lettioni, spatio)
sono sempre stati scritti zi, (tranne che per natia). Per spetie si è
chiaramente distinto fra specie e spezie; il termine Datia si è reso
con Dacia; -antia, -entia (costantia, impatientia) sono state scritte
-anzia, -enzia; è presente l’oscillazione con le forme -enza, -anza
(reminiscenzia / diligenza).
Si è rispettata la grafia ci in giudicio, preciose e ociose.
Si è mantenuta l’oscillazione tra c e g in luogo.
LIV A. TORRE
Correzioni al testo
Al Magnifico et Eccellentissimo
Signor Filippo Terzo
1
Cfr. F. SANSOVINO, Venetia città nobilissima et singolare discritta in XIIII
libri, Venezia, Steffano Curti 1663, 607: «Filippo Terzo. Dottore, Filosofo et
Oratore illustre, dottissimo nelle lingue Greca et Latina, compose una Rhetorica
latina, con più Orazioni e Versi latini, grechi e volgari». Un esauriente, quanto
entusiastico, ritratto del dedicatario del Dialogo ce lo offre anche Andrea
Menechini nell’orazione Delle lodi della poesia d’Omero, et di Virgilio, Venezia,
Giolito 1572, s.i.p.: «(...) dottissimo et eccellentissimo gran Filippo Terzo; ché
so ben io che il Mondo l’averebbe a sommo grado, essendo il detto gentilhuomo
un de’ primi Teologi, Giureconsulti, Filosofi et Oratori, che siano stati giamai,
Thesoro di tutte le Scienze e di tutte le Discipline; il qual, avendo con incom-
parabile integrità congiunta l’Eloquenza con la Sapienza, salendo ne gli Arringhi,
fa stupir gli ascoltanti con tanta gioia e con tanto trastullo che laudando l’ono-
rano, e onorandolo l’essaltano, et essaltandolo l’ammirano; onde egli con (...)
la prontissima vivacità della profondissima memoria, con la vivacissima profon-
dità de’ maravigliosi concetti, e con tutti quei lumi e quegl’instrumenti, desi-
derati in un Oratore da Aristotele e da Marco Tullio per la suprema Monarchia
dell’Eloquenza; tutto ardore, spingendo, movendo, tirando e infiammando gli
animi de gli Auditori, quasi folgor gli conduce ove più gli è a grado; (...). Ma
perché per la bassezza mia non posso recar altro onore e altra altezza di gloria
a questo divino Spirito (...) dirò per bocca dell’istesso DOLCE: Levi l’antica Roma
al Ciel sovente / E gli Antonii, e gli Ortensii, e i Ciceroni. / Cerca tu l’Orator che
a noi proponi, / Tullio, e formò l’Idea de la tua mente. / Ecco VINEZIA nostra vede,
e sente / Tra i leggiadri del TERZO alti sermoni / De la sua lingua uscir folgori, e tuoni,
/ Che feriscono i cor’; ma dolcemente. / Voi TERZO, Voi de’ cor’ tenete impero, / Onde
in Voi, come in casa al Mondo rada, / Tanti occhi, e tante orecchie intenti stanno;
/ I saggi dunque, e i buon’ certezza avranno, / Che saldo in piedi si rimanga il vero,
/ E vinta a terra la menzogna cada».
4 LODOVICO DOLCE
2
In veste di traduttore o curatore, il Dolce si occupò di altre due opere
ciceroniane: Dialogo dell’Oratore di Marco Tullio Cicerone, tradotto da Messer
Lodovico Dolce, Venezia, Giolito 1547; Le Orationi di Marco Tullio Cicerone,
tradotte da Messer Lodovico Dolce. Con la vita dell’Autore e con un breve discorso
in materia di Rhetorica. E con le Tavole, 3 voll., Venezia, Giolito 1562.
3
o...mai: ‘forse in nessun caso’. Cfr. BOCCACCIO, Decameron, II, 5, 18 (si
è ricorsi all’edizione a cura di V. Branca, Torino, Einaudi 1992): «Andreuccio,
io sono molto certa che tu ti maravigli e delle carezze le quali io ti fo e delle mie
lagrime, sì come colui che non mi conosci e per avventura mai ricordar non
m’udisti»; L. DOLCE, I quattro libri delle Osservationi Grammaticali, I, ed. cit.,
106: «Qui è da avertire che mai, o giamai, quando privazion di tempo significa,
non si pon senza la negativa».
4
A questi due «chiarissimi Oratori» contemporanei il Dolce dedicò le
prime due parti della sua traduzione de Le Orationi di Marco Tullio Cicerone,
mentre la terza venne da lui indirizzata, con lettera del 15 gennaio 1561 (le
precedenti erano rispettivamente dell’8 e del 10 gennaio), a Vincenzo Pellegrini,
anch’egli «oratore chiarissimo». Poche notizie si hanno di Camillo Trevisan, ad
eccezione della sua certificata associazione all’Accademia della Fama fondata da
Federico Badoer; così lo presenta il Dolce: «(...) Dovendo adunque queste
Orazioni in man de gli huomini uscire, ho giudicato bellissimo e grandissimo
ornamento alla mia fatica se la prima parte uscisse sotto il nome di Vostra
Signoria la quale è uno de’ maggiori e più chiari Oratori non solo di questa città,
ma della nostra età parimente. (...) Onde col petto pieno di sapere, con la lingua
facondissima, con la pronunzia dolcissima, e con l’aspetto amabile e a tutti
DIALOGO DELLA MEMORIA 5
grato, quante volte è salita ne gli arringhi, ha fatto stupire i circostanti. (...) Le
sue facultà, come quella che è del tutto nimica dell’avarizia, dispensa qual si
conviene a pio et honoratissimo gentil’huomo. (...) Di che ne fa fede il bellis-
simo et amplissimo palazzo di Murano, da lei fatto fabricare con sì bello ordine
di Architettura, et adornato di tante egregie statue e pitture di mano di maestri
eccellentissimi, che può contender con l’antiche fabriche de’ Romani» (L. DOLCE,
Le Orationi di Marco Tullio Cicerone, I, ed. cit., cc. iir-iiv). Di Francesco Assonica
sappiamo invece che fu avvocato di gran fama a Venezia intorno al 1540 e
personalità di spicco della vita politica della Repubblica (fu anche Fiscale della
Serenissima Signoria); membro anche lui, come il Trevisan e il Terzo, dell’Ac-
cademia della Fama (di cui fu legista civile) e amico di Tiziano, così viene
descritto dal Dolce: «(...) E chi non dubita che ella (e sia lontana ogni adulazio-
ne) non si lasci a dietro i Crassi e gli Antonii? È adorna di perfette dottrine,
dotata di tenace memoria, fortissima nel disputare, facilissima nel narrare,
vehementissima nel movere, et efficacissima nel persuadere (...) Dilettasi di
diverse virtù e tra queste della Pittura: onde fra gli altri ornamenti della sua
Magnifica casa vi ha aggiunto quelli che posson venir dal pennello del divin
Tiziano. La sua famiglia è nobilissima e fregiata anco de gli honori di Santa
Chiesa» (ibid., II, ed. cit., c. iiir). Sull’Assonica si veda E.A. CICOGNA, Delle
inscrizioni veneziane, III, Venezia, Picotti 1830, 152.
5
quando le cure forensi: ‘nel caso in cui [con valore condizionale] gli affari
del foro’. È giustificazione topica; cfr. CICERONE, De Oratore, I, 1, 1: «Ac fuit
cum mihi quoque initium requiescendi atque animum ad utriusque nostrum
praeclara studia referendi fore iustum et prope ab omnibus concessum arbitrarer,
si infinitus forensium rerum labor et ambitionis occupatio decursu honorum,
etiam aetatis flexu constitisset».
6
secondi honori: cfr. PETRARCA, Triumphus Fame, III, 24 (si è utilizzata
l’edizione a cura di V. Pacca, Milano, Mondadori 1996): «Dopo venia Demostene,
che fori È di speranza omai del primo loco, Non ben contento de’ secondi
honori».
7
temeva non: ‘temevo che’. Cfr. DANTE, Inferno, XVII, 76 ( si è utilizzata
l’edizione a cura di G. Petrocchi, Milano, Mondadori 1966-1967): «E io, te-
mendo no ’l più star crucciasse».
6 LODOVICO DOLCE
HORTENSIO, FABRIZIO
13
Il nome di uno dei protagonisti del dialogo richiama, probabilmente
non a caso, quello di un illustre oratore latino, Quinto Ortensio Ortalo, ricor-
dato più volte da Cicerone e Quintiliano per la prodigiosa memoria (De Oratore,
III, 61, 230; Tusculanae disputationes, I, 24, 59; Institutio Oratoria, XI, 2, 24)
e onorato dal primo con la dedica dell’omonimo dialogo retorico Hortensius.
Così ne parla Cicerone nel Brutus: «Hortensius igitur cum admodum adulescens
orsus esset in foro dicere, celeriter ad maiores causas adhiberi coeptus est (...).
Primum memoria tanta quantam in nullo cognovisse me arbitror, ut quae
secum commentatus esset, ea sine scripto verbis eisdem redderet quibus
cogitavisset. Hoc adiumento ille tanto sic utebatur ut sua et commentata et
scripta et nullo referente omnia omnium adversariorum dicta meminisset»
(CICERONE, Brutus, 88, 301).
14
Cfr. F. RIGOTTI, Il velo e il fiume. Riflessioni sulle metafore dell’oblio, in
«Iride», VIII, 14 (aprile 1995), 140: «Tutta la mitologia greca e romana è lì
schierata a dimostrare questa che è quasi un’ovvietà: nell’Ade vi sono due fonti,
quella del Lete, a sinistra (per il pensiero greco direzione del tramonto e del buio
ovvero nefasta) e quella della memoria, Mnemosyne, a destra (direzione del sole
e della luce=direzione fausta)». Sulla fortuna delle metafore dell’oblio nella
cultura occidentale si veda ora H. WEINRICH, Lete. Arte e critica dell’oblio, trad.
it. Bologna, il Mulino 1999.
15
Cfr. CICERONE, De senectute, IV, 12: «Multae etiam ut in homine Romano
litterae; omnia memoria tenebat, non domestica solum, sed etiam externa bella».
8 LODOVICO DOLCE
16
Cfr. CICERONE, Pro Ligario, 12, 35: «Sed parum est me hoc meminisse,
spero etiam te, qui oblivisci nihil soles nisi iniurias - quam hoc est animi, quam
etiam ingeni tui! - te aliquid de huius illo quaestorio officio, etiam de aliis
quibusdam quaestoribus reminescentem, recordari»; ma il passaggio immedia-
to si ha con G.M.A. CARRARA, De omnibus ingeniis augendae memoriae, cap. I,
a cura di G. Giraldi, Novara, Ist. Geog. De Agostini 1967, 110: «Que precipue
cum obbrobrio et erubescentia discuntur, fixiora sunt eamque ob causam mens
tenacissima est iniuriarum. Mira igitur laus fuit Cesaris, qui nullarum rerum
nisi iniuriam immemor fuit».
17
La fonte classica di questa carrellata di uomini illustri dall’eccellente
memoria è PLINIO IL VECCHIO, Naturalis Historia, VII, 24, 88: «Memoria
necessarium maxime vitae bonum cui praecipua fuerit, haut facile dictu est, tam
multis eius gloriam adeptis. Cyrus rex omnibus in exercitu suo militibus nomi-
na reddidit, L. Scipio populo Romano, Cineas Pyrrhi regis legatus senatui et
equestri ordini Romae postero die quam advenerat. Mithridates, duarum et
viginti gentium rex, totidem linguis iura dixit, pro contione singulas sine inter-
prete adfatus». Riferimenti sparsi a questi esempi di buona memoria si trovano
anche in Valerio Massimo (Factorum et dictorum memorabilium libri IX, VII, 7,
16), Quintiliano (Institutio Oratoria, XI, 3, 50), Aulo Gellio (Noctes Atticae,
XVII, 17, 2) e Cicerone (Tusculanae disputationes, I, 24, 59). Il testo da cui però
ha attinto Host, e di riflesso anche il Dolce, è il Rerum Memorandarum di
Petrarca, che infatti presenta tutti gli illustri mnemonisti citati, e nel medesimo
ordine; Petrarca ricorda inoltre le prodigiose memorie di Lucullo, Ortensio e
Temistocle, presenti anche in Plinio e nel Congestorium, ma omesse dal Dolce.
Cfr. PETRARCA, Rerum Memorandarum Libri, l. II, capp. 1-14 (De Memoria),
ed. critica a cura di G. Billanovich, Firenze, Sansoni 1945, 41-50.
18
Tanto il Dialogo del Dolce quanto il testo latino di Host riportano
l’errata lezione «Carneade» con ogni probabilità tratti in inganno dal Carrara
(De omnibus ingeniis augendae memoriae, cap. I, ed. cit., 107: «aut quis non
admiretur Carneadem grecum, bibliotece qui volumina memoriter legentis
more representavit?»). Si è corretto il testo sulla scorta di PLINIO IL VECCHIO,
Naturalis Historia, VII, 24, 89: «Charmadas quidem in Graecia quae quis exegerat
volumina in bibliothecis legentis modo repraesentavit».
DIALOGO DELLA MEMORIA 9
che egli apparava, mai non gli uscivano di mente19. Ma questi sono
pochi a rispetto de i molti, che ve n’ebbero disagio. Percioché la
memoria è fragile, e soggetta a molti accidenti. Là onde si legge in
Plinio20 che uno, cadendo da un alto luogo, si scordò del proprio
nome21. Di qui aviene che se ella non è aiutata dall’arte, per ogni
picciola cosa languisce e muore. Onde molti, col trovamento di
diversi luoghi et imagini, si sono sforzati di sovvenire a sì fatto
difetto, e di accrescerla e conservarla22. Sì che io non prendo
maraviglia che in te abbia luogo quel mancamento, che suole esse-
re in molti, i quali hanno gentile e pellegrino ingegno.
FAB‹R›. Io ti sarei di molto tenuto se tu, il quale io so che molto in
così fatto esercizio ti sei affaticato, mi porgessi alcun aiuto, in guisa
che de’ miei studi io potessi ritrar quel frutto, che si conviene alle
molte fatiche che io ci ho fatto.
HOR. Io ti potrei rimetter a quello che intorno alla memoria hanno
scritto alcuni. Ma perché la viva voce suole apportar sempre non so
che di più23, et appresso tengo in animo di aggiungerci alcune mie
fantasie, ne ragionerò alquanto teco, ma però così pienamente ch’io
spero di poter giovarti.
19
Cfr. SENECA IL VECCHIO, Controversiarum libri, I, prefazione, 17-18:
«Memoria ei [Porzio Latrone] natura quidem felix, plurimum tamen arte adiuta.
Numquam ille quae dicturus erat ediscendi causa relegebat: edidicerat illa, cum
scripserat. (...) In illo non tantum naturalis memoriae felicitas erat, sed ars
summa et ad comprehendenda quae tenere debebat et ad custodienda, adeo ut
omnes declamationes suas, quascumque dixerat, teneret etiam. Itaque
supervacuos sibi fecerat codices, aiebat se in animo scribere».
20
Cfr. PLINIO IL VECCHIO, Naturalis Historia, VII, 24, 90: «Nec aliud est
aeque fragile in homine: morborum et casus iniurias atque etiam metus sentit,
alias particulatim, alias universa. Ictus lapide oblitus est litteras tantum; ex
praealto tecto lapsus matris et adfinium propinquorumque cepit oblivionem,
alius aegrotus servorum, etiam sui vero nominis Messala Corvinus orator».
21
L’esempio tratto da Plinio non è presente nel Congestorium artificiosae
memoriae di Host, dove invece (a c. 1r) si afferma che: «undique defectibilis
hominum generi innascitur memoria».
22
Host ricorda i molti maestri dell’ars in un lungo elenco non tradotto
dal Dolce. Cfr. J. HOST, Congestorium artificiosae memoriae, ed. cit., c. 1v: «Inter
quos Seneca, Tullius, Quintilianus, Stephanus de Lauro, Franciscus Petrarca,
Mateolus Veronensis, Iacobus Publicius, insuper Petrus Ravennas legum doctor,
Ioannes Surgant, Ioannes Reuchlin, Georgius Resch, Georgius Sibuti praecipui
sunt quos viderim et quos plures aliorum libros de hac arte impressos legerim».
23
Cfr. L. DOLCE, Dialogo della pittura intitolato L’Aretino, ed. cit., 154:
«(…) ricercando che prima non vi sia grave di spendere alquante parole intorno
alla dignità della pittura. Ché, se bene io ne ho letto altre volte, non l’ho per ciò
a memoria; senzaché, la viva voce apporta sempre con esso lei non so che di più».
10 LODOVICO DOLCE
24
Cfr. la pseudociceroniana Rhetorica ad C. Herennium, III, 16, 28:
«Memoria utrum habeat quiddam artificiosi, an omnis ab natura proficiscatur,
aliud dicendi tempus idoneum dabitur. Nunc proinde atque constet in hac re
multum valere artem et praeceptionem, ita de ea re loquemur». Il concetto è
ribadito in modo più articolato ed elegante nel dialogo De Oratore, II, 87, 356:
«Qua re confiteor equidem huius boni naturam esse principem, sicut earum
rerum, de quibus ante locutus sum, omnium; sed haec ars tota dicendi, sive artis
imago quaedam et similitudo est, habet hanc vim, non ut totum aliquid, cuius
in ingeniis nostris pars nulla sit, pariat et procreet, verum ut ea, quae sunt orta
iam in nobis et procreata, educet atque confirmet»; così appare il passo nella
traduzione dolciana del dialogo ciceroniano: «Qui potrebbe dire alcuno: adunque
la memoria si può insegnare? Io rispondo che, così in questa come nelle altre cose
da me dette, la Natura è Maestra, percioché l’arte della eloquenza (overo che la
tenga certa conformità di arte) non ci dà l’ingegno, ma ce lo polisce et accresce»
(ed. cit., 258); così invece nei Sermoni, altrimente satire e le morali epistole di
Horatio ridotte da Messer Lodovico Dolce, satira IV del libro II, Giolito, Venezia
1559, 124: «Che s’hora t’uscirà fuor de la mente Alcuna cosa, in breve spazio
puoi Ripigliarla di nuovo: o che sia questo Don di natura, o sia ministra l’arte
È l’uno e l’altro in te maraviglioso». Sulla Rhetorica ad C. Herennium e sul suo
ruolo di testo-guida della tradizione mnemotecnica classica si veda H. CAPLAN,
Of Eloquence. Studies in Ancient and Mediaeval Rhetoric, Ithaca-London, Cornell
University Press 1970 (in particolare, sulla memoria, il cap. IX, Memoria: Treasure-
House of Eloquence, 196-246).
25
di tanto momento: ‘importanza, rilievo’.
26
Cfr. CICERONE, De Oratore, I, 5, 18: «Quid dicam de thesauro rerum
omnium, memoria? Quae nisi custos inventis cogitatisque rebus et verbis
adhibeatur, intellegimus omnia, etiam si praeclarissima fuerint in oratore,
peritura» e QUINTILIANO, Institutio Oratoria, XI, 2, 1: «Nam et omnis disciplina
memoria constat frustraque docemur, si quidquid audimus praeterfluat, et
exemplorum, legum, responsorum, dictorum denique factorumque velut
quasdam copias, quibus abundare quasque in promptu semper habere debet
orator, eadem illa vis praesentat neque immerito thesaurus hic eloquentiae
dicitur».
27
contempia: Cfr. L. DOLCE, Modi affigurati e voci scelte et eleganti della
volgar lingua, ed. cit., c. 183r: «Tempio, templo, contemplare, contemplo, contempio.
‘Contempio’ usò il Bembo: Scusimi quel, ch’in voi scorgo e contempio. Ove è da
avertire che non si direbbe ‘contempiare’ ma ‘contemplare’».
DIALOGO DELLA MEMORIA 11
28
Cfr. BONCOMPAGNO DA SIGNA, Rhetorica Novissima, a cura di A. Gaudenzi,
in «Bibl. Jur. Medii Aevi», II, Bologna 1891, 255: «Che cosa è memoria. Memoria
è un glorioso e ammirevole dono di natura, per mezzo del quale rievochiamo le
cose passate, abbracciamo le presenti e contempliamo le future, grazie alla loro
somiglianza con le passate». Come fedele rappresentazione delle parole di
Boncompagno ed elegante antiporta del trattato che si va spiegando potrebbe
porsi l’Allegoria della Prudenza di Tiziano. Quest’opera, composta probabil-
mente fra il 1560 e il 1570 (quindi non molto distante dal Dialogo), «è la sola
tra le sue opere che possa essere detta emblematica anziché semplicemente alle-
gorica: cioè una massima filosofica illustrata mediante un’immagine visiva an-
ziché un’immagine visiva investita di connotazioni filosofiche». Il quadro rap-
presenta tre volti umani (le tre età della vita umana) posti sopra tre volti animali
(cane, leone, lupo, circondati da un serpente: iconografia egizia della Prudenza):
‘l’allegoria emblematica’ induce lo spettatore a mettere in relazione tre modi e
forme del tempo «con l’idea della prudenza o, più in particolare, con le tre
facoltà psicologiche nel cui combinato esercizio consiste questa virtù: la memo-
ria, che ricorda il passato e da esso impara; l’intelligenza, che giudica del presente
e agisce in esso; la previsione, che anticipa il futuro e provvede per o contro di
esso» (cfr. E. PANOFSKY, Il significato delle arti visive, trad. it. Torino, Einaudi
1962, 147-168, citazioni alle pagine 150 e 152).
29
Cfr. L. DOLCE, Somma di tutta la natural filosofia di Aristotele, ed. cit.,
82: «Quanto alla memoria intellettiva è da sapere l’huomo aver la memoria
comune con le bestie, la quale si chiama sensitiva, ritenente le fantasme sensibili
e parimente organica la nominiamo. Ma la memoria intellettiva è sola propria
dell’huomo, custoditrice e conservatrice de i concetti e delle imagini, overo delle
cose le cui specie sono dall’intelletto apprese. (…) Di questa memoria sono
soggetto le cose passate, cioè la specie intelligibile già buona pezza pensatovi fitta
nell’animo»; UGO DI SAN VITTORE, Didascalicon, I, III, trad. a cura di V. Liccaro,
Milano, Rusconi 1987, 71: «Gli animali che dispongono dei sensi non solo
accolgono in se stessi le forme delle cose che si presentano alle loro percezioni,
ma quando cessa l’atto della sensazione e viene meno la fonte sensibile di essa,
sono in grado di conservare le immagini delle forme conosciute attraverso le
sensazioni, realizzando così la loro capacità di ricordare».
30
Cfr. L’Ulisse di Messer Lodovico Dolce da lui tratto dall’Odissea d’Homero
et ridotto in ottava rima nel quale si raccontano tutti gli errori, e le fatiche d’Ulisse
dalla partita sua di Troia, fino al ritorno alla patria per lo spatio di vent’anni. Con
Argomenti et Allegorie a ciascun canto, così delle Historie, come delle favole, et con
due Tavole: una delle sententie et l’altra delle cose più notabili, canto XV, ottave 50-
3, Venezia,Giolito 1573, 133.
12 LODOVICO DOLCE
31
Cfr. QUINTILIANO, Institutio Oratoria, XI, 2, 6: «eo magis, quod illa
quoque animalia, quae carere intellectu videntur, meminerunt et agnoscunt et
quamlibet longo itinere deducta ad adsuetas sibi sedes revertuntur» e ALBERTO
MAGNO, Metaphysica, I, tract. I, cap. 8, in Opera Omnia, t. XVI, pars I, Münster,
in aedibus Aschendorff 1951-, 12: «Sed non habentia rationes veram memoria
[animales] utuntur loco rationis et ordinat aliquo modo suae vitae commodum
per quandam civilitatis et felicitatis similitudinem, sicut est videre in apibus et
gruibus et multis huiusmodi animalibus; sed tam apes quam grues vigent solum
memoria. Cuius signum est, quod a longinquis locis, ad quae transferuntur,
revertuntur ad proprias habitationes et casas».
32
Cfr. QUINTILIANO, Institutio Oratoria, I, 3, 1: «Ingenii signum in parvis
praecipium memoria est: eius duplex virtus, facile percipere et fideliter continere».
Cfr. anche SENECA IL VECCHIO, Controversiarum libri, I, prefazione, 3: «nunc
quia iubetis, quid possit experiar et illam omni cura scrutabor. Ex parte enim
bene spero. Nam quaecumque apud illam aut puer aut iuvenis deposui, quasi
recentia aut modo audita sine cunctatione profert; at si qua illi intra proximos
annos commisi, sic perdidit et amisit, ut, etiamsi saepius ingerantur, totiens
tamen tamquam nova audiam»; TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, II, II,
quaestio 49 (De singulis prudentiae partibus quasi integralibus), articulus unicus
(si è utilizzato il testo delle edizioni Paoline, Roma 1962): «ex quo fit quod
eorum quae in pueritia vidimus magis memoremur»; e MATTEO DA PERUGIA,
Tractatus de memoria augenda per regulas et medicinas, [la copia utilizzata non
riporta indicazioni riguardanti tipografo, luogo e data dell’edizione], c. iir:
«Attentio autem magis et maxime profunda dictum est ad memoriam valet.
Valet igitur et admirari et delectari in his quae attentionem et profunditatem
inducunt. Huius autem signum maxime habemus in pueris qui quia multum
delectantur in formis et in signis rerum propter hoc quae eis nove et insuete sunt
earum bene memorant. Unde dicit Averrois hoc memorant multotiens quod
fecit in puericia bona ramemoratione quod homo in puericia multum amat
formas et figuras et multum in eis delectat et admirat».
33
alle molte autorità: ‘dalle molte autorevoli testimonianze’. Ricorrente
nel testo è l’uso arcaico della proposizione ‘a’ con valore di ‘da’ come introdu-
zione a un complemento d’agente; cfr. BOCCACCIO, Decameron, X, 8, 13: «che
dunque ami? dove ti lasci trasportare allo ’ngannevole amore? dove alla lusingevole
speranza?».
34
TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, II, II, q. 49, a. unic.: «Ideo
autem necessaria est huiusmodi similitudinum vel imaginum adinventio, quia
intentiones simplices et spirituales facilius ex anima elabuntur nisi quibusdam
similitudinibus corporalibus quasi alligentur».
DIALOGO DELLA MEMORIA 13
35
La vicenda di Simonide di Ceo, uno dei più ammirati lirici greci dell’età
presocratica (556-468 a. C. circa), fa un po’ da incipit canonico ai trattati mo-
derni sull’arte della memoria e, con la Yates (L’arte della memoria, ed. cit., 27),
«si può forse congetturare che [essa] formasse l’introduzione usuale alla parte
dedicata alla memoria artificiale nei manuali di retorica» greci. L’intervento del
poeta greco al banchetto di Scopa ha il merito di sottolineare l’importante ruolo
che per una corretta e duratura memorizzazione giocano l’ordine e il senso della
vista: il primato di questo senso sugli altri emerge poi anche da un’altra afferma-
zione attribuita a Simonide, quella della sostanziale uguaglianza tra poesia e
pittura poi confluita nell’oraziana formula dell’ut pictura poësis (si vedano L.
DOLCE, Dialogo della pittura intitolato L’Aretino, ed. cit., 152: «avendo alcuni
valenti uomini chiamato il pittore poeta mutolo, et il poeta pittore che parla» e
ID., I quattro libri delle Osservationi Grammaticali, IV, ed. cit., 189: «né manca-
rono di quegli che il Poeta parlante Dipintore, et all’incontro il Dipintore mutolo
Poeta addimandarono»). Cfr. ancora F.A. YATES, L’arte della memoria, ed. cit., 28:
«La teoria dell’equazione poesia-pittura poggia anch’essa sulla supremazia del
senso della vista: il poeta e il pittore pensano entrambi per immagini, che l’uno
esprime poetando, l’altro dipingendo. Le sottili e sfuggenti relazioni con le altre
arti che percorrono tutta la storia dell’arte della memoria sono così già presenti
nella fonte leggendaria, nei racconti attorno a Simonide, che vide poesia, pittura
e mnemonica in termini di intensa visualizzazione». Per una più diffusa tratta-
zione del racconto di Simonide (oltre alla breve nota di V. D’AGOSTINO, Simonide
inventore della mnemotecnica in Cicerone e Quintiliano, in «Rivista di studi clas-
sici», fasc. 1, 1952, 125-127) si vedano H. BLUM, Die antike Mnemotechnik,
Hildesheim-New York, Georg Olms Verlag 1969, 41-45 e L. MARIN, Le trou de
mémoire de Simonide, in «Traverses», 40, aprile 1987, 29-37.
14 LODOVICO DOLCE
36
In effetti il brano è fedele traduzione di un passo quintilianeo: Institutio
Oratoria, XI, 2, 11-14. Come possiamo vedere il Dolce non riutilizza la propria
traduzione della versione ciceroniana del racconto (CICERONE, De Oratore, II,
86, 352-4; ricordiamo che il volgarizzamento dolciano è del 1547), allontanan-
dosi così pure dal testo di Host, che rievoca la mitica origine dell’ars memorandi
attraverso le parole di «Marco Tullio» (cfr. J. HOST, Congestorium artificiosae
memoriae, tract. IV, conclusio operis, ed. cit., c. 74r-v).
37
Cfr. PLINIO IL VECCHIO, Naturalis Historia, VII, 24, 89: «Ars postremo
eius rei facta et inventa est a Simonide melico, consummata a Metrodoro Scepsio,
ut nihil non isdem verbis redderetur auditum». Metrodoro di Scepsi, «persona
di gradevole parola e di grande cultura, salito a un tale vertice d’amicizia con
Mitridate da essere chiamato padre del re» (PLUTARCO, Le vite di Cimone e di
Lucullo, trad. a cura di C. Carena, M. Manfredini e L. Piccirilli, Milano, Fon-
dazione Lorenzo Valla-Mondadori 1990, 125) ed esponente di spicco della
tarda retorica greca, è ricordato da Cicerone (De Oratore, II, 88, 360) e da
Quintiliano (Institutio Oratoria, XI, 2, 22) per il suo avvalersi dei segni dello
zodiaco come di immagini di memoria, adeguatamente impressionevoli (e quindi
utilizzabili come imagines mobiles) e corredate di un ordine predefinito (che alla
bisogna ne fa imagines fixae, luoghi di memoria già pronti all’uso): la divisione
in dieci gradi di ogni decano (tre per ogni segno zodiacale) si presume che gli
consentisse la formazione di trecentosessanta loci ben indicati per la realizzazio-
ne di sorprendenti imprese mnemoniche (cfr. L.A. POST, Ancient Memory Systems,
in «Classical Weekly», XV, 1932, 109: «With a little calculation he [Metrodoro]
could find any background by its number, and he was insured against missing
a background, since all were arranged in numerical order. His system was therefore
well designed for the performance of striking feats of memory» e H. BLUM, Die
antike Mnemotechnik, ed. cit. 121: «[Metrodoros] arbeitete auch eine eigene
Variante des System aus, indem er bei den zwölf Tierkreiszeichen 4320
mnemonische Stellen unterbrachte»). Il sistema mnemonico di Metrodoro ri-
tornerà costantemente in chi si richiamerà, con accenti più o meno mistico-
magici, ai segni zodiacali come notae di memoria. Una visualizzazione, tutt’altro
che mistica o alchemica, di trecentosessanta luoghi di memoria ce la offre il
Dolce, forse memore del retore di Scepsi, nel suo Giornale delle historie del
mondo, delle cose degne di memoria di giorno in giorno occorse dal principio del
Mondo fino a’ suoi tempi, riveduto, corretto et ampliato da Guglielmo Rinaldi
(Venezia, al Segno della Salamandra 1572), dove per ogni giorno dell’anno
DIALOGO DELLA MEMORIA 15
sta parte alla debolezza humana, scrissero libri di cotale arte; di cui,
come piace a Cicerone, fa mestiero38 in qualunque dottrina.
Percioché, qual profitto potrebbe alcuno cavare di aver con somma
diligenza letto e riletto alcun libro, overo di studiare qual si voglia
arte, se, quando fa bisogno, non l’avesse in pronto et alle mani39; o
riporta una o più notizie degne di memoria; così il curatore Guglielmo Rinaldi
introduce l’opera nella dedica «al Clarissimo Signor Luigi Michele»: «Se, quanto
è il piacere e beneficio che si ha nel leggere et acquistare la cognizione dell’Historia,
tanto fosse sicura la memoria de gli Huomini in ritenerla, ardirei di dire, Clarissimo
Signor mio, che non fosse parte alcuna nel Tesoro delle Lettere, intorno la quale
più si dovesse l’huomo affaticare. (…) Ma qual Themistocle, o Mithridate,
Lucullo, o Hortensio, può vantarsi di poter con la memoria ciò che legge rite-
nere, in tanta varietà e copia di scrittori? È opera veramente più tosto divina, che
mortale. Non doverà esser stimata inutile fatica quella, che sie impiegata a
sollevar la memoria dal soverchio peso, e sovvenirle in così fatto modo, ch’ella
non perda punto delle sue forze, in conservarsi con molta minor fatica tutto
quello, che dalla lezione le viene presentato. Sì come già pensò di fare il genti-
lissimo, e non mai stanco di giovare, Messer LODOVICO DOLCE, riducendo
con breve esposizione gli illustri fatti così de gli antichi, come de’ moderni, sotto
certo ordine di giorni. Sì che non vi ha mese, anzi quasi giorno nell’anno, che
passi vuoto d’Historia. Ordine, che non pur giova a presto ritrovare e leggere le
cose memorabili, ma anco ad applicarle così ne’ parlamenti, come ne’ scritti a
quello che s’intende trattare sotto il medesimo giorno. E spero, doverà esser
aggradito per loro uso così da giudiciosi Poeti, come Oratori».
38
fa mestiero: ‘è necessario, opportuno’. Cfr. BOCCACCIO, Decameron, II,
3, 39: «E così disposta venendo, Iddio, il quale solo ottimamente conosce ciò
che fa mestiere a ciascuno...»; L. DOLCE, Modi affigurati e voci scelte et eleganti
della volgar lingua, ed. cit., c. 6r: «è della prosa, e famigliarissimo presso il
Boccaccio. Dicesi anco è mistieri o fa mistieri: di che non adduco esempi».
39
in pronto et alle mani: ‘immediatamente disponibile’. Quasi a ricordare
il carattere pratico e l’utilità reale di questa disciplina, la formula ricorre frequen-
temente nei trattati di arte della memoria ma non solo, come si può vedere in
PETRARCA, Secretum, I, 54 (si è utilizzata l’edizione a cura di E. Fenzi, Milano,
Mursia 1992): «Non tamen vel sillaba hec [le sillabe della parola ‘morte’] summis
auribus excepta vel rei ipsius recordatio compendiosa sufficiet; immorari diutius
oportet atque acerrima meditatione singula morientium membra percurrere; et
extremis quidem iam algentibus media torreri et importuno sudore diffluere,
ilia pulsari, vitalem spiritum mortis vicinitate lentescere. Ad hec defossos
natantesque oculos, obtuitum lacrimosum, contractam frontem liventemque,
labantes genas, luridos dentes, rigentes atque acutas nares, spumantia labia,
torpentem squamosamque linguam, aridum palatum, fatigatum caput, hanelum
pectus, raucum murmur et mesta suspiria, odorem totius corporis molestum,
precipueque alienati vultus horrorem. Que omnia facilius ac velut in promptu
et ad manum collocata succurrent, si cui familiariter obversari ceperit memoran-
dum aliquod conspecte mortis exemplum; tenacior enim esse solet visorum
quam auditorum recordatio»; se «in pronto» è un latinismo (in promptu) ricor-
rente nella prosa volgare, più rara e sicuramente più suggestiva (almeno nell’am-
bito di un lessico dell’ars memorandi) è la formula «alle mani», alla quale si può
16 LODOVICO DOLCE
non potesse ricordarsene per insegnare altrui quello che egli sapes-
se, o valersene per lui alle occasioni? Né è per certo da dubitare che
ciò che è necessario, non sia parimente utile. E qual cosa è più
necessaria della memoria?
FAB‹R›. Ciò è cosa certissima.
HOR. Lo aver memoria nel vero conviene a ogni sesso, et a ogni
stato e condizione: sì come a’ religiosi, a’ secolari, e ciascun artefice,
a’ leggisti, theologi, predicatori, et oratori40. Essendo che a ciascun
di costoro è mistiero che si ricordi di quello che gli appartiene, che
è convenevole al suo ufficio, et utile alla sua professione. È vero che
questa arte alcuni riprendono, come non aiut‹at›rice41 ma distrug-
gitrice della memoria. Come che si debba biasimare Aristotele, Ci-
cerone, Seneca, e Quintiliano, et altri antichi, che lei sommamente
lodano. Ma questi, che così stimano, sono sciocchi, percioché dan-
nano in altrui quello che essi non isperano di potere ottenere. Ma,
forse accostare «di mano in mano», anch’essa espressione molto frequente nel
testo: le mani ritornano spesso nei precetti mnemonici come lettere di alfabeti
figurati, come note memorative a margine di un processo di reminiscenza, come
luoghi di memoria o immagini efficaci (la mano d’oro), e talvolta abitano le
rappresentazioni reali delle immagini di memoria, ovvero le illustrazioni che
accompagnano i trattati. Nel frontespizio dell’Ars memorativa di Anton Sorg
(Augsburg 1490) viene ad esempio rappresentato un maestro di mnemotecnica
che sta compiendo il gesto di contare e tale iconografia ritorna, secondo Ludwig
Volkmann, in una fortunata traduzione tedesca del De remediis utriusque fortunae
di Petrarca (Von der Arzney bayder Glück, des guten und widerwertigen, Augsburg,
Steyner 1523) dove nella silografia che fa da frontespizio all’ottavo capitolo dal
primo libro (quello dedicato alla memoria) si ha l’immagine di un dotto che
sembra compiere il gesto di contare con le dita, circondato da una serie di scudi
riportanti dei disegni e affiancato da una figura allegorica di donna con un libro
in testa e uno sotto il braccio: Volkmann, evidenziando i rapporti tra questa e
altre silografie che corredano l’opera petrarchesca e alcune immagini di memo-
ria proposte in trattati di mnemotecnica quattro-cinquecenteschi, giunse a
suggerire una possibile lettura mnemonica del De remediis nell’ambito della
cultura germanica del Cinquecento, lettura che potrebbe in parte giustificare la
fama che proprio in Germania e proprio nel Cinquecento Petrarca ebbe come
maestro di arte della memoria (cfr. L. VOLKMANN, Ars memorativa, ed. cit., 160
e 164-166).
40
Si ricordi qui per esteso il titolo del trattato di Host: Congestorium
artificiosae memoriae Joannis Romberch de Kryspe, omnium de memoria praeceptione
aggregatim complectens. Opus omnibus Theologis, praedicatoribus, professoribus,
iuristis, iudicibus, procuratoribus, advocatis, notariis, medicis, philosophis, artium
liberalium professoribus, insuper mercatoribus, nunciis, et tabelariis pernecessarium.
41
Cfr. BOCCACCIO, Decameron, VI, 4, 3: «la fortuna ancora, alcuna volta
aiutatrice de’ paurosi».
DIALOGO DELLA MEMORIA 17
42
Con questa breve battuta Dolce sintetizza ben due capitoli del
Congestorium, dedicati rispettivamente alla confutazione dei detrattori dell’ars
e alle sue occasioni d’utilizzo (cfr. J. HOST, Congestorium artificiosae memoriae,
I, I-II, ed. cit., cc. 6-7).
43
Cfr. CICERONE, De Officiis, I, 2, 7: «omnis enim, quae a ratione suscipitur
de aliqua re institutio, debet a definitione proficisci, ut intellegatur quid sit id
de quo disputetur» e UGO DI SAN VITTORE, Didascalicon, VI, III, ed. cit., 191:
«Mi ricordo che, quando ero ancora allievo delle prime scuole, mi impegnavo
intensamente ad imparare tutti i vocaboli corrispondenti agli oggetti che vedevo
ovvero che adoperavo, ritenendo francamente che non possa iniziare lo studio
della natura delle cose colui che ignora ancora i loro nomi»; il passo ciceroniano
(presente anche nel Congestorium) funge da preambolo anche per un altro
trattato di ars memorandi, l’anonimo manoscritto tardoquattrocentesco Tractatus
solemnis artis memorativae, conservato nel Cod. lat. ambrosiano T. 78 sup. e
trascritto da Paolo Rossi in appendice a Clavis universalis. Arti della memoria e
logica combinatoria da Lullo e Leibniz, ed. cit., 292: «Tractatus solemnis artis
memorativae incipit. Artificiosae memoriae egregia quaedam atque preclarissima
praecepta in lucem allaturi, non invanum esse duximus quod ipsa sit primum
effingere cum iuxta Ciceronis sententia in primo De officiis, omnis de quacumque
re sumitur disputatio a diffinitione proficisci debeat ut sciri possit quid sit id de
quo disputatur». Questa formula funge da incipit della trattazione anche nel
Dialogo dei colori: «percioché malagevolmente si può intender la qualità e con-
dizione d’una cosa, se prima non si sa ciò che ella è» (L. DOLCE, Dialogo nel quale
si ragiona della qualità, diversità e proprietà dei colori, ed. cit., c. 7r).
44
La dialettica natura/artificio su cui poggia l’intera tradizione retorica
dell’arte della memoria è ben rappresentata nel dialogo Della eloquenza (1557)
di Daniel Barbaro, in cui così si fronteggiano Arte e Natura: «ARTE: O quanto
ti son tenuta in nome suo! Che mi gioverebbe avvertire un affetto di Natura se
altra fiata in quello abbattendomi la memoria presta non mi dicesse: “Eccoti,
o Arte, quello che ancora vedesti”? Che esperienza si truova in me senza di essa?
Chi s’accorgerebbe che in alcuna di voi, o Anime, io mi ritrovassi, se non fusse
la memoria come guardiana e tesoriera di tutte le parti dello ingegno? Onde con
verità si dice che “tanto sa l’uomo, quanto si ricorda”. Nasce la memoria dal bene
18 LODOVICO DOLCE
rie diremo trovarsi naturali: l’una è quella, che è riposta negli ani-
mi nostri, o nasce parimente col pensamento 45. E come scrive
Diomede, è un veloce e saldo comprendimento dell’animo; il qua-
le prende aita dall’esercizio del leggere, dallo intendimento dello
esporre o spiegare ciò che si è letto, dalla cura dello scrivere, da un
sollecito discorso, e diligente ragione46. Alberto Magno dice ritro-
varsi nell’uomo tre sorti di memoria. Delle quali la prima chiama
conservativa delle proprietà sensibili, le quali sono apprese dalla
stimativa; e questa è secondo la parte sensibile, e segue pure la
stimativa. La seconda è da lui detta conservativa delle specie
intellegibili: e questa è seguace della ragione, et è nell’ultima parte
del cervello; e pare che Damasceno queste due tocchi, quando e’
dice che: «la memoria è fantasia abandonata da alcuna cosa, e
conservazion del senso e dell’intelligenza»47. Ma io tuttavia mi dò a
ordinare, l’ordine dallo intendere e dal pensamento. Però posso io con le imagini
in alcuni luoghi riposte artificiosamente indurre la memoria delle cose.
NATURA: A lungo andare tu le sei più tosto di danno che di pro alcuno; però non
mi piace altro che uno essercizio di essa memoria che si fa mandando molte cose
a mente» (D. BARBARO, Della eloquenza, in Trattati di poetica e retorica del
Cinquecento, a cura di B. Weinberg, Bari, Laterza 1974, II, 350). Sull’apporto
del patriarca di Aquilegia alla fortunata stagione veneziana di fertile intersezione
tra retorica, arti figurative e mnemotecniche, e soprattutto sul suo ruolo non
secondario per la decrittazione del ‘misterioso’ Theatro di Giulio Camillo, si
veda G. BARBIERI, La natura discendente: Daniele Barbaro, Andrea Palladio e
l’arte della memoria, in Palladio e Venezia, a cura di L. Puppi, Firenze, Sansoni
1982, 29-54.
45
Cfr. B. GIAMBONI, Fiore di rettorica, 82 (Come il dicitore si dee recare
a memoria la sua diceria), ed. critica a cura di G. Speroni, Pavia, Università degli
Studi di Pavia 1994, 101: «Dei saper che sono due le memorie, cioè naturale e
artificiale. La naturale è quella che coll’animo è congiunta, e insieme col pensier
nata». Sull’importanza della sezione sulla memoria di questo volgarizzamento
duecentesco dell’Ad Herennium e sui suoi rapporti con la coeva e successiva
tradizione mnemotecnica si veda F. A. YATES, L’arte della memoria, ed. cit., 81-
83.
46
Mai citato fra i maestri dell’ars memorandi o fra i suoi mirabili interpreti,
questo Diomede è il famoso grammatico latino del IV sec. d. C. autore di una
Ars grammatica in tre libri. Per il passo citato si veda DIOMEDIS, Artis grammaticae
libri III, I, in Grammatici latini, a cura di H. Keil, Hildesheim, G. Olms Verlag
1961, I, 419: «Memoria est velox animi et firma perceptio, cuius facultatem
fovet exercitatio lectionis enarrationisque intentio, stili cura, redditio sollicita
et diligens et iteratio atque repetitio frequens».
47
SANCTI PATRIS JOANNIS DAMASCENI, Orthodoxe fidei accurata editio, in-
terprete Jacobo Fabro, liber II, cap. XX (De memorandi facultate), Venezia, s.i.t.
1515, c. 14r: «Memoria est imaginatio relicta ab aliquo sensu aut confirmatio
sensus et intelligentiae».
DIALOGO DELLA MEMORIA 19
48
Cfr. ALBERTO MAGNO, Metaphysica, I, tract. I, cap. 7, ed. cit., 10: «Et
cum memoria non tantum sit thesaurus et coacervatio formarum sensibilium
prius acceptarum, sed etiam intentionum convenientis et inconvenientis, boni
et mali, amici et inimici et huiusmodi cum sensibilibus ab aestimativa
acceptorum».
49
Cfr. TOMMASO D’AQUINO, In Aristotelis libros De Sensu et Sensato, De
Memoria et Reminiscentia Commentarium, Liber Unicus, lectio II, n. 320 (si è
utilizzata l’edizione Marietti, Torino 1949): «Unde concludit quod memoria sit
intellectivae partis animae, sed per accidens; per se autem primi sensitivi, scilicet
sensus communis». Il commento si riferisce ad ARISTOTELE, Della memoria e della
reminiscenza, 1, 450a.
50
Le ultime due battute di Hortensio offrono una decisa sintesi del passo
del Congestorium artificiosae memoriae (tract. I, cap. IV, c. 7v). Cfr. ALBERTO
MAGNO, De anima, II, tract. 4, cap. 7, in Opera Omnia, ed. cit., 158: «Thesaurum
autem eius reservantem intentiones, qui memoria vocatur, in posteriori parte
cerebri posuerunt, qui locus est siccus propter nervos motivos,qui oriuntur ab
ipso. Cuius signum est, quia laesa illa parte perditur vel laeditur memoria in
omnibus animalibus. Phantasiam autem, quae convertit se tam super intentiones
quam super formas, posuerunt in medio mediae cellae tamquam centrum inter
imaginativam et memoriam» ma anche L. DOLCE, Somma di tutta la natural
filosofia di Aristotele, ed. cit., 71: «Memoria è potenza sensitiva interiore, la quale
le specie delle cose sensibili da gli altri sensi interiori riceve e conserva. Il cui
oggetto è il sensibile per sé sensato, come conservabile. Percioché conserva ella
le specie, che concepisce la virtù imaginativa, cioè la fantasia. L’organo della
memoria è l’ultimo ventricolo del cervello». Nella copia del Congestorium da me
consultata manca la figura che segue (diversamente da quanto indicato dalla
YATES, L’arte della memoria, ed. cit., 238), figura invece presente nella Somma
aristotelica approntata dal Dolce.
20 LODOVICO DOLCE
51
Cfr. TOMMASO D’AQUINO, In Aristotelis libros De Sensu et Sensato, De
Memoria et Reminiscentia Commentarium, l. II, n. 321: «Cum enim potentiae
sensitivae sint actus corporalium organorum, necesse est ad diversas potentias
pertinere receptiones formarum sensibilium quae pertinet ad sensum, et
conservationem earum, quae pertinet ad phantasiam sive imaginationem; sicut
in corporalibus videmus quod ad aliud principium pertinet receptio et
conservatio: humida enim sunt bene receptiva, sicca autem et dura bene
conservativa» [il passo commenta ARISTOTELE, Della memoria e della reminiscen-
za, I, 450b]. Sulla medicina per la memoria confronta il più recente e interes-
sante contributo sulla storia medievale dell’ars reminiscendi, M. CARRUTHERS,
The Book of Memory. A Study in Medieval Culture, ed. cit., 46-79.
DIALOGO DELLA MEMORIA 21
52
Deve trattarsi di un’errata lettura di Rhetorica ad C. Herennium, I, 2, 3:
«Memoria est firma animi rerum et verborum et dispositionis perceptio». Host
l’ha probabilmente tratta dall’anonimo Tractatus solemnis artis memorativae, ed.
cit., 292: «Est igitur artificialis memoria dispositio quaedam imaginaria vel
localis vel idealis mente rerum sensibilium super quas naturalis memoria reflexa
per ea summovetur atque adiuvatur ut prius memoratorum facilius, distinctius
atque divitius denuo valeat reminisci». Nel testo non compare però alcun rife-
rimento a «Marco Tullio». Si veda anche la definizione che Jacopo Ragone ne
dà nelle sue Artificialis memoriae regulae (1434), importante perché una delle
poche che afferma esplicitamente la sostanziale identità di luoghi e immagini
in nome della comune matrice immaginaria: l’arte della memoria consta infatti
di luoghi e immagini o, più correttamente, di imagines fixae funzionalmente
strutturate, minuziosamente ornate e logicamente ordinate, entro le quali ven-
gono collocate imagines mobiles che grazie a una veste esteriore impressionabil-
mente efficace attivano il processo associazionistico del ricordo o addirittura
veicolano esse stesse i contenuti affidati alla memoria (cfr. JACOPO RAGONE,
Artificialis memoriae regulae, in G. ZAPPACOSTA, Studi e ricerche sull’Umanesimo
italiano, Bergamo, Minerva Italica 1972, 36: «Differunt vero loci ab imaginibus
nisi in hoc, quod loci sunt non anguli ut exstimant aliqui sed imagines fixe supra
quibus sicut supra carta alie pinguntur imagines delebiles sicut litterae; unde
loci sunt sicuti materia. Imagines vero sicuti forma. Differunt ergo sicut fixum
et non fixum»). Il trattato del Ragone, uno dei più diffusi del primo Quattro-
cento, è importante perché, come anche quello di Pietro da Ravenna, sembra
allontanarsi dall’impostazione etico-retorica propria della tradizione domenicana
di testi mnemotecnici per rivolgersi con maggior sensibilità agli orientamenti
della sua età: la massiccia presenza di esemplificazioni (e la loro funzionalità
pedagogica), il tentativo di adattare la mnemotecnica alle più varie attività (dalle
carte da gioco alla diplomazia) e il progressivo svincolamento della memoria
dall’ambito religioso della Prudenza fanno intravvedere le nuove modalità con
cui la cultura della memoria si presenterà alla società dell’Umanesimo. Sulle
regulae del Ragone si veda M.P. SHERIDAN, Jacopo Ragone and his Rules of Artificial
Memory, in «Manuscripta», IV, 3, 131-148.
22 LODOVICO DOLCE
re. E questa il Petrarca nel Libro della contraria fortuna dice ricevere
aiuto con queste parole: «Se avrai la memoria caduca e debole,
fermala coi sostegni della diligenza e dell’arte. Percioché la indu-
stria si contrappone a tutti i difetti della memoria e dell’ingegno;
ella sovviene, né lascia perire e menomar veruna parte. Questa può
conservar con verdissimo ingegno e stilo i vecchi Filosofi e Poeti.
Questa i decrepiti Oratori con salda voce, con forti fianchi, e con
tenace memoria parimente. Onde, se tu ti conosci la memoria in-
fedele, non voler confidartene53: ponle spesso ripari, e quello che le
credi54, tosto da lei riscuoti»55.
FAB‹R›. Sono molto ingegnose queste parole del Petrarca.
HOR. Fra la memoria e la reminiscenza v’entra questa differenza.
Che la memoria separatamente e distintamente torna alle cose, for-
mando con imagini gli intendimenti distinti. Ma la reminiscenza,
o diciamo ricordazione, è co‹me un› movimento intrapreso e rin-
tuzzato dalla oblivione, e serve a tempo e a luogo con raccoglimen-
to dell’ordine e della dipendenza delle cose (per così dire) reminisci-
bili (cioè che entrano nella rimembranza)56; ‹così com›e quando da
53
confidartene: ‘porre fiducia in essa’. Cfr. BOCCACCIO, Decameron, V, 7,
5: «e credendo che turchio fosse, il fé battezzare e chiamar Pietro e sopra i suoi
fatti il fece il maggiore, molto di lui confidandosi».
54
credi: latinismo, ‘affidi’. Cfr. PETRARCA, Rerum Familiarium Libri, XVII,
5, ed. critica a cura di V. Rossi e U. Bosco, Firenze, Sansoni 1923-24, III, 251:
«Quid ergo? Scito me nusquam amena loca conspicere quin subito redeam in
memoriam ruris mei eorumque simul quibuscum libenter valde, si datum esset,
illic precipue vite brevis fragmenta consumerem. Te igitur et rus illud, dum tibi
ista dictarem memorie credidi; necque enim scribendi instrumenta aderant; illa
autem, ubi domum est reditum, depositum bona fide restituit».
55
PETRARCA, De Remediis utriusque Fortunae, liber II, dialogus CI (De
inopi et infirma memoria), in F. PETRARCHAE, Opera quae extant omnia, Basilea
1554 [rist. anast. Ridgewood (New Jersey), The Gregg Press Incorporated 1965],
219: «DOLOR: Memoria labascit. RATIO: Adesto ne corruat, et labentem iugi
exercitatione sustenta. Fac quod muro ruinam minanti fieri solet, adhibe repagula
opportunis locis, et fragilem crebris ac validis adminiculis circumvalla. DOLOR:
Memoria fluxa est. RATIO: Diligentia et artificio illam stringe, cunctis ingenii
memoriaeque; defectibus occurrit industria. Nil patitur industria perire, nil
minui. Haec est quae philosophos et poetas senes virentissimo ingenio ac stilo,
hac est quae decrepitos oratores voce solida validisque lateribus ac tenaci memo-
ria servare potest. (...) DOLOR: Infida memoria est. RATIO: Noli ergo illi fidere,
saepe calculum secum pone, quicquid credideris confestim exige, et quod cras
facturus fueras nunc facito».
56
Cfr. ARISTOTELE, Della memoria e della reminiscenza, 2, 451b (per tutte
le traduzioni si è ricorsi all’edizione delle Opere, a cura di G. Giannantoni, Bari,
Laterza 1973): «Inoltre è ben chiaro che uno può ricordare una cosa non perché
DIALOGO DELLA MEMORIA 23
58
Cfr. DIOGENE LAERZIO, Vite dei Filosofi, I, 1, 37, trad. a cura di M.
Gigante, Bari, Laterza 1962, 18: «Chi è più felice? Chi è sano di corpo, ricco di
risorse spirituali, bene educato di natura. Dice [Talete] che bisogna ricordarsi
degli amici presenti ed assenti, non acconciarsi la faccia ma esser bello nella
pratica della vita».
59
Indarno (...) acconcio: ‘inutilmente si cerca d’insegnare a chi non è in
grado di imparare’. Cfr. L. DOLCE, Modi affigurati e voci scelte et eleganti della
volgar lingua, ed. cit., c. 215v: «Acconcio per atto, commodo e polito. È molto
in uso de’ Prosatori: e sempre invece di atto usato dal Bembo».
60
L’elenco delle persone poco atte al ben ricordare suggerisce la tradizio-
nale ripartizione dei peccati capitali, evidenziando così in nome della facoltà
memorativa una linea di continuità fra integrità spirituale e salute corporea e
prefigurando l’elezione, che fra breve Dolce presenterà, dei luoghi dell’oltremondo
dantesco a luoghi strutturalmente ed emozionalmente adatti alla ritenzione di
ricordi; cfr. F. A. YATES, L’arte della memoria, ed. cit., 87: «Ora possiamo guar-
dare, con gli occhi della memoria, al trecentesco dipinto dell’Inferno nella
chiesa domenicana di Santa Maria Novella. L’Inferno vi è diviso in luoghi
corredati di iscrizioni (proprio come raccomanda Romberch), che indicano i
peccati puniti in ognuno di essi, e contengono le immagini che è naturale
attendersi in tali luoghi. Proiettando questo dipinto nella nostra memoria,
come un prudenziale memento, praticheremo forse ciò che il Medioevo avrebbe
chiamato memoria artificiale? Credo di sì».
DIALOGO DELLA MEMORIA 25
61
disposizion (...) habito: latinismi, ‘stato, condizione’. ‘Abito’ va inteso nel
senso etimologico di id quod habetur, ‘la cosa che è presentata’.
62
Come si vedrà fra poco, Petrarca offre nel De remediis utriusque fortunae
validi consigli per una vita sana e, di conseguenza, per una non difficoltosa
azione rammemorativa.
63
Cfr. ARISTOTELE, Metafisica, I, 1, 980a: «Tutti gli uomini sono protesi
per natura alla conoscenza: ne è un segno evidente la gioia che essi provano per
le sensazioni, giacché queste, anche se si metta da parte l’utilità che ne deriva,
sono amate di per sé, e più di tutte le altre è amata quella che si esercita mediante
gli occhi».
64
Di Cleobulo, filosofo greco anteriore a Talete e iscritto alla cerchia dei
cosiddetti sette sapienti, ci tramandano alcune sentenze Demetrio Falareo (Sen-
tenze dei sette sapienti, in I Presocratici. Testimonianze e frammenti, a cura di H.
Diels, trad. it. Bari, Laterza 1990, 73: «Cleobulo lindio, figlio di Evagoro disse:
1. Ottima è la misura. (...) 3. Star bene nel corpo e nell’anima. 4. Essere avido
di ascoltare e non cianciare. 5. Sapere molto piuttosto che essere ignorante») e
Diogene Laerzio, (Vite dei Filosofi, I, VII, 91, ed. cit., 42: «Delle sue canzoni che
erano cantate nei conviti ebbe speciale rinomanza questa: Dominano tra gli
uomini rozza ignoranza e ciarloneria, ma l’opportunità ti preserverà. Sii sollecito
del bene. La gratitudine non sia vana»).
65
Cfr. PSEUDO-BOÈCE, De disciplina scolarium, 5, 4, a cura di O. Weijers,
Leiden-Köln, E. J. Brill 1976, 121: «Quippe miserrimi est ingenii semper inventis
uti et numquam inveniendis. Stulciusque est magistratus oracionibus omnino
confidere, sed primo est credendum donec videatur quid senciat, postea
fingendum est eundem in docendo errasse, ut si forte reperire queat quid
commisse obiciat sedulitati».
26 LODOVICO DOLCE
66
San Girolamo nella lettera 52, inviata al sacerdote Nepoziano, espone
una serie di precetti per chi ha abbracciato lo stato clericale, predicando tra
l’altro la moderazione negli alcolici: «Numquam vinum redoleas, ne audias illud
philosophi: ‘hoc non est osculum porrigere, sed propinare!’ Vinolentos sacerdotes
et apostolos damnat et vetus lex prohibet. Qui altari serviunt vinum et siceram
non bibant. (…) Quidquid inebriant et statum mentis evertit fuge similiter ut
vinum. (…) sed modum et aetatis et valitudinis et corporum qualitates exigimus
in potando» (SAINT JÉRÔME, Lettres, LII, 11, a cura di J. Lebourt, Paris, Les belles
lettres 1951, II, 187). Della necessità di sobri comportamenti per una buona
riuscita negli studi parla anche Alcuino da York nel suo dialogo Sulla Retorica
e le Virtù, in cui, sulla scorta del De Inventione ciceroniano, l’autore descrive le
cinque parti della retorica all’imperatore Carlo Magno. Cfr. W.S. HOWELL, The
Rhetoric of Charlemagne and Alcuin, Princeton, Princeton University Press 1941,
136: «KARLUS: Suntne aliqua eius praecepta, quomodo vel illa optinenda sit vel
augenda? A LCUINUS : Non habemus eius alia praecepta nisi ediscendi
exercitationem et scribendi usum et cogitandi studium et ebrietate cavenda,
quae omnibus bonis studiis maxime nocet, quae non solum corpori aufert
sanitatem, sed etiam menti adimit integritatem».
67
PETRARCA, De Remediis utriusque Fortunae, l. II, dialogus X (De tenui
victu), ed. cit., 137: «DOLOR: Tenuis me victus extenuat. RATIO: Mallesne igitur
tumefieri? Haec tenuitas podagram tuis pellet e finibus, dolorem capitis auferet,
DIALOGO DELLA MEMORIA 27
70
Cfr. G. M. A. CARRARA, De omnibus ingeniis augendae memoriae, cap.
I, ed. cit., 120: «Verum, si superflua frigiditas immoderate iungatur siccitati,
consurgere oportet pessimam memoriam, et in capiendo indispositam, et in
recogitando hebetem. Si autem coniungatur caliditas siccitati, velox quidem
erit spirituum motus, sed difficilis fiet inscriptio. Erit igitur captio difficilis, sed
rememoratio sat facilis».
71
Cfr. ALBERTO MAGNO, Quaestiones super naturam animalium, IX, qq. 8-
10, in Opera Omnia, ed. cit., 207: «Ad tertium dicendum, quod talis emissio
memoriam enervat propter tres rationes. Quia inordinata desideria obnubilant
sensum per Aristotelem in Ethicis; sed cum frequenter emittuntur sperma et
menstruum, nimis faciunt desideria hominem exardescere et per consequens
offuscant sensus et ita memoriam. Praeterea, memoria viget in parte posteriore
cerebri, et ista pars cerebri per emissionem maxime extenuatur, et per consequens
memoria debilitatur». Sui rapporti tra memoria ed eros nell’ottica di una visione
pneumatica dell’organismo-uomo si vedano I. P. COULIANO, Eros e magia nel
Rinascimento, ed. cit., (in particolar modo le pagine141-265) e M. CIAVOLELLA,
Eros e memoria nella cultura del Rinascimento, in La cultura della memoria, ed. cit.,
319-334.
DIALOGO DELLA MEMORIA 29
72
Cfr. ARISTOTELE, Dell’anima, III, 8, 431b-432a: «La facoltà sensitiva e
quella conoscitiva dell’anima sono in potenza quasi oggetti, e cioè da una parte
l’intelligibile, dall’altra il sensibile. Ma è necessario che siano o le cose o le forme:
ma non sono le cose, perché non c’è la pietra nell’anima, bensì la forma della
pietra». Cfr. anche AGOSTINO, Confessiones, X, VIII: «Haec omnia recipit recolenda,
cum opus est, et retractanda grandis memoriae recessus et nescio qui secreti
atque ineffabiles sinus eius: quae omnia suis quaeque foribus intrant ad eam et
reponuntur in ea. Nec ipsa tamen intrant, sed rerum sensarum imagines illic
praesto sunt cogitationi reminiscenti eas».
73
diterminata mesura per numero: ‘esatta proporzione’.
74
continovo: arc. per ‘continuo’. Cfr. L. DOLCE, Modi affigurati e voci scelte
et eleganti della volgar lingua, ed. cit., c. 109r: «Del continovo è della prosa. E
servando questa maniera del continuovo, di continovo usarono alcuni moderni».
75
Cfr. CICERONE, De Oratore, II, 86, 354: «Itaque eis, qui hanc partem
ingeni exercent, locos esse capiendos et ea, quae memoria tenere vellent effigenda
animo atque in eis locis conlocanda; sic fore, ut ordinem rerum locorum ordo
conservaret, res autem ipsas rerum effigies notaret atque ut locis pro cera,
simulacris pro litteris uteremur» e ID., Partitiones Oratoriae, 7, 26: «Nihil sane
praeter memoriam, quae est gemina litteraturae quadam modo et in dissimili
genere persimilis. Nam ut illa constat ex notis litterarum et ex eo in quo
imprimuntur ipsae notae, sic confectio memoriae tamquam cera locis utitur et
in his imagines ut litteras conlocat»; ma la similitudine ritorna anche in
Quintiliano (Institutio Oratoria, XI, 2, 21) e in ANONIMO, Tractatus solemnis
artis memorativae, ed. cit., 292: «Nam cum ars imitetur naturam in quantum
potest, volenti autem scribere primum carta et cera preparanda est, quibus loci
simillimi sunt. Imagines autem litteris, dispositio autem et collocatio imaginum
scripturae, pronuntiatio autem lectioni comparantur».
30 LODOVICO DOLCE
76
allogate: ‘collocate nei luoghi’. Cfr. L. DOLCE, Modi affigurati e voci scelte
et eleganti della volgar lingua, ed. cit., c. 88r: «Locare, allogare. Ambi d’un me-
desimo significato: che è collocare, e dar luogo. (...) Allogare è usato da’ Prosatori».
77
insieme: ‘nel medesimo istante’. Cfr. DANTE, Inferno, XIII, 43-44: «sì de
la scheggia rotta usciva insieme Parole e sangue; ond’io lasciai la cima».
78
JOHANNES DE SANCTO GEMINIANO, Summa de exemplis ac similitudinibus
rerum, liber sextus, cap. XLII, s.i.t., Venezia 1499, 245: «Sic memoria tunc est
bene disposita cum est rotunda et larga per capacitatem, et longa per
diuturnitatem, et diversis panniculis et diversis adminiculis fulta per
studiositatem». La Summa di fra Giovanni è tra i primi esempi dell’applicazione
della memoria artificiale, così come era stata teorizzata da Tommaso e Alberto,
alla predicazione riformata dai domenicani, espressione medievale dell’oratoria
classica; gli esempi e le «insolite similitudini» (si pensi alla materializzazione
della mente umana attraverso l’immagine del ventre femminile) costituiscono
infatti la rappresentazione fisica delle intenzioni semplici e spirituali citate di
Tommaso; «tuttavia [come sottolinea F.A. YATES, L’arte della memoria, ed. cit.,
79] la similitudine usata nel sermone non è, rigorosamente parlando, la
similitudine usata nella memoria artificiale: infatti l’immagine di memoria è
invisibile, e resta celata entro la memoria di chi ne fa uso, dove, peraltro, può
diventare la matrice nascosta di una serie di immagini esteriorizzate». Sull’au-
tore si veda A. DONDAINE, La vie et les œvres de Jean de S. Gimignano, in «Archivium
Fratrum Praedicatorum», II, 1939.
79
Cfr. ARISTOTELE, Della memoria e della reminiscenza, 2, 452a: «in effetti,
come i fatti sono correlati tra loro secondo un certo ordine di successione, così
lo sono pure i movimenti mnemonici. Si richiamano facilmente alla memoria
quei fatti che hanno un certo ordine, come le dimostrazioni geometriche, dif-
ficilmente quelli che sono confusi». Cfr. anche TOMMASO D’AQUINO, Summa
Theologiae, II II, q. 49, a. unic.
80
Cfr. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, II II, q. 49, a. unic.: «Et
sunt quattuor per quae homo proficit in bene memorando. Quorum primum
est ut eorum quae vult memorari quasdam similitudines assumat convenientes,
nec tamen omnino consuetas».
DIALOGO DELLA MEMORIA 31
81
Cfr. ARISTOTELE, Della memoria e della reminiscenza, 2, 452a: «Perciò
rammemoriamo subito le cose a cui pensiamo spesso: e infatti, come in natura
questo tien dietro invariabilmente a quest’altro, così ugualmente nell’agire umano
la ripetizione genera la natura».
82
Il che si espone: ‘ciò significa che...’
83
Cfr. CICERONE, De Oratore, II, 88, 359: «Rerum memoria propria est
oratoris; eam singulis personis bene positis notare possumus, ut sententias
imaginibus, ordinem locis comprehendamus»; ma il riferimento testuale esatto
è quello dello pseudo-Cicerone della Rhetorica ad C. Herennium, III, 16, 29:
«Constat igitur artificiosa memoria ex locis et imaginibus».
84
JOHANNES DE SANCTO GEMINIANO, Summa de exemplis ac similitudinibus
rerum, l. sextus, cap. XLII, ed. cit., 245: «Memoria assimilatur ventri. (...) Nam
venter mulieris vocatur uterus eo quod feto impleatur: sed sicut ex utero concipitur
fetus carnis ita ex memoria idest ex specie in memoria servata concipitur verbum
mentis quae est quasi quedam proles ipsius partus. Ex utero ante luciferum
genui te». Una differente sfumatura ha invece la metafora in Agostino dove col
ventre s’intende non il grembo ma lo stomaco, un ricettacolo delle immagini del
ricordo che riesce a trattenere i ricordi perché li ingerisce e li assimila, posseden-
doli integralmente: cfr. AGOSTINO, Confessiones, X, XIV: «Nimirum ergo memo-
ria quasi venter est animi, laetitia vero atque tristitia quasi cibus dulcis et amarus:
cum memoriae conmendantur, quasi traiecta in ventrem recondi illic possunt,
sapere non possunt» e SAN GIROLAMO, Commentarium in Ezechielem, I, 3, in
Patrologia cursus completus, series Latina, a cura di J.-P. Migne, Paris 1857-1866,
XXV, 35: «Quando vero assidua meditatione in memoriae thesauro librum
Domini considerimus, impletur spiritualiter venter noster, et saturantur viscera».
Sul significato della memoria all’interno della riflessione filosofica di Agostino
e sull’incontro nella sua ars memoriae di oratoria classica e pensiero cristiano si
vedano: W. SCHMIDT-DENGLER, Die «aula memoriae» in den Konfessionen des
heiligen Augustin, in «Revue des études Augustiniennes», XIV, 1968, 69-89; A.
SOLIGNAC, Il «memoria» dans la tradition augustiniennes, in Dictionnaire de
spiritualité, ascétique et mystique, doctrine et histoire, ff. LXVI-LXVII, 994-1002; W.
32 LODOVICO DOLCE
la qual cosa chi vuol esser (per così dire) memorevole, bisogna che
tenga queste quattro chiavi d’aprir e serrar la memoria: cioè, che di
dentro sia netto delle cure che tirano a sé l’animo; ‹che sia› sobrio e
benigno; che disponga per ordine e numero le imagini; e quello
che apprende la mente, sia intento a discorrer e considerar molto
spesso85. Percioché, quando alla memoria artificiale si daranno questi
sovvenimenti, averrà (come dice lo scrittore ad Herennio86) che ciò
che l’huomo avrà appreso, reciterà in guisa come egli alhora lo
leggesse87.
FABR. Hora seguite de’ luoghi, delle imagini, e dell’ordine, che dite
esser così utili per fare acquisto della memoria.
HOR. Il bello artificio di questi luoghi, di queste imagini, e di que-
sto ordine, non tanto si approva per l’autorità de gli antichi, quan-
to per la lunga pratica che si suol far di giorno in giorno. Quando
88
egli: forma arcaica con valore neutro pleonastico. Cfr. PETRARCA, Can-
zoniere, CCCLVIII, 8-9: «Dunque vien’, Morte: il tuo venir m’è caro. Et non
tardar, ch’egli è ben tempo omai».
89
quanto...ordine: tutto ciò che esigono la successione delle imagines
memoriae e la concatenazione delle res memorandae.
90
Cfr. ARISTOTELE, Fisica, IV, 212a: «Se, dunque il luogo non è nessuna di
queste tre cose, ossia né forma, né materia, né intervallo che sia sempre qualcosa
di diverso da quello della cosa che viene spostata, necessariamente il luogo è
l’ultima delle quattro cose, il limite, cioè, del corpo contenente (in quanto esso
è contiguo al contenuto). E chiamo ‘contenuto’ un corpo che possa esser mosso
mediante spostamento. Sembra, tuttavia, cosa ben importante e difficile la com-
prensione del concetto di luogo, per il fatto che esso ha tutta la parvenza della
materia e della forma ed anche per il fatto che il cambiamento locale dell’oggetto
spostato avviene in un contenente che è in quiete. (...) Dunque, il luogo è il primo
immobile limite del contenente. (...) E per questa ragione pare che il luogo sia una
superficie, e una sorta di vaso o un involucro. Oltre a ciò il luogo è insieme con
la cosa, perché il limite è insieme col limitato».
91
Cfr. TOMMASO D’AQUINO, In octo libros physicorum Aristotelis expositio,
libro IV, lectio IV, 439, a cura di P. M. Maggiolo, Roma, Marietti 1965, 216:
«Si autem accipiatur vinum et amphora seorsum ab invicem, non sunt partes:
unde neutri competit esse in seipso. Sed cum sunt simul, utpote cum amphora
est plena vino, propter hoc quod et amphora et vinum sunt partes, idem erit in
seipso, ut expositum est, non primo, sed per partes: sicut album non primo est
in homine, sed per corpus, et in corpore per superficiem. In superficie autem
non est per aliquid aliud: unde primo dicitur esse in superficie».
34 LODOVICO DOLCE
92
Cfr. Rhetorica ad C. Herennium, III, 16, 29: «Locos appellamus eos, qui
breviter, perfecte, insignite aut natura aut manu sunt absoluti, ut eos facile
naturali memoria comprehendere et amplecti queamus».
93
rimanendo: ‘anche se i luoghi si conservano, rimangono’.
94
La definizione aristotelica di luogo ritorna con minime differenze ma
altra applicazione in L. DOLCE, Dialogo nel quale si ragiona della qualità, diversità
e proprietà dei colori, ed. cit., c. 7r: «Egli è vero che Aristotele, tenendo una strada
di mezo, stimò che ’l colore fosse termino di corpo, non di quella parte da cui
è contenuto esso corpo, che questo sarebbe superficie (come vogliono i
DIALOGO DELLA MEMORIA 35
Pithagorici) ma della lucidezza, né però non terminata, che ciò sarebbe lume
(come piacque a Platone). Colore è adunque termino et estremità di lucido e
terminato corpo».
95
Cfr. Rhetorica ad C. Herennium, III, 16, 29: «ut aedes, intercolumnium,
angolum, fornicem et alia, quae his similia sunt».
36 LODOVICO DOLCE
96
Sono il Pison, il Ghicon, il Tigri e l’Eufrate, secondo a quanto viene
affermato in Genesi, 2,10-14.
97
Cfr. BONCOMPAGNO DA SIGNA, Rhetorica Novissima, ed. cit., 278: «Ma
noi, senza dubitare, crediamo nella fede cattolica, e dobbiamo senza posa ricor-
dare le invisibili gioie del Paradiso e gli eterni tormenti dell’Inferno». I consigli
mnemonici contenuti nell’opera di Boncompagno (Bologna, 1235), valido
esempio delle tendenze mistiche dell’ars dictaminis bolognese, prefigurano la
connotazione scolastica dell’ars memoriae come pratica devozionale e attività
virtuosa (a testimonianza degli avvenuti contatti, in terra bolognese, tra la
scuola di dictamen e la Casa domenicana).
98
Il riferimento all’oltremondo dantesco come inventario di loci immagi-
nari è una novità dolciana che va ad integrare l’inferno virgiliano già ricordato
da Host; «l’ingegnosa inventiva» di Dante, essenzialmente basata sulla legge,
mnemonica, del contrappasso (legge di associazione che collega colpe terrene e
pene infernali attraverso princìpi di somiglianza o contrarietà), è ricuperata dal
Dolce come exemplum classico per la costruzione di un sistema di luoghi di
memoria. L’accostamento dell’Inferno dantesco a quello di Virgilio ritorna come
integrazione anche in un’altra riscrittura dolciana, il Dialogo dei colori: nel Libellus
de coloribus (Venezia, Bernardino Vitali 1528) di Antonio Telesio, una delle due
fonti del Dolce insieme al Del significato de’ colori e de’ mazzoli (Venezia 1535)
di Fulvio Pellegrino Morato, l’esempio scelto per visualizzare il color cesio sono
gli occhi dell’infernale Caronte così come li aveva descritti Virgilio nel viaggio
oltremondano di Enea; così glossa invece Dolce in uno dei pochissimi momenti
che lo vedono prendere le distanze dall’originale latino: «E da questo fatto horrore
stimo, che prendesse il nome Cariddi, e Caronte. Di cui dicendo Virgilio, che
egli aveva occhi di fiamma, volle dinotar che quel vecchio, i cui occhi erano di
color Cesio, era horribile e crudele. Il che imitando Dante disse: Caron dimonio
con occhi di bragia / Loro accennando tutti li raccoglie, / Batte col remo qualunque
s’adagia. Il che espresse mirabilmente anco Michel’Agnolo nel Caronte, ch’egli
dipinse nel giudicio» (L. DOLCE, Dialogo nel quale si ragiona della qualità, diver-
sità e proprietà dei colori, ed. cit., c. 11r). Oltre che per l’aggiornamento testuale,
effettuato col richiamo alla descrizione di Dante, il passo dolciano è interessante
DIALOGO DELLA MEMORIA 37
102
ricevi: ‘accolga’. Anomala uscita della terza persona singolare del con-
giuntivo presente ricordata anche dal Bembo con il ricorso a esempi illustri
(Petrarca, Canzoniere, CXXV, 80; Boccaccio, Decameron, II, 10, 24). Cfr. P.
BEMBO, Prose della volgar lingua, III, XLV, ed. cit., 256-257.
DIALOGO DELLA MEMORIA 39
103
La matrice retorica dell’ars è qui evidente; cfr. Rhetorica ad C. Herennium,
II, 30, 47: «Enumeratio est per quam colligimus et commonemus quibus de
rebus verba fecerimus, breviter, ut renovetur, non redintegretur oratio; et ordine
ut quicquid erit dictum referemus, ut auditor, si memoriae mandaverit, ad idem
quod ipse meminerit reducatur».
104
LODOVICO DA PIRANO, Regule memorie artificialis, in B. ZILIOTTO, Frate
Lodovico da Pirano e le sue «regulae memoriae artificialis», in «Atti e memorie della
società istriana di archeologia e storia patria», XLIX, 1937, 217: «Nunc autem
de locis incipiemus tractare et primo de prima regula, videlicet Locorum
multitudine. Per hanc regulam multitudinis locorum habemus notare quod, si
volumus recordari multarum rerum, oportet multa loca preparare, ut exempli
gratia qui scribere volunt magna volumina et varia ac diversa, multum de carta
preparant; similiter fiat de locis». Come rileva lo Ziliotto nell’introduzione, le
Regule non sembrano costituire un un vero e proprio trattato quanto piuttosto
una serie ordinata di appunti sviluppabile per l’insegnamento orale e forse real-
mente sviluppata dal religioso durante il suo magistero filosofico-teologico svol-
to presso l’Università di Padova nel periodo 1422-1426 o nel successivo 1432-1433.
40 LODOVICO DOLCE
105
Cfr. SENECA IL VECCHIO, Controversiarum libri, I, prefazione, 2: «Hanc
[memoriam] aliquando adeo in me floruisse, ut non tantum ad usum sufficeret
sed in miraculum usque procederet, non nego; nam et duo milia nominum
recitata quo erant ordine dicta reddebam et ab his, qui ad audiendum
praeceptorem mecum convenerant, singulos versus a singulis datos, cum plures
quam ducenti efficerentur, ab ultimo incipiens usque ad primum recitabam.
Nec ad complectenda tantum quae vellem velox mihi erat memoria, sed etiam
ad continenda quae acceperat solebat bonae fidei esse. Nunc et aetate quassata
et longa desidia, quae iuvenilem quoque animum dissolvit, eo perducta est, ut,
etiamsi potest aliquid praestare, non possit promittere: diu ab illa nihil repetivi».
106
Nell’articolo della Summa dedicato alla memoria come parte della
prudenza non vi è un reale invito all’uso di molti luoghi. L’unico accenno ai loci
memoriae è un richiamo all’Aristotele del Della memoria e della reminiscenza [2,
452a]: «Secundo, oportet ut homo ea quae memoriter vult tenere sua
consideratione ordinate disponat, ut ex memorato facile ad aliud procedatur.
Unde Philosophus dicit...» (Cfr. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, II II,
q. 49, a. unic.).
107
Oltre alla suggestiva struttura dei Rerum memorandarum libri (cfr. F.A.
YATES, L’arte della memoria, ed. cit., 95: «Suppongo che questi riferimenti alla
memoria artificiale, in un opera in cui le parti della prudenza e altre virtù sono
le “cose da ricordare”, sarebbero sufficienti a classificare Petrarca come apparte-
nente alla tradizione sulla memoria, e a classificare i Rerum memorandarum libri
come un trattato etico destinato per la memorizzazione, non meno degli
Ammaestramenti degli antichi») e ai già citati precetti mnemonici del De remediis
utriusque fortunae, è un passo del Secretum a confermare la non estraneità del
poeta alle pratiche della memoria artificiale, e a creare un singolare e momenta-
neo legame tra le confessioni petrarchesche e il Dialogo del Dolce: «F. Imo vero
inter legendo plurimum; libro autem e manibus elapso assensio simul omnis
intercidit. (...) A. Quotiens legenti salutares se se offerunt sententiae, quibus vel
excitari sentis animum vel frenari, noli viribus ingenii fidere, sed illas in memorie
penetralibus absconde multoque studio tibi familiares effice» e poco dopo Agostino
ribadisce: «quod cum intenta tibi ex lectione contigerit, imprime sententiis utilibus
(ut incipiens dixerim) certas notas, quibus velut uncis memoria volentes abire
contineas» (PETRARCA, Secretum, II, 122 e 126, corsivi miei). I brevi brani citati
non sono però gli unici riscontri testuali che danno fondamento alla lunga e
duratura fama di assiduo frequentatore e indiscutibile auctoritas delle pratiche
mnemoniche che Petrarca godette soprattutto nel Cinquecento (Host, Friesen,
Garzoni, Gesualdo…) e che lasciò traccia addirittura nella Encyclopédie di Di-
derot (cfr. P. ROSSI, Clavis universalis, ed. cit., 307-309); altri passi, che popolano
in numero consistente gli scritti petrarcheschi, presentano infatti legami tanto
con la mnemotecnica quanto con una, più ampia, cultura della memoria; talora
si sono rilevate esemplari applicazioni dei meccanismi mnemonici (come la
costruzione di imagines agentes, singole o strutturate in percorsi narrativi) e tracce
non trascurabili della persistenza nel linguaggio petrarchesco di un vero e pro-
prio lessico tecnico della memoria.
DIALOGO DELLA MEMORIA 41
108
Cfr. PIETRO TOMAI DA RAVENNA, Phoenix seu Artificiosa Memoria,
Bernardinus de Choris de Cremona impressor, Venezia 1491, c. 6r: «et siquis
locorum copiam habere cupiat (...) Ego autem omnes homines Italiae copia
rerum absque chartarum revolutione superare volui in sacris scripturis iure
canonico civilique; et aliis multarum rerum auctoritatibus dum essem adolescens
mihi centummilia locorum paravi et nunc ipsis decemmilia addidi in quibus per
me dicenda posui ut in promptu sint quando memoriae vires experiri cupio».
Il trattato di Pietro da Ravenna è stato uno dei più letti (tradotto in inglese e
ristampato nelle principali città tedesche) e citati fra quelli quattrocenteschi
della memoria. In esso l’autore, aggirando la funzionalità pedagogico-devozionale
della medievale fabbrica delle imagini, ricupera la lezione retorica ciceroniana
e quintilianea per realizzare un’arte della memoria laica, una mnemotecnica
volta eminentemente a scopi pratici e utilizzabile per chiunque; la memoria
tomistica, con la sua attenzione per le imagines agentes come strumento per
giungere agli invisibilia, fa ancora sentire i suoi influssi, seppur liberi dal manto
spirituale: Pietro si concentra sull’efficacia delle immagini nel catturare l’atten-
zione (anche attraverso un’eccitazione dei sensi) e nell’assicurare la conservazio-
ne del loro contenuto. Notizie sulla vita di questo maestro dell’ars reminiscendi
ci vengono offerte dal Tiraboschi, che ne esalta soprattutto la prodigiosa memo-
ria e la fama internazionale come giureconsulto: scolaro a Padova di Alessandro
da Imola (più volte ammirato spettatore delle sue performances mnemoniche)
intorno alla metà del XV sec.; professore a Pisa (probabilmente fra il 1477 e il
1480) e poi a Padova come Interprete del Diritto Canonico (lì forse ricoprì
anche il compito di Assessore del Podestà); nel 1497 si trasferì in Germania,
chiamato dal duca Bugislao di Pomerania per porre rimedio allo stato di deca-
denza della locale Università di Gripfwald; da lì, anni dopo, si trasferì a
Wittemberg (dove gli furono affidati la cura e il governo dell’intera sede acca-
demica) e poi, incalzato da un funesto contagio pestilenziale, a Colonia, dove
«fu tale il concorso di ogni ordine di persone ad udirlo, che non v’era luogo a
tanta folla capace»; professore dell’uno e dell’altro Diritto, consigliere saltuario
dell’imperatore Massimiliano, Pietro ingaggiò qui, proprio prima del desidera-
to ritorno in Italia (che mai si compì come testimoniano le ultime notizie di lui
rimasteci, che lo ritraggono frate del terz’Ordine di S. Francesco in Sassonia,
probabilmente a Wittemberg), una disputa col domenicano Hoogstraeten
(maestro di Johannes Host von Romberch) a riguardo di certe proposizioni
intorno alle leggi. Per ulteriori notizie biografiche si veda G. TIRABOSCHI, Storia
della Letteratura Italiana, tomo VI, parte I, Modena, Società Tipografica 1790,
556-567 (la citazione qui riportata è di pagina 562); sulla singolarità e sull’im-
portanza di questo personaggio del Gran Teatro della Memoria ha insistito
soprattutto Paolo Rossi (Clavis universalis, ed. cit., 51-54; Il passato, la memoria,
l’oblio, Bologna, il Mulino 1991, 38-42).
109
Cfr. G.M.A. CARRARA, De omnibus ingeniis augendae memoriae, cap. I,
ed. cit. 115: «Mihi vero facillimum videtur non modo centum sed propemodum
infinitos locos effingere, cum neminem lateat situs civitatis originalis; igitur,
cum per portam mens ingreditur, dum ferens se ad diversas regiones, vias
considerat, dumque amicorum domos, edes deorum, pretoria publica repetit,
miram colorum quantitatem assequetur». Giovanni Michele Alberto Carrara
42 LODOVICO DOLCE
nacque a Bergamo l’1 luglio 1483. In tenera età fu avviato agli studi dal padre
Guido, che predicava soprattutto la conoscenza dei grandi classici latini, Virgilio
e Cicerone su tutti; a questi furono accostati ben presto Aristotele, Boezio,
Tommaso e Scoto. Nel 1454 iniziò a Padova gli studi universitari che quattro
anni dopo lo insignirono del titolo di ‘doctor physicus’. Così ce lo descrive G.
Giraldi nell’introduzione al volume G.M.A. CARRARA, Opere scelte, ed. cit., XVIII:
«Dotato di una memoria prodigiosa conosceva a mente poeti e prosatori latini
classici, ma anche possedeva la conoscenza delle teorie dei medici, dei filosofi,
dei commentatori, e disponeva di questo immenso materiale per i suoi trattati».
Tornato a Bergamo affiancò alla professione di medico (non avendo mai rico-
perto uffici di corte, questa restò per sempre la sua unica fonte di sussistenza)
l’attività di letterato, cospicua e multiforme: la poesia di gusto virgiliano (in cui
spiccano il Buccolicum Carmen, le epistole metriche dei Sermones Objurgatorii
e numerose liriche), l’opera filosofica (che contiene importanti trattati come il
De omnibus ingeniis augendae memoriae, il De Fato et Fortuna e il De Choreis
musearum sive de origine scientiarum), testi di teologia, medicina, logica e filo-
logia (singolari e interessanti le sue postille critiche al pensiero scientifico e
teologico di Dante nella Commedia; si cfr. a proposito G. GIRALDI, Gli errori di
Dante in un poema umanistico inedito, in Studi sul Rinascimento, Torino, Gheroni
ed. 1962, 95-117), e anche una commedia, l’Admiranda (queste e altre opere
sono ora raccolte nei quattro volumi dell’Opera Omnia del Carrara, curata da G.
Giraldi per la Pergamena Editrice). I suoi rapporti con gli altri umanisti furono
caratterizzati da rivalità (soprattutto con gli “umanisti del sud”, Porcello e
Beccadelli) e collaborazioni (Gian Mario Filelfo, Ermolao Barbaro e Niccolò da
Correggio), sventure familiari e contrasti professionali (fu costretto alla quaran-
tena nei boschi perché dei colleghi lo accusarono di aver visitato dei malati di
peste) caratterizzarono l’ultima parte della sua vita. Morì a Bergamo nell’ottobre
del 1490, quando aveva in corso di pubblicazione un libello sulla memoria. Sul
trattatello mnemonico del Carrara si veda anche G. GIRALDI, Un trattato umanistico
sulla Memoria, ne «I problemi della Pedagogia», 2, 1955, 279-288.
110
«Più scarse son le notizie, che negli scrittor di que’ tempi troviamo
intorno a Matteolo da Perugia, e maggior fatica perciò ci è forza di usare per
ricercarne le epoche della vita. Anzi diversi sono i giudizi, che diversi uomini
dotti di quella età ce ne hanno dato, mentre se alcuni l’esaltano come uomo
divino, altri ce lo dipingono come impostore» (G. TIRABOSCHI, Storia della
Letteratura Italiana, tomo VI, parte I, ed. cit., 462). Professore di Medicina a
Padova dal 1449 al 1470 (probabile data della sua morte come ci testimonia
l’explicit del trattato: «Explicit tractatus de memoria editus in Italia a domino
Matheolo medicine doctore famosissimo, mortuo Anno domini milesimo
quadringentesimo septuagesimo»), questo domenicano ci ha lasciato un tratta-
to sull’arte della memoria, il Tractatus clarissimi philosophi et medici Matheoli
perusini de memoria augenda per regulas et medicinas, legato alla tradizione sco-
lastica e a una terapeutica della memoria che, sulla base della psicologia aristotelica
e della medicina di Galeno e Avicenna, studia la localizzazione fisica della facoltà
mnemonica e il regime di vita più salutare per la conservazione e l’accrescimento
della memoria. Nel breve testo, al di là dei tradizionali richiami all’ordine e alla
semplicità, non compaiono avvertimenti riguardanti la giusta quantità di loci
memoriae.
DIALOGO DELLA MEMORIA 43
111
Cfr. GEORG SIBUTUS, Ars Memorativa, ed. cit., c. 2v: «Nam rerum
copiam, locorum multitudinem et figurarum multiformitas quadam recitanti
vehementiam probent facillimam».
112
Si fa qui riferimento a Consulto Chirio Fortunaziano, retore latino del
IV secolo, autore di una Ars rhetorica che ebbe molto successo a livello scolastico
sia per l’organizzazione delle materie, sia per l’esposizione condotta a domande
e risposte (cfr. H. BLUM, Die antike Mnemotechnik, ed. cit., 141: «Ebenfalls aus
Quintilian schöpft der Rhetor C. Chirius Fortunatianus (4. Jh.) in seiner
Darstellung der Mnemotechnik und der Gedächtnispflege mit einfachen Mitteln.
Sie ist in die Form eines Frage- und Antwortspiels gekleidet»), di cui si riporta
qui un esempio: «In omni memoria quid observandum est? Ut non tantum
firme contineamus, verum etiam cito percipiamus. Scripta sola? Immo et cogitata.
Et quae sunt ab adversa parte dicta, semper eo quo dicta sunt ordine refutabimus?
Non semper, sed opportunis locis disponere debemus» (Fortunatiani Artis
Rhetoricae, III, 13, in Rhetores latini minores, a cura di K. Halm, Lipsia, B. G.
Teubner 1863, 128).
113
Questo praeceptum memoriae, che non compare nel dialogo De Ora-
tore, né tantomeno nella pseudociceroniana Rhetorica ad C. Herennium, è citato
dal Carrara; cfr. G.M.A. CARRARA, De omnibus ingeniis augendae memoriae, cap.
I, ed. cit., 114: «Cicero centum eos [locos] satis esse iudicavit; Beatus Thomas
plures habendos consuluit».
114
Ibid., cap. I, ed. cit., 115: «Mihi vero facillimum videtur non modo
centum sed propemodum infinitos locos effingere, cum neminem lateat situs
civitatis originalis. (...) Accedet ad hoc potestas atria effigendi, in quibus quantum
libeat numerum locorum faciet, ut inscribi quecumque voluerit possint».
115
Cfr. QUINTILIANO, Institutio Oratoria, XI, 2, 32: «Illud neminem non
iuvabit isdem, quibus scripserit, ceris ediscere. Sequitur enim vestigiis quibusdam
memoriam et velut oculis intuetur non paginas modo, sed versus prope ipsos,
estque cum dicit similis legenti». Si veda anche L. DOLCE, Dialogo della istitution
delle donne, ed. cit., c. 17v: «Similmente insegnandolesi il modo di scrivere, non
le si ponga per esempio alcun verso vano o ripieno di malo odore, ma qualche
brieve sentenzietta raccolta o dalle lettere, che dette abbiamo, o da’ precetti de’
buoni Philosophi, accioché ella scrivendola molte volte la imprimi e conservi
nella memoria».
116
Le regole mnemoniche, che nelle intenzioni dell’umanista spagnolo
Jacopo Publicio avrebbero dovuto sollevare la sua mente dal peso della prigione
44 LODOVICO DOLCE
FABR. Io non credo che altra cosa con tanta attenzione ascoltassi
giamai.
HOR. Sono alcuni che per i grandissimi luoghi dicono che si deb-
bano prender dieci imagini, et in ciascuna quattro o dieci camere
per i maggior luoghi, nelle quali pongono per sedie delle imagini
quattro angoli e la porta; overo quattro pareti e il centro (come di
sopra abbiamo tocco accostandoci pure al ricordo di Cicerone per
più agevole modo, che vi fa il quinto). Ma questa cotal maniera si
potrà serbar nelle cose imaginarie; ché in quelle 119 davero stimo
che ciò sia più faticoso che utile. Percioché volle Cicerone (quan-
tunque fra cento case si trovasse a pena una fabbricata a questa
guisa) che si ponesse il quinto luogo; ma che ciò si facesse con una
mano di oro o di argento120. E tuttavia in ciò fu seguito da quel di
Ravenna, e da coloro che lui imitarono. E con tutto ciò io ancora
questa openion lodo; pure che’l decimo si segni con la nota del
numero articolare; e il quinario, che vi va in mezo con quella di
Cicerone; essendo che, quando la mente, che vuol trovar luoghi,
entra nella città, si volge a diverse parti, e va considerando le strade
e le case de gli amici, le chiese e i publici palagi. Et avendo ella in
tal guisa trovata una gran quantità di luoghi, nel primo apporrà
una mano d’oro, e il decimo segnerà con una croce o con la figura
d’un danaio; nel quintodecimo altresì vi dipingerà una mano d’ar-
gento, o pur di oro; nel ventesimo noterà il carattere di così fatto
numero; nel ventesimoquinto da capo un’altra mano; e nel trente-
simo pure il carattere del medesimo numero121; e così di mano in
mano seguitando, come più inanzi si vedrà con maggior chiarezza.
FABR. Hora vorrei che mi ponesti inanzi gli esempi de’ luoghi par-
ticolari.
119
in quelle: nelle immagini reali.
120
Cfr. Rhetorica ad C. Herennium, III, 18, 31: «Et, ne forte in numero
locorum falli possimus, quintum quemque placet notari: quod genus, si in
quinto loco manum auream con locemus, si in decumo aliquem notum, cui
praenomen sit Decumo; deinde facile erit inceps similis notas quinto quoque
loco conlocare».
121
Cfr. PIETRO TOMAI DA RAVENNA, Phoenix seu Artificiosa Memoria, ed.
cit., c. 11v: «Unum tamen non omittam quod hoc in loco scribere promisi utile
in locis esse iudico quae pro rebus auditis reponendis fabricavimus: si in quinto
loco manus aurea ponatur, in decimo crux aurea, in quintodecimo manus
argentea, in vigesimo imago ipsius numeri et sic in ceteris facere monet mea
doctrina».
46 LODOVICO DOLCE
122
Cfr. SAINT JÉRÔME, Lettres, XLVI, 9, ed. cit., II, 109: «Longum est nunc
ab ascensu Domini usque ad praesentem diem per singulos aetates currere qui
episcoporum, qui martyrum, qui eloquentium in doctrina ecclesiastica virorum
Hierosolymam venerint putantes se minus religionis, minus habere scientiae,
nec summam, ut dicitur, manum accepisse virtutum, nisi in illis Christum
adorasset locis, in quibus primum evangelium de patibulo corruscaverat».
123
Cfr. GEORG SIBUTUS, Ars Memorativa, ed.cit., c. 4r: «Loci prius nobis
invisi postquam noti diligenti aliorum descriptione perpalant. Ut in plurimum
apud cosmographos Ptolomeum, Strabonem, Dionysium, Plinium ubi non
universis regionis dumtaxat sed totius mundi descriptionem percipiem. Quod
etiam per poetas sancta oratione in mediocribus locis factum esse novimus». Si
ricordino: di Tolomeo, l’Introduzione geografica in 8 libri; di Strabone, la Geo-
grafia in 17 libri; di Plinio, i libri III-VI della Naturalis Historia; di Pomponio
Mela, la Chorografia o De situ orbis in 3 libri.
124
Sui rapporti tra scoperte geografiche, letteratura e immaginario collet-
tivo si vedano, oltre all’indispensabile R. ROMEO, Le scoperte americane nella
coscienza italiana del Cinquecento, Milano-Napoli, Ricciardi 1971, anche L.
OLSCHKI, Storia letteraria delle scoperte geografiche. Studi e ricerche, Firenze, Sansoni
1937 e First Images of America. The Impact of the New World on the Old, a cura
di F. Chiappelli, Berkeley 1976.
125
Il che...appartenere: ‘cosa che mi à sembrata opportuna sottolineare,
ritenendo che la conoscenza di questi luoghi reali consistesse proprio in ciò’.
DIALOGO DELLA MEMORIA 47
126
Cfr. AMBROGIO, Exameron, dies III, cap. III (Unitas acquarum. Diversitas
et origo marium), a cura di G. Banterle, Milano-Roma, Città Nuova 1979, 124:
«Unde pulchre habes quia Deus congregatione acquarum vocaverit maria. Ita
et una est generalis collectio, quae dicitur mare, et multae collectiones, quae
maria pro regionibus nuncupantur».
127
Ferdinando II d’Aragona, detto il Cattolico (1452-1516), assunse il
comando del Regno d’Aragona nel 1479 alla morte del padre, re Giovanni II;
nello stesso anno, grazie al matrimonio contratto dieci anni prima con Isabella
di Castiglia, riuscì a unificare le due corone di Aragona e Castiglia, ponendo così
48 LODOVICO DOLCE
le basi per una riorganizzazione interna e per un rafforzamento del Regno volti
a una politica estera di portata europea. Negli stessi anni intensificò la lotta
interna contro i Mori che culminerà nel 1492 con la conquista di Granata e
l’espulsione degli ebrei sefarditi: la riconquistata unità religiosa costerà però la
perdita di molte forze economicamente attive.
128
Alfonso X di Castiglia e di León, detto il Saggio (1221-1284), succe-
dette al padre Ferdinando III nel 1252; mirò alla corona imperiale e combattè
i Mori, anche se viene ricordato soprattutto per l’impulso da lui dato alla cultura
castigliana un po’ in tutti i campi: promosse la traduzione di testi arabi in
castigliano (divenuto lingua nazionale), compose egli stesso poesie profane,
curò l’attività legislativa e soprattutto commissionò a un gruppo di astronomi
della sua corte la realizzazione di tavole astronomiche (le Tavole Alfonsine appun-
to, composte nel 1252 e stampate a Venezia nel 1483).
DIALOGO DELLA MEMORIA 49
132
Cfr. L. DOLCE, Le Trasformationi, canto XIV, ottave 29-38, Venezia,
Giolito 1563, 147-148. Sulle Trasformationi del Dolce e, più in generale, sul
multiforme transito dei miti ovidiani nel Rinascimento si veda ora B.
GUTHMÜLLER, Mito, poesia, arte, trad. it. Roma, Bulzoni 1997.
133
Petrea...città: si è provveduto a integrare l’errata lezione delle edizioni
del ’62 e del ’75 (che riportavano entrambe: «la Perrea, ove è Pera principal sua
città») con quella, parzialmente corretta («la Petrea, ove è Pera principal sua
città»), del 1586, sulla scorta anche dell’originale latino dello Host («arabia
petrea, ubi metropolis petra»).
134
P. BEMBO, Stanze, I, 1-4.
DIALOGO DELLA MEMORIA 51
135
è detto...lettere: ‘è chiamato dalle Sacre Scritture terra di Canaan e Terra
Promessa’.
136
che: in cui. Cfr. P. BEMBO, Prose della volgar lingua, III, LXIV, ed. cit., 284:
«Et alle volte che la medesima Che si legge in vece di Sì che...E ancóra in vece di
Nel quale assai nuovamente il pose una volta il Petrarca: Questa vita terrena è
quasi un prato, Che ’l serpente tra fiori e l’erba giace».
52 LODOVICO DOLCE
137
quando...provincie: è soggetto a «ci gioverà».
138
Egli è vero: uso pleonastico di ‘egli’. Cfr. P. BEMBO, Prose della volgar
lingua, III, XVIII, ed. cit., 213: «...e ciò è, che questa voce Egli, non sempre in vece
di nome si pone; con ciò sia cosa che ella si pon molto spesso per un cominciamento
di parlare, il quale niente altro adopera, se non che si dà con quella voce prin-
cipio e nascimento alle parole che seguono; come diede il Boccaccio: Egli era in
questo castello una donna vedova...».
DIALOGO DELLA MEMORIA 53
te che della memoria naturale 139; come che egli140 abbia voluto di-
mostrare così fatti luoghi non essere acconci o proporzionati allo
allegar cose. Il che tuttavia è necessario, come ad Aristotele vedia-
mo che piace. Ma come che molto grandi siano que’ segni, come ci
dimostra Iginio141, nondimeno non conveniva sì gran numero alle
vive imagini de gli huomini, se tanto grandi non se facessero, che
le figure de gli animali, de’ quali appo noi appresentano le forme,
crescessero ad estrema grandezza. E di qui aviene che Giovanni di
Michele sprezza il por de’ luoghi che fa Guidone suo padre142, il
quale prese i suoi luoghi da gli animali ordinandogli con le lettere
dello Alfabeto latino, in guisa che da ciascuna lettera comincia il
139
Si è corretto il testo che nella stampa aveva «nel secondo libro»; l’errore
è forse legato al fatto che nell’undicesimo libro dell’Institutio Oratoria il luogo
deputato alla trattazione della memoria è il capitolo secondo. Cfr. G.M.A.
CARRARA, De omnibus ingeniis augendae memoriae, cap. I, ed. cit., 114:
«Metiodorus in signis duodecim per quae sol meat, tercenos et sexagenos invenit
locos, quod tot gradibus apud astrologos obliquus ille circulus secari soleat.
Verum, auctore Quintiliano, vanitas fuit istius philosophi, atque iactatio in sua
memoria, potius arte quam natura gloriantis»; e chiaramente, QUINTILIANO,
Institutio Oratoria, XI, 2, 22: «Quo magis miror, quo modo Metrodorus in XII
signis, per quae sol meat, trecenos et sexagenos invenerit locos. Vanitas fuit atque
iactatio circa memoriam suam potius arte quam natura gloriantis».
140
egli: si fa riferimento a Quintiliano.
141
Si tratta di Caio Giulio Hyginio detto l’Astronomo, nato nella provin-
cia spagnola tra il 60 e il 50 a. C.; condotto ancora fanciullo a Roma, fu allievo
del poligrafo e grammatico Cornelio Alessandro, nonché liberto di Augusto, da
cui venne proclamato prefetto della Biblioteca Palatina. A questo erudito, amico
di Ovidio e Clodio Licinio, vengono attribuite opere di vario genere: come il
Poeticon Astronomicon o Astronomia, trattato in quattro libri, con cui Hyginio
offre ai non specialisti della materia i rudimenti della conoscenza astronomica
(definizioni, catalogo stellare, leggende celesti, meccanica della sfera...); il trat-
tato mitologico Genealogiae (pubblicato nel Cinquecento come Fabularum
liber ad omnium poetarum lectionem mire necessarius, et nunc denuo excursus,
Basilea 1535); e altre opere, tutte andate perdute, tra cui un commento a
Virgilio, il trattato De agricultura, e scritti religiosi, geografici e storici. Le
immagini delle costellazioni, raccolte e interpretate in chiave mitologica da
Hyginio, si porrebbero dunque come immense imagines memoriae già pronte
per l’uso e già inserite in un complesso sistema di loci, l’ordine sidereo.
142
Guido Carrara era medico, astrologo, poeta, teologo, psicologo, ora-
tore. Il figlio Giovanni lo ricorda con grande affetto e stima in diverse proprie
opere, offrendoci anche notizie sulla sua attività letteraria: tra le tante opere,
tutte perdute, sembra vi fossero un De meteoris, un lavoro sulla memoria e
orazioni latine di soggetto teologico. Morì a Bergamo nel 1457 (per ulteriori
notizie si confronti l’introduzione biobibliografica al volume G. M. A. CARRARA,
Opere scelte, I, ed. cit., V).
54 LODOVICO DOLCE
nome d’uno animale. Là onde dice Giovanni che: «posto che que-
sti nomi fossero Asino, Basilisco, Cane, Dragone, Elefante, Fauno,
Grifone, Hiena, Iuvenca, Leone, Mulo, Nottola, Panthera, Qua-
glia, Rinoceronte, Simia, Toro, Tigre, Orso e così fatti; egli ciascu-
no di questi divideva in cinque luoghi particolari, o diciamo pro-
pri: come sarebbe nella testa, ne’ piedi dinanzi, nel ventre, ne’ piedi
di dietro, e nella coda. Et essendo questo tale ordine dato dalla
natura, non si poteva di leggeri in noverargli confonder l’intelletto
humano»143. Ma a me questo modo pare inconvenevole, se si144
debbono in quelli (il che dopo Pietro da Ravenna è mio ordine, e
di coloro tra’ moderni che più sanno) discriver le vive imagini. Ché
se io vorrò scriver nella testa del cane o della pecora questa propo-
sizione «l’anima è immortale», ciò non quadra con l’intento di chi
scrive, se non, secondo la fantasia di alcuni, a colui massimamente
che sa por nelle sue dita huomini interi; sì come avenne che un
certo dottore, dovendo ridursi in memoria alcune proposizioni,
disse a un huom da bene: «Ecco poste ne’ luoghi le note da musica,
cioè Gamaut, Are, Bemi, e le altre che seguono»; e nel Gamaut si
imaginò certo suo amico, il cui nome era Angelo, che portava la
croce sopra le spalle; e così di mano in mano145. Ma in costui lode-
143
G.M.A. CARRARA, De omnibus ingeniis augendae memoriae, cap. I, ed.
cit., 114: «Guido pater meus ex animalibus cepit locos suos, et eorum ordinem
ex alphabeto latino deduxit, ut a singula littera unius animali nomen incoharetur;
perinde ac si nomina hec sint: Asinus, Basiliscus, Canis, Draco, Elephas, Faunus,
Griphus, Hyrcus, Iuvenca, Leo, Mulus, Noctua, Ovis, Panthera, Qualea,
Rynocheron, Simia, Taurus, Tigris , Ursus, Xistus, Philosophus, Yena, Zacheus.
Hec singula in quinque locos dividebat: in caput, in anteriores pedes, in ventrem,
in posteriores pedes, et in caudam. Nam hunc ordinem ipsa natura porrexit,
neque confundi in eis enumerandis ingenium potest».
144
Le edizioni del 1562 e del 1575 presentavano la lezione «se e si», mentre
quella del 1586 la lezione «se è si»; si è corretto il testo sulla scorta di Host («si
vive imagines (...) in ipsis describi debeant»).
145
Nelle trattazioni classiche della memoria (Quintiliano, Cicerone,
Aristotele) è assente qualunque riferimento a un processo di memorizzazione
attraverso il canto, suggerito soltanto molti secoli dopo dal neoplatonico Marsilio
Ficino. In una lettera del 1458, inviata a un non ben identificato Banco arithmetre,
mettendo in guardia l’amico sui sedicenti insegnanti di memoria («Ego autem
te moneo, ne ullo pacto eiusmodi homines imiteris. Nam profitentur quod
nesciunt, quod maximum est vitium, et solis preterea prestigiis quibusdam sive
artificiosis captiunculis velut aranearum telis confidunt, nec eorum adhuc ullus
repertus est, cuius memoria ex improviso fecunda promptaque fuerit») e ricor-
dando che si deve innanzitutto capire ciò che si vuole ricordare («Quod si
memoria ac reminiscentia valere cupis, primum curato ut quod ediscendum est,
acute integreque intelligas»), integra la classica precettistica mnemonica e la
eleva a disciplina filosofica di comprensione del tutto, attraverso l’introduzione
DIALOGO DELLA MEMORIA 55
far menzione, come se esso fosse utile al far delle imagini; percioché
d’intorno alla materia, di cui abbiamo in animo di parlare ordina-
tamente, è mistieri di porvi la qualità delle cose e l’ordine. Ma se
però vogliamo finger che alcune imagini facciano alcune operazio-
ni intorno a sì fatti animali, che dichiarino il proponimento no-
stro, agevolmente lo concederemo. Oltre a ciò faremo nelle mem-
bra loro alcuna iscrizione, come seguiremo più inanzi.
FABR. Hora io aspetto che tu venga alle condizioni de’ luoghi.
HOR. L’abondanza delle cose e delle parole, accomodata alla molti-
tudine de’ luoghi per la diversità di molte figure, ci porge (per dirlo
più volte) una facile via da recitar con grandissima vehemenza e
spiegar con prontissime parole qualunque cosa vogliamo, pure che
con diritto ordine si pongano i luoghi e con devuto spazio e distan-
za; e che vi si osservi la lunghezza, l’altezza, la lucidezza, e le altre
condizioni che convengono. Il primo avertimento nostro sarà
adunque che tu faccia i luoghi con dicevole convenevolezza et or-
dine. Percioché è ufficio di colui, che si vuol valere della memoria,
che (come dice Cicerone) con la facilità che egli potrà recitare i
luoghi cominciando dalla fronte, con la stessa, aiutato dalla dili-
genza, tornando a ripigliarli dal fine, possa parimente annoverarli
con contrario ordine. E ciò (come ci ricorda il Petrarca) accioché
non siamo impediti dallo sturbamento dell’ordine147. E benché
«procede dalla natura, ma non vi è dubbio che possa esser fatta più pronta con
l’arte» (195) e che nel nostro esercizio mnemotecnico «ci aiuterà molto l’avere
cognizione delle sperienze humane e delle nature» (196), l’autore propone un
esempio di memoria locale (poi visualizzata in una griglia) basata sulle iniziali
dell’alfabeto («Essendo levata via ogni confusione di questa cosa, spiegheremo
il luogo, le imagini, e l’ordine bene messo con vinti lettere, non mutando
l’ordine, che per natura l’istesse osservano: come a, b, c, d, e...Ciascheduna di
queste avrà cinque dizioni secondo il numero e l’ordine delle vocali, le quali
sono a, e, i, o, u», 196). Il cap. XXIX (623-624) del secondo trattato (Delle potenze
dell’anima sensitiva) del decimo libro tratta invece «della memoria, e remini-
scenza, e di quai cose, e in che modo possiamo raccordarsi della causa della
memoria e delle sue qualitadi», ricorrendo alla trattazione psicologica che di esse
fa Aristotele nel Della memoria e della reminiscenza, e alla teoria gnoseologica
agostiniana dei phantasmata («Percioché quella [la imaginativa] conserva solo
le specie ricevute dal senso comune, senza differenza di tempo. Ma la memoria
conserva e queste, e le intenzioni causate dalla estimativa, e le imagini della
fantasia con la differenza del tempo passato, nel quale erano sentite», 623). Tra
le Conclusioni, poste in appendice all’intera opera, trova infine spazio l’ultimo
brano (858-864) riguardante la memoria: una fedele traduzione in volgare della
Phoenix sive artificiosa memoria di Pietro Tomai da Ravenna.
147
Nella stampa si ha «siano impediti». Pur mantenendo fermo il fatto che
tanto la fonte latina quanto il senso logico della frase richiedono l’uso di una
DIALOGO DELLA MEMORIA 57
prima persona plurale, non bisogna altresì dimenticare che talora nell’italiano
antico la forma «siano» funge anche da prima persona plurale dell’indicativo
presente («siàno») oltre che da terza plurale del congiuntivo presente («sìano»):
la mancanza di ulteriori occorrenze nei testi dolciani esaminati ci ha però indot-
to ad emendare la lezione (ringrazio il prof. Alfredo Stussi per avermi segnalato
il fenomeno). Cfr. Rhetorica ad C. Herennium, III, 17, 30: «Item putamus
oportere ex ordine hoc locos habere, ne quando perturbatione ordinis inpediamur,
quo setius, quoto quoque loco libebit, vel ab superiore vel ab inferiore parte
imagines sequi et ea, quae mandata locis erunt, edere possimus». Se da Host
Cicerone era ancora ritenuto autore della Ad Herennium, ben più difficoltosa
da spiegare è l’attribuzione a «Franciscus» di un’affermazione contenuta in
quest’opera. Bartolomeo da San Concordio, contemporaneo di Petrarca, fa
però precedere la propria opera, Ammaestramenti degli antichi, da un volgariz-
zamento del capitolo dell’Ad Herennium dedicato alla memoria e da un anoni-
mo trattatello in volgare sulla memoria artificiale: la fama che Petrarca godeva
come mnemonista e precettore di ars memorandi potrebbe aver indotto qualcu-
no ad attribuirgli alcune affermazioni della retorica latina volgarizzata.
148
Viene qui perfezionato il parallelismo tra scrittura mentale, da realiz-
zarsi nelle carte dei luoghi con l’inchiostro delle immagini, e materiale prassi
scrittoria, chiaramente identificata nella (più prossima) forma occidentale con
il tradizionale incipit a sinistra.
149
Cfr. PIETRO TOMAI DA RAVENNA, Phoenix seu Artificiosa Memoria, ed.
cit., c. 6r: «hoc suadeo ut in aliqua ecclesia et monasterio habeantur loca solum
pro reponendis rebus quas quotidie convenit recitare».
150
Anche qui cfr. Rhetorica ad C. Herennium, III, 18, 30: «Nam ut, si in
ordine stantes notos quamplures viderimus, nihil nostra intersit, utrum ab
summo an ab imo an a medio nomina eorum dicere incipiamus, item in locis
ex ordine conlocatis eveniet, ut in quamlibebit partem quoque loco lubebit
imaginibus commoniti dicere possimus id, quod locis mandaverimus».
58 LODOVICO DOLCE
do dal proemio, quando dal mezo, ripigliando dal fine, hora il capo
et hora la fronte. E nel vero è cosa agevole, dai luoghi ordinata-
mente posti, la imaginata materia pronunziar con ordine e con
dottrina; con sicura prontezza procedendo da una cosa in un’altra,
con diverso ordine, dritto, oblico e contrario. Così adunque è biso-
gno che ne abbiamo partitamente molti comuni luoghi per una
però materia: come sarebbe qui un monasterio, colà un theatro,
altrove una chiesa e cose simili, come una bottega di lanaiuolo, una
di pistore151, di setaiuolo, di barbiere o di altro artefice; e quello
che non ha fatto l’arte del Maestro o la natura, noi col nostro pen-
siero ridurremo in ordine di continuità e vicinanza. E’l medesimo
si osservi ne’ luoghi propri; come per esempio volendo ricordarci
di questo verso:
Giovani misurate il tempo largo152
Non si ponga nel primo luogo, che per aventura è presso la porta,
la primiera sentenza e l’altra nel quinto o nel sesto, ma piuttosto
nel secondo che segue immediate al primo, altrimenti si confonde-
rà l’ordine; e tanto più quanto un soggetto continua l’altro e con
esso è conforme. Ricercasi anco una convenevole distanza a i luo-
151
pistore: ‘fornaio’.
152
PETRARCA, Triumphus Temporis, 70-71: «Or vi riconfortate in vostre
fole, Gioveni, e misurate il tempo largo!».
153
terzetto: più comunemente, terzina. Cfr. L. DOLCE, I quattro libri delle
Osservationi Grammaticali, IV, ed. cit., 256: «I Terzetti furono trovati da Dante,
il quale gli prese per aventura da quella maniera di versi, la cui desinenza dicemmo
nel Sonetto porger più soavità e dolcezza. Questi (come fu detto) di tre in tre versi
per ordinario terminando il loro costrutto, accordando la consonanza del primo
con l’ultimo, e il secondo, che è quel di mezo, ha per corrispondenza il primo e
l’ultimo del secondo Terzetto: il che vanno seguendo gli altri di mano in mano
insino al fine, e questo fine ha un verso soprabondante, che col penultimo parimente
s’accorda». Un recente intervento sulle Osservationi del Dolce, e in particolar
modo sul problema delle sue fonti e sulla polemica col Ruscelli, è quello di D.
PASTINA, La Grammatica di Lodovico Dolce, in Sondaggi sulla riscrittura del Cin-
quecento, a cura di P. Cherchi, Ravenna, Longo Editore 1998, 63-73.
154
DANTE, Paradiso, V, 73-75.
DIALOGO DELLA MEMORIA 59
ghi in guisa che tra luogo e luogo v’entri lo spazio di cinque piedi.
È vero che Cicerone volle che questi spazii fossero mediocri, cioè o
poco più o poco meno di trenta piedi155. Ma all’incontro a Pietro
da Ravenna pare che lo stesso spazio si faccia di cinque pure, o di
sei piedi156; la quale openione io per esperienza ho riconosciuta
essere utilissima. Percioché, se l’intervallo si fa troppo largo, men
vale l’applicazion del pensiero, essendo che la troppa distanza lo fa
troppo trascorrere e gir vagando; sì come aviene che l’occhio, nel
ricòr le cose troppo lontane, più tosto le perde, nello spargersi in
diverse parti i raggi, che a sé le unisca. E la troppa vicinanza per la
mescolanza confonde le imagini in guisa che distintamente non si
possono vedere157; sì come le lettere l’una all’altra troppo ristrette
con malagevolezza ci lasciano levar la parola158. Nondimeno, quando
alcuno angolo abbraccia i luoghi o altra cosa notabile, ho io pure
per esperienza compreso che è assai bastevole che i luoghi siano
l’un l’altro distinti per lo spazio almeno di due piedi. E sempre
anco ho posto cura che sempre tra luogo e luogo vi sia qualche
tramezo; che’l luogo nel suo ordine sia degno di qualche nota. Ser-
beremo anco continovamente una tal quantità di luoghi che ella
non sia né troppo ristretta, né anco troppo alta, perché le imagini
ricercano nella superficie proporzione di larghezza e di lunghezza.
Ché, sì come il dipintore va accomodando le figure secondo la
qualità dello spazio del muro o della tela, in cui ha a dipingere, così
è mistiero che faccia chi disidera apprender questa arte. E di qui il
Petrarca, il quale è imitato dalla maggior parte, dice esser
convenevole che i luoghi abbiano non grande ma mezzana am-
155
Nella stampa si ha «tre». Si è corretto il testo sulla scorta di Rhetorica
ad C. Herennium, III, 19, 32: «Intervalla locorum mediocria placet esse, fere
paulo plus aut minus pedum tricenum». L’errore può forse esser stato provocato
dal volgarizzamento dell’Ad Herennium approntato a metà del XIII secolo da
Bono Giamboni, dove infatti leggiamo: «Ancora , è utile che i luoghi troppo
spesso non sieno né troppo lunghi, ma sieno presso quasi spazio di tre piedi» (B.
GIAMBONI, Fiore di rettorica, 82, ed. cit., 103).
156
PIETRO TOMAI DA RAVENNA, Phoenix seu Artificiosa Memoria, ed. cit.,
c. 6v: «mediocriter ergo [loca] distabunt si unus ab altero quinque vel sex
pedibus distabit».
157
Ibid., c. 6v: «Secunda sit regula: loca non debent esse nimium vicina
aut nimium distantia. Vicinitas enim, ut expertus sum, in appositione rerum
memoriam naturalem conturbat; si autem nimium distarent loca cum mora
quae locis tradita sunt recitamus».
158
levar: sollevare, isolare la parola dalla trama della proposizione, per
distinguerla dalle altre e quindi comprenderne il significato.
60 LODOVICO DOLCE
159
Si tratta ancora della Rhetorica ad C. Herennium, III, 19, 31: «Et
magnitudine modica et mediocris locos habere oportet: nam et praeter modum
ampli vagas imagines reddunt et nimis angusti saepe non videntur posse capere
imaginum conlocationem».
160
capere: latinismo, ‘contenere’. Cfr. L. DOLCE, Modi affigurati e voci
scelte et eleganti della volgar lingua, ed. cit., c. 36v: «Capere similmente è verbo
usitatissimo presso a i buoni autori (...) Usasi sovente nella prosa: Come è pos-
sibile che cotal luogo sì gran machina possa capere, cioè allogare, esser capace. Così
da cape ne vien capace e capevole, usato spesso dal Bembo».
161
in...camelo: si esemplifica la scarsa efficacia di immagini sproporziona-
te; l’immagine del cammello localizzato nella finestra non potrà essere accettata,
per la sua scarsa aderenza alla realtà, dalla mente umana, che quindi, per nulla
stimolata dall’immagine di memoria, faticherà a ricordare il contenuto a cui
quell’immagine rimandava. Cfr. JACOPO RAGONE, Artificialis memoriae regulae,
ed. cit., 36: «Loci vero quantitas non est adeo sumenda ut non videatur esse
capax imaginum, quia violentia aborret cogitatio, ut, si velles pro loco sumere
foramen ubi aranea suas contexit telas et in illo velles equum collocare, non
videretur modo aliquo posse equum capere».
162
Cfr. PIETRO TOMAI DA RAVENNA, Phoenix seu Artificiosa Memoria, ed.
cit., c. 6v: «Quarta sit regula: loca non sint alta quia volui homines pro imaginibus
positi loca tangere possint quod utile semper iudicavi».
DIALOGO DELLA MEMORIA 61
Finalmente conviene a i luoghi una cotal qualità: che essi non sia-
no né troppo oscuri, né troppo lucidi, overo di figura e di forma
simile, o rotonda e sperica163. Percioché l’oggetto che trascende,
guasta il senso; e di qui la cosa non proporzionata men si riceve
dalla potenza. Percioché non può la nottola riguardar la luce del
163
Rhetorica ad C. Herennium, III, 19, 32: «Tum nec nimis inlustres nec
vehementer obscuros locos habere oportet, ne aut obcaecentur tenebris imagines
aut splendore praefulgeant». Come si può vedere il precetto classico è arricchito
e più compiutamente precisato: nell’elezione o nella costruzione dei luoghi è
necessario evitare l’utilizzo di luoghi fra loro simili (per non incorrere nell’ine-
vitabile confusione che ne nascerebbe) e di luoghi di forma sferica (il divieto è
qui spiegabile invece con l’idea di perfezione legata alla forma sferica e, di
conseguenza, col basso grado di emozionabilità-memorabilità attribuito dalla
precettistica mnemonica alle forme perfette).
62 LODOVICO DOLCE
164
Singolare è il contrasto che si genera tra il risoluto divieto apparente-
mente petrarchesco di utilizzare quelli che a tutti gli effetti possono sembrare
loci amoeni e l’atmosfera genuinamente petrarchesca evocata dalle parole del
Dolce; allo stato attuale della ricerca sui rapporti fra Petrarca e le mnemotecniche
non si è ancora trovato il passo petrarchesco riportante tale precetto ed è molto
probabile che Host (e Dolce con lui) abbia modellato secondo i propri bisogni
uno dei tanti richiami alla tranquillità dell’animo e alla solitudine contemplativa
formulati dal Petrarca.
165
JACOPO RAGONE, Artificialis memoriae regulae, ed. cit., 36: «et est ratio,
quia nimium remota vel angusta e nimium clara vel obscura causant moram
inquisitioni imaginative virtutis vel ex consequenti memoriam retardant di-
spersione rerum que representande sunt aut earum conculcatione, sicut oculus
legentis tedio affligitur, si litere sunt valde distincte et male composite aut nimis
conculcate».
166
Cfr. ARISTOTELE, Dell’anima, IV, 8, 432a: «Ora poiché nessuna cosa,
come sembra, esiste separata dalle grandezze sensibili, è nelle forme sensibili che
esistono gli intelligibili e quelli che si dicono per astrazione e quanti sono qualità
e proprietà dei sensibili»; ID., Della memoria e della reminiscenza, 2, 450a: «La
memoria, anche degli intelligibili, non è senza immagine: e l’immagine è affe-
zione del senso comune: di qui consegue che essa appartiene alla facoltà intel-
lettiva solo per accidente: per sé essa appartiene alla facoltà sensitiva primaria»;
ID., Del senso e dei sensibili, 6, 445b: «l’intelletto non comprende gli oggetti posti
all’esterno se non insieme alla sensazione». Si è corretto il testo del Dialogo che
in tutte le edizioni consultate riporta «segue», conformemente al «sequitur»
della versione latina. Probabilmente il verbo è stato coniugato logicamente in
relazione al fatto che imaginazione e fantasia sono qui sinonimi.
167
Maestro di color che sanno: Aristotele. La citazione dantesca (Inferno,
IV, 131) è una variante dolciana al testo di Host, che non parla direttamente di
Aristotele ma lo evoca citandone alcune opere.
DIALOGO DELLA MEMORIA 63
168
Cfr. Rhetorica ad C. Herennium, III, 19, 31: «Praeterea dissimilis forma
atque natura loci comparandi sunt, ut distincti interlucere possint: nam si qui
multa intercolumnia sumpserit, conturbabitur similitudine, ut ignoret, quid in
quoque loco conlocarit».
169
Cfr. JACOPO PUBLICIO, Ars memorativa, I, ed. cit., c. 4r: «Locorum
similitudo morte magis evitanda est. (...) Quas ob res opere, colore et altitudine
figurae ac diversa materia evitare poterimus. Vel si non locis optat et arte
comparatis lapidibus, saltem arboribus, tumulis, aris, monumentis, biremibus,
navibus, proclivis, pontibus, astris ac insulis varie effigent».
170
Cfr. M. BRUSATIN, Storia dei colori, ed. cit., IX: «I colori rispondono alle
leggi del richiamo, sono principi ordinatori della memoria che si salda per
necessità a supporti triangolari, come i concetti, al proprio simile e al proprio
opposto generando sintesi interpretative».
171
A questo teologo dell’Università di Colonia Host attribuisce un com-
mento al De memoria et reminiscentia aristotelico (cfr. J. HOST, Congestorium
artificiosae memoriae, III, I, ed. cit., c. 31r: «Et recte intellectus materie; nam ut
Tungris super Arist. De memoria et reminiscentia inquit…»); di lui sappiamo
soltanto che partecipò con uno scritto alla violenta querelle che oppose la Facoltà
all’umanista Johannes Reuchlin. Cfr. N. PAULUS, Die deutschen Dominikaner in
Kampfe gegen Luther. (1518-1563), ed. cit., 95.
64 LODOVICO DOLCE
172
Cfr. Rhetorica ad C. Herennium, III, 10, 18: «et reliqua, quoniam
nuperrime dictum facile memoriae mandatur, utile est, cum dicere desinamus,
recentem aliquam relinquere in animis auditorum bene firmam argumenta-
tionem. Haec dispositio locorum, tamquam instructio militum, facillime in
dicendo, sicut illa in pugnando, parere poterit victoriam».
173
Cfr. ibid., III, 19, 31: «Item commodius est in derelicta, quam in
celebri regione locos comparare, propterea quod frequentia et obambulatio
hominum conturbat et infirmat imaginum notas, solitudo conservat integras
simulacrorum figuras».
174
Cfr. PIETRO TOMAI DA RAVENNA, Phoenix seu Artificiosa Memoria, ed.
cit., c. 6v: «Tertia sit regula vana ut mihi videtur est opinio dicentium loca fieri
non debere ubi sit hominum frequentia: ut in ecclesis aut in plateis; nam ecclesiam
quandoquidem vacuam vidisse sufficit non enim semper ibi hominum
deambulatio visa fuit et in hoc experientia quae est rerum magistra contrarium
docuit». D’altronde già Quintiliano suggeriva di rafforzare la capacità di con-
centrazione del proprio animo per esser pronti allorquando le condizioni am-
bientali non risultassero ottimali per la meditazione: «Sed silentium et secessus
et undique liber animus ut sunt maxime optanda, ita non semper possunt
contingere ideoque non statim, si quid obstrepet, abiciendi codices erunt et
deplorandus dies, verum incommodis repugnandum et hic faciendus usus, ut
omnia, quae impedient, vincat intentio: quam si tota mente in opus ipsum
derexeris, nihil eorum, quae oculis vel auribus incursant, ad animum perveniet»
(QUINTILIANO, Institutio Oratoria, X, 3, 28).
DIALOGO DELLA MEMORIA 65
175
Cfr. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, II II, q. 49, a. unic.:
«Tertio, oportet ut homo sollicitudinem apponat et affectum adhibeat ad ea
quae vult memorari: quia quo aliquid magis fuerit impressum animo, eo minus
elabitur».
176
Cfr. LODOVICO DA PIRANO, Regule memorie artificialis, ed. cit., 217:
«Locorum premeditatio, id est quod antequam ponamus idola, debemus loca
premeditari, ut perpetuo mente habere possimus, et ea perfecte in memoria
collocare debemus».
177
Cfr. ARISTOTELE, Della memoria e della reminiscenza, I, 451a: «L’eser-
cizio conserva la memoria di qualcosa, richiamandone il ricordo; e ciò altro non
è che il contemplare spesso l’oggetto come immagine e non in se stesso»; e anche
TOMMASO D’AQUINO, In Aristotelis libros De Sensu et Sensato, De Memoria et
Reminiscentia Commentarium, l. III, n. 348: «Manifestum autem est quod ex
frequenti actu memorandi habitus memorabilium confirmatur, sicut et quilibet
habitus per similes actus, et multiplicata causa fortificatur effectus».
66 LODOVICO DOLCE
178
Cfr. Rhetorica ad C. Herennium, III, 19, 32: «si quis satis idoneos
invenire se non putabit, ipse sibi constituat quam volet multos licebit. Cogitatio
enim quamvis regionem potest amplecti et in ea situm loci cuiusdam ad suum
arbitrium fabricari et architectari. Quare licebit, si hac prompta copia contenti
non erimus, nosmet ipsos nobis cogitatione nostra regionem constituere et
idoneorum locorum commodissimam distinctionem comparare».
179
divisando: ‘fabbricando col pensiero’. Cfr. L. DOLCE, Modi affigurati e
voci scelte et eleganti della volgar lingua, ed. cit., c. 97r: «I prosatori hanno posto
divisare in vece di pensare come: io diviso di far la tal cosa, e divisando di dover
far bene».
180
che: ‘con cui’.
DIALOGO DELLA MEMORIA 67
181
Cfr. PIETRO TOMAI DA RAVENNA, Phoenix seu Artificiosa Memoria, ed.
cit., c. 6r: «Accipio ergo ecclesiam mihi multum notam, cuius partes diligenter
considero in ea terque quater deambulans discedo, domumque redeo et ibi per
me visa mente revolvo et hoc pacto principium locis do. In parte dextra portae
ex qua recto tramite ad altare maius itur mihi primum locum constituo; deinde
in pariete post quinque aut sex pedes secundum et si ibi aliquid reale si positum,
ut est columna, fenestra aut his simile, ibi loco pono; si autem reale deficiat, ad
arbitrium meum imaginarium fingo; si tamen hoc, loca fabricans, omittere
vellet, timens ne rei appositae obliviscatur concedatur, dum modo sit memor ibi
locum constituisse; et sic de loco in locum procedatur donec ad eandem portam
loca fabricans revertatur et ista fiant in parietibus primis ecclesiae, omissis omnibus
quae in medio ipsius sunt».
182
medesima: riferito a «memoria».
183
Cfr. JACOPO PUBLICIO, Ars memorativa, I, ed. cit., c. 4r: «Locos arte
comparatos diuturna meditatione et iugi exercitio memoriae adeo imprimemus
ut non aliter tenere, colligere et memoriae reddere quae nobis notissima sunt
possumus. Distrabit enim memoria atque omnis animi vis effeminat, si in
colligendis imaginibus ordine et loco dumtaxat uno aberraverimus».
68 LODOVICO DOLCE
DIALOGO DELLA MEMORIA 69
184
LODOVICO DA PIRANO, Regule memorie artificialis, ed. cit., 219: «Idolum
in toto dissimile per impositionem: (…). Per alphabetum: ut si imponerem aliqua
animalia vel aliquas res ad representanda elementa alphabeti, ut puta si ego
imponerem quod unus asinus representaret mihi hanc litteram A, et unus bos
significaret hanc litteram B; postea componerem ex idolis representantibus has
litteras seu sillabas vel dictiones. Et hoc posset fieri in dictionibus dissillabis vel
forte trisillabis et non ulterius, ne forte fieret confusio imaginum».
185
Si fa riferimento al De Astronomia di Caio Giulio Hyginio, pubblicato
per la prima volta a Ferrara (Augustinus Carnerius, 1475) e poi ristampato
anche a Venezia (Sessa, 1512).
70 LODOVICO DOLCE
Aquila Leone
Ara: che dinota altare Lepro
Ariete Libra
Auriga: cioè carattiere Lira
Aquaio Luna
Boote Marte
Capricorno Mercurio
Cancro Nave
Cassiopea Orione
Cane Perseo
Cigno Filliride
Circolo latteo Pesce
Corona Saturno
Delfino Saetta
Dragone Sagittario
Eridano: cioè il Po Serpentario
Equus: cioè cavallo Scorpione
Gemini Sole
Hercole Tauro
Hidra Triangolo
Iove
186
Cfr. JACOPO PUBLICIO, Ars memorativa, III, ed. cit., c. 10r: «Magnam
nobis immensam et paene divinam commoditatem rerum et litterarum
adiunctionem afferre periculo iam copertum est. Caput namque rei obliqua
linea circumductum variabimus figura quadrati. Cum vero imago in homine;
aut obliqua linea sensim ducta: aut littera per orbis cardinalibus versa novas
primis adiiciet figuras».
187
beccaio: arcaico per ‘macellaio’ (propriamente è il venditore della carne
di becco, il maschio della capra).
188
gratelle (…) schidoni: utensili da cucina impiegati per arrostire sui
carboni carne, pesce o altre vivande. Cfr. L. DOLCE, Modi affigurati e voci scelte
72 LODOVICO DOLCE
et eleganti della volgar lingua, ed. cit., c. 173v: «Perché anco così fatti stromenti
occorrono allo scrittore, è bene a vedere se sono usati e in qual significato da’
nostri autori. Schidone adunque è lo spiedo, ove si fa l’arrosto (...). Né è fuor
di proposito il notar simili istrumenti, perché alle volte molti inciampano».
DIALOGO DELLA MEMORIA 73
Sono molti che notano ciascun luogo in questa maniera: che (per
cagion d’esempio) nel primo porran rosai, nel secondo caule, nel
terzo cacio, nel quarto pane, nel quinto pesci, nel sesto aglio, e così
vanno seguitando; e tutti in ciascun angolo di camera sogliono
diputare un huomo per guardiano del luoco. Io nelle cose imaginarie
76 LODOVICO DOLCE
ciò del tutto non rifiuterei se perciò fosse di giovamento alla me-
moria. Ma negli effettuali è a bastanza ciò che io trovo posto per
mano de gli huomini; egli è vero che per differenza de’ luoghi tai
cose alcuna volta fingiamo. Avendo assegnati i luoghi che sono
fabricati nella Abbadia, resta, seguendo l’ordine dell’Alfabeto, ‹da›
prendere la vicina casa che è quella del Barbiere, e questa parimente
empier de’ luoghi; il che si farà senza difficoltà per le cose di sovra
dimostre. Ma si potrà tuttavia tener l’ordine pure dell’Alfabeto in
guisa che in essa Abbadia riceviamo per i maggiori luoghi l’aula,
che dinota sala e cortile, la bibliotheca cioè Libraria, ‹la› capella, ‹la›
cucina, ‹il› dormitoio, e va seguitando. Et in questi potremo, se-
condo il medesimo ordine, ordinare i luoghi minori: come sono
muri, colonne, altari e cose tali, overo forme di huomini a noi
notissimi; e ne’ loro membri formeremo luoghi con sì fatto ordine:
che’l primo, cioè il destro piede, sia a noi nel primo luogo, e la
gamba nel secondo, la man destra nel terzo, la spalla il quarto, la
testa il quinto, e l’altra spalla o braccio il sesto, e così di mano in
mano; nel vero per tal via faremo facilissimamente quasi infiniti
luoghi, per la iscrizione almeno, la quale si farà con lettere materia-
li acconciamente, come più oltre diremo più chiaramente189. I quali
luoghi tuttavia concediamo a gli esercitati e, quando la necessità lo
costringa, solamente et alhora che alcuno vorrà notarvi cadauna
parola di alcun testo. Ma quegli che cominciano, vogliamo che
prendano vive imagini e i minori luoghi, come sono muri, pareti, e
cose tali. A’ quali anco, le vocali, congiunte con le consonanti a
diversi modi, recheranno molta abondanza di luoghi, come dipoi
potremo ridurre190 da un quadrato o da una figura circolare. E qui
spiegheremo, perché con più agevolezza s’intenda, un modo solo
per lo quale si potrà apprender la materia del variare191. La lettera A
dunque, che è vocale, posta inanzi per ordine alle consonanti, farà
189
Troviamo un esempio di tale metodo in ANONIMO, De memoria arti-
ficiali adipiscenda tractatus, XIV, in R.A. PACK, Artes memorativae in a venetian
manuscript, in «Archives d’Histoire Doctrinale et Littéraire du Moyen Age»,
LVIII, 1983, 271: «Si vero fuerint quinque littere vel ultra, sicut ‘Abraam’, pones
in manu dextra scallam, que est pro A, in cubito laqueum, qui est pro B, super
scapulam dextram ronchonum, qui est pro R, super caput scalam parvam, que
est pro A, super aliam scapulam aliam scalam, que est pro parvam, que est pro
A, et in cubito sinistro flagellum apprehensum, quod est pro M, et sic de aliis
facies».
190
ridurre: ‘dedurre’.
191
la materia del variare: s’intende la tecnica combinatoria della lettere,
più avanti illustrata, attraverso cui si realizza la varietà dei loci.
DIALOGO DELLA MEMORIA 77
192
cupifabro: ‘vasaio’.
193
dogli: recipienti atti alla conservazione del vino, del grano e di altri
prodotti di uso quotidiano.
194
boccalaio: ‘fabbricante e venditore di boccali’.
195
lavezziere: chi lavora il lavezzo, o pietra ollare, per costruire vasi, sco-
delle, e simili utensili.
78 LODOVICO DOLCE
196
radatore: ‘rasatore, raschiatore di pelli e tessuti’.
197
rubricatore: l’amanuense che realizzava i titoli miniati nei codici antichi.
198
Dolce omette un passo di J. HOST, Congestorium artificiosae memoriae,
II, IX, ed. cit., c. 28v: «Nostri siquidem quaddam praecepti a deo iudeis per
scripta tradita quae vulgus ligarent: alia aiunt per Cabalam quam receptionem
aiunt sola traditione dignorum auribus indita. Et ut Christi verbum est non
eadem apostolis non eadem item discipulis et non eadem vulgaribus: eorum
siquidem erat nosse misterius regni dei».
DIALOGO DELLA MEMORIA 79
199
Cfr. nota 113.
200
Cfr. PIETRO TOMAI DA RAVENNA, Phoenix seu Artificiosa Memoria, ed.
cit., c. 10v: «Undecima est conclusio cum quaereret quidam: utrum in eodem
loco plura collocare deberet. Respondi: si in locis ponere volo quae ab alio mihi
proponuntur ut illa proposita statim recitare debeam imagines unius rei tantum
in loco colloco; sed si quae libris lego in locis dispono ut illa memoriter pronun-
ciare possim tunc imagines plurium rerum in loco uno saepissime ponere non
dubitavi».
201
Cfr. JACOPO PUBLICIO, Ars memorativa, III, ed. cit., c. 14v: «Ne diuturno
iugique labore locorum indagine novorum: mentem animumque conficiamus
confertis iam notis, novarum rerum adiunctione confundemus ut inde memoriae
hinc oblivioni succurrere possimus. Temporum interdum curriculis priora
quaeque obscurari, debilitari et refringi finemus, aut veluti e sedibus procella
etiam adversa tempestate eiecta; vacuas iam domus factas mentem inducemus».
80 LODOVICO DOLCE
202
Cfr. JACOPO RAGONE, Artificialis memoriae regulae, ed. cit., 54: «Postremo
non inutile mihi visum est pro illis maxime dumtaxat qui centum locos habebunt,
modum dare sive regulam delendi imagines de locis ut alias de novo collocare
possint, quia nisi hunc modum haberent, non possent aliquo pacto illis centum
locis uti, nisi semel tantum. (…) Voluit enim aliqui ut ad omnes locos quibus
imagines appositae sunt, imagineris unam cortinam extensam cooperientem
collocatas imagines iuxta parietem camere vel alterius loci. (…) Alii vero dicunt
ut non debeamus de collocatis imaginibus considerare et sic delerentur ipse
imagines. (…) Quidam etiam volunt ut fingamus cameras nostras plenas paleis
et sic non apparebunt imagines in illis collocatae».
203
A partire dalle affinità tra semiotiche e mnemotecniche, come mecca-
nismi di presentificazione, Umberto Eco afferma la relativa impossibilità fattuale
(se non si può dimenticare per cancellazione, producendo assenza, lo si può fare
per sovrapposizione, moltiplicando le presenze) e l’analitica contraddittorietà
di un’ars oblivionalis a partire dal fatto che «ogni asserzione, più che presuppor-
re, pone, rende presente nell’universo di discorso, per forza semiotica, le entità
che nomina, sia pure come entità di un mondo possibile. E se non si vuole
ragionare per estensione si dica che ogni emissione di termini pone la loro
intensione. E se le intensioni non sono fatti materiali sono almeno, in qualche
misura, fatti psichici o possono essere postulati come tali. Abbastanza per dire
che ogni espressione organizzata in funzione segnica da una semiotica, non
appena emessa, mette in gioco una risposta mentale. Per cui non si può usare
un’espressione per far svanire il suo proprio contenuto. Se le arti della memoria
sono semiotiche non è possibile costruire sul loro modello arti della dimentican-
za, perché la semiotica è per definizione un meccanismo di presentificazione alla
mente, e dunque un meccanismo per produrre atti intenzionali» (U. ECO, Sulla
difficoltà di costruire un’Ars oblivionalis, in Memento. Tecniche della memoria e
dell’oblio, numero monografico di «Kos», III, 30, aprile-maggio 1987, 41).
DIALOGO DELLA MEMORIA 81
204
Cfr. PIETRO TOMAI DA RAVENNA, Phoenix seu Artificiosa Memoria, ed.
cit., c. 6r: «hoc suadeo ut in aliqua ecclesia et monasterio habeantur loca solum
pro reponendis rebus quas quotidie convenit recitare: ut sunt argumenta rationes
historiae fabulae et praedicationes quae in quadragesima fiunt et hoc officium
illis locis tantum deputetur».
82 LODOVICO DOLCE
così fatte figure hanno vari nomi: percioché si chiamano più volte
specie, idoli, simolacri, somiglianze, figure, forme, idee et imagini,
e l’una si prende per l’altra. Il perché, quantunque nell’effetto a
quel fine per il quale le usiamo in vece di lettere una stessa cosa elle
siano, nondimeno per diversi rispetti ricevono diversi nomi. Dice
l’autore de i quattro libri ad Herennio: «Le imagini sono certe for-
me, segni, simolacri di quello di che ci vogliamo ricordare. Come,
per cagion d’esempio, volendo ricordarci d’un cavallo, d’un leone,
d’un’aquila, ci fia bisogno di collocare in alcuni luoghi le imagini
loro»205. Per conformità di questo dice Quintiliano nell’undecimo
delle sue Istituzioni: «È adunque mistiero a i luoghi, che s’imaginano
o si fanno, d’imagini o simolacri, li quali nel vero convengono for-
marsi. E ci sono quelle imagini note, nelle quali notiamo le cose
che apparare dobbiamo; ché, come dice Cicerone, abbiamo da va-
lerci de i luoghi in iscambio di cera e delle imagini in vece di lette-
re»206. Dice Cicerone «cera» perché gli antichi solevano scrivere in
certe cerate tavole. È detta anco la imagine specie. Percioché, se io
voglio raccordarmi di alcuna cosa, non ripongo io nell’animo la
sostanza materiale ma solo la sua specie. Ché, come sopra dicem-
mo, non è la pietra nell’animo ma la specie della pietra207. San
Thomaso scrive: «Trovasi due sorti di specie: l’una che da natura è
comune208 immediate a molti individui, la quale secondo il nome e
la ragione ugualmente partecipa: come Huomo. L’altra è l’inten-
zione che si posa nell’animo: come la specie in esso animo»209. Ché,
205
Rhetorica ad C. Herennium, III, 16, 29: «Imagines sunt formae quaedam
et notae et simulacra eius rei, quam meminisse volumus: quod genus equi,
leones, aquilae; memoriam si volemus habere imagines eorum, locis certis
conlocare oportebit».
206
QUINTILIANO, Institutio Oratoria, XI, 2, 21: «Opus est ergo locis, quae
vel finguntur vel sumuntur, et imaginibus vel simulacris, quae utique fingenda
sunt. Imagines voco, quibus ea, quae ediscenda sunt, notamus, ut, quo modo
Cicero dicit, locis pro cera, simulacris pro litteris utamur». Il riferimento è a
Cicerone, De Oratore, II, 86, 354.
207
Cfr. nota 72.
208
comune: Dolce traduce così il «communicabilis» presente tanto nel
testo di Host quanto nella fonte tomistica.
209
TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I, q. 13 (Utrum hoc nomen
Deus sit communicabile), a. 9: «Respondeo dicendum quod aliquod nomen
potest esse communicabile dupliciter: uno modo proprie; alio modo per
similitudinem. Proprie quidem communicabile est, quod secundum totam
significationem nominis, est communicabile multis. (...) sicut natura humana
communis est multis secundam rem et rationem, natura autem solis non est
communis multis secundum rem, sed secundum rationem tantum; potest enim
natura intelligi ut in pluribus suppositis existens. Et hoc ideo, quia intellectus
intelligit naturam cuiuslibet speciei per abstractionem a singulari (...)».
DIALOGO DELLA MEMORIA 83
210
Cfr. ibid., I, q. 85 (Utrum intellectus noster res corporeas et materialis
per abstractionem a phantasmatibus), a. 1: «Intellectus igitur abstrahit speciem
rei naturalis a materia sensibili individuali, non autem a materia sensibili
communi» [corsivo mio]. Come possiamo vedere manca una fondamentale
distinzione tanto in Host quanto in Dolce.
211
Cfr. ibid., I, q. 84 (Utrum anima cognoscat corpora per intellectum),
a. 1: «Et ideo [Plato] existimavit quod oportet res intellectas hoc modo in seipsis
subsistere, scilicet immaterialiter et immobiliter. Hoc autem necessarium non
est. Quia etiam in seipsis sensibilibus videmus quod forma alio modo est in uno
sensibilium quam in altero (...) Et per hunc etiam modum forma sensibilis alio
modo est in re quae est extra animam, et alio modo in sensu, qui suscipit forma
sensibilium absque materia, sicut colorem auri sine auro. Et similiter intellectus
species corporum, quae sunt materiales et mobiles, recipit immaterialiter et
immobiliter, secundum modum suum: nam receptum est in recipiente per
modum recipientis».
212
Cfr. ibid., I, q. 84 (Utrum anima intelligat omnia per species sibi
naturaliter inditas), a. 3: «deficiente aliquo sensu, deficit scientia eorum, quae
apprehenduntur secundum illum sensum; sicut caecus natus nullam potest
habere notitiam de coloribus. Quod non esset, si animae essent naturaliter
inditae omnium intelligibilium rationes. Et ideo dicendum est quod anima non
conoscit corporalia per species naturaliter inditas»; e ibid., a. 4: «Ad primum
ergo dicendum quod species intelligibiles quas partecipat noster intellectus,
reducuntur sicut in primam causam in aliquod principium per suam essentiam
intelligibile, scilicet in Deum. Sed ab illo principio procedunt mediantibus
formis rerum sensibilium et materialium, a quibus scientiam colligimus».
213
Cfr. ibid., II, II, q. 173 (Utrum in prophetica revelatione imprimatur
divinitus menti prophetae novae rerum species, vel solum novum lumen), a. 2:
«Repraesentantur autem menti humanae res aliquae secundum aliquas species:
et secundum naturae ordinem, primo oportet quod species praesententur sensui;
secundo, imaginationi; tertio, intellectui passibili, qui immutatur a speciebus
phantasmatum secundum illustrationem intellectus agentis».
84 LODOVICO DOLCE
214
G.M.A. CARRARA, De omnibus ingeniis augendae memoriae, I, ed. cit.,
103: «Igitur si philosophorum sententias interius perscrutemur, ad memoran-
dum quattuor motus concurrent. Primum, est motus spirituum qui a cogitativa
ad memorativam figuras transportat. Alterum, est pictura fixioque figurarum
in ipsa memorativa. Tertium, est reportatio earum a spiritibus a memorativa ad
cogitativam. Quartum, illa est actio qua eas cogitativa recognoscit; que proprie
est memorari».
215
Le imagines, «quae [Graeci] eidwla nominant», collocate in luoghi
opportuni hanno il potere di suscitare emozioni vane ma ugualmente molto
forti e quindi facilmente memorabili: «Tanta vis admonitionis inest in locis; ut
non sine causa ex iis memoriae ducta sit disciplina. (...) Nam me ipsum huc
modo venientem convertebat ad sese Coloneus ille locus, cuius incola Sophocles
ob oculos versabatur, quem scis quam admirer quamque eo delecter. Me quidem
ad altiorem memoriam Oedipodis huc venientis et illo mollissimo carmine
quaenam essent ipsa haec loca requirentis species quaedam commovit, inaniter
scilicet, sed commovit tamen» (CICERONE, De finibus bonorum et malorum, I, 6,
21 e V, 1, 2-3, corsivi miei).
216
Rhetorica ad C. Herennium, III, 20, 33: «Quoniam ergo rerum similes
imagines esse oportet, ex omnibus rebus nosmet nobis similitudines eligere
debemus».
217
Cfr. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I, q. 27 (Utrum aliqua
processio in divinis generatio dici possit), a. 2: «Sic igitur processio verbi in
divinis habet rationem generationis. Procedit enim per modum intelligibilis
actionis, quae est operatio vitae: et a principio coniuncto, ut super iam dictum
est; et secundum rationem similitudinis, quia conceptio intellectus est similitudo
rei intellectae».
DIALOGO DELLA MEMORIA 85
218
Cfr. ibid., I, q. 35 (Utrum imago in divinis dicatur personaliter), a. 1:
«Ad primum ergo dicendum quod imago proprie dicitur quod procedit ad
similitudinem alterius. Illud autem ad cuius similitudinem procedit proprie
dicitur exemplar, improprie vero imago».
219
Cfr. PETRARCA, Canzoniere, CXXVIII, 17-18: «Voi cui Fortuna à posto
in mano il freno De le belle contrade».
220
Cfr. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I, q. 7 (Utrum Deus sit
infinitus), a. 1: «Ad secundum dicendum quod terminus quantitatis est sicut
forma ipsius: cuius signum est, quod figura, quae consistit in terminatione
quantitatis, est quaedam forma circa quantitatem».
221
AGOSTINO, De diversis quaestionibus octoginta tribus, quaestio 46 (De
ideis), in La vera religione, a cura di G. Ceriotti, Roma, Città Nuova 1995, 84:
«Ideas igitur latine possumus vel formas vel species dicere, ut verbum e verbo
transferre videamur. Si autem rationes eas vocemus, ab interpretandi quidem
proprietate discedimus; rationes enim Graece lógoi appelantur ideae».
222
Cfr. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I, q. 15 (Utrum ideae
sint), a. 1: «Idea enim graece, latine forma dicitur: unde per ideas intelliguntur
formae aliarum rerum, praeter ipsas res existens. Forma autem alicuius rei
praeter ipsam existens, ad due esse potest: vel ut sit exemplar eius cuius dicitur
forma; vel ut sit principium cognitionis ipsius, secundum quod formae
cognoscibilium dicuntur esse in cognoscente. (...) sicut similitudo domus
praeexisti in mente aedificatoris. Et haec potest dici idea domus: quia artifex
intendit domum assimilare formae quam mente concepit».
86 LODOVICO DOLCE
223
Ibid., I, q. 35 (Utrum imago divinis dicatur personaliter), a. 1: «Ad
primum ergo dicendum quod imago proprie dicitur quod procedit ad
similitudinem alterius».
224
Cfr. PETRARCA, Rerum Familiarium Libri, XXIII, 19, ed. cit., IV, 206:
«curandum imitatori ut quod scribit simile non idem sit, eamque similitudinem
talem esse oportere, non qualis est imaginis ad eum cuius imago est, que quo
similior eo maior laus artificis, sed qualis filii ad patrem».
225
Cfr. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I, q. 35 (Utrum nomen
imaginis sit proprium Filii), a. 2: «Ad tertium dicendum quod imago alicuius
dupliciter in aliquo invenitur. Uno modo, in re eiusdem naturae secundum
speciem: ut imago regis invenitur in filio suo. Alio modo, in re alterius naturae:
sicut imago regis invenitur in denario. Primo autem modo, filius est imago
patris; secundo autem modo dicitur homo imago Dei».
226
Cfr. PLATONE, Teeteto, 191c-d (traduzione a cura di G. Cambiano per
l'ed. Utet, Torino 1987): «Ammettimi allora ai fini dell’argomentazione che
nelle nostre anime sia insito un blocco di cera, in uno più grosso, in un altro più
piccolo, e in uno di cera più pura, in un altro più sozza, e più dura, ma in alcuni
più umida e in altri invece di giusta consistenza. (...) Diciamo dunque che esso
sia un dono della madre delle Muse, di Mnemosine, e che in esso, sottoposto
DIALOGO DELLA MEMORIA 87
FABR. Ciò basti intorno alla diffinizione; aspetto che tu ragioni del
partimento di queste imagini.
HOR. Oltre a questo, perché le imagini, alcune pienamente e con
più chiarezza, altre imperfettamente e con più oscurità rappresen-
tano la cosa imaginata, si fanno di esse molti altri partimenti o per
rispetto alla materia di cui elle sono, o de i modi con che si forma-
no. Ma, quanto appartiene a conservar la memoria, è bisogno che
vi siano due somiglianze: l’una delle cose, l’altra delle parole227. E sì
come Sibuto non vuol che le ultime (che alcuni chiamano di voca-
boli, o diciamo voci o parole) se rechino all’oratore, così quelle
cose (che da Quintiliano sono chiamate delle sentenze, e da altri
delle orazioni o proposizioni) afferma esser proprie de’ Rhetori228.
E ciò stimo mosso da questa cagione: ché Marco Tullio dice che
noi riceviamo maggior peso e più fatichiamo il nostro ingegno,
alhora che cerchiamo di ridursi a memoria partitamente ogni
paroluccia229; percioché basta quando sommariamente la memoria
si sveglia con la imagine delle parole. E questa imagine è così discritta
da alcuni: la imagine della parola è somiglianza del termino in tut-
to o in parte somigliante all’istesso, secondo ch’è appreso dalla me-
moria. Ma (come dice Cicerone) si isprimono le imagini delle cose
quando si pongono le imagini de gli effetti 230. E ciò alle volte fac-
ciamo per via d’un solo simolacro, a guisa di coloro che per ricor-
darsi d’alcuna loro faccenda, o persona, o altro, si fanno un nodo
231
mocichino: ‘fazzoletto da naso’. Cfr. BOCCACCIO, Decameron, VIII, 2,
9: «e oltre a ciò era quella che meglio sapeva sonare il cembalo e menar la ridda
e il ballonchio, quando bisogno faceva, che vicina che ella avesse, con bel
moccichino e gente in mano».
232
Più: traduce «autem», ‘poi, inoltre’.
233
parlamento: ‘nome, parola’.
234
Nel delineare le caratteristiche delle immagini di memoria si ricorre
qui alle quattro forme della nozione di causalità esposte da Aristotele: causa
materiale, causa formale, causa efficiente e causa finale.
DIALOGO DELLA MEMORIA 89
235
Si tenga a mente la lezione di QUINTILIANO, Institutio Oratoria, IX, 2,
63: «Gaudet enim res varietate, et sicut oculi diversarum adspectu rerum magis
detinentur, ita semper animis praestat, in quod se velut novum intendat».
236
Cfr. PIETRO TOMAI DA RAVENNA, Phoenix seu Artificiosa Memoria, ed.
cit., c. 7r: «Sed acutissimi iuvenis dicet quod haec praecepta non sunt omni ex
parte perfecta: formica in loco posita se movet non tamen propter sui parvitatem
commovebit granum piperis in manu motoris positum etiam non excitabit;
fateor hoc si formica sola collocetur sed multitudinem formicarum ascendentium
et descendentium arborem in loco ponam. Quod ergo formica sola facere non
potest, faciet multitudo et amicus etiam in loco multa grana movebit. Instabit
etiam ingeniosus iuvenis: pulex saltat nec commovet multitudo autem bene
collocari non potest; sed pro pulice amicum pulicem capientem collocabo; et
90 LODOVICO DOLCE
241
Non mi è stato possibile scoprire l’autore del primo verso; per il secon-
do si veda OVIDIO, Ars amatoria, II, 517-519: «Quot lepores in Atho, quot apes
pascuntur in Hybla, Caerula quot bacas Pallidis arbor habet, Litore quot conchae,
tot sunt in amore dolores».
242
Cfr. JACOPO RAGONE, Artificialis memoriae regulae, ed. cit., 40: «Si vero
volueris in uno loco plures imagines simul collocare, oportet quod accurate
92 LODOVICO DOLCE
notes ordinem situandi eas in loco illo, ut recte scias memorari eo ordine quo
illas locaveris, ne loco prime tertiam recitares imaginem, quod esset ridiculum
et confusio magna; et hoc apprime per triplicem ordinem facere poteris, videlicet
per ordinem terre per ordinem mense et per ordinem loci. Ordo terre est servare
situm elementorum, ut id quod est magis prope terram sit primum et quod
super ponetur illi sit secundum et sic ascendendo ut libuerit, et est pulcher
modus, modo scias ut apposite imagines inter se agant aliquid ridiculosum vel
crudele et cetera. (…) Ordo loci est ponere iuxta murum verbi gratia Franciscum
qui erectus stet (…) et post ipsum Franciscum pone Albertum aut alium sicut
daretur tibi ad recitandum, et habeas cordi quod omnes iste imagines aliquid
operentur (…). Ordo vero mense est imaginari unam mensam in medio duorum
banchorum. Unum sit iuxta murum alterum extra, in quo bancho ab extra
poteris, si expediens erit, locare tres vel quattuor aut plures imagines sicut in
bancho quod pones prope murum».
243
Rhetorica ad C. Herennium, III, 22, 35: «Docet igitur nos ipsa natura,
quid oporteat fieri. Nam si quas res in vita videmus parvas, usitatas, cottidians,
meminisse non solemus propterea quod nulla nova nec admirabili re commovetur
animus: at si quid videmus aut audimus egregie turpe, inhonestum, inusitatum,
magnum, incredibile, ridiculum, id diu meminisse consuevimus».
244
Cfr. GEORG SIBUTUS, Ars Memorativa, ed. cit., c. 6v: «Placuit igitur ut
hic de his breviter sentire: quod partim in verbis et partim in sentetiis adolescentiae
meae exercitium hausisse, cum ubilibet eas raras et ridiculosas eae oportebit et
per notitiam aut historiam imaginatas».
245
Cfr. PIETRO TOMAI DA RAVENNA, Phoenix seu Artificiosa Memoria, ed.
cit., c. 7v: «Imago igitur in loco talis poni debet quae se moveat; si non potest,
ab alio moveatur: rem talem in manu alicuius motoris ponas ut ex motu illo
memoria naturalis commoveatur»; cfr. anche c. 7r: «si cito meminisse cupis,
virgines pulcherrimas colloca: memoria enim collocatione puellarum mirabiliter
commovetur et qui vidit testimonium perhibuit».
DIALOGO DELLA MEMORIA 93
246
Cfr. JACOPO PUBLICIO, Ars memorativa, II, ed. cit., c. 5v: «Magna
quippe incredibilia, invisa, nova, rara, inaudita, flebilia, aegregia, turpia, singularia
ac pervenusta menti et memoriae nostrae ac recordationi plurimum conferunt».
247
Cfr. ANONIMO, Tractatus solemnis artis memorativae, ed. cit., 293: «Et
premicto pro generali regula imaginum collocandarum quod in locis semper
collocandae sunt imagines cum motu et acto ridiculoso crudeli admirativo aut
turpi vel impossibili sive alio insueto. Talia enim crudelia vel ridiculosa aut
insueta sensum immutare solent et melius excitare eo quod animus circa prava
multum advertat». Un esempio di immagine memorabile per la sua singolarità
ce lo offre il Carrara nel De omnibus ingeniis augendae memoriae, cap. I, ed. cit.,
115: «in ore asini rabidi caput Antonii constituam, morsibus fere ossa confringi,
cruorem effluere illum auxilia petere, et passis palmis vociferare: fieri non poterit
ut, cum voluero, non videam hunc oculis mentis mee et reddere Antonium
nesciam repetenti».
248
Cfr. JACOPO PUBLICIO, Ars memorativa, II, ed. cit., c. 5v: «Ut sic senem
hic artis gratia effingamus: tremulum, incurvum, gementem, labiis dimissis in
cano mento, iam mucidum nasum tergentem. E contrario laeta iuventus
excogitabit: corpis nostri pulchritudo et feditas sic indagabitur. Ut colli longitudo,
capillorum, digitorum et totius corporis proceritas admirationem nobis et stu-
pore praestant».
94 LODOVICO DOLCE
(benché a chi serberà queste qualità possono bastar questi due esem-
pi) che appariscano in qualunque animale certi come segni, che
dimostrino i propri affetti naturali: come che il lupo paia divoratore,
il lepro timido, la capra fugace, la giovanezza allegra, la vecchiezza
trista, il giovanetto prodigo, la donna avara, l’huomo liberale, la
fame pallida. Et in tal guisa si potranno pigliar quasi infinite quali-
tà di cotali imagini dai Poeti, i quali specialmente le discrivono249.
Et alle volte lo possiamo apprender dalle historie o da alcuno che
ce lo racconti: come che Homero fosse beone250, vergognoso e tem-
perato Virgilio, crudele Nerone, e Cesare clemente e liberale; le
imagini de’ quali potremo formar dalla qualità di quelle che vedu-
to abbiamo.
FABR. È agevole a serbar sì fatte qualità, convenevolezze, e condi-
zioni.
HOR. Poscia che abbiamo dimostro che le imagini non vogliono
starsi ociose, percioché elle in tal guisa non movono l’animo, è
perciò mistieri che le medesime da se stesse o per altra cagione si
movano con certo notabile dimostramento di bellezza, di bruttezza,
di ridicolo o di altra cosa segnalata e principale; senza le quali
condizioni poco o nulla si manifesterebbe la nostra imaginazione.
Porremo dunque sempre le imagini con movimento, atto, o gesto,
crudele, ridicolo, bello o sozzo, non consueto, insolito; e così fatte,
degne di ammirazione, le quali ci commovano la mente e l’animo.
Il che le cose che non hanno spirito non farebbono, se non le
ponessimo in mano di alcuno che lor desse il movimento, affine
che per esso movimento in noi la memoria si desti. Onde se la
natura non ci porge in ciò quello che è necessario, a ciò supplisca il
nostro pensiero e discorrimento, ammettendo le imagini sensate e
che facciano alcuno effetto notabilmente. Onde è da avertire che la
imagine operi qualche cosa o nel luoco o presso il luoco; e
249
JACOPO PUBLICIO, Ars memorativa, II, ed. cit., c. 6r: «Accedit secunda
signi species nobis quoque notatio. Qua naturales affectus in medium afferimus.
Sic enim cuiusque aetatis et animalis cuiusque passiones evolvamus. Voracem
lupum, timidas dammas, timidosque lepores, caprasque fugaces, laeta iuventus,
tristis senectus, prodiga adolescentia, avarissimae mulieres, liberales viri dicunt.
Huic rei diffinitionum ratio plurimum opitulabit, nec minus poetice
descriptiones».
250
Cfr. Sermoni, altrimente satire e le morali epistole di Horatio ridotte da
Messer Lodovico Dolce, epistola XIX (a Mecenate), ed. cit., 239: «Se a l’antico
Cratin porgete fede (...) Et ecco è riputato Beone Homero, perché molte volte
Ne’ suoi Poemi ha celebrato il vino».
DIALOGO DELLA MEMORIA 95
251
Cfr. ANONIMO, De memoria artificiali adipiscenda tractatus, X, ed. cit.,
269: «Prima regula, de locatione nominum cognitorum. Quotienscumque
nomina cognita locare volueris, ita ut memoriter habere possis, ut puta, Johanes,
Petrus, Paulus, Andreas, Bartholameus, somme aliquem Johanem tibi cognitum
per amicitiam vel odium, quem ponas in primo angulo prime camere, qui cum
ense, aliquid novi aut terribile sive crudelle aut ridiculum operetur». Si vedano
anche JACOPO RAGONE, Artificialis memoriae regulae, ed. cit., 39: «et si tibi ad
recitandum dabitur nomen notum ut esset exempli causa Lodovicus, debes
mente tua accipere unum Lodovicum qui tibi sit familiaris, et si esse poterit sit
aliquo gradu insignis et eum ponas in tuo primo loco scilicet ad paternoster non
otiosum sed in motu ridiculoso vel alio ut supra» e LEONARDO GIUSTINIANO,
Regulae artificialis memoriae, in A. OBERDORFER, Le ‘Regulae artificialis memoriae’
di Leonardo Giustiniano, in «Giornale storico della letteratura italiana», LX,
1912, 123: «De similitudine. Quarta decima, cum per similitudinem, cum paria
omnino, cum eadem ipsa collocamus: ut si, dato hoc nomine: Petrus, aliquem
continuo ponas quem noveris, qui ita nominetur». Il testo del patrizio veneto
Leonardo Giustiniano (già poeta non trascurabile e oratore) risale al 1432 e si
offre emblematico a sintetizzare l’irrinunciabile matrice ciceroniana, il costante
rifiuto di approcci speculativi, l’impostazione schematica per formule e le fina-
lità di utilità pratica che caratterizzano i trattati di mnemotecnica del secolo XV.
96 LODOVICO DOLCE
252
inferire: ‘significare’. Cfr. L. DOLCE, Il Ragazzo, atto I, scena I, in La
commedia del Cinquecento, a cura di I. Sanesi, Bari, Laterza 1912, II, 209:
«MESSER CESARE: Tu vuoi inferire che gli innamorati son pazzi, è vero?».
253
Su Felice Feliciano, antiquario veronese del Quattrocento, si veda
L’antiquario Felice Feliciano Veronese. Tra epigrafia antica, letteratura e arti del
DIALOGO DELLA MEMORIA 97
libro. Atti del Convegno di Studi, Verona 3-4 giugno 1993, a cura di A. Condò
e L. Quaquarelli, Padova, Antenore 1995.
254
adombriamo: lo si colga nel senso sfumato di ‘accenniamo, abbozzia-
mo’ o, più forzatamente, in quello negativo di ‘velare (cfr. Canzoniere, XI, 14),
offuscare e incantare (Dec., VIII, 7, 85)’, il termine introdotto dal Dolce nella
sua traduzione sembra sottolineare il carattere approssimativo della mimesi
mnemonica del reale. Cfr. L. DOLCE, Modi affigurati e voci scelte et eleganti della
volgar lingua, ed. cit., c. 123v: «Ombreggiare usò eziandio [il Petrarca] togliendo
questo verbo per metafora da i Pittori, che pongono l’ombre alle figure che
dipingono, facendosi la pittura di ombre e lumi. (...) Adombrare, il medesimo».
255
Cfr. ANONIMO, Tractatus solemnis artis memorativae, ed. cit., 293:
«Verborum quidem similitudines aliae sunt notae, aliae ignotae, notabilius aliae
animatae, aliae inanimatae. Animatarum quaedam propriae quaedam
communes. Propriarum quaedam duplices, quaedam simplices. Communium
vero tam animatarum quam inanimatarum quaedam simplices, quaedam ex
duabus pluribusne partibus constituuntur, de quibus omnibus dicetur inferius.
Et primo videndum est de nominibus propriis simplicibus et duplicibus».
98 LODOVICO DOLCE
256
intenzione: nella Metaphysica di Avicenna si utilizza questo termine per
indicare il rapporto di qualsiasi atto (percettivo, cognitivo, pratico) con un
oggetto. Nella gnoseologia scolastica la nozione di intenzione venne a interferire
con quella di ‘specie intelligibile’: ogni ente può esser colto nella sua realtà o
come simulacro intellettuale.
257
Cfr. ANONIMO, Tractatus solemnis artis memorativae, ed. cit., 293-294:
«Pro clariori doctrina notandum est imagines, ex quibus similitudines capiuntur,
formari posse dupliciter: aut ex parte rei, aut ex parte vocis. Si ex parte rei et tunc
dupliciter: aut respectu rei propriae in se, aut ex parte methafisicae. Ex parte rei
propriae in se similitudo capitur ut rem ipsam formando in propria forma et
naturali, et hoc modo in rebus naturalibus maxime convenit. Secundo modo
100 LODOVICO DOLCE
A 1 Arta M1 Corona
2 Compasso 2 Trepiedi
3 Scala N 1 Porta
B 1 Liuto 2 Forca
2 Battifuoco O 1 Sonaglio
C 1 Ferro da piedi di cavallo 2 Pomo
2 Corno 3 Mondo
D 1 Testa di Toro P 1 Bastone da Vescovo
2 Mastello 2 Bandiera
E 1 Cancro, Granchio R 1 Forbice da Sarto
2 Meza ruota 2 Tanaglia
3 Siega S 1 Letto
F 1 Coltello 2 Tromba
2 Clava, Mazza T 1 Martello
G 1 Piva da pecoraio 2 Trivella
2 Lumaca, o diciamo cocuccia U 1 Huomo che alza le gambe
I 1 Colonna 2 Rasoio
2 Pesce 3 Torcolo
3 Torre X 1 Croce
L 1 Manara 2 Nave
2 Scure
104 LODOVICO DOLCE
E di queste figure tale è l’utile, quale si può vedere per i cerchi del
quadrato in queste diverse imagini che ci abbiamo posto, quando
di più commode alle cose, alle sentenze (cioè concetti) et alle voci
non ci sovengano. Percioché si possono far le imagini a diversi modi
secondo le somiglianze, le proprietà e le metafore delle cose. Nella
qual cosa tu avrai a sapere che vi sono due sorti di somiglianze:
l’una generale, secondo la quale prendiamo la propria forma, o
diciamo simolacro, imagine, o idolo di ciascuna parola o cosa sem-
plice. L’altra, di cui diremo più oltre, che è delle sostanze astratte:
non è a noi propria somiglianza ma facciamo le loro imagini per
via di fingimento, iscrizione, paragone, o traslazione. Ma le sostan-
ze visibili e corporee da se stesse arrecano le somiglianze. Ma ci è
solo questa differenza: che conviene imaginarci le inanimate come
istrumenti, in quanto bisogna che alcuna persona intorno a qual-
che cosa operi. E se anco la cosa animata sarà comune, è necessario
che (o huomo, o animal bruto che ella sia) c’imaginiamo lei fare
alcuna operazione. La singolare (ch’è d’una sola persona) si pon da
se stessa, et ella stessa è sua imagine e somiglianza; o pure si può
mettere alcuna cosa a lei somigliante, o di nome, o di sostanza:
come per Pietro mettendosi il proprio Pietro, o un altro huomo
ch’abbia lo stesso nome. Pongonsi altresì gli accidenti alle volte per
la loro somiglianza nel soggetto, come la bianchezza nella neve, nel
cigno, nella calce, e così fatti. Et anco talvolta all’incontro260 o per
qualunque altro modo del far le imagini. C’imaginiamo anco le
vocali per imagini, per le loro somiglianze sì delle lettere quanto
delle sillabe e delle parole. Là onde primieramente favelleremo del-
le imagini delle lettere, dipoi delle sillabe e delle parole. Intorno
alle lettere ve ne assegnamo di due maniere. Alcune per figurata
somiglianza, come le abbiamo depinte, famigliari al Publicio. In
vece delle quali noi nondimeno abbiamo formato un altro Alfabe-
to, non molto differente ma più acconcio al nostro proposito;
percioché con più agevole uso faremo il medesimo effetto per via
di sole figure di lettere, che egli ordinò per via di doppie: come
dimostreremo al suo luogo col mezo de’ cerchi mobili. Il Ravenna
prende altre imagini dal suono delle voci; il che è da una lettera che
esprimi e rappresenti la imagine di qual si voglia huomo: come
sarebbe a prendere Antonio, Alberto, Alvigi, per la lettera A; e per
la B, Bernardo, Benedetto, Bonifacio, e gli altri così fatti nella gui-
260
all’incontro: si fa qui riferimento a una delle tre leggi di associazione,
quella del contrario.
DIALOGO DELLA MEMORIA 105
261
Cfr. PIETRO TOMAI DA RAVENNA, Phoenix seu Artificiosa Memoria, ed.
cit., c. 7r: «Tertia est aurea conclusio, quia pro litteris alphabeti homines habeo
et sic imagines vivas: pro littera enim a Antonium habeo, pro littera b Benedictum,
et sic personas in quarum nominibus prima littera est illa qua collocare volo».
262
Cfr. nota 34.
106 LODOVICO DOLCE
263
Cfr. JACOPO PUBLICIO, Ars memorativa, III, ed. cit., c. 10r: «Diversarum
quoque nationum et gentium litterae veluti novae nobis et ignotae figurae cum
plurimum mentem in recordationem excitant. Graecas hebraeasque hinc litteras
hic subiicere consilium fuit: ut diversarum figurarum ratione mentem facilius
levare possimus».
264
nella prima sillaba: più esattamente si fa riferimento alla lettera iniziale.
265
botta: toscano per ‘rospo’. Cfr. BOCCACCIO, Decameron, IV, 7, 23: «Era
sotto il cesto di quella salvia una botta di maravigliosa grandezza, dal cui venenifero
fiato avvisarono quella salvia esser velenosa divenuta».
DIALOGO DELLA MEMORIA 107
266
numeri articolari: i numeri che si formano dalla composizione (artico-
lazione) dei primi nove numeri fondamentali o numeri digitali.
108 LODOVICO DOLCE
DIALOGO DELLA MEMORIA 109
267
Questa è l’unica allusione, per altro non esplicita, che Dolce fa a
Johannes Host von Romberch.
110 LODOVICO DOLCE
Abbate Barbiere
Accolito Berillo: gioia
Advocato Bianore
Africano Bombardiere
Aguzzino Bovaro
Ahenarius: che vuol dir calderaio Buffolo
Alchimista Cartaro
Ambasciadore Celata
Ancella Chirurgo
Apothecarius: libraio Cuoco
Aquaiuolo Custode
Argentiere David
Astrologo Decano
Attrato Discepolo
Aurifaber: orefice Dottore
Axifes: fabbricator d’assi da carro Duca
Elefantiere
268
Cfr. PIETRO TOMAI DA RAVENNA, Phoenix seu Artificiosa Memoria, ed.
cit., c. 8v: «Quarta est conclusio ut imagines alphabeti seu nomina demonstrantia
litteras bene memoria teneantur et saepe repetantur. Incipio ergo sic si mihi
contigat in loco ponere istam copulam et in loco pono Eusebium et Thomam:
hoc tamen ordine quia Eusebius locum tangit et Thomas astat coram eo; si
autem Thomas locum Eusebii tenuerit et Eusebius Thomae non copulam est,
sed hoc pronomen te in loco videbimus appositum. Est enim in arte hac haec
regula, ut prius in ordine loco sit propinquius sicut enim in charta primum e
scribimus in ista copula et ita et in loco; et idem observandum est generaliter in
omnibus dictionibus et aliis collocandis».
112 LODOVICO DOLCE
E senza che io stia a nomare ogni voce, tu puoi discorre per tutte le
lettere dell’Alfabeto e fingerne da te stesso. Dirò solo che questi
nomi abbiamo preso parte Volgari e parte Latini, sì come il
commodo ci veniva. Ora, se tu avrai sempre alle mani solamente
queste imagini di sillabe, non sarà malagevole il collocar
convenevolmente qualunque cosa, ove tu sappia aggiungere a quelle,
altre lettere o sillabe le quali formino interamente la parola che tu
ricerchi; a cui molto giova aggiunger la lettere Reali, il che è da
Publicio sopra modo lodato269. Ma qui non voglio tralasciare che,
se vorremo compor sillabe di tre lettere dall’alfabeto nostro posto
qui e dalle lettere reali, o che la vocale è nel principio della sillaba,
o nel mezo, o nel fine. Se la vocale sarà nel principio, alhora pongasi
la imagine della prima lettera, cioè A, E, I, O, et anco U, nel luoco:
come sarebbe Angelo, Elisa, Ioanne, Vincenzo et altro vi si aggiun-
ga che rappresenti le altre due lettere. Se la vocale sia in mezo,
prendasi la imagine dell’ultima lettera, a cui si apponga alcuna cosa
che significhi le altre. Se la vocale sarà nel fine, prenderemo la
imagine della prima lettera, la quale si abbia a esercitar con alcuna
cosa che dinoti le lettere precedenti. Gli esempi da se stessi sono
chiari270. È dunque sommamente da affaticarsi di avere in pronto
alcun simile alfabeto di sillabe a fine che più agevolmente si trovi il
modo d’imaginare ove più non ti accorrino le proprie imagini. Non
perciò è mistiero che tu v’abbia a ordinare il medesimo, o del tutto
a quello simile, percioché io ti ragiono (come in ogni altra facoltà
si fa) dell’arte in generale, la qual tu e ciascuno potrà a suo utile
ridur in particolare.
FABR. Così nel vero è secondo la diversità degl’ingegni.
269
Cfr. nota 118.
270
Cfr. PIETRO TOMAI DA RAVENNA, Phoenix seu Artificiosa Memoria, ed.
cit., c. 8r: «Quinta est conclusio in syllabis trium litterarum in quibus sic
proceditur. Si enim vocalis est in medio, ut in hac syllaba BAR, tunc imaginem
ultimae litterae accipio et rem aliquam addo cuius principium duabus
praecedentibus litteris simile sit; si ergo in loco Raimundum cum baculo locum
percutientem posuero legetur in loco syllaba BAR (...) Si autem vocalis sit in
fine, ut in syllaba BRA, tunc imaginem primae litterae in loco colloco et rem
mobilem seu semoventem cuius principium sit simile duabus sequentibus: si
ergo Benedictum cum rapis vel ranis in loco posuero dabit syllaba BRA (...) Sed
si vocalis est in principio syllabam faciens, ut in hoc verbo AMO, tunc semper
imago primae litterae collocando est in loco et res principium habens simile
sequenti syllabae: si ergo Antonius volvat molam, hoc verbum AMO positum
legimus (...)».
DIALOGO DELLA MEMORIA 113
HOR. Vuol Publicio che in giovare alla memoria abbia una quasi
divina forza il compor le parole con aggiungervi l’ordine delle cose
e delle lettere. E questo fu già da alcuno ordinato per via di quadra-
to in cinque cerchi. E perché io spero di rischiararti ogni oscurezza
che possa entrare in questa arte, voglio hora addurti le parole di
Publicio, dichiarandoti il senso che vi si può trarre. Egli adunque
dice che: «Per prova s’è veduto che l’aggiunger delle lettere e delle
sillabe ci apporta una grande, somma, e quasi divina commodità.
Percioché noi variaremo con la figura del quadrato il capo di qua-
lunque cosa, girandolo con obliqua linea. E quando la imagine
dell’huomo, overo una obliqua linea poco poco tirata, o una lettera
girata per i cardini del mondo271, si aggiungerà alle prime nuove
figure, overo quando le cose intere tirate, overo le non intere, ci
daranno modo di discriver le parti (percioché meglio e con isquisita
arte essendo elle girate, divise, levate, et aggiunte, congiungeranno
l’una lettera con l’altra) apriranno e significheranno il fine delle
cose. Percioché se all’oriente volgerai la lettera B, come centro della
terra, al ponente la C, al Mezogiorno la D, a Tramontana la F, a
queste la vocale si aggiunge; così la consonante, serbando il mede-
simo ordine, congiungerà le vocali alle liquide, con quel che se-
gue»272. Quello che egli voglia dinotar per queste parole, le quali
promettono una divina commodità, tu stesso considerando, stimo
che non lo intendi, e che sia più agevole intendere gli oracoli di
Apollo. Io nel vero ho trovato più facile il trovar da me stesso alcu-
na cosa nuova, della quale altri come di cosa rara e non usata pren-
dessero maraviglia, che io possa interpretar gli altrui sogni. Quan-
to alle parole di questo autore, parmi che’l suo intento sia tale che
se lettera, o sillaba, o qualsivoglia parola venga applicata a questa
figura, si varierà in diverse guise. Percioché egli trovò il quadrato
per variare i principii delle cose, overo di sillabe, overo di parole.
Ché se lettera o sillaba si applicherà a una linea obliqua, e si confe-
risca ad alcuna lettera del quadrato, farà uno et altro principio di
parola. Percioché se si aggira A per una linea obliqua e vi si aggiun-
ge B farà AB; C, AC, e così di mano in mano. E quando quella
sillaba che segue del quadrato riferirai a i cerchi per una et altra,
terminerà con l’esser girata l’applicazione a diversi modi. Percioché
verso l’Oriente farà A B A, overo A B V, verso Mezogiorno A B I,
all’Occidente ABEL, alla Tramontana A B O. Parimente si posso-
271
Si tratta chiaramente dei punti cardinali. La loro presenza nella dina-
mica delle ‘macchine’ combinatorie era frequente.
272
Cfr. JACOPO PUBLICIO, Ars memorativa, III, ed. cit., c. 10r.
114 LODOVICO DOLCE
no compor tutte le parole del mondo dalle cose dette di sopra, che
significano le lettere dell’Alfabeto, e dalle lettere di questa figura. E
di qui posi questa figura, parendomi che l’Alfabeto del Publicio le
servisse.
273
Si fa qui riferimento alla più completa grammatica latina, quella redat-
ta nel IV sec. d.C. da Elio Donato. L’Ars Donati grammatici urbis Romae è
composta da una Ars minor, corso elementare che tratta delle otto parti del
discorso, e da una Ars maior, in cui la grammatica è trattata in modo più
approfondito e articolato; dal Medioevo l’opera ebbe grande fortuna come testo
principe per l’insegnamento della lingua latina, e il nome del suo autore divenne
un sinonimo dello studio della grammatica latina.
274
Cfr. Proverbia sentetiaeque latinitas medii aevi, n. 27639, a cura di H.
Walther, Göttingen, Vandenhoeck-Ruprecht 1963, IV, 736: «Scire volunt omnes,
mercedem solvere nolunt: / Vis casus scire, bursam debens aperire».
275
Cfr. PIETRO TOMAI DA RAVENNA, Phoenix seu Artificiosa Memoria, ed.
cit., c. 9v: «in corpore namque humano casuum imagines inveni: nam caput est
casus nominativus, manus dextra genitivus, manus sinistra dativus, pes dexter
accusativus, pes sinister vocativus, et venter seu pectus casus ablativus». Come
ha notato Umberto Eco nel suo studio sulle mnemotecniche come fenomeno
semiotico, tra il sistema dei casi grammaticali e il sistema del corpo umano i
teorici rinascimentali dell’ars memorandi hanno stabilito un dialogo che segnala
correlazioni per nulla deboli o arbitrarie: non a caso infatti il nominativo è
associato al capo (immagine del soggetto-individuo), l’accusativo al petto (che
può ricevere colpi e quindi subire un’azione), il genitivo e il dativo alle mani (che
posseggono e offrono), l’ablativo agli arti inferiori (che si offrono come stru-
mento all’agire) [cfr. U. ECO, Mnemotecniche come semiotiche, in La cultura della
memoria, ed. cit., 35-56].
118 LODOVICO DOLCE
276
Cfr. PIETRO TOMAI DA RAVENNA, Phoenix seu Artificiosa Memoria, ed.
cit., c. 9v: «et pro numero singulari pono aut pulchram puellam nudam et pro
numero plurali ipsam egregie ornatam aut illum quem meminisse volo»; per i
termini «numero del meno (...) del più», indicanti il valore singolare o plurale
dell’espressione, si veda P. BEMBO, Prose della volgar lingua, III, V, ed. cit., 192:
«levandone tuttavia quelle voci, che per accorciamento dell’ultima sillaba che
si gitta, così nel numero del più come in quello del meno si dicono nelle prose».
DIALOGO DELLA MEMORIA 119
Volendo adunque por questa voce «faber» nel nominativo del nu-
mero del meno, considera che a certo fabro ignudo venga fatta
qualche cosa nella testa; e volendo intender di «fabri» in genitivo, è
mistiero che tu ti vada imaginando ch’egli abbia qualche offesa
nella destra mano. E così è da fare intorno a gli altri casi. E quando
tu voglia porre «fabris» nel dativo del numero del più, basterà a
imaginarti un fabro (o qualsivoglia artefice, pigliando questa voce
largamente) il quale dimostri nella manca mano alcuna cosa rara.
E così parimente hai da osservar di qualunque altro che adombri
col pensiero. E se ti gioverà variare alcuna cosa, o ch’ella sia anima-
ta o no, bisogna che tu la ti imagini applicata alle membra di alcu-
no huomo o ignudo o vestito, come averrà che il numero ricerchi,
in guisa che se tu vorrai dir «lapis» porrai nella testa di qualche
persona ignuda una pietra. E se vorrai dir «lapis» nel genitivo, farà
bisogno che alcuna figura ignuda tenga una pietra nella destra mano.
E volendo nel fine intender «lapidibus» nell’ablativo del numero
del più, tu potrai per cagione di esempio poner Paolo che percuota
le ginocchia di Pietro che sia molto ben vestito. E parimente si può
ricercar gli altri casi.
FABR. Hora ditemi delle imagini delle semplici parole.
HOR. È nel vero molto utile, come insegna il Ravenna, aver contezza
de gli Enti277. Là onde lascieremo ad altro luogo le imagini acci-
dentali; e così delle sostanze astratte le quali non si apprendono col
senso. È certamente divina cosa in quest’arte por gli alfabeti ne’ tre
gradi de gli Enti, et averli in pronto. Il che non solo ci acquista
prontezza (la qual viene dall’uso e dall’esercizio con certa prestezza
del locare) ma anco una general notizia delle cose, di maniera che
tra’ filosofi non abbiamo l’ultimo luogo. Percioché qual cosa è più
nobile che conservar appo noi in certo ordine di alfabeto tutta la
natura del primo grado. Onde, quando occorre che si favelli di
cosa (per usar questo termino) elementativa, la quale abbraccia
quattro corpi semplici e tutte le cose che da queste vengono com-
poste, le quali né vita né senso hanno, per ordine di alfabeto pos-
siamo recitar tutte le cose che in essi si trovano perfette, come sono
l’argento e l’oro, e le altre così fatte che imperfette sono, come il
piombo e simili. E perché in cotali elementi si conservano molte
cose (come nella terra pietre e metalli; delle pietre alcune preciose e
‹alcune› no; de’ metalli l’oro, l’argento, il rame, lo stagno, il piom-
bo e simili; alcune nell’acqua come le perle; alcune nell’aere come
277
Nella Phoenix non compare affatto questo precetto mnemonico.
120 LODOVICO DOLCE
278
Cfr. L. DOLCE, Somma di tutta la natural filosofia di Aristotele, ed. cit.,
41: «Alle Meteore posero nome i Greci dall’altezza e speculazione delle cose alte.
I nostri le chiamano impressioni per cagione che nell’altra parte della regione
dell’aere s’imprimono cotali effetti. (…) Le impressioni adunque delle Meteore
sono di quattro sorti: cioè ignee, aeree, acquee e terrestri».
279
digestione o diciamo ordine: il Dolce ha conservato il termine latino
«digestio» affiancandogliene un altro che allontanasse ogni possibile ambiguità.
280
gragnuole: cfr. L. DOLCE, Modi affigurati e voci scelte et eleganti della
volgar lingua, ed. cit., c. 225v: «Gragnuola si usa per grandine. Vedi il Bembo
ne gli Asolani».
281
comportevolmente: ‘in modo convenevole’.
282
Cfr. Primo libro dei Re, 5,9-14 (si è utilizzata l’edizione CEI, Roma
1996): «Dio concesse a Salomone saggezza e intelligenza molto grandi e una
mente vasta come la sabbia che è sulla spiaggia del mare. (...) il suo nome divenne
noto fra tutti i popoli limitrofi. Salomone pronunziò tremila proverbi: le sue
DIALOGO DELLA MEMORIA 121
poesie furono millecinque. Parlò di piante, dal cedro del Libano all’issopo che
sbuca dal muro; parlò di quadrupedi, di uccelli, di rettili e di pesci. Da tutte le
nazioni venivano per ascoltare la saggezza di Salomone; venivano anche i re dei
paesi ove si era sparsa la fama della sua saggezza».
283
Le piante che comporranno questo nuovo alfabeto mnemonico sono
anche, e non a caso, i principali ingredienti di ricette mediche utili a curare i danni
alla memoria e ad aumentarne le potenzialità ritentive: una più ampia trattazione
ne offrono il Carrara (De omnibus ingeniis augendae memoriae, II, ed. cit., 125-
128) e Matteo da Perugia (Tractatus de memoria augenda per regulas et medicinas,
ed. cit., cc. vr-v); sull’argomento si veda G. SACCARO DEL BUFFA BATTISTI, Medi-
camenti per aiutare la memoria. «El fenix de Minerva» (1626) di Juan Velazquez
de Azevedo, il «De internorum morborum curatione» (1620) di Ludovico Mercado
e le ricette all’anacardio, in La cultura della memoria, ed. cit., 233-270.
284
confezione: ‘preparato medicinale’.
285
elettuario: farmaco composto di vari ingredienti.
286
ebuli: ‘ebbio’.
287
mitridatico: tipo di cura farmaceutica che si basa sulla somministrazione
progressivamente crescente di sostanze nocive per favorirne l’assuefazione e
l’immunizzazione.
288
mirabolani: frutti di alcune piante asiatiche o africane, utilizzati in
conceria o, come astringente, in farmacia.
122 LODOVICO DOLCE
289
Si fa riferimento al repertorio filologico e grammaticale realizzato da
Niccolò Perotto: il Cornucopiae sive commentaria latinae linguae, Venezia,
Paganino de’ Paganini 1489.
290
Un tempo i vocabolari latini erano chiamati ‘calepini’ in onore del
popolarissimo Dictionum interpretamenta, realizzato nel 1502 dall’umanista
bergamasco Ambrogio da Calepio (1435-1510).
291
Sulla scorta del Congestorium si è integrato il testo del Dolce che in tutte
e tre le edizioni interrompeva il periodo con puntini di sospensione.
124 LODOVICO DOLCE
292
Cfr. ANONIMO, De nova ac spirituali quadam artificialis arte memorie,
XXV, anch’esso in appendice a R.A. PACK, Artes memorativae in a venetian
manuscript, ed. cit., 296: «Quorum per tres hierarchias officia novem esse
noverimus, scilicet Angelorum, Archangelorum, Virtutum; Potestatum,
Principatuum et Dominationum; Troni, Cherubin et Seraphin. Ac etiam Michael,
Gabriel, Rafael una cum cum aliis quatuor stantes ante tronum Dei prestolantes
Dei archana exerceri, mirabiliter laudem a nobilioribus incipiendo spiritibus
sex pro astantibus altaris primi catedrantis elligendi sane sunt». Nell’introduzio-
ne ai due testi anonimi (questo e il De memoria artificiali adipiscenda tractatus)
il curatore R. A. Pack cerca di ricostruirne la storia e ipotizza un unico autore
e una data di composizione sicuramente non anteriore al 1478.
293
dimostreranno più oltre: ‘mostrarsi, farsi vedere’. Cfr. BOCCACCIO,
Decameron, III, 5, 20: «Tuttafiata, se dura e crudele paruta ti sono, non voglio
che tu creda che io nell’animo stata sia quel che nel viso mi son dimostrata». Si
è corretto il testo che riportava la lezione «dimostrerà».
294
Cfr. QUINTILIANO, Institutio Oratoria, XI, 2, 20: «Ita, quamlibet multa
sint, quorum meminisse oporteat, fiunt singulaconexa quodam corio, nec errant
coniugentes prioribus consequentia solo ediscendi labore».
DIALOGO DELLA MEMORIA 125
295
pera: arc. per ‘borsa, bisaccia’.
296
Lo sfruttamento del valore fortemente icastico di carmina è uno fra i
più tradizionali espedienti mnemonici, in quanto grazie ad esso da una parte
l’accumulo di parecchie e spesso complesse immagini viene condensato nel
breve e regolato spazio di poche parole (conservando così il massimo numero
di informazioni possibili col minor sforzo di memoria) e dall’altra l’ambiguità
insita in un così breve assunto accresce la dimensione inventiva del lettore
interprete-mnemonista; non bisogna poi dimenticare l’involucro metrico-rit-
mico che partecipa in modo determinante alla memorizzazione del brano. Nel
verso qui proposto alle caratteristiche sopra evidenziate si aggiunge l’artificio
dell’acronimo che aumenta ulteriormente (anche a livello visivo) la natura sin-
tetica del testo; tra l’altro l’operazione non sembra qui limitarsi al solo signifi-
cante, se interpretiamo il termine ‘sispa’ come variazione del tardo latino ‘sispes’
sinonimo di ‘sospes’, che significa ‘sano’ (Du Cange, Glossarium mediae et infimae
latinitatis, IV, 497): il ricorso alla sapienza, all’intelletto, alla scienza, nonché alla
prudenza e all’arte, è infatti uno strumento fondamentale per mantenere o
raggiungere una condizione di sanità fisica e morale.
297
Cfr. Proverbia sentetiaeque latinitas medii aevi, n. 32602, ed. cit., V,
557: «Ut tibi sit vita, semper SALIGIA vita! / Sic et devita, que sunt non moribus
apta!». Sulla fortuna testuale e iconica di questa parola formata dalle iniziali dei
sette peccati capitali si veda A. WATSON, Saligia, in «Journal of the Warburg and
Courtauld Institutes», X, 1947, 148-150.
298
Cfr. L. DOLCE, Dialogo nel quale si ragiona della qualità, diversità e
proprietà dei colori, ed. cit., c. 40r: «MAR: E la fava, che significa ella? COR: Diverse
cose, ma basteracci che dinoti favola e ciance. Dividendo la voce in due sillabe,
cioè fa, va; che è quanto dire: fa’ pure i fatti tuoi, vanne pure ch’io ti conosco».
126 LODOVICO DOLCE
299
lettera: lettera iniziale di ogni verso.
300
Cfr. JACOPO RAGONE, Artificialis memoriae regulae, ed. cit., 42: «Per
divisionem autem sillabarum est dividere nomen ignotum sive incognitum per
suas sillabas et accipere postmodum tot nomina nota quot sunt ille sillabe, ita
ut cuilibet sillabe nominis ignoti correspondat nomen notum cuiuslibet sillabe
in primo, ut si voluero locare istud nomen Abraam, accipiam primo a pro
agnum, pro bra brachiam quam ponam super capite ipsius agni. Tertio pro am
ponam Ambrosium qui dictam brachiam velit accipere de capite alius agni vel
quod aliquid aliud de ea facere velit, et sic habes istud nomen Abraam compositum
ex dictis tribus sillabis». Il Ragone rielabora qui in chiave di educazione
mnemotecnica un passo del De Oratore in cui Cicerone esemplifica i vari tipi di
facezia: «Duo sunt enim genera facetiarum, quorum alterum re tractatur, alterum
dicto: re, si quando quid tamquam aliqua fabella narratur, ut olim tu, Crasse,
in Memmium, comedisse lacertum Largi, cum esset cum eo Terracinae de
amicula rixatus: salsa, ac tamen a te ipso ficta tota narratio. Addidisti clausulam:
tota Tarracina tum omnibus in parietibus inscriptas fuisse litteras L.L.L.M.M.;
cum quaereres id quid esset, senem tibi quendam oppidanum dixisse: “lacerat
lacertum Largi mordax Memmius”» (De Oratore, II, 59, 240). Rispetto al testo
latino di Host (Congestorium artificiosae memoriae, III, XV, ed. cit., c. 41v:
«Antonius brachium amputavit») l’esempio è dal Dolce arricchito della presen-
za della imago agens di Fabrizio che, se anche non presta le sillabe del proprio
nome alla proposizione mnemonica, contribuisce comunque a incrementare
l’impatto emozionale della scena evocata (anche in relazione alla non casuale
omonimia tra l’interlocutore discepolo e il malcapitato coprotagonista del-
l’esempio).
DIALOGO DELLA MEMORIA 127
301
Si veda F. A. YATES, L’arte della memoria, ed. cit., 165-166: «L’arte opera
a ogni livello della creazione, da Dio agli angeli, alle stelle, all’uomo,agli animali,
alle piante, e così via, secondo la scala dell’essere come era concepita nel Medio-
evo, astraendo a ogni livello l’essenziale bonitas, l’essenziale magnitudo, ecc. (…)
Gli esempi di bonitas ai differenti livelli della scala dell’essere sono presi dal
lulliano Liber de ascensu et descensu intellectus, che è illustrato in un’edizione del
primo Cinquecento con un’incisione in cui vediamo Intellectus, con in mano
una delle figure dell’arte, ascendere la scala della creazione, i cui vari gradini sono
illustrati, ad esempio, con un albero al gradino “pianta”, un leone al gradino
“bruto”, un uomo al gradino homo, stelle al gradino coelum, un angelo al gradino
angelo, e, raggiungendo con Deus il sommo della scala, Intellectus entra nella
Casa della sapienza».
302
Il modello ha antiche origini, come ci conferma M. CARRUTHERS, The
Book of Memory, ed. cit., 114: «Memorial notae were commonly used for
concording schemes. Of these, the prototype is an alphabetical heuristic, which
has left many traces in the organization of written texts. (…) This alphabetical
system produces what is essentially a catena, in which a key-word or phrase acts
as the hook for several bits of stored material, the indexing words themselves
being stored alphabetically. The monastic practice so well described by Dom
Leclercq, “whereby the verbal ehoes [of Scripture] so excite the memory that a
mere allusion will spontaneously evoke whole quotations” is a version of this
type of memorial organization».
128 LODOVICO DOLCE
303
Il primo maestro di ars memorandi a suggerire, anche se in termini non
espliciti, questo precetto fu «Metrodoros von Skepsis, der den dunklen
Sternenhimmel mit den Tierkreizeichen als Stellensystem verwendete» e per
questo motivo «war offenbar ein dunkeloptimaler Eidetiker» (H. BLUM, Die
antike Mnemotechnik, ed. cit., 183).
304
Il termine è già presente nella Phoenix seu artificiosa memoria, anche
se Pietro da Ravenna lo utilizza come esempio di nome proprio difficilmente
memorizzabile. Cfr. PIETRO TOMAI DA RAVENNA, Phoenix seu Artificiosa Memo-
ria, ed. cit., c. 7v: «et advertat collocans ut semper amicum ponat agentem illud
quod communiter ab eo fieri solet: et ista conclusio clare procedit in nominibus
cognitis; si autem non conoscitur amicus illud nomen habens, veluti Bozdrab,
Zorobabel, tunc collocabis quod loco suo dicetur».
DIALOGO DELLA MEMORIA 129
305
imposizioni: nella logica medievale l’imposizione è l’atto con cui un
nome viene destinato a significare una cosa.
306
Cfr. ANONIMO, De memoria artificiali adipiscenda tractatus, XVI, ed. cit.,
272: «Modus locandi per similitudinem nomina supradicta tam Latina quam
Greca et barbara. Quotienscumque volueris recordari de hoc nomine ‘Ruth’ per
similitudinem, ponas in manu unius milieris (quia nomen mulieris est) more
supradicto ‘rutam’ herbam, quam comedat vel laniet dentibus et sic ‘Ruth’
habebis».
307
PIETRO TOMAI DA RAVENNA, Phoenix seu Artificiosa Memoria, ed. cit.,
c. 9r: «similitudine colloco imagines quando rem dictioni similem in litteris
licet in significatione dissimile invenio: ut quando pro verbo cano canem col-
loco».
130 LODOVICO DOLCE
viamo; accioché per aventura nel replicarle non avenga alcuno er-
rore; percioché sia agevole col fingimento di scriver con certi segni
la forma di qualunque cosa, o dinotare i naturali affetti, overo pren-
dere la imagine dalla ethimologia, o dal suono della voce, o pure
recando la proprietà a ciascuna parte del corpo la quale, ripigliandola
nella mente, sia a noi acconcia somiglianza per quello che è il no-
stro proponimento. Così ancora io stimo molto utile che si ponga-
no le insegne o diciamo proprietà convenienti di qualunque perso-
na o luoco per le stesse cose, persone e luoghi. I cui esempi presso
Publicio sono diversi: di fingimento, come a dipingere un vecchio
tremante, piegato nelle spalle, con le labbra pendenti, e co’ capegli
e mento canuto; et un giovane al contrario. Per dinotazione: come
un lupo vorace, una capra fugace, una damma timida. Così far la
giovinezza lieta, e la vecchiezza trista, e così fatte cose308. Usiamo la
ethimologia per le parole che si hanno ad allegare, imaginandoci
una figura che tenga la condizione che si vuol dinotar per via della
sposizione: come accadendoci d’imaginar Filippo, non ci occor-
rendo inanzi alcuno che ci fosse noto di tal nome, sarebbe da porre
la sua interpretazione, cioè quello che dinota questo nome, che
sarebbe: uno che amasse i cavalli. In che è tuttavia necessario di por
certo termino alla memoria, di maniera che con la equivocazione
non si venga a vacillare. Così parimente si porrà per uno stracciato
da’ cavalli, Hippolito; e per la sacra legge, Girolamo309.
FABR. Questo mi piace molto.
HOR. Similmente per via di traslazione facciamo una imagine d’una
cosa che per somiglianza e proporzione ne rassembri un’altra cosa:
come sarebbe che’l Sole significasse deità310, la verità il duello, una
308
Cfr. Rhetorica ad C. Herennium, IV, 49, 63: «Effictio est cum exprimitur
atque effingitur verbis corporis cuiuspiam forma quoad satis sit ad intelligendum,
hoc modo: “Hunc, iudices, dico, rubrum, brevem, incurvum, canum,
subcrispum, caesium, cui sane magna est in mento cicatrix, si quo modo potest
vobis in memoriam redire”».
309
JACOPO PUBLICIO, Ars memorativa, II, ed. cit., c. 6r: «Etymologiae
cognitio plurimum inquirendis imaginibus et signis confert. Philippus si
imaginem suam dure nobis praebeat, etymologiae et nominis sui ductu
similitudinem facile accomodabit. A philos enim amor et hippos equus ductum
habet hoc est amator equorum. Hieronymus sancta lex, Iacubus colluctator
interpretat».
310
Cfr. ANONIMO, De memoria artificiali adipiscenda tractatus, IV, ed. cit.,
266: «In prima camera sol erit pro similitudine divine maiestatis, cum in eo sit
sanctissime Trinitatis similitudo, videlicet calor, splendor et color».
DIALOGO DELLA MEMORIA 131
bocca d’oro l’inganno, un’ala d’oro la sapienza. Così con i nomi de’
metalli dinotiamo i giorni: come per l’argento, il Lunedì; pel ferro,
il Martì; per l’argento vivo, il Mercole, essendo questo dì nominato
da Mercurio; per lo stagno, il Giobbia; pel rame, Venere; per il
piombo, il Sabato311. Percioché, sì come gli Astrologi con questo
tale ordine ognuno de’ pianeti sogliono disputare a ciascun giorno,
così gli Alchimisti co’ nomi de’ pianeti nominano i metalli. E le
altre cose, che significano i loro istrumenti, e così l’arte e le cose
loro adombrano con certe parole di maniera che di raro agl’istessi il
Sole e la Luna rendono il vero e proprio splendore. Là onde così
fatti sciocchi quasi del continovo caminano al buio e, perché han-
no vòlto la notte in giorno e dopo le tenebre sperano la luce, si
pascono della sola speranza. E benché alcuni huomini d’intelletto
tengano quest’arte esser vera, nondimeno ella si trova ne’ fatti tanto
difficile che non che alcuno di povero si faccia ricco ma in contra-
rio diviene non sol povero ma sovente mendico. Ma tornando onde
ci dipartimmo, si dèe usar proprie et atte traslazioni et interpreta-
zioni affine che l’arte non c’inganni. Per cognizion della voce fare-
mo le imagini delle parole e delle cose, se per quelle poniamo quel-
le che sono proprie: come per l’annitrire un cavallo, per il mugito
un bue, e qualunque animale per il suono che esso suol fare. Onde
si legge presso Publicio: «Così Ennio disse “tartantara”, annitrir di
cavallo, mugito de’ buoi, belar di pecore, la notturna Strige e’l Pipi-
strello stridono, il bombito delle api, la Gru grua, il Corvo crastina,
l’Elefante barrisce perciò è detto anche Barro, le Ulule ulano, e
pipa lo Sparviero. Et altre di così fatti, ché molti sono, ci daranno le
imagini per via di esercizio e di uso col suono della voce»312. C’in-
terviene anco il movimento del corpo, il quale contiene questi esem-
pi. Le parti de’ piedi appartengono alla velocità; le ginocchia alla
misericordia; le dita infra loro aviticchiate al dolore; la testa piegata
al concedere, e volgendosi all’indietro al negare; il collo torto verso
311
JACOPO RAGONE, Artificialis memoriae regulae, ed. cit., 49: «Et primo
iuxta regulam archimistarum ponemus pro die dominica aurum id est aliquid
auri, pro die Lune aliquid argenti, pro die Martis ponemus ferrum, pro die
Mercurii argentum vivum, pro die Iovis stagnum, pro die Veneris ramum, pro
die Sabbati plumbum».
312
JACOPO PUBLICIO, Ars memorativa, II, ed. cit., c. 6v. «Nonnihil etiam
ad hanc rem operis onomathopeya nobis affert id est cogitio verbi e sono vocis
ducta. Si Ennium tarantantara dixit, equi hinnitus, mugitusque boum,
balativusque graegem, strix nocturna et vespertilio strident, bombitus apum,
grus gruit, crastinat corvus, tu cornu voce notat, barritus a barro, ululant ululae,
pipant accipitres, et alia quae plurima sunt: usu et consuetudine vocis sonitu
imagines praebebunt».
132 LODOVICO DOLCE
313
Cfr. ibid., II, ed. cit., c. 7r: «Eadem actu excogitabimus longeque
melius motu parte corporis indagare poterimus. Singulis enim corporis partes
numinibus dedicarunt. Peduum articulos saltu et velocitati, genua misericordiae,
digitos pectine iunctus dolori. Caput impositum vel reiectum in pectum con-
cessioni. In cervicem versum negationi. In humerum deiectum hippocrisi. Terga
fugae quieti et ocio nates. Capilli divitiis, ungues crudelitati, dentes discordiae,
digitos minervae, frontem superbiae, aures memoriae dedicarunt». Il Publicio
ha evidentemente sviluppato in funzione mnemotecnica i precetti dedicati dalla
retorica classica ai modi della declamazione (si veda ad esempio Quintiliano,
Institutio Oratoria, XI, 3).
314
Cfr. QUINTILIANO, Institutio Oratoria, X, 2, 28: «Non est inutile his,
quae difficilius haereant, aliquas adponere notas, quarum recordatio commoneat
et quasi excitet memoriam».
315
Cfr. ANONIMO, De memoria artificiali adipiscenda tractatus, III, ed. cit.,
265-266: «Imagines ordinales sunt quedam generosa signa que super januas
camerarum apprehenduntur indicantes ritum ordinemque tabernaculorum et
capellarum, ut ingressus unius recte ad alteram cognoscatur dillucidissime, sicut
mitria papalis super janua prime camere, mitria imperialis super janua secunde
camere, corona regalis super tertia, pileus cardinalis super quarta, crux patriarche
super quinta, mitria episcopalis super sexta, amictus sacerdotalis super septima,
camisia sacerdotalis super octava, cingulum sacerdotale super nona, manipulus
sacerdotalis super decima, stolla sacerdotalis super undecima (…)».
DIALOGO DELLA MEMORIA 133
sione, d’un dottor di leggi un cappuccio rosso col vaio316, d’un Po-
eta la corona dell’alloro. Il medesimo possiamo fare intorno alle
persone private, volendo tenerne memoria. Oltre a ciò ogni luogo
‹ne› ha, onde possiamo ridurci a memoria per quella via qualunque
cosa: come, se per il Romano Imperio si riceva l’Aquila, pel Regno
di Francia i Gigli d’Oro, così per il Ducato di Ferrara si potrebbe
por l’Aquila nera, e per la Repubblica Viniziana un Leone d’oro.
Così parimente ogni città, ogni villaggio e castello ha la sua parti-
colare insegna, la quale veggendo posta ove ci torna bene, non pos-
siamo non ricordarci del luoco che ella dinota; onde non sia
disconvenevole lo aver così fatti luoghi famigliari. Ora diverse cose
ancora hanno le proprietà loro, col mezo delle quali si possono
discriver per propri segnali e dimostramenti: come la Giustizia per
la spada, l’Equità per la libra, la Fortezza per la mazza, la Geometria
per il compasso, e l’Astrologia per l’astrolabio317.
FABR. Bellissime considerazioni.
HOR. Ora paragonando una cosa all’altra la cagione ci dimostrerà
l’effetto; e da capo per l’effetto ci ricorderemo della cagione318. Così
parimente l’uno de’ contrapposti si riconoscerà per l’altro, e il si-
mile dal suo simile319. L’armi e gli strumenti dinoteranno il suo
artefice. L’opera farà memoria dell’operante, e se v’è altra norma o
regola di ricordarci, o diciamo della reminiscenza. Di cui Aristotele
ci porge cinque avertimenti, cioè: che si venga a cognizion delle
cose per via di ordine320; che da un simile si perviene in un altro; ‹e
316
vaio: fodera che caratterizzava il copricapo di giudici e medici; cfr.
BOCCACCIO, Decameron, VIII, 5, ed. cit., 929: «E come che egli gli vedesse il vaio
tutto affumicato in capo e un pennaiuolo a cintola e più lunga la gonnella che
la guarnacca e assai altre cose tutte strane da ordinato e costumato uomo (…)».
317
JACOPO PUBLICIO, Ars memorativa, II, ed. cit., c. 8r: «Rerum insigna
sunt ensis iustitiae, aequitatis libra, herculea clava fortitudinis, geometriae
circinum, astrolabium astrologiae».
318
Cfr. LEONARDO GIUSTINIANO, Regulae artificialis memoriae, ed. cit.,
122: «De causa. Septima [scil. regula] causa pro effectu: ut si ensem cruentum
facias pro homine homicida, tubam pro bello. De effectu. Octava pro causa et
e contrario: ut si pro igne fumum palae ponas».
319
Cfr. PLATONE, Fedone, 74a: «Da tutto ciò non consegue che la remini-
scenza proviene sia da cose simili, sia da cose dissimili?».
320
Cfr. ARISTOTELE, Della memoria e della reminiscenza, 2, 452a: «in effet-
ti, come i fatti sono correlati fra loro secondo un certo ordine di successione, così
lo sono pure i movimenti mnemonici. Si richiamano facilmente alla memoria
quei fatti che hanno un certo ordine, come le dimostrazioni geometriche, dif-
ficilmente quelli che sono confusi».
134 LODOVICO DOLCE
321
e...altro: Si è integrato il testo (incompleto in questa prima come nelle
due seguenti edizioni) ricuperando il terzo «avertimento» aristotelico («et ab
uno contrario in alterum») presente nel testo di Host. Cfr. ARISTOTELE, Della
memoria e della reminiscenza, 2, 451b: «Perciò col pensiero andiamo a caccia
della serie successiva dei movimenti cominciando da un’intuizione presente o
da un’altra o da una simile o contraria o vicina».
322
Cfr. ARISTOTELE, Della memoria e della reminiscenza, 2, 452a: «Quindi
se chi cerca di ricordare avrà tentato molti movimenti, si muoverà verso ciò che
è più abituale, perché l’abitudine è come una natura. Perciò rammemoriamo
subito le cose a cui pensiamo spesso: e infatti, come in natura questo tiene dietro
invariabilmente a quest’altro, così ugualmente nell’agire umano la ripetizione
genera la natura».
323
Ibid. , 2, 452a: «Il ricordare, infatti, è possedere in sé la capacità di
suscitare movimenti (...). Ma bisogna avere un punto di partenza (...). E il
motivo è che allora si passa velocemente da un punto all’altro: ad esempio dal
latte al bianco, dal bianco all’aria, da questa all’umido e di qui uno si ricorda
dell’autunno, se davvero cercava questa stagione».
DIALOGO DELLA MEMORIA 135
324
JACOPO PUBLICIO, Ars memorativa, II, ed. cit., c. 6v: «Sic mensium
nomina colligemus: ut Martem bello deditum, Aprili mense omnia aperiunt;
pullulent et gemmas explicent flores et vites. Maius flores redundabat. Iunius
herbis et frondibus. (...) Omnia nunc florent Iulius segetibus ornent. (...) Augusto
omnes adhuc fructus accrescunt. September dulces habet uvas dulcesque affert
fructus. October sorbes e nespulas. November oleae baccas cruenteque mirtae
fructibus colligit. Ianuarius bifrons praeterita futuraque concernit. Febrarius a
februo et plutone floreum ver revocat».
325
Cfr. LEONARDO GIUSTINIANO, Regulae artificialis memoriae, ed. cit.,
123: «De contrario. Duodecima per contrarium; hoc est: cum quod collocandum
est, non illud sed aliud sibi omnino ponimus, ut pro albo Aethiopem facias qui
dentes ostendat» e LODOVICO DA PIRANO, Regule memorie artificialis, ed. cit.,
219: «Idolum in toto dissimile per contrarium est quando ponimus unum pro eius
contrario; ut si volumus reminisci boni vel albi, ponimus malum et nigrum et
sic de aliis».
326
Cfr. MATTEO DA PERUGIA, Tractatus de memoria augenda per regulas et
medicinas, ed. cit., c. iiiv: «Tertium documentum dicit enim philosophus quod
ex uno similium contigit reminisci alterius, unde cum fuerimus obliti cogitare
de Virgilio nobis occurrit Homerus cum Averrois dicit quod memorari contingit
propter suum simile et ita debemus illud sepe revolvere et sic facile obliti
reminiscemus».
136 LODOVICO DOLCE
327
Bernardo Cappello (1498-1565) fece parte di uno dei più vivaci circoli
letterari veneziani, quello che si riuniva in S. Maria Formosa presso la casa di
Domenico Venier (1517-1582). Amico di importanti letterati (Alamanni, B.
Tasso, Bembo, Caro, Della Casa) e collaboratore del cardinale Alessandro Farnese,
il Cappello fu autore di rime che vennero raccolte insieme a quelle di altri in una
silloge curata da Dionigi Atanagi e pubblicate a Venezia nel 1556.
328
Padrone di casa e mecenate del già citato “ridotto Venier”, questo uomo
politico veneziano, allievo dell’umanista Egnazio, è ricordato anche come
volgarizzatore delle odi di Orazio e autore di rime di gusto bembesco; insieme
al Cappello compare nel ‘sogno del Monte Parnaso’ raccontato da Aretino in
una lettera a Gianiacopo Lionardi: «Visto il tutto, mi lascio menare a l’uscio del
giardin principale, e ne lo appressarmici veggo alcuni Giovani, Lorenzo Veniero
e Domenico, Girolamo Lioni, Fra. Querini, Francesco Badovaro e Federico, che
col dito a la bocca mi fer cenno ch’io venga piano» (P. ARETINO, Lettere, tomo
I, libro I, lettera 280, a cura di P. Procaccioli, Roma, Salerno 1997, 387). Sul
Venier e sui suoi rapporti col Dolce si veda CURA DI FILIPPO BAREGGI, Il Mestiere
di Scrivere. Lavoro intellettuale e mercato librario a Venezia nel Cinquecento, ed.
cit., passim.
329
Niccolò Perotto (1429-1480), collaboratore del cardinal Bessarione e
poi segretario apostolico e arcivescovo di Siponto, è noto come traduttore di
classici greci e latini (Plutarco, Polibio, Marziale, San Basilio) e come autore di
opere di grammatica e filologia.
330
Descrivendo minuziosamente i momenti della vita di Carlo V, Dolce
si sofferma sugli uomini illustri nelle scienze e nelle lettere vissuti all’epoca
dell’imperatore spagnolo, fra i quali ricorda «Aldo Manuzio Romano, che con
la sua industria restituì molti libri Greci e Latini alla loro vera lezione, avendo
sempre nella sua Accademia i primi huomini d’Europa» (L. D OLCE, Vita
dell’invittissimo e gloriosissimo imperador Carlo Quinto, ed. cit., 170); con pari
DIALOGO DELLA MEMORIA 137
parimente averrà di tutti gli altri habiti così intellettuali come mo-
rali. L’effetto finalmente di ciascuno che opera dinota l’operatore:
come l’arare l’agricoltore, il combattere il soldato, e lo scrivere il
notaio; così qualunque proprio gesto: come il lattare dimostra la
balia, e parimente delle altre cose simili; e per recar le molte parole
in una, i riferimenti scambievolmente si allogano nella nostra me-
moria. Chiamo riferimento quello che necessariamente un’altra cosa
riferisce, cioé dinota e rappresenta (come, se pongo questa voce
«padre», s’intende anco posto il figliuolo, se il padrone altresì il
servo); percioché dal principio si ha rispetto al fine, e dal mezo
all’uno et all’altro, e così dal maggiore al minore e dalla ugualità,
che amendue esclude. Delle quali tutte cose lungo sarebbe l’addur-
re esempi, i quali agevolmente si possono cavar da quello che s’è
detto. Eziandio la cosa accidentale e la propria si noterà nel suo
soggetto: come nel Moro la negrezza, nell’Arabo il colore fosco,
nello Schiavone la rossezza, ne’ Francesi e Tedeschi la bianchezza, e
così negli altri; e che l’huomo sia risibile, annitribile il cavallo331; e
parimente daremo al suo soggetto qualunque proprietà e passione.
In che è sommamente da avertire che ciascun nome, che sostanza
significa, dinota specialmente due cose, cioè la sostanza e l’acci-
dente: come il Lupo prima ci dinoterà ‹l’›animale, e dipoi la voracità.
E questi così fatti nomi si vanno variando per paragone a guisa de
gli aggettivi; o che siano propri come: costui è più Alessandro di
Alessandro, cioè più valoroso; overo comuni come: Gasparo è più
bestiale di ogni bestia, più Asino di ciascun Asino. Per questi adunque,
e per quelli che da questi si traggono, così aggettivi come verbi e
partecipi, basterà aver posto il primitivo. Percioché la natura del
primitivo abbraccia virtualmente la forza del relativo.
FABR. Basti di ciò aver fin qui detto. Hora insegnatemi a formar le
imagini, secondo il partimento loro, in vocali, reali e miste.
HOR. Questo voleva far io. E dico che avendo noi insino a qui
dimostro che si possono formare imagini con proprio e metaforico
modo di lettere, di sillabe e di parole, qui era da aggiungere per la
qual via possiamo formar generalmente vocali reali e composte
imagini; dipoi, più particolarmente, applicando il modo alle parti
loro soggette. Imagini vocali chiamiamo alcune note di lettere, sil-
labe, parole, overo ragionamenti (ancora che queste cotali note fos-
sero di lingua Greca, Hebrea e Barbara); overo ch’elle siano signifi-
cative o affatto senza alcun significato, percioché le imagini delle
cose significative si potranno far per iscrizione, finzione, o parago-
ne. Ora, quanto alla comune formazion di tutte, di che qui inten-
diamo di ragionare, si ricerca se la somiglianza della voce, che è
della imagine alla cosa imaginata, sarà (per così dire) omnimoda,
non sia soggiacente a veruna difficoltà: come volendo ricordarci di
Giovanni porremo un altro di quel nome. E dove non avenga tale
conformità, conformisi almeno in una sola lettera (come Giovan-
ni, Giacomo, e simili) et alhora con l’aggiungervi un’altra parola si
potrà supplire: come se per Giovanni si porrà Giacomo, il quale
porga delle uova a un Francese, che tenga delle ortiche in bocca; né
importa che si empia ciò che manca o con sillabe latine, o di altro
idioma. Ma quando la cosa e la sua imagine si conformeranno nel-
la prima sillaba, come Giovanni e Giobbe (ma più agevolmente), si
supplirà con l’addizione: come ponendo Giobbe a favellar con Rado,
nome commune alla maggior parte de gli Schiavoni; così per David
un Daco, o Daniello, o Damasceno, che porti in mano una vite, o
faccia altra cosa. E di qui averrà facilissimo il trovar delle imagini.
Se la prima sillaba converrà con la imagine di quello di che ricordar
ci vorremo, quello che resta parimente con l’aggiunger d’un’altra
imagine verrà a compirsi. Farannosi anco questi aggiungimenti per
iscrizione o per altri modi. Aviene anco molte volte che la imagine
in alcune sillabe convien con la cosa; ma alcune tuttavia sovrab-
bondano. In che è uopo che si usi la via del sottraggere in guisa che
almeno col solo nostro discorrimento e pensiero si levi il soverchio332.
332
Cfr. LODOVICO DA PIRANO, Regule memorie artificialis, ed. cit., 220:
«Idolum partim simile per diminutionem. Est diminutio quando pars rei principalis
ponitur pro prima sillaba illius nominis. Ut gratia exempli: si ego ponerem
caput roberti pro ista sillaba ro, vel caput francisci pro ista sillaba fran, etc. Alio
modo posset intelligi, si poneretur pars nominis ut redduceremus ad memoriam
totum nomen, ut pro robertus bertus, quod est pars diminuta eiusdem nominis,
et pro francisco ciscus».
DIALOGO DELLA MEMORIA 139
333
Si veda L. DOLCE, Dialogo nel quale si ragiona della qualità, diversità e
proprietà dei colori, ed. cit., c. 39r (Cornelio sta spiegando a Mario cosa significa
donare un determinato oggetto, in questo caso una castagna): «MAR. La casta-
gna, o foglie, o frutto, o nel rizzo? COR. Amor casto; ma che punge, occul-
tamente, di lui non se ne godendo».
334
Carminum proverbialium, totius humanae vitae statum breviter
delineantium, necnon utilem de moribus doctrinam iucunde proponentium, Loci
communes. In gratiam iuventutis selecti, addita plerumque interpretatione
Germanica, n. 4, Basilea, Ex officina Oporiniana 1576, s.i.p.: «Arbor inest silvis,
que scribitur octo figuris: / Fine tribus demptis, vix unam in mille videbis».
335
OVIDIO, Amores, I, VIII, 43-44: «Casta est quam nemo rogavit; Aut, si
rusticitas non vetat, ipsa rogat». Il verso ovidiano era già comparso in un’altra
opera del Dolce, il Dialogo piacevole in difesa d’i male avventurati mariti, in cui
l’Aretino, enumerando le virtù degli uomini e in contrapposizione i vizi delle
donne, ricorda detti memorabili di suoi contemporanei, fra i quali egli cita
140 LODOVICO DOLCE
anche «il mio compare Messer Lodovico Dolce» che costantemente aveva sulle
labbra l’ovidiano «Casta est quam nemo rogavit» (L. DOLCE, Dialogo piacevole
nel quale Messer Aretino parla in difesa d’i male avventurati mariti, Venezia,Curzio
Navò 1542, c. 8v-9r).
336
Cfr. LODOVICO DA PIRANO, Regule memorie artificialis, ed. cit., 220:
«Idolum partim simile per transpositionem litterarum vel sillabarum: ut si ego
ponerem maro pro Roma, ave pro Eva et mora pro amor» e LEONARDO GIUSTINIANO,
Regulae artificialis memoriae, ed. cit., 122: «De transpositione. Nona per
transpositionem; et est multiplex, ut ex his dillucide patet: patum aptum – pastu
stupa – saca casa – roma amor – specalum spelunca – estalum mustela. Haec est
pulcherrima et subtilissima collocandi ratio; quam sicuti sciemus et valebimus,
ignotissima verba et quemlibet sermonem barbarum et inconditum, qui nulla
ex parte aliquid significet, facile optimeque recordabimur».
DIALOGO DELLA MEMORIA 141
337
sincathegoremati delle seconde intenzioni: nella logica tradizionale i ter-
mini sincategorematici sono tutte quelle espressioni che non sono dotate di un
significato autonomo e che assumono un senso solo se associate ai termini
categorematici, o oggetti (prime intenzioni); ad esempio: e, o, se, allora, etc. Cfr.
LODOVICO DA PIRANO, Regule memorie artificialis, ed. cit., 219: «Sine alphabeto
fit quando imponimus aliquas res ad significandas dictiones sincategorematichas,
ut sunt signa verbalia et particularia ut…, et ut sunt nomina distributiva, rela-
tiva, adverbia et omnes partes indeclinabiles ut prepositiones, adverbia,
interiectiones et coniunctiones, ut puta si ego imponerem unum ligonem ad
significandam hanc coniunctionem et; nam volens facere memoriam huius
coniunctionis et oportet abstrahere idolum a ligone in suo loco posito. Simili
modo si ego imponerem lucernarium pro ista propositione ad, extrahere posset
idolum a lucernario in suo loco posito, et sic de aliis».
338
Cfr. L. DOLCE, Dialogo della istitution delle donne, secondo li tre stati che
cadono nella vita humana, ed. cit., c. 69r: «Et la Tortora, avendo perduto sua
compagna, non beve d’altra acqua che di torbidi e fangosi stagni, né si ferma se
non sopra rami secchi o spogliati delle lor foglie, né più si mescola con gli altri
uccelli allegri e festevoli della sua specie. Onde Salomone volendo significare
amor casto e santo fa della sposa (cioè della Chiesa) comparazione quando a
Colomba e quando a Tortora». Per la regola generale si veda LODOVICO DA
142 LODOVICO DOLCE
porrei questo tale. Nella guisa che anco praticando con certo scola-
re, che ogni tratto ragionando soleva dire «Ecco, ecco», mi valeva
di allogar costui per queste due voci. Né resterò anco di dire che,
essendo io giovanetto uditore qui in Vinegia dello Egnazio342 et
PIRANO, Regule memorie artificialis, ed. cit., 220: «Idolum partim simile per
transuptionem: fit idolum figurative transumptum, ut si ego ponerem florem
pro odore, lupum pro tiranno, agnum pro humili, Neronem pro crudeli et pro
columba simplicem».
339
anfibologia: discorso o modo di dire che può essere interpretato in due
o più modi diversi.
340
Si è corretta l’erronea attribuzione ad «Horazio» che Dolce fa del verso,
ricorrendo a GIOVENALE, Satire, I, 160: «Cum veniet contra, digito compesce
labellum».
341
PETRARCA, Canzoniere, CCCXXIII, 72: «Ahi, nulla, altro che pianto,
al mondo dura!».
342
Noto col nome accademico di Battista Egnazio, Giambattista Cipelli
(Venezia 1478-1553) fu un personaggio assai importante nella vita culturale
veneziana del primo Cinquecento. Introdotto nello studio delle lettere da Bene-
detto Brugnoli e della filosofia da Vincenzo Bragadin, a 18 anni aprì nella sua
casa una scuola privata di lettere che riscosse fin da subito ampio consenso.
Profondo conoscitore delle lingue classiche, all’attività di maestro accompagnò
quella di filologo, attirando così la gelosia del maestro umanista Sabelico che
DIALOGO DELLA MEMORIA 143
Così parimente trovai per queste parole latine: Amice lava, comede,
bibe, sollaciare, solve, vade; che vuol dire: Amico lavati, mangia e
bei, datti buon tempo, paga, e va’ con Dio.
343
insiememente: ‘contemporaneamente’. Cfr. BOCCACCIO, Decameron,
Intr., 39: «Né fu una bara sola quella che due o tre ne portò insiememente, né
avvenne pure una volta, ma se ne sarieno assai potute annoverare di quelle che
la moglie e ’l marito, di due o tre fratelli, o il padre e il figliuolo, o così fattamente
ne contenieno»; cfr. anche L. DOLCE, Modi affigurati e voci scelte et eleganti della
volgar lingua, ed. cit., c. 42r: «Insieme, insiememente. La prima è del verso, la
seconda è delle prose. Né è da tacere che dal Petrarca fu usato inseme et insieme».
344
TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, II, II, q. 49, a. unic.: «Et sunt
quattuor per quae homo proficit in bene memorando. Quorum primum est ut
eorum quae vult memorari quasdam similitudines assumat convenientes, nec
omnino consuetas».
DIALOGO DELLA MEMORIA 145
345
Per l’analisi di alcune interazioni fra l’universo teatrale e la tradizione
dell’arte della memoria si vedano: F. A. YATES, The Theatre of the World, London,
Routledge and Kegan Paul 1978; L. BOLZONI, Teatralità e tecniche della memoria
in Bernardino da Siena, in «Intersezioni», IV, 2, 1984, 271-288; N. DAVIS, The
English Mystery Plays and the Ciceronian Mnemonics, in Atti del IV colloquio della
Société internationale pour l’étude du théâtre médiéval, Viterbo, Centro studi sul
teatro medioevale e rinascimentale 1984; S. SVIZZERETTO, Magia della tempesta
nel Teatro di memoria. Shakespeare, Fludd e una scena ermetica, Roma, Atanòr
1986; L. GENTILLI, L’Arte della Memoria, in Mito e spectacolo en el teatro corti-
giano di Calderòn de la Barca, Roma, Bulzoni 1991, 27-36; A. TORRE, Scena
Speranze. Il paradigma del teatro nell’arte della memoria rinascimentale, in «Scena‹e›.
Studî sulla vita delle forme nel teatro», V-VI, 2000, 9-32.
146 LODOVICO DOLCE
346
JACOPO PUBLICIO, Ars memorativa, II, ed. cit., c. 8r: «Insignia enim
cuiusque rei proprium vocabulum exquisitum referent. (...) Leo Marcus, aquila
Ioannes, vitulus Luce, angelus Mathei, cathene Leonardi, pectines Basilii, pellis
Bartholomei, claves Petri, retia Andreae, cocleae et galerus Iacobi».
DIALOGO DELLA MEMORIA 147
347
Cfr. L. DOLCE, Le Trasformationi, V, ottava 58: «Quivi fra molte giovani
e donzelle / La figliuola del Re [scil. Europa] stava a diletto, / Che bella potea
dirsi oltra le belle / Di persona così, come d’aspetto. / Né dipinse giamai Zeusi,
od Apelle, / Michel, né Titian sì raro oggetto, / Né degna d’aguagliare a questa
parmi / Opra d’antichi o di moderni marmi».
348
Si ricordino la dolciana Favola di Adone (Venezia, Giolito 1545) e la
lettera ad Alessandro Contarini in cui lo stesso Dolce descrive il dipinto, o
meglio «la poesia di Adone poco tempo adietro fatta e mandata dal divin Tiziano
al Re d’Inghilterra» (cfr. Nuova scielta di lettere di diversi nobilissimi huomini, et
eccellentissimi ingegni, ed. cit., 112).
349
Cfr. UGO DI SAN VITTORE, Didascalicon, III, V, ed. cit., 128: «In un
secondo tempo, se si offre l’opportunità, gli studenti leggano anche gli altri
scritti, poiché talvolta alternare cose più riposanti con altre più impegnative
procura piacere, e la rarità rende qualsiasi valore prezioso: ad esempio una frase
molto significativa impressiona di più la mente e viene più facilmente ricordata,
quando la si trova nel contesto di una favola».
350
Cfr. proprio la lettera di Dolce a «Messer Alessandro Contarini» rac-
colta nella Nuova scielta lettere di diversi nobilissimi huomini, ed. cit., 509-512:
«(...) Fu questa poesia di Adone poco tempo adietro fatta e mandata dal divin
Tiziano al Re d’Inghilterra. (...) percioché tra la serenità della guardatura, e il
mover della bocca, dimostra manifestamente l’intrinseco del suo animo; e tutto
poi serve in vece di parole. (...) Lo aspetto è parimente, qual si dee creder, che
fosse quello di Venere, s’ella fu mai: nel quale appariscono manifesti segni della
paura, che sentiva il suo cuore dell’infelice fine che al giovane avvenne. (...) Vi
giuro, Signor mio, che non si trova huomo tanto acuto di vista e di giudizio, che
veggendola non la creda viva: niuno così affreddato da gli anni, o sì duro di
complessione, che non si senta riscaldare, intenerire, e commuoversi nelle vene
tutto il sangue». Sui rapporti tra Tiziano e Dolce, e, in particolare, sull’impor-
tanza del volgarizzamento dei classici latini per le «poesie» del Maestro venezia-
no si veda C. GINZBURG, Miti, emblemi, spie, Einaudi, Torino 1986, 133-157:
la lettera al Contarini è secondo Ginzburg «una chiara testimonianza di come
la valutazione estetica in termini di verosimiglianza trapassa insensibilmente
nell’apprezzamento, quanto mai esplicito, delle virtù di stimolazione erotica del
dipinto» (138).
351
Cfr. L. BOLZONI, La stanza della memoria. Modelli letterari e iconografici
nell’età della stampa, ed. cit., 244: «Il libro figurato, ci avverte dunque il Dolce,
oltre alle immagini dei pittori, può offrire modelli e materiali per le immagini
della memoria. È uno dei modi in cui si realizza un paradossale equilibrio fra arte
della memoria e stampa, si attua cioè una collaborazione fra un’antica esperienza
e la moderna tecnologia che l’avrebbe a poco a poco svuotata di senso».
148 LODOVICO DOLCE
352
Fabio Planciade Fulgenzio, erudito latino operante in Africa nel V sec.
d. C., è autore di quattro curiose opere tutte caratterizzate da una singolare
reinterpretazione dei classici, e dell’edificio mitologico che essi presuppongono,
alla luce della Verità del cristianesimo. l’Expositio Vergilianae continentiae è un
dialogo in cui Virgilio svela le allegorie riposte sotto i versi dell’Eneide; il De
aetatibus mundi et hominis ripercorre la storia del mondo dalle origini, organiz-
zando il materiale storico mediante la tecnica - per alcuni aspetti mnemonica - del
lipogramma, per cui nel primo capitolo non compare mai la a, nel secondo manca
la b e così via; l’Expositio sermonum antiquorum illustra il significato di 76 parole
attraverso citazioni dai classici e il ricorso ad audaci etimologie; infine abbiamo
l’opera a cui con ogni probabilità fa riferimento il Dolce, ovvero i Mythologiarum
libri III, un’antologia di cinquanta racconti mitologici che cercano le motivazioni
scientifiche sottostanti ai racconti della religione pagana al fine di renderli
riutilizzabili anche dal mondo cristiano. Come ci testimonia la Yates (L’arte della
memoria, ed. cit., 89), le immagini mitologiche e le metafore poetiche, che Fulgenzio
trasse dalle favole degli dèi pagani, ebbero un enorme successo nel tardo Medio-
evo come suggestive imagines di memoria per sermoni morali e prediche: si pensi
al Fulgentius metaforalis del francescano inglese John Ridevall, vera e propria
«moralizzazione della mitologia di Fulgenzio, destinata ai predicatori».
353
Cfr. L. BOLZONI, Iconologia e arte della memoria, in «Arte Lombarda»,
XXXVIII, 3-4, 1993-1994, 118: «Col pieno Cinquecento (...) si attua, in Italia
e in Europa, un processo di costituzione e standardizzazione di modelli e di
repertori; a causa della divisione disciplinare che impera nelle nostre Università,
tendiamo a considerare separatamente il fatto che, a fine Cinquecento, si costi-
tuiscano i primi, grandi dizionari delle lingue moderne e si stampino dizionari
iconologici destinati a una lunghissima fortuna. Ma proprio il più celebre di
questi dizionari, l’Iconologia di Cesare Ripa ci invita a riflettere, a renderci conto
che si tratta di un unico processo, che coinvolge insieme le parole e le immagini.
(...) la tradizione dell’arte della memoria aveva concorso a delineare quel reper-
torio iconologico che il Ripa utilizza; nello stesso tempo l’intera opera del Ripa
potrebbe confluire in un trattato di memoria, più precisamente in quella parte
canonica in cui si danno esempi di imagines agentes, in cui si insegna a costruire
un repertorio di immagini memorabili pronte al riuso». Sulle numerosi e fertili
intersezioni fra arte della memoria, arti figurative e letteratura si vedano anche:
J. PH. ANTOINE, Ancora sulle virtù: la nuova iconografia e le immagini di memoria,
in «Prospettiva», 30, 1982, 13-29; ID., Ars memoriae – Rhetorik der Figuren.
Rücksicht auf Darstellbarkeit und die Grenzen des Textes, in Gedächtniskunst.
Raum – Bild – Schrift. Studien zur Mnemotechnik, ed. cit., 53-73; L. BOLZONI,
Costruire immagini. L’arte della memoria tra letteratura e arti figurative, in La
cultura della memoria, ed. cit., 57-98; G. SACCARO DEL BUFFA, Dalla narrazione
alla scena pittorica mediante le tecniche della memoria, ed. cit., 79-84.
DIALOGO DELLA MEMORIA 149
de gli Dei de’ gentili è ripieno delle discrizioni di così fatte imagini 354.
E ciascun buon Poeta e Pittore con più agevolezza si potrà servir
dell’ufficio di quest’arte, per la prontezza ch’egli avrà di formar così
fatte imagini per cagion della memoria. Ma per conto de’ Pianeti,
e de’ Segni dello Zodiaco specialmente, sono accommodatissime le
imagini d’Iginio, se noi c’imaginiamo ch’elle siano vive355. Potre-
mo anco per questi animali celesti riceverne di quelli che sono loro
simili de’ quali abbiamo cognizione e domestichezza: come per il
Tauro un toro, per l’Ariete un ariete, e così di mano in mano. I
nomi adunque delle sostanze, propri o comuni, come s’è detto,
poniamo con le loro imagini, che seco apportano: come per il pero
un pero, e per il pomo un pomo; cioè il frutto per il frutto e per
l’arbore l’arbore. Il che si osservi in tutti, se non che si faccia che
con questi l’huomo operi alcuna cosa, e se ne faccia fra loro alcuna.
E se averrà che siano maggiori di quello che essi convengano a i
nostri luoghi, né si possa porre una loro parte (come aviene in così
fatti terra, acqua, aere, fuoco, de’ quali basta a porre una parte),
facciansi le imagini a guisa delle sostanze a noi invisibili: come pel
cielo, alcuno che lo riguardi. Come sarebbe uno astrologo, overo
un’altra convenevole imagine. O per via d’iscrizione, e de gli altri
modi metaforici; il che comunemente si dèe osservare in tutte le
cose che si hanno ad applicare. Le nazioni da noi conosciute porre-
mo per le loro armi e per le insegne medesimamente delle loro
persone; e quelle che non sono, faremo ciò per i loro istrumenti,
come di sopra dicemmo. Basta anco negli huomini conosciuti il
porne uno per tutti: come per tutti i Mantovani, un solo Mantovano.
Parimente delle patrie, de’ Regni e luoghi: ché i noti si possono
allogar per gl’instrumenti, gl’ignoti per le insegne. Le cose artifi-
ciali altresì, se non saranno proporzionate a i luoghi, si potranno
rammemorar per gli artefici loro, percioché la cagione rappresenta
l’effetto, e l’effetto parimente la cagione. Là onde si potranno por-
re le cose minori, come sono vesti, sopravesti, cappelli, berette,
scarpe, e cose tali da se medesime et anco con l’artefice loro. Intor-
no alle accidentali è da serbar questo. Percioché il maestro di color
che sanno nel Trattato dell’Ente e della essenza dice questi non aver
354
Si veda La Genealogia de gli Dei de’ Gentili di Messer Giovanni Boccaccio,
con la spositione de’ sensi allegorici delle favole et con la dichiaratione dell’historie
appartenenti a detta natura. Tradotta per Messer Gioseppe Betussi da Bassano,
Venezia, appresso Giacomo Sansovino 1547.
355
L’opera in questione è il già citato De Astronomia di Caio Giulio Hyginio.
150 LODOVICO DOLCE
356
Cfr. TOMMASO D’AQUINO, L’Ente e l’essenza, 6 (si è utilizzata l’edizione
Rusconi, Milano 1995): «Diffinitionem autem ‹accidentes› habent incompletam,
quia non possunt diffiniri nisi ponatur subiectum in eorum diffinitione; et hoc
ideo est quia non habent esse per se absolutum a subiecto, sed sicut ex forma et
materia relinquitur esse substantiale quando componuntur, ita ex accidente et
subiecto relinquitur esse accidentale quando accidens subiecto advenit».
357
Cfr. ARISTOTELE, Metafisica, VII, 1031a: «È chiaro, pertanto, che si dà
la definizione soltanto della sostanza. Se si desse infatti la definizione anche delle
altre categorie, essa potrebbe aver luogo esclusivamente per aggiunzione, come
nel caso del dispari, giacché quest’ultimo non può essere definito ove si prescin-
da dal numero».
358
non mi penserò: cfr. L. DOLCE, Modi affigurati e voci scelte et eleganti della
volgar lingua, ed. cit., c. 8r: «Suolsi dire comunemente Io vado, io sto, io credo,
e così fatti; ma la polita Lingua Thoscana, con certo modo leggiadro e dilettevole
alle orecchie, vi aggiunge per lo più la particella Mi».
DIALOGO DELLA MEMORIA 151
359
JACOPO PUBLICIO, Ars memorativa, II, ed. cit., c. 7r: «Si mixtam
substantiam memorari cupis, epigramata aut species resoluta enodabit. Centauros
enim et chimera, species nobis facile evolvent».
360
intergezioni: cfr. L. DOLCE, I quattro libri delle Osservationi Gramma-
ticali, I, ed. cit., 116: «Le intergezioni, parte ancora ella della Volgar Gramma-
tica, alle altre s’interpone per cagion di esprimere gli affetti e le passioni dell’ani-
mo; come ella ci dimostra nel nome».
152 LODOVICO DOLCE
361
JACOPO PUBLICIO, Ars memorativa, II, ed. cit., c. 7v: «Litterarum
adiunctione cominutione, detractione et alteri adiunctione memoria excitabit».
362
Un’altra soluzione ce la offre il Carrara, collegando fonicamente le
sconosciute parole straniere a termini apparentemente analoghi: «Septimum
est, ut cum ignota barbaraque nomina sumus servaturi, ea aut per quid simile
aut ipsas sillabas scribamus. Fiet hic locus clarior exemplo si servandus sit hic
sermo: Cimergot aender; primum considerare convenit utrum hii termini in
lingua nobis cognita quid significent; id si contingat, facilius scribentur; ferunt
enim Cimergot apud germanos deum significare; si id non contingat, alio fingemus
ingenio: lingua vernacula summitates arborum cimme noncupantur. Got apud
illustres venetos ciatum representat; fingito igitur cimmam unam mergi in ciato,
ciatumque ad undas illidi et fluitare, et ne ultima perdatur terminatio, et litteram
et undarum conflictum audiemus: sic Cimergot aender relegi facillimum est»
(G.M.A. CARRARA, De omnibus ingeniis augendae memoriae, cap. I, ed. cit., 116).
363
Lo Stefano da Lauro qui ricordato è forse quello Stephanus de Monte
autore di una Ars insolubilis docens de omnie scibili indifferenter disputare, pub-
blicata a Pavia nel 1490 per i tipi di Antonio de Beretis. La rarità dell’opera non
ci ha consentito un più preciso controllo testuale che fugasse ogni dubbio
sull’identificazione.
DIALOGO DELLA MEMORIA 153
364
Cfr. G. M. A. CARRARA, De omnibus ingeniis augendae memoriae, cap.
I, ed. cit., 109: «Quartum est, ut que multa collecturi sumus, quantum fieri
potest ad paucitatem brevitatemque reducamus. Nam, ut patet, si topichorum
universales propositiones in memoria habuerimus, facile erit ex eis ad particulares
materias argumenta formare, Ugo namque in didaschalione dixit aliter adiscentem
procedere, aliter memoraturum» e MATTEO DA PERUGIA, Tractatus de memoria
augenda per regulas et medicinas, ed. cit., c. iiv: «Nam que discimus oportet
perplura explicari et dividi, sed que volumus meminisse colligere et breviare
oportet. Unde peroptime dicitur ab Hugone in didaschalion: “Sicut ingenium
in dividendo investigat et invenit ita memoria colligendo custodit. Oportet ergo
ut que discendo divisimus commendando memorie colligamus”». Personalità
di spicco della filosofia scolastica agostiniana, lo scozzese Ugo di San Vittore
(1096-1141) fu autore di opere mistiche o riguardanti l’insegnamento della
filosofia: a queste si ascrive il Didascalion o Eruditionis didascalicae libri VII, vera
e propria introduzione alla filosofia ed esposizione di un metodo che, sottoli-
neando l’indispensabilità di ogni sapere, si propone di mostrare la perfetta
congruenza di ragione e fede. Sui rapporti con l’arte della memoria si vedano
G.A. ZINN, Hugh of Saint Victor and the Art of Memory, in «Viator», V, 1974,
211-234; I. ILLICH, Von der Prägung durch das Schriftbild. Überlegungen zur
Arche Noah des Hugo St. Victor, in Mnemosyne. Formen und Funktionen der
kulturellen Erinnerung, ed. cit., 48-56 e M. CARRUTHERS, The Book of Memory,
ed. cit., passim.
365
Il riferimento dolciano è qui probabilmente alle prolusioni latine te-
nute dal Poliziano all’apertura dei corsi universitari.
DIALOGO DELLA MEMORIA 155
nel quadrangolo per dar ricordo della loro qualità. Il soggetto del-
l’Aritmetica non è alcun che dubiti che sia il numero semplice-
mente preso, e della Musica il numero quando è sonoro. Che della
Geometria sia la materia l’assoluta grandezza, e la circolare del-
l’Astrologia, lo dimostrano le lettere scritte nelle cose. La Fisica
ancora, overo naturale, sotto la quale si contiene la Theorica della
Medicina, è scritta da Aristotele in diversi libri: come ove egli tratta
Del Fisico udito, Del cielo e del mondo, Della generazione e corruzio-
ne, ne’ libri Delle Meteore, De’ minerali e De gli elementi. Così
parimente in quei Dell’Anima, De gli animali e delle piante, Del
senso e sensato, Della memoria e della reminiscenza, Del sonno e della
vigilia, Della vecchiezza e della giovanezza. Oltre a ciò Della respira-
zione et ispirazione, e nel libro Del nutrimento e nutribile, Della
sanità et infirmità, Del movimento del cuore, Della morte e della vita.
E perché così fatta scienza considera della natura, l’abbiamo voluta
raccordar per questa figura N, di cui il T, che è in mezo, è nota
della speculazione. Ma l’Ente soggetto mobile, e’l corpo della me-
dicina, che è intorno al sanare, come significano le lettere inscritte
all’N, e la Metafisica, che è delle sostanze astratte, le quali sono e
più perfette e più semplici (per questo le raccordiamo per la O,
ch’è figura simplicissima circolare, overo di tutte perfettissima). Ora
la dottrina ispirata da DIO, la qual si contiene nel vecchio e nuovo
testamento, che è chiamata Theologia, avendo DIO per soggetto,
è dinotata per D e T. Ma quella che fu trovata per industria
dell’huomo, da Aristotele e da Avicenna più volte Prima Filosofia
chiamata, ha l’Ente, in quanto è Ente per soggetto: e ciò è dimo-
stro dalla E, e dalla M. E perché amendue sono speculative, con la
T le loro qualità significhiamo. La Pratica ancora, che è parte di
filosofia, o è attiva o fattiva. L’attiva Aristotele in Ethica, Politica,
et Economica divide. Da lui non abbiamo la Monastica. Là onde
tutte le altre parti vogliamo rammemorar per la M. Di cui una
parte dinota il soggetto dell’Ethica essere il sommo bene, l’altra
dell’Economica la Republica de’ cittadini, e la terza, della Politica,
la Republica della Comunanza de’ Regni e delle Provincie. E per-
ché parte secondo alcuni sono speculative e parte pratiche, piacqueci
di dinotarlo per la T, e per la P. Sotto queste si comprendono i
Canoni e le Leggi. La parte fattiva l’abbiamo che è di sette arti
mecaniche: che sono lanaiuoli, facitori di armature, l’arte del navi-
gare, l’agricoltura, la medicina, la cacciagione, e l’appartinente a’
Theatri; l’abbiamo rinchiuse in sette foglie d’arbori, come si vede
nella presente figura.
156 LODOVICO DOLCE
366
e...imagine: ‘e per questo motivo ogni scienza non può avere altra
immagine che quella creata per lei dall’intelletto’.
158 LODOVICO DOLCE
del nome
Predicazione della cosa
Comune Applicazion del nome
Continenza della cosa soggetta
Essenza Divina
Theologia
Attributi
Atti Cognizione
Forma Amore fruizione
Relazione Lodazione
Articoli
DIO Precetti
Sacramenti Aristotele
Sostanza
Metafisica
367
fatta: si riferisce all’intera immagine mnemonica della Teologia appena
tratteggiata.
DIALOGO DELLA MEMORIA 163
Positiva
Canonica
Civile
Consuetudinale
Theorica
Pratica
Militare
Giustizia Amare IDDIO Comparativa
Ragione
Honestamente Antica
vivere
A ciascuno dar Nova
quel ch’è suo
Alimenti Età
Complessioni Colore
Humori Naturali Figura Mascolo
Membra Distanza fra
Virtù fruire
Operazione Cibo
Specie Aere
Bere
Sonno
Vigilia
Esercizio
Sanità, cose non Azione
naturali Replezione, operazione
del corpo sensato
Vacuazione
Accidenza dell’anima
Infirmità
Contra Natura Causa
Accidente
Spera
Circolo maggiore
minore delle virtù
Astrologia
Zodiaco Cogitazione
Arco de’ moti
Quantità Segno
continua Grado
del mobile Minuto
Secondo
Terzo
Punto
Linea
Angolo
Figma larghezza
164 LODOVICO DOLCE
Geomoetria
Quantità
Quantità Cenno Cognizione della larghezza
continua de’ corpi
dell’immobile
Capacità
Lunghezza
Larghezza
Profondità
Piano
Sodo
Articolo
Aritmetica
Unità Dito
Numero Assoluto Numero
Par Composto
Impare
Annoverazione
Addizione
Sottrazione
Specie del numero
Mediazione
Specie del Dupplicazione
numero Moltiplicazione Sommare
Divisione Unità
Progressione col quadrato
Estrazione cubica delle radici
Altezza
Infinità
Mediocrità
Musica
Lunghezza
Brevità
Grossezza
Melodia Sottilezza
Apotone
Proporzion
di vocali Diesis
Accento di
consonanti Thono
Dithono
Diatesseron
Diapenthe Dilettazion nel canto
Diapason per la concordanza
Epitrito delle voci
Emiolio
Duplare
Triplare
Quadruplare
DIALOGO DELLA MEMORIA 165
Epogdono368
Invenzione
Disposizione
Bellezza delle Rhetorica forma Locuzione, movimento della
Parti
parole materia volontà al fine
fine Memoria
Pronunziazione
Termino
Cathegorema
LOICA
Lettera
Sillaba
368
Diatesseron, Diapenthe (…) Epitrito, Emiolio (…) Epogdono: termini
usati nel linguaggio musicale dell’antica Grecia e del Medioevo che rispettiva-
mente indicano: un intervallo di quarta, uno di quinta, un piede formato da tre
lunghe e una breve, un rapporto di 3/2, e uno di 9/8.
166 LODOVICO DOLCE
Ente
Ente in atto
Un in potenza
molto Ente
Semplice
Composto
Ente nell’anima Ente
Quiditativo
Fuori dell’anima non quiditativo
369
Cfr. I dieci libri di Architettura di M. Vitruvio tradutti e commentati da
Monsignor Barbaro eletto Patriarca d’Aquilegia, V, proemio, Venezia, Marcolini
1556, 128: «Bisogna adunque insegnando esser breve, perché la brevità soccorre
alla memoria, ma è necessario ancho provedere che la brevità non sia oscura,
perché si offenderebbe la intelligenza, e però per contentar la memoria e lo
intelletto, insegnando fa bisogno di brevità, e di chiarezza là dove ottimamente
Vitruvio dice in questo luogo, che le scritture de i precetti, cioè il dar precetti,
et ammaestramenti scrivendo, se non si stringono, cioè se non si danno con
brevità, e con poche, et aperte sentenze non si dichiarino (ecco la chiarezza)
ponendovi impedimento la frequenza, cioè la inculcazione, dove s’oscura lo
intelletto, e la moltitudine, cioè la longhezza, dove si offende la memoria,
rendono dubbiose le cogitazioni di chi legge, e per cogitazione pare che Vitruvio
intenda le virtù più interiori dell’anima, che sono la memoria e lo intelletto».
DIALOGO DELLA MEMORIA 167
2 REALE
Trascendente
predicamentale
3 TRASCENDENTE
DIO
Creatura
Operazione
Uno
Vero
Bene
Cosa
ad alcuna cosa
4 PREDICAMENTALE
Sostanza
Accidente
mosche. Ecco che io ti pongo inanzi gli esempi, accioché più age-
volmente tu mi possa intendere: tu ancora farai il simile. Tutte
queste cose con una sola imagine et in uno stesso luogo non è
malagevole a porre: assai basti ad aver dimostra la via. Alcuni divi-
dono l’Ente Reale a questa maniera:
Ente Reale Semplice
Per sé DIO
Per accidente D’intelligenza, è essere et essenza
Per sé Fassi uno
secondo la sua natura Forme
secondo la causalità Sostanziali
Secondo la Natura Accidentali
Semplice Composto
Composto Di sostanza corporea
Di sostanza incorporea
10 Imperfette Argento
Impressioni Elettro
Ignee Cupro
Aeree Ottone
Acquee Rame
Miste Stagno
11 Aeree Piombo
Nella suprema regione 17 Perfetta
In quella di mezo Vegettabile
Nella bassa Sensibile
12 Nella suprema Imaginativa
Comete Razionale
Colonna piramidale 18 Vegetativa
Lancia Arbori
Candela accesa Herbe
Assub ascendente, overo come Gramigne
scintille di fornace. Fiori
Come stoppa accesa Semente
Come stella cadente lunga 19 Sensitivi
Candela accendente un’altra can- Vermini
dela Mosche
Lume precedente nella notte con Talpe
certo salto Conche
Stella cadente a terra Ostriche
Dragone volante 20 Imaginativa
Assub alcuna volta apparente, al- Terrestri
cuna volta no Acquatici
13 In quella di mezo Volatili
Tuoni Ignei
Folgori 21 Terrestrei
Lampi Ovi
Saette Buoi
Grandine Cavalli
Gragnuola Leoni
14 Nella parte bassa Lupi
Nubi Volpi, con gli altri
Pioggia 22 Acquatici
Neve Sturioni
Pruina Luci
Rugiada Carpioni
Nuvolo Varuoli
Nembo Scombri, e gli altri
15 Terrea 23 Volatili
Metalli Aquila
Solfo Guffi
Argento vivo Corvi, e gli altri
Pietre 24 Ignei
16 Metalli Salamandra
Oro
170 LODOVICO DOLCE
370
Fra i tanti inviti ad un uso frequente dei precetti mnemonici il più
stimolante sembra essere quello di CICERONE, De oratore, I, 34, 157: «Exercenda
est etiam memoria ediscendis ad verbum quam plurimis et nostris scriptis et
alienis; atque in ea exercitatione non sane mihi displicet adhibere, si consueris,
etiam istam locorum simulacrorumque rationem, quae in arte traditur. Educenda
deinde dictio est ex hac domestica exercitatione et umbratili medium in agmen,
in pulverem, in clamorem, in castra atque in aciem forensem; subeundus visus
DIALOGO DELLA MEMORIA 171
plar371 l’arte della memoria del continovo, non te ne farai per questo
maestro, se tu non t’affatichi di apprenderla per via dell’uso. Non-
dimeno non sarà senza utilità di venire hora a ciascun
predicamento, come a cosa che sia a bastanza intorno alla quanti-
tà delle specie; e somigliantemente verrò annoverando quelle del-
la qualità e de gli altri; ma quanto però a questo proposito per
hora potrà essere assai; se ne vorrai veder più pienamente leggerai
Harmando372. Somigliantemente Paolo Pergoleto373 piantò di que-
sti alcuni arbori, i quali perciò non hanno spiegati i rami quanto
doveano, come per aventura ho fatto io, in guisa che non è cosa
alcuna che non abbiamo fatto nel mezo al caldo del giorno starsi
nascosa sotto la loro ombra. Ora ricercando gli esempi, basti a
toccarne questi capi:
Quantità Ternario
Continua Quaternario, e gli altri
Discreta Qualità
Continua Habito, o disposizione
Linea Natural potenza, o impotenza
Superficie Passione o qualità passibile for-
Corpo ma, e intorno a questa alcuna co-
Tempo stante figura
Discreta
Binario
17 Enunziazione Sofistico
Cathegorica Necessario
Hipotetica 20 Imperfetto
18 Con discorso Enthimema
Perfetto Esempio
Imperfetto Induzione
19 Perfetto 21 Conduzione del complesso
Sillogismo Esser detto per sé
Formale Esser detto d’ogni cosa
Dialettico Esser detto di nulla
Reduplicazione
Le imagini di questi potrai far nella guisa che sopra dicemmo, se-
condo i numeri; et abbraccierai venti capi, i quali si potranno porre
in cinque overo in dieci luoghi, perché essi stiano nella memoria.
FABR. Nel vero mostri di aver cognizione di tutte le scienze.
HOR. Ora le imagini delle voci complesse, che de’ concetti e delle
sentenze diciamo, sono più agevoli al ricordare; e, come di sopra
ho detto, il tutto si ripone in questo: che le imagini non siano
ociose. Se adunque alcuna cosa opereranno, o si schermiranno del-
le altre offese, ci rappresenteranno i concetti interi. Il che ci verrà
fatto di leggeri, essendo che dalle cose semplici con molta agevolezza
si passa alle composte. E sì come avendo contezza di molti termini
con più prestezza si forma un parlamento, così da ciascuna imagine
più proposizioni eziandio formeremo. A che accresce molto di gio-
vamento con la catena della colleganza l’arte delle parole. Onde è
da schifar di non porre con soverchi luoghi un’abondanza vana e
soverchia parimente, come sarebbe il mettervi ogni parola (il che è
di maggior fatica che utile); percioché nelle cose composte la virtù
naturale più si unisce alla memoria che nelle semplici; e parimente
la virtù della memoria si acquista col mezo della natural industria.
E perché la imagine delle cose semplici subito dinota quello di che
vogliamo ricordarci, di qui (secondo il mio parere) molti s’ingan-
nano stimando che ciò basti senza il dono della memoria naturale,
essendo che l’arte, come ministra della natura, ferma i suoi fonda-
menti e supplisce a quello che manca. Essendo noi adunque per
raccorre il frutto di questa industria, se la Theorica si accompagne-
rà con la Pratica, e questi miei raccordi saranno approvati con l’uso
e con l’esercizio, sia cosa profittevole che ne’ composti s’aggiunga-
no generali avertimenti a i particolari, de’ quali disideriamo con-
servar memoria: come de’ semplici abbiamo copiosamente ragio-
174 LODOVICO DOLCE
nato, in guisa che questo sarà più agevole. Ogni orazione, o dicia-
mo parlamento, si compone di semplici voci, onde chi conoscerà
le imagini de’ termini, meglio collocherà i composti. In che sia
utile essere alquanto nel mio ragionar più particolare. Dico che
ogni maniera d’orazione o si piega con certe parole sciolte, che è
detto prosa, o con parole da certi numeri legate, e ciò è detto verso.
La orazione sciolta si partisce in proposizione, autorità, argomenti,
historie, concioni, collazioni, o sermoni al popolo. Ogni proposi-
zione si pone o per nota della questione, o è presa dai premessi.
L’argomentazione si forma dal sillogismo, dall’enthimema,
‹dall’›induzione, overo ‹dall’›esempio. Ogni orazione adunque, o
proposizione, overo autorità, quando è semplice, come a questo
luogo appartiene, fassi de’ termini significativi, la cui unione par-
torisce alcun tutto significativo; il qual tutto diciamo suo soggetto,
et assai sia a bastanza a por questo oggettabile, cioè principio della
proposizione o della autorità; percioché dal segnato si conoscerà il
segno, e da capo pel segno si dimostra la cosa segnata. Là onde in
qualunque orazione, o semplice et ignuda proposizione, la quale si
formi almeno dal nome e dal verbo se sarà intera (il che è detto del
soggetto e predicato), ponendo esso soggetto che alcuna cosa fac-
cia o patisca o si faccia intorno a lui, subito da quell’atto si ordinerà
il predicato; e per tal via si comporrà pienamente la orazione, o la
proposizione, eccetto la diterminazione, che si fa per i sincathego-
remi; ma agevolmente si occorreranno alla memoria per l’ordine
nostro. Percioché, se per questa orazione, o proposizione, Giovan-
ni scrive bene, m’imaginerò un Giovanni mio amico che scriva, per
la considerazion della sua scrittura si rappresenterà la qualità del-
l’atto; percioché, concedendo che la scrittura sia buona, necessa-
riamente ne seguirà la proposizione che Giovanni bene iscriva. Ma
nelle proposizioni estensi374 è bisogno riferir le cose alla cosa prin-
cipale, della quale oggettalmente elle sono, come in questa propo-
sizione: Gli Spagnuoli sogliono le più volte darci buone parole, ma i
fatti poscia con le parole non corrispondono. Quivi potrai porre alcu-
no di tal nazione375, il quale ti abbia pregato, che tu gl’insegnassi
l’arte della memoria, promettendoti i mari et i monti, ma non ave-
va nell’animo di attenersi alla promessa. Il che poi da te veduto,
potrai argomentar quel verso di Dante:
374
estensi: che si estendono dalla principale, ovvero le subordinate.
375
Nel testo di Host si afferma invece: «Itali dant bona verba, sed nec factis
verba probant» (Congestorium artificiosae memoriae, IV, VI, ed. cit., c. 64r).
Dolce salvaguardia la sincerità nazionale attribuendo agli Spagnoli la scarsa
propensione a mantenere le promesse fatte; ma questo non è l’unico caso in cui
DIALOGO DELLA MEMORIA 175
Dolce attacca la Spagna e il suo popolo: nel Dialogo della istitution delle donne
ad esempio egli ricorda la storia (esemplare per castità e rispetto del sacro vincolo
matrimoniale) di una donna veneziana che alle continue e insidiose profferte di
un gentiluomo spagnolo perfidamente rispose lei essere una cosa sola col ma-
rito, il quale doveva quindi essere il reale beneficiario di tali avances (cfr. L.
DOLCE, Dialogo della istitution delle donne, secondo li tre stati che cadono nella vita
humana, ed. cit., c. 41r). Questi sparsi accenni sono forse spie dei malumori e
dei timori veneziani per la crescente dominazione straniera sul territorio italia-
no, ricordata come un’inquietante ombra anche dalle parole del Nunzio nella
Didone (1547): «Ma così va, così è ragion, che pianga / Chi di Barbare genti si
fa servo» (L. DOLCE, Didone. Tragedia, atto III, scena V, ed. cit., 69).
376
DANTE, Inferno, XXVII, 110: «Lunga promessa con l’attender corto».
176 LODOVICO DOLCE
377
ragione: il termine va qui colto nell’accezione arcaica di ‘funzione o sede
dell’organo amministrativo della giustizia, cioè del tribunale’.
DIALOGO DELLA MEMORIA 177
Distinzione overo
Causa Chiosa
Questione Parola
Penitenza Libri di ragion Canonica
Consecrazione Decreto
Canone Decretali
Capitolo Sesto
Paragrafo, Clementine
379
di che: ‘di chi’.
DIALOGO DELLA MEMORIA 179
perché, per cagion di che, quanto, quale, dove, in che modo, e con
che; con quai termini possiamo dimandar qualunque cosa del
mondo; né è veruna proposizione, che venendo in dubbio, sotto
queste note non si comprenda. Se dunque conoscerai le loro natu-
re, facilmente potrai formar le imagini. Et eccoti questa forma:
Quistione Accidentale
Essenziale Quanto
Accidentale Quale
Essenziale Quando
D’incomplesso Ove di località
Di complesso Modo delle cose
D’incomplesso De gl’istrumenti
Se una cosa è Quanto continuo
Della quiddità della cosa che è Quanto discreto
Di complesso Quale
D’inherenza Proprio
Del soggetto al predicato: cioè per- Appropriato
ché è, per qual cagione sia il pre- Quando
dicato Eterno
Per qual cagione materiale Temporale
Di che formale Temporaneo
Perché efficiente Temporale
Da che finale Cose passate
Per cagion di che Presenti
Future
Ora, quanto s’appartiene all’incorporare de gli argomenti, essendo
ellino orazioni o proposizioni, si collocheranno a somiglianza di
questi, secondo le regole di sopra dette; se in quanto essendo ogni
argomentazione d’una proposizione dall’altra illazione, la quale si
fa o per sillogismo, induzione, et enthimema, overo per esempio,
sia utile lo avere imagini delle note della illazione (che sono «onde»,
«adunque», «per ciò», e così fatti) e le causali nelle condizioni (come:
se l’huom corre, egli si muove). Il rimanente si porrà nella guisa
delle proposizioni. La condizion de’ leggisti è o argomentar per
ragione, o con l’addurre il testo. La sostanza della ragione si collo-
cherà con le sue principali parole, e porransi i Canoni, e le leggi da
essi allegate secondo le regole dianzi dette. E quando quegli che
argoiranno380 addurranno il testo, porrai ciò per le parti sostanzia-
li, con modi delle historie e delle collazioni, se elle saranno lunghe;
e se brevi, a guisa de’ Filosofi. Ma quando la consequenza sarà buo-
380
argoiranno: ‘faranno delle asserzioni’.
180 LODOVICO DOLCE
basterà a porre alcun ladro, a cui sia tagliata la testa, e costui dimo-
stri con la mano Socrate. E questo altro:
ogni medico risana;
Girolamo è medico;
adunque Girolamo risana
381
sie: cfr. P. BEMBO, Prose della volgar lingua, III, L, ed. cit., 263: «e poi nel
tempo che corre, condizionalmente ragionandosi, Sia e Siano e Fora, voce del
verso, di cui l’altr’ieri si disse, che vale quanto Sarebbe, e Saria quello stesso, che
si disse spesse volte Sarie nelle prose; delle quali sono parimente voci Fie e Fieno,
Sie e Sieno, in vece delle già dette».
382
Cfr. il quattrocentesco Tractatus artis memorativae eximii doctoris artium
et medicinae magistri Girardi, in appendice a P. ROSSI, Clavis universalis, ed. cit.,
298: «Si vis memorari argumenta et quascumque orationes sillogisticas sufficit
pro quolibet argumento habere memoriam medii et ratio est quoniam, ut dicit
Aristoteles in primo priorum, medium est in virtute totus sillogismus»; cfr.
anche G.M.A. CARRARA, De omnibus ingeniis augendae memoriae, cap. I, ed. cit.,
116: «Sextum est, ut sylogimos reddituri medium terminum precipue
comprehendamus; eo cognito, modus figuraque sylogismi ipsum ordinem
propriorum verborum apportabit».
DIALOGO DELLA MEMORIA 181
Concedo Conseguente
Nego Maggiore
Distinguo Minore
Antecedente
383
ANONIMO, Tractatus solemnis artis memorativae, ed. cit., 295: «Argumenta
possumus congrue argumentibus applicare quibus absentibus locorum
custodibus affigantur. Si enim sologismus fuerit, maiorem dexterae, minorem
sinistrae accomodemus, aut potuerimus pro maiori tenere imaginem notatam
vel medii aut conclusionis».
182 LODOVICO DOLCE
Barbara Festino
Ferio Baroco
Baralypton Darii
Celantes Darapti
Dabitis Felapton
Fapesmo Dissamis
Celarent Datisi
Frisesmorum Bocardo
Cesare Ferison
Camestres
384
modi: i nomi sopra elencati sono quelli dei diciannove modi validi
(quelli in cui la conclusione segue davvero dalle premesse), in cui possono essere
ripartiti i vari tipi di sillogismo categorico. Questi modi sono a loro volta sud-
divisi in quattro figure a seconda della posizione occupata dal termine medio
nelle due premesse. I nomi dei modi non sono completamente casuali ma sono
stati scelti dagli Scolastici in modo da inglobare informazioni su quantità e
qualità delle premesse (basta osservare il tipo e la posizione delle vocali nella
parola), e sulla maniera in cui i modi della seconda, terza e quarta figura possono
essere derivati da quelli della prima (è qui necessario valutare la posizione delle
consonanti, soprattutto in relazione alle vocali). Tenendo presente che in questo
singolare sistema mnemonico le proposizioni universali affermative sono indi-
cate da a, le universali negative da e, le particolari affermative da i e le particolari
negative da o, il secondo sillogismo presente nel nostro testo (quello di ‘Girolamo’)
apparterrebbe ad esempio al tipo Darii.
385
La precettistica mnemonica incide sulle forme e sui metodi della pre-
dicazione «suggerendo un ordine dell’argomentazione particolarmente effica-
ce, l’osservazione dei concetti e degli “ammaestramenti” con immagini di gran-
de forza memorativa e, addirittura, la tendenza a stabilire ferme e solide connes-
sioni tra i “luoghi” mentali della memoria e la “disposizione spaziale” del discor-
DIALOGO DELLA MEMORIA 183
so, legata, non di rado, a precisi riferimenti topici» (C. VASOLI, Arte della memo-
ria e predicazione, in «Lettere Italiane», XXXVIII, 4, 1986, 479); sul rapporto
tra ars memorandi e ars praedicandi si vedano: C. DELCORNO, L’ars praedicandi
di Bernardino da Siena, in «Lettere Italiane», XXXII, 4, 1980, 441-475; J. BERLIOZ,
La mémoire du prédicateur. Recherches sur la mémorisation des récits exemplaires
(XIIIe-XVe siècles), in Temps, mémoire, tradition au Moyen Age, Publication
Université de Provence, 1983, 159-183; L. BOLZONI, Il Colloquio spirituale di
Simone da Cascina. Note su allegoria e immagini della memoria, in «Rivista di
Letteratura Italiana», III, 1, 1985, 9-65; G.R. EVANS, The Ars praedicandi of
Johannes Reuchlin (1455-1522), in «Rhetorica», III, 2, 1985, 99-104.
386
por: dipende dal ‘dèe’ della proposizione precedente.
184 LODOVICO DOLCE
387
Francesco...Pietro: i due nomi richiamano in modo più o meno diretto
il nome (Francesco) e il cognome (Pietro/Petrarca) dell’autore del verso.
DIALOGO DELLA MEMORIA 185
388
Cfr. MATTEO DA PERUGIA, Tractatus de memoria augenda per regulas et
medicinas, ed. cit., c. iiir: «Colligere autem est ut ea de quibus prolixi scriptum
et disputatum est ad brevem quandam et compendiosam summam redigamus.
(…) Idcirco dico quod memoria hominis hebes est et brevitate gaudet». Matteo
da Perugia riprende qui l’insegnamento di Ugo di San Vittore: «Mi esprimo
così, perché la memoria umana è limitata, predilige la concisione, e quando si
estende a molti oggetti, è meno efficace su un singolo argomento» (Didascalicon,
III, XII, ed. cit., 135).
389
Cfr. PIETRO TOMAI DA RAVENNA, Phoenix seu Artificiosa Memoria, ed.
cit., c. 10r: «Duodecima erit pulcherrima conclusio: ut aperiam quo pacto
numerorum imagines fieri debeant et pro omnibus numeris quos possumus
excogitare viginti tantum imagines inveni; illas ergo specialiter describam: pro
numero decem est mihi crux magna aurea vel argentea; pro viginti similitudo
litterae r ferrea vel lignea rei alicui rotunda coniuncta quia numerum viginti hoc
modo in charta scribimus 20; pro triginta similitudo illius figurae eodem modo
rei rotundae coniuncta; et sic usque ad numerum centum imagines habeo quae
decem sunt. Novem etiam imagines numerorum habeo incipiendo ab uno
usque ad numerum novem quas in digitis manuum hominis fabricavi».
186 LODOVICO DOLCE
390
Cfr. BOÈCE, Institution arithmétique, I, I, 5, a cura di J. Y. Guillaumin,
Paris, Les belles lettres 1995, 7: «[Arithmetica] Est enim sapientia earum rerum
quae vere sunt cognitio et integra comprehensio. Quod haec qui spernit, id est
has semitas sapientiae, ei denuntio non recte philosophandum, siquidem
philosophia est amor sapientiae, quam in his spernendis ante contempserit».
391
logar: ‘ordinare nei luoghi’.
DIALOGO DELLA MEMORIA 187
394
«Mercadante da libri» o «mercatorum librorum ad signum Gathe»,
Melchiorre Sessa fu uno dei protagonisti della straordinaria avventura dell’edi-
toria veneziana; seppur la sua produzione risulti notevolmente minore rispetto
a quella dei Giolito o dei Giunti, la cura nella pubblicazione e le originali scelte
editoriali ne fanno un interessante caso di editore-tipografo-libraio. Cfr. S. CURI
NICOLARDI, Una società tipografico-editoriale a Venezia nel secolo XVI, Firenze,
Olschki 1984.
395
Mercatante: cfr. L. DOLCE, Modi affigurati e voci scelte et eleganti della
volgar lingua, ed. cit., c. 125v: «È da avertire che ne gli approvati antichi scrittori
non si trova mercante, ma sempre mercatante, e così mercatantare e mercatanzia.
Parimente usarono i buoni prosatori, ricco mercatante, ricchissimo, grandissi-
mo, picciol, grande, leale, e di chiara fede. Così mercatantare».
DIALOGO DELLA MEMORIA 189
Qui porrai qualunque huomo, o donna, che tenga nella mano de-
stra una coda di pavone, e nella manca una bacchetta con due
annella, o pure il corno con cui batta una doppia croce posta pres-
so di lei, la qual significa venti; e sarà riposto l’anno. Dinanzi a così
fatti porrai nondimeno imagini nello stesso luoco, secondo la re-
gola di sopra data, in guisa che uno herbolaio cavi di mano della
figura la croce, onde egli sdegnato, gli sparga addosso argento vivo;
e con questo sia posto il giorno del mese. Dipoi t’imaginerai quivi
una tavola apprestata, nella quale sia posto un sacco di pepe et in
quella una croce da cui penda una stadera; e Pietro, prendendo la
croce, dimostri ad Antonio, che abbia un’ancora in mano, un ducato
che sia posto sopra quella tavola, et un altro divida col coltello. E di
poi si aggiungeranno imagini del 1520, e’l dì di Mercore del mese
di Giugno. E di ciò basti fin qui aver detto. Quando avesti vaghez-
za di ridire tutti i punti, che avesti tratto col dado, avrai i luoghi
apparecchiati alle mani, et in ciascuno porrai le imagini di ciascun
tratto. Come giuocando con due dadi non potrai trar punto alcu-
no che non sia 11, 12, 13, 14, 15, overo 16, e così di mano in
mano. Onde se trarrai nel primo gettar de’ dadi 11, per questo
tratto porrai uno che nel primo luogo tenga un dado in mano. Se
la seconda volta trarr‹ai› dodici punti, porrai nel secondo luogo
alcuno che con un altro favelli; e parimente per ciascun tratto por-
rai in ciascun luogo le sue imagini. E se il tratto sarà di cento, fia
mistieri di aver cento luoghi, in caso che tu non voglia allogare in
un luogo più imagini, secondo l’arte che di sopra insegnato abbia-
mo, o che tu non voglia nel tratto d’un solo allogar più numeri.
Ora, se tu vorrai raccordarti la somma di così fatti tratti, in ciò tu ti
valerai della memoria naturale: come sarebbe gettando un due, non
essendo più che un punto in uno e nell’altro due, agevolmente
potrai tenere nella memoria questa somma; onde ‹per› il primo
numero basterebbe a porre un giovane con un dado, e per il secon-
do un altro con due, e così di mano in mano.
FABR. Di questo non seguitar più avanti, ch’io intendo quel che se
ne può dire; segui del metodo ch’io debbo osservare nel giuoco
delle carte396.
396
A partire dal Quattrocento, divenute per il loro largo impiego elementi
del quotidiano, le carte offrono la loro doppia natura di oggetto (luogo fisico in
cui si può ‘allogare’ qualcosa) e simbolo (imagines ad alto potenziale evocativo)
a chi è in cerca di solidi ausili didattici o a chi si avventura in più o meno
complesse costruzioni divinatorio-filosofiche. Sulla spendibilità mnemotecnica
delle carte da gioco (vista anche come non secondario indizio dei complessi
190 LODOVICO DOLCE
Il Fine
398
Sulla funzionalità mnemonica del gioco degli scacchi si veda R.D. DI
LORENZO, The Collection Form and the Art of Memory in the Libellus super ludo
schacorum of Jacobus de Cessolis, in «Medieval Studies», XXXV, 1973, 205-221.
Già Quintiliano accomunava il gioco della dama e un’orazione in nome del
ruolo centrale giocato dall’ordine compositivo: cfr. QUINTILIANO, Institutio
Oratoria, XI, 2, 38: «An vero Scaevola in lusu duodecim scriptorum, cum prior
calculum promovisset essetque victus, dum rus tendit, repetito totius certaminis
ordine, quo dato errasset recordatus, rediit ad eum, quocum luserat, isque ita
factum esse confessus est: minus idem ordo valebit in oratione, praesertim totus
nostro arbitrio constitutus, cum tantum ille valeat alternus? Etiam quae bene
composita erunt, memoriam serie sua ducent».