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IL DEBT FINANCING E LE OPERAZIONI DI LEASING

Stefano Caselli

1. Premessa

L’entrata in vigore del Testo unico permette alle banche di intervenire in modo
completo nel processo di finanziamento delle imprese. I vincoli che limitavano, nella
vecchia legge bancaria del 1936, l’operatività oltre il breve termine sono rimossi a favore di
una libertà di intervento che può soddisfare i differenti fabbisogni di impresa. In particolare,
la possibilità di offrire servizi finanziari a durata protratta nel tempo consente alla banca di
sostenere le scelte di investimento di medio periodo dell’impresa, rafforzando di
conseguenza la relazione di clientela secondo un approccio più collaborativo che
transazionale.
Occorre a questo punto chiarire che cosa si intende per “scelte di investimento di
medio periodo” dell’impresa. In prima battuta, si può affermare che queste fanno
riferimento a tutte le forme di investimento aziendale in capitale fisso ossia in attività la cui
funzione non si esaurisce in un arco di tempo breve, ad esempio un esercizio, ma si estende
su più periodi successivi. Sotto questo profilo, l’investimento in capitale fisso può essere
analizzato in modo rigoroso con riferimento a tre aspetti : uno di tipo produttivo, uno di tipo
economico e uno di tipo finanziario.
Con riferimento all’aspetto produttivo, l’investimento in capitale fisso rappresenta
per l’impresa il momento dell’acquisizione di fattori produttivi permanenti e non
temporanei, quali sono invece le materie prime. In questo ambito, può allora manifestarsi
l’esigenza di acquistare impianti per la produzione dei beni oggetto dell’attività di impresa
piuttosto che immobili destinati a uso amministrativo o industriale, o ancora attrezzature e
brevetti per l’utilizzo di tecnologie. In tutti i casi citati, si coglie immediatamente il fatto che
i capitali fissi non esauriscono la loro utilità immediatamente ma la “cedono” lentamente nel
corso del tempo.
Dal punto di vista economico, l’investimento in capitale fisso non comporta un costo
immediato per l’impresa e di importo pari all’acquisto ma una distribuzione del costo totale
attraverso il processo di ammortamento. Ciò, peraltro, è coerente con la valenza pluriennale
dell’investimento, in quanto se il capitale fisso acquistato partecipa più volte al processo
produttivo o amministrativo dell’impresa è corretto che il costo di tale fattore venga
imputato a più di un esercizio. Un secondo aspetto delle caratteristiche economiche
dell’investimento in capitale fisso è legato sovente al profilo dei ricavi in quanto la
copertura dei costi sostenuti non avviene in via immediata ma progressivamente nel tempo
sotto forma di maggiori ricavi dell’impresa.
Dal punto di vista finanziario, l’acquisizione di capitali fissi produce un’uscita di
cassa immediata pari al costo del bene. In realtà, se l’impresa ricorre a una fonte esterna,
l’esborso diventa graduale ossia determinato dalle caratteristiche del piano di rimborso
prestabilito con il finanziatore.
Le caratteristiche degli investimenti in capitali fissi producono ricadute significative
sulle scelte di finanziamento che l’impresa deve compiere. Si comprende che la forma di
copertura dovrà necessariamente presentare alcuni requisiti di base, quali la scadenza
protratta oltre il breve termine, il piano di rientro programmato e coerente con i flussi in
entrata previsti.
Pur in presenza di elementi comuni, il finanziamento degli investimenti in capitali
fissi pone comunque l’azienda di fronte a fonti di finanziamento alternative che devono
essere selezionate sulla base del tasso netto imposte. Volendo offrire una esemplificazione
come guida alla scelta della copertura dell’investimento in capitale fisso osservate lo
schema proposto nella figura 4.1.

Figura 1. Le possibili modalità di finanziamento degli investimenti fissi dell’impresa

Mezzi propri

Acquisto Finanziamenti
definitivo bancari

Leasing
finanziario
Scelta del
capitale fisso
Leasing
operativo

Acquisto
temporaneo

Noleggio

Area delle decisioni di investimento Area delle decisioni di finanziamento

Dall’esame della figura emerge una prima distinzione importante : l’investimento in


capitale fisso può essere a titolo definitivo, ossia basato sull’acquisto della proprietà del
bene oggetto di investimento, oppure a titolo temporaneo in quanto l’impresa desidera
disporre del bene per un arco di tempo più o meno lungo ma senza acquistarne la proprietà.
Questa distinzione produce una ricaduta immediata sulle modalità di finanziamento in
quanto le forme di acquisto temporaneo del bene trovano copertura solo in contratti più o
meno assimilabili a quello di affitto (il noleggio, il leasing operativo): a fronte di un
pagamento periodico, l’impresa può disporre a tempo definito del bene. Viceversa, le forme
di acquisto a titolo definitivo richiedono una valutazione più articolata di fonti di
finanziamento significativamente diverse quali il leasing finanziario, il ricorso a proprie
disponibilità di cassa, l’indebitamento bancario a medio-lungo termine (il mutuo, strutturato
secondo differenti modalità contrattuali), l’emissione di prestiti obbligazionari e altre forme
cartolari (i certificati di investimento) fino a giungere all’aumento di capitale. E’ chiaro che
l’acquisto a titolo definitivo costituisce la vera forma di investimento dell’impresa. Per
questa ragione, in questo capitolo si analizzano le caratteristiche contrattuali e finanziarie
del leasing, per evidenziarne, successivamente, i criteri di valutazione del costo e le logiche
di confronto con il mutuo, con l’obiettivo di offrire una “guida” alla scelta dei finanziamenti
per l’impresa.
2. Il finanziamento attraverso l’indebitamento bancario: il contratto di riferimento del
mutuo

2.1. Le caratteristiche tecniche

La normativa presente nel Codice Civile (art. 1813) definisce il contratto di mutuo
come uno strumento finanziario con il quale “una parte consegna all’altra una determinata
quantità di denaro o di altre cose fungibili e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose
della stessa specie e quantità”. Le indicazioni suddette appaiono essere fortemente
generiche, tali da comprendere una pluralità di operazioni bancarie e non di varia natura,
con elementi tecnici anche molto differenti fra di loro.
Una valutazione della prassi operativa delle banche porta invece a individuare con il
termine di mutuo uno strumento finanziario di consolidata applicazione e chiaramente
definito sia negli aspetti contrattuali delle obbligazioni attribuite ai contraenti sia sotto il
profilo economico. Con esso si fa riferimento a una forma di prestito a medio-lungo termine
erogata dalla banca in un’unica soluzione, in corrispondenza della quale il mutuatario è
obbligato a corrispondere una successione di versamenti periodici. Le somme periodiche
erogate dal mutuatario – definite rate – sono destinate al pagamento degli interessi e al
rimborso del capitale prestato dalla banca secondo un piano di ammortamento definito al
momento della stipulazione del contratto. Peraltro, proprio la presenza di un piano di
ammortamento da definire nelle sue caratteristiche costitutive permette di generare una
elevata quantità di soluzioni contrattuali che soddisfino il profilo di cassa dell’impresa.
La restituzione della somma prestata dalla banca con il contratto di mutuo e il
pagamento degli interessi maturati durante il periodo del prestito può assumere forme
differenti. In questo senso, per sviluppare una corretta valutazione del contratto esaminato
occorre mettere in luce le relazioni esistenti fra le principali variabili che definiscono nel
loro insieme la struttura tecnica del mutuo. Esse sono riferite ai seguenti elementi:

i) importo della somma corrisposta dalla banca al cliente;


ii) tasso al quale vengono calcolati gli interessi dovuti;
iii) durata del prestito;
iv) tipologia del piano di rimborso adottata.

Con riferimento alla tipologia del piano di rimborso adottata, è necessario osservare
che il versamento effettuato dal mutuatario ad ogni scadenza periodica stabilita dal contratto
(t) risulta essere una rata posticipata (R t) composta da una quota capitale (C t) e da una quota
interessi (It). In termini analitici possiamo allora scrivere:

Rt = Ct + It

La quota capitale (Ct) è rappresentata dal singolo versamento effettuato in ogni


periodo dal debitore, in modo che la sommatoria delle singole quote capitale possa
corrispondere all’importo della somma erogata dalla banca (C) a titolo di prestito.
n
C =  Ct
t=1
Per la determinazione della quota interessi occorre introdurre invece il concetto di
debito estinto e di debito residuo. Il debito estinto (DE t) costituisce la parte del debito già
restituita dal mutuatario, in modo che la somma fra la quota capitale versata al periodo t (Ct)
e l’importo del debito estinto nel periodo antecedente t-1 (DEt-1) possa essere uguale alla
somma delle quote capitali corrisposte fino al periodo t. Il debito residuo (DR t) rappresenta
l’ammontare delle quote capitali ancora da versare al periodo t ed è quindi pari alla
differenza fra il debito totale e il debito estinto. In termini analitici, le due relazioni possono
essere così raffigurate:
t
DEt =  Ck = DEt-1 + Ct
k=1

DRt = DRt-1 - Ct = C - Dt

La quota interessi (It) da versare in ogni periodo è allora determinabile in relazione


all’importo del debito residuo del periodo precedente (DR t-1). Rappresenta di conseguenza
l’interesse maturato, secondo il tasso i convenuto nel piano di rimborso, nell’intervallo di
tempo che intercorre fra il pagamento di due rate successive. Da ciò si osserva che deve
sussistere una corrispondenza diretta fra il tasso periodico di capitalizzazione (mensile,
trimestrale, annuale) e la frequenza della rata.

It = DRt-1 * i

La struttura delle relazioni fra le variabili che definiscono il contratto di mutuo può
essere applicata al seguente esempio. Si consideri un finanziamento decennale di 200.000
euro erogato dalla banca a un tasso di interesse annuo del 13% e rimborsabile dal debitore
con rate annuali posticipate, caratterizzate da quote capitali pari a 40.000 euro nel primo
anno, a 20.000 euro dal secondo e nei successivi sette anni e a 10.000 euro negli ultimi due.
La procedura di calcolo può essere schematizzata secondo la logica riportata nella tabella
4.2 applicabile a qualsiasi piano di ammortamento.

Tabella 2. La struttura di riferimento del piano di ammortamento di un mutuo


Periodi Quota capitale Debito estinto Debito residuo Quota interessi Rata periodica
0 - 0 C - -
1 C1 C1 C - C1 I1= iC C1 + I1
...... ..... ..... ..... ..... .....
k-1 Ck-1 DEk-1 DRk-1 ….. …..
K Ck DEk-1 + Ck DRk-1 - Ck Ik = i DRk-1 Ck + Ik
..... ..... ..... ..... ..... .....
n-1 Cn-1 DEn-1 DRn-1 In-1 Cn-1 + In-1
N Cn C 0 In Cn + In

Le variabili che costituiscono il piano di ammortamento sono infatti disposte secondo


una sequenza che consente, introdotte le quote capitale, di determinare: il debito estinto,
come somma delle quote capitale già versate; il debito residuo, come differenza fra
l’importo complessivo del prestito e il debito già estinto; la quota interessi sulla base del
debito residuo del periodo antecedente; la rata periodica come somma della quota capitale e
della quota interessi. A questo schema corrispondono, con riferimento all’esempio numerico
proposto, i seguenti valori:

Tabella 3. Un esempio numerico relativo alla costruzione del piano di ammortamento di un


mutuo
Periodi Quota capitale Debito estinto Debito residuo Quota interessi Rata periodica
0 - 0 200.000 - -
1 40.000 40.000 160.000 26.000 66.000
2 20.000 60.000 140.000 20.800 40.800
3 20.000 80.000 120.000 18.200 38.200
4 20.000 100.000 100.000 15.600 35.600
5 20.000 120.000 80.000 13.000 33.000
6 20.000 140.000 60.000 10.400 30.400
7 20.000 160.000 40.000 7.800 27.800
8 20.000 180.000 20.000 5.200 25.200
9 10.000 190.000 10.000 2.600 12.600
10 10.000 200.000 0 1.300 11.300

La struttura del piano rimborso sopra analizzata può essere peraltro adattata ai
differenti piani di ammortamento stabiliti dalla banca al momento dell’erogazione del
prestito. Con riferimento agli schemi contrattuali tipici, comunemente adottati nella prassi
operativa, è opportuno mettere in luce la tipologia caratteristica riferita all’ammortamento
francese (o progressivo).
L’ammortamento francese rappresenta la forma di piano di rimborso utilizzata con
maggiore frequenza dalle banche nella concessione di prestiti a medio-lungo termine.
L’elemento distintivo dell’ammortamento francese è costituito dal versamento da parte del
debitore di rate posticipate periodiche, costanti per tutta la durata del finanziamento. Al
riguardo, si può osservare che le quote capitali devono necessariamente risultare crescenti in
quanto la progressiva riduzione del debito residuo determina una quota interesse via via di
importo decrescente.
Lo schema di riferimento per la costruzione del piano di ammortamento francese è
rappresentato dalla relazione fra l’ammontare del prestito erogato e le rate in quanto la
somma mutuata è uguale alla sommatoria delle rate costanti attualizzate pagate dal debitore
in ogni periodo. In termini analitici si ha:

-1 -2 -n
C = R (1 + i) + R (1 + i) + ..... + R (1 + i)

e quindi si ottiene:
n
C= Rt
t=1 (1 + i)t
da cui si ha
n -t
R=C(1+i)
t=1

che consente di determinare l’importo della rata costante posticipata, dato un certo capitale
C e un tasso di interesse periodico i.
Dalla relazione suddetta si può osservare che le quote capitali crescono secondo un
ammonatre costante pari a ( 1 + i ). Attraverso alcuni passaggi che collegano le variabili
caratteristiche del piano di ammortamento si ottiene:

Ct+1 - Ct = (R - It+1) - (R - It) = It - It-1 =

= i DRt-1 - i DRt = i Ct
da cui si ha successivamente:

Ct+1 = Ct (1 + i)

che mette in luce l’andamento crescente delle quote capitali secondo il fattore ( 1 + i ).
Sulla base degli strumenti di calcolo sopra riportati è possibile costruire il piano di
rimborso secondo l’ammortamento francese con riferimento al seguente esempio numerico:
mutuo decennale di euro 100.000, rate annue e tasso di interesse annuo del 7%. In
particolare, si ha:

Tabella 4. Un esempio numerico relativo alla costruzione di un piano di ammortamento


francese
Periodi (anni) Rata periodica Quota capitale Quota interessi Debito estinto Debito residuo
0 - - - 0 100.000
1 14.238 7.238 7.000 7.238 92.762
2 14.238 7.744 6.493 14.982 85.018
3 14.238 8.286 5.951 23.269 76.731
4 14.238 8.867 5.371 31.135 67.865
5 14.238 9.487 4.751 41.622 58.378
6 14.238 10.151 4.086 51.774 48.226
7 14.238 10.862 3.376 62.636 37.364
8 14.238 11.622 2.616 74.258 25.742
9 14.238 12.436 1.802 86.694 13.306
10 14.238 13.306 931 100.000 0

Con riferimento ai dati riportati nella tabella si possono individuare i facilmente i


procedimenti per compilare il piano di rimborso del mutuo a rate costanti. La prima quota
interessi viene calcolata al tasso del 7% sul debito residuo, pari all’intero ammontare del
prestito, di 100.000 euro. Determinato il valore della rata costante posticipata come prodotto
fra l’importo del prestito erogato e la sommatoria dei fattori (i+1) al tasso del 7%, è
possibile calcolare la prima quota capitale come differenza fra la rata costante (14.238) e la
prima quota interessi (7.000). Il debito residuo risulta quindi essere pari alla differenza fra
l’intero ammontare del prestito e la prima quota capitale. Nel secondo esercizio la quota
interessi deve essere calcolata sulla base del debito residuo dell’esercizio precedente
(92.762), al tasso di interesse del 7%. Si ottiene quindi un importo di lire 6.493 che, sottratto
alla rata costante, determina una quota capitale di euro 8.286. La procedura si replica per
ogni esercizio fino al decimo in cui il debito estinto è uguale al prestito erogato e il debito
residuo si riduce a zero.
In generale, i piani di ammortamento dei mutui erogati dalle banche possono
presentare un insieme di variazioni rispetto alla struttura di riferimento costituita dalle forma
dell’ammortamento francese. I principali elementi che caratterizzano le forme contrattuali
più ricorrenti sul mercato possono essere riferiti ai seguenti:

i) periodo di preammortamento;
ii) ammortamento italiano.

Il periodo di preammortamento è costituito da quell’intervallo di tempo iniziale in cui


il mutuatario non effettua rimborsi di capitale e non intacca il debito residuo ma corrisponde
la quota interesse, calcolata ad un tasso anche diverso da quello fissato nel piano di
rimborso. Nella prassi operativa adottata dalle banche, il periodo di preammortamento
riguarda l’arco di tempo compreso fra il giorno di erogazione del prestito e l’ultimo giorno
del semestre solare in corso. Ad esempio, se un mutuo di 100.000 euro a tasso fisso del 7%
e a rate semestrali è stato richiesto in novembre e viene erogato il 4 dicembre, gli interessi
del piano di ammortamento cominciano a decorrere dal primo gennaio e saranno pagati con
la rata scadente a fine giugno. In questo senso restano scoperti i giorni compresi fra il 4 e il
31 dicembre, per i quali il mutuatario deve corrispondere alla banca gli interessi di
preammortamento così calcolati:

I = 100.000 * 7 * 28/36.500 = 536,98

L’ammortamento italiano presenta come elemento distintivo il rimborso da parte del


debitore di quote capitali costanti per tutta la durata del prestito. Le quote capitali
rappresentano pertanto un n-esimo del prestito erogato C.

C1 = C2 = ..... = Cn = C/n

Il debito estinto e il debito residuo assumono la seguente formulazione analitica:

DEt = t C/n

DRt = (n - t) C/n

La t-esima quota interessi risulta essere:

It = i DRt-1 = i (C - DEt ) = C i - (t - 1) C/n i

La relazione suddetta mette in luce il fatto che le quote interesse decrescono in ogni periodo
dello stesso importo pari a - C i / n. E’ così possibile ricavare la rata periodica come somma
della quota interesse e della quota capitale ottenendo:
Rt = Ct + It = C/n ( 1 + ì (n - t +1 ) )

La tipologia dell’ammortamento italiano appare facilmente individuabile dalla


struttura del piano di rimborso in quanto: la quota capitale è costante; il debito estinto cresce
e il debito residuo decresce dello stesso importo in ogni periodo; la quota interessi e la rata
periodica presentano un andamento decrescente con una variazione periodica secondo il
fattore - C i / n.
Il riferimento all’esempio numerico del mutuo decennale di 100.000 euro, a rate
annue e con un tasso di interesse del 7%, consente di chiarire le relazioni fra le differenti
componenti del piano di rimborso:

Tabella 5. Un esempio numerico riferito al piano di ammortamento italiano


Periodi (anni) Rata periodica Quota capitale Quota interessi Debito estinto Debito residuo
0 - - - 0 100.000
1 17.000 10.000 7.000 10.000 90.000
2 16.300 10.000 6.300 20.000 80.000
3 15.600 10.000 5.600 30.000 70.000
4 14.900 10.000 4.900 40.000 60.000
5 14.200 10.000 4.200 50.000 50.000
6 13.500 10.000 3.500 60.000 40.000
7 12.800 10.000 2.800 70.000 30.000
8 12.100 10.000 2.100 80.000 20.000
9 11.400 10.000 1.400 90.000 10.000
10 10.700 10.000 700 100.000 0

La procedura seguita per costruire il piano di ammortamento è di semplice


attuazione. Nel primo anno, la quota capitale costante è pari a 10.000 euro e la quota
interessi viene calcolata al tasso del 7% sul debito residuo, pari all’intero ammontare del
prestito, di 100.000 euro. La prima rata di 17.000 euro corrisponde pertanto alla somma
della quota capitale e della quota interessi di 7.000 euro milioni così calcolata. Nel secondo
esercizio, la quota interessi deve essere valutata sulla base del debito residuo dell’esercizio
precedente, pari a 90.000 euro. Si ottiene quindi un importo di 6.300 euro che, sommato alla
quota capitale costante, determina una rata periodica di 16.300 euro. La procedura si replica
per ogni esercizio fino al decimo in cui il debito estinto è uguale al prestito erogato e il
debito residuo si riduce a zero. La quota interessi è calcolata sul debito residuo del nono
anno di 10.000 euro e determina una rata di 10.700 euro.

2.2. La differenziazione dei profili contrattuali del mutuo

La forma prevalente di mutuo presente sul mercato, riferita all’ammortamento


francese, assume con frequenza caratteristiche differenti in relazione alle esigenze espresse
dalla banca che eroga e il prestito e dal mutuatario. Le logiche di differenziazione interna
del contratto di mutuo possono essere collegate tanto a fattori contrattuali quanto a fattori
organizzativi. Nel primo caso, i profili contrattuali che emergono in modo ricorrente sono
rappresentati dall’indicizzazione del prestito e dalla denominazione in valuta. Nel secondo
caso, l’operazione più ricorrente, soprattutto con riferimento ad importi di dimensioni
rilevanti, è riferita al prestito stand by.
L’indicizzazione del prestito rappresenta una metodologia operativa che consente di
adeguare la struttura del mutuo alla variazione dei tassi di riferimento del mercato. Le
ragioni dell’utilizzo della procedura di indicizzazione devono essere collegate a una duplice
esigenza: da un lato, le banche si tutelano dall’effetto prodotto dall’eventuale aumento dei
tassi attivi sui finanziamenti; dall’altro lato, la clientela riceve una forma di protezione nel
caso di diminuzione del costo del credito, ottenendo una riduzione del tasso al quale è
calcolata la quota interessi.
La realizzazione dei mutui indicizzati può essere operata dalle banche attraverso due
forme contrattuali specifiche. Una prima forma è riferita al criterio di indicizzazione del
capitale prestato (indicizzazione reale). Ciò significa che il debito residuo calcolato nel
piano di rimborso al momento dell’erogazione del prestito può subire variazioni in rapporto
ai parametri di mercato scelti come indici di riferimento. Una seconda forma è invece legata
all’indicizzazione degli interessi dovuti dal mutuatario (indicizzazione finanziaria) e trova
una diffusa applicazione a livello operativo. Questo criterio trova attuazione nella misura in
cui il tasso del mutuo è periodicamente aggiornato in quanto legato a un paniere di tassi
riportati nel contratto come parametri di indicizzazione (ad esempio, l’euribor). In entrambi
i casi risulta determinante il criterio con cui la banca stabilisce: la relazione fra la variazione
del parametro assunto come indice e l’elemento del contratto reso variabile; l’intervallo
temporale che intercorre fra la variazione del parametro e l’adeguamento contrattuale; la
periodicità con cui avviene l’adeguamento contrattuale stesso. La combinazione degli
elementi suddetti può infatti dare origine a forme di finanziamento significativamente
differenti sotto il profilo finanziario ed economico.
L’espressione del prestito in valuta consente di strutturare l’intero piano di
ammortamento nella moneta estera scelta come unità di conto. Le motivazioni collegate allo
sviluppo della domanda di finanziamenti a medio termine espressi in una valuta diversa
dall’euro sono riferite principalmente al fatto che su alcuni mercati esteri (Gippone, Stati
Uniti) il livello dei tassi può essere inferiore a quello europeo, per cui il carico degli
interessi risulta meno gravoso per i mutuatari. Al vantaggio del tasso contenuto si
contrappone però il rischio di cambio sostenuto dal debitore in corrispondenza del
versamento di ogni rata. In tali occasioni, l’importo in valuta da corrispondere alla banca
creditrice viene convertito in euro generando per il mutuatario perdite di cambio se l’euro si
svaluta rispetto alla moneta in cui è espresso il mutuo oppure utili di cambio se l’euro si
rivaluta.
Le recenti forme contrattuali offerte dalle banche sul mercato assumono spesso la
configurazione “multivaluta” per cui il mutuatario, corrispondendo alla banca una
commissione, può richiedere più volte la conversione del prestito in una valuta differente da
quella inizialmente utilizzata per calcolare il piano di ammortamento. Ciò comporta
l’adeguamento del debito residuo alla nuova unità di conto prescelta e della quota interessi
al nuovo tasso di interesse. Le ragioni collegate allo sviluppo del mutuo multivaluta sono
legate alla notevole flessibilità dello strumento in quanto offre al mutuatario la possibilità di
sfruttare gli eventuali vantaggi di cambio e gli eventuali vantaggi di tasso di interesse che si
realizzano nel passaggio dalla prima alla seconda valuta.
Nel caso delle operazioni stand by, il prestito suddetto appartiene alla categoria dei
prestiti in pool a medio termine . Il pool è una coalizione qualificata da banche con differenti
1

ruoli organizzativi. In termini generali, è possibile distinguere una banca capofila, una o più
banche manager e co-manager e le banche definite partecipanti. La banca capofila, detta
lead manager, svolge funzioni di consulenza con il prenditore di fondi quanto a struttura
dell’operazione, condizioni contrattuali e forme tecniche. Il lead manager assume l’onere di
organizzare il pool di banche e spesso svolge anche la funzione di gestire i flussi finanziari
dell’operazione oltre che ad erogare materialmente il prestito. Qualora l’operazione fosse di
dimensioni rilevanti, il lead manager è assistito da uno o più banche co-lead manager a cui
sono delegati compiti specifici del lead manager quali, ad esempio, la consulenza fiscale
piuttosto che legale. Le banche manager e co-manager dell’operazione partecipano sia come
finanziatrici sia come persuasori nei confronti di banche minori affinché acquisiscano una
quota di finanziamento. Generalmente, le banche manager sono di grandi dimensioni e di
elevato standing internazionale. Le banche partecipanti (partecipating banks) sono gli
intermediari che erogano di fatto il prestito. Esse spesso non dispongono del prestigio di
mercato, della dimensione e delle capacità manageriali e finanziarie delle banche manager o
lead manager. Di norma nell’ambito del pool viene nominata anche una agent bank che
svolge funzioni di tesoriere. Quest’ultima provvede a raccogliere i fondi dagli aderenti e a
trasferirli al cliente oltre che a incassare le quote capitali e interessi e a ripartirle fra tutte le
partecipating banks.
Il prestito stand-by può assumere forme molto simili al mutuo e all’apertura di
credito. Nel primo caso, il credito viene totalmente messo a disposizione del cliente in
un’unica soluzione presso la agent bank. Successivamente, dopo un periodo di
preammortamento variabile dai 18 ai 24 mesi, il cliente provvede ai rimborsi anche in linea
capitale secondo il piano di ammortamento prestabilito. Nel secondo caso, il cliente ha la
facoltà di prelevare gli importi in una o più soluzioni dietro preavviso di 60-90 giorni alla
banca capofila. Ogni utilizzo prevede solitamente una durata massima dopo la quale il
cliente deve provvedere al rimborso affinché le tranches successive divengano disponibili
per ulteriori utilizzi. I finanziamenti stand-by non si estendono di solito oltre i 60 mesi e
sono spesso concessi a tassi variabili ancorati al costo del denaro sui mercati monetari o
sull’interbancario e maggiorati di uno spread definito nel contratto di finanziamento. Altre
componenti di costo per il cliente, da liquidare in sede di ottenimento dei fondi, sono
l’imposta sostitutiva e le commissioni da riconoscere al pool.
L’obiettivo principale del prestito stand-by è costituito dall’offerta alla clientela
impresa di uno strumento di finanziamento per importi elevati a natura scadenzata ossia con
possibilità di utilizzo ripetuta nel tempo, anche per un ammontare inferiore rispetto al
credito complessivo concesso. Un ulteriore obiettivo è costituito dalla elevata flessibilità e
adattabilità alle esigenze dell’affidato : l’erogazione delle somme può avvenire in un’unica
soluzione o a scadenze successive ; il piano di ammortamento è definito insieme al cliente ;
1 I prestiti stand-by si sviluppano all’inizio degli anni ottanta grazie all’impulso delle principali banche internazionali
statunitensi che offrono prodotti di finanziamento alle imprese multinazionali. Dopo le prime banche “pionieri” nello
sperimentare lo stand-by è possibile individuare altri innovatori che hanno sviluppato nuovi aspetti del prodotto. In
primo luogo, le banche europee che utilizzano il prodotto all’interno dei mercati domestici, adattandolo ad esigenze di
funding “locale”. Ciò è avvenuto anche in Italia, sebbene il prodotto può essere considerato ancora in una fase di “lenta
e costante introduzione”. Tuttavia occorre osservare che il recente sviluppo di funzioni di corporate banking nelle
banche italiane sta conferendo nuova ed effettiva intensità al prodotto soprattutto nell’offerta di servizi ai gruppi di
imprese e, in questo senso, viene proposto come forma di finanziamento innovativa. In secondo luogo, le istituzioni
sovranazionali, quali la BEI e soprattutto la Banca Mondiale, attraverso la IFC (International Finance Corporation) che
hanno introdotto forme di stand-by garantite, destinate a finanziare soggetti provenienti da paesi in via di sviluppo.
i criteri di indicizzazione possono assumere le forme più svariate. Inoltre il contratto di
finanziamento può stabilire periodi diversi per le liquidazioni degli interessi e delle
commissioni di mancato utilizzo. Di solito, gli interessi sono posticipati e vengono liquidati
alla scadenza di ciascun utilizzo e invece la commissione di mancato utilizzo viene di regola
liquidata trimestralmente.
Ulteriori elementi di flessibilità sono inoltre rappresentati dalla possibilità di adattare
lo stand-by non solo al finanziamento di una singola impresa ma anche ad un gruppo di
imprese e dalla possibilità di adottare clausole multicurrency. In quest’ultimo caso,
l’affidato dispone della facoltà di convertire il prestito in una o più valute differenti
concordate con il pool di banche finanziatrici. Così come accade nell’evergreen, nel caso di
prestito a gruppi di imprese, è prassi che la capogruppo rilasci una lettera di patronage a
favore delle controllate . 2

Il target di mercato dei prestiti stand-by è costituito essenzialmente da imprese di


grandi dimensioni. Ciò è dovuto al fatto che i costi di organizzazione del pool e le relative
commissione dovute dal cliente affidato sono generalmente elevate per cui solo un prestito
di importi elevati ne giustifica l’assunzione. Una parte significativa del mercato degli stand-
by a livello internazionale presenta il target specifico dei gruppi di imprese : il prestito
assume allora la denominazione di umbrella facility. In questo caso, che si sta sviluppando
anche nel mercato italiano con riferimento a gruppi domestici, ferma restando la struttura
dello stand-by il pool riconosce non a una singola impresa ma a tutte le imprese appartenenti
a un gruppo la facoltà di utilizzare la linea di credito. Il vantaggio per i componenti del
gruppo è quello di poter disporre di risorse finanziarie a condizioni significativamente più
vantaggiose di quelle relative a un finanziamento singolo. Generalmente, negli umbrella
facility le banche richiedono alla capogruppo l’emissione di lettere di patronage a vantaggio
delle imprese partecipate.
Così come avviene per i prestiti sindacati nella forma evergreen, un ulteriore e
significativo target di mercato è comunque costituito dagli enti governativi dei paesi in via
di sviluppo. In questo senso, i finanziamenti stand-by rappresentano una forma di
finanziamento della Banca Mondiale, attraverso l’organo dell’IFC (International Finance
Corporation). In particolare, IFC partecipa al pool di banche e può concedere prestiti,
oppure copertura assicurative e supporti consulenziali di vario tipo, nella forma sia
dell’evergreen che dello stand-by. Di norma, i finanziamenti sono erogati alla project
company (della Special Purpose Vehicle) presso cui è domiciliata la proprietà e la
costruzione di un’infrastruttura o di un progetto complesso. In questo modo, i finanziatori,
secondo lo schema di riferimento del project finance, sono tutelati dalla presenza di flussi di
cassa futuri prodotti dal progetto stesso.

2 Il prestito evergreen è una linea di credito a revoca che si differenzia in modo molto marcato rispetto ad altri
finanziamenti in pool quale lo stand-by medesimo. L’aspetto più importante riguarda il fatto che non è prevista
contrattualmente una scadenza ma solamente la possibilità di recesso per le banche del pool mediante revoca del fido
con un periodo di preavviso al cliente variabile tra i 6 e i 15 mesi. Anche al cliente è data facoltà di recesso con
preavviso compreso fra i 60 e i 90 giorni, spesso accompagnato dal pagamento di una penalty fee. Un altro aspetto
importante dell’evergreen è costituito dal fatto che l’ammontare del fido non è definito. Infatti, ad ogni trimestre può
essere aumentato rispetto al valore iniziale con l’ingresso di nuove banche che potranno recedere indipendentemente
dalle altre secondo i termini di preavviso. L’evergreen non comporta il pagamento dell’imposta sostitutiva in quanto è
una forma di finanziamento a scadenza indefinita. Con riferimento alle modalità di utilizzo, l’affidato deve comunicare
alla banca capofila di trimestre in trimestre l’importo che intende utilizzare. Alla scadenza, il cliente può usufruire
ulteriormente della linea di credito oppure non utilizzarla oppure procedere a un rimborso totale o parziale del capitale e
degli interessi maturati secondo il tasso convenuto contrattualmente.
Nel suo complesso, il prestito stand-by offre all’impresa affidata uno strumento che è
dotato di un elevato grado di flessibilità e che consente di cautelarsi a fronte di fabbisogni di
liquidità ingenti, improvvisi ma temporanei. L’efficacia del prestito è comunque
subordinata alla disponibilità dell’impresa affidata di un sistema di monitoraggio degli
squilibri di liquidità interni. Anche per le banche finanziatrici che partecipano al pool la
forma stand-by presenta alcuni vantaggi : l’obbligo da parte del cliente di dare preavviso
degli utilizzi e soprattutto quello di rimborsare le somme prima del successivo prelievo,
permettono alle banche di ridurre notevolmente le tensioni di tesoreria tipiche delle forme di
credito aperte. Tuttavia, occorre mettere in luce anche la presenza di alcuni rischi per le
banche finanziatrici : i prestiti in pool possono condurre a una sottostima del livello di
rischio effettivo dell’operazione, a causa della delega che le banche partecipanti danno alla
banca capofila sia per la fase di istruttoria sia per quella di monitoraggio della relazione ; le
garanzie costituite da lettere di patronage presentano un’efficacia obbligatoria “debole” da
parte della capogruppo che generalmente le emette.

2.3. La valutazione finanziaria dell’operazione di mutuo nella visuale dell’impresa

L’introduzione di elementi che modificano la struttura di base del piano di rimborso


dell’ammortamento francese e dell’ammortamento italiano rendono necessaria
l’individuazione di criteri che consentano di valutare correttamente il tasso di interesse al
quale viene erogato il prestito. La presenza di un periodo di preammortamento, di forme
variamente combinate di indicizzazione e di espressione del prestito in valuta rendono non
rappresentativo del costo sostenuto dal debitore il tasso al quale è inizialmente calcolato
l’intero piano di rimborso. Ciò si verifica perché le quote interesse periodicamente
corrisposte alla banca possono discostarsi da quelle fissate inizialmente per effetto della
variazione indotta dai parametri di indicizzazione adottati o per effetto delle oscillazioni del
cambio fra l’euro e la valuta scelta come unità di conto del mutuo. Gli stessi interessi di
preammortamento, se corrisposti a un tasso differente rispetto a quello del piano di
ammortamento, rendono necessaria la verifica del tasso a cui viene effettivamente erogato il
prestito.
La metodologia di valutazione del tasso effettivo del mutuo è riconducibile alla più
generale tecnica di valutazione del tasso interno di rendimento di un’operazione finanziaria.
Al riguardo, è sufficiente individuare nel momento della loro manifestazione tutte le somme
corrisposte dal mutuatario alla banca creditrice e calcolare successivamente l’IRR ossia il
tasso periodico che rende uguale a zero la differenza fra l’importo del prestito e il valore
attuale della successione di somme in precedenza individuate. In termini analitici si ha:

-1 -2 -n
C = U (1 + i) + U (1 + i) + ..... + U (1 + i)
1 2 n

ove C rappresenta il capitale prestato dalla banca e U 1 , U2 , ...., Un le somme corrisposte dal
mutuatario sotto forma di rate periodiche e di eventuali interessi di preammortamento.
L’applicazione del procedimento di calcolo del tasso interno di rendimento può
essere facilmente illustrata con riferimento a un esempio numerico. Al riguardo, si consideri
un mutuo decennale di 200.000 euro, a rate annue e con un tasso di interesse del 13% per i
primi 5 anni, successivamente elevato al 14% fino ad esaurimento del debito residuo. Il
piano di rimborso segue la struttura prevista per l’ammortamento francese, presentando di
conseguenza le rate periodiche costanti. L’obiettivo è quello di determinare il tasso annuo
effettivamente pagato dal debitore. In primo luogo è allora necessario compilare il piano di
rimborso che assume la seguente composizione, tenuto conto della variazione di tasso
all’inizio del sesto anno:

Tabella 6. La determinazione dell’IRR di un’operazione di mutuo


Periodi (anni) Rata periodica Quota capitale Quota interessi Debito estinto Debito residuo
0 - - - 0 200.000
1 36.857 10.857 26.000 10.857 189.142
2 36.857 12.269 24.588 23.127 176.872
3 36.857 13.864 22.993 36.991 163.008
4 36.857 15.666 21.191 52.658 147.341
5 36.857 17.703 19.154 70.362 129.637

6 37.761 19.612 18.149 89.974 110.025


7 37.761 22.357 15.403 112.332 87.667
8 37.761 25.487 12.273 137.819 62.180
9 37.761 29.056 8.705 166.876 33.123
10 37.761 33.123 4.637 200.000 0

Dalla tabella si può osservare facilmente che nei primi cinque anni l’andamento delle
variabili che costituiscono il piano di rimborso riflette le modalità di calcolo descritte per
l’ammortamento francese. In particolare, la rata costante di 36.857 euro è calcolata come
rapporto fra l’importo del prestito erogato e la rendita posticipata decennale al tasso del
13%. Nel sesto esercizio occorre adeguare la rata costante al nuovo tasso del 14%. La
procedura che deve essere adottata è quella di calcolare la nuova rata secondo le regole
stabilite per l’ammortamento francese utilizzando come capitale il debito residuo e come
durata il numero di periodi che intercorrono fra la data di adeguamento del tasso e la
scadenza del contratto. In questo caso, la rata di 37.761 euro è determinata dal rapporto fra il
debito residuo al quinto anno (129.637) e la rendita posticipata quinquennale al tasso del
14%. Ne segue che anche la quota interessi, a partire dal sesto anno, è calcolata sul debito
residuo dell’anno precedente al nuovo tasso del 14%.
La corretta individuazione, per importi e per scadenze, delle rate periodiche
corrisposte dal mutuatario alla banca creditrice consente di impostare l’equazione per
calcolare il tasso interno di rendimento del mutuo analizzato. In questo caso, l’importo del
finanziamento (200.000 euro) deve essere uguale alla somma delle dieci rate attualizzate
versate dal debitore:
-1 -2
200.000 = 36.857 (1 + i) + 36.857 (1 + i) + ... +
-6 -10
+ 37.761 (1 + i) + ... + 37.761 (1 + i)
ove i rappresenta l’incognita da determinare. Risolvendo l’equazione, si ottiene la soluzione
i = 13,21% che costituisce il tasso annuo al quale viene effettivamente erogato il
finanziamento da parte della banca.
L’introduzione del metodo dell’IRR consente di valutare con efficacia qualsiasi
operazione di mutuo analizzata e di confrontarla con altri contratti di finanziamento in
termini di costo per il debitore. Ciò risulta determinante nel caso di contratti di mutuo
caratterizzati da un piano di rimborso a elevata variabilità. Esempi significativi sono
costituiti dai mutui espressi valuta e a tasso indicizzato nei quali occorre tenere conto
congiuntamente degli effetti prodotti dalle variazioni di cambio e da quelle di tasso. In
questo senso, effettuata una conversione dei flussi delle rate in euro e adeguate le quote
interessi all’andamento del parametro di indicizzazione, è sufficiente applicare la formula
del tasso interno di rendimento alla successione delle rate per determinare il costo effettivo
dell’operazione.
In termini più generali, la valutazione finanziaria dell’operazione di mutuo richiede
lo sviluppo di uno schema di riepilogo di tutti i flussi di cassa generati dall’operazione,
compresi quelli fiscali (vedi tabella 7). Ciò significa procedere ad una rilevazione dei
fenomeni rilevanti dell’operazione, attribuendo a ciascuno la corretta data di
manifestazione. In questo modo, non solo diviene possibile determinare il tasso effettivo
dell’operazione di mutuo, come riportato nell’esempio precedente, ma anche quello netto
imposte che rappresenta il parametro corretto di misurazione del costo del capitale di debito.
Il primo corrisponde pertanto all’IRR calcolato sulla successione dei flussi di cassa
contrattuali e il secondo corrisponde all’IRR calcolato sulla successione dei flussi di cassa
netto imposte. Al riguardo, occorre ricordare che la determinazione dei risparmi fiscali da
interessi passivi richiede la stima da parte del valutatore della capienza fiscale dell’azienda
ossia della capacità prospettica di dedurre fiscalmente i costi suddetti (vedi tabella 8).

Tabella 7. La struttura dei flussi di cassa rilevanti per la valutazione dell’operazione di mutuo
FLUSSI DI CASSA Periodi 0 1 2 .... N

Importo del prestito


Spese accessorie
Rate periodiche
Flusso di cassa contrattuale
Flusso imposte dirette
Flusso di cassa netto imposte

Tabella 8. La struttura del conto economico rilevante per la determinazione del risparmio fiscale
prodotto dall’operazione di mutuo
CONTO ECONOMICO Anni: 0 1 2 .... N

Totale interessi deducibili


Imponibile aziendale
Imponibile totale
Risparmio fiscale mutuo

3. Il finanziamento attraverso il contratto di leasing


3.1. Le specifiche del contratto di leasing

Sebbene il leasing finanziario abbia incontrato un notevole diffusione nelle scelte di


finanziamento delle imprese, ad oggi il contratto di leasing non è ancora oggetto in Italia di
una disciplina organica da parte del legislatore. Tuttavia, la prassi consolidata degli
operatori, i provvedimenti di natura fiscale e di altra origine consentono di definire con
sufficiente chiarezza le caratteristiche dello strumento.
In prima approssimazione si può dire che il leasing è un prodotto di natura
finanziaria, con erogazione congiunta di servizi di varia natura (acquisto del bene, servizi
fiscali, servizi assicurativi) in gradazioni differenti, che soddisfa le esigenze delle aziende
circa l’acquisizione di capitali fissi. La definizione di leasing comprende pertanto i contratti
aventi in comune il fatto che un soggetto (il locatore: la banca, la società di leasing) cede in
locazione a un altro soggetto (il locatario: l’affidato), per un periodo di tempo prefissato, un
bene di natura strumentale, mobile o immobile, dietro il pagamento di un determinato
canone periodico. In tali contratti può essere inoltre prevista la possibilità da parte del
locatario di riscattare a titolo oneroso il bene, generalmente a conclusione del contratto.
La varietà delle operazioni di leasing conosciuta sul mercato può essere in realtà
ricondotta alla distinzione di due tipologie essenziali, una finalizzata all’acquisizione della
disponibilità temporanea di un bene e la seconda all’acquisizione della disponibilità
definitiva. Nel primo caso, la forma contrattuale è costituita dal leasing operativo e nel
secondo caso dal leasing finanziario.
Il leasing operativo può essere assimilato a un contratto di noleggio oppure di
locazione tradizionale. Esso ha di solito come oggetto beni strumentali di vasto mercato con
caratteristiche standardizzate e durata economica e tecnica piuttosto elevata (ad esempio,
macchinari, automobili), oppure beni soggetti a una rapida obsolescenza (ad esempio
computer). Il contratto di leasing operativo ha normalmente una durata breve, compresa fra i
12 e i 24 mesi, e comunque non correlata alla vita utile del bene. Esso comporta il
pagamento di un canone periodico comprensivo di ogni onere relativo alla disponibilità e al
funzionamento del bene (assicurazioni, manutenzioni).
Di norma, il leasing operativo non è considerato un impegno rigidamente irrevocabile
per l’utilizzatore, che può rescinderlo rispettando un certo tempo di preavviso. Alla
scadenza del contratto il locatore può comunque scegliere fra la restituzione del bene e il
proseguimento della locazione ad un canone inferiore. Molto raro è il caso di riscatto del
bene e di acquisto della proprietà.
Il leasing finanziario è invece un’operazione di finanziamento basata su un contratto
di locazione di beni mobili o immobili, acquistati o fatti costruire su scelta e indicazione del
locatario. Esso è offerto da una società di leasing o da una banca, che acquista il bene e lo
cede in locazione al richiedente, il quale si impegna a corrispondere alla prima un
determinato numero di canoni periodici, per un importo globale superiore al prezzo del
bene, la cui proprietà al termine del contratto può essere trasferita, a titolo oneroso, dal
locatore al locatario versando un prezzo di riscatto.

Tabella .11. Le principali differenze in essere fra il leasing finanziario e quello operativo

Caratteristiche Leasing finanziario Leasing operativo

Beni oggetto del contratto Qualsiasi bene mobile o immobile senza Standardizzati e spesso soggetti a rapida
limiti di importo obsolescenza
Durata tipica Di norma medio-lunga e comunque in Solitamente brevi e di solito non in
relazione alla durata tecnica, economica e relazione alla durata tecnica, economica e
fiscale del bene fiscale del bene
Tipi di canone Comprensivi solo dell’ammortamento del Comprensivi di ogni onere di
bene e degli oneri finanziari della società di funzionamento del bene
leasing
Opzione di riscatto Prevista e, di norma, esercitata secondo un Solitamente esclusa e comunque non
prezzo di riscatto prestabilito caratterizzante il contratto
Aziende locatrici Banche e società di leasing Società di leasing e soprattutto produttori di
beni
Servizi collaterali Esclusi dal canone e a carico dell’azienda Compresi nel canone e a carico del locatore
locataria

La durata di un contratto di leasing finanziario viene generalmente determinata in


relazione alla vita economica, tecnica e fiscale del bene. Il canone di locazione è un canone
“netto”, in quanto rappresenta per la società di leasing solo una forma di remunerazione
dell’ammortamento del bene e degli interessi sul capitale investito. Gli altri oneri connessi
alla disponibilità e al funzionamento del bene oggetto del contratto sono invece a carico
dell’azienda locataria. Pertanto, il leasing finanziario, analogamente all’acquisto, consente la
piena disponibilità del bene per tutta la sua vita economica, tecnica e fiscale. In tal caso, il
rischio di obsolescenza è a carico dell’azienda locataria, che assume di fatto tutti i rischi
tipici della proprietà. Sotto questo profilo si può cogliere chiaramente la natura di
finanziamento del leasing finanziario e quindi di strumento alternativo all’indebitamento
bancario per l’investimento in capitali fissi.

3.2. L’individuazione del profilo finanziario dell’operazione di leasing

La metodologia di valutazione delle operazioni di leasing nell’ottica del locatario


rientra nell’ambito della più generale valutazione economico-finanziaria dei finanziamenti.
In questo ambito, la forma contrattuale del leasing finanziario consente all’utilizzatore di
sostenere la dinamica di investimento aziendale, svolgendo la funzione di strumento
dedicato all’acquisizione a titolo definitivo di un determinato bene. La definizione suddetta
è rilevante ai fini della distinzione di forme di finanziamento spesso assimilate al leasing e
variamente qualificate sul mercato in termini di noleggio, di leasing operativo e di renting.
Queste tipologie di contratti rientrano infatti nell’ambito delle modalità di acquisizione
temporanea di specifici beni e non possono essere assimilate a una decisione di investimento
reale. Pur in assenza di una disposizione normativa che definisca il contratto di leasing
finanziario distinguendolo da altre forme di pagamento rateale, è possibile tracciarne con
sufficiente nettezza di confini le caratteristiche rilevanti ai fini della valutazione di
convenienza.
Una prima caratteristica deve essere riferita alla struttura contrattuale “chiusa” e alla
stretta relazione presente fra la successione dei canoni corrisposti all’azienda locatrice e la
vita utile del bene locato. In particolare, il leasing finanziario appare qualificato da un
accordo complessivo che prevede il versamento da parte del locatario di corrispettivi
periodici commisurati sia all’intero costo del bene, tenuto conto anche del prezzo di riscatto,
sia degli interessi sul capitale investito dall’azienda locatrice e della remunerazione dei
relativi fattori produttivi. Ciò significa che la durata complessiva dell’operazione risulta
definita in rapporto alla vita economica e tecnica attesa del bene, in modo tale che il capitale
investito dalla società di leasing sia tendenzialmente inferiore al valore di mercato del bene
stesso. Le eventuali variazioni rispetto allo schema citato non modificano la struttura delle
relazioni descritte in quanto la possibile indicizzazione dei canoni a parametri di mercato
lascia inalterato il vincolo di destinazione dei canoni alla copertura del costo del bene e dei
costi operativi e finanziari ad esso collegati così come l’esplicita previsione dell’opzione di
riscatto anticipato. Viceversa, le forme contrattuali assimilabili al leasing operativo risultano
prive: da un lato, di una correlazione fra i corrispettivi versati dall’utilizzatore e il costo
complessivo del bene, in quanto i canoni periodici sono prevalentemente indirizzati a
coprire il deprezzamento effettivo del bene anziché il suo costo e spesso contengono il
corrispettivo di prestazioni accessorie connesse alla manutenzione del bene stesso; dall’altro
lato, di un collegamento effettivo tra la durata del contratto di locazione e la vita economica
e tecnica del bene.
Una seconda caratteristica deve essere riferita alla ripartizione dei rischi fra il
locatore e il locatario in quanto nell’ambito del leasing finanziario l’utilizzatore assume tutti
gli oneri e tutti i rischi derivanti dal possesso e dall’utilizzo del bene locato mentre invece
nelle altre forme contrattuali questi rimangono sostanzialmente in capo al concedente. La
suddivisione dei rischi non muta anche in presenza di forme contrattuali “non pure” di
leasing finanziario, in cui l’importo del canone periodico è comprensivo di servizi accessori
offerti dall’azienda locatrice. Queste operazioni di locazione tendono infatti ad alterare la
natura “finanziaria” del contatto di leasing arricchendola di elementi più vicini al leasing
operativo. Tuttavia, questo processo investe in modo diretto solo la composizione del
marketing mix del servizio offerto e in particolare il livello del prezzo, lasciando di fatto
inalterato sia il rapporto fra la durata del contratto, i canoni e il costo del bene sia
l’assunzione dei rischi connessi al bene da parte del locatario.
La collocazione del leasing finanziario all’interno delle possibili modalità di
finanziamento degli acquisti a titolo definitivo di beni reali rappresenta un elemento di
comprensione indispensabile per la corretta valutazione dell’operazione. Ciò comporta, in
particolare, che la scelta del ricorso al leasing da parte dell’utilizzatore risulti essere sempre
contrapposta all’acquisto diretto del bene, finanziato con un’altra fonte aziendale. Il ricorso
all’operazione di leasing conduce quindi ad una implicita rinuncia all’acquisto diretto e a
tutti i benefici di natura fiscale a questo collegati. L’osservazione suddetta consente di
mettere in luce proprio la natura di finanziamento del leasing finanziario in quanto la
rinuncia all’acquisto genera per l’utilizzatore un risparmio dovuto ad una mancata uscita di
cassa. Il profilo dei flussi finanziari dell’operazione così definita, assume pertanto
l’andamento tipico dei finanziamenti, essendo qualificato da un flusso finanziario positivo al
tempo zero e da una successione di flussi finanziari negativi nei periodi successivi. Ciò non
si verifica nel caso di ricorso a forme di acquisizione temporanea nelle quali il profilo
finanziario dell’operazione presenta solo una successione di flussi in uscita corrisposti
dall’utilizzatore al concedente per la disponibilità a tempo definito del bene oggetto del
contratto e non per il rimborso del capitale prestato.
Ai fini della valutazione del costo effettivo dell’operazione di leasing finanziario
occorre mettere in luce i differenti flussi di cassa sia direttamente imputabili all’accensione
del contratto sia prodotti dall’impatto fiscale in termini di risparmi nel pagamento delle
imposte dirette e di movimentazione connessa alle imposte indirette. In particolare, la
rappresentazione schematica dei flussi suddetti (vedi tabella 4.12) identifica: le uscite
sostenute dal locatario con riferimento ai canoni periodici e al prezzo di riscatto, corrisposto
in via anticipata oppure a scadenza; le uscite e le entrate riferite alla dinamica della
posizione Iva, distinguendo con il segno negativo l’imposta versata all’Erario al momento
del pagamento dei canoni e del prezzo di riscatto e con il segno positivo il recupero
dell’imposta stessa nei tempi e nei modi determinati dalla tipologia di saldo presentata; i
risparmi fiscali da imposte dirette generati dal regime di deducibilità dei canoni e del prezzo
di riscatto, rappresentati dai minori pagamenti effettuati in sede di liquidazione dell’imposta
e di acconto.

Tabella 12 I flussi finanziari del leasing e dell’acquisto finanziato con un mutuo

LEASING ACQUISTO CON MUTUO


- Costo del bene
- Canoni
- Prezzo di riscatto
-+ Iva su canoni e prezzo di riscatto -+ Iva sul costo del bene
+ Risparmi imposte dirette su canoni e p. riscatto + Risparmi imposte dirette sul costo del bene
+ Finanziamento
- Rate di rimborso del finanziamento
+ Risparmi imposte dirette su interessi passivi

FLUSSI NETTI LEASING FLUSSI NETTI ACQUISTO CON FINANZIAMENTO

Il ricorso del locatario all’acquisto diretto del bene – in quanto unica possibilità di
investimento alternativa rispetto al leasing – porta a identificare una differente struttura di
flussi finanziari. Questa risulta essere articolata in rapporto: al flusso in uscita, determinato
dal pagamento del bene; alla movimentazione delle uscite e delle entrate relative ai
pagamenti e ai rimborsi dell’Iva sull’acquisto; ai risparmi fiscali da imposte dirette derivanti
dal regime di deducibilità dell’ammortamento e rilevati in corrispondenza della liquidazione
di imposta e del versamento del primo acconto. L’operazione descritta può essere finanziata
con il ricorso a un contratto di mutuo che consenta all’utilizzatore di disporre dei mezzi
finanziari per effettuare l’investimento. Ciò comporta l’introduzione di ulteriori flussi di
cassa che identifichino, da un lato, le entrate e le uscite collegate all’accensione del prestito
e al pagamento delle rate di rimborso periodiche e, dall’altro lato, i risparmi fiscali da
imposte dirette conseguiti sugli interessi passivi. L’ipotesi di ricorso al mutuo è peraltro
suscettibile di generalizzazione nella misura in cui la fonte di finanziamento prescelta venga
analizzata in termini sia di flussi direttamente imputabili al contratto sia di flussi indotti
dall’impatto fiscale.
La struttura dei flussi di cassa delle due ipotesi alternative di ricorso al leasing e di
acquisto associato a una specifica fonte di copertura del fabbisogno finanziario non può
essere analizzata applicando le tecniche di valutazione riferite al criterio dell’IRR e del
NPV. Le ragioni di questa affermazione sono collegate alla mancata rispondenza delle due
alternative contrattuali alla natura di finanziamento aziendale in quanto in entrambi i casi la
dinamica di acquisto e di investimento è sovrapposta a quella di raccolta delle risorse. Con
riferimento al leasing, è stato osservato in precedenza che l’individuazione della sola
successione di flussi di cassa negativi, inerenti i canoni e il prezzo di riscatto, non specifica
l’importo oggetto del finanziamento e non mette in luce la dinamica di rimborso del capitale
ottenuto a prestito. Con riferimento all’acquisto finanziato con il mutuo, la presenza
contemporanea dell’uscita di cassa relativa all’acquisto del bene e dell’entrata generata
dall’accensione del prestito elimina l’indicazione dell’importo finanziato e non consente di
collegare la successione delle rate a uno specifico piano di ammortamento.
L’individuazione di due successioni di flussi di cassa coerenti con l’andamento tipico
delle operazioni di finanziamento è resa possibile se viene messo in luce l’ammontare del
prestito dall’utilizzatore. Ciò significa valutare, da un lato, i flussi prodotti dall’operazione
di leasing al netto di quelli prodotti dall’acquisto diretto del bene e, dall’atro lato, i flussi
riferiti al contratto di mutuo (vedi tabella 4.13). In questo senso, la dinamica delle entrate e
delle uscite dell’operazione di leasing presenta inizialmente un risparmio dovuto alla
mancata acquisizione del bene e in seguito i flussi negativi dei canoni periodici e del prezzo
di riscatto. I valori suddetti rappresentano il profilo finanziario relativo all’accensione del
contratto di leasing, valutabile ricorrendo alle metodologie dell’IRR e del NPV che offrono
indicazioni specifiche sul costo lordo e sulla convenienza dell’operazione. La successiva
introduzione dei flussi che derivano dai risparmi sulle imposte dirette, determinati dal
confronto fra la deducibilità dei canoni e quella degli ammortamenti, e dalla
movimentazione del conto Iva prodotta dal contratto di leasing al netto di quella prodotta
dall’acquisto consente di spostare la valutazione di convenienza dal piano contrattuale a
quello dell’impatto effettivo sulla struttura economico-finanziaria del locatario. Lo stesso
procedimento può essere osservato nell’ambito dell’operazione di mutuo in quanto è
possibile distinguere: in primo luogo, l’insieme dei flussi contrattuali, riferiti alla somma
mutuata e al successivo versamento delle rate di rimborso; in secondo luogo, l’insieme dei
flussi netto imposte, calcolati tenuto conto degli eventuali risparmi fiscali riferiti alla
deducibilità degli interessi passivi e rilevati in corrispondenza delle scadenze fiscali di
liquidazione dell’imposta e di versamento del primo acconto.

Tabella 13. I flussi finanziari del leasing, al netto dell’acquisto, e del mutuo alternativo

LEASING ACQUISTO CON MUTUO


+ Costo del bene
- Canoni
- Prezzo di riscatto
FLUSSI CONTRATTUALI DEL LEASING
-+ Iva su canoni e prezzo di riscatto
+- Iva sul costo del bene
+ Risparmi imposte dirette su canoni e p. riscatto
- Risparmi imposte dirette sul costo del bene
+ Finanziamento
- Rate di rimborso del finanziamento
FLUSSI CONTRATTUALI DEL MUTUO
+ Risparmi imposte dirette su interessi passivi
FLUSSI NETTI LEASING-ACQUISTO FLUSSI NETTI DEL MUTUO

La struttura dei flussi di cassa dopo le imposte dell’operazione di leasing, al netto


dell’acquisto del bene, può essere alternativamente valutata ricorrendo alla metodologia
dell’IRR e a quella del NPV. Nel primo caso, la formulazione analitica può essere espressa
nel modo seguente:
n n

 U t (1  i) t   E t (1  i) t
t 0 t 0
ove E e U rappresentano rispettivamente le entrate e le uscite complessivamente generate
dal contratto di leasing al netto dell’operazione di acquisto e i rappresenta il tasso interno di
interesse ovvero l’incognita dell’equazione che costituisce il costo effettivo per il locatario.
Nel secondo caso, l’equazione assume invece la seguente forma analitica:

n n
NPV   U t (1  i ) t
  E t (1  i ) t
t 0 t 0

ove l’incognita è rappresentata dal NPV e i rappresenta il tasso di attualizzazione dei flussi
finanziari in entrata e in uscita, utilizzato come termine di confronto dell’operazione di
finanziamento alternativa.
L’impiego congiunto delle due metodologie di valutazione suddette consente di
disporre di un criterio decisionale di assunzione del finanziamento sulla base del costo
effettivamente sostenuto dall’utilizzatore e della convenienza valutata in termini di euro
attuali. Ciò significa che con lo strumento dell’IRR è possibile esprimere il costo netto
dell’operazione di leasing analizzata e di verificarne il maggiore o il minore livello rispetto
al costo netto di un’altra fonte di finanziamento. Lo strumento del NPV invece mette in luce
il risparmio o la perdita in euro attuali che il locatario consegue ricorrendo al contratto di
leasing anziché alla modalità alternativa di raccolta delle risorse. Utilizzando il mutuo come
forma di finanziamento alternativa, il prospetto dei flussi di cassa illustrato in precedenza
consente di calcolare, in corrispondenza dei flussi netto imposte, il costo effettivo
dell’operazione e di confrontarlo con l’operazione di leasing sia direttamente, in termini di
livello di tasso, sia attraverso l’attualizzazione dei flussi netto imposte del contratto di
leasing. Le modalità di valutazione possono essere espresse in sintesi dalla curva del net
present value del contratto di leasing (vedi figura 14) che individua le aree di convenienza e
di non convenienza dell’operazione rispetto ad altre modalità di raccolta, guidando il
management utilizzatore nella scelta lease or buy al netto degli effetti fiscali.
Il criterio di confronto dell’operazione di leasing al netto dell’acquisto con il mutuo
può essere esteso ad altre modalità di finanziamento alternative. Al riguardo, è sufficiente
che la modalità di raccolta utilizzata possa essere valutata ed espressa con riferimento a un
tasso netto che ne rappresenti il costo effettivo sostenuto dopo le imposte. In questo senso il
procedimento suddetto consente all’utilizzatore di determinare la convenienza dello
specifico contratto di leasing rispetto all’acquisto finanziato non solo con prestiti
assimilabili al mutuo ma anche con l’impiego dei mezzi propri e rispetto ad altri contratti di
leasing. Il sistema di confronti riferito alle scelte lease or borrow, lease or lease e lease or
buy consente al locatario di mettere in luce in modo esaustivo tutte le possibili opzioni di
composizione della raccolta delle risorse in rapporto agli obiettivi di medio periodo, relativi
alla struttura attesa delle passività aziendali.
Figura 14. La curva del net present value dell’operazione di leasing netto imposte

150,00

100,00

50,00
npv

0,00
1

13

15

17

19

21

23

25

27

29

31

33

35

37

39
11

-50,00

-100,00
tassi netti

Tuttavia, se da un punto di vista applicativo i confronti citati sono possibili, in termini


di significatività e di coerenza della metodologia adottata occorre verificare se le alternative
confrontate presentino una sostanziale omogeneità sotto il profilo dei rischi e dell’impatto
sull’equilibrio finanziario dell’utilizzatore. Al riguardo, è necessario osservare che quanto
più le fonti di finanziamento confrontate risultano essere eterogenee rispetto agli effetti
prodotti sulla complessiva struttura economico-patrimoniale tanto meno l’indicatore del
costo netto risulta comprensivo delle variabili sufficienti per assumere con efficacia le
decisioni di finanziamento. A livello operativo, la gestione della funzione finanziaria
d’azienda richiede pertanto il raggiungimento di un punto di equilibrio che consenta al
decisore, da un lato, di ottenere un livello sufficiente di rappresentatività e di correttezza
degli indicatori di valutazione utilizzati e, dall’altro lato, di conservare un sufficiente livello
di aderenza alla realtà operativa.
I principali elementi di differenziazione degli effetti collegati alle diverse forme di
finanziamento possono essere ricondotti alla modificazione della struttura finanziaria e del
complessivo equilibrio aziendale, alla variazione dell’impegno di cassa nel rimborso del
capitale e all’eventuale cambiamento nella determinazione del merito creditizio da parte dei
finanziatori. In particolare, la modificazione della struttura finanziaria e dell’equilibrio
aziendale devono essere valutate sotto il profilo sia della sostenibilità del costo dei
finanziamenti sia della compatibilità dell’insieme delle fonti con l’attività svolta. Ciò
conduce a verificare la relazione esistente fra il grado di leva finanziaria raggiunto con il
ricorso a nuove risorse finanziarie e la rischiosità del business nel suo complesso. Gli
elementi suddetti, che il decisore dovrà valutare caso per caso, peraltro comprendono non
solo gli effetti diretti sui flussi economici e sui flussi finanziari ma anche gli effetti di ritorno
che modificano l’assetto complessivo delle passività aziendali e l’apprezzamento
dell’attività di business effettuato dai creditori, seguito da una differente composizione delle
caratteristiche delle linee di affidamento concesse (revisione dei tassi, del limite di fido).
Con riferimento al confronto lease to borrow, gli approcci formulati a livello di studi
e di ricerche hanno messo in luce che l’unica alternativa possibile al leasing è rappresentata
da un mutuo caratterizzato da una distribuzione dei flussi di cassa identica a quella del
contratto di leasing. Ciò assicura la sostanziale neutralità delle due fonti di finanziamento
rispetto alla struttura del capitale e della complessiva rischiosità aziendale. L’approccio
citato, se da un lato ha il pregio di eliminare gli elementi di non confrontabilità fra le due
forme di finanziamento, dall’altro lato risulta privo di una effettiva possibilità applicativa in
quanto non tiene conto della struttura dei contratti di finanziamento effettivamente
disponibili sul mercato. In questo senso, a livello operativo il confronto fra il costo effettivo
del leasing e il costo effettivo del mutuo risulta efficace e utilizzabile finché l’investimento
finanziato non modifichi in modo sostanziale – per la rilevanza dell’importo – la
composizione degli assets aziendali e il grado di indebitamento complessivo. Se ciò si
verifica, l’analisi del tasso netto imposte rappresenta solo uno degli elementi della
valutazione delle alternative disponibili, che comunque deve essere ricondotta all’interno
del più ampio confronto con le strategie di finanziamento aziendale nel medio periodo.
Con riferimento al confronto lease to lease, l’elemento di eterogeneità relativo
all’impatto sul leverage aziendale è attenuato in quanto entrambe le alternative non
comportano l’immediata acquisizione del bene nell’ambito degli assets. Tuttavia, qualora
fosse prevista un differente tempificazione nell’esercizio del riscatto e una significativa
divergenza negli importi previsti, ciò tenderebbe a modificare il livello di indebitamento
aziendale riducendo la possibilità di un confronto effettivo fra i tassi netti delle due
operazioni. In particolare, questo avviene nel caso di un contratto di leasing con riscatto a
scadenza posto a confronto con un altro contratto di leasing che prevede l’ipotesi di
esercizio del riscatto anticipato. Se il lag temporale fra i due periodi di riscatto è
particolarmente ampio e gli importi del bene riscattato differenti, l’analisi effettuata sulla
base del costo netto risulta incompleta. Ciò perché il ricorso al riscatto anticipato da parte
del locatore comporta un maggiore assorbimento di risorse finanziarie disponibili che, nel
caso di esercizio del riscatto a scadenza, potrebbero essere destinate a investimenti più
redditizi. In questo senso, il costo netto delle due operazioni non tiene conto delle possibilità
di impiego della liquidità differenziale che scaturisce dal confronto fra i prospetti dei flussi
di cassa delle alternative utilizzate. Lo stesso fatto si verifica nell’ambito del confronto di
due contratti di leasing con durate sensibilmente differenti in quanto l’operazione a scadenza
più protratta nel tempo genera per tutta la durata una maggiore disponibilità finanziaria che
può essere investita nell’attività aziendale.
Con riferimento al confronto lease to buy, l’ipotesi alternativa al leasing di acquisto
con ricorso ai mezzi propri richiede l’individuazione del costo delle risorse impiegate per le
realizzazione dell’investimento. Ciò significa determinare il rendimento netto delle
disponibilità liquide presenti in azienda da destinare all’acquisto del bene o il rendimento
netto di un investimento alternativo a quello oggetto della valutazione. Generalmente si
attribuisce al primo procedimento il significato di decisione in condizioni di piena
disponibilità di risorse finanziarie e al secondo procedimento il significato di decisione in
condizioni di scarsità di risorse. Tuttavia, in quest’ultimo caso la valutazione si sposta dalla
scelta lease or buy in senso stretto, riferita a uno specifico bene, all’ipotesi di un confronto
allargato su più beni e su più progetti industriali che deve essere svolto a monte dell’analisi
finanziaria. Restringendo di conseguenza l’ambito di osservazione al primo caso, il
confronto fra il tasso netto del leasing e del tasso netto della liquidità aziendale presenta
comunque i limiti già evidenziati nelle ipotesi lease or lease e lease or borrow riferiti sia al
differente impatto prodotto nel tempo sull’andamento delle risorse disponibili e impiegabili
in ulteriori investimenti sia alla modificazione del grado di indebitamento aziendale.
Una valutazione complessiva delle caratteristiche specifiche delle alternative di
finanziamento mette in luce in ogni caso la presenza di una relazione diretta fra la
rappresentatività del costo netto della singola operazione e il grado di omogeneità
qualitativa e quantitativa con l’operazione di leasing oggetto della valutazione. Se la fonte
alternativa – sia essa un mutuo, un altro contratto di leasing o i mezzi propri aziendali –
presenta una struttura dei flussi di cassa e un impatto sul leverage differenti rispetto a quelli
riferiti al leasing, questo gap può rappresentare un elemento determinante per definire la
convenienza dell’operazione.
A fronte della complessità valutativa e dei vincoli all’uso esclusivo del criterio
discriminante del tasso netto, il management aziendale ha due possibilità alternative.
Secondo una prima metodologia, può introdurre gli elementi di eterogeneità finanziaria dei
contratti esaminati all’interno del calcolo dell’IRR. Ciò appare praticabile solo per i
fenomeni suscettibili di una determinazione quantitativa e non per gli effetti di ritorno
prodotti da una scelta di finanziamento, quale il diverso apprezzamento del merito creditizio
da parte dei finanziatori e la differente rischiosità della complessiva attività di business. Al
riguardo, appare significativo l’esempio del confronto fra due contratti di leasing con durate
differenti per i quali è possibile introdurre l’ipotesi di operazioni di investimento e di
finanziamento, praticate a tassi coerenti con l’impiego e la raccolta dell’azienda, con
l’obiettivo di rendere omogenee le due operazioni sotto il profilo della durata e dei flussi. Il
procedimento suddetto se da un lato permette di ricondurre gli effetti collegati
all’accensione dei finanziamenti a un indicatore oggettivo, dall’altro lato tende a sganciare il
diretto riferimento del tasso netto alla singola operazione e a introdurre ipotesi esterne
comunque arbitrarie. In questo senso, appare più efficace adottare una seconda metodologia
di approccio alla valutazione finanziaria che conserva il costo effettivo dei finanziamenti
come elemento centrale dell’analisi di convenienza e successivamente pone a confronto gli
elementi di eterogeneità fra le alternative valutate. Ciò permette: in primo luogo, di
mantenere una rispondenza diretta fra prezzo di mercato e costo effettivo dello strumento
analizzato, valutando solo gli effetti fiscali strettamente imputabili all’accensione dello
specifico finanziamento; in secondo luogo, di rendere espliciti e di valutare di volta in volta,
sulla base delle esigenze aziendali, gli elementi di disomogeneità e gli effetti di ritorno
considerati effettivamente rilevanti per l’assunzione di una determinata scelta di
finanziamento.

4. La valutazione finanziaria dell’operazione di leasing nella visuale dell’impresa:


l’approccio lease or borrow

L’applicazione dei criteri di selezione dei finanziamenti richiede l’individuazione dei


flussi di cassa rilevanti prodotti dall’operazione valutata, riferiti sia alle componenti
contrattuali sia agli effetti indotti sull’imponibile aziendale in termini di eventuali risparmi
di imposta. L’individuazione dei flussi per importi e scadenze dell’operazione di leasing
deve essere completata, secondo quanto visto in precedenza, dalla dinamica finanziaria
dell’operazione di acquisto. A fini operativi e di esemplificazione è possibile rappresentare
nel seguente schema tutti i flussi di cassa, in entrata e in uscita, rilevanti per la valutazione
dell’operazione di leasing al netto dell’acquisto nel momento della loro effettiva
manifestazione finanziaria:

Tabella 15. La struttura dei flussi di cassa rilevanti per la valutazione dell’operazione di leasing al
netto dell’acquisto
FLUSSI DI CASSA Periodi 0 1 2 .... n

Prezzo del bene e spese accessorie


Canoni di leasing
Prezzo di riscatto e spese accessorie
Rimborso spese istruttoria
Eventuale IVA indetraibile canoni
Eventuale IVA indetraibile prezzo riscatto
Flusso di cassa contrattuale
Pagamento effettivo del bene
Rettifica non riscatto o cessione del bene
Flusso imposte dirette
Flusso IVA
Flusso altre imposte
Flusso di cassa netto imposte

I primi sei flussi riportati nella tabella di valutazione costituiscono gli elementi che
caratterizzano sotto il profilo esclusivamente contrattuale l’operazione di leasing esaminata.
In termini analitici, la riga riferita al prezzo del bene e alle spese accessorie riporta
l’ammontare che il locatario risparmia ricorrendo al contratto di leasing anziché all’acquisto
diretto del bene. Il flusso di cassa positivo viene indicato in corrispondenza del periodo 0,
che rappresenta il momento in cui il contratto di leasing incomincia a produrre effetti fiscali
e finanziari per l’utilizzatore. La riga successiva consente di riportare al momento della loro
manifestazione finanziaria gli importi corrisposti all’azienda locatrice sotto forma di
maxicanone e di canoni periodici, secondo le modalità stabilite dal contratto stesso. La riga
riferita al prezzo di riscatto e alle spese accessorie indica l’ammontare corrisposto dal
locatario per acquisire la proprietà del bene, sia esso dovuto a conclusione del pagamento di
tutti i canoni periodici oppure versato in via anticipata. La riga rimborso spese istruttoria
completa infine l’insieme dei flussi contrattuali dell’operazione di leasing netto acquisto
segnalando il flusso in uscita collegato al pagamento delle spese di istruttoria dovute
all’azienda locatrice. Dal momento che tutti i flussi contrattuali sono via via riportati al netto
dell’Iva, se il locatario è un soggetto non imponibile ai fini delle imposte indirette, occorre
specificare nelle due righe successive le somme da questo versate a titolo definitivo,
calcolate in corrispondenza dei canoni e del prezzo di riscatto . Il flusso di cassa 3

contrattuale, ottenuto come somma verticale dei flussi precedenti, rappresenta la


successione delle entrate e delle uscite di cassa generate dai soli elementi che costituiscono

3In questo caso occorre riportare anche l’Iva risparmiata dal locatario a titolo definitivo sul prezzo del bene. Al
riguardo, è sufficiente indicare nella prima riga dello schema di valutazione il prezzo del bene maggiorato di un importo
pari all’imposta indiretta. L’ammontare suddetto assume segno positivo.
il contratto di leasing al netto dell’ipotesi alternativa di acquisto. Su questa successione è
possibile applicare le tecniche di valutazione del finanziamento, calcolando l’IRR e il NPV,
e porre il primo indicatore a confronto con il tasso contrattuale di un finanziamento
alternativo. Il valore dell’IRR così ottenuto coincide con quello calcolato analogamente con
riferimento al prospetto di cassa dell’azienda locatrice, in quanto rappresenta il tasso di
mercato dell’operazione di leasing determinato sulla base dei soli elementi costitutivi del
contratto. Assume pertanto il duplice significato di costo lordo per il locatario e di
rendimento lordo per il locatore.
Il flusso relativo al pagamento effettivo del bene consente di inserire l’ipotesi di un
vantaggio attribuito all’alternativa di acquisto diretto del bene, in termini di possibilità di
ricorrere al pagamento dilazionato. Ciò significa che se il pagamento avviene in un periodo
o in più periodi posteriori al tempo 0, occorre segnalare inizialmente un flusso negativo che
annulla il risparmio riferito al costo del bene indicato nella prima riga del prospetto di cassa
e, successivamente, riportare con il segno positivo gli importi del pagamento secondo
quanto previsto dall’accordo di dilazione. In questo senso, la valutazione del leasing al netto
dell’acquisto può scontare l’effetto del credito di fornitura strettamente dipendente dallo
stesso processo di acquisto.
Il flusso relativo alla rettifica non riscatto o cessione consente di mettere in luce due
operazioni distinte che dipendono dal mancato esercizio del riscatto da parte del locatario a
conclusione del contratto. In primo luogo, occorre annullare con un flusso di segno opposto
l’importo in uscita indicato alla riga prezzo di riscatto e spese accessorie. La procedura
suddetta è effettuata al di fuori dei flussi contrattuali in quanto non deve alterare il tasso
leasing che rappresenta un’indicazione oggettiva del prezzo dell’operazione,
indipendentemente dal profilo economico-finaziario e dai comportamenti dell’utilizzatore.
In secondo luogo, occorre mantenere per tutta la durata della valutazione finanziaria
l’omogeneità fra la posizione dell’acquirente e quella del locatario, che risulta invece
modificata dal mancato esercizio del riscatto. Ciò si verifica in quanto l’acquirente conserva
la disponibilità del bene e il locatario vi rinuncia. E’ necessario di conseguenza ipotizzare un
prezzo di cessione del bene nell’ipotesi di acquisto e riportarlo, con segno negativo, in
corrispondenza del periodo di mancato esercizio del riscatto.
Il flusso imposte dirette, il flusso Iva e il flusso altre imposte consentono di
evidenziare l’impatto fiscale dell’operazione di leasing al netto dell’acquisto. Il primo mette
in luce il flusso delle perdite o dei risparmi fiscali sulla tassazione diretta prodotto
dall’accensione del contratto di leasing e dalla contestuale rinuncia all’acquisto del bene. Ai
fini di una corretta valutazione finanziaria, è necessario riportare i flussi in corrispondenza
delle scadenze fiscali di maggio e di novembre, in sede di conguaglio delle imposte dovute e
di versamento del primo acconto. Il secondo mette in luce il flusso di cassa derivante dalla
movimentazione della posizione Iva del locatario, provocata anch’essa dall’operazione di
leasing e dal mancato acquisto. Il flusso altre imposte riporta infine l’ammontare
dell’imposta di registro, catastale e ipotecaria corrisposta dall’acquirente nell’ambito di
un’operazione immobiliare . In tutti i casi citati, è comunque indispensabile rendere espliciti
4

4Il flusso altre imposte presenta segno positivo in quanto rappresenta l’ammontare versato all’Erario nell’ipotesi di
acquisto e quindi risparmiato con l’accensione del contratto di leasing. Tuttavia occorre ricordare che, se il locatario non
esercita il diritto di opzione, è necessario simulare un’operazione di vendita dell’immobile per conservare l’omogeneità
fra le due operazione. In quest’ultimo caso, anche il venditore deve corrispondere all’Erario l’imposta di registro,
catastale e ipotecaria. Nello schema dei flussi di cassa occorre riportare di conseguenza un flusso positivo riferito al
risparmio d’imposta.
e coordinare l’insieme dei fattori che concorrono a determinare gli effetti prodotti dalle
imposte dirette e da quelle indirette.
Con riferimento al flusso imposte dirette, occorre simulare la struttura del conto
economico del locatario determinando, esercizio per esercizio, la maggiore o la minore
tassazione che deriva dal ricorso all’operazione di leasing anziché all’acquisto del bene
(vedi tabella 16). Di conseguenza, il conto economico è suddiviso in due parti che svolgono
la funzione di calcolare in ogni anno la materia imponibile generata dal contratto di leasing
e dal contratto di acquisto. Tale valutazione deve comunque essere effettuata due volte: la
prima ai fini della determinazione dell’IRES e la seconda ai fini della determinazione
dell’IRAP.

Tabella 16. La struttura del conto economico rilevante per la determinazione della perdita o del risparmio fiscale
prodotti dall’operazione di leasing al netto dell’acquisto

CONTO ECONOMICO Anni: 0 1 2 .... n

Canoni leasing deducibili


Spese e detrazioni fiscali ammesse
Ammortamento del bene riscattato
Costi totali deducibili
Imponibile aziendale
Imponibile totale
Risparmio fiscale leasing

Ammortamenti
Altre deduzioni, minusvalenze, plusvalenze
Imponibile aziendale
Imponibile totale
Risparmio fiscale acquisto

Perdite/risparmi fiscali totali

Nel caso di ricorso al leasing, la somma verticale delle componenti di costo


comprende: i canoni leasing deducibili, ripartiti uniformemente lungo tutta la durata del
contratto; le spese e le detrazioni fiscali ammesse, imputate nell’esercizio di competenza e
riferite alle spese di istruttoria; le quote di ammortamento del bene riscatto, a scadenza o
anticipatamente, calcolate secondo le norme prescritte per l’ammortamento normale e
anticipato. I costi totali così ottenuti consentono di confrontare anno per anno l’ammontare
dell’imponibile aziendale atteso, al lordo e al netto dell’operazione di leasing, e di
determinare i corrispondenti importi delle imposte dirette. La differenza fra la tassazione al
lordo e al netto del contratto rappresenta il risparmio fiscale prodotto dall’operazione di
leasing.
Nel caso di ricorso all’acquisto, la somma verticale delle componenti di costo e di
ricavo comprende: gli ammortamenti del bene acquistato, calcolati secondo le aliquote
previste dalla normativa vigente; le minusvalenze o le plusvalenze derivanti dalla eventuale
cessione del bene, ipotizzata in corrispondenza del mancato riscatto nell’operazione di
leasing. Come già effettuato nella parte superiore del conto economico, i costi totali
deducibili così ottenuti consentono di determinare, anno per anno, la tassazione al lordo e al
netto dell’acquisto individuando il risparmio fiscale prodotto dall’acquisto stesso. L’ultima
riga del conto economico indica in ogni esercizio la differenza fra il risparmio fiscale riferito
all’operazione di leasing e il risparmio fiscale riferito all’operazione di acquisto. I valori
suddetti, riportati a livello di flussi di cassa in sede di acconto e di conguaglio, devono
essere collocati all’interno della struttura dei flussi finanziari rilevanti per la determinazione
del costo netto dell’operazione di leasing.
Con riferimento al flusso Iva, è necessario utilizzare uno schema di valutazione di
supporto che permetta di rilevare, periodo per periodo, l’andamento della posizione Iva del
locatario (vedi tabella 17). Anche in questo caso occorre suddividere la struttura dei flussi in
due sezioni distinte, riportando nella prima la movimentazione indotta dall’accensione del
contratto di leasing e nella seconda la movimentazione indotta dall’acquisto diretto del bene.
L’obiettivo della distinzione – così come nel conto economico – è collegato all’esigenza di
individuare il flusso Iva differenziale, riferito all’operazione di leasing al netto dell’acquisto.
La sezione del conto Iva relativa al leasing individua i flussi Iva versati dal locatario
sui movimenti finanziari relativi al contratto. In questo senso, occorre riportare l’Iva pagata
sui canoni, sulle spese di istruttoria e sul prezzo di riscatto in corrispondenza della loro
manifestazione nello schema dei flussi di cassa. La somma verticale di tali componenti
costituisce la successione dei flussi in uscita per Iva complessivamente prodotti
dall’accensione del contratto di leasing. I valori suddetti rappresentano, cambiati di segno, il
credito Iva di periodo generato dal contratto stesso.

Tabella 17 La struttura del conto Iva rilevante per la determinazione del flusso di cassa Iva del leasing al netto
dell’acquisto

CONTO IVA Periodi: 0 1 2 .... n

IVA sui canoni di leasing


IVA su spese istruttoria e prezzo riscatto
Totale uscite Iva
Credito IVA di periodo
Saldo conto IVA
Risparmi su liquidazione
Rimborsi accelerati
Flusso Iva leasing

Iva su bene acquistato/venduto e spese accessorie


Totale (uscite)/entrate Iva
Credito IVA di periodo
Saldo conto IVA
Risparmi su liquidazione
Rimborsi accelerati
Flusso Iva acquisto

Flusso IVA (leasing - acquisto)

La posizione Iva dell’operazione di leasing deve essere posta a confronto con la


posizione Iva complessiva del locatario. Ciò significa che, se il saldo Iva si presenta
strutturalmente a debito, i flussi Iva prodotti dal contratto di leasing agiscono nella direzione
di ridurre la liquidazione periodica del saldo. Viceversa, se il saldo Iva si presenta variabile,
i flussi Iva del leasing possono determinare anche saldi a credito nei confronti dell’Erario,
attivando a fine anno un processo di recupero della posizione creditoria attraverso il
rimborso accelerato. Il flusso Iva complessivo dell’operazione di leasing scaturisce pertanto
dalla somma verticale del totale delle uscite Iva, dai risparmi su liquidazione e
dall’eventuale rimborso accelerato dell’imposta.
Lo stesso criterio di funzionamento è riprodotto nella sezione relativa all’acquisto. In
questo caso, i flussi Iva versati dal locatario sono riferiti al prezzo di acquisto del bene e alle
spese accessorie. Inoltre, se si verifica l’ipotesi di cessione del bene, occorre segnalare l’Iva
incassata sul prezzo di vendita. Il totale dei flussi Iva negativi ed eventualmente positivi
modifica secondo quanto visto in precedenza la posizione a debito o a credito nei confronti
dell’Erario, provocando un risparmio sulla liquidazione periodica oppure il ricorso al
rimborso accelerato. Il flusso Iva complessivo dell’operazione di acquisto, determinato dalla
somma verticale delle uscite e delle entrate Iva, dei risparmi sul liquidazione e dagli
eventuali rimborsi accelerati, rappresenta il termine di confronto del flusso Iva totale
dell’operazione di leasing. Al riguardo, l’ultima riga del conto Iva riporta periodo per
periodo la differenza fra le due successioni di flussi mettendo in luce il flusso Iva
differenziale leasing/acquisto da riportare nel prospetto dei flussi di cassa.
Il calcolo del flusso imposte dirette e del flusso Iva con il ricorso a schemi di
valutazione dedicati consente di completare la struttura dello schema dei flussi di cassa
complessivamente prodotti dall’accensione dell’operazione di leasing al netto dell’acquisto.
Il flusso imposte dirette, il flusso Iva e il flusso altre imposte consentono di rappresentare in
modo esaustivo l’impatto fiscale complessivo dell’operazione valutata sul profilo
economico-finanziario del locatario . Sommando verticalmente i flussi citati con il flusso di
5

cassa contrattuale e con l’eventuale rettifica del mancato riscatto e della cessione del bene si
ricava il flusso di cassa netto imposte del contratto di leasing al netto dell’acquisto. Questa
successione costituisce la base per la valutazione del costo effettivo e del valore attuale netto
per il locatario, ricorrendo alla metodologia dell’IRR e del NPV.
Il costo netto dell’operazione di leasing rappresenta l’indicatore che permette di
comprendere e di valutare in sintesi tutti gli effetti prodotti dal singolo contratto di leasing
esaminato sull’equilibrio economico-finanziario del locatario. Esso risulta sensibile alla
variazione sia dei differenti elementi che caratterizzano il contratto di leasing sia del livello
di imponibile atteso del locatario e delle caratteristiche del saldo Iva. Sotto il primo profilo,
la combinazione degli elementi riferiti alla durata del contratto, al periodo di stipulazione e
all’importo dei canoni producono, a parità di tasso leasing, effetti diversi sul costo effettivo
dell’operazione. Sotto il secondo profilo, differenti livelli di reddito imponibile modificano
la capacità fiscale del locatario di dedurre le componenti di costo collegate al leasing e
all’acquisto, alterando la soglia di convenienza dell’operazione. Nello stesso modo, anche la
natura creditoria o debitoria del saldo Iva cambia la tempificazione e l’ammontare dei flussi
Iva incidendo direttamente sul tasso netto del contratto di leasing.
La presenza di una relazione variabile fra il tasso leasing e il costo netto
dell’operazione di leasing rappresenta l’elemento critico della valutazione di convenienza
del contratto nell’ambito sia delle politiche di mercato dell’azienda locatrice sia della
gestione finanziaria del locatario.
Dal punto di vista della società di leasing, la capacità del management di monitorare
il processo di formazione del costo effettivo dei contratti offerti per la clientela è un
elemento indispensabile della politica dei prezzi. Ciò è da attribuirsi al fatto che se il
5Dal novero delle imposte è stato escluso esplicito riferimento all’ICI nel caso di leasing immobiliare. Ciò è reso
possibile dal fatto che l’imposta può essere considerata una partita di giro in quanto si assume che l'ICI pagata dalla
società di leasing sia pari a quella che avrebbe pagato l'acquirente dell'immobile. La società di leasing ottiene rivalsa dal
locatario dell'ICI pagata senza apprezzabile ritardo. L'ICI può dunque essere considerata ininfluente ai fini della
valutazione del costo effettivo dell’operazione di leasing.
posizionamento del pricing del servizio acquista una maggiore sensibilità ai fattori di
convenienza per il locatario, l’azienda locatrice moltiplica sia le opportunità di
differenziazione del packaging contrattuale, in rapporto al fabbisogno espresso dalla
domanda, sia le possibilità di sfruttare lo spazio economico prodotto dall’operazione. In
termini generali, quanto più il management della società di leasing è capace di valutare le
singole operazioni sotto il profilo del rendimento netto aziendale e del costo netto per la
clientela tanto più orienta il proprio modello di presenza sul mercato verso obiettivi
congiunti di efficacia competitiva e di efficienza operativa. Con riferimento al primo
obiettivo, la gestione del rapporto fra il prezzo di mercato dello strumento e il tasso netto a
favore del cliente, crea valore aggiunto al prodotto e consolida la relazione di scambio nel
tempo. Con riferimento al secondo obiettivo, il monitoraggio dell’impatto delle politiche di
prezzo sulla redditività aziendale consente di governare il processo di creazione del valore,
utilizzando gli effetti prodotti dallo sfruttamento intensivo delle asimmetrie fiscali,
finanziarie e operative collegate all’attività di leasing.
Dal punto di vista del locatario, la maggiore propensione all’uso del criterio del costo
netto imposte per valutare la convenienza dell’operazione di leasing amplia gli spazi di
intervento della gestione della funzione finanziaria. Ciò si manifesta non solo in relazione
all’utilizzo dell’IRR netto imposte e alla corretta rappresentazione degli effetti
complessivamente indotti dall’accensione del contratto di leasing ma anche in termini di
capacità di controllo delle principali variabili che influiscono sul costo netto
dell’operazione. Al riguardo, l’analisi di sensitività del tasso netto rispetto alla durata, al
mese di decorrenza, agli elementi contrattuali consente al decisore sia di assumere una
scelta di finanziamento compatibile, in termini di effettiva convenienza, con la struttura
obiettivo del capitale sia di verificare la presenza di spazi di manovra per l’ottimizzazione
della leva fiscale. In questo senso, l’analisi di convenienza risulta estesa ad un livello più
generale di programmazione e di pianificazione dei flussi finanziari e dei flussi derivanti da
risparmi sui versamenti all’Erario.
Nell’ambito della valutazione dell’operazione di leasing per il locatario occorre
applicare in modo omogeneo i criteri dell’IRR e del NPV sulla struttura finanziaria sia del
leasing al netto dell’acquisto che del mutuo alternativo. In altri termini, la struttura del
prospetto di cassa e dei relativi prospetti di supporto per il calcolo dell’impatto fiscale deve
essere applicata anche alla valutazione del contratto di mutuo. Ciò consente di mettere in
luce il costo effettivamente sostenuto per l’accensione del prestito, determinando l’effetto
prodotto dalle imposte con riferimento ai risparmi fiscali eventualmente conseguibili in sede
di versamento delle imposte. Il tasso così ottenuto dalla successione dei flussi di cassa netto
imposte del mutuo è omogeneo al tasso netto dell’operazione di leasing. Di conseguenza
esso può essere utilizzato direttamente per un confronto lease or borrow con la verifica del
tasso più favorevole per il locatario oppure con il calcolo del NPV del leasing mediante
l’impiego del tasso del mutuo come fattore di attualizzazione.
La possibilità di impiego della valutazione del costo effettivo del contratto di leasing
e delle scelte alternative di finanziamento del locatario richiede lo sviluppo di un’attività di
monitoraggio sugli elementi che determinano la convenienza dell’operazione. L’analisi
condotta sulla struttura dei flussi finanziari prodotti dall’operazione di leasing al netto
dell’acquisto e sulla forma di finanziamento alternativa consente di verificare con efficacia
le ipotesi lease or borrow, lease or buy e lease or lease soltanto se questa assume la valenza
di confronto dinamico. Ciò significa sviluppare un insieme di analisi di sensitività del costo
netto del singolo contratto di leasing rispetto alla variazione degli elementi che lo
determinano. In altri termini, è necessario simulare scenari alternativi mettendo in luce gli
effetti prodotti dalla differente combinazione di fattori aziendali e delle caratteristiche
contrattuali. I primi sono collegati alla previsione degli imponibili attesi, alla politica degli
ammortamenti e all’andamento del saldo Iva mentre le seconde sono riferite all’ammontare
e alla relazione fra i canoni periodici, il maxicanone e il prezzo di riscatto. L’analisi
congiunta dei requisiti suddetti conferisce valore aggiunto alla valutazione finanziaria in
quanto consente al decisore di individuare la presenza di specifiche aree di convenienza
dell’operazione di leasing e di definire le politiche aziendali rivolte a ottimizzare l’impatto
della variabile fiscale.
Alla base dell’analisi di sensitività del costo effettivo dell’operazione di leasing è
necessaria la presenza di un contratto di riferimento rappresentato attraverso lo schema dei
flussi di cassa. In rapporto ad esso è possibile verificare l’impatto generato dalla
modificazione di uno o più elementi aziendali e contrattuali che incidono sul processo di
determinazione del costo netto. La variazione dell’IRR e del NPV del contratto di leasing e
del finanziamento alternativo risultante dalla formulazione dei differenti scenari consente di
tracciare il sentiero di convenienza delle operazioni analizzate, con evidenti ricadute sia per
l’azienda locatrice, che acquista un criterio di progettazione delle condizioni contrattuali
idonee per la clientela servita, sia per il locatario nel processi di riduzione del costo medio
della provvista.

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