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Parlare con le mani è cosa tutta italiana.

Non passa
inosservata e fa parte della nostra cultura, come la
buona cucina, l’arte e la moda.
Da Patrizia Scardellato

Il linguaggio dei segni noi italiani lo apprendiamo fin da


piccoli per imitazione. È naturale, quasi non ce ne
rendiamo conto finché un giorno non ci troviamo davanti
un interlocutore straniero… e sentiamo che qualcosa non
torna, la comunicazione sembra forzata, incompleta.
Dopo averlo scrutato per un buon quarto d’ora arriva
l’epifania: chi ci parla lo fa con la bocca, magari con gli
occhi…. ma non con le mani! Per noi italiani a livello
subliminale questo può rendere l’esperienza
comunicativa meno spontanea, meno coinvolgente.
Secondo uno studio della Prof. Isabella Poggi, docente di
Psicologia Generale e Psicologia della Comunicazione
all’Università Roma 3, i gesti codificati utilizzati
quotidianamente dagli italiani sarebbero circa 250. Un
aspetto a mio avviso sorprendente è che si tratta di un
patrimonio perlopiù comune a tutti gli abitanti della
penisola, a dispetto delle notevoli discrepanze dialettali e
culturali che la contraddistinguono. Esistono per la verità differenze regionali, anche quantitative: si
gesticola di più in Campania e Sicilia, meno nell’entroterra della Sardegna… quasi che vivere in città
caotiche e affollate ci costringesse ad agitarci di più per farci notare (mai fermato un taxi a Napoli?).
Abbiamo gesti per ogni occasione. Alcuni sono di più facile comprensione, poiché per esprimere un
concetto imitano gli oggetti e il loro uso. Alcuni esempi:

 indice e medio tesi a sforbiciare l’aria per invitare a “tagliar corto”;


 pollice e mignolo tesi a mimare una cornetta per alludere a una telefonata;
 pistola puntata alla tempia in un gesto di eloquente disperazione.

Ci sono poi quei gesti che, indicando alcune parti del corpo, ne segnalano la funzione:

 darsi un colpetto sulla fronte quando si è dimenticato qualcosa;


 picchiettarsi con l’indice la tempia per dare del pazzo a qualcuno;
 portarsi l’indice alle labbra chiuse per invitare al silenzio.

Ma questi sono facili, roba da dilettanti. Ci sono ben altri gesti che per noi sono chiarissimi e
inequivocabili ma che per uno straniero sono del tutto incomprensibili.

 la mano “a pigna” (dita tese e unite a punte in su) oscillante sul polso a significare “che vuoi?” ma con
molto, molto meno garbo.
 oppure il gesto vagamente mafioso dell’aumma aumma, con la mano che traccia cerchi con le dita
rivolte verso il basso, a indicare complicità in una situazione poco chiara.
Esiste poi una ricca collezione di gesti scaramantici e propiziatori (corna verso il basso, dita
incrociate…); di altri offensivi e volgari (braccio a ombrello, dito medio alzato, corna verso l’alto). Molti
di questi sono ormai sdoganati anche in televisione da politici nazionali tanto noti quanto maleducati.
Parlare con le mani ci piace talmente tanto che alcuni gesti li importiamo (del resto l’italiano ha un
debole per i forestierismi… bisogna dire che siamo coerenti), e allora capita sempre più spesso di
vedere gente che “svirgoletta” in aria, un vezzo contemporaneo e tutto anglosassone. Viene da
chiedersi se e quando i fautori di questa punteggiatura aerea si esibiranno in apostrofi, punti
esclamativi e parentesi. Pur amando e difendendo la punteggiatura dico no. Questo è troppo anche per
me.

Ma perché, ci si chiede, da Trieste a Canicattì gesticoliamo così tanto?

Per capirlo è necessario ripensare alla storia dell’amato e conteso Stivale: per secoli siamo stati divisi in
città-stato e staterelli, abbiamo subito invasioni e dominazioni e si sa, chi conquista (spagnoli, austriaci,
francesi…) immancabilmente impone la propria cultura e la propria lingua. In questa babele di idiomi e
dialetti arrivare a una lingua unitaria è stato un processo lungo e faticoso, nient’affatto spontaneo.
Se il latino è stato per secoli la lingua della cultura e di quanti (pochi) sapevano leggere e scrivere, è
verosimile che la gente semplice trovasse nella gestualità uno strumento prezioso per esprimersi e farsi
comprendere.
Quanto all’origine dei gesti, di alcuni si trova riscontro nelle figure dipinte sulle ceramiche della Grecia
antica, altri invece ci riportano all’antica Roma, come lo scongiuro tutto maschile di portare la mano ai
genitali (vedi il culto di Priapo, le raffigurazioni falliche sui muri pompeiani e gli analoghi pendenti che i
romani indossavano fin da bambini contro il malocchio).
Interessante anche la storia di un altro gesto ormai universale: mi riferisco alla supplica a mani giunte.
È il gesto di preghiera per eccellenza e lo fanno tutti – i credenti davanti al Cristo e le madri davanti al
figlio scriteriato. In realtà l’origine del gesto non è religiosa, come si potrebbe pensare, ma nobile. Gli
affreschi delle catacombe ci insegnano che nei primi secoli del Cristianesimo si pregava in piedi e a
braccia aperte come fanno ancora i sacerdoti durante la Messa. L’altra forma antica della preghiera era
quella dell’orante prostrato con il volto a terra (si pensi a Gesù nel giardino di Getsemani – Matteo
26:39, o il modo di pregare dei musulmani).
La preghiera come l’intendiamo noi, quella con le mani giunte, deriverebbe invece dall’atto di omaggio
feudale. Durante la cerimonia il vassallo, in ginocchio, metteva le mani giunte tra le mani del
feudatario, gli prometteva fedeltà e gli assicurava i suoi servigi in cambio di protezione e
mantenimento. Così il cavaliere affidava la propria vita alle mani del suo signore e diventava un suo
uomo (dal latino homo da cui homagium, omaggio).

Dall’antica Roma al Medioevo… a Dolce&Gabbana, il linguaggio dei gesti è uno strumento di


comunicazione che ci accompagna da millenni e conserva tracce della nostra cultura comune, della
nostra storia. In altre parole, possiamo continuare a gesticolare con orgoglio (possibilmente senza
virgolette). E a chi – magari figlio di una cultura un po’ più ingessata – dovesse riderne… beh, possiamo
rispondere attingendo al nostro repertorio e seguendo pedissequamente le istruzioni riportate alla
pagina 94 del delizioso Supplemento al Dizionario Italiano di Bruno Munari, pubblicato nel 1963: “La
mano tocca il mento e poi si sposta in avanti…”

https://www.flickr.com/photos/cityofsound/8099512477/in/photostream/
I gesti italiani

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Quali gesti italiani conoscete? Sono diversi dai gesti del vostro paese? Vi è mai capitato di fraintendere un
gesto?

Completate la scheda che trovate qui di seguito.

Divertitevi a riprodurre tutti i gesti!

Cosa significano questi gesti? Prova ad inserire le seguenti espressioni sotto il gesto appropriato.

Guardate una conversazione esclusivamente a gesti:

La prima volta soltanto fino al minuto 2:05 ; Raccontate cio’ che avete appena assistito.
https://www.youtube.com/watch?v=RQquNGJMXe8

Quest'ultima attività farà ridere tutti a crepapelle.

Avete almeno un quarto d'ora di tempo per preparare una scenetta per ogni situazione prima di farla presentare
davanti a tutta la classe, utilizzando parole e gesti
Guardate il video

https://www.youtube.com/watch?v=RQquNGJMXe8

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