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ANDARE PER LE ABBAZIE CISTERCENSI – CARLO TOSCO

CAP.1

I cistercensi sono monaci benedettini, la loro storia parte quindi da Benedetto da Norcia, il santo che nel VI
secolo aveva rifondato il monachesimo occidentale e scritto la Regola, dove è prescritto in ogni dettaglio
quello che il monaco deve fare per accedere a una vita di santità. In particolare, la regola prescrive
l’obbedienza: il monaco ubbidisce all’autorità del suo abate, che impone la disciplina ascetica e il rispetto
delle norme di vita nel campo spirituale e materiale. I cistercensi si dispongono ad ascoltare nuovamente la
Regola di Benedetto, che non veniva più seguita dai monaci del loro tempo, le cui abbazie erano ormai
divenute centri di potere. I cistercensi delle origini si pongono quindi come riformatori, che assumono un
atteggiamento critico nei confronti degli altri benedettini e intendono percorrere una strada ascetica di
rigore e povertà. Le cose cambieranno con il tempo, e anche i cistercensi finiranno per accettare molti
compromessi, ma all’inizio la loro scelta di vita era davvero radicale.
Il primo nucleo di monaci si era ritirato in una foresta disabitata per fondare nel 1098 l’abbazia di Citeaux,
presso Beaune, nel cuore della Borgogna; regione veramente centrale nella geopolitica dei regni cristiani in
formazione, e attraversata da strade importanti che collegavano regioni della Francia, dell’Italia e della
Germania. Tale abbazia, il cui nome in latino è Cistercium, darà il nome all’ordine. All’epoca del primo abate,
Roberto di Molesme, la vita era molto dura, improntata da una rigida osservanza della Regola. Secondo le
cronache il sito era selvaggio, ricco di vegetazione e acquitrinoso; l’esperienza religiosa assume così
connotati eroici. La foresta nel medioevo era uno spazio mitico, un luogo dove si poteva incontrare Dio ma
anche il Maligno; l’ambiente naturale assume così un significato simbolico. I primi monaci erano “uomini dei
boschi” e le abbazie sorgevano in luoghi disabitati, lontani dai centri urbani. Abitavano inizialmente in edifici
molto poveri, case di legno costruite con le loro mani, coperte da tetti di frasche, creando l’immaginario
delle “capanne primitive”, molto vivo nei racconti dell’ordine. Forse si trattava di un mito, e sappiamo che
già all’epoca dell’abaziato di Alberico (1099-1108), venne intrapresa la costruzione dei primi edifici in pietra.
Il “mito delle origini” rimase sempre vivo, e l’aspirazione ad un’architettura severa, ascetica, che non
concedeva spazio agli eccessi decorativi, era destinata a segnare nel tempo le costruzioni dei monaci.
Dopo Citeaux vennero fondate le quattro abbazie “sorelle” di La Fertè, Pontigny, Clairvaux e Morimond, tra
il 1113 e il 1115: si andava a formare un gruppo compatto di centri religiosi, uniti da un comune progetto di
riforma del monachesimo benedettino. La congregazione troverà un riferimento programmatico nella Carta
di carità di Stefano Harding, terzo abate di Citeaux. Tra le novità vi è un nuovo tipo di organizzazione che
collega tra loro le abbazie, le quali erano legate tra loro in una congregazione che riuniva gli abati in un
capitolo generale. I cistercensi formavano cos’ una rete, che tendeva a estendersi sul territorio con un
processo di gemmazione: ogni nuova abbazie era affiliata ad una delle prime. In questo modo i singoli
monasteri uscivano dal proprio microcosmo ed entravano in un sistema più grande.
Il successo cistercense fu inarrestabile e le abbazie si moltiplicarono in tutte l’Europa cristiana. Due fattori
favorirono il loro prestigio: il rigore ascetico del loro stile di vita, che attirava ricche donazioni, e
l’organizzazione perfetta del sistema. La disciplina era garantita dalla vigilanza degli abati e dall’autorità del
capitolo generale di Citeaux, le abbazie formavano una costellazione unita dalle regole comuni, dalle usanze
liturgiche, dal rispetto delle norme che regolano la vita quotidiana. Inoltre, le abbazie gestivano in
conduzione diretta i loro beni: coltivavano direttamente le loro terre, impegnando i religiosi nei lavori
agricoli: i monaci cistercensi furono protagonisti di grandi progetti di dissodamento, di bonifica e di
sistemazione agraria.
Il monastero cistercense si componeva dell’abbazia, con la chiesa, il chiostro e tutti gli spazi necessari alla
vita comunitaria. Essa era circondata dalle grange, centri di produzione e d’immagazzinamento dei prodotti
agricoli, che assumevano il ruolo di aziende agricole dipendenti. Per agevolare i rapporti con il mondo
vennero istituiti i conversi, confratelli laici che pronunciavano voti parziali, incaricati di gestire le grange e le
attività agricole. Essi erano quindi il trait d’union tra le abbazie e il mondo laico. L’espansione dei territori
coltivati comportava la nascita di nuove grange e l’abbazia cresceva, grazie all’influsso delle donazioni e alla
gestione oculata dei beni.
Ogni abbazia era organizzata secondo uno schema architettonico ricorrente: al centro complesso è posto il
chiostro, spazio porticato di collegamento per tutte le parti del monastero, che si disponevano ai suoi lati.
Tale schema si afferma tra il XII e il XIII secolo. Secondo la tradizione tutte le chiese erano dedicate alla
Vergine Maria; e il portare vesti bianche di lana grezza, segno di povertà e di purezza, fece sì che i cistercensi
venissero chiamati “monaci bianchi”.
Non si deve però enfatizzare troppo il rigore dei monaci cistercensi, poiché dopo i primi tempi, l’ordine
accettò molti compromessi. La gestione attenta dei patrimoni però rimase sempre un carattere distintivo
dell’ordine.

La prima abbazia cistercense fondata in Italia è Santa Maria e Santa Croce di Tiglieto, sorta nel 1120.
Secondo la tradizione si trattava del primo cenobio dell’ordine creato fuori dalla Francia. Essa si colloca alle
pendici dell’Appennino ligure, in provincia di Genova ma sul versante piemontese dei rilievi, non lontano da
Ovada, e in origine la chiesa apparteneva alla diocesi di Acqui.
Le regole dell’ordine prescrivevano che le abbazie fossero fondate in luoghi solitari, lontani dalla
frequentazione umana; in molti casi ciò non è più visibile a causa dell’espansione delle città, ma non è così a
Tiglieto. L’abbazia infatti è raggiungibile solo dopo aver percorso una strada che si snoda tra i boschi, che
non incontra borghi o fattorie e che richiede l’attraversamento del torrente Orba. L’ambiente si conserva
così intatto perché siamo nel mezzo del parco del Bigua, area protetta che nel 2015 è entrata a fare parte
della lista mondiale dei Global Geoparks.
Le strutture sono state recuperate grazie ad un intervento di restauro conclusosi nel 2016, ed ora
un’associazione locale, gli Amici dell’abbazia, gestisce il monumento e accoglie i visitatori, in accordo con gli
antichi proprietari. La chiesa ha subito diversi rimaneggiamenti in età moderna; quello più significativo è
sicuramente il cambio di facciata. Quella originale si trovava sul lato ovest, ma, con l’inversione, viene
aperto un portale archiacuto, proveniente da un ignoto edificio genovese, sul lato est. Negli edifici
medievali, infatti, abitualmente l’abside si trova rivolta a oriente, secondo il principio di “ex Oriente lux”; è
solo a partire dal Duecento e dall’ età gotica che questa norma viene progressivamente derogata.
Uno scavo archeologico ha rivelato il tracciato originario della terminazione est, formata da tre absidi piatte
allineate di forma quadrangolare, di cui quella centrale molto più ampia.
L’interno si compone di tre navate, spartite da semplici pilastri quadrangolari in mattoni, mentre i capitelli
sono in pietra, come le cornici decorative.
La chiesa fu il primo edificio in muratura costruito dai monaci a Tiglieto, e dovrebbe risalire all’epoca della
fondazione, mentre negli anni successivi, tra XII e XIII secolo, vennero realizzate le strutture del cenobio. Il
chiostro, vero spazio abitativo, si collocava sul lato sud del monastero. Il porticato che lo fasciava è perduto,
ma nel corso dei restauri si è scelto di ricostruire un tratto, quello aderente alla chiesa, con colonnine binate
in pietra, evocando l’assetto originario. Solo una parte degli edifici monastici sopravvive, tra cui è in ottimo
stato la sala capitolare, con quattro colonne al centro che sorreggono un sistema di volte a crociera
costolonate. I capitelli hanno forma ottagonale, scolpita nella pietra, a modanature lobate.
La decorazione del complesso rispetta la semplicità richiesta alle prime fondazioni dell’ordine: non ci sono
figure animali o immagini a rilievo, tutto è governato da un rigoroso geometrismo delle forme; soltanto la
colorazione a fasce delle volte e delle pareti, bianche per l’intonaco e rosso per i mattoni, concede spazio al
cromatismo dei materiali. Lungo la manica superstite del chiostro si allineano i vari locali dell’abbazia: oltre
la sala capitolare, gallerie di collegamento con l’esterno e i resti della sala dei monaci, oggi adibita a
magazzino.

La prima abbazia cistercense presenta già l’organizzazione del monastero e il


disegno rigoroso che governava il progetto architettonico tipico dei complessi
cistercensi.

CAP.2

PIEMONTE:
la vicinanza alla Francia ha favorito l’arrivo delle prime comunità dei monaci riformati attraverso i passi
alpini; in Piemonte, infatti, si conservano fondazioni cistercensi di grande importanza, appartenenti al primo
periodo di vita dell’ordine, e derivante tutte dall’abbazia madre di La Ferté.
L’abbazia di Santa Maria a Rivalta Scrivia, venne fondata nel 1180, da un gruppo di monaci provenienti da
Lucedio. La chiesa è conservata solo in parte, e per un crollo ha perso le prime campate d’ingresso,
sostituite da una facciata di tamponamento di età moderna. Essa presenta la “pianta bernardina”, un
modello architettonico caratteristico delle chiese cistercensi.
Essa è caratterizzata da un’abside maggiore a forma rettangolare, ed è affiancata da cappelle minori
simmetriche, il cui numero varia da due a tre per lato, sempre rettangolari, allineate lungo i bracci del
transetto. Si viene così a delineare un tracciato planimetrico cruciforme che segue una rigorosa modularità
geometrica: le linee ortogonali della planimetria d’intersecano secondo ritmi modulari, che scandiscono il
tracciato dell’abside, delle cappelle e del transetto, con un sistema di progettazione ad quadratum. Tale
schema deriva direttamente dalle chiese più prestigiose dell’ordine; uno degli esempi meglio conservati è a
Fontenay, un’abbazia fondata da Bernardo di Chiaravalle e consacrata nel 1147.
Una geometria così limpida è certamente il segno di un’intenzione simbolica, che esalta la razionalità
dell’architettura sacra come emblema dell’ordine cosmico. Anche se nessun disegno di architettura
cistercense ci è pervenuto per il XII secolo, è sicuro che i monaci utilizzassero strumenti grafici per divulgare
e riprodurre gli schemi delle loro architetture. Per quanto riguarda la realizzazione: la planimetria veniva
tracciata direttamente sul campo, in scala 1:1, con l’utilizzo di corde tese e paletti infissi nel terreno. Per
stabilire i rapporti la corda veniva ripiegata per calcolare la metà della distanza ecc. Il modulo base doveva
essere pari alla distanza tra la parete di fondo del transetto e quella opposta del coro, su tale modulo
venivano stabilite le altre misure. L’ortogonalità veniva stabilita con le regole utilizzate per la costruzione
delle figure geometriche euclidee, e alla fine sul terreno compariva il disegno perfetto della pianta.
Anche la chiesa dell’abbazia di Santa Maria a Casanova presenta la stessa pianta. si trova nell’alta pianura
del Po, a sud di Torino, presso Carmagnola. Il monastero venne fondato tra il 1148 e il 1152, con
l’insediamento di una comunità cistercense formata da monaci di Tiglieto. Si conserva solo la chiesa, perché
il chiostro e gli edifici monastici furono interamente ricostruiti nel Settecento. Un’altra cosa in comune con
Rivalta, sono le navate costruite seguendo le tecniche comuni all’architettura lombarda, con volte
costolonate a sistema alternato. Gli archi acuti delle navate sono tra i primi esempi conservati nel Piemonte.
I restauri selettivi hanno riportato alla luce la muratura in mattoni dei pilastri e delle volte, ma hanno
conservato parti della decorazione aggiunta nel settore superiore: l’effetto complessivo è quindi quello di
una commistione di stili, che vorrebbe testimoniare le diverse fasi di vita della chiesa.
L’abbazia di Staffarda si trova, invece, in provincia di Cuneo, presso Revello. Si tratta di una delle prime
fondazioni cistercensi in Italia, nata pochi anni dopo Tiglieto, tra il 1127 e il 1138. Il monastero godeva
dell’appoggio dei potenti marchesi si Saluzzo, che dominavano una vasta signoria nel Piemonte meridionale,
e con i quali i rapporti si intrecceranno fino a divenire la sede delle sepolture dinastiche.
Il monastero in età moderna venne inglobato in una serie di fabbricati rurali, raccolti intorno ad una corte;
per poi diventare una proprietà dell’ordine cavalleresco dei santi Maurizio e Lazzaro. Non è quindi strano
che varcando il recinto d’ingresso sembri di entrare in una grande cascina.
Nei primi anni del loro insediamento i monaci costruirono modeste residenze lignee, e il primo edificio in
muratura fu la chiesa di Santa Maria, che verso la metà del XII secolo doveva essere in gran parte
completata. Seguirono poi i lavori di costruzione degli edifici che componevano le varie parti tradizionali del
monastero, raggruppati introno al chiostro. Più distaccata, a sud, si trovava, invece, la foresteria. In queste
strutture i monaci seguirono con rigore i modelli progettuali cistercensi provenienti dalla Borgogna: un
esempio sono i capitelli del chiostro, decorati con semplici motivi vegetali.
La chiesa invece non segue affatto i modelli architettonici cistercensi, ma prende a modello l’architettura
lombarda, e in particolare quella usata a Pavia, all’epoca capitale del regno d’Italia e centro artistico di
primaria importanza. La pianta a tre absidi semicircolari, i pilastri polistili, il transetto non sporgente,
capitelli cubici e volte a crociera costolonate. La scelta del modello è significativa, e probabilmente è dettata
dal rapporto privilegiato dei monaci con i marchesi di Saluzzo.
L’abbazia crebbe velocemente, nel numero dei monaci, ma anche nell’estensione delle terre coltivate; i
monaci realizzarono un grande lavoro di deforestazione e di dissodamento dei terreni. Il territorio come ci
appare oggi, segnato dall’ordine rettilineo dei terreni coltivati, però, non è come allora, quando era ancora
dominato da una grande foresta, la silva Stapharda, che occupava la pianura del Po e dei suoi affluenti. Tale
foresta sopravvive solo in alcune macchie, come per esempio nel bosco David Bertrand, creato nel 2000.
Santa Maria di Lucedio, fondata presso Vercelli nel 1123, vide svolgere nella sua fondazione un ruolo
importante dai marchesi di Monferrato, che presero sotto la loro protezione il monastero, eleggendo la
chiesa a spazio per le sepolture della famiglia. L’abbazia così crebbe nel tempo, aumentando il numero dei
religiosi e delle grange. Non è però più possibile percepire l’ambiente originario; le terre Vercellesi sono le
grandi protagoniste della coltura del riso, che ha trasformato l’aspetto della pianura radicalmente a partire
dal XIX secolo.
In età moderna l’abbazia divenne il Principato di Lucedio, una vasta tenuta agricola dove crebbero i nuovi
fabbricati che componevano il centro dell’azienda. Soltanto pochi frammenti rimangono delle strutture
medievali: la chiesa venne ricostruita in età barocca, e del periodo cistercense si salvò soltanto una porzione
del braccio sud del transetto, sormontata dalla torre campanaria di forma ottagonale; e sul lato opposto, la
sala capitolare, con le quattro colonne al centro e il sistema di volte perfettamente visibile. La torre è
testimonianza dell’architettura cistercense alla fine del XII secolo, quando le regole più restrittive dell’ordine
cominciavano ad essere trascurate. Inoltre, la torre della collegiata di Sant’Andrea a Vercelli, primo esempio
di architettura gotica in Italia, presenta analogie con quella di Lucedio, probabilmente presa a modello dalle
maestranze che la realizzarono.

CAP.3
LOMBARDIA:
i paesaggi della pianura padana sono oggi invasi dall’espansione urbana; la cementificazione è andata
progressivamente a coprire la pianura tra Venezia e Torino. All’interno di questo contesto, Chiaravalle
Milanese appare come un’oasi di verde.
L’abbazia viene fondata da Bernardo di Chiaravalle, figura centrale del Medioevo occidentale, la cui
importanza è stata sia religiosa che politica e culturale. Nato da una famiglia della nobiltà borgognona entra
nell’abbazia di Citeaux verso il 1112; in breve tempo si afferma per la sua forte personalità, fino ad essere
considerato uno dei cofondatori dell’ordine insieme a Molesme e Harding. Nel 1115 fonda l’abbazia di
Clairvaux, di cui resterà abate fino alla morte nel 1153. Di certo il suo contributo al successo dei cistercensi e
alla riforma della chiesa fu grande. In un trattato molto noto, l’Apologia, afferma la sua dottrina sulle arti
figurative che dovevano essere applicate ai monasteri: vengono condannati gli eccessi figurativi e le
immagini fantasiose, poiché, tali raffigurazioni non ortodosse sarebbero state soltanto fonte di distrazione e
di turbamento per i monaci. Nella prima fase del movimento tali dettami verranno osservati
scrupolosamente, ma già a partire dal XIII secolo si assisterà ad un mutamento del rigore delle origini e
all’apertura verso le novità dell’arte figurativa della stagione gotica.
Bernardo fu molto attivo anche politicamente: egli ebbe un ruolo importante nella predicazione della
seconda crociata; diede sostegno teologico alla nascita dei Templari, dettando i principi fondativi della
cavalleria cristiana nell’opera: In lode della nuova milizia; durante le controversie provocate dallo scisma del
1130, assunse un ruolo politico importante, in quanto le sue scelte contribuiscono in modo decisivo alla
ricomposizione dell’unità della Chiesa. Per intervenire direttamente nella controversia si era recato più volte
in Italia, tra il 1133 e il 1138; è durante il suo secondo viaggio che venne fondato presso Milano il monastero
di Chiaravalle.
La chiesa dell’abbazia di Chiaravalle adotta la pianta
bernardina: su ogni braccio del transetto presenta tre
cappelle a fondo piatto, coperte in origine da volte a botte
archiacute, oggi occultate dagli affreschi aggiunti in età
barocca.
Il transetto e la navata centrale sono coperti da grandi volte
a crociera, sorrette da costoloni diagonali a sezione torica
(semicircolare), caratteristici dell’architettura cistercense, e
il cui uso si è affermato in Italia dopo il 1150. La funzione di
questi archi è quella di facilitare la costruzione delle volte,
l’altare e la navata; questa era una caratteristica
fornendo un appoggio stabile durante le operazioni di
delle chiese monastiche medievali, ma venne
cantiere. Il tipo di volta a botte archiacuta, che troviamo
eliminata dopo le riforme del concilio di Trento.
nelle cappelle del transetto, è invece caratteristico della
Un altro esempio di tale disposizione lo si trova
Borgogna. Troviamo quindi una commistione di stili diversi.
nel convento francescano dei Frari a Venezia.
Elementi della cultura lombarda sono anche i piloni della
Altro elemento particolare è la presenza di una
navata, a sezione cilindrica, oggi ricoperti dagli affreschi dei
lunga scala a rampa unica, situata nel braccio
Fiammenghini.
destro del transetto, detta “scala notturna”, che

Interessante è la posizione del coro dei monaci, che oggi appare come un fastoso coro ligneo intagliato di età
barocca, realizzato nel 1645. In origine gli stalli dovevano essere molto più semplici, ma la loro posizione era
la stessa. Davanti al coro vi era un muro trasversale, un tramezzo che divideva la parte riservata ai religiosi
dalla navata. In questa disposizione il coro si trovava davanti all’alare maggiore, tra
scendeva dal dormitorio e consentiva ai monaci di accedere direttamente al coro per salmodiare dopo il
tramonto.
A fianco della chiesa troviamo il chiostro con tutti gli ambienti intorno; molti di questi ambienti sono stati
modificati nel corso dei secoli, e l’aspetto unitario odierno è dovuto in gran parte a restauri selettivi, che
hanno riportato alla luce le fasi medievali. La parte più antica del chiostro, che risale al Duecento, è la
manica adiacente alla chiesa. I capitelli delle colonnine binate presentano una decorazione variegata, con
testine umane e volute a crochets, forma decorativa caratteristica della seconda metà del XIII secolo. Anche
le colonne d’angolo si permettono un’esuberanza decorativa, con i fusti che presentano una bizzarra forma
annodata, detta ofitica.
L’ultimo elemento è la torre che s’innalza sull’incrocio tra navata e transetto, la più celebre del gotico
lombardo. Essa risale al Trecento, e viola apertamente le norme più severe dell’ordine; ma a quell’epoca i
cistercensi avevano ormai perso il rigore iniziale. La struttura in laterizio è formata da solidi sovrapposti, che
s’innalzano sulla base quadrata e si sviluppano in altezza in forma ottagona, con logge scandite da colonnine
e cuspide conica di coronamento. In Lombardia vi sono altre due torri simili: a Milano nella chiesa di San
Gottardo in Corte, e a Cremona il Torrazzo aggiunto al duomo nel XII secolo.
Nel 2010 si è concluso un impegnativo intervento di restauro delle pitture all’interno della torre: negli otto
spicchi della cuspide è appena leggibile una decorazione a stelle dorate su fondo blu, mentre più in basso,
sulle pareti del tiburio, si distinguono due evangelisti e delle figure di santi appartenenti all’ordine
cistercense; nell’ottagono di base, infine, sotto una fila di archetti pensili, al libello delle trombe angolari, si
presenta il ciclo di affreschi più importante, che ritrae le Storie della Vergine. Gli episodi narrati non sono
quelli consueti della vita di Maria, ma sono le fasi terminali della sua esistenza terra. Tale tema deriva dai
racconti agiografici che circolavano con grande successo alla fine del medioevo. Gli affreschi vennero
eseguiti con grande sfarzo, utilizzando colori di qualità e metalli preziosi applicati alle aureolo, con fondali in
lamina d’oro. Il ciclo risale con ogni probabilità agli anni 1340-1350, e sono stati attribuiti a Stefano
Fiorentino. Tre secoli più tardi i pittori barocchi daranno all’abbazia un nuovo volto cromatico, lontano dalla
spiritualità delle origini cistercensi.
Una filiazione diretta è l’abbazia di Santa Maria a Cerreto, presso Lodi. Qui i cistercensi presero possesso di
un precedente cenobio che crebbe grazie all’afflusso di donazioni e la costruzione della chiesa viene
collocata nel decennio 1150-1160. La struttura segue quella dell’abbazia madre, per cui ripropone la pianta
bernardina; è in mattoni di ottima qualità, prodotti sfruttando i depositi d’argilla del territorio padano. Una
differenza da Chiaravalle si ha nelle navate, dove al posto dei piloni cilindrici vengono impiegati pilastri
articolati.
L’abbazia di Morimondo, figlia dell’abbazia di Morimond, sorge nella valle del Ticino, a 30 km da Milano,
vicino al confine con Pavia. Nelle parti più antiche viene applicato il modello bernardino, ad abside
rettangolare e transetto poco sporgente, che presenta due cappelle per braccio. La navata centrale è
coperta da volte a crociera oblunghe costolonate, di forma quadrangolare. I sostegni sono differenziati,
polistili circolari o ottagonali, e le diverse forme indicavano la suddivisione liturgica dell’interno. La facciata
presenta elementi innovativi, come le finestre “a vento”, cioè aperte verso il cielo; ma ha anche subito forti
rimaneggiamenti di restauro.

EMILIA ROMAGNA:
Chiaravalle della Colomba nasce da un nucleo di monaci inviati da Bernardo in terra piacentina, su richiesta
del vescovo Arduino, con il progetto di fondare un’abbazia cistercense. Nel 1136 risulta costituta, e si
svilupperà presto grazie ai legami con il comune e l’aristocrazia locale.
Il nome deriva da una leggenda legata alla nascita dell’abbazia.
Adotta la pianta bernardina, presenta quindi sei cappelle allineate sui bracci del transetto: il braccio destro
conserva due cappelle originali, coperte da volte a botte a sesto acuto, seguendo quindi i modelli
provenienti dalla Borgogna; il braccio opposto invece presenta volte a crociera, tipiche del mondo
lombardo. I capitelli della chiesa hanno la forma di semplici cubi scantonati, quelli del chiostro invece
presentano una certa evoluzione stilistica ed un sobrio arricchimento di forme, con motivi vegetali che
imitano le foglie d’acqua. Quindi nonostante sia del XIII secolo presta ancora fedeltà al rigore cistercense;
soltanto nelle mensole del refettorio troviamo delle immagini di figure umane che simbolicamente
avvertono il monaco di stare attento a non cedere alla lussuria.
A pochi km di distanza venne fondata un’abbazia figlia, a Fontevivo, in provincia di Parma. I lavori di
costruzione vennero iniziati nel 1144, con il sostegno del vescovo di Parma e in seguito della famiglia
Pallavicino. La chiesa appare come una copia in forme ridotte dell’abbazia madre, ma con pilastri più bassi e
con sole quattro cappelle nel transetto.
VENETO:
Sui rilievi prealpini del trevigiano, presso Follina, verso la metà del XII secolo, un monastero benedettino
preesistente viene affiliato ai cistercensi di Chiaravalle, con il sostegno di una nobile locale: Sofia di Colfosco.
Il legame istaurato tra la comunità e l’aristocrazia favorirà lo sviluppo del monastero.
Il complesso conservato oggi non appartiene alla fase primitiva, ma ad una ricostruzione del XIII secolo: una
lapide nel chiostro attesta la fine dei lavori nel 1268. In tale lapide inoltre viene commemorato l’abate, ma
anche i maestri Zardino e Armano che avevano diretto i lavori.
La chiesa presenta la versione semplificata dello schema cistercense, con tre cappelle a terminazione piatta.
LIGURIA:
in Liguria i cistercensi ebbero molta fortuna, favoriti dalla vicinanza geografica con la Provenza e con il regno
di Francia. Molte delle fondazioni erano femminili.
Il ramo femminile dell’ordine nasce negli anni 1120 e 1125, quando venne creata in Borgogna la prima
abbazia femminile nella località di Tart, presso Citeaux. Il numero dei monasteri femminili aumentò
notevolmente negli anni successivi. In genere si trattava di fondazioni più piccole che godevano di una certa
autonomia e non seguivano il rigodo sistema delle filiazioni: tra il XII e il XIII secolo si contava un numero
considerevole di quattordici cenobi. Le monache erano legate alla nobiltà locale e in diversi casi gestivano
ospedali. Le fondazioni cistercensi assumono così un carattere nuovo grazie al dinamismo delle abbazie
femminili.
Le prime tracce della presenza cistercense nella regione si fanno risalire alla figura di san Bernardo, il quale
era stato inviato a Genova da Innocenzo II per festeggiare la pace tra Pisa e Genova. La presenza del santo
aveva con ogni probabilità favorito lo sviluppo di una prima comunità cistercense che si riuniva da qualche
anno in una chiesa nelle vicinanze della città: Sant’Andrea di Sestri Ponente, in un isolotto di fronte alla
costa; la comunità si era poi trasferita sulla collina di Erzelli. Un carattere comune all’abbazia di Sestri e
quella di Chiaravalle Milanese è il sorgere presso grandi città. La chiesa subì nel corso del tempo varie
ristrutturazioni e oggi non conserva elementi originari: l’aspetto odierno è stato dato a seguito di una
ricostruzione in stile neogotico risalente al 1830.
Anche le abbazie femminili conservano poche tracce materiali: i monasteri vennero in gran parte
trasformati perdendo la loro identità medievale. Esempi di tali abbazie si trovano nei resti dell’abbazia di
Valle Christi a Rapallo, fondata nel 1204. Nonostante lo stato di rudere rimangono visibili il campanile,
parte del transetto e la struttura dell’abside. La forma dell’edificio è cruciforme a navata unica, con una sola
abside quadrata. Questo semplice modello doveva essere molto diffuso tra i monasteri femminili
dell’ordine. Un altro esempio lo troviamo nella Riviera di Ponente, nella chiesa di Santa Maria a Latronorio.
Il monastero di Santa Maria a Rifreddo, nella pianura piemontese, fondato per iniziativa del marchese
Manfredo II di Saluzzo nel 1220, mantiene lo stesso schema delle due chiese precedenti. Essa era stata
dimenticata, si deve a un’amministrazione comunale attenta al patrimonio storico, l’iniziativa del recupero
di questo bene, adibito a centro culturale e aperto al pubblico nel 2004.

TOSCANA:
la penetrazione dei monaci cistercensi in Toscana avvenne soltanto nel Duecento; è infatti alla fine del XII
secolo che si colloca l’arrivo dei monaci a San Galgano e da qui iniziarono ad irradiarsi nella regione con la
costituzione di altre chiese benedettine, anche del ramo femminile.
L’abbazia di San Galgano sorge nelle terre della maremma, tra Siena e Grosseto, nei pressi di Chiudisino; già
alla fine del medioevo versava in cattive condizioni, e quando nel Settecento il tetto crollò non venne più
riparato, e i ruderi vennero abbandonati. Il recuperò iniziò negli anni tra le due guerre e un ruolo
importante ebbe Gino Chierici, il quale si limitò a un sapiente recupero delle strutture superstiti, con il
consolidamento delle murature ancora in piedi.
L’abbazia era nata presso una comunità di eremiti che già viveva nella zona; nel 1206 la comunità appare
consolidata e papa Innocenzo III ne riconosce la filiazione dall’abbazia laziale di Casamari, appartenente alla
linea di Clairvaux. Il cantiere si sviluppò nel corso del XIII secolo: i lavori iniziarono dal blocco orientale, dal
presbiterio e dal transetto e poi erano proseguiti nelle navate; in parallelo vennero realizzate le fabbriche.
La chiesa oggi è allo stato di rudere; il tetto e le volte sono crollate ma le pareti sopravvivono fino al livello
d’attacco delle coperture. La pianta deriva fedelmente dall’abbazia madre di Casamari: pianta bernardina,
ma con alcune varianti, come la volta esapartita ed il transetto diviso in tre navate. L’espediente aveva
motivo funzionale: consentiva di ricavare delle cappelle anche sul lato ovest e quindi di aumentare lo spazio
liturgico. La struttura è costruita con pietra di taglio, anche se in alcuni tratti compaiono mattoni, in filari
ordinati, alternati alla pietra, prima attestazione di tale tecnica in area senese. Le pietre non erano presenti
sul posto, e la grangia di Villanova, dipendente dal monastero, era incaricata di gestire l’approvvigionamento
dei blocchi; i mattoni invece venivano cotti in un’apposita fornace.
La fabbrica di San Galgano è molto complessa, essa vede l’avvicendarsi di maestranze diverse, coordinate
dalla committenza dei monaci; in una prima fase riconosciamo maestranze Toscane, probabilmente
provenienti dall’area pisana, mentre i capitelli richiamano i modelli corinzi, di provenienza borgognona,
diffusi nei monasteri del Lazio, nelle fasi più recenti si rafforzano i rapporti con il contesto locale e, verso gli
anni 1260-1270, giungono maestri legati al cantiere del duomo di Siena. La fabbrica è stata quindi spazio
d’incontro e di sperimentazione.
Sull’altura che sovrasta il monastero, si erge una chiesa di grande interesse: la rotonda di Montesiepi.
Edificio a pianta circolare, coperto da una cupola con profilo ellittico, preceduta da un avancorpo arcuato
che accoglie il visitatore. In origine era un santuario legato al culto di San Galgano preesistente all’arrivo dei
cistercensi. La leggenda narra che il santo fosse stato guidato in sogno dall’arcangelo Michele a Montesiepi
e gli era stato ordinato di costruire una chiesa simile a quella apparsagli in sogno. Al risveglio Galgano si recò
sul luogo e piantò la sua spada in una roccia, per poi costruire una capanna circolare che solo dopo la sua
morte verrà riedificata in muratura. La tecnica costruttiva è a fasce bicrome, dove i filari di mattoni sono
intervallati da conci di pietra, e prosegue fino al colmo della cupola, in una serie di anelli concentrici che
assumono un aspetto quasi ipnotico. All’interno dell’edificio si conserva la spada.

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