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G.

Most, l’apostolo Tommaso e la critica neotestamentaria


Recensione al libro:
Glenn W. Most, IL DITO NELLA PIAGA. Le storie di Tommaso l’incredulo, PBE
Einaudi, Torino 2009, pp.230 Euro 22.00
Originale: Glenn W. Most, Doubting Thomas, trad. di Daniela La Rosa, Torino 2009
In copertina particolare della tela di Caravaggio, L’incredulità di san Tommaso, circa
1601.

Com’è evidente dal titolo il volumetto è uno studio brillante ed approfondito della
vicenda e della figura dell’apostolo Tommaso, l’Incredulo appunto, a partire dalla
notissima pagina del Vangelo di San Giovanni (Gv.20) che ne costituisce, per così dire, il
testo fondativo.
L’autore dopo un’accattivante epigrafe tratta dal romanzo Thomas l’Obscur (Parigi 1950)
di Maurice Blanchot, espone sinteticamente i presupposti metodologici della sua indagine
che vengono ulteriormente approfonditi nei riferimenti contenuti, alla fine del libro, nella
prima nota bibliografica (pp.209-211). Giova ricordare a questo proposito la scelta
sapiente di non appesantire il testo con un copioso apparato erudito, rinviando il lettore
ad una significativa selezione di studi e ricerche contenuta nelle note bibliografiche finali.
La sezione metodologica iniziale è quella che più delle altre ci permette di collocare il
volumetto nella sua specifica prospettiva. Gli unici approcci al testo sacro che l’autore
riconosce come effettivi precedenti e come propri modelli sono due importanti saggi, uno
di Frank Kermode, Il segreto nella parola: sull’interpretazione della narrativa (trad.it.
Milano 1993), l’altro di Jean Starobinski, Tre furori (trad.it. Milano 1991, nella sezione
dedicata a Mc.5, 1-20). Tuttavia nell’approccio retorico-letterario e narratologico al testo
sacro l’autore non può fare a meno di indicare la corrente di studi in continuo sviluppo
che prende le mosse quanto meno dalle ricerche di E.Auerbach, J.P.Fokkelmann, R.Alter
e N.Frye (tutti citati a p.210). Il volumetto però va ben oltre l’analisi di quelle che
l’autore definisce “le basi testuali”, per affrontare i riverberi di queste nella tradizione
esegetica e in quella iconografica. L’intento dichiarato della ricerca è infatti quello di
“ricostruire l’apparato concettuale e la struttura organizzativa di documenti testuali e
pittorici che hanno svolto un ruolo rilevante nella cultura europea nel corso degli ultimi
venti secoli” (p.XII). E’ così che il libro dall’ambito dell’analisi letteraria, viene a
orientarsi verso quello della Kulturgeschichte, con l’opportuna osservazione che “la
storia di Tommaso l’Incredulo è un ottimo esempio per far capire chiaramente come la
storia culturale sia costituita dal riciclo continuo di modelli ereditati (nostro il corsivo)”
(p.XII). Il primo problema che si poneva dunque ad una ricerca del genere era, come pare
ovvio, quello delle innumerevoli competenze (letterarie, storiche, teologiche, storico-
artistiche etc.) necessarie per abbordare l’obiettivo sopra individuato. Con audacia non
comune per uno studioso di solida formazione filologica (mi voglia l’autore perdonare la
punta critica rivolta in generale alla categoria dei filologi), quale l’autore di fatto è, Glenn
Most ritiene (p.XIII) necessario accettare “il fardello” dell’interdisciplinarietà, a patto
però di “neutralizzarne i rischi” il più possibile. E’ questa, lo ripeto, una posizione
interessante se raffrontata al panorama degli studi filologici ed è un indirizzo che Most ha
sviluppato con perizia in un altro suo interessante lavoro Leggere Raffaello. La scuola di
Atene e il suo pre-testo, edito sempre da Einaudi nel 2001. Il secondo problema,
necessariamente interconnesso con il primo, consisteva nello sviluppo di una
metodologia calibrata allo scopo che l’autore si era prefissato, una metodologia che si
dimostrasse flessibile e in grado di interpellare testi di natura, di autore, di epoca e
contenuto differenti. Circoscritto il suo ambito di indagine al di fuori di quello più
propriamente teologico (relativamente al problema del credere) o teologico-esegetico,
l’autore definisce il suo approccio ai testi (e in senso più largo ai documenti della sua
indagine) in una triplice prospettiva: retorica, letteraria e psicologica (p.9). Se da una
parte la prospettiva retorica indirizza l’analisi di Most verso le attese del lettore secondo i
principi di quella che comunemente è conosciuta come estetica della ricezione (“la mia
interpretazione pone in rilievo l’aspettativa degli autori che le loro opere abbiano dei
lettori”, p.9), l’analisi letteraria conduce l’autore nell’intricato percorso della
strutturazione dei significati mediante la costruzione letteraria del testo, le cui parti
“vengono messe in relazione l’una con l’altra dai consueti meccanismi di strutturazione:
parallelismo, analogia, ripetizione, contraddizione, accrescimento, diminuzione, ironia e
implicazione” (p.9). L’aspetto tuttavia più sorprendente della sua analisi è quello che
Most definisce “approccio psicologico”. Questo consiste nel focalizzare l’interpretazione
sulle “lacune che caratterizzano in modo così evidente lo stile narrativo dei Vangeli”
introducendo in esse “una spiegazione concreta e appropriata” attraverso una
ricognizione psicologica “di quelli che possiamo ragionevolmente ipotizzare siano gli
stati cognitivi, emozionali e intenzionali dei vari personaggi che entrano in scena” (p.10).
Se, come ricorda esplicitamente Most, il concetto di lacuna narrativa rimanda agli studi di
W.Iser e ancora una volta all’estetica della ricezione, il riempimento, per così dire, dei
“buchi” con i risultati di una analisi psicologica il più possibile aderente al testo sembra a
chi scrive un esperimento originale nell’ambito degli studi sul testo evangelico. Un
esperimento che giustamente pone Most in un non riducibile attrito con la ormai quasi
secolare tradizione della Quellenforschung (vedi i suoi riferimenti critici verso Bultmann
e la sua scuola a pp.10 e 11). Un esperimento che pone però alcuni pressanti interrogativi
sulla composizione e sul funzionamento dei testi evangelici, sullo statuto dei loro autori,
sul genere letterario a cui essi appartenevano. Tutti interrogativi che esulano dalla
presentazione di questo volumetto e che del resto Most non tratta nello specifico. Che
dire? Non apprendiamo da Most semplicemente che si può analizzare un personaggio
evangelico inquadrandolo in determinate categorie psicologiche, ma che è possibile
servirsi di questa analisi per colmare le lacune narrative di cui il testo evangelico è
costellato.

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