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Roberto Marras

XXIV ciclo (2009-11)

17/18 dicembre 2009

Giornata di studi promossa dalla

Scuola di dottorato in Letterature comparate euro-americane

Capitan Moro
di Georges Bourdoukan
Il romanzo storico al servizio dell’impegno civile nel Brasile
contemporaneo

1
sexta-feira, 16 de outubro de 2009

O que fazer?

O que fazer quando a água cristalina vira um mar de lama?

O que fazer quando a fome vira um número que não alimenta?

O que fazer quando o passado vira referencial para quem prometia o futuro?

O que fazer quando o júbilo, envergonhado, busca abrigo na solidão?

O que fazer quando a virtude se cobre de trevas?

O que fazer quando a mentira cospe na verdade?

O que fazer quando a soberba se torna filha dileta no banquete do cerrado?

O que fazer quando se perde a esperança?

O que fazer quando os olhos não querem enxergar e o coração fica cego?

O que fazer quando a bondade se cobre de mau hálito?

O que fazer quando a ternura se vê brutalizada?

O que fazer quando a desigualdade social é incentivada?

O que fazer quando o sonho vira pesadelo?

O que fazer?

Amigo, se você sobreviveu a tudo isso, você pode tudo!

Lembre-se: a História conspira a seu favor e o bem-estar da humanidade é o


objetivo derradeiro do universo.

Postado por Georges Bourdoukan às 09:29


2
Sommario

Introduzione………………………………………………………………..…...p. 4

Note sull’autore……………………………..………………………………....p. 7

Sinossi del romanzo...……………………..………………………..….…...p. 14

Capitan Moro rispetto alle altre opere dell’autore………………..….....p. 32

Commenti conclusivi.………………………….……………..……….……..p. 40

3
Introduzione
Parole chiave: Georges Bourdoukan, romanzo storico, impegno civile, romanzo
reportage, quilombo versus schiavismo, Eduardo Galeano, Amin Maalouf,
traduzione culturale versus scontro di civiltà, oralità

Georges Bourdoukan è un giornalista e scrittore brasiliano di origine libanese.


Dagli anni ’60 sempre in prima linea nel campo dell’informazione al servizio
dell’impegno civile, negli ultimi anni ha scelto anche la letteratura per portare avanti la
stessa istanza.
Nel 1997 ha pubblicato, per la casa editrice Sol e Chuva, un romanzo intitolato A
incrível e fascinante história do Capitão Mouro, ripubblicato nel 2001 dalla stessa casa
editrice che nel frattempo aveva mutato nome in Casa Amarela, celebre in Brasile
soprattutto per la rivista mensile d’informazione socio-politica Caros Amigos, di cui
Bourdoukan è uno dei giornalisti di punta, specialista delle questioni relative al Medio
Oriente, ma non solo.
Intrigato da un documento ufficiale manoscritto del XVII secolo, trovato per caso in
una biblioteca di São Paulo, recupera alla storia la vicenda del musulmano Karim lbn Ali
Saifudin, detto Capitão Mouro dai Portoghesi.
Questo leggendario personaggio aiutò i quilombolas guidati dall’eroico e geniale
Zumbi di Palmares a difendere la vita e la libertà loro e delle loro famiglie dagli attacchi
degli schiavisti colonialisti, che alla fine ebbero ragione. Ma fino a un certo punto.
Bourdoukan non ha voluto solo raccontare una storia emozionante, ma in tutta la
sua opera – dopo Capitão Mouro ha pubblicato un altro romanzo (O Peregrino),
un’antologia di racconti ispirati alla tradizione araba (Vozes do Deserto), nonché una
pièce teatrale (O Apocalipse), inoltre ha in preparazione altri racconti e altri due romanzi
che faranno parte della trilogia del Capitão Mouro – vuole anche trasmettere qualcosa di
più: un insegnamento orientato alla verità, alla pace e alla convivenza tra i popoli, alla
reciproca valorizzazione contro ogni forma di prevaricazione, secondo la lezione spirituale
dei grandi saggi della cultura araba e “mediorientale” in genere dei suoi antenati – non
importa a quale religione afferisca (lui è di famiglia cristiana, ma valorizza indistintamente
anche la tradizione islamica1) –, della quale la sua opera è intrisa.
1
Georges Bourdoukan mi ha precisato quanto segue: “La famiglia di mia madre è cattolica maronita
e quella di mio padre è cattolica melchita. La nostra cristianità rimonta all’epoca di Gesù Cristo. Ma io non
credo in esseri superiori, a qualsiasi religione appartengano. Considero la cultura islamica uno dei pilastri
dell’umanità. Mi riferisco ai sapienti dell’allora Medio Evo. Niente a che vedere con la religione”.

4
C’è di più, Capitão Mouro, come lui stesso ha ammesso, lo sente come una sorta
di suo alter ego: arrivato a 10 anni in Brasile dal Libano, ha subito sofferto il trauma della
violenza inumana, gratuita e insensata – ma giustificata ideologicamente e dura a morire
nella mentalità diffusa – tanto presente nel paese sudamericano dalla colonizzazione
portoghese sino ad oggi.
Anche Capitão Mouro, al suo arrivo involontario in Brasile, rimase scioccato dalla
violenza dei colonizzatori schiavisti e per questo fu da subito al fianco degli oppressi,
come appunto Georges Bourdoukan che ha speso la sua vita a lottare, con la penna, ma
anche la propria persona, contro le violente prevaricazioni della dittatura militare e dei
potenti in genere in Brasile, nonché contro gli imperialismi e le prepotenze varie che
dilaniano tuttora il mondo e in particolare il Medio Oriente, dove spiccano la sua sfortunata
patria d’origine, il Libano, e naturalmente la Palestina, l’Iraq e l’Afghanistan.
Possiamo quindi a buon diritto definire il suo un romanzo storico al servizio
dell’impegno civile, nel Brasile contemporaneo, ma anche nel mondo intero.
Attraverso la ricostruzione della figura di Capitão Mouro Karim lbn Ali Saifudin,
Bourdoukan lancia una sfida contro gli stereotipi e le facili generalizzazioni della
propaganda e della retorica dei giorni nostri: l’eroe paladino dei valori umani e della
ragione non è un “occidentale”, bensì un musulmano convinto, erede della grande
tradizione culturale islamica, non poi così diverso, anche nel suo destino, rispetto per
esempio ai personaggi dei romanzi di Leonardo Sciascia, che combattono isolati, ma fino
alla fine, contro la barbarie della mafia e l’ignoranza di chi le permette di spadroneggiare in
Sicilia e non solo.
Nel caso di Capitão Mouro Saifudin, la barbarie e l’ignoranza relativa furono (e
sono) quelle del colonialismo europeo e occidentale nel cosiddetto Nuovo Mondo.
E al riguardo Bourdoukan s’inserisce a buon diritto ovviamente anche nella
tradizione degli autori dell’America Latina dediti a rintuzzare la storia ufficiale della
“conquista dell’America”, primo fra tutti Eduardo Galeano.
Un ulteriore significativo raffronto sviluppato dalla Dott.ssa Mônica Kalil Pires
dell'Universidade Federal do Rio Grande do Sul è quello con Amin Maalouf, anche lui
noto scrittore e giornalista, anche lui di origine libanese, anche lui straordinario autore di
recuperi di preziosi “punti di vista” dal cuore della cultura araba e musulmana, dal cuore
della storia del mondo intero, del mondo di noi tutti, esseri umani e cittadini del mondo la
cui convivenza felice e pacifica passa senz’altro attraverso l’accettazione di comuni valori
di fratellanza, equità e solidarietà.

5
Notevole in tal senso, da parte di Bourdoukan, la ricostruzione del sodalizio tra il
musulmano Saifudin e il suo amico ebreo Ben Suleiman, entrambi vittime del fanatismo
e dell’antisemitismo del mondo cristiano occidentale, ma anche simbolo e riprova
dell’indubitabile fatto storico che “ebrei e arabi hanno sempre convissuto armoniosamente,
al contrario di quanto molti pensano”, secondo le stesse parole di Bourdoukan tratte da
una breve intervista concessami per email. “E continuo a credere che potranno tornare a
convivere pacificamente. Il problema è che gli Arabi sono seduti sopra barili di petrolio e
Israele sta accettando il triste ruolo di posto militare dell’imperialismo”.

6
Note sull’autore

Georges Latif Bourdoukan è nato nel nord del Libano, a Miniara-Akkar, nel 1943,
anno del riconoscimento dell’indipendenza ufficiale del suo paese d’origine.
Il villaggio in cui è nato, Miniara-Akkar, oggi di poco oltre 3000 abitanti, pur distante
dalla costa appena 9 km, si trova sulle montagne del Libano settentrionale, molto
prossimo alla frontiera siriana e a 3 km a sud della città di Halba, capoluogo della regione
di Akkar.
Georges Bourdoukan ci tiene a precisare che nel suo piccolo villaggio era
comunque nato l’imperatore romano Alessandro Severo (208–235, imperatore dal 222
fino alla morte precoce, assassinato), che in effetti era nativo di Arca Caesarea, l’attuale
sito archeologico di Tell Arqa, a circa 1 km a ovest di Miniara-Akkar, dove il piccolo
Georges si recava spesso a giocare con gli amici e a cercare antiche monete romane da
vendere ai mercanti.
Si è stabilito in Brasile all’età di dieci anni.
Suo padre, infatti, perseguitato come militante “comunista” – laddove Georges
precisa che allora erano definiti “comunisti” i dissidenti di ogni orientamento – già in
precedenza era fuggito in Brasile, dove altri suoi familiari erano pure emigrati e dove

7
conobbe la futura moglie e madre di Georges, brasiliana, ma anche lei di origine
libanese2.
È stato allevato durante l’infanzia in Libano dalla nonna paterna mentre i genitori già
vivevano in Brasile. Li ha raggiunti definitivamente nel 1953, all’età di dieci anni, appunto.
Suo padre aveva intrapreso una modesta, ma dignitosa attività commerciale – nella
migliore tradizione libanese – nella città di Ituiutaba, nella punta nordoccidentale del
cosiddetto Triângulo Mineiro, a sua volta appendice centro-occidentale dello stato di Minas
Gerais, di cui la regione – più prossima a São Paulo che alla capitale del Minas Gerais
Belo Horizonte – è tuttora una delle più ricche e vitali sul piano economico, specie nel
campo agricolo, ma anche di trasformazione industriale degli stessi prodotti agricoli.
Il suo arrivo in Brasile fu traumatico: lui stesso lo ha descritto come uno shock
violento e brutale! Nella città in cui si erano stabiliti i suoi genitori assisté, infatti,
all’omicidio cruento di un sarto con ben nove colpi di machete da parte di un cliente
insoddisfatto dei tempi di attesa per il suo vestito!
E tanta violenza folle e insensata, ma soprattutto impunita e sostanzialmente
considerata “normale” dalla gente comune, Georges ha detto che lo ha naturalmente
segnato tanto, per tutto il resto della vita.
Fu, anzi, l’episodio che, come lo stesso Georges ha ammesso, ha marcato anche
la sua vita professionale, sia di giornalista sia di scrittore sempre impegnato a lottare
contro la violenza barbara e prepotente. In tal senso, è opportuno già precisare come il
protagonista del suo romanzo analizzato in questa sede, Capitão Mouro, possiamo
senz’altro dire come lo abbia caratterizzato come una sorta di proprio alter ego, anche lui
infatti proveniente da un Oriente civile in un Brasile nato e cresciuto nella violenza
inumana3.

2
La comunità libanese in Brasile è molto numerosa (si stima una cifra di 7/8 milioni circa di persone,
oltre il doppio dell’attuale popolazione stimata del Libano stesso) e di antica immigrazione (a partire dal 1880
circa). Inoltre è molto intraprendente sia sul piano economico sia su quello culturale. Cfr. André Gattaz, Do
Líbano ao Brasil. história oral de imigrantes, Gandalf, São Paulo 2005 (testo inviatomi dalla Dott.ssa
Mônica Kalil Pires); e i seguenti siti: http://www.libano.org.br/; http://www.soulibanes.com.br/index.htm;
http://www.etni-cidade.net/arabes.htm.
3
È curioso, ma non troppo, come io stesso, durante i miei quattro anni di soggiorno in Brasile (1999-
2003) – dove ho lavorato presso la Fundação Torino, la scuola italiana di Belo Horizonte, già citata capitale
dello stato di Minas Gerais –, abbia conosciuto intimamente una famiglia di origine libanese, migrata in
Brasile più o meno nella stessa epoca della famiglia di Georges Bourdoukan, il cui capostipite fu pure
assassinato brutalmente – con un colpo di zappa in testa – a conferma di come l’esperienza traumatica
sofferta dall’autore non sia stata un’eccezione.

8
Trasferitosi nella megalopoli di São Paulo, dopo gli studi superiori intraprende la
carriera di giornalista: a diciotto anni è editorialista di questioni studentesche nel giornale
Última Hora4.
E in quanto corrispondente di questo giornale fu arrestato assieme agli studenti –
oltre 700 persone, tra cui i principali leader del movimento – al XXX Congresso dell’UNE5,
proibito dal regime militare, ma realizzato clandestinamente nell’ottobre del 1968 a Ibiúna
(SP).
Nel 1970 divenne redattore della neonata rivista sportiva Placar6, ma c’è rimasto
poco tempo; fino a quando, in uno dei suoi primi numeri 7, fu pubblicato in copertina un suo
reportage-denuncia nei confronti dell’allora vicepresidente del Santos F.C., il generale
Osman8, che negoziava i giocatori "come se stesse vendendo bestiame".
Nel 1974 è entrato a TV Cultura9, ma in seguito a un suo servizio finalizzato ad
avvisare la cittadinanza sull’epidemia di meningite in corso all’epoca, e trasmesso
nonostante le pesanti pressioni, fu arrestato e incarcerato per otto giorni nelle galere della
famigerata OBAN10, con l’accusa di aver "allarmato la popolazione".

4
Última Hora, fondato dal giornalista Samuel Wainer il 12 giugno 1951, è stata una testata storica
per il giornalismo brasiliano, non fosse altro perché nelle sue pagine ha seguito la conturbata situazione
politica del Brasile e del mondo tra gli anni ‘50 e ’70, quando poi è stato chiuso dalla dittatura militare.
L’Archivio di Stato brasiliano ne sta curando il progetto di una versione d’archivio digitale
(http://www.amigosdoarquivo.com.br/uhdigital/).
5
União Nacional dos Estudantes, Unione nazionale degli studenti, storico movimento degli
studenti universitari brasiliani, attivo dalla fine degli anni ’30 a Rio de Janeiro e poi nelle altre più importanti
città brasiliane.
6
Placar è oggi la più prestigiosa rivista sportiva brasiliana, di proprietà del gruppo editoriale Abril; fu
lanciata poco prima della Coppa del Mondo di calcio del 1970 (http://placar.abril.com.br/).
7
Bourdoukan non ricorda bene se fu il n° 2 o il n° 3.
8
Il generale Osman, vicepresidente della squadra all’epoca dei presidenti Athiê Jorge Coury
(1945/1971) e Vasco José Fae (1971/1975), era “chi realmente comandava”, come precisa Bourdoukan, in
virtù dei suoi legami con il regime militare. Da notare che il Santos F.C. è una delle più blasonate squadre di
calcio brasiliane e all’epoca vantava nella sua rosa il famoso campione Pelé.
9
TV Cultura è un canale televisivo brasiliano con sede in São Paulo, dal 1968 di proprietà della
Fundação Padre Anchieta (http://www.tvcultura.com.br/detalhe_institucional.aspx?id=39), fondazione
senza fini di lucro sovvenzionata dal governo dello stato di São Paulo e da privati. È specializzato in
programmi educativi.
10
L’Operação Bandeirante (OBAN) fu un centro di informazioni, investigazioni e torture dell’esercito
brasiliano istituito dalla dittatura militare nel 1969 per reprimere gli oppositori. In particolare Bourdoukan finì
nelle grinfie dell’altrettanto famigerato Destacamento de Operações de Informações – Centro de
Operações de Defesa Interna (DOI-CODI), l’organo di intelligenza e repressione della dittatura militare.

9
Successivamente ha lavorato per il più importante e prestigioso canale televisivo
brasiliano, Rede Globo11, in particolare come responsabile della troupe paulista del
programma Globo Repórter12 appena lanciato.
Fu segnalato alla polizia già quando mandò cinque vetture della Globo ad
accompagnare il funerale di Santos Dias da Silva, operaio assassinato dalla polizia
stessa durante uno sciopero a São Paulo il 30 ottobre del 1979.
Poi, una serie di servizi realizzati da lui e dalla troupe da lui diretta sui danni causati
all’ambiente dall’uso dei pesticidi in agricoltura – in un’epoca, la fine degli anni ’70, inizio
anni ’80, in cui, per ignoranza e/o per “prudenza”, nessuno in Brasile parlava di ecologia,
come precisa lo stesso Bourdoukan –, contrariò profondamente i fabbricanti di questi
prodotti, in particolare la dirigenza della multinazionale chimica franco-brasiliana Rhodia.
Oltre a subire un assalto, durante il quale l'automobile della troupe fu depredata da
alcuni facinorosi, poco dopo venne proprio sciolta la stessa troupe.
Nel 1983 fonda con altri amici il Jornal Jerusalém, con il quale inaugura la sua
specializzazione vocazionale nelle questioni medio-orientali.
Dalle pagine di questa rivista accusa i sionisti di essere antisemiti, accusa che
tuttora porta avanti con veemenza e convinzione 13 e che gli fa guadagnare sin da subito
tanto simpatizzanti quanto acerrimi nemici.

11
Cfr. http://redeglobo.globo.com/.
12
Lanciato nel 1971 con il nome Globo Shell Especial, perché sponsorizzato dalla Shell, nel 1973 se
ne affrancò e acquisì il nome Globo Repórter. È stato il più seguito programma d’informazione brasiliano
degli ultimi quarant’anni circa, ma da qualche anno, come ha denunciato lo stesso Bourdoukan, i suoi
editori hanno rinunciato ai temi polemici e alle grandi denunce, preferendo diluire Globo Repórter nel
programma di intrattenimento di massa Fantástico, trasmesso la domenica sera, di cui è appunto diventato
un'appendice che si dedica a temi legati alla sfera quotidiana.
13
Bourdoukan ha ribadito questa sua accusa nel recente articolo Serão os semitas Humanos?
pubblicato nel n° 68 di Caros Amigos del novembre del 2002, nonché, ancor più recentemente, sulle pagine
web del suo blog, http://blogdobourdoukan.blogspot.com/, anche se il testo in questione non è più in rete in
quanto Bourdoukan ha sospeso il suo blog tra aprile e l'11 settembre – data ovviamente evocativa e
commemorativa – di quest'anno per poter assolvere gli impegni editoriali assunti e nell'attuale non è più
possibile leggere i contributi precedenti.

10
Infatti l’allora ministro della Giustizia Ibrahim Abi-Ackel14 tentò di incriminarlo, però
proprio quando il suo giornale vinse il prestigioso Premio Vladimir Herzog15.
Nel 1984 passò a dirigere due pubblicazioni, la Revista Palestina, organo ufficiale
dell’OLP in Brasile, e la Revista dos Estados Árabes, per le quali viaggiò intensamente
in Medio Oriente, come inviato nei vari conflitti ivi in corso.
Dette riviste, alle stampe tra il 1983 e il 1985, erano patrocinate dalle ambasciate
degli stati arabi e pubblicate in portoghese e spagnolo in tutti i paesi latinoamericani
compresa Cuba, per un’utenza di centinaia di migliaia di lettori, come precisa Georges
Bourdoukan stesso.
Si dedica anche alla produzione e diffusione di documentari per la televisione,
sempre finalizzati a informare e a sensibilizzare la popolazione, e sempre a trattare temi
“forti” come per esempio il massacro dei sem-terra a Corumbiara16.

14
Ibrahim Abi-Ackel, nato nel 1927 e tuttora vivente, fu ministro della Giustizia tra il 1980 e il 1985,
durante il governo del generale João Figueiredo, ultimo presidente del regime militare che ha dominato il
Brasile tra il 1964 e il 1985. Fu João Figueiredo che, più per forza che per convinzione, guidò il paese
(1979-1985) alla lenta transizione dal regime dittatoriale militare a quello democratico.
15
Vlado “Vladimir” Herzog (Osijek, 27 giugno 1937 — São Paulo, 25 ottobre 1975) fu giornalista,
docente universitario e drammaturgo. Nato in Croazia (all’epoca parte del Regno di Jugoslavia), fu
naturalizzato brasiliano dopo che i genitori fuggirono dal loro paese occupato dai nazifascisti. Legato al
Partido Comunista Brasileiro, fu arrestato, torturato e assassinato dalla polizia della dittatura militare, ma
la sua morte causò un impatto notevole sulla società brasiliana dell’epoca, al punto di contribuire a favorire
l’avvio del processo di democratizzazione. Gli furono dedicati, tra l’altro, uno spettacolo teatrale, firmato da
Gianfrancesco Guarnieri (Ponto de Partida), l’Istituto che porta il suo nome, nonché, appunto, il Prêmio
Jornalistico Vladimir Herzog de Anistia e Direitos Humanos, che premia i giornalisti impegnati nella
promozione dei diritti umani.
16
Il 14 luglio del 1995 centinaia di famiglie di contadini perlopiù indigeni, organizzate dal MST
(Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra - http://www.mst.org.br/mst/home.php), occuparono
una piccola parte della fazenda Santa Elina, a Corumbiara (stato di Rondônia, nell’Amazzonia brasiliana, al
confine con la Bolivia), rivendicandone l’usufrutto. Ma nella notte del 9 agosto successivo irruppe nel loro
accampamento un’orda di poliziotti e jagunços (membri di gruppi paramilitari al servizio dei fazendeiros)
che massacrarono e torturarono uomini e donne e bruciarono tutto. Questo massacro e quello altrettanto
scandaloso di Eldorado dos Carajás, nel sud dello stato di Pará (Brasile settentrionale, in piena Amazzonia),
dove furono uccisi senza pietà dai poliziotti 19 attivisti del MST, furono resi possibili, anzi favoriti e coperti,
dalla politica neoliberista e di appoggio ai fazendeiros dell’allora presidente brasiliano Fernando Henrique
Cardoso. Il documentario di Bourdoukan dedicato al massacro di Corumbiara è pubblicato su youtube ai
seguenti collegamenti: http://br.youtube.com/watch?v=vad4IMYo_aQ; http://br.youtube.com/watch?
v=FfNgQAPz9zE.

11
In seguito approda alla rivista Caros Amigos17 – con la quale continua a
collaborare tuttora – fondata dall’amico Sérgio de Souza18 e da altri nell’aprile del 1997.
Nello stesso anno Bourdoukan esordisce con successo nel campo della letteratura
con il suo primo romanzo, A incrível e fascinante história do Capitão Mouro –
protagonista del presente lavoro – che tuttora è il libro che senz’altro lo caratterizza di più,
seguito peraltro da altre opere molto apprezzate sia dalla critica sia dal pubblico, quali il
secondo romanzo O Peregrino, pubblicato nel 1999, l’antologia di racconti Vozes do
Deserto, pubblicata nel 2002 e finemente ispirata alla ricca e affascinante tradizione
novellistica e sapienziale araba e mediorientale in genere, nonché la pièce teatrale
Apocalipse, pubblicata l’anno successivo.
Bourdoukan sta attualmente lavorando alla stesura e pubblicazione di altri
racconti, alcuni dei quali faranno parte dell’antologia Os Filhos do Deserto – che
inizialmente doveva intitolarsi Antologia de contos árabes e hebraicos, progetto della
casa editrice Record – e soprattutto di altri due romanzi che faranno parte della trilogia del
Capitão Mouro, il secondo, in particolare, Os Filhos de Alláh, dedicato alla rivolta dei
Malè nel 1835 a Salvador nello stato di Bahia, altro importante momento di resistenza
nera e musulmana contro lo schiavismo colonialista europeo 19.

17
Caros Amigos, dalla sua fondazione oltre 12 anni fa, è senz’altro la più importante rivista
“impegnata” brasiliana, tra l’altro ispiratrice di iniziative editoriali sempre orientate a sensibilizzare e educare i
lettori e l’opinione pubblica nazionale in genere rispetto ai grandi temi politico-sociali dell’attualità, ma anche
della storia. Ha già vinto tre premi Vladimir Herzog.
18
Sérgio de Souza, nato nel 1934 e morto il 25 marzo del 2008 a São Paulo, è annoverato tra i
pilastri del giornalismo brasiliano dagli anni ’50 a oggi, specie lo stesso giornalismo che è proprio di Georges
Bourdoukan, il cui carattere è perfettamente sintetizzato dal motto che Bourdoukan stesso usa per il suo
blog: “Enquanto houver um explorado e um oprimido não haverá paz”. Sérgio de Souza ha curato le
note biografiche di Bourdoukan in seconda e terza di copertina del suo Capitão Mouro, le stesse che ho
usato io per il presente capitolo, ampliandole con dati tratti dal mio scambio personale con l'autore e
dall'intervista che Geroges Bourdoukan ha concesso a Leonardo Vinhas il 6 agosto 2005 e pubblicata su
http://www.screamyell.com.br/literatura/bourdoukan.htm.
19
Cfr. Joâo José Reis, Rebelião escrava no Brasil: a história do levante dos Malês em 1835,
São Paulo, Companhia das Letras, 2003. E il contributo dello stesso autore, docente dell'Universidade
Federal da Bahia in http://possehausa.blogspot.com/: A revolta dos Malês em 1835. La rivolta avvenne
precisamente prima dell'alba di domenica 25 gennaio del 1835, a Salvador. Erano chiamati imalê gli schiavi
africani musulmani di lingua yoruba, nella quale appunto detta parola indica i musulmani, che erano
conosciuti anche come nagôs nello stato di Bahia.

12
Mi piace concludere queste concise ma significative note biografiche di Georges
Bourdoukan, condividendo il giudizio che di lui ha lasciato il citato suo amico e collega
Sérgio de Souza: “con l’etica sempre al primo posto in tutto quello che fa”.

13
Sinossi del romanzo
La storia che Georges Bourdoukan racconta nel suo primo romanzo A incrível e
fascinante história do Capitão Mouro non sfugge minimamente al giudizio che Sérgio
de Souza ha lasciato del nostro autore e che ho ricordato in conclusione alle sue note
biografiche.
Come accennato, l’idea gli venne per caso (o per destino), quando, durante una
ricerca su altri temi in una biblioteca pubblica 20, s’imbatté in un documento del XVIII
secolo, consegnatogli per errore dai funzionari della biblioteca assieme ad altri tomi da lui
richiesti.
Conteneva un rapporto destinato al re del Portogallo e firmato da Caetano de Melo
e Castro, governatore della Capitania di Pernambuco 21 nello scorcio del XVIII secolo,
rapporto naturalmente citato nel romanzo.

20
La Biblioteca Municipal Mário de Andrade, a São Paulo, come precisa Bourdoukan stesso nella
prefazione al romanzo, intitolata A busca (La ricerca).
21
La Capitania di Pernambuco fu una delle suddivisioni del territorio brasiliano nel periodo coloniale,
con sede amministrativa a Olinda. Caetano de Melo e Castro ne fu governatore tra il 13 giugno del 1693 e il
5 marzo del 1699. Fu durante la sua amministrazione che fu domata Palmares (cfr. infra). Secondo lo
storico Paolo Lingua (Storia del Brasile, ECIG, Genova 2000), i Portoghesi derivarono il sistema delle
capitanie dai Genovesi.

14
Il governatore lamentava al re le difficoltà nel portare avanti l’obiettivo di annientare
il quilombo di Palmares22, in seguito al fatto che un certo moro ne aveva curato le tenaci
fortificazioni.
Bourdoukan, da quel momento, non ha mai dimenticato il moro, anzi si è immerso
a fondo nella ricerca di notizie su questo personaggio fino ad allora sconosciuto agli
storici, scoprendo alla fine la vicenda davvero affascinante e incredibile di Karim lbn Ali
Saifudin, in Brasile chiamato dai suoi amici e dai suoi nemici Capitan Moro.
Su di lui Bourdoukan, come lui stesso dichiara, ha trovato poche informazioni
documentate in Brasile, molte di più in Spagna e Africa, inoltre si è infine basato sui
racconti trasmessi di padre in figlio, generazione dopo generazione, tra i beduini del
deserto e i berberi delle montagne del Maghreb.
Valorizzazione dell’oralità, quindi, e delle sagge e antiche tradizioni che veicola.
Forse anche per questo, Bourdoukan non ha voluto trarre dalla sua ricerca un
saggio accademico, bensì un romanzo storico, in cui inventa i dialoghi tra i personaggi pur
reali della storia, immedesimandosi nella loro psicologia grazie all’artificio dello
straniamento, però temperato da una pungente ironia che lascia trasparire volutamente la

22
Il quilombo di Palmares fu il più emblematico e il più celebre di tutti i quilombo (la parola secondo
alcuni è di origine yoruba, come personalmente credo, avendolo verificato a Lagos in Nigeria – cfr. anche
Louis J. Munoz, A Living Tradition. Studies in Yoruba Civilization, Bookcraft, Ibadan 2004, cap. XI –,
secondo altri deriva dalle lingue bantu d’Angola), gli insediamenti degli schiavi africani fuggitivi nel sertão,
cioè il territorio dell’interno del Brasile, ancora inesplorato o comunque non occupato dai coloni portoghesi.
Tuttora in Brasile perdurano numerose comunità di quilombolas, che rivendicano autonomia dal governo
brasiliano non meno delle etnie native. Il quilombo di Palmares, ubicato nella serra da Barriga, un vasto
territorio nell’attuale stato di Alagoas, era invero composto da tanti villaggi detti mocambo, di cui il più
importante, il centro politico vero e proprio, fu Macaco. Prosperò per circa un secolo, per essere
definitivamente annientato dai colonizzatori intorno al 1710, dopo che l’ultimo re, Zumbi, fu assassinato il 20
novembre del 1695. In omaggio a Zumbi, considerato oggi in Brasile un eroe nazionale, specie dagli
afrobrasiliani, la data del 20 novembre si commemora ufficialmente dal 1995 come il giorno della
Consciência Negra, dedicato all’inserimento dei neri nella società del paese. Da notare come anche in altre
aree del Nuovo Mondo si siano registrate analoghe situazioni, come quella dei palenques dei cimarrones a
Cuba e in Colombia, nonché gli insediamenti dei marrons/maroons nelle Guyane e in Giamaica. La
bibliografia è vastissima, ma cfr. in particolare: Eduardo Fonseca Júnior, Zumbi dos Palmares. A
História do Brasil que não foi contada, Yorubana, Rio de Janeiro 2000; .Ynaê Lopes dos Santos,
Zumbi, in Rebeldes Brasileiros, Coleções Caros Amigos, fascículo 1, Casa Amarela, São Paulo, 2001;
Louis J. Munoz, A living tradition. Studies in Yoruba civilisation, introduzione di J.F. Ade-Ajayi,
Bookcraft LTD, Ibadan 2003, specie il cap. 11: Post-Scriptum. The Odyssey of Tradition: the Yoruba in
the New World.

15
sua personalità, senza perdere di vista infine il suo obiettivo didascalico, di recupero di fatti
e informazioni di elevato interesse socio-culturale.
In tal senso, usa spesso la formula a história registra (la storia registra) a
illustrare con dati ricavati direttamente dalle fonti fatti e personaggi della sua storia.
Inoltre nei titoli dei capitoli usa la formula onde se narra (dove si narra), a
richiamarsi alle antiche cronache dell’epoca.
Si può dire che Bourdoukan abbia volutamente violato le frontiere tra i generi
letterari, mescolando il saggio con il romanzo storico, l'epica con la cronaca, e in tal senso
ricorda molto un altro grande autore contemporaneo dell'America Latina: Eduardo
Galeano, il paragone con il quale approfondirò nel corso del presente studio.
La trama prende avvio – nella parte iniziale intitolata Brasil che consta di tre capitoli
– da una riunione verificatasi verso la fine di maggio del 1688 nel palazzo del governatore
della Capitania di Pernambuco Souto-Maior23, a Olinda, a cui erano stati convocati i
senhores de engenho24 e i latifondisti assieme al vescovo, Dom Francisco Lima, con lo
scopo di far fronte alla necessità, per loro, di porre fine al quilombo di Palmares, per la
quale il governatore aveva ricevuto l’autorizzazione del re di avvalersi dei servigi del
bandeirante25 paulista Domingos Jorge Velho26, invero affatto poco gradito agli astanti,
in quanto considerato un pericoloso e volgare bandito.
Nella descrizione della riunione è messa in evidenza la bassezza dei personaggi, il
governatore, il vescovo, i signori vari – quest'ultimi, peraltro, gente in genere molto

23
João da Cunha Souto Maior fu capitão-general e governatore della capitania di Pernambuco tra il
13 maggio del 1685 e il 29 giugno del 1688. Secondo lo storico brasiliano Evaldo Cabral de Mello (A
fronda dos mazombos. Nobres contra mascates, Pernambuco, 1666-1715, editora 34, São Paulo 2003
[1995], p. 63), lasciò una reputazione pessima, a conferma dell’immagine che di lui ha ricostruito
Bourdoukan. Cfr. anche Darcy Ribeiro, Carlos de Araujo Moreira Neto, Gisele Jacon de A. Moreira
(edd.), La fundación de Brasil. Testimonios 1500-1700, trad. Aldo Gamboa, Marcelo Montenegro,
Biblioteca Ayacucho, Caracas 1992.
24
I senhores de engenho erano i proprietari di una tenuta dove si coltivava la canna da zucchero e si
produceva lo zucchero (da esportare in Europa) con gli appositi macchinari, gli engenhos, appunto.
25
I bandeirantes erano i cacciatori di schiavi nativi stanziati nella zona dove molto più tardi è esplosa
la megalopoli di São Paulo. A differenza dei senhores de engenho e dei latifondisti della costa del nordest,
erano poveri, per questo non potevano permettersi gli schiavi di origine africana. Spesso intensamente
meticciati con i nativi stessi, in Brasile sono considerati i veri colonizzatori del sertão, al prezzo, però, del
genocidio delle etnie indigene.
26
Domingos Jorge Velho (Parnaíba, Capitania di São Paulo, 1641 – Piancó, capitania di Paraíba,
1705) è stato uno dei più famosi bandeirantes, famigerato per la sua crudeltà. Il 3 marzo del 1687 accettò
dal governatore João da Cunha Souto Maior l’incarico di attaccare il quilombo di Palmares.

16
ignorante e di umile origine, pertanto disprezzati in cuor suo dal governatore, che pure li
sfrutta per arricchirsi –, ispirati solo dagli interessi personali e incapaci, per incompetenza
e mala fede, di far fronte ai reali problemi dei coloni, come l’epidemia di vaiolo che stava
decimando la popolazione, ricchi e poveri, liberi e schiavi – e ritenuta erroneamente,
appunto per ignoranza e pregiudizio 27, un male diffuso dagli schiavi africani, facile capro
espiatorio –, nonché le invadenti persecuzioni della Santa Inquisizione, che, per inciso, era
più vicina alla corona spagnola che a quella portoghese.
È evidenziata pure la volubilità dei senhores de engenho stessi, i quali infine non
esitano ad appoggiare il bandeirante Domingos Jorge Velho a scapito delle livorose
autorità militari, perché questi conosce la demagogia da attuare nei loro confronti: contro i
negri occorre usare la forza più dura, perché tanto non sono umani e non hanno anima,
come gli indios del resto. Sono solo merce da sfruttare nel lavoro, per il quale anzi
dovrebbero essere grati ai loro padroni.
L'unico che non la pensa così, del resto non presente alla citata riunione, il
marchese Epaminondas Conde, è anche l'unico ad aver avuto l'idea di non comprare gli
schiavi dagli schiavisti, ma di portarne avanti un vero e proprio allevamento, come per il
bestiame, comunque anche per offrire agli schiavi un trattamento più umano e contenuto,
almeno come quello che si riserva alla merce preziosa. La sua omosessualità lo renderà
vittima dell'Inquisizione e questa persecuzione gli farà incrociare la strada del Capitan
Moro e del suo amico ebreo Ben Suleiman, dei quali diventerà amico e compagno di
avventura.
L'affinità dei “diversi” che si coalizzano in Brasile per resistere eroicamente in una
lotta impari contro le persecuzioni della società schiavista colonialista (prefigurazione di
quella neoliberista odierna). Questo diventa un leitmotiv del romanzo.
Diametralmente all'opposto rispetto a Epaminondas Conde, e ben più affine agli
altri senhores, è l'anziano Matias Amado, il quale, in seguito alla sua incontinenza
intestinale, è presentato nel romanzo come famoso anche per aver inventato lo schiavo
merdaro, addetto cioè a raccogliere le feci del padrone in ogni circostanza.
Nella seconda parte intitolata Bilad As-Sudan (África) è compreso un unico
capitolo, molto intenso e toccante tuttavia, a descrivere le modalità, violente e impietose –
suffragate del resto da testimonianze dell'epoca come quella citata nel capitolo stesso da
Bourdoukan, di frei Tomás de Macedo, e che risale al 1560 circa 28 –, con cui gli
27
In seguito a questo pregiudizio era chiamato mal-di-bestia, giacché gli schiavisti chiamavano bestie
gli schiavi africani, considerati non umani.
28
Cfr. Clóvis Moura, Dicionário da escravidão negra no Brasil, São Paulo 2004, p. 356.

17
schiavisti catturavano gli schiavi in Africa: dopo averne massacrato una buona parte,
specie infanti e vecchi, imponevano loro il marchio a fuoco della croce sul petto e quindi li
battezzavano, grazie alla presenza di un prete – che avrebbe anche dovuto garantire la
grazia di Dio alla spedizione –, soddisfatto dal canto suo di guadagnare anime al
cristianesimo, sia pure convertite unilateralmente e forzatamente.
Infine gli schiavisti ammucchiavano gli africani catturati nelle stive delle navi, spesso
oltre la capienza delle stesse, a provocare inevitabili naufragi come quello con cui
Bourdoukan fa concludere il capitolo stesso.
Il prete non era bastato a ingraziarsi Dio.
Anche nella terza parte, intitolata Alto-Mar, si legge un solo capitolo. Quello del
naufragio della nave musulmana che dalla costa maghrebina doveva condurre dei
pellegrini a La Mecca. Attaccati dai pirati, i pellegrini sono incitati a resistere da Karim lbn
Ali Saifudin, reduce dalla vittoria contro i Portoghesi a Arzila – città fortificata lungo la
costa marocchina a sud di Tangeri a lungo contesa tra Portoghesi e musulmani tra il XV e
il XVII secc. –, il quale aveva intrapreso lo hajj proprio per ringraziare Allah per questa
vittoria. Alla fine, si salva solo lo stesso Karim lbn Ali Saifudin, aggrappato
disperatamente a un relitto e per lunghi giorni e notti spinto in alto mare dalle correnti e
dalle tempeste, ma tenace nella sua fede e nel tenersi in vita, perché quella, come si
ripete spesso, era la volontà di Allah.
L'ironica volontà di Allah vuole però che sia scorto incidentalmente e issato a bordo
da una nave dove si parlava la stessa lingua portoghese degli infedeli sconfitti ad Arzila.
Karim lbn Ali Saifudin, dopo essersi almeno in parte ripreso, tenta di farsi passare per
spagnolo – parlava bene il castigliano perché la sua famiglia, tra le più importanti di
Qayrawan, era originaria di Granada, l'araba Gharnata, da dove era stata espulsa, dopo
essere stata perseguitata e decimata, in seguito al decreto di Filippo III del 1609.
Ma il proprietario della nave, che si rivelerà diretta in Brasile, è il mercante Joseph
Salomão Pereira, ebreo, ufficialmente ma non in cuor suo convertito al cristianesimo e
che più propriamente si chiama Joseph Ben Suleiman, anche lui di famiglia di origine
spagnola, anch'essa perseguitata, massacrata e costretta all'esilio come quella di
Saifudin.
Ben Suleiman, grazie all'artifizio di una boccetta d'unguento per le scottature a
base di grasso di maiale, costringerà Saifudin a rivelare la sua vera identità, ma subito
dopo lo rassicurerà: non ha niente da temere da lui e dai suoi uomini. Come già anticipato,

18
i due diventeranno amici inseparabili: l'ebreo Ben Suleiman, come già detto, sarà il
compagno di avventura del musulmano Capitan Moro in terra brasiliana.
Ben Suleiman propone a Saifudin di scegliere tra ripartire dal Brasile con la prima
nave, a rischio però di trovarsi tra compagni di viaggio ostili, o attendere di ripartire con lui
dopo i due mesi circa che Ben Suleiman aveva bisogno di trascorrere in Brasile, per i suoi
affari e in visita alla fazenda del fratello.
Saifudin sceglie di non separarsi dal suo nuovo amico e salvatore.
E questa decisione prelude all'avventura vera e propria del Capitan Moro in terra
brasiliana, descritta nella quarta e ultima parte del romanzo, O sol de Alláh brilha sobre
o Ocidente, la più lunga, ovviamente, giacché consta di 37 capitoli.
Sin da subito dopo il suo sbarco, Saifudin è costretto ad assistere a episodi di
violenza brutali e disumani quanto gratuiti nella loro crudeltà nei confronti degli schiavi
neri.
In primo luogo, uno schiavo fuggiasco recidivo, dopo aver sofferto la marchiatura a
fuoco della lettera F di fuggiasco sulla fronte e il taglio di un'orecchia, è lasciato sbranare
dai cani con le mani incatenate dietro la schiena (ciò nonostante riesce a difendersi
ferocemente, mordendo a sua volta i cani e affogandone con sé uno, spettacolo degno
delle arene romane e come tale vissuto dai locali), a guisa di ammonimento nei confronti
di un gruppo di schiavi appena sbarcati.
Il commento sconvolto di Saifudin è: “Sono pazzi!”. Ben Suleiman gli risponde:
“Umani, appena umani”.
Quello della follia dell'umanità, o perlomeno di una certa umanità, quella che
accetta e sfrutta per i propri interessi la logica della società schiavista-colonialista per
giunta corroborata dall'ideologia cristiana – società paragonata non troppo velatamente a
quella che accetta e sfrutta l’iniqua globalizzazione neoliberista oggi – sarà una boutade
(si fa per dire!) ricorrente nei commenti dei due in relazione a quanto sono costretti a
vedere in terra brasiliana, quasi a profezia delle future follie umane in tutto il mondo, in cui
ebrei e musulmani – e cristiani – continueranno peraltro a essere tristi protagonisti fino ai
nostri giorni.
Poi c'è l'asta degli schiavi, di esseri umani venduti impietosamente come oggetti o
merci qualsiasi, all'ingrosso o al dettaglio.
Anche tra i musulmani esistevano schiavi, ma Saifudin non si conforma con la
violenza e il disprezzo per l'umanità che vede praticati nel mercato degli schiavi a cui
assiste in Brasile. In particolare trova assurdo e inumano che i padroni vendano e

19
considerino schiavi i figli da loro avuti dalle schiave, sempre prese con violenza del resto.
Tra i musulmani i figli di uomini liberi e di schiave erano liberi e considerati figli legittimi.
Bourdoukan non perde l'occasione di mettere in rilievo la superiorità culturale del
musulmano Saifudin rispetto ai cristiani del Brasile portoghese, allorché questi accorre a
curare un prete svenuto a causa di un'insolazione. Detto prete era appena sbarcato con
un carico di schiavi e durante l'asta stava raccontando gli orrori che questi avevano dovuto
soffrire, per esempio quello di una ragazza scorticata viva e gettata in mare legata a una
corda per fare da esca ai pesci. Solo per far smettere di reclamare agli schiavi, che si
erano poi visti gettare nella stiva sovraffollata i poveri resti della ragazza a mo' di monito.
Il suo gesto non rimane inosservato, nonostante le raccomandazioni e le speranze
di Ben Suleiman che si facesse notare e parlasse il meno possibile 29.
È proprio la guardia del governatore che lo nota e il governatore stesso che lo
arruola come medico, lui che medico non è ma, come Bourdoukan fa dire al suo
personaggio stesso, ne sa sicuramente di più dei “medici” cristiani di allora.
Saifudin, per Bourdoukan, incarna tutta la grande tradizione medica musulmana,
da Ibn Sina noto in Occidente come Avicenna, alla Scuola medica salernitana, fondata
da musulmani e che concorse all'esplosione del Rinascimento in Italia e in Europa,
secondo il nostro autore.
Individua subito le cause del mal-di-bestia: le pessime condizioni igieniche delle
strade e delle case. L'epidemia, come accennato, era di vaiolo.
Occorreva ripulire le strade e le spiagge, proibire che vi fossero gettate le feci
umane e animali, costruire un cimitero in un'area isolata e un ospedale in un'area ben
arieggiata e soleggiata, mettere in quarantena i marinai che arrivavano ammalati, impedire
che i barbieri effettuassero salassi, garantire la circolazione di acque pulite, ecc.
Raccomandazioni scontate per noi uomini del XXI secolo, e per un musulmano del
XVIII secolo, non per gli europei cristiani coevi, specie se religiosi, i quali coriacemente
sostenevano – citando il canone di papa Innocenzo III emanato durante il Concilio
Laterano IV – che ogni malattia era una punizione divina per i peccatori. E minacciavano i
medici di scomunica se avessero tentato di curare i malati prima che si confessassero.

29
Ben Suleiman aveva inventato per Saifudin l'identità di Inocencio de Toledo, un suo cugino
castigliano, il cui nome riesce molto gradito ai funzionari della dogana di Olinda, in quanto omonimo di
Innocenzo III, il papa che nel 1215, durante il Concilio Laterano IV, aveva istituito l'Inquisizione. E anche il
papa dell'epoca si chiamava Innocenzo, Innocenzo XI, al secolo Benedetto Odescalchi (Como, 16
maggio 1611 – Roma, 12 agosto 1689), papa dal 1676 alla sua morte. Ovviamente, una greve ironia per un
musulmano. E anche per un ebreo.

20
Si poteva, anzi si doveva, solo pregare.
Bourdoukan non perde nemmeno l'occasione di attribuire a Saifudin un pensiero
molto diffuso tra gli intellettuali brasiliani odierni: di come il Brasile sia un paradiso
brutalizzato da demoni, in estrema sintesi. La riflessione di Bourdoukan-Saifudin a tal
proposito mi ha fatto ricordare una barzelletta raccontata da Frei Betto, il famoso scrittore
e teologo della liberazione brasiliano, durante una conferenza a cui ho assistito
personalmente a Belo Horizonte circa 8 anni fa.
Gli angeli protestano nei confronti di Dio perché ha creato il Brasile senza vulcani,
senza rischi di terremoti e uragani, ricco di acqua e vegetazione lussureggiante, di frutta e
ortaggi deliziosi, di minerali, metalli e pietre preziose, ecc. Un'ingiustizia rispetto agli altri
paesi! Dio li lascia parlare, poi risponde loro: “aspettate di vedere i politici brasiliani!”.
Solo che Bourdoukan chiaramente attribuisce le cause della cattiva gestione del
paradiso brasiliano, il paese di Pindorama, la Terra delle palme, come lo chiamavano i
tupí-guaraní, alla colonizzazione europea occidentale, nella fattispecie portoghese (senza
dimenticare le influenze francesi, olandesi e spagnole, fino a quelle britanniche e
statunitensi), gravosa di conseguenze fino ad oggi. E lancia quest'accusa implicita nella
riflessione del musulmano, dell'orientale, dell'avversario dell'Occidente, Saifudin, il
Capitan Moro30.
Durante il viaggio che porta i due amici alla fazenda del fratello di Ben Suleiman,
Francisco Salomão Pereira, o meglio Ishak Ben Suleiman, incontrano i bandeirantes
di Domingos Jorge Velho che “cacciavano” schiavi fuggiaschi, cioè molto più spesso li
trafugavano loro stessi dalle fazendas per poi chiederne il riscatto ai padroni.
L'incontro è teso, perché gli energumeni, oltremodo violenti e pericolosi, si
mostrano ostili nei confronti del fratello di Ben Suleiman, etichettato come “ebreo” – si
verrà a sapere nei capitoli successivi che l'Inquisizione stava svolgendo la propria nefasta
opera –, inoltre si mostrano ancora più brutali di tutti gli altri fino ad allora incontrati nel
trattare gli schiavi: Saifudin interviene personalmente a salvare uno schiavo che i
bandeirantes stavano massacrando – si salverà e diventerà uno dei compagni di
avventura di Capitan Moro, che lo chiamerà Bilal, anche se lui già si chiamava Pedro, in
omaggio al primo muezzin della storia dell'Islam, anche lui nero.
I bandeirantes non uccidono Saifudin grazie al nuovo provvidenziale intervento di
Ben Suleiman, che accusa gli energumeni di aver rovinato la merce e contratta con loro

30
Sorta pertanto di predecessore di Gandhi, se vogliamo continuare a volare con le associazioni di
idee. Tralasciamo invece altri paragoni.

21
un prezzo ragionevole per lo schiavo moribondo. Saifudin cita il Corano, a giustificare la
sua azione avventata: “chi salva un essere umano salva l'umanità”.
Ma i bandeirantes torneranno a minacciare Saifudin e a rivendicare lo schiavo
nella fazenda di Ishak Ben Suleiman, e nello scontro relativo Saifudin rivelerà
orgogliosamente la sua identità di musulmano, di moro. I fratelli Ben Suleiman prevedono
giustamente conseguenze pericolose. Saifudin semplicemente risponde “maktub, niente
succede che non lo voglia l'Altissimo”.
Nel frattempo Saifudin, per non smentirsi, aveva salvato la vita di un altro schiavo,
addetto all'engenho di Ishak e rimasto incastrato con un braccio nell'ingranaggio di
spremitura della canna da zucchero. In genere i senhores de engenho ordinavano il
taglio del braccio degli schiavi che incorrevano, frequentemente, in questo incidente
doloroso, oppure li lasciavano maciullare dall'ingranaggio stesso, pur di non danneggiarlo.
Saifudin invece lo blocca con una leva, salvando la vita allo schiavo, ma
danneggiando irreparabilmente l'engenho. Alle timide proteste di Ishak risponde,
insistentemente, che una vita umana vale di più di un ingranaggio. E l'ebreo non ne fa una
tragedia e spera di riuscire ad avere il pezzo di ricambio dal citato Matias Amado,
altrimenti avrebbe dovuto ordinarlo in Portogallo.
Durante il soggiorno nella fazenda di Ishak, Saifudin sente anche parlare per la
prima volta dei quilombolas – e ne incontra alcuni che si recano alla fazenda a
commerciare – e del loro capo Zumbi.
Dopo il nuovo scontro con i bandeirantes, Bilal, che aveva ricevuto dal suo amico
e salvatore un'arma per difendersi – gesto imperdonabile agli occhi dei senhores de
engenho – comunica a Saifudin che sarebbe andato a unirsi al capo del quilombo di
Palmares. Scelta che in seguito lo stesso Saifudin avrebbe imitato, assieme al suo amico
Ben Suleiman.
Prima, però, Saifudin accompagna i fratelli Ben Suleiman alla fazenda di Amado,
dove la voce del moro che difendeva i negri era già giunta e dove Ben Suleiman deve
pronunciare altre volte il suo commento “umani, appena umani” a risposta del “sono
pazzi!” di Saifudin.
Per esempio quando Ben Suleiman racconta all'amico musulmano che se un
padrone di schiavi è accusato di un crimine, può far interrogare (e torturare) al suo posto
uno schiavo; se questo, ovviamente ignaro dei fatti, non confessa, pur sotto le più feroci
torture, il suo padrone è scagionato, se comunque confessa, soffre lui la pena comminata
al suo padrone.

22
Successivamente i problemi si fanno sempre più gravi.
Ishak Ben Suleiman riceve l'ingiunzione da parte dell'Inquisizione a presentarsi al
suo cospetto a causa dell'accusa di bestemmie contro la Chiesa cattolica.
Il fazendeiro “convertito” non ha dubbi, deve subito vendere tutto e fuggire.
Tanto più che l'Inquisizione, per ordine del governatore, poteva avvalersi della
collaborazione dei bandeirantes di Domingos Jorge Velho, i quali, con il pretesto di
stanare schiavi fuggiaschi, s'inventavano le accuse di connivenza tra negri e fazendeiros
che non “collaboravano” e le condivano con altre accuse care agli inquisitori domenicani:
sodomia, stregoneria, bestemmia contro la Chiesa cattolica, appunto, eresie varie, ecc.
Saifudin offre a Ishak di stabilirsi nelle terre dei credenti in Allah, dove, grazie
anche alla sua e all'amicizia di tutta la sua famiglia, non avrebbe avuto problemi. E,
prendendo in prestito la formula cara a Bourdoukan, questo – l'accoglienza degli ebrei
perseguitati dai cristiani in terre musulmane – la storia in effetti lo registra.
A guastare i piani di fuga tutti insieme, Joseph è condotto via da alcuni
bandeirantes guidati da un inquisitore. Saifudin e il forte João de Angola, il soprastante
negro di Ishak, riescono a liberarlo e con lui vari quilombolas dei mocambo catturati dai
bandeirantes. Saifudin continua a vivere l'orrore di quel paese che sembrava il paradiso
allorché vede i resti di un bambino di cinque anni che era stato il pasto dei bandeirantes,
abitudine che, come rileva Bourdoukan, la storia registra in relazione a Domingos Jorge
Velho e ai suoi, così come già per i crociati in Terrasanta, per esempio Pietro l'Eremita,
come testimonia anche Anna Comnena, figlia dell'imperatore romeo Alessio I Comneno,
nella sua opera.
Bandeirantes e crociati, tutti appena umani.
Saifudin e Ben Suleiman, con João de Angola e i quilombolas sono ovviamente
costretti e rifugiarsi nella foresta, dove il moro si meraviglia sempre più della ricchezza e
della floridezza della vegetazione di quel paese, delle sue erbe medicamentose e della
sua frutta rigogliosa e deliziosa, dei fiumi ricchi di pesci enormi, degli animali straordinari in
genere che lo popolano. A Saifudin vengono in mente le descrizioni dei grandi scrittori
della tradizione musulmana come Ibn Qutaybah31 e Ibn Battuta32. Implicita, anzi esplicita,

31
Abu Muhammad 'Abdullaah bin Muslim Ibn Qutaybah Ad-Dinawari (Kufa, attuale Iraq, 828–
889) fu un importante dotto islamico.
32
Abū ‘Abd Allāh Muhammad Ibn ‘Abd Allāh al-Lawātī al-Tanjī Ibn Battuta, (Tangeri, 24 febbraio
1304 – Fez, 1368-69), è stato un celebre e importante esploratore marocchino di origine berbera. Per quasi
trent'anni si avventurò tra Africa, India, Sud-Est asiatico e Cina.

23
l'accusa ai colonizzatori portoghesi “nazareni” di non saper godere di queste bellezze e
meraviglie e piuttosto di creare morte e sofferenza (anche all'ambiente).
Bourdoukan, insomma, approfitta, come detto, del suo alter ego Saifudin
Capitan Moro per lanciare una chiara denuncia anticolonialista e antineocolonialista.
Sembra voler dire: “come sarebbe diverso e migliore oggi il mio paese, se a colonizzarlo
non fossero stati allora i Portoghesi, con il loro oscurantismo cristiano e la loro violenza!
Se a sfruttarne le risorse, oggi, non fossero le multinazionali occidentali!”.
Questa indubbia e, come visto, ammessa e dichiarata personalizzazione del proprio
personaggio da parte di Bourdoukan, in un romanzo storico in cui avrebbe dovuto
ricercare piuttosto la più piena obiettività, è senz'altro da considerare il limite – veniale,
secondo me33 – del nostro autore, rilevato, tra altri, anche da parte di Antonio Roberto
Esteves34.

33
Il carattere di romanzo storico che Bourdoukan ha voluto dare alla sua opera, sulla base del fatto
ineccepibile che alla sua stesura ha dedicato anni di ricerca, e ricerca storica, non gli ha impedito del resto di
inserire nella sua ricostruzioni elementi decisamente più personali e attuali, ma non per questo il romanzo
risulta essere meno “storico”. Altri autori, forse, sono più rigidi in merito a queste classificazioni. Leggo per
esempio in un articolo (Paola Del Vecchio, Pérez Reverte. Lo scrittore sbattuto all'indice, Il Secolo XIX,
lunedì 16 novembre 2009, p.9) che il celebre scrittore spagnolo Arturo Pérez Reverte, inventore
dell'altrettanto celebre personaggio del capitan Alatriste, riguardo alla sua ultima opera di prossima
pubblicazione, intitolata Asedio e dedicata all'episodio della storia spagnola che vide la promulgazione della
prima carta costituzionale repubblicana, la Pepa, a Cadice (1811-12), dopo l'assedio dell'esercito francese
durante la guerra d'indipendenza, non voglia l'etichetta di “romanzo storico”, ma preferisca considerarlo “un
romanzo di personaggi, con diverse storie, le cui vite e conflitti si vanno incrociando e si allacciano
direttamente all'attualità. In questo aspetto è un romanzo contemporaneo. La guerra, la Costituzione, la
parte storica, sono solo lo sfondo” (cfr. Jacinto Antón, Un 'Asedio' de aventura, intriga y amor, El País
12/11/2009: [...] "No es una novela histórica ni sobre la guerra de Independencia. Transcurre en el Cádiz del
asedio francés, pero es una novela de personajes, de varios personajes con distintas historias cuyas vidas
se van cruzando y cuyas actitudes y conflictos enlazan directamente con ahora. Es en ese aspecto una
novela contemporánea. La guerra, la Constitución, la parte histórica son sólo el telón de fondo, pero no el
objetivo de la novela; no hay nada didáctico en ella" [...]). La differenza tra Bourdoukan e Pérez Reverte
sta forse nella volontà didascalica del primo, che lo porta a raffronti più puntuali con il già citato Galeano.
34
Antonio Roberto Esteves, Considerações sobre o romance histórico (no Brasil, no limiar do
século XXI), in “Revista de Literatura, História e Memória”, Unioeste campus de Cascavel, Vol. 4, 2008 p.
53-66. Antonio Roberto Esteves è Dottore in Letteratura dell'Università di São Paulo, docente di
Letteratura Comparata della FCL-UNESP, campus di Assis, e professore del Dipartimento di Letterature
Moderne e del Programma di Alta Formazione in Letteratura della Facoltà di Ciências e Letras dell'UNESP,
campus di Assis.

24
Questi, sulla scorta dello studio di Letícia Malard, docente di Letteratura
Comparata presso la UFMG di Belo Horizonte35, a proposito del tipo di romanzo storico
affermatosi di recente in Brasile e in cui considera appunto anche l'opera di Bourdoukan,
sostiene: “Se, da un lato, rappresenta una salutare ricerca di identità, dall'altro tale ricerca
può essere basata sul mito liberale e nostalgico secondo cui esiste una nazione concepita
come di tutti e per tutti. Si corre il rischio, in queste ricostruzioni delle utopie del passato, di
trasmettere un'idea falsa del momento ricostruito. Ciò si verifica, specialmente, in opere
impregnate di forte tono didattico. Nella volontà di denuncia delle arbitrarietà del passato,
che certamente non furono poche, si possono idealizzare personaggi o eventi, in
particolare quei personaggi che si sono ribellati in un determinato momento e sono stati
sconfitti. Proprio per il fatto che non vinsero, non si può immaginare ciò che sarebbe
successo se il loro modello di società avesse prevalso, e la tendenza, quindi, è mitizzarli”.
E ancora, più specificatamente: “Tra le molte altre opere orientate in tal senso, si può
citare il caso di Georges L. Bourdoukan, che, nell'A incrível e fascinante história do
Capitão Mouro (1997), ricostruisce, sulla base dell'ideale multiculturalista, la vita nel
quilombo di Palmares, dove convivono pacificamente e democraticamente una vasta
gamma di emarginati della società coloniale brasiliana: non solo neri, indios, bianchi
poveri e vari tipi di meticci, ma anche ebrei, mori e omosessuali perseguitati dalle autorità
portoghesi e dall'Inquisizione”.
Antonio Roberto Esteves peraltro in generale aggiunge: “Dentro ai principi del
postmodernismo, il romanzo storico contemporaneo rompe con le grandi narrative
totalizzanti, cosciente dell'individualità e della sua forma frammentata di vedere e
rappresentare il mondo e, anche, il fatto storico. Di fronte a questa percezione
frammentata e particolarizzata che caratterizza la contemporaneità, si mette in dubbio
pure la nozione di scrittore. Il narratore, sapendosi voce di tante altre voci, presenta una o
più versioni della storia. Coerente con la globalizzazione che ha rotto le frontiere
tradizionali e ha sgretolato le forme classiche delle relazioni economiche e sociali, detto
narratore fa sparire le frontiere spaziali e, soprattutto, quelle temporali. Nel tentativo di
rompere anche con le relazioni tradizionali di potere e controllo, o perlomeno di invertirle,
l'uomo contemporaneo si scontra con le verità assolute e contro quelle imposte dalla storia
ufficiale”.
Lo stesso Esteves, insomma, guarda in fondo con indulgenza a questa tendenza
dei più recenti autori brasiliani a ricostruire i loro personaggi “storici” in una forma troppo
35
Letícia Malard, Romance e história, “Revista Brasileira de Literatura Comparada”, n. 3, p. 143-
150, 1996.

25
orientata all'epoca contemporanea e al Brasile odierno nello specifico, ben consapevole
del fatto che la ricostruzione del passato è peraltro sempre funzionale al presente, giacché
l'obiettività pura non esiste, meno che mai in letteratura, nonostante le aspirazioni realiste
e naturaliste-veriste, e in ambito postmoderno perlomeno si è giunti a farsene una ragione.
Del resto Bourdoukan ha svolto il ruolo di “viaggiatore del tempo”, alla ricerca del
suo Capitan Moro, e, come ha scritto Italo Calvino, “il passato del viaggiatore cambia a
seconda dell’itinerario compiuto, non diciamo il passato prossimo cui ogni giorno che
passa aggiunge un giorno, ma il passato più remoto” 36. La riflessione matura di
Bourdoukan sul passato del proprio Paese e sulle conseguenze di tale passato nel
presente ha conosciuto nel Capitan Moro solo una tappa, in perfetta continuità con la sua
carriera di giornalista impegnato, come abbiamo visto.
Rildo Cosson37, docente di Letteratura Comparata presso la UFMG di Belo
Horizonte, ha studiato, nella letteratura brasiliana contemporanea, un genere di romanzo
che lui peraltro considera un'”invenzione” brasiliana – il precursore sarebbe Os Sertões di
Euclides da Cunha38 –, cioè il romance-reportagem, il romanzo reportage, impostato
come un lavoro di giornalismo investigativo, ma sviluppato come un romanzo. Che
necessariamente e inevitabilmente è funzionale agli scopi dell'autore, di denuncia o
comunque di indagine su una qualsiasi vicenda di interesse pubblico.
Ecco, si può dire che Bourdoukan abbia voluto impostare il suo romanzo storico
dedicato al Capitan Moro proprio come un romance-reportagem, da esperto giornalista
quale lui è del resto. Importa poco che la vicenda trattata non sia certo contemporanea, la
sua rilevanza è ancora molto attuale. E il nostro autore fa di tutto per mostrarla come tale,
36
Italo Calvino, Le città invisibili, Einaudi, Torino 1972, p.34.
37
Rildo Cosson, Romance-Reportagem: o gênero, Imprensa Oficial SP, São Paulo 2001. Rildo
Cosson è anche ricercatore del Centro de Alfabetização, Leitura e Escrita (CEALE) dell'UFMG, Belo
Horizonte.
38
Cosson invoca il nome del giornalista-scrittore Euclides da Cunha, che nel romanzo citato, un
classico della letteratura brasiliana, immortala la celebre guerra di Canudos – 7 novembre 1896-5 ottobre
1897, che vide l'esercito brasiliano sedare con fatica la rivolta dei contadini dell'interno dello stato di Bahia
guidati dal mistico Antônio Conselheiro –, di cui era stato corrispondente per O Estado de São Paulo e
quindi testimone oculare, sia pure parziale, per giunta polemico nei confronti delle autorità del Paese. Lo
invoca appunto a rivendicare al Brasile questo genere di romanzo poi affermatosi tra la fine degli anni '50 e
gli anni '60 del XX secolo in primo luogo nella letteratura statunitense (New Journalism, espressione
coniata da Tom Wolfe nel 1973), grazie ad autori quali Truman Capote, Norman Mailer, Tom Wolfe,
appunto, Hunter Stockton Thompson e Gay Talese, quindi diffusosi anche in altre letterature,
rappresentato per esempio da autori quali José Saramago, Oriana Fallaci, Ryszard Kapuściński, Tiziano
Terzani, ecc.

26
anche personalizzando forse un po' troppo il suo personaggio, che sembra ragionare e
comportarsi come un uomo del XXI secolo, come Bourdoukan stesso suo alter ego –
ripeto, per sua stessa ammissione –, piuttosto che come uomo del suo tempo.
Ma questo carattere non inficia la ricostruzione storica rigorosamente basata
dall'autore sulle fonti, tant'è vero che il romanzo di Bourdoukan è utilizzato come
un'auctoritas in materia di schiavismo in Brasile in vari studi 39. Senza parlare delle scuole
e delle università in Brasile che lo hanno adottato come libro di lettura obbligatoria 40.
Tornando alla trama, nella foresta del sertão brasiliano, Saifudin, Ben Suleiman,
João de Angola e i quilombolas salvati s'imbattono presto in altri bandeirantes
impegnati nella distruzione dei mocambos e nel massacro e nella schiavizzazione dei loro
abitanti, pertanto sono costretti a combattere – Saifudin al grido di Allāhu Akbar – e, in
minoranza, stanno quasi per soccombere allorché sono soccorsi da un altro folto gruppo di
quilombolas guidati da Bilal, l'amico di Saifudin.
A questo punto inizia la vera e propria alleanza tra Saifudin Capitan Moro e
Zumbi di Palmares, presso cui il gruppo viene condotto.
Saifudin diventa subito amico del capo quilombola, che impara presto ad
ammirare e paragona al poeta guerriero Antarah ibn Shaddad della tradizione araba
preislamica, come Zumbi nero in quanto figlio di una schiava abissina, chiamato tra i
musulmani Antarah il Leone, Padre degli Eroi.
Anzi, Saifudin, che proprio Zumbi comincerà a chiamare seriamente Capitan
Moro, specie quando metterà al servizio dei quilombolas la sua esperienza militare e li
aiuterà a costruire fortificazioni più resistenti e soprattutto più efficaci delle precedenti,
confesserà sempre più una sua ammirazione particolare per le genti nere di origine
africana, quando racconta a Ben Suleiman di avere un fratello nero, che suo padre ha
avuto da una moglie originaria del Bilad As-Sudan, e al quale una volta ha detto:
“erediterete il mondo”.
È evidente come tale enfatica ammirazione per le genti africane attribuita da
Bourdoukan al suo personaggio voglia stagliarsi in stridente contrasto rispetto alla scarsa
e umiliante considerazione che invece avevano nei loro confronti i colonialisti schiavisti

39
Per esempio da André Luiz Nunes Da Silva, Ações afirmativas e cotas raciais na
universidade: uma via de promoção da igualdade material, Universidade Federal do Paraná, Curitiba,
2008. Oppure, in altro campo, da Marília Miryám Hess Rondani, Energia, transporte, direito, etnias na
perspectiva da hipótese Gaia – Estudo de caso para a região metropolitana de São Paulo,
Universidade de São Paulo, 2002.
40
Cfr. i Commenti conclusivi.

27
occidentali, tra i quali si mette in rilievo infatti, come peraltro è noto, che fosse diffusa l'idea
che negros e indios non avessero anima e fossero animali, piuttosto che esseri umani,
degni quindi di essere trattati come tali, come animali da soma, come schiavi. Detto
contrasto si rivela anche, e polemicamente, nell'attribuire ai quilombolas persino più
avanzate nozioni mediche e di cultura – orale – in genere rispetto ai colonialisti europei,
nozioni da cui peraltro sarebbero poi derivati molti fondamenti importanti della cultura
popolare brasiliana, come certe ricette culinarie o certi rimedi naturali alle malattie.
Saifudin, Ben Suleiman, Zumbi e i quilombolas in seguito salvano casualmente
la vita al citato Epaminondas Conde e al suo schiavo favorito, poi divenuto amico e
compagno Gaspar, in origine scelto come “stallone” dell'allevamento di schiavi che
l'aristocratico fazendeiro portoghese aveva intrapreso, come accennato supra.
Il gruppo infatti si reca alla fazenda di Conde per fare rifornimento di munizioni e
per altri commerci, ordinari tra quilombolas e alcuni fazendeiros, come detto, e trova i
bandeirantes di nuovo guidati dallo stesso inquisitore che aveva minacciato Ishak – che
nel frattempo era riuscito a fuggire dal paese con la famiglia dopo aver venduto la sua
proprietà e percorreva la costa brasiliana con la sua nave in attesa di salvare anche il
fratello – a perseguitare Conde stesso, accusato di sodomia. Accusa peraltro fondata.
Si unisce quindi al gruppo di emarginati e perseguitati dalla società colonialista-
schiavista-cristiana brasiliana, già composto da schiavi africani fuggiaschi – oltre a vari
altri fuggiaschi –, un musulmano e un ebreo, anche l'omosessuale 41. A completamento del
gruppo, più tardi, si aggiungerà anche una donna bianca, Maria Paim, l'amante bianca
corrisposta di Zumbi, e figlia del fazendeiro João Paim – il cui soprastante negro tenterà
di tradire e attirare in una trappola il gruppo, ma fallirà 42 – simbolo della donna soffocata
dai costumi machistas sociali dell'epoca (e non solo), che invece decide per conto suo

41
Epaminondas Conde, durante la convivenza con i nuovi amici e compagni di avventura, si faceva
dei sensi di colpa in relazione alla sua omosessualità, risolti da Ben Suleiman che gli racconta la “storia dei
Greci” – tratta dal Simposio di Platone – secondo cui, in origine, tutti eravamo la metà di un essere a
quattro braccia, quattro gambe e due teste e queste formavano una perfetta simbiosi. E dette metà potevano
essere due uomini o un uomo e una donna, poi separate dall'invidia degli dei. Saifudin riconosce la grande
saggezza degli Ioni, come li chiama lui, ma sostiene che non sapevano niente di Allah.
42
Saifudin elogia Zumbi per la generosità, dimostrazione di forza, che mostra nel risparmiare la vita
al traditore, come gli aveva chiesto Maria, ma Zumbi in realtà manderà a ucciderlo, e replicherà a Saifudin
che mai ha potuto verificare come risparmiare un traditore sarebbe una dimostrazione di forza.

28
quello che crede meglio per lei 43, a dispetto anche dei problemi che soffrirà e pure della
concorrenza delle altre due mogli di Zumbi!
Gli episodi più significativi che seguono, sui quali non voglio continuare a
soffermarmi troppo nei dettagli per non privare eventuali nuovi lettori del gusto di scoprirli
da soli, si possono riassumere negli episodi di resistenza strenua e spesso geniale che
vedranno opporre i quilombolas, favoriti dalle citate fortificazioni pianificate dal Capitan
Moro, alle milizie portoghesi appoggiate dai bandeirantes di Domingos Jorge Velho.
Saifudin, Ben Suleiman, Epaminondas Conde e il suo amico e compagno
Gaspar a un certo punto, durante una tregua seguita a una vittoria, si recheranno a
Recife, per avere notizie di Ishak, con cui Ben Suleiman voleva tentare di ripartire, ma
sono traditi da un oste di cui Conde si fidava e sono catturati, però si verifica un colpo di
scena: il nuovo governatore della capitania di Pernambuco, il marchese de Montebelo44,
è un amico di Epaminondas, omosessuale come lui, anche se per poter adire al titolo ha
dovuto sposare Maria Manuela, l'ex-moglie dello stesso Epaminondas – altro colpo di
scena – peraltro la prima che aveva sperimentato le qualità di stallone di Gaspar, poi
comprovate da altri, tra cui anche il vescovo di Recife.
I quattro passano a collaborare con il governatore nel tentare di debellare il mal-di-
bestia, e ne approfittano anche per vendicarsi di altri traditori, laddove Saifudin
addestrerà un ufficiale portoghese, il capitano Manuel Pinto, ben disposto al dialogo e
particolarmente interessato all'”arte medica” del Capitan Moro soprattutto perché suo
fratello era malato – e sarà salvato dall'intervento di Saifudin.
L'impegno civile del Capitan Moro non viene meno quindi anche tra i nemici, esseri
umani come lui, il cui unico torto è avere una pessima classe dirigente. Questo è l'evidente
messaggio che trasmette Bourdoukan: il richiamo al Brasile contemporaneo è sempre
chiaro.
Ma alla fine i quattro, che non potranno né vorranno ripartire, ritorneranno presso il
quilombo, dove peraltro Saifudin aveva già trovato anche moglie, Mariam, e dove Ben
Suleiman – che pure lui a Recife aveva trovato la sua dolce metà – e Epaminondas

43
Zumbi e Maria Paim si erano conosciuti quando i quilombolas si erano recati alla fazenda di João
Paim per degli scambi e Zumbi aveva salvato la vita di Maria e del nipotino attaccati da un giaguaro.
D'istinto Maria aveva abbracciato il capo del quilombo suscitando lo scandalo dei bianchi presenti tra i cui
commenti si leggono i seguenti: “preferisco vedere mia figlia morta che abbracciata a un negro”, “la donna
deve uscire di casa solo tre volte: per il battesimo, per il matrimonio e per il funerale”.
44
Antônio Félix Machado da Silva e Castro, secondo marchese de Montebelo, fu governatore
generale della capitania di Pernambuco dal 5 giugno 1690 al 13 giugno 1693.

29
Conde, ma occasionalmente anche lo stesso Saifudin, si impegnano nell'educazione dei
bambini.
In questo contesto sarà notevole l'episodio in cui Saifudin intratterrà con una storia
tratta da Le Mille e una Notte praticamente tutta la comunità45 del mocambo, nei cui
costumi sociali la tradizione orale aveva – e ha – un'importanza di grande rilievo.
La storia, L'Apprendista, racconta di un giovane che aveva tutto, ma che era
ossessionato dal desiderio di apprendere, finché seppe di un saggio che viveva in un
paese distante e abbandonò la famiglia e la giovane promessa sposa per recarsi presso la
casa di tale maestro, che era un vecchio fabbro, dove sperava di illuminarsi. Ma dopo dieci
anni di apprendistato, apprende solo l'arte della pazienza, con la quale poi torna a casa.
Saifudin racconta in privato a Ben Suleiman la “seconda parte” che suo nonno
aggiungeva a questa storia: l'apprendista, quando torna a casa, trova la sua promessa
sposa che aspettava già il quinto figlio da un altro e la sua famiglia impoveritasi a causa
della sua assenza, allora torna dal maestro a fargliela pagare.
Ben Suleiman commenta che avrebbe gradito conoscere il nonno di Saifudin.
Significative anche le frequenti discussioni religiose tra i due amici Ben Suleiman e
Saifudin, gli unici, peraltro che possedevano la cultura per affrontarle, a rimarcare la
superiorità – e l'affinità – da parte di Bourdoukan delle due culture musulmana e ebraica
rispetto a quella cristiana di allora.
Infine, i quilombolas di Palmares soccombono agli attacchi sempre più insistenti e
soverchianti degli schiavisti. Bourdoukan racconta le versioni della morte di Zumbi,
assassinato a tradimento, racconta della morte di Gaspar e della vendetta per amore di
Conde, che, ammalatosi di vaiolo, lo diffonde volutamente tra i bandeirantes, mentre
rimane nel vago obbligato in relazione al suo Capitan Moro e all'amico Ben Suleiman,
della cui fine in effetti non si hanno notizie certe, se non che è documentata da parte di
alcune importanti famiglie maghrebine la richiesta alle autorità brasiliane di poter riscattare
i propri figli prigionieri oltre oceano. E nel 1699, racconta Bourdoukan, la fortezza di
Tamandaú fu attaccata da corsari berberi che forse volevano liberare Saifudin e Ben
Suleiman.

45
Si tratta dell'unico episodio in cui la ricorrente battuta tra i due amici Saifudin e Ben Suleiman,
“sono pazzi”, “sono umani” (cfr. i Commenti conclusivi), è riferita ai quilombolas, in quanto Saifudin
aveva appena suggerito a Conde di raccontare ai bambini una storia della celebre antologia di racconti
arabi, che Conde chiaramente non conosceva, laddove alla fine Saifudin dovette promettere di farlo lui, ma
all'ora combinata si trova di fronte tutta la comunità. E i quilombolas, dopo quest'occasione, ne
aspetteranno altre.

30
Infine Bourdoukan accenna ad altri episodi, a voler dare continuità alla storia e
all'eredità del Capitan Moro – continuità che darà lui stesso in altri due romanzi, come
accennato e come preciserò meglio nel prossimo capitolo.
Dopo la caduta di Palmares sorgeranno, vitali fino ad oggi – come già rilevato 46 –
tanti altri quilombos, tra cui quello di Penedo il cui capo si chiamava Abu-Manuel (e abu
in arabo significa padre).
Durante il Corpus Christi del 1807 ci fu una rivolta di musulmani haussa nella Bahia,
negli anni successivi estesasi a Salvador e nelle foreste dell'interno.
Il 28 febbraio 1813 più di seicento schiavi musulmani marciarono contro Salvador,
distruggendo engenhos al loro passaggio e ricevendo l'adesione degli schiavi liberati.
Nel maggio del 1814 tutta Bahia fu incendiata da nuove rivolte, la più importante
quella di Cachoeira, nella regione del Recôncavo.
Il 22 ottobre del 1824 sempre in Bahia ci fu la rivolta di un battaglione di mulatti,
detti periquitos, che occuparono il quartier generale nella zona di Mouraria, a Salvador, e
fucilarono il generale comandante47.
Nel 1828 ci fu una nuova rivolta nella regione del Recôncavo.
Nel 1835 si verificò la più grave e importante di tutte le rivolte musulmane in Bahia e
in Brasile: la rivolta dei Malè (professori, educatori, in arabo48).
I ricercatori hanno catalogato oltre 3000 quilombo, dal nord al sud del paese, sorti
dopo Palmares e sopravvissuti, quale più quale meno, fino alla fine della schiavitù, nel
188849.

46
Cfr. nota 22 e infra.
47
Si trattava del 3º battaglione dell'esercito del Brasile da poco indipendente, detto dei Periquitos,
come una specie di pappagalli, formato solo da soldati mulatti o meticci (pardos, come erano allora chiamati
in Brasile). Si rivoltarono esigendo l'espulsione del residuo potere militare portoghese e contarono
sull'appoggio del 4º reggimento di artiglieria, detti a loro volta i Pitangas, come un frutto tipico brasiliano. Cfr.
Luís H. D. Tavares, O Levante dos Periquitos, Centro de Estudos Baianos, Salvador 1990.
48
Così scrive Bourdoukan e ci inchiniamo alla sua esperienza e conoscenza della lingua araba, ma
cfr. la nota 19 e il testo di riferimento, dove si precisa che tale parola deriva direttamente dalla lingua yoruba,
che pure l'avrà presa in prestito dall'arabo.
49
Cfr. di nuovo la nota 22. Ancora oggi esistono comunità di quilombolas, 29 sono quelle
riconosciute ufficialmente dal governo, ma ne esistono moltissime altre, cfr. http://www.palmares.gov.br/ e
http://www.mgquilombo.com.br/site/.

31
Capitan Moro rispetto alle altre opere dell'autore
Come accennato, dopo Capitão Mouro Bourdoukan ha pubblicato un altro
romanzo, O Peregrino, sempre edito da Casa Amarela nel 1999.
Bourdoukan vi immagina la scoperta
dell'esistenza di una tribù amazzonica con nome arabo,
sparita senza lasciare tracce, ma della quale è rimasta
soltanto una registrazione ufficiale – l'analogia con lo
spunto che ha portato il nostro autore alla ricerca sul
Capitão Mouro non pare casuale.
Nella primavera del 2000, su World Literature
Today, Malcolm Silverman, titolare della cattedra di
Spanish and Portuguese Languages and Literatures
presso la San Diego State University dal 1975 al 2004,
ha dedicato la seguente recensione a questo romanzo
di Bourdoukan: “Molto simile a quelle cronache del XVI secolo sfocianti nel fantastico e
così comuni nella letteratura portoghese, O Peregrino (Il Pellegrino) inizia con un
dettagliato sottotitolo50, sovraimposto sulla copertina dove spicca un'immagine
trascendentale dell'Uomo che da solo cammina simbolicamente su mutevoli dune di
sabbia. Ma quanto segue è più simile a effetti speciali cinematografici piuttosto che alle
ispirazioni essenzialmente filosofiche, teologiche, mistiche, persino cabalistiche che
permeano la seducente, variegata parabola di Georges Bourdoukan. Di fatto, quella di
Bourdoukan è una ricerca atemporale, universale della felicità e della verità, che
apparentemente si svolge per secoli, anzi millenni. D'altra parte, è anche una ricerca
ancorata sia pure in modo precario al presente, i cui problemi sociali, dalle bombe umane
sciite al traffico di organi umani strappati a giovani corpi nei paesi del Terzo Mondo, sono
duri a morire. È nel protagonista del titolo – le cui varie etichette, sia detto per inciso, non
sminuiscono affatto il suo carisma e il suo entusiasta idealismo – che l'autore focalizza il
suo tema centrale. Un ulteriore indizio che fa pensare a una parodia della vita di Cristo la
dà la presenza di appariscenti simboli che incarnano Giuseppe, Maria, Lazzaro, Maria
Maddalena, Gabriele, persino Francesco d'Assisi. Nei polemici incontri che si
susseguono, nei numerosi sogni che in particolare si stagliano durante la lettura de O
Peregrino, nonché nelle allusioni tipicamente cristiane alla Bibbia, sono ben presenti temi
50
Un dettagliato sottotitolo è presente anche sulla copertina del Capitão Mouro, quindi è un carattere
proprio delle copertine delle opere di Bourdoukan.

32
da sempre attuali. Di rilievo è la lotta di classe, laddove già nella prefazione è scontato
come si voglia sicuramente combattere il bieco e pur convenzionale pregiudizio che il
povero sia un'inevitabile elemento delle relazioni sociali e, in quanto tale, immutabile. La
visione di tappeti volanti in un contesto di crudo realismo, in cui sono conciliate
informazioni storiche uniche assieme a cliché religiosi, contribuisce a trasformare O
Peregrino un eloquente appello alla ragione. Infatti, così come il suo titolo, che tanto
allude a una conoscenza acquisita, il volume dimostra soprattutto di essere sia la
relazione di una caccia a un tesoro spirituale sia l'elenco dei desideri per un futuro
migliore”51.
La recensione del Prof. Malcolm Silverman, che, come mi ha raccontato
Bourdoukan stesso, all'epoca era andato in Brasile appositamente per conoscere e
intervistare il nostro autore, mette in rilievo una particolarità de O Peregrino che possiede
senz'altro anche il Capitão Mouro, la combinazione di storia e denuncia sociale, carattere
anzi che, come rilevo in questo presente studio, è il principale del primo romanzo di
Bourdoukan.
Ne O Peregrino c'è però anche un inedito carattere mistico-spiritualista che sembra
stonare con la dichiarazione di ateismo dell'autore 52, benché lo stesso Silverman l'abbia
51
“Much like those sixteenth-century chronicles bordering on the fantastic and so common to
Portuguese letters, O Peregrino (The Pilgrim) begins with a detailed subtitle, here superimposed on the
cover: a transcendental visual image of Man symbolically walking alone through shifting sand dunes.
However, what follows is more akin to cinematic coming attractions than to the essentially philosophical,
theological, mystical, even cabalistic currents which permeate Georges Bourdoukan's enticing, multifaceted
parable. In fact, Bourdoukan's is a timeless, universal search for happiness and truth, seemingly spanning
centuries, indeed millennia. Yet it is also precariously anchored to a present day whose social problems,
from Shiite human bombs to "harvesting" youthful body organs in Third World countries, persist. It is through
the title protagonist -- whose varied designations, by the way, in no way detract from his charisma and
refreshing idealism -- that the author finds his thematic vehicle of choice. Further helping to parody Christ's
life is the presence of such glaring symbols incarnate as Joseph, Mary, Lazarus, Mary Magdalene,
Gabriel, even a Francis of Assisi. In the polemic encounters which ensue, in the numerous dreams
particularly vented throughout O Peregrino, and in familiar Christian allusions from the Bible, persistent
motifs abound. Of special note is class struggle, routinely in the forefront where it is sure to combat the
twisted if conventional notion that the poor are an unavoidable fixture of social intercourse and, as such,
immutable. The vision of flying carpets amid stark realism, of combining unique historical tidbits with religious
cliche, manages to turn O Peregrino into an eloquent appeal for reason. In fact, along with its title, so
suggestive of acquired knowledge, the volume proves itself, above all, to be both a spiritual treasure hunt
and a wish list for a better tomorrow”.
52
Cfr. nota 1. Da notare che apparentemente tale carattere mette in relazione Bourdoukan al più
celebre scrittore libanese del '900, cioè Khalil Gibran (1883-1931), ma si tratta di scrittori decisamente

33
infine definito “un eloquente appello alla ragione”, e che invero si richiama all'antica
sapienza araba (ma non solo araba, che risale almeno sino ai Sumeri, come mi ha
puntualizzato lo stesso Bourdoukan) dei deserti e delle oasi dell'Oriente – culla della
civiltà, anche di quella occidentale – solcati da Bourdoukan così come quelli nordafricani,
durante i suoi viaggi come inviato in “Medio Oriente”.
Sono stati infatti questi viaggi che hanno sviluppato in Bourdoukan tale carattere,
che l'autore continua ancora oggi a evidenziare nei suoi testi, per esempio in quelli del suo
blog, ma che ha avuto nella sua terza opera, l’antologia di racconti Vozes do Deserto53,
senza dubbio la massima espressione.
Pubblicata nel 2002 sempre con Casa Amarela,
quest'opera è ben definita dalle note di quarta di
copertina che riporto di seguito: “Voci del
Deserto è un viaggio attraverso la Storia di ieri e
di oggi. Parla dei crociati, cita aspetti della
mitologia greca, ebraica e l'Epopea di
Gilgamesh. Narra fatti relativi a grandi
personaggi della cultura araba e islamica,
chiarisce perché libertà e proprietà sono
incompatibili e perché Dio creò il liuto. Parla della
relazione tra il flauto e il paradiso e di un libro
senza inizio o fine le cui lettere avevano vita
propria. Sono storie raccontate intorno al fuoco
nelle notti fredde del deserto, dove nacque il
Cavallo di Allah e dove, ancora oggi, dei santi
peregrinano sulle sabbie salvando delle vite. Il lettore accompagnerà beduini e imazighin,
che gli occidentali denominano erroneamente berberi.

molto diversi tra loro.


53
È curioso il fatto che nel 2004 la celebre scrittrice carioca di origine spagnola Nélida Piñon, per
giunta membro e già presidente dell'Academia Brasileira de Letras, abbia pubblicato una sua opera,
dedicata al personaggio de Le Mille e Una Notte Sharāzād, con lo stesso titolo Vozes do deserto. Ho
chiesto a Bourdoukan se, secondo lui, la Piñon si fosse ispirata alla sua opera; mi ha risposto seccamente:
“quanto alla Signora Nélida e al suo Vozes, fino ad oggi [3 agosto 2009] non ho capito la ragione per cui lei
abbia utilizzato lo stesso titolo. Se lei si è ispirata o no al mio libro, non lo posso affermare”.

34
Il deserto è la culla delle parabole, dei proverbi e delle metafore 54. Sono innumeri le
lezioni che lui insegna. Si apprende, per esempio, che l'essere non ha limite. È
un'essenza, circostanziale. E che la vera dimensione dell'insignificanza umana va oltre la
stessa umanità. Lì, le voci del passato avvertono: è necessario scoprire il linguaggio
dell'Universo”.
Quest'ultimo avvertimento, in particolare, rivela anche in quest'opera di
Bourdoukan, come in tutte le altre, un impegno sociale come fine ultimo del suo percorso,
orientato alla verità e alla giustizia universali, e, in quanto tali, frutto della valorizzazione di
tutte le culture del mondo, nessuna inferiore o superiore all'altra, come peraltro
evidenziato dall'accenno in queste note al riferimento ai crociati, alle culture greca,
ebraica, mesopotamica, araba a esemplificare la sapienza della babele che è il mondo
intero.
I racconti di quest'antologia sono spesso molto brevi e aforistici, come il primo
intitolato significativamente Parábolas e Provérbios, che inizia così: “Chiesero al povero
perché piangeva. Rispose che la ragione delle sue lacrime non era la povertà, ma la sua
passione per la ricchezza” e si conclude con il versetto arabo traslitterato: “Lam yakun
lahu kufuan ahad”, quarto ayah della 112a sura, detta Al-Ikhlas (La Purezza o La
Fedeltà), del Corano, che significa: “niente né nessuno a Lui si compara”.
Molto significative e eloquenti – e volutamente polemiche – anche le citazioni che
Bourdoukan colloca nel quarto racconto, Perfumes e Perucas, dove critica lo scarso
senso dell'igiene, e quindi della salute pubblica, che alla cultura occidentale aveva imposto
la Chiesa – critica, come visto, già presente nel Capitão Mouro –, citazioni, per esempio,
dal famoso storico francese Jules Michelet (1798-1874): “dove ci sono i cristiani, sorge il
deserto, dove stanno gli arabi fiorisce la terra e si converte in un giardino fiorito. E fiorisce
anche il campo dell'intelligenza”, nonché dall'Encyclopédie di Diderot e D'Alambert:
“Cordoba era l'unico paese dell'Occidente dove si coltivavano la geometria, l'astronomia,
la chimica, la medicina”. Infine, ancora più impietosa, dall'altrettanto celebre scrittore
francese Anatole France (1844-1924), premio Nobel per la Letteratura nel 1921: “Il giorno
più nefasto della storia fu il giorno della Battaglia di Poitiers, nel 732, quando la scienza,
l'arte e la civiltà araba furono respinte dalla barbarie franca”.
Nel racconto precedente, intitolato Crianças no Espeto, Bambini allo Spiedo,
Bourdoukan ci offre la sua opinione riguardo a come si originò, probabilmente,
l'espressione inglese baby-beef, anche in tal caso in coerenza insistita con la denuncia di
54
Per un'analisi dell'uso di parabole e proverbi da parte di Bourdoukan, sulla base degli studi della
Dott.ssa Mônica Kalil Pires, cfr. i Commenti Conclusivi.

35
cannibalismo diffuso tra i crociati, nonché tra i loro epigoni nel Brasile ben presente, come
visto, nel Capitão Mouro.
Se colleghiamo il giudizio di Silverman, “un eloquente appello alla ragione”, riferito
a O Peregrino, a dette citazioni, potremmo pensare a un Bourdoukan neoilluminista – e
potremmo di nuovo paragonarlo a buon diritto a Leonardo Sciascia – carattere che in
effetti non stona con il suo curriculum, laddove è noto peraltro come la cultura francese
abbia influenzato non poco la cultura brasiliana sin dalle sue origini, dopo l'indipendenza 55.
Ma credo che sia chiaro ormai come in Bourdoukan sia vero questo, ma anche tanto
altro.
Oltre alla valorizzazione di una sapienza spirituale che va al di là di qualsiasi
specifica ideologia religiosa, di cui è anche più antica, in Bourdoukan vi è anche una
convinta valorizzazione dell'oralità come trasmissione di questa stessa sapienza, oralità,
arricchita dalla concretezza dell'esperienza, che l'autore ha sperimentato personalmente
durante i suoi viaggi tra i citati beduini e imazighin – e che gli è servita, come visto, anche
per ricostruire la storia del Capitão Mouro – come in molti racconti di quest'antologia lui
stesso racconta56.
Per esempio in Milhões de Estrelas, in cui Bourdoukan racconta di aver condiviso
con il capo di una carovana di cui lui è stato ospite/membro nel deserto del Maghreb, Ibn
Káis, citato in altri racconti – è un personaggio che sicuramente l'ha impressionato – una
parabola ascoltata altrove, di un vecchio che, tanti secoli fa, stava piantando delle palme
da dattero, canzonato da un re di passaggio a cavallo con tutto il suo seguito perché il
vecchio non avrebbe certo avuto il tempo di godersi i frutti del suo lavoro. Al che il vecchio
rispose che come lui aveva goduto dei datteri piantati da suo nonno anche i suoi nipoti
avrebbero goduto dei suoi. E il re, gratificato dalla risposta, gli regalò una borsa piena di
monete d'oro. Ibn Káis, racconta Bourdoukan, non fece una grinza al sentire questo
racconto; più tardi, però, lo raccontò a sua volta intorno al fuoco a tutti gli altri membri della
carovana, che, come lui, sorrisero dell'ingenuità e dell'innocenza della paraboletta e di chi
l'aveva raccontata. E Ibn Káis concluse, nell'approvazione generale, che oggi i governanti
che lui conosce non vanno a cavallo, ma in auto blindate, non hanno seguito, bensì
guardie del corpo, e se vedono un vecchio davanti a loro, lo travolgono. E Bourdoukan
confessa che si è sentito un mentecatto.

55
Cfr. in particolare gli studi della Prof.ssa Ana Beatriz Barel, del Département d'Études Lusophones
de l'Université de Nantes.
56
Per un'analisi più approfondita della valorizzazione dell'oralità da parte di Bourdoukan, sempre
sulla base degli studi della Dott.ssa Mônica Kalil Pires, cfr. i Commenti Conclusivi.

36
Ma è mentecatto Bourdoukan o chi continua a credere nelle verità ufficiali della
storia e della cronaca che ci vengono sciroppate quotidianamente dai media o anche nelle
scuole?
È questa un'altra domanda che credo faccia suscitare volutamente la lettura delle
opere del nostro autore, domanda che lo mette anche in strettissima relazione, come già
detto altre volte, a un altro grande autore latinoamericano che ama raccontare la storia
alternativa in forma di parabole, l'uruguayano Eduardo Galeano, specie in libri come
Memoria del Fuego (1982 - 1986) o il più recente Espejos. Una historia casi universal
(2008). Si tratta di un accostamento che, quando gliel'ho proposto, ha onorato molto
Bourdoukan, come prevedevo57.
La fine e salace ironia, quando non è sarcasmo o denuncia diretta, che Georges
Bourdoukan ha mostrato nelle sue precedenti opere letterarie nonché nei suoi articoli
giornalistici, l'autore l'ha realizzata in umorismo (pirandelliano) nella sua opera teatrale O
Apocalipse, pubblicata nel 2003 sempre per i tipi di Casa Amarela.
Si tratta dell'umorismo, però, “di chi sa quanto
è maldestro e deleterio l'essere umano che
subordina lo spirito e il buon senso ai beni
materiali e immediati”, come si estrapola dalle
note editoriali. Che continuano: “Bourdoukan
è capace di sfidare i cieli per provare la
stupidità dei potenti, e ci riesce con l'acuta
ironia della sua intelligenza e l'ausilio della
sapienza araba che gli permea l'anima”.
Ancora critica sociale, ancora un richiamo alla
tradizione araba, del deserto.
La trama racconta di come un ebreo, un
cristiano e un musulmano ebbero bisogno di
decidere tra Dio e l'amicizia mentre come
inviati speciali assistevano ai massacri della
guerra civile in Libano.

57
In una recentissima intervista che Eduardo Galeano ha concesso proprio a Caros Amigos
(edizione di novembre 2009), la rivista per cui ha lavorato per anni Bourdoukan, si mette in rilievo come
Galeano “rivanghi nella discarica della storia mondiale” per dare voce ai “naufraghi e umiliati”. (cfr.
http://carosamigos.terra.com.br/; l'intervista è di Fania Rodrigues e ha come titolo: Estamos tentando
recuperar nossa própria voz). Penso che si possa dire altrettanto anche per l'opera di Bourdoukan.

37
Mi è parsa molto significativa, oltre che appassionata, la breve recensione di
seguito che ha scritto di quest'opera David Lerer, medico – con esperienza negli ospedali
militari in Mozambico e Angola – e ex-deputato federale brasiliano, nonché editorialista
free-lance: “O Apocalipse è un testo di un reporter militante, asciutto e diretto, senza
aggettivi né fronzoli, con ritmo e vitalità che fanno sì che il lettore non smetta di leggere
fino alla fine delle pagine. Ma l'autore non si limita a soffermarsi sugli orrori della guerra
fratricida, né sul ruolo incendiario dei fanatismi ideologici, né sul veleno ad azione lenta
dell'ipocrisia religiosa. Lui va oltre, e con agili pennellate descrive, con la bocca di Sarah,
la più dolce e intelligente dei suoi personaggi (onore alle donne!), le reali ragioni
economiche e politiche dell'inferno che si è abbattuto sul Libano, il più ospitale paese del
Medio Oriente”58.
Di nuovo denuncia, quindi. E anche un atto di amore per il suo Paese d'origine, ma
soprattutto per l'umanità intera.
Come accennato, infine, Bourdoukan ha in preparazione altri racconti e altri due
romanzi che faranno parte della trilogia del Capitão Mouro, uno dei quali s'intitolerà Os
Filhos de Allah ed è dedicato alla rivolta dei già citati Malè a Salvador, avvenuta prima
dell'alba di domenica 25 gennaio del 1835. I Malè furono i musulmani di origine yoruba
che la organizzarono59.
Tale nome deriva proprio dalla parola yoruba imalê, di origine araba60 che in
Nigeria indica appunto i musulmani. Pertanto i Malè in principio erano specificamente i
musulmani di lingua yoruba, noti anche come Nagôs in Bahia. Laddove, peraltro, alla loro
rivolta parteciparono anche altre etnie, persino più islamizzate come gli Haussa, sia pure
in minoritanza.

58
Lerer ha pubblicato tale recensione su http://www.imprensalivre.com.br.
59
Sono molti i testi dedicati a questi episodio della storia brasiliana, ma insisto, come in nota 19 (cfr.
nota 48) nell'indicare il testo specifico di Joâo José Reis, Rebelião escrava no Brasil: a história do
levante dos malês em 1835, São Paulo, Companhia das Letras, 2003. Infatti, secondo Joâo José Reis,
docente di Storia della Universidade Federal da Bahia (UFBA), “a rivolta non fu un tumulto senza direzione,
un semplice atto di disperazione, bensì un movimento politico [musulmano], nel senso che assumere il
governo [approfittando del fatto che la popolazione nera e musulmana allora era la maggioranza nello stato
di Bahia] costituiva uno dei principali obiettivi dei ribelli”. Ho chiesto a Bourdoukan se fosse d'accordo –
un'anticipazione del romanzo, in pratica –, mi ha risposto: “Concordo senz'altro e aggiungo: il principale
nemico dei Malè fu la Chiesa Cattolica. Li temeva in quanto monoteisti. Inoltre c'è stato anche un sacrestano
malê (musulmano) che fu amico di un prete. E ci sono molte altre cose, ma aspettiamo Os Filhos de Allah”.
60
Cfr. nota 48.

38
Bourdoukan, nel finale della prefazione al Capitão Mouro, A busca (La ricerca),
aveva scritto: “Si rileva inoltre come ci sono stati altri mori che hanno partecipato ad altri
movimenti di liberazione, ma queste sono altre storie”.
Una promessa mantenuta, quindi, di tornare a far rivivere il suo alter ego Capitão
Mouro, ma in altri episodi non troppo studiati della storia brasiliana in cui dei musulmani
hanno opposto una strenua resistenza alla società colonialista-schiavista-cristiana
brasiliana.
È curioso notare come uno dei protagonisti della rivolta dei Malè fu un anziano
capo il cui nome era Bilal – sebbene il suo nome da schiavo fosse Pacifico Licutan –,
come il personaggio del Capitão Mouro, l'ex schiavo salvato da quest'ultimo e da lui
appunto chiamato Bilal.
Bourdoukan non mi ha anticipato più di tanto, ma mi ha raccontato che nella
ricerca in loco che ha svolto ha scoperto crimini orrendi, in particolare compiuti nella zona
del Recôncavo baiano, la regione dove si trovava la maggior parte degli engenhos. La
rivolta infatti si risolse in un massacro, ma suscitò anche una rappresaglia feroce e
paranoica delle autorità che durò per anni.
Ciò che comunque si può dire anche a riguardo delle successive opere del nostro
autore è che il Capitão Mouro, che Georges Bourdoukan racconta di aver “incontrato”
per caso, ha sicuramente segnato la sua letteratura.

39
Commenti conclusivi
In questa parte intendo soprattutto riassumere e commentare gli studi della
Dott.ssa Mônica Kalil Pires dedicati proprio al romanzo di Geroges Bourdoukan
oggetto del presente studio, da lei comparato con un altro romanzo storico, Leone,
l'africano, di Amin Maalouf, anche lui libanese della diaspora e ben noto scrittore,
saggista e giornalista.
Il primo studio s'intitola O muçulmano em terras cristãs: estudo de romances
históricos, e fu esposto dall'autrice durante l'Encontro Regional da ABRALIC
(Associação Brasileira de Literatura Comparada 61), tenutosi tra il 23 e il 25 di luglio del
2007. Il secondo s'intitola Tradução cultural através da literatura: entre o mundo
árabe e o ocidente, e fu esposto dall'autrice durante il successivo Encontro Regional da
ABRALIC, tenutosi tra il 13 e il 17 di luglio del 2008 62.
Nel primo lavoro Mônica Kalil Pires dichiara come scopo quello di verificare come
il dislocamento fisico dei protagonisti, nella fattispecie il passaggio da una società
musulmana a una cristiana, agisca sulla loro identità e faccia riflettere sull'alterità.
Secondo lei, la relazione interpersonale in questi romanzi è un microcosmo che, ampliato,
rivela l'atteggiamento d'approccio di fronte alle differenti culture, cioè la patria è l'io plurale,
così come l'altro è la personificazione della comprensione dell'io riguardo all'altra cultura.
L'identità e l'alterità sono concetti indissociabili e variabili, nelle differenti persone e
nelle differenti culture. L'idea dell'io sorge assieme alla nozione del non-io, che gli è
esterno e non subalterno. Durante il suo sviluppo, l'io vedrà l'altro con timore e al
contempo fascino e, superata l'idea narcisista per la quale l'io si considera completo e
perfetto, c'è ancora da oltrepassare l'illusione che l'altro detenga la perfezione che l'io non
possiede, motivo al tempo stesso di seduzione e ripulsa.
Occorre riconoscere nell'altro la stessa frammentazione dell'io per conseguire il
dialogo tra soggetti; altrimenti si realizzerà un monologo, una relazione gerarchica, iniqua,
in cui l'altro è visto come un oggetto, dal quale l'io esige che si adatti a modelli stabiliti
dalla tradizione o dall'esperienza personale, positivi o negativi che siano, per inquadrarlo

61
Cfr. http://www.abralic.org/.
62
Mônica Kalil Pires ha pubblicato detti studi come dottoranda in Letteratura Comparata presso
l'Universidade Federal do Rio Grande do Sul. In seguito sono confluiti nella sua tesi di dottorato, dagli
orizzonti più ampi, intitolata A tradução cultural em romances históricos: análise comparativa entre
Léon, l’Africain, de Amin Maalouf, e A incrível e fascinante história do Capitão Mouro, de Georges
Bourdoukan, Porto Alegre 2009, che la Dott.ssa Mônica Kalil Pires mi ha gentilmente inviato.

40
in una proiezione di proprie aspettative: l'altro può essere un eroe o un mostro, in ogni
caso non gli è riconosciuto lo stesso status di persona che detiene l'io 63.
Se invece l'altro è visto come un soggetto, è riconosciuto come autore del suo
proprio discorso e di possibili differenti letture del mondo da parte dell'io con il quale è in
relazione.
Questi due tipi di relazioni interpersonali si riproducono in quelle interculturali, visto
che l'incontro tra culture è in primo luogo incontro tra persone.
Se la cultura dell'altro è vista come oggetto, la relazione è etnocentrica, una si
considera superiore all'altra e idealizza la propria identità come se fosse immutabile nel
tempo e nello spazio, da difendere contro gli invasori. La xenofobia di una società è
l'espansione di un terrore individuale, provocato dalla considerazione dell'altro come un
intruso da respingere.
Al contrario, se le differenze sono riconosciute come alternative possibili nella
soluzione di problemi specifici, la cultura altra è vista come soggetto, si stabilisce una
relazione alla pari con essa e la convivenza di varie verità è compresa come apportatrice
di ricchezza64.
Insomma, secondo Mônica Kalil Pires, i due romanzi citati, A incrível e
fascinante história do Capitão Mouro di Bourdoukan e Leone, l'africano65 di Maalouf,
rappresentano molto bene i sopra descritti due tipi relazioni interpersonali/interculturali.

63
Mônica Kalil Pires esemplifica l'archetipo di questo tipo di relazione tra l'io e l'altro nel mito greco di
Procuste, che viveva nella foresta e esigeva da quanti entrassero nel suo territorio che si sdraiassero sul
suo “letto-modello”: i troppo bassi o troppo alti erano da lui “ridimensionati” violentemente. Procuste è
insomma l'io che pretende dall'altro di conformarsi a lui e che concepisce l'alterità come un difetto
inaccettabile. D'altra parte, anche l'io “procustico” è vittima di questa sua chiusura rispetto all'altro, in quanto
esige da sé stesso la coerenza che pretende dall'altro. L'idea per lui è più forte della realtà, la proiezione
creata dall'uomo è più importante dell'uomo stesso. La creatura si sovrappone al creatore.
64
La Dott.ssa Kalil Pires, per questa premessa, si è servita soprattutto del testo di riferimento di
Tzvetan Todorov, A conquista da América: a questão do outro, São Paulo, Martins Fontes, 1988 [1ª ed.
orig. La conquête de l'Amerique. La question de l'autre, Seuil 1982; 1ª ed. it. La conquista
dell'America. Il problema dell'altro, Einaudi, 1984].
65
L'edizione brasiliana a cui la Kalil Pires fa riferimento è: Entre dois mundos: amores e aventuras
de Leão, o Africano, trad. André Camargo, Best Seller, São Paulo 1986. In Italia è stato pubblicato da
Bompiani nel 2002, nella traduzione di Laura Frausin Guarino, edizione peraltro esaurita. L'originale, Léon,
l'africain, fu pubblicato per la prima volta nel 1986 in francese per i tipi di Lattès, vincitore del prix de
l'Amitié franco-arabe nello stesso anno. Da notare che si tratta di uno dei testi segnalati nella bibliografia
del romanzo di Bourdoukan (cfr. nota 96).

41
Leone, l'africano è ambientato nel periodo tra il 1488 e il 1527 e racconta la storia di
Hasan ibn Muhammad al-Wazzan al-Fasi, nato a Granada/Gharnata nel 1485, cioè negli
ultimi anni del dominio musulmano in Andalusia, da dove la famiglia è obbligata a fuggire –
come quella di Saifudin66 – in Marocco in seguito alla definitiva realizzazione della
Reconquista da parte dei Reyes Católicos Isabela e Fernando.
Anche a Fez, del resto, la sua famiglia affronta vari problemi, causati perlopiù dal
dispotismo della classe al potere. Una volta adulto, è obbligato a due anni di esilio,
durante i quali vive avventure varie.
Al ritorno dal suo pellegrinaggio a La Mecca – lo hajj come momento di
cambiamento traumatico altro punto in comune con Saifudin – è catturato e condotto
come schiavo presso papa Leone X67, mecenate di Raffaello e Michelangelo. A Roma, è
invitato a scrivere un trattato sull'Africa, diventa professore di arabo presso la Curia e
collabora alla redazione di un dizionario. Ed è battezzato dal papa con il nome cristiano di
Giovanni Leone.
Morto Leone X, il successore Adriano VI68 inizialmente pare possedere quella
rettitudine che Hassan/Leone non riscontrava nei cardinali a lui noti, ma ben presto il
pontefice di origine olandese si rivela un fanatico persecutore di “eretici”, animato per
giunta da un rinnovato spirito crociato: fa rinchiudere Hassan/Leone in prigione, dove il
protagonista riabbraccia l'Islam e riprende il costume delle cinque preghiere quotidiane e
da dove è liberato solo da papa Clemente VII69.

66
La comune origine granadina di Hassan/Leone e Saifudin mi ha richiamato all'attenzione un altro
bel romanzo storico dello scrittore e uomo politico pakistano con passaporto britannico Tariq Ali, All'ombra
del melograno (trad. Luciana Pugliese, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2007 [ed. orig. Shadows of the
Pomegranate Tree, Chatto & Windus, London 1992]), dove è ricostruita la tragica storia della famiglia
aristocratica granadina dei Banu Hudayl, sterminata dalla furia persecutrice della Chiesa spagnola. Vi si
trova una citazione, non causale, del poeta arabo Al Ma'arri (973-1057), molto attuale: “I nostri predicatori
procedono a tentoni, i cristiani sono allo sbando, / gli ebrei sono straniti. I Magi hanno perso la
strada. / L'umanità è formata da due sole scuole. / Canaglie illuminate o religiosi pazzi”.
67
Leone X, al secolo Giovanni di Lorenzo de' Medici (Firenze, 11 dicembre 1475 – Roma, 1
dicembre 1521), fu il 217° papa della Chiesa cattolica dal 1513 alla sua morte.
68
Adriano VI, al secolo Adriaan Florenszoon Boeyens (Utrecht, 2 marzo 1459 – Roma, 14
settembre 1523), fu il 218° papa della Chiesa cattolica dal 9 gennaio 1522 alla morte. Fu l'ultimo papa non
italiano fino all'elezione di papa Giovanni Paolo II nel 1978.
69
Clemente VII, al secolo Giulio di Giuliano de' Medici (Firenze, 26 maggio 1478 – Roma, 25
settembre 1534), fu il 219° papa della Chiesa cattolica dal 1523 alla morte.

42
Quando Roma è invasa e saccheggiata dai lanzichenecchi protestanti e dall'altra
soldataglia di Carlo V nel 1527, Hassan/Leone è nuovamente obbligato a fuggire, a
ritornare in Marocco.
Mônica Kalil Pires, sia pure considerando che, come rileva Abdelmalek Sayad70,
ogni immigrante è, prima di tutto, un emigrante e la relazione che stabilisce con la società
d'accoglienza è intimamente legata con quella che aveva con la società che abbandona,
giunge comunque di fatto alla conclusione che il Saifudin di Bourdoukan è un esempio
della relazione reciproca tra culture che si vedono come oggetto, e si considerano l'una
superiore all'altra, mentre Hassan/Leone di Maalouf esemplifica la relazione tra soggetti.
Saifudin infatti svolgerebbe il ruolo di rappresentante esclusivo e acritico dell'Islam,
nel romanzo di Bourdoukan, e dà l'impressione che le sue qualità, rettitudine, coraggio,
intelligenza, disponibilità ad aiutare, siano proprie di tutti i musulmani. Hassan/Leone
invece è solo uno dei musulmani presentati nel romanzo di Maalouf, quali buoni quali
malvagi, onesti o corrotti, violenti o pacifici, come i cristiani che il protagonista conosce
quando vive tra loro, come loro.
Saifudin è un guerriero, non un commerciante/diplomatico come Hassan/Leone,
che accetta di negoziare, di perdere per conquistare, e fa del dialogo la sua arma nella
lotta per la sopravvivenza, invece il personaggio di Bourdoukan è la “spada di Dio”,
glorificato dalla lotta, pur se sconfitto.
Hassan, come detto, diventa Giovanni Leone nella società cristiana e infine
assume il nome di Youhanna al-Assad, il suo nome cristiano tradotto in arabo: un ibrido,
comunque un uomo nuovo che non è più il vecchio Hassan, musulmano marocchino di
origine granadina, né Giovanni Leone, il convertito membro della Curia papale, bensì la
fusione dei due uomini che era stato, sicuramente diverso da entrambi, forse ormai
inconciliabile con entrambi71.

70
Abdelmalek Sayad, A imigração ou os paradoxos da alteridade, prefazione di Pierre Bourdieu,
São Paulo, Edusp, 1998 [1ª ed. orig. L'immigration, ou les paradoxes de l'altérité, De Boeck Université,
1992; 1ª ed. it. L'immigrazione o i paradossi dell'alterità. L'illusione del provvisorio, trad. S. Ottaviani,
Ombre Corte, Verona 2008]. Abdelmalek Sayad (1933-1998), sociologo francese di origine algerina-cabila,
è stato direttore di ricerca presso il Cnrs e all'École des hautes études en sciences sociales. Ha dedicato
numerosi lavori ai problemi dell'immigrazione, tra cui, pure pubblicata in Italia, la raccolta di saggi La doppia
assenza. Dalle illusioni dell'emigrato alle sofferenze dell'immigrato (Raffaello Cortina, 2002).
71
Il nuovo Youhanna al-Assad che era stato Hassan e Leone l'Africano, ricorda molto il
personaggio di Samba Diallo, descritto dallo scrittore senegalese Cheikh Hamidou Kane nel suo romanzo,
ormai un classico delle letterature africane, L'aventure ambiguë (1ª ed. orig. Paris, Julliard, 1961; 1ª ed. it.
Jaca Book, 1979). Il protagonista, rampollo di una famiglia nobile diallobé e quindi educato rigidamente in

43
Dal canto suo Saifudin non rimane per molto Inocencio de Toledo72, afferma
apertamente e spavaldamente la sua personalità immutabile e, semmai, diventa il
Capitan Moro, un'esaltazione della sua alterità musulmana nel contrasto con la società
cristiana del Brasile colonialista e schiavista. È anzi lui a convertire lo schiavo Pedro in
Bilal, in omaggio al primo muezzin dell'Islam.
Hassan riconosce che i cristiani con cui convive, più che generici Rum, uno dei
nomi arabi a designare gli occidentali, sono esseri complessi, con difetti, ma anche qualità.
Il suo soggiorno a Roma non è un esilio, perché lui adotta la città come sua, senza sentirsi
per questo sminuito nella sua personalità.
Saifudin invece nel Brasile schiavista-colonialista-cristiano alimenta a distanza il
mito di un Islam unico, eterno e puro. La da lui supposta “purezza” dei musulmani
corrisponde reciprocamente alla corruzione dei cristiani, che, come visto nella sinossi, a
parte poche eccezioni, sono descritti come antropofagi, depravati, sporchi, sadici,
ignoranti, ecc., più o meno gli stessi caratteri attribuiti oggi (ma anche in passato) ai
musulmani da parte dei cristiani intolleranti. Solo tra i quilombolas Saifudin trova amore
– anche quello di una compagna –, solidarietà, uguaglianza, valori umani elevati. Il
quilombo di Palmares è idealizzato come il paradiso terrestre che, secondo
Bourdoukan, ma anche tanti altri intellettuali brasiliani, il Brasile sarebbe se non fosse
stato forgiato dalla violenza e dall'ingiustizia della società colonialista-schiavista-cristiana.
Mônica Kalil Pires, per questo, “rimprovera” a Bourdoukan il presunto fatto di
“occultare informazioni che dimostrerebbero la complessità della situazione dei neri in
Brasile. La storia registra – ruba la formula a Bourdoukan – che nella guerra di Palmares

una scuola coranica, emigra in Francia, dove studia giurisprudenza e cerca di adattarsi ai costumi locali,
soffocando i propri, ma rimane con un vuoto interiore, che non riuscirà a colmare nemmeno quando tornerà
in Senegal, dove continuerà a sentirsi un disadattato. Altri personaggi letterari simili che io conosca sono,
per esempio, l'amico di Ungaretti Mohammed Sceab della poesia In memoria, che volle essere Marcel e
morì suicida a Parigi per una motivazione semplice quanto atroce: “non aveva più patria”. Poi il più recente
protagonista di The Peruvian Notebooks, dello scrittore peruviano radicato negli USA Braulio Muñoz
[Tucson 2006; ed. it. Quaderni Peruviani, trad. Claudia Menichella, Gorée, 2009]. Il peruviano Antonio
Alday Gutiérrez, immigrato negli USA, cerca di eliminare il suo passato e di diventare l'americano Anthony
Allday, pertanto s'inventa due vite parallele: per la famiglia è un imprenditore di successo, per gli amici
statunitensi è un ragazzo di buona famiglia emigrato dal Perù in cerca di fortuna. L'esito di questo tentativo
sarà drammatico. La differenza sostanziale tra Youhanna al-Assad e questi suoi simili più recenti, sarebbe
che il protagonista del romanzo di Maalouf, tutto sommato, dovrebbe essere un esempio positivo di riuscito
relativismo culturale. Ma rimangono molti dubbi. La stessa Mônica Kalil Pires rileva come alla fine per i
cristiani lui è l'Africano, tra i musulmani è il Rum.
72
Cfr. nota 29.

44
i bandeirantes contavano con l'appoggio significativo – per non dire decisivo – di uno
squadrone di neri liberi, che si alleò con gli schiavisti per conseguire vantaggi personali” 73.
Ma la ricercatrice brasiliana, il cui primo cognome, quello materno, rivela peraltro
origini libanesi74 come per Bourdoukan, occulta a sua volta il fatto che nel Capitão
Mouro questa circostanza è ricordata eccome, allorché Bourdoukan cita i tentativi di
distruggere Palmares da parte del comandante Fernão Carrilho75, nel 1687, supportato
dai soldati del terço di Henrique Dias76 e Filipe Camarão77. E, come rileva lo stesso
Bourdoukan nel romanzo: “Henrique Dias era negro e Filipe Camarão indio”. Inoltre
Bourdoukan esemplifica i negri “cattivi”, i traditori dalla parte degli schiavisti in almeno
due personaggi, il nero con un grosso crocifisso al collo che fa da interprete per gli
schiavisti che razziano il villaggio africano nell'unico capitolo della seconda parte intitolata

73
La Dott.sa Mônica Kalil Pires supporta questa sua “accusa” con il seguente articolo: GEHSCAL –
Grupo de Estudos História Sócio-Cultural da América Latina – FFPNM/UPE (Juliana Brainer Barroso
Neves, Márcia Nunes Faria de Souza, Mirian da Silva de Jesus, Kalina Vanderlei Silva), Tipos Sociais
na Conquista do Sertão das Capitanias do Norte do Estado do Brasil, Séculos XVII e XVIII, Revista
Mneme - ISSN 1518-3394 v.5 - n.12 – out./nov.2004.
74
Mônica Kalil Pires, anche nella sua tesi, ha messo in rilievo le sue origini libanesi-tedesche e
portoghesi. Nell'introduzione alla stessa ha raccontato il seguente aneddoto che ha vissuto in prima persona
durante un soggiorno di studio in Germania: “Una volta, ho ascoltato da una cortese signora tedesca la
seguente affermazione, che sintetizzava il pensiero di molti suoi concittadini: “tra tutti i turchi, i libanesi
sono i peggiori in assoluto. È quella gente che porta le droghe qui in Germania”. Frau Eisenblätter
non sapeva (né mai seppe) che la sua ospite era nipote di un immigrato libanese in Brasile – uno dei tanti
Jorge, Miguel, Salim – che si è dedicato alla vendita ambulante nell'interno del Paese e, sposandosi con
una tedesca, ha contribuito a costruire e popolare il suo nuovo Paese. Quella frase tanto piena di
pregiudizio, pronunciata da una signora così adorabile – davvero adorabile – fu l'inizio del mio interesse per
il mondo arabo-musulmano e conseguentemente l'inizio della tesi che ora presento”.
75
Fernão Carrilho fu un importante sertanista, cioè esploratore del sertão, l'interno del territorio
brasiliano, nonché governatore della capitania di Maranhão nel biennio 1701-2.
76
Henrique Dias, figlio di schiavi africani liberti, fu un celebre mestre-de-campo portoghese,
distintosi in particolare nelle guerre contro la Compagnia olandese delle Indie Occidentali che aveva
occupato il nordest del Brasile tra il 1624 e il 1654, approfittando del fatto che il Portogallo era diventato
territorio della corona di Spagna tra il 1580 e il 1640. Fu onorato con i titoli di Fidalgo e di Cavaliere
dell'Ordine di Cristo, tra gli altri.
77
Antônio Filipe Camarão, nativo della tribù dei Potiguar del nordest del Brasile, si distinse pure lui
nelle guerre contro gli Olandesi, al punto di essere premiato con il titolo di Dom, di Cavaliere dell'Ordine di
Cristo e di Capitão-Mor de Todos os índios do Brasil, tra gli altri.

45
Bilad As-Sudan (África), nonché il soprastante nero di João Paim, il fazendeiro padre di
Maria, l'amata/amante bianca di Zumbi78.
Insomma, per quanto nel Capitão Mouro prevalga senz'altro il carattere, in bianco
e nero, che Mônica Kalil Pires ha individuato nel suo primo studio, la ricostruzione di
Bourdoukan appare sicuramente molto più complessa e attinente alla storia 79.
Peraltro, come mi ha detto Bourdoukan stesso durante un'intervista via email, "la
storia racconta" quello che lui riporta, a suggellare l'etichetta di romanzo storico che lui
rivendica per il suo Capitão Mouro, d'altra parte nemmeno rifiuta il proposito che io ho
78
La ricercatrice brasiliana, in un'email di risposta a una mia in cui le ho posto la sopra citata
questione, mi ha replicato con le seguenti parole: “Quanto alla presenza di personaggi che rappresentano gli
indios e i neri "malvagi", penso che tutto dipenda dal peso che detti personaggi hanno nel contesto
narrativo. Cioè qualcosa di molto difficile da quantificare, ma che il lettore sente (la famosa equipollenza
delle voci della polifonia della quale parla Bakhtin). È come dire che una regola ha le sue eccezioni. Ma la
regola è stabilita, nonostante si faccia una lista di eccezioni. D'altro lato, capisco bene perché Bourdoukan
ha fatto ciò. Il pregiudizio in relazione agli Arabi è tale, esiste tanta ignoranza in campo storico, tanta
manipolazione di informazioni, che quando qualcuno ha la possibilità di presentare un'altra verità, sfoga la
volontà di usare tutto lo spazio possibile per mostrare tutti gli aspetti positivi di questa cultura. Ho dedicato il
mio dottorato al Capitão Mouro perché me ne sono appassionata durante la lettura. Penso che il testo sia
molto felice dal punto di vista letterario. Siccome la mia prospettiva, del resto, era quella della cultura della
pace (impostazione molto evidente nella tesi), anche i miei commenti sono stati parziali”. Da notare, a
proposito di pregiudizio nei confronti degli Arabi, che Bourdoukan ha pubblicato il suo romanzo ben 4 anni
prima dell'attentato alle Twin Towers, dopo il quale detto pregiudizio, come è noto, è aumentato, così come è
aumentata la rigidità anche da parte musulmana, conseguentemente.
79
Il carattere “in bianco e nero” del romanzo di Bourdoukan, rispetto a quello di Maalouf, ricorda
molto quello del romanzo best-seller The Last Kabbalist of Lisbon (Overlook, New York 1996; ed. it. Il
cabalista di Lisbona, Mondadori, Milano 1997) dello scrittore statunitense ebreo naturalizzato portoghese
Richard Zimler, che vive a Porto dove è professore di Giornalismo alla locale università. Anche nel romanzo
di Zimler, peraltro primo di un ciclo sefardita che conta anche i successivi Hunting Midnight, Guardian of
the Dawn e The Seventh Gate (rispettivamente pubblicati nel 2003, 2005 e 2007), la società portoghese
cristiana degli inizi del XVI secolo, durante il regno di Manuel I, è descritta come violenta, sudicia, immorale,
soffocata dall'ignoranza e dal pregiudizio, condizioni di partenza ovvie rispetto all'olocausto di cui sono
vittime gli ebrei di Lisbona nel 1506. Anche Zimler, come Bourdoukan, ricostruisce un'alleanza, dettata
dalla comune necessità di difendersi dalle persecuzioni cristiane, tra ebrei e musulmani, emblematizzata
dalla collaborazione tra il protagonista Berekiah Zarco – il cui nome cristiano era Pedro – e l'amico
musulmano Farid, muto e per giunta omosessuale (a sottolineare i punti in comune con il romanzo di
Bourdoukan), che insieme risolvono il caso dell'omicidio dello zio di Berekiah, il rinomato cabalista
Abraham, che alla fine risulterà assassinato da un altro ebreo, ma sempre in un contesto di persecuzioni
cristiane – l'omicida, che aveva tradito altri ebrei per salvarsi la vita, uccide Abraham che l'aveva
riconosciuto. Il finale del romanzo di Zimler, pur nella rigorosa ricostruzione storica, è addirittura pura
propaganda in quanto inneggia all'emigrazione di tutti gli ebrei di Sefarad a Istanbul, dove Berekiah stesso

46
definito "epico", il quale cioè ha molto a che vedere con una volontà revisionista della
storia del Brasile, per non dire di tutto il “Nuovo Mondo”, la quale negli ultimi anni sta
tentando di valorizzare per esempio il contributo delle popolazioni di origine africana e
nativa nella cultura e nei valori dei popoli americani. Il già descritto accostamento a
Galeano si sposa benissimo anche con tale proposito.
Mônica Kalil Pires conclude infine questo suo primo studio rilevando come i
romanzi studiati abbiano comunque presentato l'Islam all'Occidente al di là del
preconcetto. “La differenza principale tra i due – insiste la ricercatrice brasiliana – è che
uno enfatizza la superiorità storica di una cultura sull'altra, mentre l'altro si concentra
sull'esperienza umana e prova che entrambi i lati hanno qualcosa da apprendere e
qualcosa con cui contribuire. Bourdoukan idealizza amici e nemici e facendo ciò rende
l'identità del protagonista e quella degli altri qualcosa di fisso e immutabile; Maalouf dà a
musulmani e cristiani lo status di soggetti, illustrandoli come esseri complessi, e così
promuove il dialogo interculturale”.
Nel suo secondo studio ritorna sull'argomento, ma con lo scopo di contraddire “lo
scontro di civiltà” prospettato da Samuel Phillips Huntington80, “che percepisce il mondo
diviso e statico”, supportata dal concetto di traduzione culturale, che, secondo la Kalil
Pires, aiuta a comprendere come le civiltà e le culture siano discorsi in movimento che
s'intrecciano costantemente.
Mônica Kalil Pires, dopo aver messo in rilievo come il concetto di traduzione
culturale sia oggetto di studio soprattutto dell'area di Letteratura Comparata e dei Cultural
Studies, sostiene che “pensare la traduzione è pensare l'incontro di culture”.
Quindi si sofferma appunto sul concetto di cultura, per il quale chiama in causa lo
storico britannico Peter Burke81, di cui condivide il “senso ragionevolmente ampio” che
applica a detto termine, “in modo da includere comportamenti, mentalità e valori e le loro
espressioni, concretizzazioni o simbolizzazioni in artefatti, pratiche e rappresentazioni”.

finisce per rifugiarsi, e alla rifondazione dello stato di Israele in contrasto alle vessazioni cristiane!
80
Samuel Phillips Huntington (New York, 18 aprile 1927 – Martha's Vineyard, 24 dicembre 2008) è
stato un importante politologo statunitense, celebre proprio per la tesi delle civiltà che tendono a sostituire gli
Stati-nazione, esposta appunto in una delle sue opere più lette e discusse, The Clash of Civilizations and
the Remaking of World Order, Simon and Schuster, New York 1996 [ed. it. Lo scontro delle civiltà e il
nuovo ordine mondiale, Garzanti, 2000].
81
Peter Burke, Hibridismo cultural, Editora da UNISINOS, São Leopoldo 2003; curiosamente,
quella brasiliana è l'edizione originale [eng. ed. Cultural Hybridity, Polity, 2009; ed. it. Ibridismo, scambio,
traduzione culturale. Riflessioni sulla globalizzazione della cultura in una prospettiva storica, QuiEdit,
Verona 2009].

47
La Kalil Pires, in sintesi, sostiene che alcuni degli elementi che compongono la
cultura sono la religione, l'arte e la maniera di vestire, mangiare o lavorare, tutte soluzioni
che i popoli hanno elaborato nel tempo per risolvere problemi specifici, quali l'abbondanza
o la carenza di acqua, la disputa del territorio con altri popoli, ecc. In tal senso, nessuna
cultura può essere considerata inferiore o superiore all'altra, perché ognuna è un sistema
sviluppatosi a partire dalla realtà nella quale è inserita.
D'altra parte, la cultura unisce chi vi si riconosce, nonostante tutte le differenze,
sociali, economiche, sessuali, religiose, ecc., e ha la tendenza a creare opposizione con
altri gruppi culturali, presentati come essenzialmente differenti, laddove la supposta
differenza è riscontrabile meno negli aspetti concreti – visto che ogni popolo è un
amalgama di varie origini – più in quelli teorici.
L'altro, a margine dell'identità culturale costruita dalla teoria dell'io, stabilisce con il
nucleo identitario una relazione di tensione e scambio costante, pertanto la cultura si trova
naturalmente sempre in movimento, nonostante la volontà di fissarla soprattutto da parte
di determinati gruppi per il proprio interesse.
Ora, la teoria si costruisce tramite la lingua, giustamente uno degli elementi più
marcanti della cultura. La lingua non solo fa parte di un'eredità trasmessa di generazione
in generazione, ma, nella misura in cui veicola valori e giudizi di valore, è capace di
orientare il modo di vedere i fatti a chi la parla, in quanto generatrice di realtà. Depositaria
del passato e gestante del futuro, la lingua è lo strumento, sia pure confuso e incompleto,
che i popoli usano per comunicare. Onore e disonore, violenza e pace, codardia e
coraggio, bellezza e bruttezza, lealtà e tradimento sono alcune delle parole che nelle varie
lingue danno forma al loro significato, che però varia di cultura in cultura e di epoca in
epoca. Se un popolo per esempio è colonizzato, ha una nozione di umanità diversa
rispetto al colonizzatore.
Nel momento in cui il contatto tra differenti culture è costante, la comunicazione tra
loro è necessaria in funzione del loro rinnovamento e della loro sopravvivenza, ma ciò non
si realizza senza problemi: è fondamentale che la lingua traduca non solo fatti e
informazioni, ma anche la mentalità e i valori propri della cultura altra. Il traduttore/
mediatore deve dominare con equilibrio tanto la lingua quanto la cultura dei popoli coinvolti
nella traduzione, altrimenti quest'ultima sarà inevitabilmente compromessa.
Per esempio, per introdurre un'idea in un contesto totalmente diverso dall'originale,
il traduttore si avvale spesso della strategia di usare concetti familiari alla cultura di
ricezione, ma il rischio che si corre facendo ciò, invece di aiutare a comprendere la

48
diversità dei sistemi, è che la cultura tradotta sia giudicata sulla base dei valori della
cultura di ricezione e questo porta inevitabilmente a una “esotizzazione” e inferiorizzazione
dell'altro.
La traduzione culturale, insomma, per quanto necessaria, è sempre incompleta: è di
fatto impossibile tradurre completamente i contesti storici, linguistici e religiosi di un'altra
cultura, tradurre è inevitabilmente frammentare e selezionare. Per ciò, continua Mônica
Kalil Pires parafrasando Tânia Carvalhal82, si può solo dire che la traduzione culturale sia
una delle letture possibili di una cultura, mai l'unica, quella definitiva.
Tradurre, pertanto, è già credere nella possibilità di ibridismi, non nella purezza
essenziale, incomunicabile. È credere che la conoscenza dell'altro, per quanto parziale,
aiuti a rivedere la cultura di ricezione, che non è un tutto chiuso in sé stesso, ma materia in
continua costruzione.
E per quanto il traduttore/mediatore sia subordinato, oltre che al destinatario, al
testo e alla cultura di origine, che devono essere preservati a prescindere dal suo
pensiero, sempre, tuttavia, vi aggiunge anche la propria soggettività, già nel selezionare
parole e informazioni.
La traduzione introduce un'informazione nuova in un'altra cultura; a cui ne spiega
una diversa, divulgando una conoscenza che prima era propria di un'élite detentrice dei
due codici di riferimento. Modifica il sapere e fertilizza la conoscenza, grazie al confronto
di idee delle due culture, in quanto il contatto con il diverso orienta la creatività verso
direzioni altre, che non appartengono né alla cultura di origine, né a quella di ricezione.
Se la traduzione letteraria, infine, non è una versione inferiore all'originale (antico
pregiudizio), ma possiede la propria originalità, anche nella traduzione culturale si crea un
nuovo spazio culturale, non totalmente fedele alla cultura di origine, né totalmente
dominato dalla cultura di ricezione.
E per creare detto spazio è necessario il desiderio di comunicazione, che renda
possibile l'incontro con l'altro.
Stabilita questa premessa molto determinata, Mônica Kalil Pires si orienta nello
specifico ad approfondire l'incontro tra l'Occidente e l'Oriente arabo, quello descritto nei
due romanzi presi in esame.

82
Tânia Carvalhal, O próprio e o alheio: ensaios de literatura comparada, São Leopoldo, RS:
Editora da UNISINOS, 2003. Tânia Franco Carvalhal (1943-2006) è stata un'importante critica letteraria
brasiliana, docente di Teoria Letteraria e Letteratura Comparata della Universidade Federal do Rio Grande
do Sul (UFRGS) e della Pontifícia Universidade Católica do Rio Grande do Sul (PUC-RS), Porto Alegre.

49
Immancabilmente, la ricercatrice brasiliana si rifà all'autorità di Edward W. Said,
autore, tra gli altri studi, del già classico Orientalismo: l'Oriente come invenzione
dell'Occidente83, scritto alla fine degli anni '70 e diventato opera basilare per i Cultural
Studies.
Posto che l'incontro di civiltà è anche – e forse soprattutto – l'incontro di comunità
che “si immaginano” e “sono immaginate” 84, che esista una sorta di gioco di specchi nel
quale una comunità proietta nell'altra aspetti che vuole nascondere in sé stessa, Said,
nell'opera citata, mostra come esista, appunto, un Oriente elaborato dall'Occidente
finalizzato a sottometterlo e a giustificare la sua sottomissione. Tale “mito” si è affermato
non solo nei testi dei politici, ma anche di un'enorme massa di scrittori vari: poeti,
romanzieri, filosofi, economisti, amministratori, che nel tempo hanno consolidato una
concezione astratta e ideologica basata su una distinzione ontologica e epistemologica tra
Oriente e Occidente, come se fossero entità stagnanti e impenetrabili, punto di partenza
appunto per teorie elaborate, poemi epici, romanzi, descrizioni sociali e rapporti politici
riguardo in particolare all'Oriente, ai suoi popoli, ai suoi costumi, ecc. 85
E siccome, in tal senso, la differenza tra Occidente e Oriente non è un fatto
geografico, ma piuttosto una costruzione culturale, le due entità, in tal modo, si
sostengono e, in una certa misura, si riflettono l'una con l'altra. L'occidentale che scriva
sull'Oriente si localizza rispetto all'Oriente stesso e, nel suo testo, adotta una determinata
voce narrativa, costruisce un tipo di struttura, inserisce certe immagini, certi temi, motivi,

83
La versione brasiliana citata dalla Kalil Pires è Orientalismo: o Oriente como invenção do
Ocidente, trad. Tomás Rosa Bueno, Companhia das Letras, São Paulo 2001 [ed. orig. Orientalism,
Pantheon Books, New York 1978; I ed. it. Orientalismo, trad. Stefano Galli, Bollati Boringhieri, Torino
1991].
84
Cfr. al riguardo un altro importante riferimento bibliografico della Kalil Pires: Benedict Anderson,
Comunidades imaginadas, Companhia das Letras, São Paulo 2008 [ed. orig. Imagined Communities:
Reflections on the Origin and Spread of Nationalism, Verso, London 1983, rev. ed. 1991; ed. it.
Comunità immaginate. Origine e diffusione dei nazionalismi, prefazione di Marco d'Eramo, Manifesto
Libri, Roma 1996].
85
Mi sono occupato di costruzione dell'Oriente da parte dell'Occidente nella tesi conclusiva per il
Master Universitario di I livello in “Oriente e Occidente nell’antichità: storia, archeologia, tradizione
letteraria”, intitolata L’origine del contrasto Oriente vs Occidente nel pensiero preellenistico e da me
presentata alla commissione il 25 0ttobre del 2007. In essa ho messo in evidenza, tra l'altro, come molti “miti
orientalisti” costruiti dai Greci di età preellenista in relazione agli “orientali” Persiani siano usati ancora oggi in
opere cinematografiche quali per esempio il film 300, pubblicato nella primavera dello stesso 2007, da molti
accusato di essere una vera e propria epopea propagandista antiiraniana e antiorientale (e antimusulmana)
in genere sotto mentite spoglie. E a ragione.

50
tutto ciò richiamandosi a modi deliberati di padroneggiare l'Oriente, di rappresentarlo e di
parlare in sua vece.
Gli “orientalisti”, per Said, sono insomma occidentali che parlano degli orientali e in
vece loro, laddove più spesso in realtà parlano di sé stessi, esprimendo paure e desideri
dell'io occidentale rispetto all'Oriente.
Invece, incalza Mônica Kalil Pires, la traduzione culturale, nell'ammettere la
diversità e nel creare sia pure imperfetti ponti tra le culture, è elemento fondamentale per
la costruzione di una struttura comune che renda possibili relazioni dialettiche tra popoli e
persone, intesi come soggetti, come chiarito nel primo studio descritto della ricercatrice
brasiliana. Non ammette l'”orientalista” che studia l'oggetto Oriente!
L'opposto della traduzione culturale, per lei, è ovviamente lo “scontro di civiltà” di
Huntington, che si basa sull'idea di un'impossibilità di dialogo tra Occidente e Oriente. La
Mônica Kalil Pires definisce senza mezzi termini quella del politologo statunitense una
teoria essenzialista, xenofoba e determinista dalla parvenza scientifica.
In The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order, Huntington
sostiene che “Le frontiere dell'Islam sono sanguinose, come anche lo sono le sue viscere
e la causa di questa situazione la si troverebbe nella storia, nella demografia e nella
politica dei paesi di popolazione musulmana”.
La tesi di Huntington, in generale, suggerisce che i musulmani, a meno che non
rinuncino alla loro fede e alla loro storia – che non cessino cioè di essere quello che sono 86
– non possano convivere pacificamente con l'Occidente. In altre parole, l'unica soluzione
per la pace è l'eliminazione dell'altro!
Mônica Kalil Pires allora si richiama all'idea di tolleranza reciproca tra le culture del
celebre filosofo francese Paul Ricoeur87 (1913-2005), secondo cui la simpatia per idee
che in principio non sono proprie della cultura di appartenenza dà luogo alla supposizione
che una parte della verità possa trovarsi altrove e non nelle convinzioni che danno
fondamento alle tradizioni a cui si è stati educati. Che possa cioè esistere una verità fuori
dal mito dell'io. Si tratta di una supposizione che se rivolta contro le proprie convinzioni;
secondo Ricoeur, esige una sorta di ascetismo intellettuale, sempre doloroso, da parte di
chi voglia cercare l'equilibrio tra la critica e la convinzione.

86
Quello rappresentato da Huntington, se raffrontiamo il secondo studio al primo della ricercatrice
brasiliana, sarebbe quindi un io “procustico”, cfr. nota 63.
87
Il riferimento è tratto da Paul Ricoeur, “Etapa atual do pensamento sobre a intolerância”, In Per
Ahlmark et alii, Foro Internacional sobre a Intolerância, Academia Universal das Culturas, Bertrand
Brasil, Rio de Janeiro 2000.

51
Ma comprendere la molteplicità del concetto di verità è una tappa della costruzione
del dialogo e della tolleranza. E l'Arte e in particolare la Letteratura – le maiuscole sono
della Mônica Kalil Pires – contribuiscono a questo processo di disarmo delle mentalità –
espressione impiegata dall'ONU, precisa la Kalil Pires – nella misura in cui relativizzano
certezze e presentano nuove realtà, rinnovando l'immaginario del lettore e il suo universo
di saperi.
Elaborata questa impostazione di base, Mônica Kalil Pires passa quindi alla vera e
propria analisi dei romanzi di Bourdoukan e Maalouf, a partire dalla ricerca nelle loro
opere della traduzione culturale.
In due culture che convivono intimamente, sostiene la ricercatrice brasiliana, è
comune la demonizzazione dell'altro, spesso rappresentato come il responsabile di tutti i
problemi della società.
Il Libano, paese d'origine dei due autori presi in esame – e, come precisato, anche
della famiglia materna della Kalil Pires stessa – riconosce 18 religioni o confessioni
religiose ufficiali e si organizza politicamente a partire da queste. E, come è tristemente
noto, ha sofferto una guerra civile, il cui pretesto è stato proprio quello delle divisioni
religiose, durata 15 anni e conclusasi formalmente nel 1990, che periodicamente minaccia
tuttavia di riaccendersi88.
Mônica Kalil Pires considera molto significativo che Amin Maalouf e Georges
Bourdoukan, per giunta entrambi giornalisti che lavorano per il dialogo tra Occidente e
Oriente, siano originari di questo paese. Maalouf radicato in Francia e già gratificato da
vari premi tra cui il Goncourt. Bourdoukan, come ampiamente descritto, radicato in
Brasile, dove questo suo primo romanzo ha conosciuto un successo di pubblico e di critica
enorme al punto che è stato usato come scenografia da parte della Scuola di samba
Paraíso do Tuiutí per il carnevale del millennio a Rio de Janeiro nel 2001 –
riconoscimento importantissimo per un brasiliano! – ed è stato adottato in tutte le

88
In un'email ho fatto notare a Bourdoukan che i Libanesi cristiani, come lui stesso per eredità
familiare, che ho conosciuto personalmente in Brasile o in Nigeria, dove pure c'è una folta comunità
libanese, in genere dicono che non sono di origine araba, in contrasto ai concittadini musulmani, bensì
fenicia. Bourdoukan mi ha risposto così: “Hai ragione, molti Libanesi cristiani si considerano Fenici, ma
questo, naturalmente, per ignoranza. Visto che anche i Libanesi musulmani lo sarebbero senz'altro, così
come gli Iracheni si possono considerare Mesopotamici, Sumeri, Babilonesi e via dicendo. Degli Egizi allora
nemmeno a parlarne, o dei Siriani, dei Giordani, dei Palestinesi, ecc., ecc. Non ci si deve dimenticare che
l'islamismo, così come il cristianesimo e il giudaismo, non sono razze, ma religioni. Prima dell'invasione della
Palestina da parte degli euro-sionisti, i matrimoni tra musulmani palestinesi e ebree palestinesi erano
comuni”.

52
biblioteche pubbliche del paese, in quanto riconosciuto di valore culturale d'importanza
nazionale dal FNDE (Fundo Nacional de Desenvolvimento da Educação)89.
Secondo la Mônica Kalil Pires, in particolare, in Leone, l'Africano di Maalouf e in
A incrível e fascinante storia do Capitão Mouro di Georges Bourdoukan, è possibile
percepire una strategia comune di traduzione culturale, cioè la valorizzazione dell'oralità
araba – che, come abbiamo visto, è ancora più evidente nel Vozes do Deserto, per
quanto riguarda Bourdoukan.
Sia pure correndo il rischio di un troppo facile riduzionismo filosofico, visto che la
cultura musulmana, come del resto quella giudaico-cristiana, abbraccia un numero
molteplice di società con storie distinte, secondo la Kalil Pires è possibile dire che la
traduzione realizzata nei due romanzi coinvolge da un lato una cultura teocentrica e orale,
dall'altro una logocentrica e scritta.
E la ricercatrice brasiliana si richiama all'antropologo statunitense – e gesuita –
Walter J. Ong90(1912-2003) che sosteneva appunto come molte culture moderne che
conoscono e usano la scrittura da secoli, ma mai l'hanno interiorizzata completamente,
come la cultura araba e altre culture mediterranee, tuttora dipendano molto dal pensiero e
dalle espressione formulari tipiche dell'oralità.
E nonostante l'innegabile valore della letteratura scritta in lingua araba, le società
musulmane in genere, come enfatizza anche Bourdoukan, danno al sapere orale una
importanza ben maggiore rispetto a quella che gli danno le società occidentali.
Questo sapere, che si concretizza in forma di proverbi e parabole, fa parte –
continua la Kalil Pires – di ciò che Jean Lauand91 chiama educazione invisibile, che
perpetua una forma di pensare e veicola valori in modo sottile, laddove non sono esplicitati
obiettivi o metodi impiegati.
Lauand spiega che tale educazione invisibile è garantita nelle società arabe
dall'uso del mathal, parola che in arabo riunisce le idee di parabola, lezione, proverbio,

89
Cfr. infra l'accenno al riconoscimento del vescovo D. Luiz Cappio e del giornalista e scrittore
brasiliano Ricardo Soares.
90
Walter J. Ong, Oralidade e cultura escrita: a tecnologização da palavra, trad. Enid Abreu
Dobranszky, Papirus, Campinas, SP 1998 [ed. orig. Orality and Literacy: The Technologizing of the
Word, Methuen, London 1982; ed. it. Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, a c. Rosamaria
Loretelli, trad. Alessandra Calanchi, Il Mulino, Bologna 1986].
91
Luiz Jean Lauand, Os Amthal na Cultura Árabe, in Revista Collatio, anno III No. 5, 2000
(http://www.hottopos.com.br/collat5/). Luiz Jean Lauand è titolare della cattedra di Filosofia e Storia
dell'Educazione all'Università di São Paulo, Professor Investigador dell'Instituto Jurídico Interdisciplinar
dell'Università di Porto, Preside dell'CEMOrOc (Centro de Estudos Medievais-Oriente e Ocidente) dell'USP.

53
comparazione, esempio, motto, ecc., insomma possiede molteplici livelli di interpretazione
e grazie a tale carattere mantiene la sua atemporalità e la sua universalità. È una sorta di
baluardo rispetto alla cultura logocentrica occidentale e si avvale dell'educazione allo
sguardo, che insegna a percepire elementi che non sarebbero notati se il mathal non ne
richiamasse l'attenzione e pertanto facilita l'apertura verso l'altro. Secondo Lauand, è un
vero e proprio archivio di valori morali e, nella costante ripetizione mnemonica, è
caratterizzato dall'uso di umorismo, associazioni insolite, ritmo e rima.
Per la millenaria sapienza orientale, insiste Lauand, gli amthal (plurale di mathal)
sono la perfetta traduzione in termini pedagogici e di comunicazione del sistema lingua/
pensiero semita, da cui ricava le sue caratteristiche: il riferimento all'immagine concreta e
il ricorso all'esperienza, al passato. Se per l'occidentale in genere una discussione si
conclude quando si giunge a un argomento logico astratto; per l'orientale, al contrario,
prevale l'immagine.
Tanto nell'opera di Maalouf quanto in quella di Bourdoukan, sono vari gli esempi
di mathal che la Kalil Pires riporta.
Maalouf, per esempio, nel suo romanzo usa il seguente mathal, “la ricchezza,
fratelli, non si misura dalle cose che possediamo, bensì da quelle a cui riusciamo a
rinunciare”, che richiama da vicino a un mathal usato da Bourdoukan: “è impossibile
possedere dei beni ed essere libero allo stesso tempo”, che richiama a sua volta una
citazione usata sempre da Bourdoukan di un detto del califfo Ali Ibn Abu Talib –
considerato iniziatore della shī'at 'Alī, o sciismo – “non c'è ricchezza comparabile alla
ragione, né povertà che sia uguale all'ignoranza”.
Tanto per usare, specie in riferimento al romanzo di Bourdoukan, gli esempi che in
particolare, tratti dalla cultura araba musulmana, stonano volutamente con l'avidità di
ricchezze e la cupidigia senza scrupoli tipiche della cultura colonialista-schiavista-cristiana
e che Bourdoukan, infatti, enfatizza volutamente.
Questi proverbi, continua la Kalil Pires, fanno riferimento a un io atemporale e
universale, valido in differenti società e epoche. Per questo motivo possono essere
considerati un vero e proprio anello di congiunzione tra differenti culture.
D'altra parte, si basano sulla storia della società che li rende tali, traducendo molto
del suo modo di agire e pensare.
In tal senso, Bourdoukan, in chiaro contrasto con gli amthal del Capitan Moro, fa
pronunciare certi proverbi e aforismi ai cristiani brasiliani con i quali l'autore riesce a

54
criticare salacemente la società che li ha generati, la società colonialista-schiavista-
cristiana portoghese-brasiliana.
Per esempio, in relazione ai costumi sessuali dell'epoca, allorché racconta che un
senhor de engenho aveva confessato che aveva posseduto sessualmente dei bambini
schiavi, “due minori di dieci anni”, aggiungendo che “la storia registra che ciò era ordinario
e che molte volte la giustificazione era che in Portogallo si diceva che non c'è gallina che
non ponga uova, né schiavo che non sia utile per commettere sodomia”.
In un altro caso si riferisce alle donne di corte che “cambiano più i letti che le
lenzuola”.
Altra particolarità del linguaggio orale è l'espressione formulare, il cui scopo
primario è quello di creare strutture che facilitino la memorizzazione dei fatti e la loro
ripetizione e tradizione, e che si manifesta in forme diverse nei testi narrativi.
Nel romanzo di Bourdoukan, per esempio, non sono poche le formule che si
ripetono nel corso del testo, tra cui, come già rilevato, “ciò la storia registra”, anche nella
forma “la storia registra che...”. La ricercatrice brasiliana ne ha contato 18 di queste
espressioni formulari che separano la fabulazione letteraria dalla storia propriamente
detta, che talora pare incredibile – laddove Bourdoukan ne vuole chiaramente enfatizzare
questo carattere.
Altra formula ricorrente, come pure abbiamo rilevato, è quella pronunciata dal
protagonista in relazione a quelle che considera assurdità nella cultura che sta
conoscendo e commenta al suo amico ebreo: “sono pazzi questi nazareni!”, laddove
riceve l'immancabile risposta: “umani. Appena umani!”.
La ricercatrice brasiliana ha contato questa formula sei volte 92 nel corso della
narrativa (pagg. 44, 62, 66, 74, 130, 149), e mette in rilevo come la sua ripetizione sia
funzionale all'evidenziazione dello scontro di culture, ma allo stesso tempo all'accettazione
rassegnata e graduale da parte del protagonista della società con la quale sta entrando
sempre più in contatto.
Poi, la Kalil Pires conta anche le invocazioni a Allah del Capitan Moro, una
costante nel testo di Bourdoukan e un tratto tipico, peraltro, dell'oralità nelle culture
musulmane. Inoltre rileva per ben sei volte nei dialoghi a lui attribuiti l'espressione
maktub, tutto è scritto, tipica della concezione islamica, per il quale il credente si deve
assoggettare alla volontà divina, laddove la stessa parola Islam, così come quella salam,

92
Cfr. nota 45.

55
pace, in arabo (che hanno la stessa radice s-l-m), si riferiscono all'idea di sottomissione a
un potere superiore: è accettando i disegni di Allah che il fedele trova la pace.
Né potevano mancare le citazioni del Corano93, in particolare nell'episodio descritto
in cui Saifudin rischia la propria vita per salvare Pedro/Bilal, giustificandosi con l'aforisma
coranico: “chi salva un essere umano salva l'umanità”.
Le invocazioni a Allah e le citazioni del Corano, a valorizzare l'oralità araba, sono
ben presenti anche nel romanzo di Maalouf, Leone, l'africano.
Ma oltre l'oralità, altri aspetti della cultura araba sono valorizzati dai due autori,
specialmente certi rituali e soprattutto la scienza, ben più sviluppata all'epoca rispetto a
quella occidentale, come Bourdoukan non manca di rilevare spesso.
Secondo la ricercatrice brasiliana, sarebbe evidente come tanto Maalouf quanto
Bourdoukan abbiano comunque realizzato – lo conferma rispetto al primo studio – lo
scopo di ridimensionare il preconcetto occidentale nei confronti degli arabi e dei
musulmani in genere, frutto della disinformazione, instaurando nel lettore occidentale il
dubbio che l'universalità del suo sapere e della sua cultura sia solo un mito: ammettendo
che la verità possa avere varie sfumature, il lettore riconoscerebbe l'umanità dell'altro.
In tal modo, Mônica Kalil Pires ritiene di contraddire la tesi di Huntington, quella
dello scontro di civiltà inevitabile, attraverso la soluzione della reciproca conoscenza e
accettazione come soggetti.
È interessante notare, a questo riguardo, un riconoscimento significativo, tra gli altri,
che il romanzo di Bourdoukan ha ricevuto, in quanto viene dal vescovo brasiliano – quindi
un rappresentante di quella Chiesa cattolica brasiliana che non fa proprio una bella figura
nel romanzo stesso – Dom Frei Luiz Flávio Cappio, il quale ha scritto al nostro autore:
“La lettura del suo libro Capitão Mouro, mi ha trasmesso un profondo sentimento di
corresponsabilità per la storia del nostro paese. Un nuovo mondo deve essere sviluppato.
Una nuova storia deve essere raccontata. A questo dobbiamo dedicare la lotta di tutti
noi”94.
Dello stesso tenore la recensione dedicata al romanzo di Bourdoukan da parte del
giornalista e scrittore brasiliano Ricardo Soares, Capitão Mouro Obrigatório95: “Esistono
libri che sono misteriosamente glorificati e sono dispensabili. E esistono libri che non sono

93
Mônica Kalil Pires, a sottolinearne il carattere orale, ricorda come il nome Corano abbia la stessa
radice del verbo recitare, in arabo, e come nella religione musulmana la Grande Recitazione faccia parte di
un rituale di passaggio alla vita adulta, per questo gli ayat (versetti) sono noti a tutti i membri della comunità
e usati come argomento di autorità.
94
Testo riportato da Bourdoukan nella versione precedente del suo blog.

56
dispensabili, ma non sono glorificati. Capitão Mouro di Georges Bourdoukan mi pare
uno di quei libri che dovrebbe essere obbligatorio in qualsiasi corso di storia brasiliana
degno di questo nome. E oltre a essere valida storia è valida narrativa” 96.

***
Vorrei infine terminare questo saggio senza ulteriori commenti, ma riportandovi pari
pari, tradotto in italiano, uno dei testi che Georges Bourdoukan ha pubblicato sul suo
blog recentemente, per la precisione sabato 10 ottobre 2009 scorso, il quale, molto
95
http://todoprosa.blogspot.com/2007/08/capito-mouro-obrigatrio.html. Detta recensione risale al 29
agosto del 2007.
96
Riporto di seguito la bibliografia che Bourdokan ha collocato in appendice al suo romanzo,
nell'ordine da lui stesso scelto. Molti dei testi riportativi sono già stati citati nel testo o nelle note del presente
lavoro:
Arnold Toynbee, África Árabe, África Negra, Arcádia, Lisboa 1975.
Nina Rodrigues, Os Africanos no Brasil, Cia. Editora Nacional, 1932.
Al Corão.
Nei Lopes, Bantos, Malês e Identidade Negra, Forense Universitária, 1988.
Ibn-Sina, Canon Medicinae, Veneza 1484.
Gilberto Freyre, Casa-Grande e Senzala, José Olympio, 1975.
Gustave Le Bon, A Civilização Árabe, Parana Cultural Uda.
Rhazes, Continens, 1486, Pestilentia, 1747.
Francesco Gabrieli, Crônicas Árabes das Cruzadas.
Amin Maalouf, As Cruzadas Vistas pelos Árabes, Brasiliense, 1988.
Frei João de Sousa, Documentos Arábicos, Microfilme, Biblioteca Nacional, RJ
Ernesto Eannes, As Guerras nos Palmares, Cia. Editora Nacional, 1938.
Histoire de l'Afrique et de l'Espagne sous la Domination des Mores d'apres des Manuscrites
Arabes, Gardonne - Paris 1765.
Muhammad Al-Kairuani, Histoire de l'Afrique, Paris 1845.
Ibn Khaldun, Histoire de l'Afrique sous les Aghlabites et de la Sicile sous les Musulmans,
Paris 1841.
L'Histoire des Croisades de Michaud, Paris 1817.
Conde, Historia de la Dominación de los Árabes en España, Barcelona 1853.
Albert Hourani, Uma História dos Povos Árabes, Companhia das Letras, 1994.
Jorge S. Safady, A Imigração Árabe no Brasil, Tese de doutoramento, História, USP, 1972.
M. Ullmann, Islamic Medicine, Edimburgo 1978.
Ibn-Sina, S. Dunya, Kitab al Isharat..., Cairo.
Amin Maalouf, León el Africano, Alianza Cuatro, Madrid 1988.
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Al Bu-Kassis, Medendi Methodus, Basileia 1541.

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efficacemente, credo che la dica lunga sulla portata morale e sui valori umani di cui
l'autore brasiliano di origine libanese è comunicatore e paladino, nella sua opera e
attraverso il suo infaticabile lavoro finalizzato a conoscere l'altro lato della Storia.

Garabed, l'armeno
Un albero senza radici non fruttifica. Così è stato il passaggio per la vita di
Garabed, l'armeno. Un personaggio che vive in un vai e vieni della mia memoria. Una
nuvola in un cielo limpido che cerca rifugio. Invano.
Chi non ha radici non riesce ad aggrapparsi al passato.
Garabed, l'armeno, viveva vagando sulle strade del nostro villaggio di Miniara
Akkar, nel nord del Libano. Se vi arrivò bambino o già cresciuto non saprei dirlo e chi
potrebbe farlo se n'è già andato. So soltanto che i miei cinque o sei anni di età lo hanno
visto per la prima volta già adulto. Tento di recuperare la sua immagine, ma riesco soltanto
a vederlo piangere o ridere il riso dei folli.
I meno pietosi lo trattavano con disdegno, forse perché non conoscevano la sua
storia. Ogni tanto si affacciava alla soglia della nostra casa per avere un piatto di mijadra,
alimento comune a base di riso e lenticchie. E quando la situazione non lo permetteva, si
accontentava di un pane tondo che mia nonna faceva in un forno a legna. E fu mia nonna
che un giorno, osservando la mia curiosità, mi raccontò chi fosse Garabed, l'armeno.
Lui e oltre un milione di Armeni soffrirono l'olocausto perpetrato dai Turchi. Furono
cacciati dal loro paese e obbligati a camminare nel deserto in direzione della Siria. Ne
morirono migliaia, centinaia di migliaia, più di un milione, dicono gli storici.
Garabed era un bambino allora, più o meno della tua età, mi diceva mia nonna.
Erano lui, due sorelle maggiori, suo padre e sua madre. Tutti i suoi parenti erano già stati
Abelardo Duarte, Negros Muçulmanos nas Alagoas, Edições Caeté, 1958.
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assassinati dai Turchi in Armenia. Era solo rimasta la sua famiglia. Ma una settimana
dopo, durante la traversata del deserto, i soldati turchi violentarono le sue sorelle di fronte
a suo padre e sua madre. Subito dopo le decapitarono. Poi violentarono sua madre e pure
lei la decapitarono. Garabed vide tutto e vide anche quando un soldato turco chiamò suo
padre e gli chiese perché camminasse scalzo. Suo papà rispose che la sabbia del deserto
si era mangiata le sue ciabatte. Il soldato chiamò il fabbro e gli ordinò di procurare dei
chiodi e due ferri di cavallo. Subito dopo costrinsero il padre di Garabed a inginocchiarsi e
gli inchiodarono i ferri di cavallo ai piedi.
Guardo mia nonna terrificato. Come è possibile? Chiedo. Come è possibile?
Lacrime scorrevano sulle sue guance.
Erano le lacrime dell'umanità che protestavano contro la brutalità della stessa
umanità.

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