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ORAZIONE FUNEBRE DI PERICLE per i soldati caduti contro Sparta (orgoglio di cittadino - onore per la città -
significato morale alto della democrazia e della partecipazione alla vita civile) per destare negli animi la consapevolezza
della città come bene supremo e il più alto interesse a cui votarsi.
LA REPUBBLICA DI PLATONE - LA COSTITUZIONE DI SOLONE (425 A.C.)
SOCRATE distolse la filosofia dalla natura fisica volgendola alla psicologia, alla logica, all'etica, alla religione e alla
politica. L'ETICA: LA VIRTU' E' CONOSCENZA e può essere appresa e insegnata nel metodo della definizione precisa
(una scienza politica, razionale e dimostrabile).
I SOFISTI (maestri ambulanti) non avevano una filosofia, ma alcuni sostenevano una filosofia umanista (il dirigersi
della conoscenza verso l'uomo come suo centro).
LE LEGGI (Platone). Un governo in cui la legge è sovrana essendone governanti e governati ugualmente soggetti. Lo
stato misto delle "Leggi" è la combinazione del principio monarchico della saggezza con quello democratico della
libertà. Religione di Stato - proibito l'ateismo (STATO DI 2° ORDINE) (La corda d'oro della legge).
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IL POLITICO (Platone). Quì lo stato ideale o monarchia pura governato dal Re-Filosofo è "Divino"; si distingue da tutti
gli altri stati perchè in esso regna la "conoscenza" e non c'è bisogno della legge.
ARISTOTELE: (LA POLITICA) Lo stato è una relazione tra cittadini liberi, moralmente uguali che si conducono
secondo la legge e si fondano più sulla discussione e sul consenso che non sulla forza.
L'autosufficenza dell'individuo, il bene vissuto personalmente e non solo nei confronti della città stato segnano il vero
crepuscolo di questa (350 a.C.).
La città stato era troppo piccola e litigiosa anche per governare il solo mondo greco, cosi che Alessandro fuse insieme i
suoi sudditi greci ed orientali contro ogni etica della filosofia di Aristotele.
I CINICI.
Scuola fondata da ANTISTENE (suo allievo fu Diogene di Sinope). Rinuncia a tutti i beni della vita, livellamento di tutte
le distinzioni sociali e abbandono del decoro e delle convenzioni.
Insegnanti girovaghi, si dedicavano ad una vita di povertà. Solo ciò che è in potere del saggio (pensiero e carattere) è
sufficiente al ben vivere, ogni altra cosa è indifferente.
Tutti sono uguali perché tutti sono ridotti ad un unico denominatore comune di indifferenza (Nichilismo). Il saggio, come
dice Diogene, è un cosmopolita "cittadino del mondo". La scuola cinica costruì la matrice dalla quale emerse lo
STOICISMO.
S. AMBROGIO (350 d.C.) Autonomia della chiesa in materia spirituale con giurisdizione su tutti i cristiani compreso
l'Imperatore il quale è dentro la chiesa, non sopra di essa.
S. AGOSTINO (400 d.C.) "La Città di Dio" L'uomo è cittadino di 2 città, quella dov'è nato e la città di Dio. L'uomo ha
una duplice natura, egli è spirito e corpo insieme perciò contemporaneamente cittadino di questo mondo e della città
celeste. La città terrena è il regno di Satana, la città celeste è il regno di Cristo. Per Agostino fine dello stato è
realizzare giustizia e diritto, ma lo stato deve anche essere una chiesa, giacché la forma dell'organizzazione sociale era
religiosa. La chiesa era per Agostino la marcia di Dio nel mondo (frase usata impropriamente da Hegel per definire lo
Stato). Un vero stato deve essere cristiano. I poteri esistenti sono ordinati da Dio. L'uso della forza nel governo era
reso necessario come rimedio scelto da Dio contro il peccato.
Per Agostino le due società (terrena e celeste) si confondono nella vita terrena per essere separate nel giudizio finale.
S. GREGORIO (550 d.C.) Fu il padre del papato medioevale. Egli pensa che anche un cattivo reggitore abbia diritto
all'obbedienza passiva e che i sudditi non debbano giudicare ne' criticare la vita dei loro capi (santità del governo). Le
azioni del sovrano restano tra Dio e la sua coscienza. La "Dottrina delle due spade" è la divisione dei poteri tra stato e
chiesa (temporale e spirituale).
Difese l'Italia contro i longobardi, aumentò il prestigio della sede romana; vista la debolezza dei reggitori secolari
dovette assumere i doveri di un reggitore politico.
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Questa concezione della santità del governo maturò in un'età in cui l'anarchia era un pericolo maggiore che non il
controllo degli imperatori sulla chiesa.
PER I PADRI DELLA CHIESA questa era universale come l'impero e comprendeva tutti gli uomini. Il cristiano veniva
ad essere sottoposto ad una doppia legge e un doppio governo.
Gli interessi spirituali sono affidati alla chiesa, quelli temporali o secolari e il mantenimento dell'ordine della pace e della
giustizia al governo civile con l'opera dei magistrati.
Tra i 2 ordini dovrebbe prevalere uno spirito di mutua assistenza.
MEDIOEVO.
La riscoperta delle opere di Aristotele portava al medioevo una visione nuova della vita intellettuale greca: La chiave
per la conoscenza del mondo naturale è data dalla ragione. Le concezioni Aristoteliche riferite all città stato
richiedevano una revisione che le adattasse alle necessità storiche contingenti (LA POLITICA).
LA DOTTRINA DELLE DUE SPADE enunciata in modo autorevole alla fine del 5° secolo da papa GELASIO I
divenne tradizione accettata nel primo medioevo. Era un appiglio nella controversie tra papa e imperatore sugli
interessi temporali e spirituali. Per Gelasio, sulle tracce di S. Ambrogio, in materia di fede l'imperatore deve
subordinare il suo volere al clero e deve imparare più che insegnare. Da ciò la chiesa deve avere la giurisdizione su
tutti gli ecclesiastici, perché in nessun altra maniera può essere un'istituzione indipendente e autonoma. Come per
Agostino la distinzione tra spirituale e temporale costituisce parte essenziale della fede cristiana e deve essere perciò
norma di ogni governo che segua la legge cristiana, secondo la quale è illegale che un uomo sia allo stesso tempo re e
sacerdote. E' vero che ciascun potere ha bisogno dell'altro, ma in nessun caso un potere può esercitare l'autorità che è
propria dell'altro.
DANTE (1300).
Come Tommaso e Giovanni Di Salisbury Dante concepì l'Europa come un unica comunità cristiana governata da 2
autorità volute da Dio: IL SACERDOTIUM e L'IMPERIUM rappresentate dalla Chiesa e dall'Impero. L'imperialismo di
Dante fu solo un ideale di pace universale dato che la politica papale era fonte di discordia infinita.
Il potere imperiale deriva da Dio ed è quindi indipendente dalla chiesa, quello spirituale è del papa. Siccome i due poteri
sono riuniti solo in Dio, l'Imperatore non ha in terra nessuno che gli sia superiore. Per Dante l'impero romano fu l'unico
destinato al dominio e al governo del mondo per volere di Dio. Dante dimostra come il potere temporale sia contrario
all natura della Chiesa il cui regno non è di questo mondo. L'autorità deriva da dio e dal popolo. Il potere del re è
superiore a quello del suddito, ma inferire a quello del complesso sociale.
Nel 1356 con la "Bolla d'oro" la procedura per le elezioni Imperiali non accennava neppure alla conferma papale ed
Innocenzo IV dovette accettarla.
MACHIAVELLI (1513).
Intorno al 1450 ci fu una ripresa dell'assolutismo papale e, tranne che in Inghilterra (con i Tudor) il potere monarchico
progredì enormemente nell'Europa occidentale.
La concezione del sovrano fonte suprema del potere politico diventò nel 1500 una forma comune del pensiero politico.
Crollavano le istituzioni medioevali mentre si imponeva la monarchia assoluta.
Il papa divenne tra i sovrani Italiani. Non c'era in Italia una potenza così forte da dare unità alla intera penisola.
Machiavelli ritenne la chiesa responsabile di questo stato di cose: "troppo debole per unificare, troppo forte per
impedirlo ad altri e con la sua posizione internazionale invitava le altre potenze straniere ad intervenire".
OPERE: "Il Principe" (tratta delle monarchie e dei governi assoluti)
"Discorsi sulla prima deca di Tito Livio" (L'espansione della Repubblica di Roma).
Indifferenza nell'uso di mezzi immorali per fini politici e la convinzione che il governo si fondi sulla forza e sulla violenza.
Egli sanziona l'immoralità da parte dei reggitori per i loro fini, ma non dubita mai che la corruzione morale renda
impossibile un buon governo. Ammira le virtù civiche degli antichi romani e degli svizzeri, ma ciò non implica che il
sovrano debba credere nella religione del popolo o praticare le stesse virtù. L'empirismo di Machiavelli è quello del
buon senso e dell'intuizione pratica, il suo metodo consiste nell'osservazione guidata dalla sagacia e dal buon senso.
Gli uomini sono generalmente cattivi, egoisti, aggressivi ed acquisitivi, con la conseguenza di essere sempre in una
condizione di lotta e di competizione che minaccia l'anarchia, impedita solo dalla forza della legge, da cui la sicurezza è
possibile solo se il governo è forte. Gli obblighi morali debbono perciò derivare dalla legge e dal governo (Hobbes).
Machiavelli era favorevole al governo popolare quando possibile e alla monarchia quando necessaria.
Il governo felice deve mirare alla sicurezza della proprietà e della vita (filosofia ripresa da Hobbes). Machiavelli
raccomanda il DISPOTISMO solo in 2 casi speciali : nella costituzione di uno stato, e nella riforma di uno stato corrotto.
Una volta fondato è stabile solo se il popolo è ammesso al governo e si conduce secondo la legge e il rispetto della
proprietà e dei diritti dei sudditi.
Desiderio di Machiavelli era l'unità d'Italia e sperava in un principe che avesse un'ampia visione per vederla unita e
fosse ardito abbastanza per tramutarla in realtà.
Il governo che avrebbe voluto era la città-stato espansiva del tipo di Roma. Il pensiero di Machiavelli era quello di un
uomo "pratico" senza un sistema generale al quale ricondurre tutte le sue osservazioni: "un politico puro". Egli più di
ogni altro creò il significato del termine "STATO" nell'uso politico moderno. Egli non considerò affatto la religione anche
se in Inghilterra, nello stesso periodo, M. Lutero aveva già iniziato la riforma protestante.
Spezzata l'unità della chiesa, in modo che ne nascessero molte, dovette passare c.a. un secolo perché anche i
protestanti liberali potessero considerare la scissione come un fatto compiuto. La decisione circa la "vera fede" fu
affidata, ingrato compito, ai governi secolari.
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La RIFORMA accentuò il consolidamento del potere monarchico associandosi a forze politiche già in atto. el 14° SEC.
e nel 15° i riformatori avevano reclamato il diritto di resistere ad un papa eretico, nel 16° dovevano reclamare quello di
opporsi ai re eretici, i quali, più che non facesse il papa, "devastavano la chiesa". Si trattava ancora della riforma
religiosa, ma la questione era almeno altrettanto politica che religiosa.
Nacquero 2 dottrine politiche: 1) Che i sudditi avessero il diritto di opporsi ai loro sovrani per la conservazione della
fede cristiana, 2) Che avessero un dovere di obbedienza passiva, perché la resistenza è sempre ingiusta (Dottrina
Antimonarchica e Monarchica).
CALVINO (1540)
Il calvinismo venne a trovarsi in opposizione ai governi che non riusciva a convertire, perciò il principio di "obbedienza
passiva" fu annullato dai suoi seguaci (Knox).
Calvino si opponeva ad una combinazione tra stato e chiesa; una chiesa libera con l'appoggio del governo per
obbligare i recalcitranti. La dottrina calvinista della predestinazione era la fede in un sistema cosmico di
disciplina quasi militare. La sua morale era la disciplina, il controllo, tutte le virtù morali del puritanesimo, etica che
fece delle chiese calviniste le militanti del protestantesimo. Il calvinismo cercò di dare al clero un grande potere. Le
istituzioni secolari sono anch'esse mezzi di salvazione.
La "dottrina della predestinazione" era il mandato dei santi a governare; privo del misticismo luterano diede
maggior valore alle istituzioni secolari che dovevano mantenere integro il culto di Dio, sradicando il peccato e l'eresia
ma in una forma di dipendenza dalla chiesa.
La tendenza del pensiero sociale di Calvino fu aristocratica. Knox rifiutò la disciplina dell'obbedienza passiva (Scozia).
Lo stesso accadde in Francia; conclusione prevedibile per una chiesa calvinista esistente in uno stato che rifiutava sia
la sua dottrina che di imporre la sua disciplina; ciò scioglieva il dovere di obbedienza e affermava il diritto
all'opposizione la quale avrebbe avuto maggior possibilità di successo.
Tendenza a liberare la dottrina politica e sociale dalla teologia e considerarla come fenomeno naturale.
HALIFAX E LOCKE
La rivoluzione incruenta del 1688 in Inghilterra affermò la supremazia della religione protestante sul cattolicesimo e la
monarchia controllata dal parlamento sul governo repubblicano.
Tale forma di governo seppur di classe era a suo modo rappresentativo e liberale.
Fu instaurata una tolleranza religiosa. Sebbene religioso ed eticamente cristiano LOCKE fu profondamente razionale
ed antidogmatico. Assieme ad HALIFAX fecero fronte alle dispute teologiche con l'arma più mortale: l'indifferenza.
ROUSSEAU (1750).
Trasformò il contrasto tra natura e realtà in un attacco alla ragione (illuminismo). Il valore della vita deriva dai
sentimenti comuni e dagli istinti, rispetto ai quali gli uomini non differiscono, essi esistono in forma più pura nell'uomo
semplice, non educato che in quello illuminato e raffinato (l'Emilio).
Un uomo che pensa è un animale depravato. L'intelligenza è pericolosa perché minaccia la riverenza, la scienza
distrugge la fede, la ragione è cattiva perché contrappone la prudenza all'intuizione morale. Senza riverenza, fede ed
intuizione morale non esiste carattere ne' società. Rousseau riuscì a trascinare la filosofia dalla sua parte contro la
tradizione (illuministica) che le era propria. Kant riconobbe in Rousseau il valore superiore della volontà morale in
confronto alla ricerca scientifica. La sfiducia nell'intelligenza divenne caratteristica della filosofia del 19° sec. Tanto
Rousseau che Kant negarono che l'interesse egoistico razionale sia un movente morale accettabile.
Egli attaccò la filosofia dell'individualismo sistematico attribuibile ad Hobbes e Locke; obiettò ad Hobbes che lo stato di
guerra attribuito agli individui nello stato di natura appartiene alle persone pubbliche o ai sovrani. Gli uomini non
combattono come individui distinti, ma come cittadini o sudditi. Lo scrittore che influì maggiormente nel suo distacco
dall'individualismo di Platone.
Rousseau desunse da Platone il presupposto implicito nella filosofia della città-stato, cioè la soggezione politica sia
essenzialmente un fatto etico e che la comunità stessa sia la massima rappresentante della moralità esprimendo
quindi il più alto valore etico.
L'individualismo, la libertà, l'interesse personale, il rispetto dei patti, possono esistere solo nella società; fuori dalla
società non esiste morale, da essa gli individui traggono la loro felicità e diventano umani; la categoria morale
fondamentale non è l'uomo, ma il cittadino.
Rousseau non ha mai pensato all'abolizione della proprietà privata, ma la sua idea era quella che tutti i diritti, compreso
quello di proprietà, sono diritti nell'ambito della comunità e non contro di essa.
La base della sociabilità non è la ragione, ma il sentimento, la sofferenza è sempre penosa per chi non sia perverso. In
questo senso gli uomini sono naturalmente buoni. L'egoista calcolatore non esiste in natura, ma in una società corrotta.
Il "CONTRATTO SOCIALE (1762) ove Rousseau tratta della volontà generale e critica il diritto naturale. La piccola
comunità (città-stato) era per lui il miglior esempio di volontà generale e questo gli rese impossibile discutere in modo
efficace la politica contemporanea.
Il suo contratto non ha niente a che fare con i diritti e i doveri del governo, poiché il governo altro non è che il
rappresentante del popolo, talmente privo di poteri indipendenti da non costituire parte contraente.
La volontà generale rappresentava un fatto unico riguardo a una comunità, vale a dire che vi è un bene
collettivo della comunità che non coincide con gli interessi privati dei suoi membri.
La comunità vive la sua vita, essa ha una sua volontà: la volontà generale.
I diritti degli individui che la legge naturale attribuisce agli uomini come tali, sono in realtà i diritti dei cittadini. Gli uomini
diventano uguali per "convenzione e diritto legale" e non, come diceva Hobbes, poiché il loro potere fisico sia
sostanzialmente uguale.
Il paradosso della libertà di Rousseau arriva al punto di dire che un uomo che abbia convinzioni morali opposte a quelle
della comunità è capriccioso, non sa riconoscere il suo bene e i suoi desideri e andrebbe soppresso. Forzare un uomo
ad essere libero è un eufemismo per renderlo ciecamente obbediente alla massa o al partito più forte.
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La volontà generale è sempre giusta, perché vuole il bene sociale che costituisce in se la norma del diritto.
Ciò che non è giusto non è volontà generale.
La filosofia di Rousseau contro il razionalismo, col suo schema di valori individuale, esaltò il gruppo sociale, la
partecipazione e la coltivazione dell'irrazionale. Con la volontà popolare diminuiva l'importanza del governo in
quanto la sovranità appartiene al popolo con una democrazia diretta ove i cittadini prendono parte alle riunioni
civiche.
La dottrina della volontà generale sminuiva l'importanza del governo escludendone ogni forma
rappresentativa, perché la sovranità popolare non può essere rappresentata.
Durante tutto il 18° sec. la tradizione del razionalismo filosofico e del sistema giusnaturalistico andarono via via
decadendo, negandoli Rousseau vi aveva sostituito l'autonomia del sentimento.
Il sentimento che egli destò, anche se non era nelle sue intenzioni, fu una idealizzazione del patriottismo nazionale.
In Inghilterra il sistema giusnaturalistico aveva perduto la sua utilità. L'utilitarismo inglese eliminò le idee incongrue
come quelle di giustizia e diritto naturali.
Burke è considerato il fondatore del conservatorismo politico. La sua reazione contro la rivoluzione francese condusse
ad una filosofia sociale che dette un nuovo valore alla stabilità e alla forza della consuetudine. Con Hegel, che riprese il
pensiero di Burke si segnava il principio di un età in cui le forze rivoluzionarie erano pronte a congiungersi con quelle
conservatrici. La nostalgia di Rousseau per la città stato e la reverenza di Burke per la tradizione nazionale
rappresentavano entrambe il nuovo culto della società che si stava sostituendo all'antico culto dell'individuo.
Hegel cercò di dimostrare che l'apparente frammentarietà della tradizione sociale può essere compresa in un sistema
generale dell'evoluzione sociale e che dalla forma razionale di questa evoluzione si traeva un metodo applicabile alla
filosofia e agli studi sociali in genere.
IL METODO STORICO.
Il metodo storico doveva mostrare gli stadi necessari dello sviluppo sociale e morale.
La base era la convinzione che la dialettica avesse scoperto una legge di sintesi inerente sia alla natura dello spirito
che alla natura delle cose.
Studiata bene la storia offre i principi per una critica obiettiva che distingue il vero dal falso, il reale da ciò che è
puramente "apparente". Tale studio richiedeva uno speciale apparato e questo era fornito dalla "dialettica".
LIBERTA' E AUTORITA'.
Hegel identificava negativamente l'individualismo; per essere correttamente compreso, l'individuo deve essere
considerato come membro della società e dello stato.
La libertà è un fenomeno sociale che sorge attraverso lo sviluppo morale della comunità, assegnato all'individuo dalle
istituzioni legali ed etiche della comunità, per cui non può essere paragonata all'egoismo o alle inclinazioni private.
La libertà consiste piuttosto nell'adattamento dell'inclinazione e della capacità individuale al compimento di un lavoro
socialmente significativo, oppure nel trovare il proprio posto e i doveri che esso comporta.
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Anche la felicità privata richiede la dignità che si conviene allo stato sociale e alla consapevolezza di aver parte in un
opera socialmente utile. Nessuna esigenza di libertà o felicità può essere moralmente sostenuta, a meno che il
desiderio non coincida con qualche aspetto del bene comune e sia difeso dalla volontà generale.
La dottrina hegeliana della libera cittadinanza, come quella platonica ed aristotelica, non si esprime in termini di diritti
privati, ma di funzioni sociali.
Nello stato la libertà negativa dell'egoismo è sostituita dalla vera libertà della cittadinanza.
Lo stato deve essere assoluto, dato che solo esso rappresenta i diritti etici, per cui l'individuo consegue libertà e dignità
morale solo in quanto si dedica al servizio dello stato.
Fondamentali furono i mutamenti che avvennero nella borghesia commerciale ed industriale, man mano che si
consolidavano. Questa classe formò in ogni parte la punta della riforma politica liberale dell'800 e la tendenza allo
sviluppo dell'industria e del commercio rendevano prevedibile l'espansione del suo potere politico. La dottrina andava
trasformandosi da rivoluzionaria in utilitaria. Il liberalismo ebbe il suo massimo sviluppo in Inghilterra anche se toccò
tutti i paesi dell'Europa occidentale e l'America (tranne la Germania).
Si sviluppò in Europa un movimento operaio proletario socialista e radicale che fu subito incorporato nella dottrina
marxista della lotta di classe.
Il liberalismo inglese fu diviso in 2 periodi: il primo dove era ideologia prevalente degli interessi borghesi, il secondo
nella sua trasformazione di una comunità nazionale il cui ideale era la protezione e la conservazione degli interessi di
tutte le classi (Liberalismo dei radicali - Liberalismo moderno).
Il liberalismo si trasformò in un ponte intellettuale tra l'individualismo del suo stadio primitivo, eredità della filosofia
dell'era rivoluzionaria, e l'ammissione del valore di interessi sociali comuni che tendevano a presentarsi in forme
antiliberali.
Così scopo del successivo liberalismo fu contemporaneamente la conservazione delle libertà civili e politiche
individualiste ed il loro adattamento alle trasformazioni dell'industrialismo e del nazionalismo.
La linea di distinzione liberalismo radicale e quello moderno fu tracciata da Mill.
La filosofia liberale del diritto fu quasi tutta ispirata da Bhentam. La sua dottrina economica – la cosiddetta economia
classica o del lasseiz faire – costituì un altro filone del pensiero liberale con scopi e punti di vista analoghi.
Il presupposto che economia e governo siano reciprocamente indipendenti, o siano soltanto indirettamente in rapporto
attraverso la psicologia individuale, fu uno degli elementi più caratteristici del primo pensiero liberale.
L’Inghilterra divenne la prima della nazioni industriali moderne affidata alla politica tipicamente liberale del libero
scambio, l’estensione di un governo rappresentativo in patria con un accordo tra le altre potenze ugualmente liberali in
politica e perseguenti il loro interesse nazionale in una divisione internazionale del lavoro. L’economia di Ricardo
caratterizza gli anni in cui le teorie vennero formulate (teoria del valore – lavoro (prezzo naturale): in un mercato
libero il valore della merce è fissato dall’ammontare del lavoro necessario a produrla).
L’armonia sociale per Bentham è prodotta dalla coercizione legislativa, secondo gli economisti dall’assenza della
legislazione. Nelle leggi dinamiche di Ricardo (rendita, salari, profitti) la natura figura soltanto come l’istinto anomale
di procreazione, incurante delle conseguenze.
L’economia classica offrì a Marx un quadro già pronto dello sfruttamento del lavoro da parte del capitalismo.
Era evidente che, perché fosse possibile la riforma giuridica era necessario abbattere il monopolio politico
parlamentare goduto dagli interessi fondiari. Il governo inglese era un organo di interessi di classe. Entrambi i partiti
rappresentavano la proprietà fondiaria, con una piccola infiltrazione di interessi capitalistici, dovuta alla corruzione.
La prima dottrina politica utilitaria fu suggerita dalla giurisprudenza di Bentham. Il principio fondamentale è che un
governo liberale non può essere un governo debole. La sovranità politica doveva risiedere nel popolo, perché solo così
gli interessi dello stato possono coincidere con l’interesse generale. L’espressione del popolo doveva avvenire
attraverso il suffragio universale e perché il parlamento corrispondesse al corpo elettorale, la sua vita legale doveva
essere di un anno. Giacomo Mill, come Hobbes, era convinto che tutti gli uomini siano trascinati da un insonne
desiderio di potenza che le limitazioni istituzionali non possono frenare. Mill considerava importantissima
l’emancipazione della classe media industriale “la parte più saggia della comunità” e supponeva che le classi inferiori
ne sarebbero state guidate. Egli non pensò mai che la borghesia potesse servirsi del potere politico a proprio
vantaggio.
Il liberalismo dei filosofi radicali fu importantissimo nella politica dell’800. Senza essere un partito politico, le loro idee
spazzarono via un mucchio di ciarpame politico antiquato, e la legislazione, l’amministrazione e i procedimenti giudiziari
divennero più efficienti e più democratici.
Il radicalismo filosofico fu il portavoce di un particolare sistema sociale che esso identificava con il benessere dell’intera
comunità.
IL LIBERALISMO MODERNO.
Gli effetti sociali dell’industrialismo inglese non regolato (condizioni sanitarie e morali inumane nelle fabbriche)
iniziarono a produrre intorno al 1875 una serie di leggi a tutela di dette classi, le quali restrinsero la politica del lasseiz
faire a beneficio di politiche sociali volte a tutelare le classi più deboli. La legislazione passata nell’interesse del
benessere sociale, e perciò della massima felicità, andava in senso opposto alle idee accettate come liberali.
Tali restrizioni si attuarono in tutti i paesi anche dove vigevano filosofie politiche ben diverse.
Il liberalismo non poteva trascurare l’umanitarismo, pur avendo scarso riconoscimento da parte dei radicali.
L’emancipazione di un gruppo notevole di operai inglesi, compiuta da un governo conservatore nel 1867, segnò il
principio di un mutamento politico di importanza duratura. Appariva un gruppo di elettori il cui interesse era la
protezione dei salari, delle ore di lavoro e delle condizioni d’impiego e che capivano che la loro forza non consisteva
nella libertà di contratto, ma nel contratto collettivo: o il liberalismo andava incontro a queste istanze o la classe operaia
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non sarebbe stata liberale; e per fare questo doveva attuarsi una revisione della sua politica e della sua dottrina
liberale.
La revisione avvenne in 2 ondate. La prima fu costituita dalle filosofie di Giovanni Stuart Mill ed Erberto Spencer. La
seconda dalla filosofia degli idealisti di Oxford, e di Tommaso Hill Green.
Spencer portò la sua filosofia nel contesto dell’evoluzione organica e le scienze naturali.
Mill rielaborò l’utilitarismo e il concetto di libertà personale.
L’idealismo di Oxford si fondò sulla filosofia tedesca postkantiana.
Green demolì il sensismo e l’edonismo su cui si fondava il precedente liberalismo, eppure egli si liberale in modo più
chiaro e più coerente di Giovanni Stuart Mill.
ERBERTO SPENCER.
I massimi esponenti della filosofia del liberalismo politico inglese del 1875 furono Mill ed Erberto Spencer.
Entrambi traevano le loro origini filosofiche dal radicalismo, ma Spencer, a differenza di Mill, pose al centro della sua
filosofia la nuova concezione dell’evoluzione organica.
La “Statica sociale” fu pubblicata nove anni prima della “Origine della specie “ di Darwin, e la sua etica
evoluzionistica successiva consistette nella costruzione di legami psicologici speculativi tra il piacere e la selezione
biologica.
Mill era soprattutto l’erede di Bentham, un empirista che poneva poche limitazioni a priori alle funzioni sociali della
legislazione.
Spencer proseguì la tradizione razionalistica degli economisti classici e si servì dell’evoluzione per ricostruire il sistema
di una società naturale con confini naturali tra economia e politica. Mise in rapporto il liberalismo con la biologia e la
sociologia (evoluzione sociale e biologica).
Per Spencer la nuova versione della natura era l’evoluzione. La teoria dell’evoluzione offriva il concetto di società
naturale e ciò diveniva una nuova versione del vecchio sistema della libertà naturale.
La massima parte della legislazione è cattiva perché corrompe la perfezione che la natura tende a produrre con la
selezione del migliore e dovrebbe virtualmente scomparire man mano che l’evoluzione si avvicina a raggiungere un
perfetto adattamento dell’individuo alla società.
Spencer si oppose quindi ad ogni regolamento industriale e a tutte le forme di assistenza pubblica (carità, scuole)
proponendo una completa privatizzazione di innumerevoli settori statali (zecca, poste).
Con davanti i risultati di un industrialismo sregolato i nuovi liberali non volevano che il governo avesse un ruolo solo
negativo nell’emancipazione degli uomini per cui nonostante le deficienze della sua filosofia formale Mill fu il più
convincente liberale del periodo di mezzo Ottocento.
La revisione della dottrina liberale fu compiuta tra il 1880 e il 1900 dagli idealisti di Oxford, il cui maggior esponente fu
Tommaso Hill Green.
I problemi filosofici del liberalismo erano la natura della personalità e della comunità sociale e il rapporto tra le due. Suo
fine era dimostrare che la personalità si realizza trovando parte significativa nella vita della società.
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Alla base degli scritti di Green si ricava un forte senso dell’ingiustizia morale di una società che rifiutava ad una parte
dei suoi membri i beni materiali e spirituali che la cultura di quella società creava. Nel suo idealismo c’era un elemento
religioso non riscontrabile nell’utilitarismo. Per Green la piena partecipazione morale alla vita della società costituiva il
massimo dello sviluppo personale e creare la possibilità di una simile partecipazione era il fine della società liberale.
La politica era un mezzo alla creazione di condizioni sociali tali da rendere possibile il progresso morale. Per Green la
libertà è il potere di fare o godere qualcosa per cui ne valga a pena, implicando nel concetto non solo la possibilità
legale, ma quella reale, onde sviluppare le capacità umane e dare all’individuo il potere di partecipare dei beni prodotti
dalla società e contribuire al bene comune.
La libertà di contratto può essere un mezzo a tal fine ma non è un fine in se.
La funzione di un governo liberale è di appoggiare l’esistenza di una società libera, rimuovendo molti degli ostacoli che
sono sulla via del progresso morale.
Il principio generale dell'etica di Green era la reciprocità di rapporto tra l'individuo e la comunità sociale di cui egli è
membro ("la persona è una persona sociale"). Essere membro di un gruppo, condividerne il lavoro ed avere in esso
parte di rilievo, è la condizione per raggiungere la piena personalità e la massima soddisfazione possibile per un
uomo.
Il governo si fonda sulla volontà, non sulla forza, perché il LEGAME CHE UNISCE GLIUOMINI ALLA SOCIETA' E' LA
COSTRIZIONE DELLA LORO STESSA NATURA., non la penalità della legge o il calcolo di ulteriori benefici. Perciò la
coercizione dovrebbe essere ridotta al minimo.
Per Green, come per Kant, una comunità di persone è un "Regno di fini", in cui ognuno è trattato come fine e non
puramente come mezzo.
Una società veramente liberale ha lo scopo di dare a tutti gli uomini il diritto all'autodeterminazione morale e alla dignità
morale che è insieme la condizione e il diritto della personalità.
Una comunità morale è, come diceva Rousseau, una forma di associazione che proteggerà e difenderà, con tutta la
forza comune, la persona ed i beni di ciascun associato, ed in cui ognuno, pur unendosi a tutti, può ancora obbedire
soltanto a se stesso.
Il diritto e il dovere della comunità si accoppia al diritto e al dovere dei suoi membri.
Green rifiutava la definizione di Bentham dei diritti come "creature della legge", per la ragione che un governo liberale
è impossibile eccetto che in una società dove legge e politica pubblica siano tenute sempre a rispondere ad
un'opinione pubblica che sia insieme illuminata e moralmente sensibile. Questa verità era per lui contenuta nella
legge naturale.
La legge guarda l'esteriorità della condotta e non lo spirito e l'intenzione dietro di essa.
La fede di Green era nella realtà di una scienza sociale che regolasse la legge e ne fosse sostenuta.
Questa libertà morale che nasceva dalla personalità era per lui la base del liberalismo politico.
La giustificazione della coercizione morale consiste in ciò che equilibra e neutralizza altre forme di costrizione che
sono meno tollerabili. Ogni uomo, senza distinzione di rango o di ricchezza, ha il diritto di libertà, di giudizio, e di
azione. Egli considerava l'educazione la più importante funzione sociale. La guerra è sempre la confessione di una
deficienza morale.
La rienunciazione del liberalismo di Green eliminò la rigida divisione di politica ed economia per la quale i vecchi liberali
avevano escluso lo stato dall'interferire nel libero mercato, in quanto per lui economia e politica sono intrecciate e
contribuiscono entrambe ai fini etici di una società liberale.
Il liberalismo di Green accettava lo stato come un mezzo positivo da usarsi sempre ove si dimostri che la legislazione
contribuiva alla libertà positiva e al benessere generale, senza arrecare malanni peggiori di quelli che eliminava.
Lo stato doveva occuparsi della pubblica istruzione, dei servizi sanitari, delle case, delle condizioni di vita, del rispetto
dei contratti di lavoro. Il liberalismo di Green implicava una combinazione di linee di condotta diverse per la difesa dei
veri interessi sociali che contribuivano tutti al comune benessere (utilitarismo ampliato ed idealizzato) come
ampliamento del concetto della massima felicità.
La dottrina politica idealistica poteva dar luogo a due costruzioni; una più autoritaria e conservatrice, l'altra liberale in
modo più definito.
Ciò che Green non chiarì fu il rapporto etico tra individuo e comunità e il rapporto tra società e stato
Riprese questo punto Bosanquet, il quale ascriveva alla società una "volontà effettiva" con la quale quella individuale
dovrebbe identificarsi se l'uomo fosse perfettamente intelligente ed educato nel rapporto morale.
Letteralmente la coscienza privata dovrebbe conformarsi ed obbedire all'autorità.
Tale conclusione corrisponde in gran parte al pensiero di Hegel, non a quello di Green.
Il liberalismo di Green si adattava anche ad una forma di socialismo liberale che non si fondasse sulla dottrina della
lotta di classe come quella del gruppo di giovani che nel 1884 fondarono "La Società Fabiana", i quali si servirono della
"libertà positiva" di Green. La loro politica si fondava sulla giustizio e sul desiderio di recuperare, a scopi sociali, il
plusvalore.
In un significato ristretto del termine, liberalismo è usato per indicare una forma intermedia tra il conservatorismo e il
socialismo: favorevole alle riforme, ma contrario al radicalismo.
Posizione politica congeniale alle classi medie contrapposte ad un'aristocrazia interessata allo "status quo" o ad una
classe operaia orientata a controllare o rimpiazzare l'impresa privata.
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In un significato più esteso, liberalismo è "la democrazia" contrapposta tanto al fascismo che al comunismo. Esso
indica istituzioni politiche che riconoscono ceri principi generali di filosofia sociale e di moralità politica.
Sia il comunismo che il fascismo furono nemici del liberalismo. Entrambi fondarono un'entità collettiva (la razza e la
società o comunità) come depositaria di un valore superiore a quello dell'individuo descrivendolo come agente o
organo della collettività.
Le filosofie politiche liberali sono dipese da due postulati: Uno è l'individualismo, l'altro sta’ nella convinzione che i
rapporti morali tra individui di una comunità (regno di fini) siano "rapporti morali" (l'uomo come fine e non
come mezzo).
A questi andrebbe aggiunto un terzo postulato, come disse Green, che la natura di un individuo è tale da farne
intrinsecamente un "essere sociale".
E' la tendenza ad immaginare le società come combinazioni di astrazioni personificate a rendere illiberali le teorie di
Hegel e di Marx.
Essi descrivono ogni tipo di opposizione come contraddizione, con una soluzione che può solo giungere da una lotta,
tra nazioni per Hegel, tra le classi sociali per Marx.
Agli effetti del liberalismo politico la società è una cosa, mentre lo stato è un'altra.
La società comprende tutto senza avere bisogno di autorità sovrapposte per mantenere la coesione.
Lo stato è una delle molte forme di associazione a cui gli uomini appartengono, con funzioni e poteri limitati.
Dal punto di vista liberale un governo è innanzitutto una serie di istituzioni dirette a fornire regolarità al dibattito
pubblico, confrontare pretese contrastanti con il fine di elaborare una linea politica operante.
Un'organizzazione di un potere esercitato soppesando razionalmente le pretese senza l'uso della forza pura, poiché la
saggezza umana più che di certezza, consiste di interiore disponibilità a correggersi.
Pur considerando, nella sua storia successiva, elementi della valida critica hegeliana, il liberalismo non accettò mai i
due presupposti fondamentali di questa:
1) La società è un equilibrio instabile di forze antitetiche che, attraverso la loro tensione e la loro lotta, generano la
trasformazione sociale.
2) La storia sociale è un'evoluzione interna e quasi logica delle forze stesse.
Tuttavia questi elementi ebbero larga parte nella dottrina politica dell'800 e più tardi.
Ciò si dovette soprattutto alla trasformazione della filosofia hegeliana effettuata da Carlo Marx.
Marx tolse alla dottrina di Hegel il presupposto che le nazioni siano le unità effettive della storia sociale e sostituì alla
lotta delle nazioni quella delle classi sociali.
Così, togliendo all'hegelismo nazionalismo, conservatorismo e il suo carattere controrivoluzionario, lo trasformò in un
nuovo tipo di "radicalismo rivoluzionario".
Esso divenne il progenitore delle forme più importanti di socialismo di partito dell'800 ed infine nel comunismo di oggi.
Come Hegel, egli credeva che la dialettica fosse un potente strumento logico, l'unico in grado di rivelare una legge di
sviluppo sociale. La sua era perciò una filosofia della storia.
In Marx, come in Hegel, la forza propulsiva del mutamento è la lotta ed il fattore determinante è il potere. La lotta è tra
le classi sociali anziché tra le nazioni e il potere, anziché politico, è economico
Marx non aveva alcuna fede nella capacità della legislazione di rimediare ai mali economici.
LA RIVOLUZIONE PROLETARIA.
La filosofia sociale di Marx era basata sul sorgere della consapevolezza ed infine del potere politico della classe
operaia. Egli presentava il capitalismo come un'istituzione che aveva prodotto una classe di uomini che, vivendo solo
del loro salario, erano legati ai datori solo da un rapporto economico. Il loro lavoro è merce che si compra in un libero
mercato ove unico obbligo è pagare il prezzo corrente. Il rapporto tra lavoratore e datore si sveste del significato
umano divenendo un rapporto di potenza.
Per Marx il capitalismo era un'istituzione e come tale una fase dell'evoluzione sociale moderna.
Il passo in avanti dopo la rivoluzione politica francese era una più profonda rivoluzione sociale ad opera della nascente
classe operaia che doveva sostituire la borghesia al potere così come questa aveva sostituito l'antica classe feudale.
La filosofia proletaria doveva essere una rivendicazione socialista dei diritti umani dei non possidenti. Questa classe
proletaria, senza alcuna classe sociale sotto di essa, non avrebbe potuto trasferire lo sfruttamento, ma lo avrebbe
abolito, costituendo il primo passo verso una società senza distinzioni di classi sociali.
Marx credeva che la storia sociale dovesse culminare nell'ascesa del proletariato (come Hegel aveva previsto l'ascesa
della Germania). Per Hegel il meccanismo del progresso era la guerra tra le nazioni; per Marx l'antagonismo tra le
classi sociali.
Entrambi vedevano il corso della storia come razionalmente necessario, un modello di stadi che si sviluppano secondo
un piano logico avanzando verso un fine predeterminato.
Il materialismo dialettico o economico era la dottrina secondo cui l'evoluzione sociale dipende dallo sviluppo della
produzione economica ("Manifesto del partito comunista" 1848).
La filosofia sociale del marxismo è dipendente dalla validità della sua tesi principale: che lo sviluppo della produzione
economica in una società determina la sua sovrastruttura istituzionale ed ideologica.
IL MATERIALISMO DIALETTICO.
La dialettica era per Marx, come per Hegel, una legge della logica. Essa forniva una teoria "a priori" del progresso .
Marx tendeva ad identificare il materialismo con la scientificità, perché le reali forze motrici della storia di una società
sono le sue condizioni materiali; un rifiuto radicale della religione come una della grandi forze conservatrici. La religione
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fornisce soddisfazioni immaginarie che sviano ogni sforzo razionale diretto a raggiungere le vere soddisfazioni (il
Cristianesimo = l'oppio del popolo).
Il materialismo aveva per Marx significato etico: la radice della diseguaglianza sociale è economica; solo abolendo la
proprietà privata l'intera struttura muterà di colpo.
La società senza classi è l'obiettivo dello sviluppo sociale.
IL DETERMINISMO ECONOMICO.
La tesi che le forze motrici della storia sociale sono materiali, significava per Marx che tali forze sono economiche.
Economico per lui era il metodo della produzione economica perché qualsiasi sistema di produzione porta con se un
modo di distribuzione del prodotto sociale, l'unico che può mantenere in funzione il sistema; a sua volta la distribuzione
crea le classi sociali, ciascuna delle quali è determinata dalla sua posizione nel sistema.
I mutamenti nel sistema di produzione spiegano quelli corrispondenti che si verificano nella politica e nella cultura:
Questa è la teoria marxista del "determinismo economico", che è il significato che egli attribuiva al "materialismo
dialettico".
Il corso normale dello sviluppo sociale è: feudalesimo, capitalismo, socialismo con una forma di organizzazione politica
confacente a ciascun sistema.
Il materialismo di Marx era in contrasto con l'idealismo hegeliano.
La società civile, non lo stato, è il fattore primario dell'evoluzione sociale.
I rapporti legali che costituiscono lo stato e tutte le idee morali e religiose sono solo sovrastrutture costruite sulla base
economica della società civile. L'ordine economico produce, mentre la mente non fa che riflettere.
In Hegel la dialettica "sta sulla testa", il materialismo dialettico la "rimetteva in piedi" rimuovendo le mistificazioni
dell'idealismo e sostituendovi le realtà del sistema industriale.
Marx, come Hegel, considerava gli ideali e i desideri personali come capricci.
L'ideale è soltanto attribuito alla spinta interna del sistema stesso che è buono perché è inevitabile; è cioè l'obiettivo
finale dell'evoluzione del sistema.
La legislazione è indotta a mutare il sistema industriale ed è solo un passo verso la rivoluzione.
Il sistema capitalistico deve essere alla fine annientato per creare un sistema migliore.
Nel 1848 Marx ed Engels nel "Manifesto comunista" , che divenne uno dei più grandi testi rivoluzionari, si servirono
della lotta di classe come di una chiave per "ogni società sino ad ora esistente".
Marx omise del tutto di valutare le possibilità di evoluzione insite nel sistema capitalistico.
La classe aveva per Marx l'unità collettiva che la nazione aveva per Hegel.
L'individuo conta soprattutto per la sua appartenenza alla classe perché le sue idee sono in gran parte un riflesso delle
idee generate dalla classe.
Le forze della produzione di Marx, come lo spirito del mondo di Hegel, creano illusioni e mistificazioni per realizzare il
loro scopo, e le classi di Marx producono le ideologie a loro confacenti similmente al modo in cui Hegel pensava che lo
spirito della nazione avesse prodotto una cultura nazionale.
La concezione di Marx del capitalismo derivava soprattutto dalla storia dell'industria inglese.
Le classi tra le quali si sviluppa la lotta di classe erano per Marx una classe media urbana e commerciale fedele alle
libertà civili e politiche della rivoluzione, contrapposta ad un proletariato urbano più interessato alla sicurezza
economica che alla libertà politica.
I contadini e la piccola borghesia erano per Marx classi politicamente inerti.
La genericità del concetto di classe sociale fu all'origine di alcuni dei suoi più gravi errori di previsione. I contadini sono
divenuti operai dell'industria solo sotto coazione, come è impossibile attribuire ad artigiani indipendenti ed impiegati
d'ufficio le stesse esperienze di lavoro: l'aspettativa di un'unificazione di ogni tipo di lavoratore dipendente nella classe
dei salariati era infondata.
IL COMPENDIO DI MARX.
I concetti di ideologia, determinismo economico e della lotta di classe dovevano fornire una guida per la strategia
dei partiti rivoluzionari e lo stimolo per la rivoluzione operaia, perché l'obiettivo di una filosofia, come diceva Marx, non
è di interpretare il mondo, ma di cambiarlo.
Caratteristica di questa filosofia è la costante genericità, cioè l'impossibilità di distinguere chiaramente fra la base
economica e la sovrastruttura; ciò inficia la pretesa della scientificità del suo socialismo. Ogni ragionamento serio in
politica deve semplicemente basarsi sul presupposto che è possibile distinguere il vero dal falso. Questa capacità non
è più tipica di una classe sociale che di un altra.
Il determinismo economico è stato un fattore, non certo l'unico, che ha reso lo studio della politica più realistico di
quanto non fosse possibile con la divisione degli utilitaristi tra politica economica, o con una prospettiva completamente
legalificata dell'argomento.
Il diritto è un corpo di norme che sostiene ciò che la classe sfruttatrice chiama "i suoi diritti".
Ciò che Marx aveva tentato di fare era di trattare il capitalismo come un'istituzione sociale.
Il suo programma comportava uno studio approfondito delle origini economiche delle classi sociali esistenti ed
un'analisi esauriente della natura dell'antagonismo tra le classi: Questi due indirizzi d'indagine formarono l'argomento
principale de "Il Capitale".
Egli credeva erroneamente che il capitalismo dipendesse da una progressiva riduzione del tenore di vita dei lavoratori.
Il Capitale fu il primo poderoso attacco etico alla mera bruttura morale di una società acquisitiva priva della giusta
protezione per la sua forza operaia industriale.
Fu questo appello che formò gli eserciti di lavoratori del socialismo marxista.
L'obiettivo principale del Capitale era quello di mostrare che il capitalismo, distruggendo se stesso, doveva partorire il
socialismo che ne era l'antitesi..
La teoria scientifica del capitalismo era per Marx quella del "valore - lavoro" (Ricardo); il concetto fondamentale
dell'analisi di Marx era quello del "plusvalore" volto a dimostrare dialetticamente l'incoerenza logica della teoria
capitalista.
VALORE - LAVORO = in un sistema di libero scambio, ognuno riceve alla fine un valore equivalente a quello che ha
dato al mercato, percependo così una parte equa del prodotto sociale.
PLUSVALORE = in un sistema industriale ove i capitalisti detengono i mezzi di produzione, il lavoro sarà sempre
costretto a produrre di più di quanto percepisce. I salari si avvicineranno al minimo di sussistenza a causa del sistema
della proprietà privata, soprattutto quella dei mezzi di produzione e la posizione di monopolio del capitalista nell'ambito
del sistema lo metterà in grado di accaparrarsi ciò che avanza sotto forma di profitti e rendite.
In realtà sebbene, come si attendeva Marx, il capitalismo abbia raggiunto proporzioni internazionali, la classe operaia
non ha dimostrato alcuna tendenza ad unirsi in una lotta di classe internazionale (come credeva Lenin nel 1914).
Le rivoluzioni sociali si sono verificate in Russia e in Cina, non in Inghilterra e in Germania.
Vi sono stati due grandi movimenti politici che hanno entrambi preteso di rappresentare la versione autentica del
marxismo, e questi sono ad un tempo così simili e così inspiegabilmente diversi che il loro rapporto con Marx è
importante per capire la sua filosofia.
Il primo è il socialismo di partito come esiste nell’Europa occidentale fino alla prima guerra mondiale.
Il secondo è il comunismo come è esistito dalla rivoluzione russa del 1917 in avanti.
Il secondo si è sviluppato dal primo, perché Lenin era dirigente di un partito marxista russo.
La rivalità tra comunisti e socialisti fu sempre aspra. Diversamente da quelli comunisti, i partiti socialisti nel 1914
ebbero posizioni di potere politico in diversi paesi dell’occidente europeo, specialmente in Germania. Il loro potere si
accrebbe con i voti in libere elezioni, da che il suffragio era stato esteso alla classe operaia.
Il partito di Lenin non fu mai un partito popolare che raggiungeva i suoi obiettivi con l’appoggio delle masse. Tuttavia
entrambi derivavano le loro diverse concezioni dalla strategia di Marx.
Una società socialista come Marx s’era immaginato era divenuta un ideale a cui avvicinarsi attraverso modi politici
liberali ed un lunghissimo processo.
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L’ideale comunista: “Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”.
Nella transizione dal capitalismo al comunismo lo stato non può essere altro che una dittatura rivoluzionaria del
proletariato.
IL COMUNISMO.
La filosofia del comunismo è una versione riveduta del marxismo in gran parte ad opera di Lenin, chiamato spesso per
questo marxismo-leninismo.
“ Il leninismo è il marxismo dell’epoca dell’imperialismo e della rivoluzione proletaria” (Stalin, 1924).
Ciò che Lenin conseguì in Russia fu il portare il marxismo al successo in un paese con un industria poco sviluppata,
un’economia prevalentemente agraria e una popolazione in gran parte contadina.
Un tipo di paese che era sempre stato impervio al marxismo dell’Europa occidentale.
Si può definire il leninismo come un adattamento del marxismo a un economia non industrializzata ed a una società
prevalentemente contadina; la sua importanza mondiale dipende dal fatto che il mondo è pieno di tali società.
Il marxismo di Lenin fu estremamente flessibile; egli unì la più rigida ortodossia della dottrina marxista alla più grande
flessibilità nella prassi, la quale veniva spesso prima delle sue teorie.
Sia Lenin che Trotskji, nel loro ruolo di rivoluzionari russi, furono spesso ostacolati dalla loro fedeltà alle tradizioni del
marxismo occidentale.
La formazione del leninismo avvenne gradualmente cercando linee politiche efficaci ed adattandole nel modo migliore
possibile allo schema generale del marxismo.
IL MARXISMO RUSSO.
Un partito socialista marxista fu organizzato in Russia nel 1880. Fu un socialismo indigeno con una filosofia rurale e
umanitaria.
Principio era che una società socialista poteva svilupparsi dal comunismo primitivo della campagna russa, scavalcando
la fase dell’industrializzazione, ma questo tentativo fallì e i marxisti russi conclusero che la propaganda doveva essere
rivolta alla classe operaia industriale (in Russia come altrove) anche se questa era in Russia una piccola minoranza.
Lenin fu sempre convinto che il successo della rivoluzione dipendesse almeno dalla acquiescenza dei contadini. Così
nel 1917 se la assicurò, rimandando la soluzione socialista della produzione agricola, utilizzando la “fame di terra” dei
contadini, per neutralizzarli in una passività temporanea in attesa del ripristino della produzione industriale.
La rivoluzione russa del 1905 dimostrò che una rivoluzione borghese era possibile e pose il problema di quale dovesse
essere la linea politica di un partito socialista rivoluzionario in una società arretrata dove la borghesia era dalla parte del
progresso impedendo ai socialisti di perseguire i loro obiettivi.
Nessun marxista russo credeva sino e dopo il 1917 che la rivoluzione russa sarebbe stata duratura senza l'appoggio di
altre rivoluzioni nei paese industriali dell’Europa occidentale.
Lenin creò il partito socialdemocratico del lavoro (1902) e fu capo dell’area bolscevica (=maggioranza; menscevica =
minoranza).
I bolscevichi vedevano il movimento come una cospirazione clandestina con un nucleo di rivoluzionari professionali
fanaticamente fedeli alla rivoluzione, avanguardia degli elementi potenzialmente rivoluzionari tra sindacati e operai.
I menscevichi individuarono lo scopo del movimento nell’organizzazione della classe operaia ai fini dell’attività politica
legale.
Il marxismo di Lenin era tipicamente russo e più vicino agli scritti rivoluzionari di Marx del 1850 che non alla linea
seguente della tradizione marxiana d’occidente.
Lenin diceva che la classe operaia non ha per natura una forte inclinazione rivoluzionaria ed ha una capacità limitata di
pensare al proprio posto nella società o come migliorarlo.
Tutto ciò andava contro la tradizione di Marx che sia l’esperienza dell’industria che crea un proletariato e gli da la
sostanza rivoluzionaria. Il pensiero di Lenin era fortemente antidemocratico, come se non si fidasse realmente del
proletariato. Il suo proletariato ha bisogno di essere diretto da dirigenti che non sono proletari ma sanno ciò che questo
dovrebbe volere.
L’implicazione pratica era fortemente manipolativa: IL PROLETARIATO HA BISOGNO DI ESSERE GUIDATO A
COMPORTARSI COME TALE.
Lenin contrapponeva la coscienza alla spontaneità:
Coscienza significava in generale intelligenza, calcolo, organizzazione.
Spontaneità, al contrario, è impulso, istinto, desiderio.
Le masse incarnano la spontaneità, così come il partito incarna la coscienza. Esso è un’Élite intelligente e priva di
potere proprio, ma capace di un potere immenso se riesce a controllare la spinta del malcontento sociale e l’azione
della masse.
Il suo partito, per la sua superiorità intellettuale, doveva essere una élite scelta per la parte più avanzata della classe
operaia e quindi la sua avanguardia.
La democrazia aveva per Lenin scarsa importanza. Non significava che un leader democratico dovesse attuare la
volontà popolare, perché questa è sempre miope e sbagliata.
Il partito aveva 2 caratteristiche principali tipiche di tutti i partiti comunisti:
1) un’eccezionale conoscenza e penetrazione del marxismo unito al metodo della dialettica.
2) Il partito non era creato per divenire un’organizzazione di massa. Il suo ideale era un’organizzazione quasi militare
che assoggettasse i suoi membri a una rigida disciplina e i dirigenti ad una gerarchia dall’alto verso il basso
(Centralismo democratico).
Lenin prese il potere nel 1917.
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LENIN SUL MATERIALISMO DIALETTICO.
Lenin era un uomo freddo, astuto, privo di scrupoli, pronto a manipolare il suo marxismo come i suoi alleati in vista dei
propri obiettivi.
Prese alla lettera il pensiero di Marx per cui i filosofi hanno solo interpretato il mondo, mentre il problema è quello di
cambiarlo.
La dialettica per Lenin era come la scienza o la magia; essa sta tra il passato e il presente e fornisce la conoscenza di
ciò che è stato e la visione di ciò che deve essere.
Nel suo libro “Materialismo ed empiriocriticismo” , egli discusse la dialettica, ma il movente del libro fu quello di
sedare una disputa di partito. Da Engels Lenin trasse il dogma secondo cui solo due tipi di sistema filosofico sono
possibili: il materialismo e l’idealismo.
L’inclinazione mentale di Marx era quella di un uomo che rispettava i fatti; quella di Lenin di un uomo che aveva una
fede: Se i fatti vanno contro la fede, tanto peggio per i fatti.
L’imparzialità scientifica è non solo impossibile, ma anche indesiderabile.
Il massimo che una teoria veramente scientifica della società può scoprire è uno schema generale dell’evoluzione
economica e storica e la logica che la realizza: tutto questo il materialismo dialettico lo fornisce. Nel suo materialismo
dialettico sono possibili due sistemi di scienza sociale: uno creato nell’interesse della borghesia, e uno nell’interesse del
proletariato.
Per Lenin la scienza sociale proletaria è superiore perché è l’espressione di una classe in ascesa.
Regola del marxismo era che tutte le società debbono passare attraverso i tre stadi del feudalesimo, del capitalismo e
del socialismo e che la transizione doveva avvenire mediante una rivoluzione. Nel fine secolo l’Europa occidentale
aveva trovato una soluzione: i socialisti avrebbero sostenuto le riforme liberali ma non sarebbero entrati in governi di
coalizione con partiti borghesi. Questa soluzione era priva di senso per un marxista russo. Con la teoria della
“rivoluzione permanente” Trotskji risolse il problema della priorità della rivoluzione borghese su quella proletaria
dicendo: in un paese economicamente arretrato, il proletariato può prendere il potere prima che non nei paesi in cui il
capitalismo è sviluppato. Le due rivoluzioni si fonderanno, il potere passa nelle mani di chi ha guidato la lotta: la classe
operaia; e il governo rivoluzionario sarà una dittatura proletaria. Trotskij chiamò la fusione delle due rivoluzioni “la legge
dello sviluppo combinato”.
La rivoluzione del 1917 iniziò sulla base della concezione di Trotskji formulata nel 1906.
Lenin voleva nazionalizzare la terra, trasformando i contadini in affittuari dello Stato, compiendo un passo verso
l’economia borghese e la relativa rivoluzione, mantenendo una alleanza provvisoria con la classe contadina in attesa di
un’alleanza con il proletariato dell’Europa occidentale.
L’IMPERIALISMO CAPITALISTICO.
La defezione dei marxisti occidentali amareggiò Lenin che scoprì che il proletariato, che secondo Marx era
rivoluzionario, in realtà non lo era affatto. L’industrialismo capitalistico non aveva prodotto un proletariato rivoluzionario
proprio in quei paesi dove maggiore era il capitalismo.
A spiegazione di tali fatti creò una teoria per la quale l’imperialismo politico è uno sviluppo logico del capitalismo
monopolistico e la guerra è uno sviluppo logico dell’imperialismo. Per questo l’imperialismo “lo stadio più avanzato dello
sviluppo capitalistico” ed è uno stadio transitorio che conduce ad una superiore economia e a società comuniste.
Il proletariato occ. Si è alleato con la borghesia per sfruttare i popoli coloniali.
La guerra avrebbe rovesciato questo orientamento e fatto del proletariato occ. La guida contro gli oppressori capitalisti
ed imperialisti.
Lenin modificò i fondamenti del marxismo per fare causa comune fra comunismo e popoli coloniali, contro le potenze
imperialiste.
Una teoria neomarxiana dell’evoluzione sociale invece di distinguere tra classi sociali e spiegare i mutamenti attraverso
la tensione tra queste tracciava la sua distinzione tra popoli e società: società capitalistiche altamente industrializzate
da una parte e società sottosviluppate preindustriali dall’altra.
Nell’aprile del 1917 Lenin credeva che il momento per prendere il potere era venuto.
La democrazia come “stadio necessario” verso il socialismo fu un concetto che Lenin rivisitò dicendo che essa può
avere solo un valore strumentale. Nella sua scala di valori c’era solo fare la rivoluzione, per il resto i suoi criteri morali
erano generalmente manipolatori.
Lenin riconobbe l’importanza dei soviet come organi della lotta diretta delle masse.
Nell’ottobre del 1917 il partito aveva assunto il controllo dei soviet. Nelle ultime elezioni libere alla fine del 1917 i
bolscevichi raccolsero circa ¼ dei voti.
LA RIVOLUZIONE IN PROSPETTIVA.
Lo stato borghese deve terminare in una rivoluzione violenta che esproprierà i capitalisti proprietari dei mezzi di
produzione ed istituirà uno stadio intermedio in grado di evolvere verso il comunismo.
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Nessuno stato può essere libero; lo stadio intermedio è ancora uno stato, quindi una dittatura, la dittatura rivoluzionaria
del proletariato organizzato come classe di governo per imporre con violenza i propri obiettivi agli elementi non proletari
che rimangono nella società.
La dittatura del proletariato deve controllare la classe sfruttatrice o per prevenire una controrivoluzione ed organizzare
il nuovo ordine economico e sociale.
Quest’ultimo è compito del partito che è il maestro, la guida e il capo delle classi sfruttata.
In “Stato e rivoluzione” affermava che la dittatura del proletariato sarà la dittatura del partito.
Il tentativo, dopo la rivoluzione, di affidare ai lavoratori le fabbriche portò quasi in rovina l’economia.
Il principio di Lenin era “da ciascuno secondo la sua capacità, a ciascuno secondo il suo lavoro” che identificava la
società comunista finale.
Il successo della rivoluzione bolscevica del 7 nov. 1917 mise Lenin e il partito di fronte ad un nuovo problema: un
gruppo di rivoluzionari doveva essere trasformato in un governo.
Incoraggiò i contadini ad espropriare i proprietari terrieri, ma questo rischiò di creare una classe ancor più potente di
contadini proprietari, un settore borghese non assimilabile alla società socialista. I soviet perdettero di importanza, il
solo strumento che doveva produrre un governo era il partito; esso era l’unico gestore del potere e al suo interno,
anche se con notevole divergenza sui metodi, il dominio di Lenin rendeva il gruppo compatto con una ferrea disciplina
di partito.
Lenin e Trotskji con la loro politica misero fuori legge, come controrivoluzionari, i partiti borghesi e poco dopo quelli
socialisti compresi i menscevichi marxisti che furono interdetti.
Verso il 1931 ogni forma di opposizione era stata costretta alla clandestinità.
L’unico centro di potere era il partito che governava come unico portavoce ammesso dal proletariato. Nel 1919 Lenin
riunì insieme i gruppi della sua ideologia nella terza internazionale o internazionale comunista.
I partiti membri dovevano, per essere ammessi, copiare la tattica e l’organizzazione del partito russo, che divenne un
modello per i partiti comunisti di ogni paese, tutti legati dalle decisioni dell’internazionale.
L’avanguardia del proletariato significa quindi che il partito, mediante l’infiltrazione e la sovversione, occuperà posizioni
di controllo o di influenza nel governo e nelle istituzioni di massa, finché non si potrà sostituire questi metodi con la
forza.
Lenin stava sostituendo il partito alla classe operaia motivandolo così: il socialismo è governo operaio; i lavoratori
debbono essere guidati da un partito; esso deve essere una minoranza; la minoranza deve essere la parte più
organizzata della classe operaio; e questo è quello che è il partito comunista.
L’avanguardia del proletariato è governo di un élite auto e3lettasi che comprende la parte più qualificata del popolo. un
governo privo di limiti costituzionali, privo anzi di limiti di merito salvo quelli imposti dal successo.
L’elise possiede una scienza di governo superiore che da una visione chiara secondo la pretesa della definizione del
partito.
Nella prima costituzione del 1936 il partito era definito come quello che rappresenta il nucleo guida di tutte le
organizzazioni del mondo lavoratore.
Presentando la costituzione Lenin chiarì che questa non toccava in alcun modo la posizione del partito. Spiegò anche
la razionalizzazione che giustificava il sistema del partito unico: nella Unione Sovietica la lotta di classe era stata
abolita.
IL CENTRALISMO DEMOCRATICO.
Il socialismo in un solo paese divenne il fattore operativo del leninismo. Su questa parola d’ordine la Russia emerse
come una grande potenza industriale e militare, dando inizio, nel 1928, al primo dei “piani quinquennali”, i quali
divennero – legando il comunismo al motore del nazionalismo russo – il primo esperimento di un'economia totalmente
pianificata. E con il successo il comunismo russo divenne un modello per le società contadine di tutto il mondo che
avevano aspirazioni nazionali.
L’accettazione da parte del partito del socialismo in un solo paese significò l’adorazione dell’industrializzazione forzata
che Stalin iniziò nel 1928 e la collettivizzazione forzata dell’agricoltura.
In poco più di un decennio il partito creò in Russia una forza militare capace di resistere al massacro tedesco della
seconda guerra mondiale.
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Creò un sistema industriale con un’espansione illimitata e un ritmo di crescita annuo elevatissimo.
Creò un governo abbastanza stabile da dirigere le forze militari e il sistema industriale.
Il socialismo in un solo paese tagliava l’ultimo legame con il “determinismo economico” già reso tenue da Trotskij con la
teoria della rivoluzione permanente e dalla teoria dell’imperialismo di Lenin.
L’appello di Stalin al patriottismo russo era perché restava una mera differenza verbale tra la costruzione della patria
socialista e quella della patria russa.
Il regime era socialista solo nel senso che la nazione possedeva i mezzi di produzione; le sue realtà erano
l’assolutismo politico e gli imperativi dell’industrializzazione.
Esso pretendeva di aver abolito lo sfruttamento con questa argomentazione: ”Gli operai sono “proprietari” delle
fabbriche e non possono sfruttare se stessi.”
Il concetto di uno stato nazionale che è anche socialista era dal punto di vista della filosofia marxista una mostruosità
logica, in quanto il marxismo non aveva alcun concetto positivo di stato o di nazione e aveva sempre concepito il
socialismo come incompatibile con ambedue.
Il “Manifesto del partito comunista” aveva posto il principio che “i lavoratori non hanno patria” posto come una forza che
emancipasse i lavoratori da un’illusione paralizzante.
In Russia sia il partito che il governo abbandonarono ogni pretesa di rappresentare la classe operaia, in quanto unico
obiettivo era quello di costituire un sistema industriale su larga scala.
Il regime coartò gli operai come ogni altro gruppo per favorire la classe sociale dei nuovi manager e dei tecnici che
stava creando. Il socialismo in un solo paese ha prodotto un cambiamento importante nell’orientamento internazionale
della Russia.
L’adozione della linea di Stalin significava l’abbandono della dottrina che il comunismo dipendeva dal sostegno della
classe operaia dell’Europa occidentale, in quanto non c’era alcuna ragione perché questi lavoratori, con un tenore di
vita superiore, sindacati indipendenti, governi liberali, fossero attratti dal comunismo.
La conseguenza internazionale del comunismo in un solo paese è stata la divisione tra due blocchi di potenze descritti
in vario modo come capitalistici - comunisti; imperialisti - amanti della pace; o semplicemente oriente –
occidente.
All’interrogativo: perché, dato che non esistono più classi sfruttatrici, lo stato non comincia a “dissolversi”? Stalin - con
la risposta consueta del teorico marxiano quando le predizioni non si verificano – motivava che ancora esistevano “nidi
di spionaggio” diffusi dalle potenze imperialiste. Per cui lo stato sarebbe rimasto anche nel periodo del comunismo a
meno che, nel frattempo, tutto il mondo diventasse comunista.
Ciò che Lenin lasciò in eredità al comunismo fu un atteggiamento morale assai più importante del suo contenuto
intellettuale. Fu questo che fece del comunismo una fede militante, una dedizione ai principi e alla difesa di essi.
La somiglianza con il calvinismo del 17° secolo è evidente, ma cambia il contenuto delle due morali. Il calvinismo era
dedizione all’integrità personale e alla libertà. Il comunismo era dedizione a un partito e ad una causa.
Entrambe le morali avevano una comune debolezza, poiché il rimedio morale alla concentrazione di tutta la vita in un
unico fine è l’ipocrisia.
Caratteristica dell’etica comunista era che la moralità è sostanzialmente strumentale e manipolativa (legata agli
interessi della classe e alla lotta per il potere).
Lenin assegnò al marxismo, e al suo partito, il duplice ruolo di morale e di religione, col potere di dirigere non solo il
governo ma anche la letteratura e le arti.
SCHEMA APPUNTI
S. AMBROGIO (350 d.C.) Autonomia della chiesa in materia spirituale con giurisdizione su tutti i cristiani compreso
l'Imperatore il quale è dentro la chiesa, non sopra di essa. Non discusse il dovere dell’obbedienza civile.
S. AGOSTINO (400 d.C.) "La Città di Dio" L'uomo è cittadino di 2 città, quella dov'è nato e la città di Dio. (Seneca). La
città terrena è il regno di Satana, la città celeste è il regno di Cristo. Fine dello stato è realizzare giustizia e diritto, ma lo
stato deve anche essere una chiesa, giacché la forma dell'organizzazione sociale era religiosa. La chiesa era per
Agostino la marcia di Dio nel mondo. Un vero stato deve essere cristiano. I poteri esistenti sono ordinati da Dio.
L'uso della forza nel governo era reso necessario come rimedio scelto da Dio contro il peccato.
Per Agostino le due società (terrena e celeste) si confondono nella vita terrena per essere separate nel giudizio finale.
S. GREGORIO (550 d.C.) Anche un cattivo reggitore ha diritto all'obbedienza passiva (santità del governo). Le azioni
del sovrano restano tra Dio e la sua coscienza. Questa concezione della santità del governo maturò in un'età in cui
l'anarchia era un pericolo maggiore che non il controllo degli imperatori sulla chiesa.
La "Dottrina delle due spade" (Papa Gelasio I) è la divisione dei poteri tra stato e chiesa, riuniti in Dio.
DANTE (1300).
L'imperialismo di Dante fu solo un ideale di pace universale dato che la politica papale era fonte di discordia infinita. Il
potere imperiale deriva da Dio ed è quindi indipendente dalla chiesa, quello spirituale è del papa. Siccome i due poteri
sono riuniti solo in Dio, l'Imperatore non ha in terra nessuno che gli sia superiore. L'autorità deriva da dio e dal popolo.
Il potere del re è superiore a quello del suddito, ma inferire a quello del complesso sociale
MACHIAVELLI (1513).
Il papa divenne tra i sovrani Italiani. Non c'era in Italia una potenza così forte da darle unità. Machiavelli ritenne la
chiesa responsabile di questo stato di cose OPERE: "Il Principe" (tratta delle monarchie e dei governi assoluti)
"Discorsi sulla prima deca di Tito Livio" (L'espansione della Repubblica di Roma). Gli uomini sono generalmente cattivi,
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egoisti, aggressivi ed acquisitivi, con la conseguenza di essere sempre in una condizione di lotta e di competizione che
minaccia l'anarchia, impedita solo dalla forza della legge, da cui la sicurezza è possibile solo se il governo è forte. Gli
obblighi morali debbono perciò derivare dalla legge e dal governo (Hobbes).
CALVINO (1540)
Il calvinismo venne a trovarsi in opposizione ai governi che non riusciva a convertire, perciò il principio di "obbedienza
passiva" fu annullato dai suoi seguaci (Knox).
Calvino si opponeva ad una combinazione tra stato e chiesa; una chiesa libera con l'appoggio del governo per
obbligare i recalcitranti. La dottrina calvinista della predestinazione era la fede in un sistema cosmico di
disciplina quasi militare. Il calvinismo cercò di dare al clero un grande potere. Le istituzioni secolari sono anch'esse
mezzi di salvazione. La "dottrina della predestinazione" era il mandato dei santi a governare
ROUSSEAU (1750).
Senza riverenza, fede ed intuizione morale non esiste carattere ne' società. Rousseau riuscì a trascinare la filosofia
dalla sua parte contro la tradizione (illuministica) che le era propria. Egli attaccò la filosofia dell'individualismo
sistematico attribuibile ad Hobbes e Locke. Rousseau desunse da Platone il presupposto implicito nella filosofia della
città-stato, cioè la soggezione politica sia essenzialmente un fatto etico e che la comunità stessa sia la massima
rappresentante della moralità esprimendo quindi il più alto valore etico; fuori dalla società non esiste morale, da essa
gli individui traggono la loro felicità e diventano umani; la categoria morale fondamentale non è l'uomo, ma il cittadino.
Gli uomini sono naturalmente buoni. L'egoista calcolatore non esiste in natura, ma in una società corrotta. Il
"CONTRATTO SOCIALE (1762) ove Rousseau tratta della volontà generale e critica il diritto naturale. Il governo altro
non è che il rappresentante del popolo, talmente privo di poteri indipendenti da non costituire parte contraente. La
volontà generale rappresentava un fatto unico riguardo a una comunità, vale a dire che vi è un bene collettivo della
comunità che non coincide con gli interessi privati dei suoi membri. La comunità vive la sua vita, essa ha una sua
volontà: la volontà generale. La volontà generale è sempre giusta, perché vuole il bene sociale che costituisce in se la
norma del diritto. Ciò che non è giusto non è volontà generale. La sovranità appartiene al popolo con una democrazia
diretta ove i cittadini prendono parte alle riunioni civiche.
T.H. GREEN
La revisione della dottrina liberale fu compiuta tra il 1880 e il 1900 dagli idealisti di Oxford, il cui maggior esponente fu
Tommaso Hill Green. I problemi filosofici del liberalismo erano la natura della personalità e della comunità sociale e il
rapporto tra le due. Suo fine era dimostrare che la personalità si realizza trovando parte significativa nella vita della
società.
La politica era un mezzo alla creazione di condizioni sociali tali da rendere possibile il progresso morale. La funzione di
un governo liberale è di appoggiare l’esistenza di una società libera, rimuovendo molti degli ostacoli che sono sulla via
del progresso morale. Il principio generale dell'etica di Green era la reciprocità di rapporto tra l'individuo e la comunità
sociale di cui egli è membro ("la persona è una persona sociale"). Il governo si fonda sulla volontà, non sulla forza,
perché il LEGAME CHE UNISCE GLIUOMINI ALLA SOCIETA' E' LA COSTRIZIONE DELLA LORO STESSA
NATURA., non la penalità della legge o il calcolo di ulteriori benefici. Perciò la coercizione dovrebbe essere ridotta al
minimo. Per Green, come per Kant, una comunità di persone è un "Regno di fini", in cui ognuno è trattato come fine e
non puramente come mezzo. Questa verità era per lui contenuta nella legge naturale. La legge guarda l'esteriorità
della condotta e non lo spirito e l'intenzione dietro di essa. La fede di Green era nella realtà di una scienza sociale che
regolasse la legge e ne fosse sostenuta. Questa libertà morale che nasceva dalla personalità era per lui la base del
liberalismo politico.
APPROFONDIMENTI SU AUTORI
Bodin, Jean (Angers 1530 - Laon 1596), storico, giurista ed economista francese, difensore della monarchia, che
contribuì in modo rilevante alla filosofia politica nel XVI secolo. Studiò a Tolosa e divenne avvocato a Parigi nel 1561.
Tra il 1584 e il 1588 esercitò la funzione di luogotenente generale del baliato di Laon, dove divenne procuratore del
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re. Protestante, accusato di eresia, fu autore di un Methodus ad facilem historiarum cognitionem (Metodo per
l'apprendimento facilitato della storia, 1566) nel quale sottolineava come la conoscenza della storia e del diritto
consente la deduzione dei principi della politica. L'opera più importante di Bodin è il trattato I sei libri della repubblica,
pubblicato nel 1576: un'inchiesta sulla natura dello stato con lo scopo di individuare il miglior regime politico possibile,
ricusando l'approccio utopistico adottato, tra i suoi predecessori, in particolare da Thomas More. Bodin propose una
teoria della sovranità come fondamento dello stato, manifestando una netta preferenza per il regime monarchico.
Occorre notare che Bodin non introdusse la questione della religione nel suo trattato: quest'ultima, secondo lui, è
indipendente dal diritto e dalla politica.
Grozio, Ugo Nome italianizzato di Huig de Groot (Delft 1583 - Rostock 1645), giurista e teologo olandese, fondatore
del moderno diritto internazionale. Autore di poesie in latino già all'età di otto anni, Grozio si iscrisse all'università di
Leida all'età di dodici; unitosi nel 1598 alla missione inviata presso Enrico IV di Francia, rimase a Orléans per
continuare gli studi. Ritornato in Olanda nel 1599, esercitò la professione di avvocato.
Nel 1625 pubblicò la sua opera più importante, De jure belli ac pacis (Sul diritto di guerra e di pace), in cui
denunciava la guerra come violazione del diritto naturale. Secondo Grozio la guerra sarebbe infatti ammissibile solo
per una giusta causa, una volta fallito ogni tentativo di conciliazione. In Francia, dov'era fuggito per motivi politici,
completò l'opera De veritate religionis christianae (La verità della religione cristiana, 1627), un'affermazione non
settaria delle verità del cristianesimo, che fu ampiamente tradotta e gli fruttò un grande successo. Morì al suo ritorno
da un viaggio in Svezia, paese di cui era stato ambasciatore a Parigi, quando la nave su cui viaggiava naufragò sulle
coste della Pomerania.
Diritto naturale In filosofia morale, teologia e diritto, un sistema di principi sul quale si presume si fondino le
caratteristiche immutabili della natura umana, che può fungere da modello per la valutazione della condotta
individuale e delle leggi dello stato. La legge naturale è reputata essenzialmente immodificabile e universalmente
applicabile. A essa si oppone il diritto positivo, che viene promulgato dalla società civile.
Formulazioni antiche del diritto naturale
Gli antichi filosofi greci elaborarono per primi una dottrina del diritto naturale. Nel VI secolo a.C. Eraclito parlò di una
comune saggezza che pervade interamente il cosmo, "poiché tutte le leggi umane procedono da una sola legge,
quella divina". Aristotele individuò due tipi di giustizia: "Esistono norme di diritto naturale che possiedono ovunque la
medesima validità e non dipendono dal fatto che le accettiamo o meno e norme giuridiche [convenzionali] la cui
peculiarità risiede nel loro poter essere stabilite indifferentemente in un modo o in un altro".
Gli stoici, in particolare il filosofo Crisippo di Soli, elaborarono una teoria sistematica della legge naturale; secondo lo
stoicismo il cosmo è razionalmente regolato da un principio, il logos, talora identificabile con Dio, talora con la
ragione, talora con il destino. Ogni essere naturale è parte del cosmo, e vivere virtuosamente significa vivere in
armonia con la propria natura, vivere secondo ragione; dal momento che passione ed emozione sono reputate moti
irrazionali dell'anima, il sapiente cerca di estirpare le passioni e di abbracciare consapevolmente la vita razionale.
Questa dottrina fu resa popolare tra i romani da Cicerone, che nel De Republica elaborò una formulazione, poi
divenuta celebre, della nozione di legge naturale: "La vera legge è la retta ragione conforme a Natura; essa è
applicabile universalmente, immutabile ed eterna; tale legge intima l'osservanza dei suoi comandi e scoraggia la
trasgressione dei suoi divieti. Non esisteranno leggi diverse a Roma e ad Atene, o leggi diverse per il tempo
presente e per quello futuro, ma un'unica legge, eterna e immutabile, sarà valida per tutte le nazioni di tutti i tempi".
Nel Corpus iuris civilis, una compilazione e codificazione del diritto romano steso nel 534 durante il mandato
dell'imperatore Giustiniano, viene menzionato uno ius naturale, ma non c'è alcun riconoscimento del primato della
legge naturale su quella positiva, né alcuna rivendicazione dei diritti umani (lo schiavismo, ad esempio, era previsto
dalla legge).
Le concezioni cristiane
I cristiani trovarono molto vicina al loro pensiero la dottrina stoica della legge naturale. San Paolo affermò che i
pagani, non possedendo la legge mosaica, "per natura agiscono secondo la legge" (Romani 2:14). Il teologo
spagnolo del VI secolo Isidoro di Siviglia asserì che la legge naturale è osservata ovunque in virtù di un istinto
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naturale; egli citò come esempi le leggi che prescrivono il matrimonio e la procreazione. I testi di Isidoro riprodotti
dallo studioso italiano Graziano (1140 ca.), all'inizio del Decretum, il manuale di diritto canonico del Medioevo,
stimolarono una vivace discussione tra i filosofi scolastici. L'insegnamento di san Tommaso d'Aquino sulla legge
naturale è quello più largamente conosciuto. Nella Summa Theologiae (1265-1273) Tommaso definì "legge eterna" il
governo razionale che Dio esercita sul creato. La legge eterna fa in modo che tutti gli esseri viventi siano
costitutivamente inclini a compiere le azioni e a soddisfare i desideri che sono loro appropriati. Le creature razionali
partecipano così della medesima ragione divina, denominata "legge naturale", i cui dettami corrispondono alle
inclinazioni fondamentali della natura umana. Secondo l'Aquinate, è quindi possibile distinguere il bene dal male
grazie al lume della ragione naturale.
Le teorie moderne del diritto naturale
Il giurista olandese Ugo Grozio è considerato il fondatore della moderna teoria del diritto naturale. La sua definizione
di "diritto naturale" come il corpus di norme che è possibile scoprire valendosi della sola ragione è tradizionale, ma
nell'esporre l'ipotesi secondo la quale la legge sarebbe valida anche se non esistesse alcun Dio, o nel caso in cui Dio
non interferisse con le vicende umane, egli ripudiò ogni presupposto teologico e preparò il terreno alle teorie
razionaliste dei secoli XVII e XVIII.
I filosofi britannici del XVII secolo Thomas Hobbes e John Locke teorizzarono uno stato di natura primordiale da cui
traeva origine un contratto sociale, e fusero questa teoria con quella del diritto naturale.
Nel XIX secolo lo spirito critico dominò il dibattito sul diritto naturale. In genere si guardò all'esistenza di un diritto
naturale come a qualcosa di indimostrabile, ed esso venne ampiamente soppiantato nella teoria giuridica
dall'utilitarismo, inteso come il conseguimento della "felicità maggiore per il maggior numero", e dal positivismo
giuridico, secondo il quale il diritto si fonda semplicemente sull'"autorità del sovrano".
Le atrocità commesse dalla Germania nazista nel corso della seconda guerra mondiale riaccesero l'interesse per un
fondamento del diritto che possedesse un valore etico superiore a quello della legge positiva. I paesi che
sottoscrissero la Carta delle Nazioni Unite dichiararono che si sarebbero impegnati a "garantire" i diritti umani; il 10
dicembre 1948 l'assemblea generale delle Nazioni Unite adottò la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, la
quale, tuttavia, ha lo statuto di un riconoscimento morale piuttosto che di un documento giuridicamente valido. Vedi
anche Etica.
Hobbes, Thomas (Westport, Malmesbury 1588 - Hardwick 1679), filosofo e pensatore politico inglese. Studiò
all'università di Oxford e nel 1608 divenne precettore di Lord William Cavendish; in seguito si recò in Francia e in
Italia con il suo allievo, incontrando alcuni tra i più grandi scienziati e pensatori dell'epoca, come Galileo, René
Descartes e Pierre Gassendi. Nel 1637, tornato in Inghilterra, si interessò alla disputa costituzionale tra il re Carlo I e
il Parlamento cominciando a lavorare a un "trattatello in inglese" in difesa della prerogativa regia. Questo lavoro
circolò privatamente già dal 1640 con il titolo di Elementi di legge naturale e politica, ma venne pubblicato solo nel
1650. Hobbes, temendo di venire arrestato per il suo scritto fuggì a Parigi, dove rimase undici anni in esilio
volontario.
Nel 1642 finì il De Cive, un'esposizione della sua teoria sul governo dello stato. Dal 1646 al 1648 fu precettore di
matematica del futuro re Carlo II, anch'egli in esilio a Parigi. Il suo lavoro più noto è il Leviatano (1651), una vigorosa
affermazione della sua teoria contrattualista della sovranità. L'opera fu male interpretata dai sostenitori del principe
esiliato e destò i sospetti delle autorità francesi per l'attacco che portava al papato; temendo questa volta di essere
arrestato dai francesi, Hobbes tornò in Inghilterra.
Dal 1660 ebbe la protezione del suo ex allievo, quando questi venne incoronato; ma nel 1666 il re approvò una legge
che includeva il Leviatano tra i libri da esaminare perché sospetti di ateismo. Ciò costrinse Hobbes a bruciare molti
suoi scritti e a posticipare la pubblicazione di tre opere: Behemoth, il Dialogo tra un filosofo e uno studioso del diritto
comune d'Inghilterra e una Historia Ecclesiastica in versi. All'età di 84 anni scrisse un'autobiografia in distici latini,
traducendo in inglese nei tre anni seguenti l'Iliade e l'Odissea di Omero.
La sua filosofia politica è da interpretare come una reazione contro la libertà di coscienza propugnata dalla Riforma,
che a suo parere aveva condotto la società all'anarchia. Ruppe con la tradizione filosofica della scolastica e gettò le
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fondamenta della moderna sociologia scientifica applicando agli individui, considerati sia come soggetti che come
oggetti sociali, i principi della scienza fisica che descrivono il mondo materiale e il rigore dimostrativo della geometria.
Hobbes elaborò la sua dottrina politica ipotizzando uno stato di natura in cui gli uomini hanno paura gli uni degli altri e
debbono pertanto affidarsi alla neutrale, ma assoluta autorità dello stato nelle questioni sia secolari sia religiose.
Locke, John (Wrington 1632 - Oates 1704), filosofo inglese, uno dei fondatori dell'empirismo. Studiò presso
l'università di Oxford; vi ottenne incarichi accademici e fu amico di Robert Boyle e dei più eminenti scienziati del suo
tempo, di cui condivideva gli interessi. Dal 1667 visse nella residenza londinese di Anthony Ashley Cooper, futuro
conte di Shaftesbury, uomo politico di cui fu amico, consigliere e medico. Nel 1675, in seguito alla sconfitta politica di
Shaftesbury, Locke riparò in Francia, dove studiò la filosofia di Cartesio e Gassendi; tornò per un breve periodo in
Inghilterra ma dovette ancora fuggire in Olanda per motivi politici. In seguito alla Gloriosa rivoluzione del 1688,
ritornò in Inghilterra, dove ottenne nuovamente cariche pubbliche.
Empirismo
Nella sua opera principale, Saggio sull'intelletto umano (1690), Locke sistematizzò la dottrina empirista, già illustrata
da Francesco Bacone all'inizio del secolo. Contrario alle teorie dell'innatismo, Locke considerava l'intelletto
dell'individuo alla nascita come una tabula rasa sulla quale l'esperienza scrive tutti i contenuti della conoscenza. Per
Locke l'esperienza sensibile è alla base di ogni conoscenza umana, poiché, tramite la sensazione e la riflessione,
fornisce all'intelletto i contenuti del pensiero (le idee), cioè le rappresentazioni della mente. Le idee possono essere
di due tipi: semplici, derivanti direttamente dalla sensazione, e complesse, combinazione di molteplici idee semplici.
Teorie politiche
Grande importanza ebbero anche le analisi politiche contenute nei due Trattati sul governo (1690), nei quali Locke
attaccò la teoria del diritto divino e respinse la teoria assolutista dello stato propugnata dal filosofo Thomas Hobbes.
Per Locke, infatti, la sovranità non è dello stato, ma del popolo, a cui lo stato deve garantire tutti i diritti naturali. Se lo
stato usurpa la sovranità popolare, i cittadini hanno il diritto di rimuovere, anche attraverso una rivoluzione, il potere
costituito. Una forma di controllo dell'operato dello stato è la separazione dei poteri, distinguendoli in potere
legislativo, esecutivo e giudiziario, e il loro equilibrio. Il suo liberalismo lo portò anche a riconoscere la separazione
tra chiesa e stato e a promuovere la tolleranza e la libertà di culto.
Rousseau, Jean-Jacques (Ginevra 1712 - Ermenonville 1778), filosofo svizzero di lingua francese, teorico delle
scienze sociali e politiche, uno fra gli scrittori più influenti dell'epoca illuministica. Nacque da una famiglia calvinista di
origine francese; morta la madre di parto, Rousseau venne trasferito lontano da Ginevra presso uno zio.
Adolescente irrequieto, dopo aver ricevuto i rudimenti di istruzione da un pastore, tornò da uno zio a Ginevra nel
1724, dove divenne praticante presso un incisore e un notaio; fuggito dopo tre anni, incontrò Madame Louise de
Warens, che lo convinse a convertirsi e lo fece educare in un collegio cattolico, dal quale Rousseau si allontanò ben
presto vivendo ramingo per qualche anno ed esercitando le professioni più disparate. Rifugiatosi nuovamente presso
Madame de Warens a Chambéry, divenne suo segretario e compagno e visse con lei alcuni anni. Nel 1742 si trasferì
a Parigi, dove si guadagnò da vivere come segretario particolare, tutore e copista di musica. Dopo un'esperienza di
lavoro a Venezia, presso la segreteria dell'ambasciata francese, tornò a Parigi, dove entrò in contatto con gli
enciclopedisti, divenendo amico in particolare di Denis Diderot, che gli commissionò alcuni articoli di musica per
l'Encyclopedie.
Gli scritti filosofici
Nel 1750, Rousseau vinse il concorso bandito dall'accademia di Digione con il Discorso sulle scienze e sulle arti
(1749), diventando famoso nonostante la rinuncia a ogni riconoscimento pubblico connesso al premio. Nel primo
Discorso e nel Discorso sulle origini della disuguaglianza fra gli uomini (1754) illustrò la tesi della corruzione del
genere umano a opera della scienza, dell'arte e delle istituzioni sociali, e della superiorità morale dello stato di natura
rispetto a quello civile (vedi Naturalismo). Dopo essere tornato a Ginevra nel 1754 ed essersi nuovamente convertito
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al calvinismo, Rousseau tornò a Parigi. Protetto dai nobili, dal 1756 al 1762 alloggiò presso il duca di Montmorency e
terminò la stesura del romanzo epistolare Giulia o la nuova Eloisa (1761), una sorta di versione letteraria della sua
teoria, che esalta i benefici di un ritorno alla vita naturale. Nel celebre trattato politico Il contratto sociale (1762) egli
argomentò a favore della libertà civile e, assumendo le difese della volontà popolare contro il diritto divino, contribuì a
preparare il terreno ideologico sul quale fiorì la Rivoluzione francese.
Gli scritti successivi
Nel celebre romanzo Emilio (1762) Rousseau illustrò una nuova teoria pedagogica che poneva l'accento
sull'importanza della libera espressione piuttosto che della repressione, al fine di formare un individuo equilibrato e
indipendente.
Entrò presto in contrasto con gli enciclopedisti, suscitando in particolare gli strali di Voltaire, e si procurò, con le sue
opere polemiche e anticonformiste, l'ostilità dei potenti di Francia e poi di Svizzera, dove si era rifugiato. Nel 1762
fuggì prima in Prussia e poi in Inghilterra, dove fu accolto dal filosofo scozzese David Hume. Ben presto, tuttavia,
anche questo legame si deteriorò e i due filosofi si accusarono vicendevolmente in lettere pubbliche; nel 1768
Rousseau fece ritorno in Francia e nel 1770 portò a termine il manoscritto della sua opera più introspettiva, le
autobiografiche Confessioni (pubblicate postume nel 1782). Si tratta di un acuto esame di coscienza che rivelava gli
intensi conflitti emotivi e morali della sua vita; lo scrittore morì presso il marchese di Girardin, due anni dopo.
Critica
Benché Rousseau abbia contribuito in larga misura a quell'indirizzo di pensiero dell'Europa occidentale che si era
pronunciato a favore della libertà individuale e contro l'assolutismo della Chiesa e dello Stato, alcuni storici ritengono
che la moderna ideologia totalitaria si sia ispirata proprio alla sua concezione dello stato come incarnazione
dell'astratta volontà degli individui. La teoria pedagogica di Rousseau favorì invece metodi educativi più permissivi e
più attenti all'aspetto psicologico, ed ebbero ripercussioni su riformatori come lo svizzero Pestalozzi e altri pionieri
della pedagogia contemporanea. La Nuova Eloisa e le Confessioni inaugurarono un nuovo stile estremamente
emozionale, permeato di un'intensa esperienza personale nell'indagare il conflitto tra valori morali e terreni. Con
queste opere Rousseau influenzò profondamente la letteratura e la filosofia del romanticismo, e risultò importante
anche per lo sviluppo di teorie psicologiche, letterarie e psicoanalitiche contemporanee. Fu anche importante per
l'esistenzialismo del XX secolo, grazie soprattutto al rilievo dato al libero arbitrio, al rifiuto della dottrina del peccato
originale e alla difesa dell'educazione tramite l'esperienza più che la teoria. Lo spirito e le idee di Rousseau
condividono lo spirito dell'illuminismo, con la sua appassionata difesa della ragione e dei diritti degli individui, e quello
del romanticismo, che difese la profondità dell'esperienza soggettiva contro l'impero del pensiero razionale.
Hume, David (Edimburgo 1711-1776), filosofo scozzese che influenzò l'evoluzione dello scetticismo e
dell'empirismo. Dopo aver studiato giurisprudenza presso l'università di Edimburgo si trasferì a La Flèche, in Francia,
dove scrisse il Trattato sulla natura umana (3 voll., 1739-1740), opera che venne però ignorata dal pubblico. Tornato
in Scozia, Hume si interessò di etica e di economia politica. I suoi Saggi morali e politici (2 voll., 1741-1742),
riscossero, diversamente dal Trattato, un successo immediato. In seguito, pubblicò la Ricerca sull'intelletto umano
(1748) e la Ricerca sui principi della morale (1751), entrambe frutto di una rielaborazione dei temi del Trattato.
Nel 1752, dopo la pubblicazione dei Discorsi politici, Hume ottenne un posto di bibliotecario a Edimburgo e poté
dedicarsi alla stesura della Storia d'Inghilterra, cominciata nel 1754 e ultimata nel 1761. Nel 1763 si recò
nuovamente in Francia, a Parigi, dove venne apprezzato dai philosophes, particolarmente da Jean-Jacques
Rousseau, con il quale fece ritorno in Inghilterra; tuttavia, soprattutto a causa della nevrotica instabilità di carattere
del filosofo ginevrino, l'amicizia fra i due si ruppe in breve tempo. Negli ultimi anni Hume visse a Edimburgo
dedicandosi agli studi e alla cura editoriale delle sue opere. L'autobiografia venne pubblicata postuma nel 1777,
come pure i Dialoghi sulla religione naturale (1779).
Epistemologia ed etica
In campo epistemologico Hume negò la necessità logica del nesso di causalità, sostenendo che non è sufficiente
aver osservato la presenza di una relazione di causalità tra due eventi in circostanze reiterate per trarre la
conclusione che la relazione causale sia logicamente necessaria e universalmente valida. In altri termini, la presunta
percezione di una relazione di causa ed effetto fra due eventi del mondo consiste in realtà nella proiezione sul
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mondo dell'attesa prodotta dall'associazione mentale di una sequenza temporale tra l'idea del primo evento e l'idea
del secondo. Pertanto è impossibile conoscere in modo certo dati di fatto che oltrepassino le singole percezioni,
benché Hume ammetta per la vita quotidiana il valore psicologico dell'abitudine a pensare in termini di causa e di
effetto e a credere alla validità delle percezioni. Infine Hume dissolse anche il soggetto-sostanza del pensiero
metafisico tradizionale sostenendo che, dal momento che non è possibile avere esperienza di sé al di là di un idea
(derivata dal continuo reiterarsi delle sensazioni), anche il concetto di "Io" è solo costituito sulla base di un "fascio di
percezioni" senza che vi sia alcuna sostanza a suo fondamento immutabile ed essenziale.
In campo etico Hume applicò la medesima forma di scetticismo, negando la possibilità di una fondazione razionale
della morale.
Egli affermò che, quando riteniamo oggettivamente corretta o scorretta un'azione, stiamo soltanto proiettando entro
un sistema di valori i nostri sentimenti di approvazione o disapprovazione. Tali sentimenti scaturiscono dal fatto che
ogni individuo, benché egoista, è anche legato agli altri da una certa "simpatia", una tendenza a porsi in sintonia con
i loro stati d'animo, come ad esempio felicità e infelicità. Se si pensa che un'azione renderà felici molte persone, la
simpatia si esprimerà nella forma di un sentimento positivo verso l'azione, il sentimento dell'approvazione.
Burke, Edmund (Dublino 1729 - Beaconsfield, Buckinghamshire 1797), statista, teorico politico e critico della
Rivoluzione francese. Dopo aver studiato al Trinity College di Dublino e a Londra, pubblicò nel 1756 Una
rivendicazione della società secondo natura, satira sul pensiero dello statista britannico Henry St John Bolingbroke e
il saggio Indagine filosofica sull'origine delle nostre idee sul sublime e sul bello (1756). Nel 1766 fu eletto al
Parlamento e in un suo pamphlet del 1770, Pensieri sulle cause dello scontento presente, intervenne nel dibattito
politico caldeggiando la riconciliazione con le colonie americane e criticando i tentativi del re Giorgio III di rinforzare il
proprio potere sul Parlamento. Dopo aver perduto il seggio parlamentare a causa dell'impegno contro le
discriminazioni verso l'Irlanda, indagò sull'amministrazione coloniale in India e sui metodi corrotti della Compagnia
delle Indie Orientali, convincendosi delle responsabilità dell'amministratore coloniale Warren Hastings, di cui chiese
invano l'impeachment nel 1789. Con la pubblicazione del libro Riflessioni sulla Rivoluzione francese (1790), prese
infine posizione contro la rivoluzione francese affermandosi in tutta Europa come il più strenuo difensore dell'ordine
costituito e il più severo critico dell'ideologia rivoluzionaria che voleva imporre principi astratti alla lenta evoluzione
sociale guidata invece dalle leggi della natura.
Hegel, Georg Wilhelm Friedrich (Stoccarda 1770 - Berlino 1831), filosofo idealista tedesco, fu uno dei pensatori
più influenti del XIX secolo. Dopo gli studi classici superiori, incoraggiato dal padre venne ammesso al seminario
dell'università di Tubinga, dove divenne amico del poeta Friedrich Hölderlin e del filosofo Friedrich Schelling.
Completati gli studi di filosofia e teologia, Hegel divenne precettore privato, dapprima a Berna nel 1793 poi a
Francoforte nel 1797. Due anni dopo morì il padre, lasciandogli una rendita che gli permise di sospendere l'attività di
precettore.
Nel 1801 si trasferì a Jena, dove portò a termine la Fenomenologia dello spirito (1807; trad. it. 1933-1936; ed. più
recente 1995), un'opera tra le più importanti nella filosofia moderna. Si trattenne a Jena fino all'ottobre del 1806,
quando l'occupazione francese lo costrinse alla fuga. Dopo aver soggiornato per un breve periodo a Bamberga, dove
lavorò come giornalista presso la "Bamberger Zeitung", divenne professore di filosofia al ginnasio di Norimberga.
Negli anni di Norimberga pubblicò La scienza della logica (1812, 1813, 1816; trad. it. 1924-1925; ed. riveduta 1968).
Nel 1816 accettò la cattedra di filosofia presso l'università di Heidelberg, dove pubblicò un'esposizione completa e
sistematica della sua filosofia, l'Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817; trad. it. 1907). Nel 1818 gli
venne offerta la cattedra di filosofia che era stata di Johann Fichte all'università di Berlino, dove rimase fino alla
morte.
L'ultima grande opera pubblicata da Hegel furono i Lineamenti di filosofia del diritto (1821; trad. it. 1913); dopo la
morte videro la luce, a cura di alcuni dei suoi studenti, gli appunti delle lezioni: l'Estetica (1835-1838; trad. it. 1963),
le Lezioni sulla storia della filosofia (1833-1836; trad. it. 1930-1945), le Lezioni sulla filosofia della religione (1832;
trad. it. 1974-1983) e le Lezioni sulla filosofia della storia (1837; trad. it. 1941-1963).
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In possesso di una prfonda conoscenza della filosofia greca, Hegel incentrò dapprima i suoi studi e le sue analisi
sulle opere di Baruch Spinoza, Jean-Jacques Rousseau, Immanuel Kant, Fichte, Friedrich Heinrich Jacobie
Schelling. L'influenza di questi filosofi è evidente nelle opere di Hegel, benché egli non ne condividesse
l'orientamento filosofico.
Intenti filosofici
Era intento di Hegel elaborare un sistema filosofico che potesse comprendere in sé le idee dei suoi predecessori,
formando una cornice concettuale al cui interno potesse essere filosoficamente compreso il divenire storico. Un tale
intento non poteva che sortire una comprensione completa della realtà, concepita quale totalità identificabile come
l'oggetto della filosofia; a questa totalità egli si riferì come all'Assoluto, o Spirito assoluto. Secondo Hegel, il compito
della filosofia è tracciare l'itinerario di sviluppo dello Spirito assoluto. Ciò implica in primo luogo il chiarimento della
struttura intrinsecamente razionale dell'Assoluto; in secondo luogo una dimostrazione delle modalità con cui
l'Assoluto si manifesta nella natura e nella storia; in terzo luogo, un'illustrazione del carattere teleologico
dell'Assoluto, che esibisca il finalismo intrinseco alla dinamica, al "movimento" dell'Assoluto nella storia.
Dialettica
Riguardo alla struttura razionale dell'Assoluto, Hegel affermò che "ciò che è razionale è reale e ciò che è reale è
razionale". Quest'affermazione può essere interpretata considerando l'assunto hegeliano secondo cui l'Assoluto deve
essere concepito come pensiero puro, o Spirito puro, coinvolto nel processo della sua stessa crescita. La logica che
è sottesa a questo processo di sviluppo è la dialettica. Il metodo dialettico implica che il movimento, il processo, sia il
risultato del conflitto tra opposti. Questa dimensione del pensiero hegeliano è analizzabile secondo le categorie di
tesi, antitesi e sintesi. La tesi, che può essere ad esempio un'idea o un movimento storico, ha in sé un'incompiutezza
che genera il suo opposto, l'antitesi, un'idea o un movimento opposti. Il risultato della contraddizione, del movimento
degli opposti, è un terzo momento, la sintesi, che supera e risolve il conflitto a un livello superiore conciliando in una
verità più comprensiva la verità dei due poli opposti (tesi e antitesi). La sintesi è una nuova tesi che innesca un
ulteriore movimento dialettico, generando in questo modo un processo di sviluppo storico e intellettuale continuo. Lo
stesso Spirito assoluto si sviluppa con un movimento dialettico verso il fine ultimo.
Per Hegel, quindi, la realtà è intesa come l'Assoluto che si dispiega dialetticamente in un processo di sviluppo di sé.
In questo processo lo Spirito assoluto si manifesta sia nella natura sia nella storia. La natura è l'Idea assoluta o
l'Essere che oggettiva se stesso in forma materiale. Le coscienze finite e la storia dell'uomo sono il movimento in cui
si manifesta l'Assoluto stesso in ciò che gli è più affine, cioè la coscienza o spirito. Nella Fenomenologia dello spirito
Hegel contrassegnò i momenti successivi di questo manifestarsi, dal livello di coscienza più semplice
all'autocoscienza assoluta, fino alla ragione.
Autocoscienza dell'Assoluto
La meta del divenire dialettico può essere compresa più chiaramente nello stadio della ragione: mentre la ragione
finita progredisce nella comprensione, l'Assoluto progredisce in direzione dell'autocoscienza. L'Assoluto infatti giunge
a conoscere se stesso mediante l'accrescersi della capacità di comprensione della realtà da parte dell'intelletto
umano. Hegel analizzò i tre stadi di questo progresso del pensiero: arte, religione e filosofia. L'arte coglie l'Assoluto
nelle forme materiali, esprimendo la razionalità nelle forme sensibili del Bello. L'arte viene superata dalla religione,
che coglie l'Assoluto per mezzo di immagini e simboli; la religione più filosofica è per Hegel il cristianesimo, poiché in
esso il manifestarsi dell'Assoluto nel finito è riflesso simbolicamente nell'incarnazione. La filosofia, tuttavia, è lo stadio
speculativo supremo, poiché coglie l'Assoluto razionalmente. Quando si è realizzato questo momento, l'Assoluto è
pervenuto alla piena autocoscienza e il processo ha raggiunto il proprio fine. Solamente a questo punto Hegel
identificò l'Assoluto con Dio. "Dio è Dio", Hegel affermò, "solo nella misura in cui conosce se stesso".
Filosofia della storia
Nel corso dell'analisi delle manifestazioni dello Spirito assoluto, Hegel contribuì significativamente a molte discipline
filosofiche, che comprendono la filosofia della storia e l'etica. Per la storia le due categorie-chiave sono ragione e
libertà. "L'unico pensiero", sostenne Hegel, "che la filosofia reca alla riflessione sulla storia è il semplice concetto di
'ragione'; che la ragione è sovrana del mondo, che la storia del mondo, quindi, si presenta a noi come un processo
razionale". In quanto sviluppo razionale, la storia documenta della crescita della libertà umana, poiché la storia
umana è un processo dalla schiavitù alla libertà.
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Etica e politica
Il pensiero etico e politico di Hegel emerge con chiarezza nella discussione sulla moralità (Moralität) e l'eticità
(Sittlichkeit). Al livello della moralità, ciò che è giusto o sbagliato riguarda la coscienza individuale. Si deve tuttavia
procedere oltre, fino al livello dell'eticità, poiché il dovere, secondo Hegel, non è nella sua essenza un risultato del
giudizio individuale: gli individui si completano solo all'interno di un contesto sociale; di conseguenza, la sola cornice
entro la quale il dovere può esistere davvero è lo stato. Hegel considerava la partecipazione alla gestione dello stato
uno dei doveri civili supremi. Idealmente, lo stato è la manifestazione della volontà generale, che è l'espressione più
alta dello spirito etico: l'obbedienza alla volontà generale è pertanto l'atto di un individuo libero e razionale.
Fortuna del pensiero hegeliano
Alla sua morte, Hegel era il filosofo più importante in Germania. Il suo pensiero era diffuso e studiato e i suoi allievi
godevano di un'alta reputazione. Gli hegeliani, tuttavia, si suddivisero presto in due correnti note come destra e
sinistra hegeliana: teologicamente e politicamente l'interpretazione che gli hegeliani di destra fornirono dell'opera del
maestro ne accentuò gli aspetti conservatori: essi evidenziarono il ruolo del cristianesimo nella filosofia hegeliana e
l'ortodossia politica del pensiero di Hegel. Molti hegeliani di sinistra, invece, approdarono a posizioni atee e
politicamente rivoluzionarie. Dalla sinistra hegeliana emersero figure come Ludwig Feuerbach, Bruno Bauer, Arnold
Ruge, Moses Hess e Karl Marx. Marx in particolare approfondì la concezione hegeliana secondo la quale lo sviluppo
storico è un movimento dialettico, ma rifiutò l'idealismo di Hegel in favore di un deciso materialismo.
La metafisica idealistica di Hegel ebbe un forte impatto sulla filosofia italiana, francese e inglese del XIX e del XX
secolo, influenzando filosofi come Benedetto Croce, Giovanni Gentile, Francis Herbert Bradley e persino americani
come Josiah Royce. Seppure nell'ambito di un deciso rigetto delle sue posizioni filosofiche, Hegel ebbe grande
influenza sul filosofo danese Søren Kierkegaard e, attraverso questi, sull'esistenzialismo; la fenomenologia riprese e
sviluppò il concetto hegeliano di coscienza. Il notevole impatto dell'opera di Hegel sulla filosofia successiva è fedele
testimonianza della straordinaria fecondità e profondità del suo pensiero.
Bentham, Jeremy (Londra 1748-1832), filosofo, economista e giurista inglese, fondatore della dottrina
dell'utilitarismo. Fu un bambino prodigio: venne ammesso all'università di Oxford a dodici anni, dove studiò diritto.
Dopo la laurea venne abilitato alla professione legale, che tuttavia non praticò; attese invece all'elaborazione di una
proposta di riforma del sistema giuridico e a uno studio teorico sui rapporti tra etica e legislazione, pubblicando alcuni
scritti sull'argomento e conquistando un'ampia fama nel 1789 con l'Introduzione ai principi della morale e della
legislazione.
Caposcuola dei "filosofi radicali" di tendenza riformista e favorevole al suffragio femminile, insieme a James Mill e a
suo figlio John Stuart Mill fondò e curò la pubblicazione della "Westminster Review", rivista su cui scrissero pensatori
di idee liberali. Contrario alla teoria del contratto sociale e all'idea del diritto di natura, nell'Introduzione ai principi
della morale e della legislazione Bentham pose l'utilitarismo a fondamento sia dei suoi programmi di riforma sociale
sia del suo progetto di scienza della morale. A suo avviso era possibile verificare scientificamente, grazie a una sorta
di "calcolo", quale azione fosse moralmente giusta e quale misura politicamente auspicabile applicando il principio di
utilità: le azioni sono utili se tendono a produrre conseguenze che fruttano il massimo di felicità per il maggior
numero di persone. Anche il diritto e le scienze politiche dovevano fondarsi sul principio dell'utile, che a sua volta si
basava su una concezione dell'uomo come essere mosso unicamente dal desiderio di conseguire il piacere e
rifuggire il dolore.
Il pensiero di Bentham influenzò profondamente le riforme della fine del XIX secolo nell'amministrazione del governo
britannico, nel diritto penale, e nella procedura sia civile che penale. Tra le sue opere si ricordano anche Saggio sulla
tattica politica (1816) e Deontologia, o scienza della moralità (postumo, 1834).
Mill, John Stuart (Londra 1806 - Avignone 1873), filosofo ed economista britannico, figlio di James Mill, esercitò una
notevole influenza sul pensiero inglese del XIX secolo, non solo in filosofia ed economia ma anche nelle scienze
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politiche, in logica e in etica. Venne educato dal padre, e nel 1822 trovò un impiego presso la Compagnia delle Indie,
dove lavorò fino al 1858, anno dello scioglimento della Compagnia. Si ritirò a vivere in Francia, presso Avignone, e
ritornò in Inghilterra solo per i tre anni (1865-1868) che lo videro membro della Camera dei Comuni.
Mill costituisce un trait d'union tra la visione della libertà, della ragione e della scienza del XVIII secolo e la tendenza
empirista e collettivistica del XIX secolo. In filosofia sistematizzò le dottrine dell' utilitarismo di suo padre e di Jeremy
Bentham in opere come Utilitarismo (1863); il suo lavoro più noto rimane probabilmente il saggio Sulla libertà (1859).
In parlamento Mill venne considerato un radicale perché sostenne proposte come l'uguaglianza delle donne,
l'educazione obbligatoria e il controllo delle nascite: la sua difesa del suffragio femminile durante il Reform Bill diede
vita al movimento delle suffragette. Mill studiò inoltre la causalità, cercando di spiegarla secondo principi empirici. Tra
i suoi maggiori lavori si ricordano Sistema di logica deduttiva e induttiva (2 voll., 1843), Principi di economia politica
(2 voll., 1848), Sulla servitù delle donne (1873) e Tre saggi sulla religione (postumo, 1874).
Spencer, Herbert (Derby 1820 - Brighton 1903), sociologo britannico annoverato fra i padri fondatori della sociologia
per i suoi studi evoluzionisti sul mutamento sociale. Come autodidatta, Spencer si avvicinò all’evoluzionismo del
naturalista francese Jean Lamarck, del quale fece propria la teoria, oggi del tutto superata, secondo cui le
caratteristiche acquisite da un organismo sarebbero trasmissibili ereditariamente. Nel 1855 pubblicò così I principi di
Psicologia, in cui riprese la teoria evoluzionista lamarckiana sostenendo che tutta la materia organica nasce in modo
indifferenziato, differenziandosi solo successivamente in seguito all’evoluzione. In quegli anni iniziò inoltre a
occuparsi della classificazione di tutti i campi del sapere all’interno di un sistema filosofico, basato sulla prospettiva
evoluzionista, che riassunse nel Sistema di Filosofia Sintetica (1860). Nel 1862 scrisse i Principi fondamentali, a cui
seguirono nel 1864-1867 i due volumi dei Principi di biologia, i tre volumi dei Principi di Sociologia (1876-1896) e i
due volumi dei Principi di etica (1892-1893).
Per quanto le opere di Spencer non abbiano mai goduto di grande considerazione, il suo ambizioso progetto di
classificare in modo sistematico tutto il sapere all’interno di una prospettiva evoluzionista gli ha garantito un posto
duraturo fra i pensatori della seconda metà del XIX secolo.
Marx, Karl (Treviri 1818 - Londra 1883), filosofo, economista e politico tedesco, fondatore con Friedrich Engels del
socialismo scientifico.
Marx studiò nelle università di Bonn, Berlino e Jena. Nel 1842 divenne dapprima collaboratore e poi direttore della
"Rheinische Zeitung" (Gazzetta renana) di Colonia. I suoi articoli, incentrati sulla critica delle condizioni sociopolitiche
dell'epoca, gli crearono problemi con le autorità: il giornale fu, infatti, soppresso nel 1843. Marx si recò quindi a
Parigi, dove instaurò contatti con i movimenti socialisti, completò la sua formazione teoretica in filosofia e si dedicò ai
primi studi di economia politica. Nel 1844 incontrò Engels; entrambi si accorsero di essere pervenuti per strade
differenti alla medesima concezione della necessità storica di una rivoluzione e collaborarono (fino alla morte di
Marx) alla sistematizzazione dei principi teoretici del comunismo, oltre che all'organizzazione di un movimento
operaio internazionale fondato su tali principi.
Espulso dalla Francia nel 1845, Marx si stabilì a Bruxelles dove organizzò una rete internazionale di gruppi
rivoluzionari definiti "comitati di corrispondenza comunista". Nel 1847 la Lega dei comunisti chiese a Marx e a Engels
di formulare un manifesto di principi del comunismo; nacque così il Manifesto del Partito comunista. Nella sezione
centrale del Manifesto Marx presenta la teoria del materialismo storico, formulata in seguito in Per la critica
dell'economia politica (1859) che individua nel sistema economico dominante di ogni epoca ciò che determina la
forma di organizzazione sociale e la configurazione storica e politica dell'epoca stessa; inoltre il Manifesto evidenzia
la nozione di lotta di classe come processo dialettico che plasma il corso della storia. Da queste premesse teoriche
Marx concluse che, nell'epoca dominata dalla forma di produzione capitalista, la classe dei capitalisti sarebbe stata
eliminata da una rivoluzione organizzata dal proletariato, che avrebbe distrutto interamente la società esistente per
costituire una società senza classi.
Esilio politico
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Dopo la pubblicazione del Manifesto scoppiarono le rivoluzioni in Francia e in Germania e il governo belga, temendo
che l'ondata rivoluzionaria potesse giungere anche in Belgio, bandì Marx, che tornò a Parigi e poi nuovamente a
Colonia, dove fondò e diresse il periodico comunista "Neue Rheinische Zeitung" (Nuova gazzetta renana) e si dedicò
all'attivismo politico. Nel 1849 fu arrestato e processato con l'accusa di incitamento all'insurrezione armata; fu
assolto, ma costretto a lasciare il paese e a chiudere il giornale. In seguito, nel medesimo anno venne nuovamente
espulso dalla Francia; si trasferì quindi a Londra, dove rimase fino alla morte.
In Inghilterra scrisse Il Capitale (vol. 1, 1867; voll. 2 e 3, a cura di F. Engels e pubblicati postumi nel 1885 e 1894;
trad. it. 1946-47), un'analisi sistematica e storica dei meccanismi di produzione e di distribuzione della ricchezza, in
particolare entro il sistema capitalistico, effettuata con l'intento di enuclearne le contraddizioni e di individuare il
significato dei processi economici. In questa opera Marx presenta la teoria dello sfruttamento della classe operaia da
parte dei capitalisti: questi ultimi pagherebbero agli operai solo una parte del valore prodotto nel ciclo di produzione
delle merci, realizzando un plusvalore e oggettivando in merce il lavoro dell'operaio (vedi Capitale).
Nell'opera La guerra civile in Francia (1871) Marx analizzò l'esperienza del governo rivoluzionario istituito a Parigi
durante la guerra franco-prussiana, noto come la Comune di Parigi, interpretando la Comune come una conferma
storica della necessità per i lavoratori di impadronirsi del potere politico con un'insurrezione armata e distruggere poi
lo stato capitalistico. Queste idee sono presentate anche nella Critica del programma di Gotha (1875); in Inghilterra
Marx collaborò anche con quotidiani sia europei sia americani, come il "New York Tribune", con articoli sugli eventi
politici e sociali.
Ultimi anni
Dopo la scioglimento della Lega comunista nel 1852, Marx mantenne i contatti con centinaia di rivoluzionari con i
quali fondò a Londra nel 1864 la Prima internazionale (vedi Internazionale socialista), di cui tenne il discorso
inaugurale, redasse lo statuto e diresse il consiglio generale; in seguito, dopo la soppressione della Comune, anche
l'Internazionale andò in declino. Altre opere importanti di Marx sono i Manoscritti economico-filosofici (1844;
pubblicati postumi nel 1932); La sacra famiglia, il primo lavoro compiuto in collaborazione con Engels (1842);
L'ideologia tedesca (1845-46); Miseria della filosofia (1847).
La fortuna delle dottrine di Marx si accrebbe dopo la sua morte con l'affermarsi del movimento operaio. Le sue
teorie, conosciute in seguito con il nome di marxismo o socialismo scientifico, costituirono una delle principali correnti
del pensiero contemporaneo. La sua analisi dell'economia capitalista e la sua teoria del materialismo storico, della
lotta di classe e del plusvalore sono alle fondamenta del socialismo moderno. Rilevanti rispetto all'azione
rivoluzionaria sono le teorie dello stato capitalista e della dittatura del proletariato, riprese in seguito da Lenin. Queste
idee costituirono il cuore del bolscevismo e della Terza internazionale.
Lenin, Vladimir Ilic Pseudonimo di Vladimir Ilic Uljianov (Simbirsk 1870 - Gorkij, Mosca 1924). Attivista
rivoluzionario e uomo politico russo, fu il fondatore dell'Unione Sovietica, di cui divenne il primo capo di governo.
Figlio di un funzionario statale, ebbe il primo tragico impatto con il mondo politico nel 1887, quando la polizia arrestò
e fece impiccare il fratello maggiore con l'accusa di aver ordito un complotto per assassinare lo zar Alessandro III. In
quello stesso anno, Lenin si iscrisse all'università di Kazan, ma, considerato un sovversivo radicale, ne fu presto
espulso.
In seguito, si dedicò allo studio delle teorie rivoluzionarie dei socialisti europei, in particolare Il Capitale di Marx, e
cominciò a delineare una propria concezione del processo rivoluzionario, prendendo le distanze dai populisti che
imperniavano la loro strategia su azioni terroristiche dimostrative, che avrebbero dovuto incitare alla rivolta
antizarista le masse contadine. Ottenuta l'autorizzazione necessaria, si laureò in giurisprudenza a San Pietroburgo
nel 1891, fu ammesso all'esercizio dell'attività forense e lavorò come avvocato dei poveri nella città di Samara, sul
Volga; infine, nel 1893, si trasferì a San Pietroburgo.
Organizzatore sindacale
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Entrato a far parte del circolo marxista, nell'autunno 1895, contribuì a fondare il circolo Emancipazione del lavoro,
che si proponeva di organizzare in un unico movimento tutti i gruppi rivoluzionari. Nel dicembre dello stesso anno, la
polizia arrestò i leader dell'associazione e dopo quattordici mesi di prigionia, insieme con un'altra attivista
dell'organizzazione, Nade"da Krupskaja – sua futura moglie – Lenin fu confinato in Siberia e costretto a rimanere in
esilio fino al 1900. Al termine di questo periodo si trasferì all'estero, dove si unì a Plechanov, Martov e ad altri
marxisti per fondare il giornale "Iskra" (scintilla), che divenne strumento di coesione tra le varie correnti
socialdemocratiche. In esilio Lenin scrisse il pamphlet Che fare? (1902), nel quale delineò la propria strategia
rivoluzionaria. Il progetto prevedeva la costituzione di un partito fortemente centralizzato, diretto da rivoluzionari di
professione e regolato da una rigida disciplina: il partito avrebbe così costituito "l'avanguardia del proletariato",
conducendo le masse operaie alla vittoria sull'assolutismo zarista.
Le tesi di Lenin provocarono una rottura all'interno del Partito operaio socialdemocratico russo che, al suo secondo
congresso (1903), si spaccò in due. La maggioranza dei membri del congresso aderì alla corrente capeggiata da
Lenin, che prese il nome di gruppo bolscevico (dalla parola russa che significa "maggioranza"), mentre l'opposizione
divenne nota come fazione menscevica (dal termine russo per "minoranza"). I contrasti tra i due gruppi dominarono
la politica di partito fino alla prima guerra mondiale.
Dopo aver trascorso all'estero molti anni, Lenin tornò in Russia quando scoppiò la Rivoluzione del 1905, ma la
reazione del governo lo costrinse di nuovo a espatriare nel 1907.
Nel 1909 scrisse il suo più importante trattato filosofico, Materialismo ed empiriocriticismo. Tre anni dopo, durante
una conferenza del partito a Praga, la spaccatura tra bolscevichi e menscevichi divenne definitiva.
Allo scoppio del primo conflitto mondiale, nel 1914, Lenin condannò la guerra sostenendo che i lavoratori avrebbero
combattuto gli uni contro gli altri a vantaggio della borghesia. Al contrario, incitò i socialisti a "trasformare la guerra
imperialista in guerra civile". Ampliò e sistematizzò la dottrina marxista sulla guerra in Imperialismo, fase suprema
del capitalismo (1916), affermando che solo attraverso la rivoluzione si poteva abbattere il capitalismo e assicurare
una pace duratura.
Capo rivoluzionario
La Rivoluzione del febbraio 1917, che rovesciò il regime zarista, colse Lenin di sorpresa. Partito immediatamente da
Ginevra, riuscì ad arrivare in Russia attraversando la Germania su un treno speciale autorizzato dal governo
tedesco, ma il suo rocambolesco arrivo a Pietrogrado (come era stata rinominata la città di San Pietroburgo)
avvenne un mese dopo che l'insurrezione dei lavoratori e dei militari aveva deposto lo zar. I membri del Soviet
(Consiglio) degli operai e dei militari erano favorevoli alla collaborazione con il governo provvisorio borghese di
Kerenskij, e i bolscevichi di Pietrogrado, tra cui vi era anche Josif Stalin, avevano appoggiato la loro decisione. Lenin,
invece, ripudiò immediatamente quella linea politica e nelle sue "tesi di aprile" sostenne che solo il Soviet poteva
rispondere alle speranze e alle esigenze dei lavoratori e dei contadini russi. Allo slogan "tutto il potere ai Soviet", il
partito accettò il programma di Lenin.
Dopo un'insurrezione di lavoratori nel mese di luglio, terminata in un nulla di fatto, Lenin trascorse l'agosto e il
settembre del 1917 in Finlandia, per sfuggire all'ordine di arresto del governo provvisorio. Lì formulò le sue teorie su
un governo socialista, che raccolse in un famoso opuscolo dal titolo Stato e rivoluzione, il suo più significativo
contributo alla filosofia politica marxista. Bersagliò il Comitato centrale del partito di richieste di un'insurrezione
armata nella capitale, finché il suo piano venne accettato e reso operativo il 6 novembre successivo (il 24 ottobre,
secondo il calendario giuliano russo).
Capo del governo
Alcuni giorni dopo la Rivoluzione d'ottobre, Lenin fu eletto presidente del Consiglio dei commissari del popolo, la
massima carica governativa, e operò attivamente per consolidare il potere del nuovo stato sovietico.
Il suo principale obiettivo fu la difesa della rivoluzione dagli attacchi dei nemici all'estero e in patria. In linea con
questi orientamenti, Lenin accettò le onerose condizioni dettate dai tedeschi nel trattato della pace di Brest-Litovsk,
per porre fine all'impegno russo nella guerra mondiale. Tuttavia il paese sprofondò nel baratro di una sanguinosa
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guerra civile (1918-1921), che si risolse infine a favore del giovane governo sovietico principalmente per l'intervento
di Lev Trotzkij, che organizzò in modo magistrale i soldati dell'Armata Rossa. Nel 1919, per diffondere il messaggio
della rivoluzione boscevica all'estero e rafforzarlo con il sostegno degli intellettuali comunisti stranieri, Lenin indisse la
terza Internazionale socialista o Comintern.
Dopo la guerra, per risollevare la situazione economica del paese, varò un programma di riforme noto come Nuova
politica economica (NEP); nello stesso tempo, Lenin invocò il bando di ogni settarismo politico e insistette sul
principio del partito unico.
Lenin fu colpito da apoplessia nel maggio 1922. Continuò a seguire la vita politica dalla casa di cura di Gorkij,
cercando di lottare contro la crescente burocratizzazione del partito. Resta famoso il suo testamento, in cui segnalò
la pericolosità di Stalin, all'epoca segretario del partito. Nel 1923, una paralisi lo privò dell'uso della parola e pose
definitivamente termine alla sua carriera politica.
LA LEGGE NATURALE ⇒ STOICI (300 - 100 A.C.) Zenone –215 Crisippo (Stoa) Panezio e Polibio (Roma 150
a.C.)
I PADRI S. AMBROGIO (350 D.C.) autonomia spirituale giurisdiz su tutti i cristiani + l’imperatore
DELLA CHIESA S. AGOSTINIO (400 D.C.) Cittadini di 2 città. Lo stato come una chiesa. Ipoteri sono dati da
Dio.
S. GREGORIO (550 D.C.) Santità del governo anche cattivo accetta il controllo dei re sulla
chiesa
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1200 RINASCITA GIOVANNI DI SALISBURY 1150 (difesa del tirannicida)
DELLA CULTURA GRECA S. TOMMASO D'AQUINO 1200 (Lex eterna –natur.-divina-umana)
MEDIOEVO 1300 DANTE (2 autorità Chiesa/stato – il potere imperiale deriva da Dio e dal popolo)
1350 - CRISI DEL MARSILIO DA PADOVA (Defensor Pacis– Averroista Stato comoposto da più parti –Aristotele)
DOMINIO PAPALE GUGLIELMO D'OCCAM (papa eretico –il potere deriva dal popolo- Mitigazione tra
Stato/Chiesa)
ASSOLUTISMO MODERNO MACHIAVELLI Sicurezza con un governo forte-Italia divisa per colpa della
Chiesa
RINASCIMENTO1500
1500 - LA RIFORMA 1520 LUTERO – Chiese di stato – no privilegi eccles.- eresia soppressa
PROTESTANTE 1540 CALVINO – Dottina della,Predestinazione
1576 ⇒BODIN "La Repubblica" Tolleranza relig.-famiglie, proprietà, Potere sovrano assol. Diritti irrevocab.della
famiglia.
RINNOVAMENTO DELLA DOTTRINA ALTUSIO (il contratto sociale 1) di governo 2) sociale in senso ampio
GIUSNATURALISTICA - 1600 GROZIO (Jus Gentium ⇒ legge internazionale –Contratto – Stato di natura
1650 - DOTTRINE MATERIALISTICHE ⇒ TOMMASO HOBBES (potere assoluto del re "Il Leviatano")
NAZIONALISMO ⇒ ROUSSEAU 1750 Il contratto sociale.La volontà generale d. comunità – sovran. D. popolo
Democr. diretta
1740 - DISTRUZIONE 1740 HUME (ragione-fatto- valore causa effetto; convenzioni che regolano la proprietà;
che legittimano
DEL il governo) distruzone dell legge naturale
SISTEMA 1780 BURKE (utilitarismo - tradizione nazionale - padre del conservatorismo moderno)
GIUSNATURALISTICO culto della comunità "politica etica") costituz.prescrittiva – contro la Riv.
Francese
LIBERALISMO 1780 BENTHAM utilità della legge per il max num. di persone
RADICALE piacere - dolore; proprietà; principio max felicità (utilitarismo-egoismo)
LIBERALISMO MODERNO ⇒ 1850 MILL “Saggio della libertà”revisione utilitarismo-abbandono egoismo-legalià x tutti
1870 SPENCER Società naturale (evoluz.sociale e biologica “Darwin”) Legge negativa
Naturalismo
IDEALISMO LIBERALE ⇒ 1900 GREEN (IDEALISTI DI OXFORD) Uomo come fine e non come mezzo. Legge
naturale