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Magia e spazzatura

Un viaggio attraverso la geografia delle parole


di Emma Muracchioli
(da Il sapore delle parole, cap. 3)

Mentre nel primo incontro abbiamo analizzato l’aspetto semantico-


antropologico del cibo e nel secondo ci siamo occupati di generi letterari, oggi
scenderemo più nel concreto per vedere come possiamo costruirci delle
bibliografie personalizzate sul tema.

Costruiamoci una bibliografia

Innanzitutto, possiamo ricorrere a strumenti di consultazione facilmente


accessibili a chiunque, come gli schedari delle biblioteche pubbliche (divisi per
autori e titoli o per tema) e internet, dove si possono ugualmente trovare siti di
ricerca bibliografica, come quello del Sistema Bibliotecario Nazionale italiano
(www.sbn.it) e quello del sistema bibliotecario lombardo
(www.biblioteche.regione.lombardia.it), da cui si accede al sistema bibliotecario
milanese, che comprende le biblioteche rionali e la Comunale Centrale, ovvero
Palazzo Sormani.
Inoltre esistono altri siti molto utili, come quello della ricchissima Libreria del
Congresso di Washington (catalog.loc.gov) per le ricerche di testi in lingua
inglese, oppure Internet Bookshop (www.ibs.it) per acquistare libri in commercio
ma anche per leggere le schede di lettura e fare ricerche tematiche. E non
dimentichiamo i siti di appassionati della lettura, come Anobii (www.anobii.com),
in cui si può andare a curiosare nelle biblioteche virtuali di lettori affini per
cercare spunti o leggere le recensioni.
Dovremo poi decidere se ci interessa l’aspetto più prettamente saggistico
del tema (vogliamo focalizzarci su come si mangiava nel Medioevo, per esempio,
oppure approfondire gli aspetti sociologici dell’alimentazione) o quello letterario.
Se puntiamo alla saggistica dovremo:

1. Consultare i cataloghi tematici di cui abbiamo parlato prima e trascriverci i


titoli che ci sembrano più pertinenti.
2. Annotarci i nomi degli autori più citati o che più si sono occupati del nostro
tema.
3. Consultare questi primi testi e soprattutto le loro bibliografie.
4. Riprendere la ricerca da queste bibliografie, dando ancora la preferenza agli
autori più citati o dei quali abbiamo letto qualche riferimento interessante nel
testo... e così via.

È stato con questo sistema che ci siamo procurati, per esempio, i testi
antropologici di Lévi-Strauss e Mara Mabilia, quelli di storia sociale
dell’alimentazione di Massimo Montanari e quelli storico-letterari di Piero
Camporesi (tutte classificazioni dai confini labili), come anche quelli psicologici
sulle patologie alimentari o quelli letterari sul significato delle fiabe.
Un percorso che comprenda invece solo i volumi posseduti dalle biblioteche
rionali e dalla Comunale Centrale di Milano potrebbe partire, per esempio, dalla
parola chiave «Alimentazione», per poi restringere il campo ad «Alimentazione –
Aspetti socio-culturali». I risultati saranno una novantina, e tra questi potremo
già individuare percorsi godibilissimi sul rapporto tra cibo e magia, sulla storia
dell’alimentazione, sulla simbologia della tavola...

Alimentazione – Aspetti socio-culturali (Rionali e Sormani)

Allen, Stewart Lee, Nel giardino del diavolo: storia lussuriosa dei cibi proibiti,
Feltrinelli traveller 2005
Angelini P. et al., A tavola con gli dei: la cultura del cibo tra alimentazione e
simbologia, Il cerchio iniziative editoriali 1996
Antolini, Piero, I manducanti: storia e civiltà dell’uomo a tavola, Rebellato 1983
Antomarini B., M. Biscuso (a cura di), Del gusto e della fame: teorie
dell’alimentazione, Manifestolibri 2004
Ariès, Paul, I figli di McDonald’s: la globalizzazione dell’hamburger, Dedalo 2000
Barzano, Carla, Marconi, Luisa, Buono da mangiare, Coop. Cariplo Comune 1994
Bonder, Nilton, La teoria della felicità gastronomica, Sperling & Kupfer 2000
Boudan, Christian, Le cucine del mondo: geopolitica del gusto, Donzelli 2005
Camporesi, Piero, Alimentazione folclore società, Pratiche, Parma 1980
—, Il brodo indiano: edonismo ed esotismo nel Settecento, Garzanti 1990
—, Il pane selvaggio, Garzanti 2004
—, La terra e la luna: alimentazione folclore società, Il saggiatore1989
—, Le vie del latte: dalla Padania alla steppa, Garzanti 1993
Chef Kumale, Il mondo a tavola: precetti, riti e tabù, Einaudi 2007
Cipriani, Alberto, L’uomo è ciò che mangia: breve storia dell’alimentazione
umana, Camera di commercio industria agricoltura e artigianato, Maschietto &
Musolino 1996
—, Mangiare per vivere: breve storia sociale dell’alimentazione, Rotary Club Gli
ori 2005
Colella, Anna, Figura di vespa e leggerezza di farfalla: le donne e il cibo nell’Italia
borghese di fine Ottocento, Giunti 2003
Consiglio, Carlo, Siani Vincenzino, Evoluzione e alimentazione: il cammino
dell’uomo, Bollati Boringhieri 2003
Degli_Esposti, Piergiorgio, Il cibo dalla modernità alla postmodernità, Franco
Angeli 2004
D’Eramo, Marco, Spurlock Morgan, Il grande tritacarne, Feltrinelli 2005
Di Nallo, Egeria (a cura di), Cibi simbolo nella realtà d’oggi, Franco Angeli 1986
Diodato, Luciana, Il linguaggio del cibo: simboli e significati del nostro
comportamento alimentare, Rubbettino 2001
Dosi, Antonietta, Pasti e vasellame da tavola, Quasar 1986
Dosi Antonietta, Schnell F., Le abitudini alimentari dei romani, Quasar 1986
—, I romani in cucina, Quasar 1986
Ferrieres, Madeleine, Storia delle paure alimentari: dal Medioevo all’alba del 20.
secolo, Editori riuniti 2004
Finkelstein, Joanne, Andare a pranzo fuori: Sociologia delle buone maniere, Il
Mulino, Bologna 1992
Fischler, Claude, L’onnivoro: il piacere di mangiare nella storia e nella scienza,
Mondadori 1992
Flandrin Jean-Louis e Massimo Montanari (a cura di), Storia dell’alimentazione,
Laterza 2003
Guadagno, Giovanni, Pelizzoni Stefano, Erudite degustazioni: rimandi tra cucina
e cultura, OCD 2005
Harris, Marvin, Buono da mangiare: enigmi del gusto e consuetudini alimentari,
Einaudi 1990
Istituto nazionale di sociologia rurale (a cura di), Gastronomia e società: nuovi
documenti e testimonianze, Franco Angeli 1988
Jones, Martin, Il pranzo della festa: una storia dell’alimentazione in undici
banchetti, Garzanti 2009
Kostioukovitch, Elena, Perché agli italiani piace parlare del cibo, Sperling &
Kupfer Milano 2006
La_Cecla, Franco, La pasta e la pizza, Il mulino Bologna 1998
Le Barzic, Michelle, Il miglior modo di mangiare: la moderna confusione
alimentare, Editori riuniti 2000
Lupton, Deborah, L’anima nel piatto, Il Mulino, Bologna 1999
Marchi, Cesare, Quando siamo a tavola, Rizzoli 1990
Mariotti, Fiorenza, Mazzoni, Patrizia, Buono da pensare, Comune Coop. Cariplo
1994
Marturano, Aldo, Vita di Smierd: cibo e magia nel medioevo russo, Atena 2007
Mazzetti di Pietralata Mario (a cura di), Prima colazione: come & perché, Agra
2006
Meldini, Piero, Le pentole del diavolo: cibo e eros, violenza e corruzione, Camunia
1989
Montanari, Massimo, Alimentazione e cultura nel Medioevo, Laterza 1988
—, Convivio oggi: storia e cultura dei piaceri della tavola nell’età contemporanea,
Laterza 1992
—, Convivio: storia e cultura dei piaceri della tavola: dall’antichità al Medioevo,
Laterza 1989
—, Il cibo come cultura, Laterza 2004
—, Il formaggio con le pere: la storia in un proverbio, Laterza 2008
—, La fame e l’abbondanza: storia dell’alimentazione in Europa, Laterza 1993
—, Nuovo convivio: storia e cultura dei piaceri della tavola nell’età moderna,
Laterza 1991
Montanari Massimo (a cura di), Il mondo in cucina: storia, identità, scambi,
Laterza 2002
Muller, Klaus, Piccola etnologia del mangiare e del bere, Il mulino 2005
Muzzarelli, Maria Giuseppina, Donne e cibo: una relazione nella storia, Bruno
Mondadori 2003
Nabhan, Gary Paul, A qualcuno piace piccante, Codice 2005
Paolini, Davide, Tullio Seppilli, Alberto Sorbini, Migrazioni e culture alimentari,
Editoriale umbra 2002
Pollan, Michael, Il dilemma dell’onnivoro, Adelphi 2008
Poulain, Jean-Pierre, Alimentazione, cultura e società, Il mulino, Bologna 2008
Rappoport, Leon, Come mangiamo: appetito, cultura e psicologia del cibo, Ponte
alle Grazie 2003
Rebora, Giovanni, La civiltà della forchetta: storie di cibi e di cucina, Laterza
1998
Rifkin, Jeremy, Ecocidio: ascesa e caduta della cultura della carne, Mondadori
2001
Russell, Sharman Apt, Fame: una storia innaturale, Codice 2006
Scarpi, Paolo, Il senso del cibo: mondo antico e riflessi contemporanei, Sellerio,
Palermo 2005
Schivelbusch, Wolfgang, Il paradiso, il gusto e il buonsenso: una storia dei generi
voluttuari, De Donato 1988
Schlosser, Eric, Fast food nation, Marco Tropea Editore 2002
Segre, Andrea, Dalla fame alla sazietà, Sellerio 2007
Solci, Guglielmo, Degustibus: la Roma imperiale a tavola, con 140 ricette di
Apicio, Alexa 1999
Sorcinelli, Paolo, Gli italiani e il cibo: dalla polenta ai cracker, Bruno Mondadori
1999
Teti, Vito, Il colore del cibo: geografia, mito e realtà dell’alimentazione
mediterranea, Meltemi 1999
Veronelli, Luigi, Pablo Echaurren, Le parole della terra, Stampa alternativa 2003

Esistono inoltre altri testi utilissimi, come gli atti di convegni (molto spesso
universitari) o gli articoli di riviste e altri periodici, nonché i loro numeri
monografici. È il caso, per esempio, del numero 39 (1996) della rivista Avallon,
intitolato «A tavola con gli dèi. La cultura del cibo tra alimentazione e
simbologia», che contiene articoli intriganti sul nostro tema. Anche in questo
caso possiamo ricorrere ai cataloghi delle emeroteche pubbliche, così come fare
ricerche su internet e scaricare direttamente gli articoli che hanno solleticato il
nostro interesse.
Esiste infine la serendipità, che consiste nel trovare qualcosa mentre si cerca
tutt’altro. Per esempio, possiamo scegliere il saggio di Maura Franchi Il senso del
consumo perché ci incuriosisce sapere come consumatore e mercato si
influenzano a vicenda... e imbatterci nel capitolo «Il cibo: buono da pensare»,
che affronta temi interessantissimi come la costruzione sociale del gusto o
l’estetica del cibo.
Se invece vogliamo dedicarci alla letteratura possiamo:

• Partire sempre dalla saggistica e annotarci autori e opere che vi vengono


analizzate (da Proust al più sconosciuto autore ungherese del XVII secolo).
• Procurarci libri bibliografico-antologici come il Calendario goloso di Grandi e
Tettamanti1 o il già citato Pranzi d’autore di Oretta Bongarzoni e simili, che in
genere sono prodotti editoriali agili e accattivanti.
• Fare una ricerca via internet (qui si possono trovare, per esempio, date e
modalità dei «pranzi letterari», che sono costruiti intorno alle ricette di un autore
o di un genere, e che vanno molto di moda in questo periodo).
• Seguire seminari, conferenze e programmi radiotelevisivi. Per esempio, in
questi nostri incontri ci siamo via via costruiti una bibliografia letteraria.

Riassumendo: i nostri percorsi

Dopo aver fatto le dovute ricerche, possiamo stendere una bibliografia


personalizzata. Per esempio, ecco i «menu» dei nostri incontri

Bibliografia saggistica (antropologia, filosofia, psicologia, sociologia, storia, teoria


letteraria...)

Alberini M., Storia della cucina italiana, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1992
Arachi A., Briciole. Storia di un’anoressia, Feltrinelli, Milano 1997
Barthes Roland., Miti d’oggi, Einaudi, Torino 1974
Biasin G.P., I sapori della modernità, Il mulino, Bologna 1991
Bonder Nilton, La teoria della felicità gastronomica, Sperling & Kupfer, Milano
2000
Bourdieu Pierre, La distinzione: critica sociale del gusto, Il mulino, Bologna 1983
Bruch H., La gabbia d’oro. L’enigma dell’anoressia mentale, Feltrinelli, Milano
1983
–, Patologia del comportamento alimentare, Feltrinelli, Milano 1977
Brillat-Savarin Anthelme, Fisiologia del gusto, Rizzoli, Milano 1996
Caleffi P., Si fa presto a dire fame, Mursia, Milano 1998

1
L. Grandi e S. Tettamanti, Calendario goloso, Garzanti, Milano 1999.
Camporesi Piero, Alimentazione, folclore e società, Pratiche, Parma 1980
—, Il brodo indiano, Garzanti, Milano 1990
—, La carne impassibile, Il Saggiatore, Torino 1983
—, Il paese della fame, Il mulino, Bologna 1985
—, Il pane selvaggio, Il mulino, Bologna 1980
—, Il sugo della vita. Simbolismo e magia del sangue, Garzanti, Milano 1997
Fischler Claude, L’onnivoro, Mondadori, Milano 1992
Flandrin Jean-Louis e M. Montanari Massimo, Storia dell’alimentazione, Laterza,
Bari 1997
Franchi Maura Il senso del consumo, Bruno Mondadori, Milano 2007
Göckel Renate, Donne che mangiano troppo. Quando il cibo serve a compensare
disagi affettivi, Feltrinelli, Milano 1997
King Stephen, Danse macabre, Sperling & Kupfer, Milano 1999
Kott Jan, Mangiare Dio, Il Formichiere, Milano 1990 (riedito come Divorare gli dei,
Bruno Mondadori, Milano 2005)
Lévi-Strauss Claude, Il crudo e il cotto, Il Saggiatore, Torino 1966
—, Dal miele alle ceneri, Il Saggiatore, Torino
—, Le origini delle buone maniere a tavola, Il Saggiatore, Torino 1971
Longo Oddone e Scarpi Paolo, Homo edens: regimi, miti e pratiche
dell’alimentazione nella civiltà del Mediterraneo, Diapress, Milano 1989
Mabilia Mara, Il valore sociale del cibo, Franco Angeli, Milano 1991
Mainardi G. e P. Berta, Il vino nella storia e nella letteratura, Edizioni Agricole,
Bologna 1991
Montanari Massimo, L’alimentazione contadina nell’alto Medioevo, Liguori, Napoli
1979
—, Alimentazione e cultura nel Medioevo, Laterza, Roma-Bari 1995
—, Convivio. Storia e cultura dei piaceri della tavola, Laterza, Roma-Bari 1989
—, Convivio oggi. Storia e cultura dei piaceri della tavola nell’età
contemporanea, Laterza, Roma-Bari 1992
—, La fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa, Laterza, Roma-
Bari 1993
—, Nuovo convivio. Storia e cultura dei piaceri della tavola nell’età moderna,
Laterza, Roma-Bari 1991
Okakura Kakuzo, Lo Zen e la cerimonia del tè, Feltrinelli, Milano 1997
Onfray Michel, Il ventre dei filosofi, Rizzoli, Milano 1991
Ongini Vincio (a cura di), Una fame da leggere: il cibo nella letteratura per
l’infanzia, Coop, Firenze 1994
Pasini Willy, Il cibo e l’amore, Mondadori, Milano 1995
Perin Andrea, Ricette scorrette. Racconti e piatti di cucina meticcia, Eleuthera,
Milano 2009
Profeti Maria Grazia (a cura di), I codici del gusto, F. Angeli, Milano 1992
Redon O., F. Sabban e S. Serventi, A tavola nel Medioevo, Laterza, Bari 1995
Sabban F. e S. Serventi, A tavola nel Rinascimento, Laterza, Bari 1996
Salza Alberto, Niente. Come si vive quando manca tutto. Antropologia della
povertà estrema, Sperling & Kupfer, Milano, 2009.
Sarti R., Vita di casa, Laterza, Roma 1999
Sentieri M., Cibo e ambrosia. Storia dell’alimentazione mediterranea tra caso,
necessità e cultura, Dedalo, Bari 1993
Selvini Palazzoli M., L’anoressia mentale, Feltrinelli, Milano 1963
Sorcinelli Paolo, Gli italiani e il cibo, Bruno Mondadori, Milano 1999
—, Storia sociale dell’acqua, Bruno Mondadori, Milano
Tannahill R., Storia del cibo. Dalla preistoria all’alimentazione scientifica, Rizzoli,
Milano 1997
Toussant-Samat M., Storia naturale dell’alimentazione, Sansoni, Firenze 1991
Unwin T., Storia del vino. Geografie, culture e miti dall’antichità ai giorni nostri,
Donzelli, Roma 1996
Woolf Virginia, Una stanza tutta per sé, Einaudi, Torino1995

Ricettari... più o meno letterari

Allende Isabel, Afrodita, Feltrinelli, Milano 1997


Amado Jorge, Dona Flor e i suoi due mariti, Garzanti, Milano 1985
Apicio, Manuale di gastronomia (a cura di Bertozzi), BUR, Milano 1967
Artusi Pellegrino, La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene, Mursia, Milano
1989
Ascoli Vitali Norsa G. (a cura di), La cucina nella tradizione ebraica, Giuntina,
Firenze 1987
Bongarzoni Oretta, Pranzi d’autore. Le migliori ricette nei capolavori della
letteratura, Editori Riuniti, Roma 1994
Crick, Mark, La zuppa di Kafka: Storia della letteratura mondiale dalle origini a
oggi, in sedici ricette, Ponte alle Grazie, Milano 2006
Esquivel Laura, Dolce come il cioccolato, Garzanti, Milano 1991 (ora ripubblicato
con il titolo Come l’acqua per il cioccolato)
Harris Johanne F. Warde, Il libro di cucina di Johanne Harris, Garzanti, Milano
2003
—, Al mercato con Johanne Harris, Garzanti, Milano 2007
Reichl Reich, Aglio e zaffiri, Ponte alle Grazie, Milano 2005
Rossanigo G. e P.L. Muggiati, Amandole e malvasia per uso di corte. Cibi e ricette
per le tavole dei Duchi di Milano, Aisthesis, Milano 1998
Vázquez Montalbán Miguel, Le ricette di Pepe Carvalho, Feltrinelli, Milano 1994
—, Ricette immorali, Feltrinelli, Milano 1992

Bibliografia letteraria

Allende Isabel, D’amore e ombra, Feltrinelli, Milano 1988


Amado Jorge, Cacao, Mondadori, Milano 1991
—, Dona Flor e i suoi due mariti, Garzanti, Milano 1985
—, Gabriella garofano e cannella, Einaudi, Torino 1991
Bharati Mukerjee, Episodi isolati, Feltrinelli, Milano 1992
Buitrago Fanny, La signora del miele, Feltrinelli, Milano 1999
Calvino Italo, Sotto il sole giaguaro, Mondadori, Milano 1992
Camilleri Andrea, Il cane di terracotta, Sellerio, Palermo 1996
Carroll Lewis, Alice nel paese delle meraviglie, l’Unità, Roma 1993
Carver Raymond, Cattedrale, Serra e Riva Editori/CDE, Milano 1987
—, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, Garzanti, Milano 1987
Cella Letizia, Mammacannibale, Millelire Stampa Alternativa, Viterbo 1996
Cogan Priscilla, La bussola del cuore, Frassinelli, Milano 2000
Collodi Carlo, Pinocchio, Piemme, Casale Monferrato 2001.
Della Porta Giambattista, Commedie, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2002-
2003.
Divakaruni Chitra Banerjee, La maga delle spezie, Einaudi, Torino 2001.
Esquivel Laura, Come l’acqua per il cioccolato
Fenoglio Beppe, La malora, Einaudi, Torino 1954
Flaubert Gustave, Madame Bovary, Garzanti, Milano 1965
Fruttero Carlo & Lucentini Franco, Enigma in luogo di mare, Mondadori, Milano
1991
Gadda Carlo Emilio, La cognizione del dolore, Einaudi, Torino 1963
Goldoni Carlo, La locandiera, BUR, Milano 1998
Gordimer Nadine, Un mondo di stranieri, Feltrinelli, Milano 1980
Grimm Jacob e Wilhelm, Le fiabe del focolare, Einaudi, Torino 1951
Harris, Joanne, Chocolat, Garzanti, Milano 2001.
—, Le scarpe rosse, Garzanti, Milano 2007.
Harris Thomas, Hannibal, Mondadori, Milano 1999
Hauptmann Gaby, Ma poi le donne ce la fanno, Feltrinelli, Milano 2000
Hikmet Nazim, Poesie d’amore, Mondadori, Milano 2002
Huysmans Joris-Karl, A ritroso, Rizzoli, Milano 1982
—, L’abisso, SugarCo Edizioni, Milano 1990
Ibsen Eric, Casa di bambola, BUR, Milano 2002
Ionesco Eugene, Cantatrice calva, Einaudi, Torino 2003.
Janowitz Tama, Schiavi di New York, Bompiani, Milano 1989
Jerome Jerome Klapka, Tre uomini in barca, l’Unità, Roma 1993
Khayyâm Omar, Quartine, Einaudi, Torino 1956
Knight India, La mia vita su un piatto, Feltrinelli, Milano 2003
Mahfuz Nagib, Vicolo del Mortaio, Feltrinelli, Milano 1990
Mansfield Katherine, Tutti i racconti. Felicità, Adelphi, Milano 1978
Manzoni Alessandro, I promessi sposi
Mishima Yukio, Dopo il banchetto, Feltrinelli, Milano 1982
Montale Eugenio, La bufera e altro, Mondadori, Milano 1967
Moody Rick, Diviners. I rabdomanti, Bompiani, Milano 2007
Mukherjee Bharati, Episodi isolati Feltrinelli, Milano 1992
Olivieri Renato, Il dio denaro, Mondadori, Milano 1996
Osborne Frances, La stanza delle spezie, Sperling & Kupfer, Milano 2005
Pascoli Giovanni, Primi poemetti, Mondadori, Millano 1974
Pirandello Luigi, Vestire gli ignudi, L’altro figlio, L’uomo dal fiore in bocca,
Mondadori, Milano 1981
Proust Marcel, La strada di Swann, Einaudi/CDE, Milano 1989
Rabelais François, Gargantua e Pantagruele, Einaudi, Torino 1993
Reichl Ruth, Aglio e zaffiri, Ponte alle Grazie, Milano 2005 (CRE 641.5.REIC)
Reichs Kathy, Corpi freddi, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1999
Roy Arundhati, Il dio delle piccole cose, Guanda, Milano 1998
Sayers Dorothy, Veleno mortale, La Tartaruga, Milano 1990
Schine Cathleen, La lettera d’amore, Adelphi, Milano 1999
Simenon Georges, Le due pipe di Maigret, Mondadori/l’Unità, Milano 1991
Stoker Bram, Dracula, Newton Compton, Roma 1993
Stout Rex, «La traccia del serpente», in L’alta cucina del delitto, Mondadori,
Milano 1983
Tomasi di Lampedusa Giuseppe, Il gattopardo, Feltrinelli, Milano 1985
Valdés Zoé, Café Nostalgia, Sperling&Kupfer, Milano 2000
Van Dine S.S., La strana morte del signor Benson, Mondadori/l’Unità, Milano 1992
Vázquez Montalbán Manuel, Il labirinto greco, Feltrinelli, Milano 1994
Wilde Oscar, L’importanza di chiamarsi Ernesto, Mondadori, Milano 1990
Yoshimoto Banana, Kitchen, Feltrinelli, Milano 1991
Yourcenar Marguerite, L’opera al nero, Feltrinelli, Milano 1986.

Da questo materiale possiamo ripartire per tracciare altri percorsi, alla


ricerca di sapori che stuzzichino il nostro appetito letterario. Oltre a quelli che
abbiamo già delineato nei due incontri precedenti, facciamo due esempi: il
criterio geografico e un motivo particolare (intendendo per «motivo» uno degli
elementi in cui si può scomporre il tema).

Il pappamondo

Un primo criterio di organizzazione potrebbe dunque essere quello


geografico: suddividere i testi posizionandoli su una sorta di mappamondo e
quindi compararli fra loro per vedere quali sono le peculiarità geografiche e le
differenze su larga scala. Vedere, cioè, come narrano l’atto del mangiare un
peruviano o un giapponese, per esempio, o che affinità possiamo individuare tra
un italiano e un suo vicino francese.
Il nostro «viaggio sulla carta» potrebbe seguire questo percorso:

America centro-meridionale
Parlando di America Centromeridionale viene subito in mente il suo particolare
sincretismo religioso, dalla santeria al candomblé, che spesso sfocia nella magia.
Ed è una magia che fa perno sulla corporeità, dal cibo al sesso, al punto che
questi tre elementi (cibo, sesso e magia) sono un po’ la cifra che ha fatto
conoscere e ha reso facilmente individuabile la letteratura sudamericana nel
resto del mondo. Viene subito da pensare al brasiliano Jorge Amado, per
esempio, con i celeberrimi Gabriella garofano e cannella,2 Cacao3 e Dona Flor e i
suoi due mariti.

2
Jorge Amado, Gabriella garofano e cannella, Einaudi, Torino 1991.
3
Jorge Amado, Cacao, Mondadori, Milano 1991.
In sala da pranzo, in una profusione di cibi da benedire e santificare,
facevano bella mostra di sé i pezzi forti della cucina baiana: vatapá ed efó,
abará e caruru, moqueca di granchi, di gamberoni, di pesce, acarajé e
acaçá, xinxim di gallina e haussá di riso, oltre a montagne di polli e tacchini
arrosto, cosciotti di maiale, fritto misto di pesce [...] Tutto quel ben di dio
innaffiato da aluá, cachaça, birra, vini portoghesi. Da più di dieci anni il
Maggiore dava quella festa, in adempienza a un voto severo di candomblé,
da quando gli orixas gli avevano salvato la moglie, in pericolo di vita per via
dei calcoli renali. 4

E ricordiamo il già citato Come l’acqua per il cioccolato,5 della messicana Laura
Esquivel, con la sua glassa alle lacrime e le sue afrodisiache quaglie ai petali di
rosa, o ancora a La signora del miele, della colombiana Fanny Buitrago, con la
sua gastronomia erotica.

Amiel, in fondo al bancone, preparava il piatto forte di una cena speciale.


Gli ingredienti, sapientemente distribuiti, componevano una ninfa
voluttuosa e sfrontata i cui seni erano due orci ripieni di gamberi e ostriche
al vino che, senza dubbio, sarebbero stati divorati con le telline del sesso e
delle ascelle, e le patate all’aglio che formavano il corpo desiderabile e i
medaglioni di vitello e caviale che avrebbero aureolato il magnifico volto. Gli
invitati all’addio al celibato di un editore di letteratura femminista
avrebbero mangiato tutto fino all’ultima briciola. 6

Ma, ovviamente, il Sudamerica è una terra dal passato (anche


recentissimo) molto cruento e doloroso, in cui le dittature militari hanno inflitto
incalcolabili danni fisici, sociali e psicologici alle popolazioni. È quanto viene
raccontato, tanto per dare un unico esempio dei moltissimi possibili, alla famiglia
Leal in D’amore e ombra, della famosissima scrittrice cilena Isabel Allende.
Ora, i Leal erano una famiglia unita e felice, decisa a ignorare gli orrori della
situazione politica, finché non è la realtà stessa a imporsi con brutalità alla loro
attenzione. Quando il figlio maggiore Javier – un biologo proscritto dalla dittatura
per una sua blanda attività sindacale – si suicida, sua moglie Irene torna dai
genitori portandosi via i bambini: i coniugi Leal perdono così, in un sol colpo, un
figlio, i nipoti e la fiducia nel futuro. E come si esprime la disperazione del
4
Jorge Amado, Dona Flor e i suoi due mariti, Garzanti, Milano 1985, pag. 83.
5
Diventato nel 1992 anche un film, sempre con il titolo italiano Come l’acqua per il
cioccolato, per la regia del messicano Alfonso Arau.
6
Fanny Buitrago, La signora del miele, Feltrinelli, Milano 1999, pag. 8.
patriarca, il professor Leal? Con la negazione del cibo, che della famiglia e
insieme della vita è il primo simbolo. Ma leggiamo come si comportano, in
quest’occasione, sua moglie Hilda e suo figlio Francisco (il giornalista che è uno
dei due protagonisti del romanzo).

Dalla stazione il professore ritornò a casa e senza togliersi la giacca né la


cravatta a lutto, si sedette su una seggiola sotto il ciliegio in cortile, con lo
sguardo assente. [...] Quella sera Francisco lo portò a letto quasi di forza,
ma non riuscì a farlo mangiare. Il giorno successivo fu identico. Il terzo Hilda
si asciugò le lacrime, riunì la forza sempre presente in lei e si accinse a
lottare ancora una volta per i suoi. [...]
Dalla cucina potevano vedere attraverso la finestra il professore sulla sua
seggiola che si rigirava fra le mani il regolo. Con un sospiro Hilda ripose il
pranzo nel frigorifero senza averlo assaggiato, portò un’altra seggiola nel
cortile e si sedette sotto il ciliegio con le mani in grembo, per la prima volta
da tempo immemore senza che fossero occupate da un lavoro a maglia o di
cucito, e se ne rimase così immobile per ore. All’imbrunire Francisco li
supplicò di mangiare qualcosa, ma non ottenne risposta. Con grande
difficoltà li portò nella loro camera da letto e li fece coricare, per poi lasciarli
in silenzio, con gli occhi aperti, desolati, come due vecchi sperduti. [...] Il
mattino dopo quando si fu alzato li vide installati sotto l’albero nella stessa
posizione, con i vestiti stropicciati, senza che avessero mangiato né si
fossero lavati, muti. [...] Paziente, si sedette a vigilare rassegnato a lasciarli
toccare il fondo del loro dolore.
A metà pomeriggio il professor Leal sollevò lo sguardo e fissò Hilda.
«Cosa ti succede, cara?» domandò con voce spezzata da quattro giorni di
silenzio.
«Quello che succede a te.»
Il professore capì. La conosceva bene e seppe che si sarebbe lasciata
morire nella stessa misura in cui l’avesse fatto lui, perché dopo averlo
amato senza tregua per tanti anni, non gli avrebbe permesso di andarsene
via da solo.
«Va bene», disse alzandosi a stento e tendendole una mano.
Entrarono con lentezza in casa, sorreggendosi a vicenda. Francisco
riscaldò la minestra e la vita riprese il suo ritmo. 7

7
Isabel Allende, D’amore e ombra, Feltrinelli, Milano 1988, pagg. 112-113.
America settentrionale
L’America Settentrionale è il ricettacolo di mille culture che talvolta coesistono
faticosamente, talaltra cozzano sino a deflagrare in una realtà folle e disgregata,
in cui anche il cibo perde il suo significato diventando mera spazzatura. Così, da
un lato nei romanzi di Priscilla Cogan come La bussola del cuore8 la cultura
anglosassone e quella nativo-americana tentano un difficile dialogo fatto anche
di condivisione di cibi rituali ed esperienze spirituali, nei racconti dell’indiana
Bharati Mukerjee contenuti nella raccolta Episodi isolati9 immigrati indiani e
pachistani entrano nelle nuove famiglie o nelle nuove realtà nordamericane
anche attraverso il cibo, mentre nei romanzi della bengalese trapiantata a San
Francisco Chitra Banerjee Divakaruni, come La maga delle spezie, la magia delle
spezie indiane mette radici in California, e talvolta riesce a fare il sortilegio più
potente: dare a una donna maltrattata il coraggio per fuggire dal marito.
Dall’altro lato, nei racconti del padre spirituale del minimalismo, Raymond
Carver, il cibo non ha nulla di magico o suggestivo. Nelle sue pagine mangiare
diventa nel migliore dei casi sintomo di un disagio, nel peggiore una faccenda
decisamente sinistra.
Così, nelle storie raccolte in Di cosa parliamo quando parliamo d’amore,10
in alcuni casi rielaborate nel successivo Cattedrale11 e incluse nel film di Altman
America oggi, cibo può essere la torta di compleanno che nel racconto «Una
piccola, buona cosa» (in Cattedrale) un bambino investito da un’auto non
mangerà mai, che i genitori distrutti dal dolore non ritireranno, e per la quale un
inacidito pasticcere – un uomo che per tutta la vita ha fatto torte di matrimonio,
lui che una moglie non ce l’ha, e torte di compleanno per bambini che lui non
mai avuto – farà telefonate inconsapevolmente agghiaccianti: «Ha dimenticato
Scotty?»
E di cibo si parla anche nel racconto «Tanta acqua così vicino a casa» (in
Di cosa parliamo quando parliamo d’amore).

Mio marito mangia con molto appetito. Ma non credo che abbia veramente
fame. Mastica, con le braccia sul tavolo, e fissa qualcosa sulla parete di
fronte. Guarda verso di me, poi distoglie lo sguardo. Si pulisce la bocca col
tovagliolo. Alza le spalle, e continua a mangiare.
«Perché mi fissi?» dice. «Cosa c’è?» dice posando la forchetta.12
8
Priscilla Cogan, La bussola del cuore, Frassinelli, Milano 2000
9
Bharati Mukerjee, Episodi isolati, Feltrinelli, Milano 1992
10
Raymond Carver, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, Garzanti, Milano 1987.
11
Raymond Carver, Cattedrale, Serra e Riva Editori/CDE, Milano 1987.
12
Raymond Carver, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, cit., pag. 73.
Già, cosa c’è, cosa succede tra questi due? C’è che il marito ha la
coscienza sporca ma si ostina a dire che non ha fatto niente di male, mentre la
moglie è schifata dal suo comportamento, che ormai è sulla bocca di tutti. Il
week end precedente l’uomo è infatti andato a pescare con i suoi amici;
parcheggiano l’auto, si fanno una lunga camminata e, proprio quando stanno per
piantare le tende, scoprono nel ruscello lì accanto il corpo nudo di una ragazza
assassinata. Ora, di rifarsi la scarpinata per avvisare subito la polizia non ne
hanno proprio voglia. D’altronde, la ragazza ormai è morta, no? Quindi legano il
cadavere a un albero sulla riva e continuano il campeggio come niente fosse.
Avviseranno la polizia quando torneranno dalla pesca.

La mattina dopo prepararono la colazione, bevvero caffè e whiskey, poi,


ognuno per conto proprio, andarono a pescare. Quella sera cucinarono
pesce e patate, bevvero caffè e whiskey, poi portarono i piatti e gli utensili
da cucina giù al fiume, e li lavarono proprio dove si trovava la ragazza.13

Quella che racconta Carver con il suo tipico stile essenziale è


l’agghiacciante meschinità dell’uomo qualunque, tanto più orrenda in quanto
traspare proprio da gesti quotidiani ed elementari come mangiare o lavare i
piatti, che così si caricano di un alone sinistro.
E anche nei racconti della newyorkese Tama Janowitz il cibo può perdere
significato fino a diventare spazzatura, come nell’episodio «Una santa moderna
n. 271», che ha per protagonisti una prostituta e il suo protettore, un filosofo
aspirante scrittore.

Nessuno di due era portato per i lavori di casa. Passavano mesi e mesi
durante i quali il pavimento del nostro monolocale sulla Avenue A si
riempiva di siringhe usate, scatole di riso, confezioni di lavande vaginali,
biancheria di pizzo nero, fruste, garrote, cinghie, stringhe, Crackers Jakcs,
Kleenex usati, pacchetti semivuoti di patatine e tortilla chips. Gli strumenti
dei rispettivi mestieri. 14

Oppure può diventare il mezzo con cui una situazione banale come
mangiare in una mensa si trasforma in un incubo kafkiano («Pranzo obbligato»)
o, ancora, trasformarsi nel protagonista di una scena comicamente pulp. È il caso
13
Ibidem, pag. 75.
14
Tama Janowitz, Schiavi di New York, Bompiani, Milano 1989, pag. 6.
del prosciutto confezionato che un universitario riceve in regalo e che rimane su
uno scaffale per settimane nonostante l’affamatissimo compagno di stanza del
ragazzo vi alluda in continuazione.

«Mettilo nel frigo», gli avevo detto, «altrimenti uno di questi giorni esplode
e non vorrei essere qui quando succede.» Tutti i giorni gli dicevo: «Jeff, fai
qualcosa con quel prosciutto.»
Ma le settimane passavano. Una sera che eravamo tutti e due in camera
[...] improvvisamente ci fu un’esplosione. E, spiaccicato ovunque sul suo
lato della stanza, il prosciutto. Un fetore inimmaginabile. Il prosciutto
putrefatto era esploso come una bomba. Per ironia della sorte, il mio lato
della stanza non era stato neppure sfiorato. [...] Ma l’aria era piena di
miasmi e fui costretto a fuggire per non vomitare seduta stante.
Nel giro di dieci minuti, il dormitorio s’era svuotato.15

Siamo ormai persino oltre la spazzatura, siamo arrivati alla pura


putrefazione. Ma non è puro divertissement letterario: ci riporta infatti alla triade
crudo-cotto-putrido che, secondo l’antropologo Claude Lévy-Strauss, comprende
le categorie universali del cibo rintracciabili in tutte le culture.
Tra parentesi, negli ultimi anni sono fioriti gli studi di antropologia
dell’alimentazione per l’importanza rivestita dal cibo in fenomeni imponenti
come le migrazioni di massa e la globalizzazione, con le relative controtendenze,
ovvero la riscoperta delle nicchie del gusto e dello slow-food, così tipiche
dell’Europa contro la macdonaldizzazione americana e l’esotismo di tutto quel
mondo che non è Occidente.

Europa
L’Europa è la culla delle grandiose cucine occidentali eternamente in
competizione fra loro, quella italiana e quella francese, nonché di altre cucine
altrettanto sontuose, come quelle spagnole. Ripensiamo, per esempio, alla sfida
Camilleri-Vàzquez Montalbàn che abbiamo incontrato la scorsa volta. Tra
parentesi, avendo profondamente influenzato altre culture, in quella europea
possiamo trovare motiv che abbiamo già visto altrove, come quello della magia
del cibo: tanto per fare un esempio, Chocolat e il suo seguito, Le scarpe rosse, di
Johanne Harris.

15
Ibidem, pag. 188.
Comunque sia, proprio nella letteratura europea ci sono gli esempi più splendidi
di banchetti. Viene subito alla mente, per esempio, il celeberrimo pranzo che il
nobiluomo siciliano protagonista del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di
Lampedusa offre a uno scelto gruppo di notabili locali per presentare la futura
nuora, la bellissima Angelica, appena tornata dai suoi studi sul Continente.

Il principe aveva troppa esperienza per offrire a degli invitati siciliani in un


paese dell’interno, un pranzo che si iniziasse con un potage, e infrangeva
tanto più facilmente le regole dell’alta cucina in quanto ciò corrispondeva ai
propri gusti. Ma le informazioni sulla barbarica usanza forestiera di servire
una brodaglia come primo piatto erano giunte con troppa insistenza ai
maggiorenti di Donnafugata perché un residuo timore non palpitasse in loro
all’inizio di ognuno di quei pranzi solenni. Perciò quando tre servitori in
verde, oro e cipria entrarono recando ciascuno uno smisurato piatto
d’argento che conteneva un torreggiante timballo di maccheroni, soltanto
quattro su venti persone si astennero dal manifestare una lieta sorpresa
[...].
Buone creanze a parte, però, l’aspetto di quei babelici pasticci era ben
degno di evocare fremiti di ammirazione. L’oro brunito dell’involucro, la
fragranza di zucchero e di cannella che ne emanava non erano che il
preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il
coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un vapore carico di
aromi, si scorgevano poi i fegatini di pollo, gli ovetti duri, le sfilettature di
prosciutto, di pollo e di tartufi impigliate nella massa untuosa, caldissima
dei maccheroncini corti cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color
camoscio.
[...] Angelica, la bella Angelica, dimenticò i migliaccini toscani e parte delle
proprie buone maniere e divorava con l’appetito dei suoi diciassette anni e
col vigore che la forchetta tenuta a metà dell’impugnatura le conferiva.16

Così come è celebre il ricevimento al castello del marchese d’Ardevilliers


in cui Emma Bovary viene invitata in quanto moglie del medico condotto,
scoprendo così l’abisso mondano che divide la nobiltà dalla pur agiata borghesia.

Entrando, Emma si sentì avviluppare da un’aria calda, miscuglio di


profumi di fiori e di stoffe, di fragranza di cibi e di odor di tartufi. [...] lungo

16
Giuseppe Tomasi di Lampedusa , Il gattopardo, Feltrinelli, Milano 1985, pagg. 81-81.
la tavola erano allineati mazzi di fiori; nei piatti dal largo orlo i tovaglioli
erano allineati a mo’ di cappello vescovile, con un panino ovale racchiuso
tra i due lembi. Le lunghe zampe rosse delle aragoste sporgevano dai
vassoi, strati di grossi frutti erano disposti in cestini traforati e foderati di
muschio leggero; le quaglie avevano ancora tutte le loro piume; s’alzavano
nuvole di vapore. In calze di seta e calzoni corti, cravatta bianca e gala di
pizzo, solenne come un giudice, il maggiordomo insinuava tra le spalle degli
invitati i vassoi con le vivande già scalcate, facendo saltare nel piatto con
un sol colpo di cucchiaio il pezzo scelto.17

Quanta differenza con la sua vita di tutti i giorni, con quel marito
bonaccione e grossolano e le sue economie da poveraccio!

Ma era soprattutto all’ora dei pasti che a lei pareva di non farcela più [...];
era come se tutta l’amarezza dell’esistenza le venisse scodellata nel piatto;
con il vapore del lesso salivano dal profondo del suo animo zaffate di
disgusto. Charles era così lento a mangiare; lei sgranocchiava qualche
nocciola, oppure, appoggiata al gomito, si perdeva a tracciare righe sulla
tela cerata con la punta del coltello.18

Notate che, come abbiamo già visto, il contrasto fra i due modi di
mangiare passa sì, ovviamente, da tutto l’apparato della tavola (belle tovaglie
contro tela cerata, per esempio), ma soprattutto attraverso la carne: cacciagione
e arrosti per la nobiltà, lesso per chi deve far quadrare il bilancio.
Sono le note stonate di una splendida sinfonia che già preludono
all’atteggiamento malato e corrotto dei decadentisti verso il cibo. Nei romanzi del
padre spirituale di questo movimento, Joris-Karl Huysmans, non troviamo mai,
infatti, una concezione sana e vitale dell’alimentazione, ma anche l’occasione più
famigliare o rassicurante finisce sempre per assumere connotazioni inquietanti. È
il caso, per esempio, di questa cena tra amici nel romanzo del 1891 L’abisso, in
cui viene citato proprio Flaubert.

Carhaix preparava lo stufato e un’insalata e mesceva il suo sidro. Per


evitare che spendesse troppo, i due amici portavano il vino, il caffè,
l’acquavite, il dessert, facendo in modo che il loro costo pareggiasse quello

17
Gustave Flaubert, Madame Bovary, Garzanti, Milano 1965, pag. 39.
18
Ibidem, pag. 53.
della minestra e della carne che consumavano e che ai Carhaix sarebbero
bastate per vari giorni, se avessero mangiato da soli.
«Questa volta è venuto proprio bene!» disse la donna servendo un brodo
color mogano screziato da onde dorate, cosparso di tonde gocce color
topazio.
Era succulento e grasso, forte eppur delicato, reso più nutriente da
frattaglie di pollo bollito.
Tutti tacevano col naso nel piatto, il viso acceso dai vapori profumati del
brodo.
«Sarebbe proprio il momento di ripetere un luogo comune caro a
Flaubert», disse Durtal. «Al ristorante non si mangia così di sicuro!»
«Non denigriamo i ristoranti», gli diede sulla voce Des Hermies.
«Riservano molte sorprese a chi sa studiarli. Sentite, tanto per dare un
esempio, due giorni fa tornavo da una visita a un malato e capito in una di
quelle trattorie dove per tre franchi si ha diritto a una minestrina, a due
secondi piatti a scelta, all’insalata e al dolce. Quel ristorante, in cui vado
suppergiù una volta al mese, ha una clientela fissa, inamovibile, persone
ben educate e chiuse in se stesse, ufficiali in borghese, membri del
parlamento, burocrati. Mentre mangiucchiavo l’intingolo gratinato di una
sogliola tutt’altro che invitante, guardavo quei clienti e li trovai stranamente
cambiati dall’ultima volta che ero stato là. Alcuni erano più magri, altri si
erano come gonfiati. I loro occhi si erano infossati e circondati di violetto,
oppure erano nate occhiaie simili a bisacce rosa. [...] i tremanti intrugli di
quella cucina avvelenavano a poco a poco, ma sicuramente, gli avventori.
La cosa mi interessò, come potete immaginare. Mi impartiva una lezione di
tossicologia e, sforzandomi a mangiare, scoprivo le droghe nocive che
mascheravano il sapore dei pesci disinfettati come cadaveri con miscele di
polvere di carbone e di concia, delle varie specie di carne affogate nelle
salse color fogna, del vino colorato con fucsine, profumato col furturolo,
appesantito con melassa e gesso.»19

Il cibo che dovrebbe dare la vita e invece diventa fonte di contaminazione


e morte, come abbiamo visto nel primo incontro. Il «gusto» che si trasforma in
«disgusto».20 Non molto diversamente, anche nella Cognizione del dolore di Carlo
Emilio Gadda mangiare implica disgusto e frustrazione, in questo caso perché al

19
Joris-Karl Huysmans, L’abisso, SugarCo Edizioni, Milano 1990, pagg. 63-64.
20
Così scrive Elio Mosele nell’illuminante intervento «Significative astinenze e
mistici digiuni», in Maria Grazia Profeti (a cura di), Codici del gusto, cit.
nobiluomo decaduto la misera cenetta ricorda altri pasti possibili, quelli dei
restaurants, descritti con la solita inventiva verbale gaddiana e un tono a metà
tra il sarcasmo e il rimpianto.

La mamma, ora, dopo essere uscita e rientrata più volte, attendeva ella
pure all’impiedi, quasi tremando, le mani ricongiunte sul grembo, che il
figliolo si rimettesse a tavola. Ingegnandosi dentro il buio della cucina, dal
fondo di un dimenticato vaso la sua speranza tenace era pervenuta a
stanare alcuni sottaceti: e quei tre peperoncini verdastri, vizzi, aggiustatili
in un piattino slabbrato, da caffè, tornata poi nella sala aveva deposto il
piattino sulla tavola, nell’atto devoto di Melchiorre che depone in offerta,
davanti al Pargolo, il vasello prezioso della mirra. [...] Gonzalo seguitava a
fissare come un sonnambulo, senza vederli, il servito, la tovaglia, il cerchio
della lucernetta sulla tavola. Poco più fumo, oramai, dalla scodella, verso i
fastigi della tenebra.
Dove andava la sua conoscenza umiliata, coi lembi laceri della memoria
nel vento senza più causa né fine? [...]
Camerieri neri, nei «restaurants», avevano il frac, per quanto pieno di
padelle: e il piastrone d’amido, con cravatta posticcia. [...] Pervase da un
brivido, le signore: non appena si sentissero onorare dell’appellativo di
signora da simili ossequienti fracs. «Un misto panna-cioccolatto per la
signora, sissignora!» Era, dalla nuca ai calcagni, come una staffilata di
dolcezza, «la pura gioia ascosa» dell’inno. E anche negli uomini, del resto, il
prurito segreto della compiacenza, su, su, dall’inguine verso le meningi e i
bulbi: l’illusione, quasi, d’un attimo di potestà marchionale.21

Viene in mente, rifacendo un salto oltreoceano, quanto spiega Ruth Reichl,


celeberrima critica culinaria ebreo-americana, che in diversi romanzi
autobiografici racconta cosa la colpisce di più quando deve recensire un
ristorante. Anticonvenzionale e intraprendente, va diverse volte (spesso
travestita di tutto punto, assumendo un aspetto dimesso oppure da vecchietta
esigente oppure da zitella arrendevole ecc.) nel ristorante che ha preso di mira.
Ciò che le interessa è ovviamente la qualità del cibo, ma altrettanto il servizio:
impossibile gustarsi la serata anche nel più bel ristorante se si viene relegati in
una pessima posizione, con camerieri scorbutici o distratti e piatti preparati
senza quella cura in più che li rende speciali.

21
Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore, Einaudi, Torino 1963, pagg. 196-197.
E questo perché il cibo non è solo ciò che mettiamo in bocca, ma anche il suo
contesto.

...mi ero resa conto che tutti recitiamo quando andiamo fuori a cena. Ogni
ristorante è un teatro, e quelli famosi ci spingono a immaginare noi stessi
ricchi e potenti, circondati da stuoli di camerieri dediti soltanto a garantirci
felicità e piatti sublimi.
Ma anche i più modesti offrono l’opportunità di trasformarsi in qualcun altro,
almeno per pochi istanti. I ristoranti ci liberano dalla realtà quotidiana, fa
parte dell’incantesimo. Varcata la soglia d’ingresso si entra in un territorio
neutrale dove si è liberi di essere chiunque si scelga di essere per la durata
del pranzo.22

Certo, la forma è importante quanto la sostanza, ma non di più! A testimonianza


di questo rapporto squilibrato si potrebbe citare il caso di D’Annunzio, caposcuola
dell’estetismo, che descrive pranzi meravigliosi... in cui non viene citato
esplicitamente nemmeno un alimento.

Africa
Ora, il cibo può essere assente anche per altri motivi, come nel caso di Moha il
folle, Moha il saggio del marocchino Tahar Ben Jelloun: e il motivo contingente è
che per i diseredati dell’Africa il cibo, semplicemente, quasi non esiste. E talvolta
possiamo anche eliminare quel «quasi», come ben dimostrano documentari o
servizi giornalistici sulla piaga della fame nel Terzo Mondo. Merita di essere letto
al proposito Niente, dell’antropologo sul campo Alberto Salza. In questo saggio
che riesce a conciliare un tono spiritoso e lieve con un argomento durissimo, c’è
un capitolo intitolato, appunto, «Niente cibo». L’autore vi racconta, tra l’altro, di
come lui stesso sia rimasto senza cibo per più di una settimana. Prima descrive
le strategie estreme cui ricorre il nostro corpo per sopravvivere, poi parla della
sua esperienza, quando ha dovuto resistere...

...bevendo solo tè nero poco zuccherato e fumando orrido tabacco nero: gli
alcaloidi sopprimono lo stimolo della fame, come mi hanno insegnato i
boscimani del Kalahari. Rammento che, allora, mi veniva in mente una
vignetta in cui un prigioniero riceve la visita del suo feroce carceriere che gli
annuncia: «Oggi non avrai la tua solita brodaglia, per cena».

22
Ruth Reichl, Aglio e zaffiri, Ponte alle Grazie, Milano 2005, pag. 92.
«Davvero? E cosa avrò?» chiede il galeotto, entusiasta del cambiamento.
«Crampi.»23

Ovviamente, non tutta l’Africa è però ridotta alla fame. In Vicolo del Mortaio
dell’egiziano Nagib Mahfuz, per esempio, si descrive la vita quotidiana in un
vicolo del Cairo intorno agli anni Quaranta. Una quotidianità che comprende i
piccoli riti del mangiare.

...il buon Kamil si muoveva a quest’ora: apriva il negozio e faceva la sua


prima colazione. La consumavano insieme, lui e Abbas al-Helwu. Posavano
tra di loro un vassoio con un piatto di fave bollite, cipolle verdi e cetrioli
sottaceto.
Erano diversi nel mangiare, al-Helwu trangugiava svelto il pane e lo finiva
in pochi minuti, mentre Kamil masticava ogni boccone lentamente. [...] Così
l’altro aveva già finito e sorseggiava tè fumando il narghilè, mentre lui
ancora sgranocchiava le cipolle. Allora, per assicurarsi che al-Helwu non
prendesse anche la sua parte, separava due porzioni di fave con un pezzo di
pane e non gli permetteva di superare la barriera.24

Ma, come in America, anche in Africa ci sono grossi problemi dovuti alla
convivenza interrazziale. È il caso, per esempio, del Sudafrica, dove si
oppongono una maggioranza nera in fermento e una minoranza bianca che
detiene sì gran parte del potere, ma è fragile ed eterogenea perché composta da
nativi di ceppo straniero e di stranieri veri e propri. Così, tra neri cui è stata
alienata l’autodeterminazione sulla propria terra e bianchi che a quella terra non
sentono appieno di appartenere, il Sudafrica si rivela Un mondo di stranieri,
come Nadine Gordimer ha intitolato un suo romanzo del 1958. Qui, il
protagonista viene invitato a una di quelle rare feste in cui partecipano
sudafricani di tutte le razze.

Sam mi sorrise di sopra la sua scodella di zuppa; Anna aveva fatto


circolare un vassoio di tazze con un ottimo borsch caldo, tazze così bollenti
che si doveva passarle da una mano all’altra. Peter prese per assaggio una
sorsata del brodo agrodolce, odoroso di terra, e poi lasciò la propria tazza
dietro i dischi. Ma Sam e io bevemmo le nostre con gusto. «È un piatto

23
Alberto Salza, Niente. Come si vive quando manca tutto. Antropologia della povertà
estrema, Sperling & Kupfer, Milano, 2009, pag. 97.
24
Nagib Mahfuz, Vicolo del Mortaio, Feltrinelli, Milano 1990, pag. 31.
russo, vero?» [...] «Kvas», egli disse. «Sto appunto leggendo un libro in cui
si parla di una donna che lo beve: le viene un improvviso desiderio di berlo.
Sapete com’è, si vorrebbe conoscere a che sapore essa stia pensando.»
«È un peccato che non fosse borsch», io dissi.
Silvia si accostò a noi con le belle sopracciglia sollevate. «T-tutto bene? Vi
hanno dato un po’ di z-zuppa? [...] Ma non vi hanno dato una patata?
Dovete prendere una patata!» [...]
«Bisogna sempre prendere una patata col kvas», dissi a Sam.
«Sempre», egli disse.
«Ha letto Anna Karenina!» essa riuscì a esclamare, con aria di trionfo.
«Ricordo, ricordo! Come si chiama? La ragazza che Levin sposa: è lei che
beve il kvas.»
«Che ha voglia di berlo», disse Sam, schiudendosi in un sorriso di gioia
pura.25

Notate: sono in Africa ma servono piatti russi e, nel generale senso di


straniamento, la felicità viene dalla scoperta di letture comuni, che è come dire
una comune patria dello spirito. Una patria dove si può condividere il cibo, sia
pure solo come citazione.

Asia
La nostalgia di una patria perduta e la sua rievocazione attraverso le piccole
cose, cibo compreso, riappaiono anche in Asia, per esempio nelle Poesie d’amore
di Nazim Hikmet, uno dei maggiori lirici turchi del Novecento, costretto all’esilio
in Russia per il suo impegno politico a favore dell’indipendenza del suo paese.

Ti amo come se mangiassi il pane spruzzandolo di sale


come se alzandomi la notte bruciante di febbre
bevessi l’acqua con le labbra sul rubinetto
ti amo come guardo il pesante sacco della posta
non so che cosa contenga e da chi
pieno di gioia pieno di sospetto agitato
ti amo come se sorvolassi il mare per la prima volta in aereo
ti amo come qualche cosa che si muove in me
quando il crepuscolo scende su Istanbul poco a poco
ti amo come se dicessi Dio sia lodato son vivo.26

25
Nadine Gordimer, Un mondo di stranieri, Feltrinelli, Milano 1980, pagg. 112-113.
La patria è come il pane per chi ha fame, l’acqua per chi ha sete. Sono gli
affetti là, distanti, con cui si vorrebbe tanto condividere una parola, un
crepuscolo, le piccole cose della vita. Un’espressione che torna nel titolo del
romanzo dell’indiana Arundhati Roy, Il dio delle piccole cose,27 in cui due fratelli si
riuniscono dopo una lunga separazione famigliare e affrontano la difficile
situazione sociale dell’India, con la sua segregazione in caste e i problemi con cui
si scontrano le donne che, come la loro madre, divorziano dal marito o, come la
loro nonna, diventano imprenditrici. Nel caso specifico, impiantando una fabbrica
di mostarda.
Ma l’Asia è anche quella realtà tutta particolare che è il Giappone,
proiettato economicamente verso i modelli occidentali e il futuro, eppure insieme
ancora profondamente ancorato alle proprie radici tradizionali. Ne offre un
esempio Yukio Mishima, che in Dopo il banchetto28 racconta la storia di una
donna, proprietaria di un ristorante molto rinomato, che per essere accettata
appieno dalla buona società (per avere diritto a una «tomba onorata» dopo la
morte) decide di rinunciare a parte della sua autonomia tanto faticosamente
conquistata e sposare un uomo politico. Ma è una rinuncia più dura del previsto,
tanto è vero che durante il fastoso banchetto di fidanzamento imbandito ai
colleghi del futuro marito, l’uomo esige che lei esca dalla sala da pranzo affinché
sia lui solo a dare l’annuncio ufficiale.
Certo, dagli anni Sessanta di questo romanzo la realtà si è un po’ evoluta, come
ci dimostra il fenomeno letterario di Banana Yoshimoto, che in Kitchen mette in
scena personaggi anticonvenzionali come Eriko, la mamma del ragazzo che
ospita la protagonista Mikage quando questa perde la sua unica parente, la
nonna che l’aveva allevata. Tranne che... Eriko è in realtà uno splendido
transessuale, nonché il padre del giovane Yuichi. Ma come inizia questo libro
pieno di famiglie fuori della norma, famiglie di un solo membro o dai ruoli
sessuali confusi?

Non c’è posto al mondo che io ami più della cucina.


Non importa dove si trova, com’è fatta: purché sia una cucina, un posto
dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile le preferisco funzionali e
vissute. Magari con tantissimi strofinacci asciutti e puliti e le piastrelle
bianche che scintillano.
26
Nazim Hikmet, «Ti amo come se mangiassi il pane», in Poesie d’amore, Mondadori, Milano
2002.
27
Arundhati Roy, Il dio delle piccole cose, Guanda, Milano 1998.
28
Yukio Mishima, Dopo il banchetto, Feltrinelli, Milano 1982.
Anche le cucine incredibilmente sporche mi piacciono da morire.
Mi piacciono col pavimento disseminato di pezzettini di verdura [...]. Con
un frigo enorme pieno di provviste che basterebbero tranquillamente per un
intero inverno, un frigo imponente, al cui grande sportello metallico potermi
appoggiare. [...]
Siamo rimaste solo io e la cucina. Mi sembra un po’ meglio che pensare
che sono rimasta proprio sola. 29

E una strana famiglia è anche quella messa in scena nel film di Ang Lee
Mangiare, bere, uomo, donna (Taiwan, 1994), in cui il padre, un celebre cuoco
che si è ritirato dall’attività perché ha perduto l’olfatto, riesce a comunicare con
le tre figlie solo ed esclusivamente attraverso il mangiare, i raffinatissimi
manicaretti che cucina solo per gli intimi.

Un buon motivo

Un secondo percorso possibile è quello tematico: per la precisione,


possiamo scegliere un motivo in questo tema sconfinato che è l’alimentazione e
concentrarci su quello. Raccogliere, cioè, il materiale attorno a un fulcro
contenutistico più o meno circoscritto. Per esempio la carne, il vino, il cioccolato,
la condizione femminile, il cannibalismo, la magia, la cucina giapponese nella
letteratura occidentale oppure la concezione ebraica dell’alimentazione (sapete
riconoscere, nelle indicazioni bibliografiche date fin qui, i testi che ne trattano?).
Insomma, tutto quello che può stuzzicare il nostro appetito letterario, in una
sorta di banchetto in cui tutti i piatti siano collegati da un ingrediente comune.
Tanto per dare un esempio degli innumerevoli possibili, abbiamo scelto la
cerimonia del tè.
Naturalmente, vengono subito alla mente il tè all’orientale e quello
all’inglese, ma sono paradigmi che prevedono innumerevoli declinazioni. Nel già
citato Kitchen della Yoshimoto, per esempio, i due ragazzi protagonisti bevono un
tè che ha più accenti proustiani che della tradizione nipponica. Meditano infatti
sul passato, sui ricordi, tanto più struggentemente piacevoli se riguardano
persone ormai scomparse per sempre. Dal punto in cui li avevamo lasciati sono
successe infatti parecchie cose. Mikage ha superato la propria fase di lutto a casa
Tanabe, dove ricambiava le premure ricevute cucinando manicaretti. Poi ha

29
Banana Yoshimoto, Kitchen, Feltrinelli, Milano 1991, pag. 9.
deciso di seguire questa vocazione entrando in un’accademia d’alta cucina. Nel
frattempo Eriko è stata assassinata e ora è Yuichi a essere solo e in lutto. Così,
Mikage prende la scusa di un’improvvisa voglia per andare insieme a lui in una
tranquilla sala da tè, dove poter parlare e consolarlo almeno un po’.

Lui stava bevendo un Earl Grey. L’Earl Grey ha un odore che odio. Mi
ricordai quante volte, a notte fonda, casa Tanabe si riempiva di quell’odore
di saponetta: era Yuichi che usciva dalla sua stanza e faceva il tè mentre io
guardavo la tivù a basso volume nella notte silenziosa.
Nel flusso indefinito del tempo e degli stati d’animo, gran parte della storia
è incisa nei sensi. E cose di nessuna importanza, insostituibili, ritornano così
all’improvviso, in un caffè d’inverno. [...]
«Comunque se...» Stavo per dire: «Se c’è qualcosa che posso fare
dimmelo», ma lasciai perdere. Pregai che il ricordo di questo momento in
cui prendevamo un tè delizioso e bollente seduti l’uno di fronte all’altro in
un posto piacevole e caldo restasse in lui come una scia luminosa e
l’aiutasse.30

Una scena tra il ricordo e la seduzione, visto che tra i due c’è un’attrazione
che però nessuno di loro ha il coraggio di ammettere. Così come un
tentennamento fra attrazione amorosa e tutela della propria indipendenza è ciò
che sta alla base del racconto «Psicologia» di Katherine Mansfield, in cui i due
protagonisti prendono un canonico tè all’inglese, con tutte le sfumature del caso.

Due uccelli cantavano nel bollitore, il fuoco tremolava. Lui sedeva


reggendosi le ginocchia. Era deliziosa questa faccenda del tè – e lei aveva
sempre cose deliziose da mangiare: piccole tartine piccanti, biscottini di
mandorle dolci e una torta scura, succulenta, che sapeva di rum – ma era
sempre un’interruzione. [...]
Lei tagliò accuratamente la torta in tanti pezzetti e lui tese la mano per
prenderne uno.
«Ti prego, renditi conto di quanto è buona», supplicò lei. «Mangiala con
immaginazione. Rotea gli occhi, se puoi, e gustala dal profumo. Non è una
tartina tolta dal sacchetto del cappellaio, è il tipo di torta che meriterebbe di
essere nominata nel libro della Genesi... E Dio disse: ‘Sia fatta la torta, e la
torta fu, e Dio vide che era buona’.»31
30
Ibidem, pagg. 70-71.
31
Katherine Mansfield, Tutti i racconti. Felicità, Adelphi, Milano 1978, pagg. 122-124.
Un tè tipicamente all’inglese, in bilico fra solennità e humour. Non manca
nemmeno la citazione a un altro famosissimo tè della letteratura anglosassone,
quello che compare nel già citato Alice nel paese delle meraviglie, capitolo VII,
«Un tè fuori di sé».

Davanti alla casa, seduti a un tavolo sistemato sotto un albero, la Lepre


Marzolina e il Cappellaio stavano prendendo il tè: in mezzo a loro era seduto
un Ghiro semiaddormentato su cui gli altri due tenevano i gomiti appoggiati
facendo conversazione al di sopra della sua testa. [...] Il tavolo era grande,
ma i tre se ne stavano pigiati in un angolo. «Tutto esaurito! Tutto esaurito!»
presero a gridare scorgendo Alice che veniva verso di loro. «Esauriti sarete
voi!» disse Alice indignata, e si sedette in un’ampia poltrona a un capo del
tavolo.
«Un goccetto di vino?» disse la Lepre Marzolina in tono incoraggiante.
Alice guardò bene tutt’attorno, ma c’era soltanto il tè. «Io non lo vedo, il
vino» osservò lei.
«Bella scoperta, non c’è!» disse la Lepre Marzolina.32

Una scena che prosegue per diverse pagine, con trovate comiche e
spassosi tormentoni, come non meno esilarante è il tè che compare in un altro
caposaldo della letteratura umoristica inglese, Tre uomini in barca, di Jerome
Klapka Jerome. Protagonisti, come si intuisce dal titolo, sono tre amici che,
stressati dal lavoro (succedeva anche nel 1889), decidono di darsi all’avventura.
Solo che i tre sono dei Fantozzi ante litteram, e le loro avventure si trasformano
sin troppo spesso in dis-avventure, anche perché loro sono di quelli che
pasticciano fino a rendere complicatissimo persino il compito più semplice.

Mettemmo a bollire il bricco del tè, a prua della barca, poi ci portammo a
poppa e fingemmo di non guardarlo mentre ci accingevamo a preparare il
resto.
È questo il solo modo di far bollire l’acqua in un bricco, sul fiume. Se il
bricco si accorge che stai aspettando e sei ansioso, non fischia mai e poi
mai. Devi allontanarti e incominciare il pasto, come se avessi rinunciato
completamente al tè. [...]

32
Carroll Lewis, Alice nel paese delle meraviglie, l’Unità, Roma 1993, pag. 79.
È un utile espediente, inoltre, quando si ha molta fretta, dirsi a voce
altissima, gli uni con gli altri, che non c’è nessun bisogno del tè, e che se ne
farà a meno. È necessario avvicinarsi al bricco, affinché possa udire, e poi
urlare: «Io non lo voglio il tè, e tu, George?»
Dopodiché George risponde, urlando a sua volta: «Oh, no, il tè non mi
piace; berremo invece limonata... Il tè è così indigesto!»
Allora nel bricco l’acqua bolle fino a traboccare e spegne il fornellino. 33

E la presa in giro del rito inglese del tè, nonché la tecnica del tormentone,
ricorrono ne L’importanza di chiamarsi Ernesto (1895), che Oscar Wilde scrisse
adottando la struttura dei drammi salottieri francesi ma stravolgendola
parodisticamente, dal momento che qui la parola si sostituisce quasi del tutto
all’azione, in un tourbillon di trovate comiche che mettono sottilmente alla
berlina i luoghi comuni del linguaggio, le convenzioni sociali e gli stereotipi
teatrali (l’ereditiera, il figlio illegittimo, la donna dal misterioso passato, la
nobildonna dispotica ecc.).
Alla fine del II atto, per esempio, Jack e Algernon (i due protagonisti)
stanno prendendo il tè nel giardino di Jack con le loro «fidanzate» quando le due
ragazze si offendono e scappano in casa, lasciandoli fuori con tutto
l’armamentario del rito pomeridiano, che è sì il tè ma anche tutto ciò che lo
accompagna. A quel punto, nel bel mezzo di una burrasca sentimentale,
Algernon si mette a mangiare salatini.

JACK Come puoi startene lì a mangiare tutto calmo dei salatini mentre ci
troviamo in questo atroce pasticcio, non so proprio immaginarlo. Mi sembri
totalmente senza cuore
ALGERNON Beh, io i salatini tutto agitato non so mangiarli. Finirei coperto di
briciole. I salatini vanno sempre mangiati con calma. Non c’è altro modo.
JACK Io dico che il fatto che tu mangi i salatini in circostanze come queste
dimostra una totale mancanza di cuore.
ALGERNON Quando sono nei guai mangiare è la sola cosa che mi consoli. Anzi,
quando mi trovo in guai veramente grossi, come ti dirà chiunque mi
conosca intimamente, rifiuto tutto, tranne il cibo e le bevande. In questo
momento sto mangiando i salatini perché sono infelice. E poi, ho sempre
avuto un debole per i salatini (Si alza.)

33
Jerome Klapka Jerome, Tre uomini in barca, l’Unità, Roma 1993, pag. 118.
JACK (Alzandosi anche lui) Beh, non è una buona ragione per mangiarli con
quell’ingordigia (Gli toglie i salatini.)
ALGERNON (Offrendogli la ciambella) Vorrei che prendessi la ciambella, invece.
A me la ciambella non piace.
JACK Santo cielo! Spero che non sia proibito mangiare i propri salatini nel
proprio giardino.
ALGERNON Ma se hai appena detto che mangiare i salatini dimostra una totale
mancanza di cuore.
JACK Ho detto che date le circostanze mangiare i salatini dimostra una totale
mancanza di cuore. C’è una bella differenza.
ALGERNON Può essere. Ma i salatini sono gli stessi. (Gli toglie il piatto dei
salatini)34

A Oscar Wilde si può idealmente accostare un altro scrittore-dandy suo


contemporaneo, il già citato Joris-Karl Huysmans, che come lui usa sensibilità e
cultura per prendere le distanze dalle convenzioni sociali. Ma la sua operazione
porta un segno diametralmente opposto: tanto Wilde sbeffeggia la vuota
raffinatezza della nobiltà, tanto invece Huysmans la supera, estremizzandola. Lo
possiamo riscontrare, per esempio, paragonando il brio della precedente scena di
Wilde con un brano del romanzo di Huysmans A ritroso (1884), in cui il
protagonista Des Esseintes, l’esteta decadente per eccellenza, sta prendendo il
tè mentre contempla una tartaruga cui ha fatto lucidare e quindi incrostare il
carapace di gemme sino a formarvi un disegno floreale.

Si sentì perfettamente felice; i suoi occhi si inebriavano di quello splendere


di corolle fiammeggianti sul fondo d’oro. Inoltre, contrariamente alla sua
abitudine, aveva appetito e inzuppava i suoi crostini spalmati di un burro
straordinario in una tazza di tè, un’impeccabile miscela di Si-a-Fayun, di Mo-
yu-tan e di Khansky, tè gialli venuti dalla Cina in Russia con carovane
eccezionali.
Beveva questo liquido profumo in quelle porcellane cinesi dette gusci
d’uovo, tanto sono diafane e leggere; e, come non ammetteva se non
queste adorabili tazze, così, in fatto di stoviglie, si serviva solo di autentico
vermeil dalla doratura un po’ consunta, quando l’argento appare appena
sotto il rivestimento stanco dell’oro e gli dà una tinta di dolcezza antica,
spossata, moribonda. 35
34
Oscar Wilde, L’importanza di chiamarsi Ernesto, Mondadori, Milano 1990.
35
Joris-Karl Huysmans, A ritroso, Rizzoli, Milano 1982, pag. 74.
In realtà, di moribondo a pieno titolo c’è solo la povera tartaruga, che
soccombe mentre Des Esseintes sta gustando il suo preziosissimo tè. Ma questo
è un particolare che non intacca la sensibilità dell’esteta se non in quanto incrina
la sua percezione sinestesica (vista, gusto, tatto, olfatto) di quel momento di
pura bellezza.
Al capo opposto dell’estetismo europeo ottocentesco c’è invece la pratica
economia di gesti dell’America novecentesca, che possiamo trovare ben
riassunta nel racconto «Visitatori» della già citata raccolta Episodi isolati di
Bharati Mukherjee. In questo episodio la giovane Vinita, che si è appena
trasferita dalla Calcutta-bene al New Jersey grazie a un matrimonio combinato
dai suoi genitori, sta tentando di ambientarsi nonostante la perplessità che le
suscitano le strane usanze americane. Come è lecito vestirsi? Chi è lecito
frequentare? E come ci si comporta con un ospite? Così, quando le fa visita un
attraente universitario suo conterraneo, si muove oscillando fra la sicurezza delle
tradizioni e il piacere del nuovo, l’imbarazzo e la curiosità.

«Le posso offrire dell’autentico tè all’indiana?» gli chiede. È questa la cosa


corretta da fare per una padrona di casa indiana, anche nel New Jersey;
offrire all’ospite qualcosa da bere, sia pure soltanto un bicchiere d’acqua.
«Lo faccio esattamente come i chai-vala. Faccio bollire le foglie di tè in una
miscela di latte, acqua e zucchero, e ci metto un pizzico di cardamomo,
chiodi di garofano, cannella eccetera.»
«Non voglio che lei rimanga bloccata in cucina», dice ridendo. «Vorrei che
mi raccontasse di Calcutta. [...]»
Rajiv le si accosta con passo diseguale, nervoso; è un potenziale invasore
del suo cucinino-fortezza.
«Ho capito che lei era speciale la prima volta che l’ho vista. [...] Non
riuscivo a togliermela dalla mente.»
Vinita finisce di tenere le due bustine di Twining in infusione nella teiera
prima di rispondere allo sfogo del giovane visitatore. Non è shoccata,
contrariamente a quanto aveva immaginato. [...] Si concentra sulla
preparazione del tè; l’infuso deve essere ambrato al punto giusto. Ma
preparare il tè nel New Jersey non è una grande impresa. Affonda e tira fuori
ciascuna bustina ripetutamente, tenendola per la fragile cordicella. Si perde
un po’ di sapore, ma si acquista un po’ di convenienza nel rimettere
rapidamente in ordine. Il nuovo mondo ti costringe a sapere cos’è che vuoi
veramente.36

La nuova esistenza di Vinita passa attraverso la metafora di quella tazza di


tè: la pragmaticità delle bustine, la fragile cordicella, l’esortazione implicita a far
ordine subito anche dentro di sé. Ma, come abbiamo notato più e più volte per
qualsiasi altro cibo, l’offerta del tè è anche e soprattutto un atto sociale,
un’apertura al contatto, alla relazione. E non solo, come in questo caso, alla
relazione sessuale.
Il tè si offre agli amici o ai potenzialmente tali, è un gesto di accettazione, di
rassicurazione, persino di tregua. Questo, per esempio, è il senso della tazza di
tè che nel romanzo della tedesca Gaby Hauptmann Ma poi le donne ce la fanno
Monika, imprenditrice di successo ma evitata dalla buona società da quando il
marito l’ha abbandonata per risposarsi con una ragazza, offre a Marion, che di
quella élite era un pilastro fino al giorno prima, quando è stata a sua volta
“scaricata” dal marito. E, somma beffa, per una ragazza che l’uomo ha
conosciuto proprio al fastoso buffet che la moglie gli ha organizzato per il suo
sessantesimo compleanno. Ora Marion deve ricorrere alla paria per farsi
consigliare un avvocato divorzista, ma in quello che inizia come una richiesta
formale si apre presto uno spiraglio di complicità, forse addirittura di amicizia.

Marion guarda dritto negli occhi Monika, e all’improvviso la diga si rompe:


Marion scoppia in singhiozzi irrefrenabili, la faccia rigata di lacrime. «Come
si può essere tanto disumani?» esclama piangendo e Monika le porge un
pacchetto di fazzoletti di carta.
«Pianga quanto vuole, fa bene! È quel che ci vuole per l’anima, così si
ripulisce. Vado a mettere su un tè.»
Ma alla fine anche il pianto di Marion si arena in radi spasmi senza più
lacrime. «Perché piango, in verità?» si chiede Marion, mentre Monika le
versa una tazza di tè nero e le porge dello zucchero di canna. [...]
«Si ricorda dell’ultimo compleanno di Günther?»
«Come potrei dimenticarlo», risponde Marion con un sospiro.
«Io pure!» Monika appoggia il cucchiaino a lato della tazza e fissa Marion.
«E perché? Se non è nemmeno venuta!»
«Appunto!» La parola resta un attimo sospesa nell’aria, prima che altre ne
seguano. «Non sono stata invitata!»

36
Bharati Mukherjee, Episodi isolati , Feltrinelli, Milano 1992, pagg. 127-130.
Per un attimo cala il silenzio. Marion si guarda le mani, inerti sul tavolo
vicino alla tazza. Poi annuisce. 37

Tè nero e zucchero di canna per le signore della buona società europea,


simboliche bustine di Twining per l’immigrata indiana, tè rari della Cina dal
«liquido profumo» per l’esteta ottocentesco, i salatini di Oscar Wilde e i dolci al
rum della Mansfield, il tè proustiano della Yoshimoto e quello folle di Lewis
Carroll... e ancora la Bibbia, l’Odissea e il Popol Vuh, la Recherche e Dracula,
Nora e Pinocchio, Manzoni e la Yoshimoto... tanti significati, tante suggestioni
diverse, ma un unico filo conduttore: il sapore della parola.

37
Gaby Hauptmann, Ma poi le donne ce la fanno, Feltrinelli, Milano 2000, pag. 193.
Si tratta del terzo romanzo di questa autrice dopo i fortunati Uomo impotente
cercasi per serena convivenza (1997) e Un letto di bugie (1998).
Indice

1. La fame e la sete. Significati e simbologia dell’alimentazione


Dentro e fuori
Il cibo della memoria
L’alchimia dei sentimenti
Cibo e sesso
Il vino, rosso come il sangue
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Tra mente e cuore
2. Dai dolcetti di Nora allo sciroppo di Alice. Il cibo nei generi
letterari
Andiamo in scena
Un cibo da favola
Farcitori e farciti
Invito a cena con delitto
3. Magia e spazzatura. Un viaggio attraverso la geografia delle
parole
Costruiamoci una bibliografia
Riassumendo: i nostri menu
Il pappamondo
Un buon motivo

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