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È stato con questo sistema che ci siamo procurati, per esempio, i testi
antropologici di Lévi-Strauss e Mara Mabilia, quelli di storia sociale
dell’alimentazione di Massimo Montanari e quelli storico-letterari di Piero
Camporesi (tutte classificazioni dai confini labili), come anche quelli psicologici
sulle patologie alimentari o quelli letterari sul significato delle fiabe.
Un percorso che comprenda invece solo i volumi posseduti dalle biblioteche
rionali e dalla Comunale Centrale di Milano potrebbe partire, per esempio, dalla
parola chiave «Alimentazione», per poi restringere il campo ad «Alimentazione –
Aspetti socio-culturali». I risultati saranno una novantina, e tra questi potremo
già individuare percorsi godibilissimi sul rapporto tra cibo e magia, sulla storia
dell’alimentazione, sulla simbologia della tavola...
Allen, Stewart Lee, Nel giardino del diavolo: storia lussuriosa dei cibi proibiti,
Feltrinelli traveller 2005
Angelini P. et al., A tavola con gli dei: la cultura del cibo tra alimentazione e
simbologia, Il cerchio iniziative editoriali 1996
Antolini, Piero, I manducanti: storia e civiltà dell’uomo a tavola, Rebellato 1983
Antomarini B., M. Biscuso (a cura di), Del gusto e della fame: teorie
dell’alimentazione, Manifestolibri 2004
Ariès, Paul, I figli di McDonald’s: la globalizzazione dell’hamburger, Dedalo 2000
Barzano, Carla, Marconi, Luisa, Buono da mangiare, Coop. Cariplo Comune 1994
Bonder, Nilton, La teoria della felicità gastronomica, Sperling & Kupfer 2000
Boudan, Christian, Le cucine del mondo: geopolitica del gusto, Donzelli 2005
Camporesi, Piero, Alimentazione folclore società, Pratiche, Parma 1980
—, Il brodo indiano: edonismo ed esotismo nel Settecento, Garzanti 1990
—, Il pane selvaggio, Garzanti 2004
—, La terra e la luna: alimentazione folclore società, Il saggiatore1989
—, Le vie del latte: dalla Padania alla steppa, Garzanti 1993
Chef Kumale, Il mondo a tavola: precetti, riti e tabù, Einaudi 2007
Cipriani, Alberto, L’uomo è ciò che mangia: breve storia dell’alimentazione
umana, Camera di commercio industria agricoltura e artigianato, Maschietto &
Musolino 1996
—, Mangiare per vivere: breve storia sociale dell’alimentazione, Rotary Club Gli
ori 2005
Colella, Anna, Figura di vespa e leggerezza di farfalla: le donne e il cibo nell’Italia
borghese di fine Ottocento, Giunti 2003
Consiglio, Carlo, Siani Vincenzino, Evoluzione e alimentazione: il cammino
dell’uomo, Bollati Boringhieri 2003
Degli_Esposti, Piergiorgio, Il cibo dalla modernità alla postmodernità, Franco
Angeli 2004
D’Eramo, Marco, Spurlock Morgan, Il grande tritacarne, Feltrinelli 2005
Di Nallo, Egeria (a cura di), Cibi simbolo nella realtà d’oggi, Franco Angeli 1986
Diodato, Luciana, Il linguaggio del cibo: simboli e significati del nostro
comportamento alimentare, Rubbettino 2001
Dosi, Antonietta, Pasti e vasellame da tavola, Quasar 1986
Dosi Antonietta, Schnell F., Le abitudini alimentari dei romani, Quasar 1986
—, I romani in cucina, Quasar 1986
Ferrieres, Madeleine, Storia delle paure alimentari: dal Medioevo all’alba del 20.
secolo, Editori riuniti 2004
Finkelstein, Joanne, Andare a pranzo fuori: Sociologia delle buone maniere, Il
Mulino, Bologna 1992
Fischler, Claude, L’onnivoro: il piacere di mangiare nella storia e nella scienza,
Mondadori 1992
Flandrin Jean-Louis e Massimo Montanari (a cura di), Storia dell’alimentazione,
Laterza 2003
Guadagno, Giovanni, Pelizzoni Stefano, Erudite degustazioni: rimandi tra cucina
e cultura, OCD 2005
Harris, Marvin, Buono da mangiare: enigmi del gusto e consuetudini alimentari,
Einaudi 1990
Istituto nazionale di sociologia rurale (a cura di), Gastronomia e società: nuovi
documenti e testimonianze, Franco Angeli 1988
Jones, Martin, Il pranzo della festa: una storia dell’alimentazione in undici
banchetti, Garzanti 2009
Kostioukovitch, Elena, Perché agli italiani piace parlare del cibo, Sperling &
Kupfer Milano 2006
La_Cecla, Franco, La pasta e la pizza, Il mulino Bologna 1998
Le Barzic, Michelle, Il miglior modo di mangiare: la moderna confusione
alimentare, Editori riuniti 2000
Lupton, Deborah, L’anima nel piatto, Il Mulino, Bologna 1999
Marchi, Cesare, Quando siamo a tavola, Rizzoli 1990
Mariotti, Fiorenza, Mazzoni, Patrizia, Buono da pensare, Comune Coop. Cariplo
1994
Marturano, Aldo, Vita di Smierd: cibo e magia nel medioevo russo, Atena 2007
Mazzetti di Pietralata Mario (a cura di), Prima colazione: come & perché, Agra
2006
Meldini, Piero, Le pentole del diavolo: cibo e eros, violenza e corruzione, Camunia
1989
Montanari, Massimo, Alimentazione e cultura nel Medioevo, Laterza 1988
—, Convivio oggi: storia e cultura dei piaceri della tavola nell’età contemporanea,
Laterza 1992
—, Convivio: storia e cultura dei piaceri della tavola: dall’antichità al Medioevo,
Laterza 1989
—, Il cibo come cultura, Laterza 2004
—, Il formaggio con le pere: la storia in un proverbio, Laterza 2008
—, La fame e l’abbondanza: storia dell’alimentazione in Europa, Laterza 1993
—, Nuovo convivio: storia e cultura dei piaceri della tavola nell’età moderna,
Laterza 1991
Montanari Massimo (a cura di), Il mondo in cucina: storia, identità, scambi,
Laterza 2002
Muller, Klaus, Piccola etnologia del mangiare e del bere, Il mulino 2005
Muzzarelli, Maria Giuseppina, Donne e cibo: una relazione nella storia, Bruno
Mondadori 2003
Nabhan, Gary Paul, A qualcuno piace piccante, Codice 2005
Paolini, Davide, Tullio Seppilli, Alberto Sorbini, Migrazioni e culture alimentari,
Editoriale umbra 2002
Pollan, Michael, Il dilemma dell’onnivoro, Adelphi 2008
Poulain, Jean-Pierre, Alimentazione, cultura e società, Il mulino, Bologna 2008
Rappoport, Leon, Come mangiamo: appetito, cultura e psicologia del cibo, Ponte
alle Grazie 2003
Rebora, Giovanni, La civiltà della forchetta: storie di cibi e di cucina, Laterza
1998
Rifkin, Jeremy, Ecocidio: ascesa e caduta della cultura della carne, Mondadori
2001
Russell, Sharman Apt, Fame: una storia innaturale, Codice 2006
Scarpi, Paolo, Il senso del cibo: mondo antico e riflessi contemporanei, Sellerio,
Palermo 2005
Schivelbusch, Wolfgang, Il paradiso, il gusto e il buonsenso: una storia dei generi
voluttuari, De Donato 1988
Schlosser, Eric, Fast food nation, Marco Tropea Editore 2002
Segre, Andrea, Dalla fame alla sazietà, Sellerio 2007
Solci, Guglielmo, Degustibus: la Roma imperiale a tavola, con 140 ricette di
Apicio, Alexa 1999
Sorcinelli, Paolo, Gli italiani e il cibo: dalla polenta ai cracker, Bruno Mondadori
1999
Teti, Vito, Il colore del cibo: geografia, mito e realtà dell’alimentazione
mediterranea, Meltemi 1999
Veronelli, Luigi, Pablo Echaurren, Le parole della terra, Stampa alternativa 2003
Esistono inoltre altri testi utilissimi, come gli atti di convegni (molto spesso
universitari) o gli articoli di riviste e altri periodici, nonché i loro numeri
monografici. È il caso, per esempio, del numero 39 (1996) della rivista Avallon,
intitolato «A tavola con gli dèi. La cultura del cibo tra alimentazione e
simbologia», che contiene articoli intriganti sul nostro tema. Anche in questo
caso possiamo ricorrere ai cataloghi delle emeroteche pubbliche, così come fare
ricerche su internet e scaricare direttamente gli articoli che hanno solleticato il
nostro interesse.
Esiste infine la serendipità, che consiste nel trovare qualcosa mentre si cerca
tutt’altro. Per esempio, possiamo scegliere il saggio di Maura Franchi Il senso del
consumo perché ci incuriosisce sapere come consumatore e mercato si
influenzano a vicenda... e imbatterci nel capitolo «Il cibo: buono da pensare»,
che affronta temi interessantissimi come la costruzione sociale del gusto o
l’estetica del cibo.
Se invece vogliamo dedicarci alla letteratura possiamo:
Alberini M., Storia della cucina italiana, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1992
Arachi A., Briciole. Storia di un’anoressia, Feltrinelli, Milano 1997
Barthes Roland., Miti d’oggi, Einaudi, Torino 1974
Biasin G.P., I sapori della modernità, Il mulino, Bologna 1991
Bonder Nilton, La teoria della felicità gastronomica, Sperling & Kupfer, Milano
2000
Bourdieu Pierre, La distinzione: critica sociale del gusto, Il mulino, Bologna 1983
Bruch H., La gabbia d’oro. L’enigma dell’anoressia mentale, Feltrinelli, Milano
1983
–, Patologia del comportamento alimentare, Feltrinelli, Milano 1977
Brillat-Savarin Anthelme, Fisiologia del gusto, Rizzoli, Milano 1996
Caleffi P., Si fa presto a dire fame, Mursia, Milano 1998
1
L. Grandi e S. Tettamanti, Calendario goloso, Garzanti, Milano 1999.
Camporesi Piero, Alimentazione, folclore e società, Pratiche, Parma 1980
—, Il brodo indiano, Garzanti, Milano 1990
—, La carne impassibile, Il Saggiatore, Torino 1983
—, Il paese della fame, Il mulino, Bologna 1985
—, Il pane selvaggio, Il mulino, Bologna 1980
—, Il sugo della vita. Simbolismo e magia del sangue, Garzanti, Milano 1997
Fischler Claude, L’onnivoro, Mondadori, Milano 1992
Flandrin Jean-Louis e M. Montanari Massimo, Storia dell’alimentazione, Laterza,
Bari 1997
Franchi Maura Il senso del consumo, Bruno Mondadori, Milano 2007
Göckel Renate, Donne che mangiano troppo. Quando il cibo serve a compensare
disagi affettivi, Feltrinelli, Milano 1997
King Stephen, Danse macabre, Sperling & Kupfer, Milano 1999
Kott Jan, Mangiare Dio, Il Formichiere, Milano 1990 (riedito come Divorare gli dei,
Bruno Mondadori, Milano 2005)
Lévi-Strauss Claude, Il crudo e il cotto, Il Saggiatore, Torino 1966
—, Dal miele alle ceneri, Il Saggiatore, Torino
—, Le origini delle buone maniere a tavola, Il Saggiatore, Torino 1971
Longo Oddone e Scarpi Paolo, Homo edens: regimi, miti e pratiche
dell’alimentazione nella civiltà del Mediterraneo, Diapress, Milano 1989
Mabilia Mara, Il valore sociale del cibo, Franco Angeli, Milano 1991
Mainardi G. e P. Berta, Il vino nella storia e nella letteratura, Edizioni Agricole,
Bologna 1991
Montanari Massimo, L’alimentazione contadina nell’alto Medioevo, Liguori, Napoli
1979
—, Alimentazione e cultura nel Medioevo, Laterza, Roma-Bari 1995
—, Convivio. Storia e cultura dei piaceri della tavola, Laterza, Roma-Bari 1989
—, Convivio oggi. Storia e cultura dei piaceri della tavola nell’età
contemporanea, Laterza, Roma-Bari 1992
—, La fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa, Laterza, Roma-
Bari 1993
—, Nuovo convivio. Storia e cultura dei piaceri della tavola nell’età moderna,
Laterza, Roma-Bari 1991
Okakura Kakuzo, Lo Zen e la cerimonia del tè, Feltrinelli, Milano 1997
Onfray Michel, Il ventre dei filosofi, Rizzoli, Milano 1991
Ongini Vincio (a cura di), Una fame da leggere: il cibo nella letteratura per
l’infanzia, Coop, Firenze 1994
Pasini Willy, Il cibo e l’amore, Mondadori, Milano 1995
Perin Andrea, Ricette scorrette. Racconti e piatti di cucina meticcia, Eleuthera,
Milano 2009
Profeti Maria Grazia (a cura di), I codici del gusto, F. Angeli, Milano 1992
Redon O., F. Sabban e S. Serventi, A tavola nel Medioevo, Laterza, Bari 1995
Sabban F. e S. Serventi, A tavola nel Rinascimento, Laterza, Bari 1996
Salza Alberto, Niente. Come si vive quando manca tutto. Antropologia della
povertà estrema, Sperling & Kupfer, Milano, 2009.
Sarti R., Vita di casa, Laterza, Roma 1999
Sentieri M., Cibo e ambrosia. Storia dell’alimentazione mediterranea tra caso,
necessità e cultura, Dedalo, Bari 1993
Selvini Palazzoli M., L’anoressia mentale, Feltrinelli, Milano 1963
Sorcinelli Paolo, Gli italiani e il cibo, Bruno Mondadori, Milano 1999
—, Storia sociale dell’acqua, Bruno Mondadori, Milano
Tannahill R., Storia del cibo. Dalla preistoria all’alimentazione scientifica, Rizzoli,
Milano 1997
Toussant-Samat M., Storia naturale dell’alimentazione, Sansoni, Firenze 1991
Unwin T., Storia del vino. Geografie, culture e miti dall’antichità ai giorni nostri,
Donzelli, Roma 1996
Woolf Virginia, Una stanza tutta per sé, Einaudi, Torino1995
Bibliografia letteraria
Il pappamondo
America centro-meridionale
Parlando di America Centromeridionale viene subito in mente il suo particolare
sincretismo religioso, dalla santeria al candomblé, che spesso sfocia nella magia.
Ed è una magia che fa perno sulla corporeità, dal cibo al sesso, al punto che
questi tre elementi (cibo, sesso e magia) sono un po’ la cifra che ha fatto
conoscere e ha reso facilmente individuabile la letteratura sudamericana nel
resto del mondo. Viene subito da pensare al brasiliano Jorge Amado, per
esempio, con i celeberrimi Gabriella garofano e cannella,2 Cacao3 e Dona Flor e i
suoi due mariti.
2
Jorge Amado, Gabriella garofano e cannella, Einaudi, Torino 1991.
3
Jorge Amado, Cacao, Mondadori, Milano 1991.
In sala da pranzo, in una profusione di cibi da benedire e santificare,
facevano bella mostra di sé i pezzi forti della cucina baiana: vatapá ed efó,
abará e caruru, moqueca di granchi, di gamberoni, di pesce, acarajé e
acaçá, xinxim di gallina e haussá di riso, oltre a montagne di polli e tacchini
arrosto, cosciotti di maiale, fritto misto di pesce [...] Tutto quel ben di dio
innaffiato da aluá, cachaça, birra, vini portoghesi. Da più di dieci anni il
Maggiore dava quella festa, in adempienza a un voto severo di candomblé,
da quando gli orixas gli avevano salvato la moglie, in pericolo di vita per via
dei calcoli renali. 4
E ricordiamo il già citato Come l’acqua per il cioccolato,5 della messicana Laura
Esquivel, con la sua glassa alle lacrime e le sue afrodisiache quaglie ai petali di
rosa, o ancora a La signora del miele, della colombiana Fanny Buitrago, con la
sua gastronomia erotica.
7
Isabel Allende, D’amore e ombra, Feltrinelli, Milano 1988, pagg. 112-113.
America settentrionale
L’America Settentrionale è il ricettacolo di mille culture che talvolta coesistono
faticosamente, talaltra cozzano sino a deflagrare in una realtà folle e disgregata,
in cui anche il cibo perde il suo significato diventando mera spazzatura. Così, da
un lato nei romanzi di Priscilla Cogan come La bussola del cuore8 la cultura
anglosassone e quella nativo-americana tentano un difficile dialogo fatto anche
di condivisione di cibi rituali ed esperienze spirituali, nei racconti dell’indiana
Bharati Mukerjee contenuti nella raccolta Episodi isolati9 immigrati indiani e
pachistani entrano nelle nuove famiglie o nelle nuove realtà nordamericane
anche attraverso il cibo, mentre nei romanzi della bengalese trapiantata a San
Francisco Chitra Banerjee Divakaruni, come La maga delle spezie, la magia delle
spezie indiane mette radici in California, e talvolta riesce a fare il sortilegio più
potente: dare a una donna maltrattata il coraggio per fuggire dal marito.
Dall’altro lato, nei racconti del padre spirituale del minimalismo, Raymond
Carver, il cibo non ha nulla di magico o suggestivo. Nelle sue pagine mangiare
diventa nel migliore dei casi sintomo di un disagio, nel peggiore una faccenda
decisamente sinistra.
Così, nelle storie raccolte in Di cosa parliamo quando parliamo d’amore,10
in alcuni casi rielaborate nel successivo Cattedrale11 e incluse nel film di Altman
America oggi, cibo può essere la torta di compleanno che nel racconto «Una
piccola, buona cosa» (in Cattedrale) un bambino investito da un’auto non
mangerà mai, che i genitori distrutti dal dolore non ritireranno, e per la quale un
inacidito pasticcere – un uomo che per tutta la vita ha fatto torte di matrimonio,
lui che una moglie non ce l’ha, e torte di compleanno per bambini che lui non
mai avuto – farà telefonate inconsapevolmente agghiaccianti: «Ha dimenticato
Scotty?»
E di cibo si parla anche nel racconto «Tanta acqua così vicino a casa» (in
Di cosa parliamo quando parliamo d’amore).
Mio marito mangia con molto appetito. Ma non credo che abbia veramente
fame. Mastica, con le braccia sul tavolo, e fissa qualcosa sulla parete di
fronte. Guarda verso di me, poi distoglie lo sguardo. Si pulisce la bocca col
tovagliolo. Alza le spalle, e continua a mangiare.
«Perché mi fissi?» dice. «Cosa c’è?» dice posando la forchetta.12
8
Priscilla Cogan, La bussola del cuore, Frassinelli, Milano 2000
9
Bharati Mukerjee, Episodi isolati, Feltrinelli, Milano 1992
10
Raymond Carver, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, Garzanti, Milano 1987.
11
Raymond Carver, Cattedrale, Serra e Riva Editori/CDE, Milano 1987.
12
Raymond Carver, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, cit., pag. 73.
Già, cosa c’è, cosa succede tra questi due? C’è che il marito ha la
coscienza sporca ma si ostina a dire che non ha fatto niente di male, mentre la
moglie è schifata dal suo comportamento, che ormai è sulla bocca di tutti. Il
week end precedente l’uomo è infatti andato a pescare con i suoi amici;
parcheggiano l’auto, si fanno una lunga camminata e, proprio quando stanno per
piantare le tende, scoprono nel ruscello lì accanto il corpo nudo di una ragazza
assassinata. Ora, di rifarsi la scarpinata per avvisare subito la polizia non ne
hanno proprio voglia. D’altronde, la ragazza ormai è morta, no? Quindi legano il
cadavere a un albero sulla riva e continuano il campeggio come niente fosse.
Avviseranno la polizia quando torneranno dalla pesca.
Nessuno di due era portato per i lavori di casa. Passavano mesi e mesi
durante i quali il pavimento del nostro monolocale sulla Avenue A si
riempiva di siringhe usate, scatole di riso, confezioni di lavande vaginali,
biancheria di pizzo nero, fruste, garrote, cinghie, stringhe, Crackers Jakcs,
Kleenex usati, pacchetti semivuoti di patatine e tortilla chips. Gli strumenti
dei rispettivi mestieri. 14
Oppure può diventare il mezzo con cui una situazione banale come
mangiare in una mensa si trasforma in un incubo kafkiano («Pranzo obbligato»)
o, ancora, trasformarsi nel protagonista di una scena comicamente pulp. È il caso
13
Ibidem, pag. 75.
14
Tama Janowitz, Schiavi di New York, Bompiani, Milano 1989, pag. 6.
del prosciutto confezionato che un universitario riceve in regalo e che rimane su
uno scaffale per settimane nonostante l’affamatissimo compagno di stanza del
ragazzo vi alluda in continuazione.
«Mettilo nel frigo», gli avevo detto, «altrimenti uno di questi giorni esplode
e non vorrei essere qui quando succede.» Tutti i giorni gli dicevo: «Jeff, fai
qualcosa con quel prosciutto.»
Ma le settimane passavano. Una sera che eravamo tutti e due in camera
[...] improvvisamente ci fu un’esplosione. E, spiaccicato ovunque sul suo
lato della stanza, il prosciutto. Un fetore inimmaginabile. Il prosciutto
putrefatto era esploso come una bomba. Per ironia della sorte, il mio lato
della stanza non era stato neppure sfiorato. [...] Ma l’aria era piena di
miasmi e fui costretto a fuggire per non vomitare seduta stante.
Nel giro di dieci minuti, il dormitorio s’era svuotato.15
Europa
L’Europa è la culla delle grandiose cucine occidentali eternamente in
competizione fra loro, quella italiana e quella francese, nonché di altre cucine
altrettanto sontuose, come quelle spagnole. Ripensiamo, per esempio, alla sfida
Camilleri-Vàzquez Montalbàn che abbiamo incontrato la scorsa volta. Tra
parentesi, avendo profondamente influenzato altre culture, in quella europea
possiamo trovare motiv che abbiamo già visto altrove, come quello della magia
del cibo: tanto per fare un esempio, Chocolat e il suo seguito, Le scarpe rosse, di
Johanne Harris.
15
Ibidem, pag. 188.
Comunque sia, proprio nella letteratura europea ci sono gli esempi più splendidi
di banchetti. Viene subito alla mente, per esempio, il celeberrimo pranzo che il
nobiluomo siciliano protagonista del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di
Lampedusa offre a uno scelto gruppo di notabili locali per presentare la futura
nuora, la bellissima Angelica, appena tornata dai suoi studi sul Continente.
16
Giuseppe Tomasi di Lampedusa , Il gattopardo, Feltrinelli, Milano 1985, pagg. 81-81.
la tavola erano allineati mazzi di fiori; nei piatti dal largo orlo i tovaglioli
erano allineati a mo’ di cappello vescovile, con un panino ovale racchiuso
tra i due lembi. Le lunghe zampe rosse delle aragoste sporgevano dai
vassoi, strati di grossi frutti erano disposti in cestini traforati e foderati di
muschio leggero; le quaglie avevano ancora tutte le loro piume; s’alzavano
nuvole di vapore. In calze di seta e calzoni corti, cravatta bianca e gala di
pizzo, solenne come un giudice, il maggiordomo insinuava tra le spalle degli
invitati i vassoi con le vivande già scalcate, facendo saltare nel piatto con
un sol colpo di cucchiaio il pezzo scelto.17
Quanta differenza con la sua vita di tutti i giorni, con quel marito
bonaccione e grossolano e le sue economie da poveraccio!
Ma era soprattutto all’ora dei pasti che a lei pareva di non farcela più [...];
era come se tutta l’amarezza dell’esistenza le venisse scodellata nel piatto;
con il vapore del lesso salivano dal profondo del suo animo zaffate di
disgusto. Charles era così lento a mangiare; lei sgranocchiava qualche
nocciola, oppure, appoggiata al gomito, si perdeva a tracciare righe sulla
tela cerata con la punta del coltello.18
Notate che, come abbiamo già visto, il contrasto fra i due modi di
mangiare passa sì, ovviamente, da tutto l’apparato della tavola (belle tovaglie
contro tela cerata, per esempio), ma soprattutto attraverso la carne: cacciagione
e arrosti per la nobiltà, lesso per chi deve far quadrare il bilancio.
Sono le note stonate di una splendida sinfonia che già preludono
all’atteggiamento malato e corrotto dei decadentisti verso il cibo. Nei romanzi del
padre spirituale di questo movimento, Joris-Karl Huysmans, non troviamo mai,
infatti, una concezione sana e vitale dell’alimentazione, ma anche l’occasione più
famigliare o rassicurante finisce sempre per assumere connotazioni inquietanti. È
il caso, per esempio, di questa cena tra amici nel romanzo del 1891 L’abisso, in
cui viene citato proprio Flaubert.
17
Gustave Flaubert, Madame Bovary, Garzanti, Milano 1965, pag. 39.
18
Ibidem, pag. 53.
della minestra e della carne che consumavano e che ai Carhaix sarebbero
bastate per vari giorni, se avessero mangiato da soli.
«Questa volta è venuto proprio bene!» disse la donna servendo un brodo
color mogano screziato da onde dorate, cosparso di tonde gocce color
topazio.
Era succulento e grasso, forte eppur delicato, reso più nutriente da
frattaglie di pollo bollito.
Tutti tacevano col naso nel piatto, il viso acceso dai vapori profumati del
brodo.
«Sarebbe proprio il momento di ripetere un luogo comune caro a
Flaubert», disse Durtal. «Al ristorante non si mangia così di sicuro!»
«Non denigriamo i ristoranti», gli diede sulla voce Des Hermies.
«Riservano molte sorprese a chi sa studiarli. Sentite, tanto per dare un
esempio, due giorni fa tornavo da una visita a un malato e capito in una di
quelle trattorie dove per tre franchi si ha diritto a una minestrina, a due
secondi piatti a scelta, all’insalata e al dolce. Quel ristorante, in cui vado
suppergiù una volta al mese, ha una clientela fissa, inamovibile, persone
ben educate e chiuse in se stesse, ufficiali in borghese, membri del
parlamento, burocrati. Mentre mangiucchiavo l’intingolo gratinato di una
sogliola tutt’altro che invitante, guardavo quei clienti e li trovai stranamente
cambiati dall’ultima volta che ero stato là. Alcuni erano più magri, altri si
erano come gonfiati. I loro occhi si erano infossati e circondati di violetto,
oppure erano nate occhiaie simili a bisacce rosa. [...] i tremanti intrugli di
quella cucina avvelenavano a poco a poco, ma sicuramente, gli avventori.
La cosa mi interessò, come potete immaginare. Mi impartiva una lezione di
tossicologia e, sforzandomi a mangiare, scoprivo le droghe nocive che
mascheravano il sapore dei pesci disinfettati come cadaveri con miscele di
polvere di carbone e di concia, delle varie specie di carne affogate nelle
salse color fogna, del vino colorato con fucsine, profumato col furturolo,
appesantito con melassa e gesso.»19
19
Joris-Karl Huysmans, L’abisso, SugarCo Edizioni, Milano 1990, pagg. 63-64.
20
Così scrive Elio Mosele nell’illuminante intervento «Significative astinenze e
mistici digiuni», in Maria Grazia Profeti (a cura di), Codici del gusto, cit.
nobiluomo decaduto la misera cenetta ricorda altri pasti possibili, quelli dei
restaurants, descritti con la solita inventiva verbale gaddiana e un tono a metà
tra il sarcasmo e il rimpianto.
La mamma, ora, dopo essere uscita e rientrata più volte, attendeva ella
pure all’impiedi, quasi tremando, le mani ricongiunte sul grembo, che il
figliolo si rimettesse a tavola. Ingegnandosi dentro il buio della cucina, dal
fondo di un dimenticato vaso la sua speranza tenace era pervenuta a
stanare alcuni sottaceti: e quei tre peperoncini verdastri, vizzi, aggiustatili
in un piattino slabbrato, da caffè, tornata poi nella sala aveva deposto il
piattino sulla tavola, nell’atto devoto di Melchiorre che depone in offerta,
davanti al Pargolo, il vasello prezioso della mirra. [...] Gonzalo seguitava a
fissare come un sonnambulo, senza vederli, il servito, la tovaglia, il cerchio
della lucernetta sulla tavola. Poco più fumo, oramai, dalla scodella, verso i
fastigi della tenebra.
Dove andava la sua conoscenza umiliata, coi lembi laceri della memoria
nel vento senza più causa né fine? [...]
Camerieri neri, nei «restaurants», avevano il frac, per quanto pieno di
padelle: e il piastrone d’amido, con cravatta posticcia. [...] Pervase da un
brivido, le signore: non appena si sentissero onorare dell’appellativo di
signora da simili ossequienti fracs. «Un misto panna-cioccolatto per la
signora, sissignora!» Era, dalla nuca ai calcagni, come una staffilata di
dolcezza, «la pura gioia ascosa» dell’inno. E anche negli uomini, del resto, il
prurito segreto della compiacenza, su, su, dall’inguine verso le meningi e i
bulbi: l’illusione, quasi, d’un attimo di potestà marchionale.21
21
Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore, Einaudi, Torino 1963, pagg. 196-197.
E questo perché il cibo non è solo ciò che mettiamo in bocca, ma anche il suo
contesto.
...mi ero resa conto che tutti recitiamo quando andiamo fuori a cena. Ogni
ristorante è un teatro, e quelli famosi ci spingono a immaginare noi stessi
ricchi e potenti, circondati da stuoli di camerieri dediti soltanto a garantirci
felicità e piatti sublimi.
Ma anche i più modesti offrono l’opportunità di trasformarsi in qualcun altro,
almeno per pochi istanti. I ristoranti ci liberano dalla realtà quotidiana, fa
parte dell’incantesimo. Varcata la soglia d’ingresso si entra in un territorio
neutrale dove si è liberi di essere chiunque si scelga di essere per la durata
del pranzo.22
Africa
Ora, il cibo può essere assente anche per altri motivi, come nel caso di Moha il
folle, Moha il saggio del marocchino Tahar Ben Jelloun: e il motivo contingente è
che per i diseredati dell’Africa il cibo, semplicemente, quasi non esiste. E talvolta
possiamo anche eliminare quel «quasi», come ben dimostrano documentari o
servizi giornalistici sulla piaga della fame nel Terzo Mondo. Merita di essere letto
al proposito Niente, dell’antropologo sul campo Alberto Salza. In questo saggio
che riesce a conciliare un tono spiritoso e lieve con un argomento durissimo, c’è
un capitolo intitolato, appunto, «Niente cibo». L’autore vi racconta, tra l’altro, di
come lui stesso sia rimasto senza cibo per più di una settimana. Prima descrive
le strategie estreme cui ricorre il nostro corpo per sopravvivere, poi parla della
sua esperienza, quando ha dovuto resistere...
...bevendo solo tè nero poco zuccherato e fumando orrido tabacco nero: gli
alcaloidi sopprimono lo stimolo della fame, come mi hanno insegnato i
boscimani del Kalahari. Rammento che, allora, mi veniva in mente una
vignetta in cui un prigioniero riceve la visita del suo feroce carceriere che gli
annuncia: «Oggi non avrai la tua solita brodaglia, per cena».
22
Ruth Reichl, Aglio e zaffiri, Ponte alle Grazie, Milano 2005, pag. 92.
«Davvero? E cosa avrò?» chiede il galeotto, entusiasta del cambiamento.
«Crampi.»23
Ovviamente, non tutta l’Africa è però ridotta alla fame. In Vicolo del Mortaio
dell’egiziano Nagib Mahfuz, per esempio, si descrive la vita quotidiana in un
vicolo del Cairo intorno agli anni Quaranta. Una quotidianità che comprende i
piccoli riti del mangiare.
Ma, come in America, anche in Africa ci sono grossi problemi dovuti alla
convivenza interrazziale. È il caso, per esempio, del Sudafrica, dove si
oppongono una maggioranza nera in fermento e una minoranza bianca che
detiene sì gran parte del potere, ma è fragile ed eterogenea perché composta da
nativi di ceppo straniero e di stranieri veri e propri. Così, tra neri cui è stata
alienata l’autodeterminazione sulla propria terra e bianchi che a quella terra non
sentono appieno di appartenere, il Sudafrica si rivela Un mondo di stranieri,
come Nadine Gordimer ha intitolato un suo romanzo del 1958. Qui, il
protagonista viene invitato a una di quelle rare feste in cui partecipano
sudafricani di tutte le razze.
23
Alberto Salza, Niente. Come si vive quando manca tutto. Antropologia della povertà
estrema, Sperling & Kupfer, Milano, 2009, pag. 97.
24
Nagib Mahfuz, Vicolo del Mortaio, Feltrinelli, Milano 1990, pag. 31.
russo, vero?» [...] «Kvas», egli disse. «Sto appunto leggendo un libro in cui
si parla di una donna che lo beve: le viene un improvviso desiderio di berlo.
Sapete com’è, si vorrebbe conoscere a che sapore essa stia pensando.»
«È un peccato che non fosse borsch», io dissi.
Silvia si accostò a noi con le belle sopracciglia sollevate. «T-tutto bene? Vi
hanno dato un po’ di z-zuppa? [...] Ma non vi hanno dato una patata?
Dovete prendere una patata!» [...]
«Bisogna sempre prendere una patata col kvas», dissi a Sam.
«Sempre», egli disse.
«Ha letto Anna Karenina!» essa riuscì a esclamare, con aria di trionfo.
«Ricordo, ricordo! Come si chiama? La ragazza che Levin sposa: è lei che
beve il kvas.»
«Che ha voglia di berlo», disse Sam, schiudendosi in un sorriso di gioia
pura.25
Asia
La nostalgia di una patria perduta e la sua rievocazione attraverso le piccole
cose, cibo compreso, riappaiono anche in Asia, per esempio nelle Poesie d’amore
di Nazim Hikmet, uno dei maggiori lirici turchi del Novecento, costretto all’esilio
in Russia per il suo impegno politico a favore dell’indipendenza del suo paese.
25
Nadine Gordimer, Un mondo di stranieri, Feltrinelli, Milano 1980, pagg. 112-113.
La patria è come il pane per chi ha fame, l’acqua per chi ha sete. Sono gli
affetti là, distanti, con cui si vorrebbe tanto condividere una parola, un
crepuscolo, le piccole cose della vita. Un’espressione che torna nel titolo del
romanzo dell’indiana Arundhati Roy, Il dio delle piccole cose,27 in cui due fratelli si
riuniscono dopo una lunga separazione famigliare e affrontano la difficile
situazione sociale dell’India, con la sua segregazione in caste e i problemi con cui
si scontrano le donne che, come la loro madre, divorziano dal marito o, come la
loro nonna, diventano imprenditrici. Nel caso specifico, impiantando una fabbrica
di mostarda.
Ma l’Asia è anche quella realtà tutta particolare che è il Giappone,
proiettato economicamente verso i modelli occidentali e il futuro, eppure insieme
ancora profondamente ancorato alle proprie radici tradizionali. Ne offre un
esempio Yukio Mishima, che in Dopo il banchetto28 racconta la storia di una
donna, proprietaria di un ristorante molto rinomato, che per essere accettata
appieno dalla buona società (per avere diritto a una «tomba onorata» dopo la
morte) decide di rinunciare a parte della sua autonomia tanto faticosamente
conquistata e sposare un uomo politico. Ma è una rinuncia più dura del previsto,
tanto è vero che durante il fastoso banchetto di fidanzamento imbandito ai
colleghi del futuro marito, l’uomo esige che lei esca dalla sala da pranzo affinché
sia lui solo a dare l’annuncio ufficiale.
Certo, dagli anni Sessanta di questo romanzo la realtà si è un po’ evoluta, come
ci dimostra il fenomeno letterario di Banana Yoshimoto, che in Kitchen mette in
scena personaggi anticonvenzionali come Eriko, la mamma del ragazzo che
ospita la protagonista Mikage quando questa perde la sua unica parente, la
nonna che l’aveva allevata. Tranne che... Eriko è in realtà uno splendido
transessuale, nonché il padre del giovane Yuichi. Ma come inizia questo libro
pieno di famiglie fuori della norma, famiglie di un solo membro o dai ruoli
sessuali confusi?
E una strana famiglia è anche quella messa in scena nel film di Ang Lee
Mangiare, bere, uomo, donna (Taiwan, 1994), in cui il padre, un celebre cuoco
che si è ritirato dall’attività perché ha perduto l’olfatto, riesce a comunicare con
le tre figlie solo ed esclusivamente attraverso il mangiare, i raffinatissimi
manicaretti che cucina solo per gli intimi.
Un buon motivo
29
Banana Yoshimoto, Kitchen, Feltrinelli, Milano 1991, pag. 9.
deciso di seguire questa vocazione entrando in un’accademia d’alta cucina. Nel
frattempo Eriko è stata assassinata e ora è Yuichi a essere solo e in lutto. Così,
Mikage prende la scusa di un’improvvisa voglia per andare insieme a lui in una
tranquilla sala da tè, dove poter parlare e consolarlo almeno un po’.
Lui stava bevendo un Earl Grey. L’Earl Grey ha un odore che odio. Mi
ricordai quante volte, a notte fonda, casa Tanabe si riempiva di quell’odore
di saponetta: era Yuichi che usciva dalla sua stanza e faceva il tè mentre io
guardavo la tivù a basso volume nella notte silenziosa.
Nel flusso indefinito del tempo e degli stati d’animo, gran parte della storia
è incisa nei sensi. E cose di nessuna importanza, insostituibili, ritornano così
all’improvviso, in un caffè d’inverno. [...]
«Comunque se...» Stavo per dire: «Se c’è qualcosa che posso fare
dimmelo», ma lasciai perdere. Pregai che il ricordo di questo momento in
cui prendevamo un tè delizioso e bollente seduti l’uno di fronte all’altro in
un posto piacevole e caldo restasse in lui come una scia luminosa e
l’aiutasse.30
Una scena tra il ricordo e la seduzione, visto che tra i due c’è un’attrazione
che però nessuno di loro ha il coraggio di ammettere. Così come un
tentennamento fra attrazione amorosa e tutela della propria indipendenza è ciò
che sta alla base del racconto «Psicologia» di Katherine Mansfield, in cui i due
protagonisti prendono un canonico tè all’inglese, con tutte le sfumature del caso.
Una scena che prosegue per diverse pagine, con trovate comiche e
spassosi tormentoni, come non meno esilarante è il tè che compare in un altro
caposaldo della letteratura umoristica inglese, Tre uomini in barca, di Jerome
Klapka Jerome. Protagonisti, come si intuisce dal titolo, sono tre amici che,
stressati dal lavoro (succedeva anche nel 1889), decidono di darsi all’avventura.
Solo che i tre sono dei Fantozzi ante litteram, e le loro avventure si trasformano
sin troppo spesso in dis-avventure, anche perché loro sono di quelli che
pasticciano fino a rendere complicatissimo persino il compito più semplice.
Mettemmo a bollire il bricco del tè, a prua della barca, poi ci portammo a
poppa e fingemmo di non guardarlo mentre ci accingevamo a preparare il
resto.
È questo il solo modo di far bollire l’acqua in un bricco, sul fiume. Se il
bricco si accorge che stai aspettando e sei ansioso, non fischia mai e poi
mai. Devi allontanarti e incominciare il pasto, come se avessi rinunciato
completamente al tè. [...]
32
Carroll Lewis, Alice nel paese delle meraviglie, l’Unità, Roma 1993, pag. 79.
È un utile espediente, inoltre, quando si ha molta fretta, dirsi a voce
altissima, gli uni con gli altri, che non c’è nessun bisogno del tè, e che se ne
farà a meno. È necessario avvicinarsi al bricco, affinché possa udire, e poi
urlare: «Io non lo voglio il tè, e tu, George?»
Dopodiché George risponde, urlando a sua volta: «Oh, no, il tè non mi
piace; berremo invece limonata... Il tè è così indigesto!»
Allora nel bricco l’acqua bolle fino a traboccare e spegne il fornellino. 33
E la presa in giro del rito inglese del tè, nonché la tecnica del tormentone,
ricorrono ne L’importanza di chiamarsi Ernesto (1895), che Oscar Wilde scrisse
adottando la struttura dei drammi salottieri francesi ma stravolgendola
parodisticamente, dal momento che qui la parola si sostituisce quasi del tutto
all’azione, in un tourbillon di trovate comiche che mettono sottilmente alla
berlina i luoghi comuni del linguaggio, le convenzioni sociali e gli stereotipi
teatrali (l’ereditiera, il figlio illegittimo, la donna dal misterioso passato, la
nobildonna dispotica ecc.).
Alla fine del II atto, per esempio, Jack e Algernon (i due protagonisti)
stanno prendendo il tè nel giardino di Jack con le loro «fidanzate» quando le due
ragazze si offendono e scappano in casa, lasciandoli fuori con tutto
l’armamentario del rito pomeridiano, che è sì il tè ma anche tutto ciò che lo
accompagna. A quel punto, nel bel mezzo di una burrasca sentimentale,
Algernon si mette a mangiare salatini.
JACK Come puoi startene lì a mangiare tutto calmo dei salatini mentre ci
troviamo in questo atroce pasticcio, non so proprio immaginarlo. Mi sembri
totalmente senza cuore
ALGERNON Beh, io i salatini tutto agitato non so mangiarli. Finirei coperto di
briciole. I salatini vanno sempre mangiati con calma. Non c’è altro modo.
JACK Io dico che il fatto che tu mangi i salatini in circostanze come queste
dimostra una totale mancanza di cuore.
ALGERNON Quando sono nei guai mangiare è la sola cosa che mi consoli. Anzi,
quando mi trovo in guai veramente grossi, come ti dirà chiunque mi
conosca intimamente, rifiuto tutto, tranne il cibo e le bevande. In questo
momento sto mangiando i salatini perché sono infelice. E poi, ho sempre
avuto un debole per i salatini (Si alza.)
33
Jerome Klapka Jerome, Tre uomini in barca, l’Unità, Roma 1993, pag. 118.
JACK (Alzandosi anche lui) Beh, non è una buona ragione per mangiarli con
quell’ingordigia (Gli toglie i salatini.)
ALGERNON (Offrendogli la ciambella) Vorrei che prendessi la ciambella, invece.
A me la ciambella non piace.
JACK Santo cielo! Spero che non sia proibito mangiare i propri salatini nel
proprio giardino.
ALGERNON Ma se hai appena detto che mangiare i salatini dimostra una totale
mancanza di cuore.
JACK Ho detto che date le circostanze mangiare i salatini dimostra una totale
mancanza di cuore. C’è una bella differenza.
ALGERNON Può essere. Ma i salatini sono gli stessi. (Gli toglie il piatto dei
salatini)34
36
Bharati Mukherjee, Episodi isolati , Feltrinelli, Milano 1992, pagg. 127-130.
Per un attimo cala il silenzio. Marion si guarda le mani, inerti sul tavolo
vicino alla tazza. Poi annuisce. 37
37
Gaby Hauptmann, Ma poi le donne ce la fanno, Feltrinelli, Milano 2000, pag. 193.
Si tratta del terzo romanzo di questa autrice dopo i fortunati Uomo impotente
cercasi per serena convivenza (1997) e Un letto di bugie (1998).
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