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La parola laico viene dal greco λαϊκός, laikós - uno del popolo, dalla radice
λαός, laós - popolo.
Il termine viene utilizzato da papa Clemente alla fine del I secolo per indicare
ciò che accomuna tutti gli uomini, intesi dal papa come tutti i cristiani
sottoposti al volere divino.
Ireneo, uno dei padri della chiesa vescovo di Lione e importante teologo, nel
180 d.C, pone l’accento sull’unità della Chiesa, parlandone come di un insieme
coeso. Il termine laikos, proprio perchè dotato del suffisso Ikòs, vuole invece
esprimere una categoria e quindi l appartenenza ad un gruppo. Il termine
venne dunque utilizzato con reticenza proprio perché esprimeva l’idea opposta
a quella concepita, dai cristiani delle origini, nell’intendere la chiesa e la
cristianità in termini di vita comunitaria, coesa e unita.
Con Tertulliano il termine laico amplia la sua accezione, essendo utilizzato per
designare anche i sacerdoti. Diminuiscono cosi le distanze tra popolo di fedeli,
definito laico, e coloro che sono stati ordinati al sacerdozio, in quanto tutti
hanno ricevuto la grazia divina mediante la funzione battesimale.
La comunità cristiana nel suo insieme, viene invece definita da Cipriano (poeta
e scrittore oltre che Vescovo di Cartagine), con il termine plebs, che assume
rilevanza giuridica in quanto parte della comunità, ed è infatti la plebs ad
eleggere il vescovo: il volto del popolo è manifestazione della volontà di Dio.
Clemente di Alessandria, importante teologo e apologeta che visse a cavallo
tra il II ed il III secolo, pone invece l’accento sulla preminenza spirituale dei
ministri cristiani, i sacerdoti, in quanto si distinguono emeritamente già in vita,
(al contrario dei laici ora considerati ben distintamente dal clero) la cui
gerarchia ecclesiastica terrestre è vista come immagine di quella celeste, che
si riunirà nella chiesa del cielo.
La distinzione tra clero e laici appare quindi labile e sottile nel pensiero delle
autorità qui citate: i laici intervengono nei luoghi di socializzazione della vita
pagana evangelizzando, proprio in quanto liberi cristiani, e portano la parola di
dio anche al di fuori della comunità.
I cristiani sanno di dovere alla res pubblica la loro lealtà, che consiste nell’
adempiere ai loro doveri in quanto cittadini, ad esempio pagando i tributi, ma si
sentono innanzitutto parte del regno di Dio, quasi come se avessero una sorta
di doppia cittadinanza. Riconoscono l’autorità di Cesare in quanto potere
terreno, e lo rispettano, ma non condividono il suo tentativo di arrogarsi i diritti
di Dio: quando si manifesta come potenza idolatria disobbediscono, rifiutando
la divinizzazione dell’imperatore e non riconoscendone l’autorità. Affermano
così l’esigenza di un dominio riservato, esterno all’intransigenza di Cesare, in
modo da poter abbracciare spontaneamente la propria fede. Il credo cristiano
non è quindi imposto, è un atto spontaneo e individuale di professione di fede.
Preconizzando i tempi, i cristiani delle origini rivendicavano la loro libertà di
culto e l’affrancamento da un ideologia imposta, anticipando l’ accezione
corrente del termine laicità: il cristianesimo nasce come movimento laico.