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Giornata di studio: 17 ottobre 2008

LA NASCITA DELLA LAICITÀ

La conferenza svoltasi in sede universitaria, ha trattato il tema della laicità,


accendendo un dibattito costruttivo che ha evidenziato le diverse valenze
semantiche che il termine laico può assumere quando viene analizzato in
rapporto ai diversi contesti storici e in relazione ai diversi ambiti politici,
culturali e religiosi.

In questo studio di natura storica, l’ origine del concetto di laicità e il suo


evolversi nel tempo è stato affrontato, in relazione al rapporto tra stato e
religione, dai seguenti relatori:
Giuliano Crifò (Sapienza Università di Roma), Robert Dodaro (Augustinianum),
Giovanni Miccoli (Università di Trieste), Vittorino Grossi (Augustinianum),
Gaetano Lettieri (Sapienza Università di Roma), Paolo Siniscalco (Sapienza
Università di Roma).

La parola laico viene dal greco λαϊκός, laikós - uno del popolo, dalla radice
λαός, laós - popolo.

Il termine laico nell'accezione moderna ha significato di "aconfessionale", ossia


di slegamento da qualsiasi autorità ecclesiastica di confessione religiosa. La
parola laicità, in senso politico e sociale, denota quindi la rivendicazione, da
parte di un individuo o di una entità collettiva, dell'autonomia decisionale
rispetto a ogni condizionamento ideologico, morale o religioso altrui. Laico è, in
questo senso, chi ritiene di dover garantire incondizionatamente la propria
libertà di scelta e di azione, particolarmente in ambito politico, rispetto a chi,
invece, ritiene di dover conciliare o sottomettere la sua libertà all'autorità di
un'ideologia o di un credo religioso. In definitiva ciò significa che il termine,
riferito ad una struttura politica o amministrativa, ne esprime l’autonomia dei
principi, dei valori e delle leggi rispetto a qualsiasi autorità esterna che ne
potrebbe determinare o influenzare l'azione. La laicità, per estensione, si
configura anche come assenza di un'ideologia dominante nell'opera di governo
di uno Stato, e come equidistanza dalle diverse posizioni religiose ed
ideologiche presenti.

Per comprendere il significato originario del termine, ancora utilizzato in ambito


religioso, con la valenza di fedele della religione non ordinato sacerdote o non
appartenente a congregazioni religiose, è necessario analizzare in quale modo,
preminenti personaggi della Chiesa delle origini, concepirono l’ argomento.

Il termine viene utilizzato da papa Clemente alla fine del I secolo per indicare
ciò che accomuna tutti gli uomini, intesi dal papa come tutti i cristiani
sottoposti al volere divino.
Ireneo, uno dei padri della chiesa vescovo di Lione e importante teologo, nel
180 d.C, pone l’accento sull’unità della Chiesa, parlandone come di un insieme
coeso. Il termine laikos, proprio perchè dotato del suffisso Ikòs, vuole invece
esprimere una categoria e quindi l appartenenza ad un gruppo. Il termine
venne dunque utilizzato con reticenza proprio perché esprimeva l’idea opposta
a quella concepita, dai cristiani delle origini, nell’intendere la chiesa e la
cristianità in termini di vita comunitaria, coesa e unita.
Con Tertulliano il termine laico amplia la sua accezione, essendo utilizzato per
designare anche i sacerdoti. Diminuiscono cosi le distanze tra popolo di fedeli,
definito laico, e coloro che sono stati ordinati al sacerdozio, in quanto tutti
hanno ricevuto la grazia divina mediante la funzione battesimale.
La comunità cristiana nel suo insieme, viene invece definita da Cipriano (poeta
e scrittore oltre che Vescovo di Cartagine), con il termine plebs, che assume
rilevanza giuridica in quanto parte della comunità, ed è infatti la plebs ad
eleggere il vescovo: il volto del popolo è manifestazione della volontà di Dio.
Clemente di Alessandria, importante teologo e apologeta che visse a cavallo
tra il II ed il III secolo, pone invece l’accento sulla preminenza spirituale dei
ministri cristiani, i sacerdoti, in quanto si distinguono emeritamente già in vita,
(al contrario dei laici ora considerati ben distintamente dal clero) la cui
gerarchia ecclesiastica terrestre è vista come immagine di quella celeste, che
si riunirà nella chiesa del cielo.

La distinzione tra clero e laici appare quindi labile e sottile nel pensiero delle
autorità qui citate: i laici intervengono nei luoghi di socializzazione della vita
pagana evangelizzando, proprio in quanto liberi cristiani, e portano la parola di
dio anche al di fuori della comunità.

I cristiani sanno di dovere alla res pubblica la loro lealtà, che consiste nell’
adempiere ai loro doveri in quanto cittadini, ad esempio pagando i tributi, ma si
sentono innanzitutto parte del regno di Dio, quasi come se avessero una sorta
di doppia cittadinanza. Riconoscono l’autorità di Cesare in quanto potere
terreno, e lo rispettano, ma non condividono il suo tentativo di arrogarsi i diritti
di Dio: quando si manifesta come potenza idolatria disobbediscono, rifiutando
la divinizzazione dell’imperatore e non riconoscendone l’autorità. Affermano
così l’esigenza di un dominio riservato, esterno all’intransigenza di Cesare, in
modo da poter abbracciare spontaneamente la propria fede. Il credo cristiano
non è quindi imposto, è un atto spontaneo e individuale di professione di fede.
Preconizzando i tempi, i cristiani delle origini rivendicavano la loro libertà di
culto e l’affrancamento da un ideologia imposta, anticipando l’ accezione
corrente del termine laicità: il cristianesimo nasce come movimento laico.

la disubbidienza cristiana costituisce una desacralizzazione del potere politico,


una prima distinzione tra sacro e profano, una minaccia alla coesione della
società romana, ancora basata su una struttura che vede una forte
integrazione della religione pagana nell’organizzazione politica. Il cristianesimo
diviene un problema per lo ius romano che deve conciliare la professione di più
“credo” religiosi all’interno dello stato e coordinarli con la legge romana che,
oltre ad esigere obbedienza al diritto di stato, prevede il riconoscimento della
natura sacra dell’imperatore in quanto pontifex maximus.

Il quadro muta quando l’autorità politica decide di integrare all’interno del


proprio sistema la religione cristiana: Costantino concepisce la potenzialità del
messaggio cristiano quale nuovo mezzo unificatore di un impero in declino, con
l’editto di Milano, del 313 d.C. concede ai cristiani libertà di culto. Il passo
successivo viene compiuto dall’imperatore Teodosio che con l’editto di
Toessalonica del 380 d.C. impose a tutti i cittadini dell’impero la professione
della religione cristiana. Questa, così come si era progressivamente e
spontaneamente strutturata, appariva come un’eccezionale strumento grazie
al quale, chi governava, poteva assicurarsi il disciplinamento delle masse
urbane e una razionale organizzazione dei culti. La religione pagana, integrata
nella sfera civile e politica, agiva secondo un processo sincretistico in quanto
ammetteva tutti i culti, il cristianesimo va oltre, ponendosi come credo
universalistico e non specificatamente legato ad un unico popolo, si rivolge
all’intera umanità.
Per quel che concerne la formazione di una coscienza politica cristiana la
testimonianza principale è S. Agostino, uno dei massimi pensatori cristiani, la
cui vita è collocabile tra IV e V secolo d.C. Nella lettera 155 scrive a Macedonio,
vicario imperiale in Africa, per perseguire lo scopo di guidare il funzionario
pubblico nella formazione di una sua coscienza: in questo modo agirà in qualità
di prima autorità cristiana che propone come affrontare questioni di carattere
morale e politico. Macedonio, alla richiesta di clemenza nei confronti dei
condannati a morte, propostagli da Agostino, rifiuta, sostenendo il dissenso
dell’intervento vescovile in questioni di ordine pubblico. Agostino non nega di
accettare la pena capitale, ma guidando il vicario in una profonda riflessione,
spiega come sia compito dell’autorità cristiana vescovile intercedere
richiedendo clemenza per i condannati a morte, in quanto, come Gesù Cristo
insegna: “Chi è privo di peccato scagli la prima pietra”. Ciò significa che solo
Dio è veramente giusto, solo lui può arrogarsi il diritto di decidere chi meriti di
vivere e chi di morire, l’uomo in quanto peccatore per natura non ne ha
l’autorità. Nell’ultima lettera a Macedonio, formulando la teoria della
formazione della coscienza politica, Agostino afferma che i funzionari pubblici
devono essere saggi e giusti per poter operare in modo saggio e giusto, e
riuscendo a far ragionare Macedonio si complimenta delle sue manifestazioni di
clemenza, spronandolo ad avvicinarsi alla città di Dio manifestando le qualità di
temperanza e giustizia che gli permetteranno di superare i limiti etici di una
prospettiva ancora tutta terrena, affermando cosi la trasposizione delle virtù
politiche attraverso quelle teologali.
L’importante ruolo svolto dalle istituzioni ecclesiastiche è confermato anche
dal fatto che l’adesione al cristianesimo era stata soprattutto, nei primi tempi,
una scelta aristocratica che aveva conferito grande autorevolezza alle
gerarchie ecclesiastiche, le quali finirono per costituire una sorta di supplenza
dei poteri pubblici nelle città, una volta sfaldatasi la compagine imperiale a
causa delle invasioni barbariche. Le città vennero allora “ristrutturate” in base
alle rinnovate esigenze. Polo aggregativi divennero la cattedrale e gli edifici a
essa correlati quali il palazzo del vescovo, il battistero ed il cimitero: lo spazio
pubblico, quando non si trasfigurò in una dimensione sacrale, tese a
scomparire. Nel medioevo il vescovo fu sin dalle origini espressione dei ceti
dominanti locali: egli raccoglieva attorno a sé le istanze della cittadinanza, che
usava riunirsi periodicamente negli spazi prossimi alla cattedrale per discutere
i problemi comuni e decidere in merito alle soluzioni da adottare. La
compenetrazione del cristianesimo nella vita culturale è resa evidente dal
fenomeno della clericalizzazione della produzione letteraria e narrativa, che
limitò ai soli ecclesiastici la produzione di tutte le scritture che non avessero un
carattere privato. Inoltre le scuole cristiane supplirono ad una istruzione venuta
meno a causa della scomparsa di un sistema scolastico statale che aveva
caratterizzato l’età tardo-antica. Ciò significa che il cristianesimo, una volta
divenuto religione di stato, si sostituisce di fatto al paganesimo, creando quella
stessa commistione tra politica e religione, tra sacro e profano, alla quale si era
opposta in epoca antica. L’ingerenza della sfera religiosa in quella politica è
testimoniata dal fatto che quasi tutte le monarchie ricevevano il diritto di
governare dal papa stesso, papa Leone III incoronando imperatore Carlo Magno
la notte di natale dell’anno 800, rafforzava il suo ruolo come autorità suprema
della cristianità affermando così il potere religioso temporale.
Il secolo XI fu decisivo per l’affermarsi di un organizzazione centralizzata della
chiesa, basata su un modello monarchico, gerarchicamente strutturato in modo
verticistico. Questo processo, promosso soprattutto da papa Gregorio VII e
proseguito nei secoli XII e XIII da successori quali papa Innocenzo III, vede
anche il contrasto fra chiesa e impero rappresentato dalla “lotta per le
investiture” ovvero la possibilità, non tollerata dall’autorità cristiana,
dell’elezione dei vescovi compiuta degli imperatori, che si inserisce nel pi
ampio progetto di desacralizzazione del potere politico delle autorità imperiali
che non concepiva però una pari rinuncia, da parte dell’autorità papale, ad un
potere temporale. Le degenerazioni di questo fenomeno sono evidenti nelle
crociate che caratterizzarono i secoli XI e XIII come anche dalle inquisizioni che
colpirono gli “eretici”. La stessa organizzazione odierna del clero cattolico,
basata sul celibato e una netta separazione di “stile di vita” tra laici ed
ecclesiastici, ha le sue origini nell’età gregoriana, cosi come la frattura che
divide cristianesimo occidentale da quello orientale, sancita definitivamente
nel 1054 e motivata dal rifiuto della chiesa orientale, ortodossa, di riconoscere
la supremazia di quella Romana approvando così la struttura verticistica della
chiesa occidentale.

L’umanesimo rinascimentale, sviluppatosi nei secoli XIV, XV e XVI, che si


affermò in Italia per poi estendersi al resto d’Europa, in qualità di movimento
culturale che afferma la dignità degli esseri umani, permise l’affermarsi di un
concetto di “autonomia del soggetto” che porto alla considerazione che
l’essere umano possa vivere bene anche senza credenze religiose, schierandosi
contro la visione teologica del potere che aveva caratterizzato il medioevo.
Tuttavia anche la Chiesa contribuì allo sviluppo di questa filosofia mentre
contemporaneamente la osteggiava in altri modi. In pratica il Papa aiutò lo
sviluppo dei comuni (centro del pensiero umanistico) in quanto furono i
baluardi militari di difesa contro l'Impero tedesco. Con l’avvento del movimento
culturale illuminista si afferma il rifiuto decisivo e violento del nesso chiesa-
stato che relegherà la religione a fatto privato, questo pensiero proseguirà con
forza durante la rivoluzione francese, per essere ritrattato da Napoleone che,
come prima di lui aveva già fatto Costantino, intuendo il potenziale religioso in
qualità di strumento per la disciplinamento delle masse, lo utilizzerà a favore
dell’ordine sociale.
Sappiamo come il pensiero del periodo della Restaurazione proponeva una
nuova visione della storia, intesa come espressione della volontà divina e
quindi come base teorica della unione di politica e religione e della legittimità
del potere politico per "grazia di Dio". Rigettava i principi illuministi, ma non ha
saputo arginarne i processi avviati dall’imposizione della ragione
sull’oscurantismo che hanno concorso nella formazione dell’accezione corrente
di stato laico, la cui legittimità non è subalterna ad altri poteri o istituzioni: "lo
Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e
sovrani".
Le sue leggi non devono essere ispirate a dogmi o altre pretese ideologiche e
religiose, ma devono essere mosse dal fine di mantenere la giustizia, la
sicurezza e la coesione sociale dei suoi cittadini, garantendo loro libertà di
pensiero, di parola, di riunione, di associazione, di culto, nel rispetto delle
differenti religioni e ideologie presenti al suo interno.
Nella stessa direzione si è mosso anche il pensiero cristiano, come ci conferma
soprattutto il Concilio vaticano II svoltosi il 25 gennaio 1959. Il concilio si
caratterizzò per la volontà di "aprire la Chiesa alla lettura dei segni dei tempi".
Tra tutti i documenti conciliari, il più rivoluzionario fu certamente la
costituzione Lumen Gentium. Questo documento ripensò la struttura gerarchica
della Chiesa. Se al vertice di questa rimanevano il papa ed i vescovi, si
ripensava decisamente il ruolo dei laici, che anzi veniva trattato per primo.
Visto il venir meno del potere temporale della Chiesa, si riconobbe una
preminenza del laicato cattolico nel vivere il rapporto con il mondo. I laici
erano, così, visti come i cristiani che assumevano una specifica funzione,
"ricondurre il mondo a Cristo", testimoniare la propria fede nelle realtà
temporali, e non più solo come il popolo di Dio guidato dai pastori. per la prima
volta si riconobbe il ruolo delle altre realtà religiose nel contribuire alla
elevazione morale del genere umano. In particolare, la Nostra Aetate contiene
l'abbandono dell'antisemitismo teologico. Di conseguenza, con la dichiarazione
Dignitatis Humanae la Chiesa cattolica accettò e fece proprio il principio della
libertà religiosa. I padri conciliari posero l'attenzione della Chiesa sulla
necessità di aprire un proficuo confronto con la cultura e con il mondo. Il
mondo, pur se lontano spesso dalla morale cristiana, era sempre opera di Dio e
quindi luogo in cui Dio manifestava la sua presenza e perciò fondamentalmente
buono. Si considerò pertanto compito della Chiesa, dei laici in primo luogo, ma
non solo, riallacciare profondi legami con "gli uomini e le donne di buona
volontà", soprattutto nell'impegno comune per la pace, la giustizia, le libertà
fondamentali, la scienza.
È sulla base di queste considerazioni e sugli approdi cui chiesa e stato sono
giunti ad arrivare che è possibile auspicare la realizzazione di una cospicua
cooperazione tra le due istituzioni.

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