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Economia dell'Impero romano

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Nei primi due secoli dell'Impero romano lo sviluppo dell' economia si era basato
essenzialmente sulle conquiste militari, che avevano procurato terre da distribuire ai legionari o
ai ricchi senatori, merci da commerciare e schiavi da sfruttare in lavori a costo zero.[1] Per questo
motivo l'economia appariva prospera ("secolo d'oro"). In realtà restava in una condizione di
stagnazione, che divenne decadenza (declino della produzione agricola e contrazione dei grandi
flussi commerciali) con la conclusione della fase delle grandi guerre di conquista (198 d.C.,
conquista di Ctesifonte, capitale dell'impero partico). L'Impero romano, infatti, da un lato si
dimostrò incapace di realizzare uno sviluppo economico endogeno (non dipendente dalle
conquiste) e dall'altro di ovviare all'aumento dei costi della spesa pubblica (la vera radice della
crisi fu l'incremento del costo dell'esercito e della burocrazia) con un sistema fiscale più
efficiente che oppressivo. La grave crisi che ne conseguì ne provocò gradualmente la decadenza,
fino ad arrivare nel V secolo d.C. alla caduta della parte occidentale ad opera di popolazioni
germaniche[2].

Indice
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• 1 Economia dell'Alto Impero (I-II secolo d.C.)
○ 1.1 Roma e l'esercito, centri di consumo
○ 1.2 Agricoltura: latifondismo e decadenza della produttività
○ 1.3 Commercio: espansione dei traffici ed importazione di prodotti di lusso
○ 1.4 Squilibri fra le province
○ 1.5 Incremento della spesa pubblica e svalutazione della moneta
○ 1.6 Economia e società: mobilità sociale
• 2 Economia del Tardo Impero (III-V secolo d.C.)
○ 2.1 Agricoltura: crisi della produzione, spopolamento delle campagne e colonato
○ 2.2 Commercio: disavanzo commerciale, crisi dei traffici ed inflazione
○ 2.3 Crisi delle città
○ 2.4 Economia e società: fiscalità oppressiva, professioni coatte e disuguaglianza
giuridica
○ 2.5 Maggiore ricchezza dell'Impero Romano d'Oriente
• 3 Note
• 4 Bibliografia
• 5 Voci correlate
Economia dell'Alto Impero (I-II secolo d.C.) [modifica]
Roma e l'esercito, centri di consumo [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Fornitura di grano per la città di Roma.

Gran parte dell'economia dell'età imperiale era caratterizzata dall'afflusso di derrate alimentari e
merci provenienti dalle varie province verso l'esercito permanente e la capitale Roma, che rimase
sempre essenzialmente la città dei consumi (eccettuata qualche fabbrica di manufatti).
Nell’Urbe all'inizio dell'epoca imperiale abitavano, infatti, centinaia di migliaia di ex contadini e
piccoli proprietari terrieri che avevano finito per abbandonare le proprie terre a causa del
prolungato servizio nelle legioni, che aveva impedito loro di continuare a lavorare con profitto i
piccoli appezzamenti di terreno che possedevano. Tale moltitudine di persone era diventata,
ormai, una massa di manovra dei capi politici più ambiziosi, che cercavano di ottenerne il favore
o di mitigarne il risentimento attraverso le pubbliche elargizioni di grano (panem). Al tempo del
proprio splendore Roma, popolata da circa un milione di persone (di cui un terzo erano schiavi[3],
giunse ad importare fino a 3,5 milioni di quintali di frumento ogni anno[4], per l’epoca quantità
astronomica: almeno tra le 200 e le 300 000 persone vivevano grazie alle distribuzioni gratuite di
frumento (ed in un secondo tempo, di pane, olio di oliva, vino e carne di maiale), quindi,
calcolando le famiglie degli aventi diritto, si può sostenere che tra un terzo e la metà della
popolazione dell'Urbe vivesse a carico dello Stato (la chiamavano la "plebe frumentaria"). La
gestione del complesso dei servizi finalizzati al vettovagliamento di Roma era affidata a una
magistratura apposita, la prefettura dell'annona, riservata a una persona di rango equestre, che era
una delle cariche più importanti dell'amministrazione imperiale. L'immensa quantità di frumento
importato da Roma proveniva da una pluralità di province: Sicilia, Sardegna, province asiatiche e
africane, ma il perno dell'approvvigionamento era costituito dall'Egitto, che soddisfaceva oltre
metà del fabbisogno. L'olio veniva, invece, fatto affluire dalla Betica (l'attuale Andalusia),
mentre il vino dalla Gallia. Passati i secoli di splendore, Roma diventerà un peso sempre più
opprimente per l'economia dell'Impero.
Si potrebbe sostenere che tutta l’organizzazione politica dell’Impero era modulata sulla duplice
esigenza di rifornire di frumento la capitale e le legioni di stanza ai confini. Anche l'esercito
permanente, infatti, rappresentava un incentivo importante per la produzione e la circolazione di
beni: oltre ad assorbire gran parte del bilancio dell'Impero (come vedremo in seguito), con le sue
esigenze e la capacità di spesa dei soldati attirava grandi quantità di derrate e manufatti dalle
coste del Mediterraneo, dove si trovavano i maggiori centri di produzione, verso le frontiere.
Agricoltura: latifondismo e decadenza della produttività [modifica]
Per approfondire, vedi le voci Economia della Repubblica romana, Schiavitù nell'antica
Roma e Villa romana.

Con la scomparsa nella tarda età repubblicana della classe dei piccoli proprietari terrieri (i
contadini-soldati che avevano contribuito all'espansione di Roma fino al II secolo a.C.), costretti
ad abbandonare i propri poderi a causa da un lato delle esigenze del servizio militare prolungato,
dall'altro dell'impossibilità di competere con i latifondi dei ricchi proprietari terrieri che potevano
sfruttare la manodopera servile a costo zero, la produzione agricola nel corso dell'età imperiale si
concentrò sempre di più nei latifondi (presenti soprattutto nell'Italia meridionale) e nelle villae
rusticae (presenti in particolare nell'Italia centrale), in cui il lavoro degli schiavi[5] era
organizzato in modo altamente efficace proprio per realizzare prodotti in eccesso da vendere poi
nei mercati urbani. Il futuro decadimento dell'economia imperiale fu conseguenza anche della
graduale decadenza dell'agricoltura, che pian piano perse la capacità di rifornire i mercati
cittadini.[6] Le cure dello Stato, infatti, andavano più che alle campagne [7] alle città, dove
risiedevano anche i proprietari terrieri, che usavano le ville di campagna solo per le vacanze. Del
resto, poiché l'agricoltura consentiva minori guadagni del commercio e del prestito ad usura, i
grandi latifondisti erano poco invogliati ad investire denaro per migliorare la produttività delle
proprie terre[8] Così, alla crisi in età repubblicana della piccola e media proprietà agricola
schiacciata dai debiti e dalla concorrenza, si aggiunse in età imperiale anche il declino produttivo
del latifondo. Molte terre furono abbandonate anche per i crescenti costi degli schiavi, ormai rari
dopo la conclusione dell'espansionismo e delle grandi guerre di conquista.[9] La crisi dello
schiavismo (premi di produzione e trattamento più umano non incentivarono la produttività da
parte degli schiavi[10]) aveva reso più competitiva la manodopera libera, ma le condizioni offerte
dai padroni erano pur sempre assai dure, con il risultato che molti contadini liberi preferivano
una vita parassitaria ed incerta ai margini delle città al lavoro nei campi sicuro, ma faticoso e mal
remunerato.
Commercio: espansione dei traffici ed importazione di prodotti di lusso [modifica]

Commercio romano con l'India secondo il Periplus maris erythraei, I secolo


Per approfondire, vedi le voci Commercio romano con l'India e Relazioni diplomatiche sino-
romane.

Nella prima età imperiale l'impulso fornito dalla forte urbanizzazione[11] e la sicurezza delle linee
di traffico favorirono l'espansione del commercio terrestre e marittimo[12]}:[13][14] a Roma, per
esempio, si moltiplicarono le botteghe, le aziende commerciali all'ingrosso e al dettaglio, i
depositi, i magazzini, le corporazioni di artigiani e trasportatori. I traffici commerciali si spinsero
fino alle coste del Baltico, in Arabia, India e Cina per importare prodotti di lusso e di prestigio a
prezzi astronomici (al valore della merce andava infatti aggiunto il costo elevatissimo dei
trasporti e una lunga serie di dazi e pedaggi). Per quanto non paragonabile con i concetti
moderni, ci fu un costante legame di importazione tramite carovaniere ed il commercio
marittimo con le regioni orientali, in particolare l'India e la penisola Arabica, da dove arrivavano
incenso, profumi, perle, gemme, spezie, sete, carni e pesci rari, frutta esotica, ebano, unguenti.
L'emorragia di monete in metallo prezioso per l'acquisto dei prodotti di lusso finirà, però, per
provocare nei secoli successivi gravi conseguenze a livello di bilancio commerciale.[15][16]
Tra i prodotti industriali più diffusi tra la popolazione dell'Impero romano c'erano invece le
ceramiche fini da mensa (ceramica sigillata), realizzate inizialmente in Italia (in particolare ad
Arezzo). La produzione toscana verrà poi soppiantata nel corso del I secolo d.C. da quella gallica
e, infine, africana.
Squilibri fra le province [modifica]
Nella prima età imperiale continuò il primato dell'Italia sulle province, favorito da Augusto, che
più di ogni altro fu prodigo di privilegi e attenzioni per la penisola. Ma sotto i suoi successori la
situazione si modificò profondamente: la progressiva emancipazione delle province portò a un
regime di libera concorrenza, che favorì i paesi ricchi di materie prime, mettendo in crisi le
regioni più povere di risorse, costrette a importare merci pagate a caro prezzo a causa del costo
elevato dei trasporti e delle serie di dazi e pedaggi che si pagavano ovunque. L'Italia e la Grecia
decaddero, questa in quanto povera di risorse, la prima perché abituata da secoli a vivere di
rendita sul tributo delle province e quindi poco stimolata alla competitività.[17] Ad avvantaggiarsi
furono la Gallia, che poteva contare su un'abbondante produzione agricola (vino, grano, olio,
frutta, ortaggi) e numerose manifatture (vasellame, statue, gioielli, tessuti), e le province
orientali, ricche di materie prime e di manodopera a basso costo, che consentirono loro un
notevole sviluppo commerciale ed industriale.
Incremento della spesa pubblica e svalutazione della moneta [modifica]
Per approfondire, vedi le voci Aerarium, Fisco e Monetazione imperiale romana.

Il gigantesco apparato imperiale comportava costi crescenti. Augusto aveva diviso l'Impero in
province senatorie i cui tributi finivano nell' erario (l'antica cassa dello Stato), a sostenere le
spese correnti di quell'istituzione, ed in province imperiali, le cui entrare alimentavano il fisco, la
cassa privata dell'imperatore, cui toccavano gli oneri più gravosi, rappresentati dall'esercito, dalla
burocrazia e dalle sovvenzioni alla plebe urbana (distribuzioni di frumento o denaro) per evitare
rivolte. Sotto i successori di Augusto si ingenerò confusione tra erario e fisco, a tutto vantaggio
di quest'ultimo. Inoltre, per l'esercito era prevista una cassa apposita, l'erario militare, in cui si
accantonavano i fondi per il pagamento dell'indennità ai soldati congedati.[18] Il costo
dell'esercito[19] fu aggravato inoltre dall'uso invalso da Claudio in poi di gratificare i soldati con
un donativo per assicurarsene la fedeltà al momento dell'ascesa al trono e in situazioni delicate.
Se aggiungiamo alle spese necessarie e inevitabili gli sprechi nella gestione della corte, si capisce
come lo stato delle finanze fosse in genere alquanto precario. La decisione di Augusto di
consolidare l'Impero, assicurandogli confini naturalmente sicuri e compattezza interna, invece
che di estendere le frontiere, dipese anche dal fatto che l'imperatore si era reso conto che le
risorse erano limitate e non in grado di sostenere eccessivi sforzi espansionistici.[20]. I successori,
infatti, non si discostarono molto dalla linea augustea, a parte Traiano che portò l'Impero alla sua
massima estensione anche per assicurarsi le miniere d'oro della Dacia ed il controllo delle vie
carovaniere dell'Oriente: il beneficio fu comunque solo momentaneo. Alla lunga, la conclusione
della politica espansionistica che fece mancare le usuali risorse del bottino di guerra, la
diminuzione della moneta circolante (la produzione delle miniere era inferiore alla richiesta di
metalli preziosi), la scarsità e quindi l'aumento del prezzo di mercato degli schiavi, resero le
spese sempre più insostenibili, mentre la pressione fiscale si rivelava inefficace. Lo Stato
conosceva un solo mezzo di intervento che non aumentava ulteriormente la pressione fiscale: la
svalutazione della moneta, tramite la riduzione di peso delle monete (il primo ad operare in tal
senso fu Nerone, al fine di poter meglio sostenere la sua personale politica di prestigio e di
grandi spese). La conseguenza, evidente in tutta la sua drammaticità nel corso del Tardo Impero,
sarà un'inflazione galoppante.
Economia e società: mobilità sociale [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Ordine equestre.

Mentre la società repubblicana fu caratterizzata dalla rigidità dell'oligarchia senatoria nel


difendere i propri privilegi, la società imperiale si rivelò più mobile e aperta, favorendo
l'emergere di un'ampia classe media e l'affermazione di un ceto professionale e burocratico
(professionisti, ufficiali, funzionari imperiali, impiegati),[21][22] proveniente in particolare
dall'ordine equestre. Ma furono soprattutto i liberti, ovvero gli schiavi affrancati, a compiere le
più sorprendenti carriere (del resto erano fedelissimi all'ex padrone, al quale dovevano tutto: la
libertà e il potere) nella burocrazia imperiale. Nella prospera società del "secolo d'oro" (II secolo
d.C.) dell'Impero, caratterizzata per lo più da pace e grandi opere pubbliche (strade, ponti,
acquedotti, fognature, templi, fori, basiliche, curie, terme, anfiteatri, portici, giardini, fontane,
archi di trionfo), persistevano comunque fortissime disuguaglianze, visibili soprattutto nelle città,
dove alla minoranza di ricchi, abitanti in case di lusso (domus) e dediti all'opulenza fastosa [23], si
contrapponeva la massa di piccoli borghesi (impiegati, militari, artigiani, insegnanti, piccoli
negozianti, giudici) e soprattutto di proletari che si stipavano in casermoni (insulae) a rischio di
incendi e crolli ed erano costretti a sopravvivere[24] tra fame e malattie infettive (le condizioni
igieniche nei quartieri-dormitorio erano fortemente inadeguate).
Economia del Tardo Impero (III-V secolo d.C.) [modifica]
A parte una breve ripresa all'inizio del IV secolo d.C., frutto del ritorno all'ordine politico con
Diocleziano e Costantino dopo il disastroso periodo dell' anarchia militare del III secolo d.C., per
il resto il quadro economico del Tardo Impero fu caratterizzato, soprattutto nella parte
occidentale, da una lunga e progressiva decadenza ed agonia a livello di produzione agricola e di
traffici commerciali, che insieme al calo demografico (dovuto a guerre, carestie ed epidemie) ed
alla crisi delle città porterà gradualmente ad un sistema economico chiuso ed autarchico, ovvero
il sistema economico curtense dell'Alto Medioevo.
Agricoltura: crisi della produzione, spopolamento delle campagne e colonato
[modifica]

Per approfondire, vedi le voci Crisi del III secolo, Iugatio-capitatio e Colonato.

La crisi produttiva, i cui sintomi si erano già evidenziati durante l'Alto Impero, si manifestò in
tutta la sua virulenza dal III secolo d.C. in poi con l'accentuarsi dell'instabilità politica. Le guerre
civili e le scorrerie barbariche finirono per devastare anche le regioni più fertili e le campagne
cominciarono a spopolarsi (fenomeno degli agri deserti),[25] anche perché i piccoli proprietari
terrieri, che già non se la passavano bene, dovevano affrontare da una parte i costi dovuti al
mantenimento di interi eserciti che transitavano sui loro territori, dall'altra un peso fiscale
diventato sempre più intollerabile (basti pensare all'introduzione da parte di Diocleziano della
iugatio-capitatio[26]). L'introduzione del colonato (i latifondi furono suddivisi in piccoli lotti,
affidati a coltivatori o coloni provenienti dalla categoria degli schiavi o dei braccianti salariati,
che si impegnavano a cedere una quota del prodotto al padrone e a non abbandonare il fondo)
permise di recuperare alla produzione terreni prima trascurati: lo schiavo era incentivato ad
accettare questa condizione giuridica perché aveva qualcosa in proprio per nutrire sé e la
famiglia (evitando anche il rischio dello smembramento del nucleo familiare per vendite
separate), il lavoratore libero invece ebbe di che vivere, anche se dovette rinunciare a gran parte
della propria autonomia perché obbligato a prestare i propri servizi secondo le esigenze del
latifondista che gli aveva affidato in affitto la propria terra. Tuttavia, nemmeno il colonato risolse
la crisi dell'agricoltura.[27] Molta gente, infatti, disperata ed esasperata dalle guerre e dagli eccessi
della tassazione, si diede al brigantaggio (in Gallia i contadini ribelli furono detti bagaudi, in
Africa nacque il movimento dei circoncellioni), taglieggiando viandanti e possidenti ed
intercettando i rifornimenti, con grave aumento del danno per l'economia. Come se non bastasse,
ricomparvero malaria e peste (tenute sotto controllo nell'Alto Impero), che infierirono su
popolazioni ormai indebolite dalle guerre e dalle endemiche carestie. Il risultato fu una grave
crisi demografica, che colpì non solo le campagne, ma anche le città, dove erano confluiti i
contadini fuggiti dai campi.
Commercio: disavanzo commerciale, crisi dei traffici ed inflazione [modifica]

Lapide con parte del testo dell'editto sui prezzi massimi di Diocleziano, al Pergamonmuseum di
Berlino.
Dato che nei primi secoli dell'età imperiale l'acquisto di enormi quantità di prodotti di lusso
provenienti dalle regioni asiatiche era stato regolato con monete, soprattutto d'argento (monete
romane sono state trovate anche in regioni molto lontane), la continua fuoriuscita di metallo
prezioso (non bilanciata dalla produzione delle miniere, visto che i giacimenti erano ormai in
esaurimento dopo secoli di sfruttamento) finì per determinare nel Tardo Impero una rarefazione
dell'oro e dell'argento all'interno dei confini imperiali, accelerando così la perversa spirale di
diminuzione della quantità effettiva di metallo prezioso nelle monete coniate dai vari imperatori.
[28]

Il fenomeno della svalutazione monetaria, già praticato dagli imperatori nel corso dell'Alto
Impero per diminuire la spesa pubblica reale, proprio negli anni settanta del III secolo cominciò a
causare bruschi aumenti[29] nell'inflazione (accentuata dalla rarefazione delle merci, dovuta
all'insicurezza diffusa nei traffici e nella produzione) e maldestri tentativi di porvi rimedio:
l'imperatore Diocleziano[30] prima nel 286 tentò di stabilizzare la moneta coniando una buona
moneta d'oro, l'aureus[31], che tuttavia sparì subito dalla circolazione (venne tesaurizzata o fusa,
in quanto non c'era fiducia nella stabilizzazione del mercato), poi nel 301 decise di imporre un
calmiere (Editto sui prezzi massimi), che venne però subito eluso dalla speculazione (un
fenomeno che adesso chiameremmo "borsa nera"). Un esempio dell'esplosione dei prezzi ce lo
fornisce indirettamente Eberhard Horst:
«
(
Un secondo fattore che comportò la crisi commerciale, invece, furono le continue incursioni
barbariche e lo sviluppo del brigantaggio, che provocarono gradualmente la chiusura dei circuiti
commerciali mediterranei, a loro volta tendenti a circoscriversi progressivamente in aree più
ristrette.
Si arrivò, così, a ripristinare gli scambi e le tasse in natura e in natura si pagavano i soldati,
mediante l'erario militare. Ma il problema è che cominciavano a scarseggiare anche le risorse
naturali, a causa della crisi dell'agricoltura.
La frammentazione politica seguita alle invasioni barbariche del V secolo d.C. provocò, infine, la
definitiva rottura delle relazioni commerciali all'interno del Mediterraneo, che contribuì ad
accelerare il rapido abbassamento delle condizioni di vita ed il netto calo demografico nella parte
occidentale dell'Impero.
Crisi delle città [modifica]
La forte instabilità politica, i saccheggi delle soldataglie romane (nel corso delle guerre civili) o
barbariche, la stasi produttiva e l'insicurezza dei traffici impoverirono nel corso del Tardo Impero
i ceti medi cittadini (artigiani e commercianti), i quali dovevano far fronte anche alla necessità di
sfamare le moltitudini di contadini immigrati in città dalle campagne in seguito alla crisi
dell'agricoltura. Nei primi secoli l'Impero era riuscito a sopperire in parte a questa esigenza
grazie all'evergetismo[32] dei notabili, ma di fronte alla crisi furono proprio le distribuzioni
gratuite di denaro o generi alimentari ad essere tagliate. Da Costantino in poi si preferì fare
beneficenza alla Chiesa, che nel V secolo d.C. ormai si era sostituita alle istituzioni statali nelle
opere di carità, se non nell'amministrazione di gran parte delle città dell'Impero romano
d'Occidente. I senatori latifondisti ed i ricchi imprenditori (banchieri, armatori, alti funzionari),
che avevano privilegi esorbitanti e vivevano di rendita in un lusso sfarzoso, cominciarono a
preferire la vita in campagna a quella in città. Nei loro stessi latifondi cominciarono a
concentrarsi attività industriali ed artigianali, capaci di renderli autosufficienti (la conseguenza fu
un'ulteriore riduzione delle opportunità di lavoro per i ceti medi cittadini, già in difficoltà per la
crisi dei traffici commerciali) e, nel caos generale che anticipò la caduta dell'Impero romano
d'Occidente, cominciarono a provvedere da sé alla tutela delle loro proprietà, assoldando eserciti
privati (i cosiddetti buccellarii). Lo Stato finì per affidare loro quei compiti che non era più in
grado di assolvere, come la riscossione delle tasse dei coloni e dei contadini rimasti liberi nei
villaggi, che si affidavano ormai a loro per la protezione delle proprie famiglie (fenomeno del
patronato): su queste basi si svilupperà la signoria feudale nel Medio Evo.
Economia e società: fiscalità oppressiva, professioni coatte e disuguaglianza
giuridica [modifica]
Il costo crescente dell'esercito nel Tardo Impero (erano necessari continui aumenti di stipendio
ed elargizioni per tenerlo quieto)[33] e le spese della corte e della burocrazia (aumentata anch'essa
in quanto al governo servivano sempre più controllori che combattessero l'evasione fiscale ed
applicassero le leggi nella vastità dell'Impero), non potendo più ricorrere troppo alla svalutazione
monetaria che aveva causato tassi d'inflazione incredibili, si riversarono, soprattutto tra il III ed il
IV secolo (quando le dimensioni dell'esercito furono vicine ai 500.000 uomini in armi, se non di
più), sulle imposte con un intollerabile peso fiscale[34] (riforma fiscale di Diocleziano attraverso
l'introduzione della iugatio-capitatio nelle campagne e altre imposizioni fiscali per i centri
urbani). Dato che i nullatenenti non avevano niente ed i ricchi contavano su appoggi e
corruzione[35] chi ne pagò il costo furono il ceto medio (piccoli proprietari terrieri, artigiani,
trasportatori, mercanti) e gli amministratori locali (decurioni), tenuti a rispondere in proprio della
quota di tasse fissata dallo Stato (indizione[36]) a carico della comunità per evitare l'evasione
fiscale. L' evergetismo, che era un munifico e magnifico vanto, diventò sempre più una
obbligazione imposta dal governo centrale. Le cariche pubbliche, che in precedenza erano
ambite, significavano nel Tardo Impero gravami e rovina. Per arrestare la fuga dal decurionato,
dalle professioni e dalle campagne, che divenne generale proprio con l'inasprimento della
pressione fiscale tra il III ed il IV secolo d.C., lo Stato vincolò ciascun lavoratore e i suoi
discendenti al lavoro svolto fino ad allora[37], vietando l'abbandono del posto occupato (fenomeno
delle "professioni coatte", che nelle campagne finirà per dare avvio, attraverso il colonato, a
quella che nel medioevo verrà chiamata "servitù della gleba"). L' avanzamento sociale (possibile
solo con la carriera militare, burocratica o ecclesiale) non derivava dalla competizione sui
mercati, bensì dai favori provenienti dall'alto. È comprensibile, a questo punto, che molti
considerassero l'arrivo dei barbari non tanto una minaccia, quanto una liberazione. Ormai si era
scavato un solco profondo tra uno Stato sempre più invadente e prepotente (soprusi dell'esercito
e della burocrazia) e la società. Lo Stato che nel V secolo crollò sotto l'urto dei barbari era uno
Stato ormai privo di consenso[38].
Quando le popolazioni germaniche occuparono i territori dell'Impero d'Occidente, si trovarono di
fronte una società profondamente divisa tra una minoranza di privilegiati e una massa di povera
gente. La distanza sociale prima esistente tra lavoratori liberi e schiavi si era, infatti, ridotta
notevolmente con l'istituzione del colonato: entrambi erano dipendenti nella stessa misura dal
ricco proprietario del fondo agricolo. Anche questo fenomeno, quindi, contribuì alla biforcazione
della società nelle due principali categorie sociali del Tardo Impero, profondamente differenti
non solo per il censo (poveri e ricchi), ma anche per le condizioni giuridiche (con il fenomeno
delle professioni coatte, infatti, la distanza economica tra classi ricche e classi povere divenne
anche una distinzione di diritto, fissata dalla legge): gli "inferiori" (humiliores), cui
appartenevano la massa dei coloni e dei proletari urbani, e i "rispettabili" (honestiores), cui
appartenevano i grandi proprietari terrieri ed i vertici della burocrazia militare e civile. Solo agli
humiliores erano riservate le punizioni più dure ed infamanti, come la fustigazione e la pena di
morte.
Maggiore ricchezza dell'Impero Romano d'Oriente [modifica]
Per approfondire, vedi le voci Impero bizantino e Impero romano d'Occidente.

Quando nel IV secolo d.C. (324) Costantino trasformò Bisanzio in una nuova capitale, Roma
cessò di essere il centro economico dell'impero. La nuova Roma, chiamata Costantinopoli, fu dal
punto di vista economico molto più vivace della prima. Non solo luogo del consumo, ma
autentica capitale dei traffici e delle produzioni, mantenne questo ruolo, sia pure tra infinite
vicissitudini, per un periodo di più di mille anni, fino alla caduta per mano turca nel 1453. Più in
generale, nell' Impero romano d'Oriente il sistema produttivo era ancora efficiente, gli scambi
commerciali più vivaci, ed il declino delle città molto meno accentuato che in Occidente
(l'eccezione era rappresentata dalle città della Grecia, ormai impoverite da lunghi secoli di
decadenza ed incapaci di riprendersi del tutto dopo i saccheggi dei Goti e dei Sarmati nel III
secolo d.C.). L'economia urbana si reggeva sulla prosperità delle campagne, dove opportune
misure garantirono la sopravvivenza della piccola proprietà (soprattutto in Anatolia, Siria,
Palestina ed Egitto) contro l'estendersi dei latifondi[39], con notevoli vantaggi per la produzione e
la demografia (oltre a Costantinopoli, vale la pena citare fra le città più popolose Antiochia,
Alessandria d'Egitto e Nicomedia). La disponibilità di moneta era poi garantita dalle esportazioni
e sorresse l'artigianato e la piccola industria, gestiti o controllati dallo Stato. Furono così superate
le difficoltà derivanti dall'alto costo dei trasporti e dalla stasi dei commerci durante i frequenti
conflitti. Lo Stato non riuscì invece a risolvere il male tipico del Tardo Impero: l'eccessivo
fiscalismo per le spese dell'esercito e della burocrazia. In ogni caso, l'Impero romano d'Oriente o
Impero bizantino riuscì a resistere meglio agli assalti dei barbari, perché più ricco di uomini e di
risorse, meglio difendibile e meglio organizzato sul piano politico (autocrazia e centralismo
bizantini: l'imperatore d'Oriente si considerava il vicario di Dio in terra, il che lo poneva al
vertice non solo della gerarchia civile, ma anche di quella ecclesiastica[40]).
Nella parte occidentale dell'Impero, invece, la situazione economica durante il Tardo Impero era
molto peggiore. L'Occidente era più lontano dalle grandi correnti commerciali del resto del
mondo, il ceto medio contadino era stato distrutto e la struttura sociale si era polarizzata tra
ricchissimi e poverissimi, i ceti medi urbani erano meno fitti e meno influenti. Nella Gallia e
nella Rezia, soggette a frequenti scorrerie barbariche, lo spopolamento e le devastazioni delle
campagne furono molto più accentuate che in altre province. In Spagna la produzione di olio
andò sempre più diminuendo, mentre le grandi miniere chiusero del tutto già verso la fine del IV
secolo. La Pannonia da un lato poteva contare su vivaci mercati dovuti alla presenza dei soldati-
consumatori delle legioni sul limes danubiano, dall'altra era spesso devastata dalle incursioni
germano-sarmatiche, che precedettero l'invasione degli Unni. La Britannia non fu sfiorata dalla
crisi del III secolo (nelle campagne attorno a Londinium sorsero ricche residenze rurali in quel
periodo), ma tra IV e V secolo crollò del tutto sotto l'urto delle invasioni degli Angli e dei
Sassoni. Tra le province della sezione occidentale quella più prospera fu sicuramente l'Africa
proconsolare, la cui maggiore ricchezza derivava dalla ingente produzione d'olio nei latifondi (la
metà delle terre apparteneva a una decina di grandi latifondisti): Cartagine rimase a lungo la
terza città dell'Impero, dopo Roma e Costantinopoli. Ma alla fine anche l'Africa non riuscì a
resistere alle scorrerie dei beduini del deserto e all'invasione dei Vandali. L'Italia, infine, ormai
da tempo non rappresentava più la regione più ricca dell'Impero, ancor prima delle invasioni
barbariche del V secolo: la popolazione era drammaticamente calata e vaste terre erano state
abbandonate già nel III secolo, a causa non solo delle incursioni barbariche, ma anche e
soprattutto dei conflitti interni. A Ostia giungevano ancora intere flotte cariche di generi
alimentari che l'Annona distribuiva alle plebi affamate e turbolente di Roma, ma ormai l'Urbe
non era più il centro dell'Impero: la sede imperiale già sul finire del III secolo si era infatti
trasferita in città strategicamente più importanti, come Treviri e Milano prima, Ravenna poi.
Infine, le popolazioni occidentali erano più abituate di quelle orientali all'autonomia e
all'autogoverno (favorito anche dal municipalismo romano) e proprio questa caratteristica finì
per aumentare le distanze tra il governo centrale e la società, favorendo la disgregazione
dell'Impero romano d'Occidente nel V secolo e conducendo all'emergere del feudalesimo
medievale[41].
Note [modifica]
1. ^ «Sistema agrario-mercantile a base schiavistica», con questa formula A. Schiavone
definisce il sistema economico-sociale della prima età imperiale di Roma antica
(Momigliano e Schiavone, Storia di Roma, Einaudi, 1988).
2. ^ Secondo A. Fusari il sistema economico dell'età imperiale era destinato alla
stagnazione in quanto i due elementi che lo componevano, l'agricoltura ed il commercio,
e la sua base energetica principale, gli schiavi, non erano integrati in un mercato unico
come nell'economia capitalistica, e la sua alimentazione non derivava se non in minima
parte dal surplus reinvestito nel mercato (accumulazione endogena promossa da fattori
agenti all'interno del sistema), bensì dall'afflusso di risorse esterne (accumulazione
esogena), frutto della rapina, delle guerre e dello sfruttamento delle province. Inoltre
l'ordine equestre, che avrebbe potuto contrapporsi all'aristocrazia terriera e guerriera
come classe sociale che basasse il proprio potere, la propria ricchezza e la propria identità
di classe proprio sullo sviluppo di un sistema imprenditoriale mercantilistico ed
industriale, non aspirò mai a sostituirsi all'aristocrazia nell'acquisizione del potere (come
avrebbe fatto un'autentica classe borghese), bensì a farne parte, reinvestendo il "surplus
commerciale" nell'acquisizione di una rendita fondiaria (A. Fusari, L'avventura umana,
Seam, 2000).
3. ^ Giorgio Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, 2004, p. 35.
4. ^ Si calcola un consumo di cereali l'anno pro capite di 200 chili (Geraci-Marcone, Storia
romana, Le Monnier, 2004, p. 215).
5. ^ Solo in Italia, all'età di Augusto, ce n'erano 3 milioni su una popolazione di 10
6. ^ Le cause del dissolversi del tessuto agrario furono identificate, con straordinaria
lungimiranza, dal maggiore agronomo latino del I secolo d.C.: Lucio Giunio Columella
(Antonio Saltini, Storia delle scienze agrarie, vol. I Dalle origini al Rinascimento,
Bologna 1984, pp. 47-59).
7. ^ Nonostante nelle campagne vivesse l'80% della popolazione totale dell'Impero nel I
secolo d.C. (Giorgio Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, 2004, p.
28).
8. ^ Il merito storico dell'aristocrazia romana non si evidenziò tanto nello sviluppo di
un'economia dinamica, imprenditoriale, quanto nel modo in cui seppe amministrare i
paesi ed i popoli sottomessi con un minimo uso della forza (fanno eccezione gli ebrei,
culturalmente refrattari al dominio romano)(Giorgio Ruffolo, Quando l'Italia era una
superpotenza, Einaudi, 2004, p. 69).
9. ^ Traiano e Adriano cercarono di proteggere i proprietari rurali, abbonando più volte i
debiti contratti con il fisco, concedendo prestiti a basso interesse, favorendo la
sostituzione degli schiavi con coloni affittuari, ma i risultati furono piuttosto modesti
(Luigi Bessone, Roma imperiale, in (a cura di G. Solfaroli Camillocci), Civiltà Antiche,
Sei, 1987).
10. ^ Secondo G. Ruffolo la crisi del modo di produzione schiavista era dovuta anche
all'impossibilità di integrare gli schiavi come una forza lavoro attiva nella produzione
tipica del capitalismo moderno. Il capitalismo ci riuscì trasformando in merce non i
lavoratori schiavi, ma la loro forza lavoro, come aveva intuito Karl Marx. Trasformando
soltanto la forza lavoro e non il lavoratore in merce si ottenevano tre grandi risultati: il
capitalista non doveva più pagare il tempo improduttivo dello schiavo, né temere le sue
rivolte; dopo una fase brutale della rivoluzione industriale che schiacciava i proletari su
un salario di semplice sopravvivenza, questi, organizzandosi collettivamente, ottenevano
aumenti salariali che spingevano i capitalisti ad aumentare la produttività attraverso le
macchine; superata la prima fase dell'industrializzazione, i proletari diventavano
consumatori e anche per tale via alimentavano il sistema. Gli schiavi delle ville e dei
latifondi romani costituivano invece una merce passiva, che si consumava in un processo
produttivo ripetitivo e privo di stimoli evolutivi (Giorgio Ruffolo, Quando l'Italia era
una superpotenza, Einaudi, 2004, p. 70).
11. ^ La civiltà imperiale fu essenzialmente una civiltà urbana. Nelle popolose città
dell'Impero risiedevano i ceti privilegiati. Specie in Occidente la città era prima di tutto
un centro amministrativo, attraverso il quale veniva esercitato il controllo e lo
sfruttamento della regione agricola circostante, ma era anche il luogo dove veniva
distribuita e consumata la ricchezza prodotta ed il centro di diffusione dei modelli di
comportamento della società imperiale (Luigi Bessone, Roma imperiale, in (a cura di G.
Solfaroli Camillocci) Civiltà Antiche, Sei, 1987, p. 231).
12. ^ Da Narbona a Cartagine si impiegavano in media cinque giorni di navigazione, da
Marsiglia ad Alessandria, invece, trenta (Ruffolo, op. cit., p. 130)
13. ^ Giorgio Ruffolo calcola in 4 miliardi di sesterzi (un quinto del Pil totale) il valore
aggiunto complessivo del settore commerciale nel I secolo d.C. (Giorgio Ruffolo,
Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, 2004, p. 28).
14. ^ «Attraverso queste strade passava un traffico sempre crescente, non soltanto di truppe e
funzionari, ma di commercianti, mercanzie e perfino di turisti. Lo scambio di merci fra le
varie province si era sviluppato rapidamente, e presto raggiunse una scala senza
precedenti nella storia». Grazie a un sistema altamente organizzato di trasporto e vendita,
si muovevano liberamente da un angolo all'altro dell'Impero migliaia di tonnellate di
prodotti: metalli estratti nelle regioni montagnose dell'Europa occidentale: stagno dalla
Britannia, ferro dalla Spagna, piombo dalla Sardegna; pelli, panni e bestiame dai distretti
pastorali della Britannia, della Spagna e dai mercati del Mar Nero; vino dalla Provenza,
dall'Aquitania, dall'Italia, da Creta, dalla Numidia; olio dall'Africa e dalla Spagna; lardo
dalla Lucania; miele dall'Attica; formaggio dalla Dalmazia; frutta secca, datteri e prugne
dalla Siria; cavalli dalla Sicilia e dalla Numidia; legname, pece e cera dalla Russia
meridionale e dal nord dell'Anatolia; marmo dai litorali egei, dall'Asia Minore,
dall'Egitto, dai Pirenei e anche dal Mar di Marmara; e - il più importante di tutti - grano
dai distretti dell'Africa del nord, dell'Egitto, della Sicilia, della Tessaglia e della valle del
Danubio per i bisogni delle grandi città (H. St. L. B. Moss, The Birth of the Middle Ages,
p.1).
15. ^ Plinio il Vecchio calcolava in 100 milioni di sesterzi la somma che ogni anno usciva
dall'Impero per pagare le merci pregiate: era una cifra davvero enorme, corrispondente al
gettito annuale di tutte le imposte indirette ed era pari a a 1/14 di tutte le entrate
dell'Impero al tempo di Vespasiano (Luigi Bessone, Roma imperiale, in (a cura di G.
Solfaroli Camillocci) Civiltà Antiche, Sei, 1987, p. 247).
16. ^ Nessun aristocratico romano si sarebbe sognato di chiamar "consumi" le attività rivolte
all'acquisto di prodotti di lusso o a generare piaceri. L'ideale della società aristocratica
romana era l'otium, non il lavoro produttivo. Della riproducibilità delle risorse usate ci si
occupava poco: c'erano gli schiavi e le legioni a provvedervi. Tanto meno ci si occupava
della disuguaglianza della distribuzione delle risorse: la società romana, come tutte quelle
antiche, era spietata e considerava naturale che alla concentrazione delle ricchezze in
pochissime mani corrispondesse la povertà estrema dei consumi delle masse. Quel che
contava non era tanto migliorare la produzione di risorse e distribuirle meglio, quanto
piuttosto l'intensità dei piaceri che si potevano trarre dal loro sfruttamento (Giorgio
Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, 2004, p. 64).
17. ^ Nell'epoca repubblicana l'Italia era una forte esportatrice di vino, olio e ceramiche
(Giorgio Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, 2004, p. 27).
18. ^ Il problema della scarsità di contante fu avvertito già in età augustea: non rari erano i
casi di veterani trattenuti in servizio oltre la scadenza della ferma, perché mancavano i
soldi per le liquidazioni (Luigi Bessone, Roma imperiale, in (a cura di G. Solfaroli
Camillocci) Civiltà Antiche, Sei, 1987, p. 234).
19. ^ In età augustea il costo delle legioni era intorno alla metà della spesa pubblica totale,
ma rappresentava solo il 2,5 per cento del Pil. In compenso erano enormi le ricchezze che
grazie alle sue conquiste affluivano allo Stato e soprattutto ai privati: oro, tesori, terre,
opere d'arte. Per molti anni il tributum del 5 per cento del reddito imponibile istituito da
Augusto per finanziare la difesa dell'Impero poté essere abbuonato ai cittadini romani (G.
Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, 2004, p. 51).
20. ^ Luigi Bessone, Roma imperiale, in (a cura di G. Solfaroli Camillocci) Civiltà Antiche,
Sei, 1987, p. 235.
21. ^ La società imperiale dimostrò una forte capacità di assorbire per un certo numero di
generazioni la spinta al ricambio che veniva dal basso, e a incanalarla in un rapporto di
fedeltà al regime, al tempo stesso facendone un indispensabile strumento di governo
(Luigi Bessone, Roma imperiale, in (a cura di G. Solfaroli Camillocci) Civiltà Antiche,
Sei, 1987, p. 236).
22. ^ «Tecniche primitive, organizzazioni deboli e soprattutto mentalità ancorate a una
cultura aristocratica impedirono che lo sviluppo mercantile investisse, trasformandola, la
base produttiva della società, e che da quello nascesse una borghesia produttiva. I
negotiatores (mercanti) erano più compratori che imprenditori; gli argentari più usurai
che banchieri; e i publicani più concussori e taglieggiatori che gestori di servizi pubblici.
Questi ceti non avevano la forza per orientare l'economia verso un processo di
accumulazione autopropulsivo» (Giorgio Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza,
Einaudi, 2004, p. 35).
23. ^ Le dissipazioni e le stravaganze dei romani più ricchi in fondo non erano diverse da
quelle di tutte le classi agiate della storia: bagnarole d'oro e d'argento, bagni d'olio e di
latte, perle triturate nel vino, fontane di profumi, assortimenti di pellicce, gioielli,
porpore, armature, collezioni di carrozze, bestie esotiche, uccelli parlanti e canori, piscine
con pescecani. Ma c'era anche chi preferiva il gusto e la raffinatezza del collezionismo
prezioso, della passione artistica, della curiosità culturale e del mecenatismo elegante
(Giorgio Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, 2004, p. 66).
24. ^ Bastava un asse al giorno (un quarto di sesterzo) per sopravvivere, come scrisse
Cicerone nelle sue Orationes in Catilinam, in cui descriveva i seguaci di Catilina come
rifiuti umani: «Vivono o sopravvivono con un asse al giorno, grazie a mestieri meschini e
occasionali». E se non si riusciva a lavorare bisognava sperare o nei sussidi frumentari o
nella "sportula", cioè l'elemosina raccolta davanti alle case dei ricchi (Giorgio Ruffolo,
Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, 2004, p. 65).
25. ^ Gli imperatori furono costretti, specialmente nelle province danubiane, a chiamare
popolazioni barbariche per ripopolare le campagne
26. ^ Ogni proprietario fu tassato sulla base di ciascuna persona che impiegava nel lavoro dei
campi (caput) e per ogni pezzo di terra (iugum) sufficiente a produrre quanto necessario
in un anno al mantenimento di una persona.
27. ^ Del resto, legare il colono alla terra mediante la coercizione non era certo un modo per
aumentare la produttività o per migliorare la sorte dei lavoratori(Ruffolo, op. cit., p. 102).
28. ^ Una libbra d'oro (circa 322 grammi), equivalente a 1125 denarii d'argento alla fine del
II secolo d.C., ne valeva 50 000 al tempo di Diocleziano (Luigi Bessone, Roma
imperiale, in (a cura di G. Solfaroli Camillocci) Civiltà Antiche, Sei, 1987, p. 305).
29. ^ Anche del 700-900% (Ruffolo, op. cit., p. 108).
30. ^ «Diocleziano - scrive Giorgio Ruffolo - non era certo un economista. Era sinceramente
convinto che il disordine monetario fosse dovuto a una perversa combinazione di una
moneta e di uomini entrambi cattivi. Una volta messe in circolazione delle buon monete e
ristabilite le condizioni della fiducia occorreva castigare gli uomini cattivi con le maniere
forti: quelle sulle quali in ultima analisi, da soldato rude, Diocleziano contava»(Ruffolo,
op. cit., p. 139)
31. ^ Equivaleva a un sessantesimo di libbra d'oro.
32. ^ Comprendeva non solo le distribuzioni gratuite di denaro o generi alimentari, ma anche
l'allestimento di giochi, feste e gare, oppure la realizzazione di templi, circhi, terme e
teatri.
33. ^ Il bilancio militare all'inizio del III secolo era salito a 3 miliardi di sesterzi, pari al 75%
della spesa pubblica, che a sua volta contava per il 20% del Pil. (Ruffolo, op. cit., p. 85).
34. ^ Ai tempi di Augusto la spesa pubblica (pari a circa il 5% del Pil era finanziata per un
terzo dalle imposte dirette (fondiaria e personale) e per il resto da imposte indirette, dazi
commerciali e redditi dei patrimoni imperiali: dunque la pressione fiscale si riduceva al
4% del Pil. Ai tempi di Diocleziano e Costantino, invece, la pressione fiscale
quadruplicò, fino ad arrivare a circa la metà del Pil intorno alla metà del IV secolo. Un
indice quantitativo indiretto del fenomeno è costituito dal progressivo aumento dei
reliquia, ovvero gli arretrati delle tasse, che documentano una impossibilità di pagare o
incapacità di incassare le tasse (Ruffolo, op. cit., p. 109).
35. ^ La corruzione nel Tardo Impero, a differenza che nell'Alto Impero, non era più
semplicemente tollerata o dissimulata, ma ostentata ed acclamata. I poteri di fatto erano
gestiti da una vera e propria categoria sociale (a Roma li chiamavano maiores o priores),
che comprava e vendeva tutto. C'era un vero mercato dei favori e dei delitti. Un verdetto
di esilio costava 300 000 sesterzi, uno strangolamento in carcere 700 000. La rete dei
poteri di fatto riusciva spesso a neutralizzare l'intervento correttivo dei funzionari e dello
stesso imperatore. Agenti principali della corruzione erano gli esattori: quelli pubblici
(publicani) e quelli semiprivati: «Richiedevano barche, cibo, cavalli; molestavano le
spose». Arruolavano abusivamente contadini inermi, d'autorità, o intascavano dai
latifondisti il prezzo del mancato arruolamento (R. MacMullen, La corruzione e il
declino di Roma, Il Mulino, 1991).
36. ^ L'indizione era una specie di finanziaria annuale, sulla base della quale erano calcolate
le spese che l'Impero avrebbe dovuto sostenere l'anno seguente e quindi le entrate delle
quali aveva bisogno.
37. ^ Stazionaria era l'economia, stazionaria divenne anche la società.
38. ^ Ruffolo, op. cit., p. 113.
39. ^ Sia l'Asia minore che l'Egitto non avevano conosciuto lo sviluppo dell'economia
schiavile di massa, con l'estensione del latifondo, e non furono quindi troppo toccate dal
declino della schiavitù (Ruffolo, op. cit., p. 153).
40. ^ Si trattava di un dispotismo accettato senza problemi dalle popolazioni mediorientali ed
egiziane, abituate da secoli alla adorazione sacrale del potere supremo. Il consenso
all'imperatore era favorito, inoltre, anche dall'atteggiamento devoto della Chiesa
orientale, che identificava le proprie fortune con la tenuta del governo centrale. Nella
parte occidentale dell'Impero, invece, la Chiesa si sganciò presto dall'abbraccio di
Costantino e, pur mantenendosi leale ai suoi successori cristiani, badò soprattutto a
rafforzare la propria autonomia dal governo centrale, fino a diventare punto di
riferimento istituzionale per le nuove nazioni barbare(Ruffolo, op. cit., pp. 153 e 159-
160).
41. ^ Ruffolo, op. cit., p. 154.

Bibliografia [modifica]
• Luigi Bessone, Roma imperiale, in (a cura di G. Solfaroli Camillocci) Civiltà Antiche,
Sei, 1987.
• Francesco De Martino, Storia economica di Roma antica, La Nuova Italia, Firenze, 1980.
• Geraci e Marcone, Storia romana, Le Monnier, 2004.
• Momigliano e Schiavone, Storia di Roma, Einaudi, 1988.
• Giorgio Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, 2004.
• Antonio Saltini, Storia delle scienze agrarie, vol. I Dalle origini al Rinascimento,
Bologna, 1984.
Voci correlate [modifica]
• Schiavitù nell'antica Roma
• Economia della Repubblica romana
• Economia della Roma regia

• Portale Antica Roma

• Portale Economia

Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Economia_dell%27Impero_romano"
Categorie: Economia dell'antica Roma | Economia dell'Impero romano
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