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Il capitano.
Se bimbo mi svegliavo
di soprassalto, mi calmavo udendo
urlanti nell'assente via,
cani randagi. Mi parevano
più del lumino alla Madonna
che ardeva sempre in quella stanza,
mistica compagnìa.
E non ad un rincorrere
echi d'innanzi nascita,
mi sorpresi con cuore, uomo?
Parve di piume.
GIOVANNI VERGA.
a). La vita.
S60
c) I Malavoglia
2
tra sulle sventure della famiglia da cui prende titolo il romanzo. I
Malavoglia sono una famiglia di pescatori che vive esclusivamente
sui proventi del proprio lavoro in mare, e ha come unico patrimonio
la barca, chiamata la « Prowidenza », e la casa, detta del « Nespo-
lo ». La rovina dei Malavoglia si origina dal tentativo di intra-
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19. S~AriA A
prendere un'attività commerciale, per raggiungere una condizione di
maggiore agiatezza: un giorno la « Prowidenza viene travolta dalla
burrasca, provocando la perdita del carico e la morte di Bastianazzo,
il più valido lavoratore dei Malavoglia. Di qui prendono l'awio le tra-
giche peripezie della famiglia che culmineranno nella perdita anche
della casa del Nespolo.
Nei personaggi dei Malavoglia si trovano realizzate due concezio-
ni di vita. Da un lato vi sono i rappresentanti di una società immobile
e arcaica, ostili a ogni idea di progresso, legati alle superstizioni e alle
tradizioni del passato. Dall'altro troviamo i fautori di una rottura defi-
nitiva con le tradizioni ataviche, desiderosi di un totale riscatto uma-
no ed economico. Nel vecchio capofamiglia padron 'Ntoni e nel ni-
pote ribelle 'Ntoni si incarnano queste due opposte tendenze.
Padron 'Ntoni è il patriarca della famiglia, colui che « comanda-
va le feste e le quarant'ore », l'assertore della cooperazione e dell'u-
nità familiare (secondo la ma~sima che « per menare il remo bisogna
che le cinque dita si aiutino »), rigoroso del rispetto delle gerarchie
(secondo l'altra ma~sima che « gli uomini son fatti come le dita della
mano; il dito grosso deve far da dito grosso, e il piccolo da dito pic-
colo »). Padron 'Ntoni è nello stesso tempo il portavoce di un'antica
saggezza, che si esprime appunto nel suo continuo uso di proverbi,
e soprattutto in un culto di antichi e saldi valori (la dedizione al la-
voro, il senso dell'onore, la fedeltà alla parola data); così di fronte
alla disgrazia della « Provvidenza e alla perdita della fonte di lavoro,
rifiuta ogni tentativo di soluzione men che onesta, e proclama la
sua rassegnazione stoica, nella considerazione che è a meglio con-
tentarsi che lamentarsi ». A questo immobilismo e a questi contenuti
di antica e fatalistica saggezza si ribella il nipote 'Ntoni (anche se
la sua ribellione si qualifica necessariamente più a livello persona-
le--come uno scontro con il nonno e il suo mondo--che non a
livello generale, come presa di coscienza di una situazione diffusa).
'Ntoni si dichiara incapace di accettare senza reagire una vita di
stenti, e manifesta la propria volontà di rottura, abbandonando la
casa del Nespolo, che per il nonno rappresenta il santuario della fa-
miglia, e partendo per il continente in cerca di fortuna.
La ribellione di 'Ntoni è comunque semplicemente velleitaria.
Già fin dall'inizio del romanzo Verga si era preoccupato di segnalare
il personaggio come un « bighellone di vent'anni »: e alla conclusio-
ne della sua awentura ce lo rappresenta come un vinto, costretto a
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3
da Alessi, la cui missione era stata fissata sin dal principio, quando
Verga, nel presentarlo, l'aveva definito « un moccioso tutto suo non-
no colui ».
La chiusa dei Malavoglia acquista così, con il fugace ritorno di
'Ntoni, il significato di un rito purificatore, che awiene proprio per
opera del ribelle, il quale riconosce il merito e la legittimità di quei
valori un tempo da lui rinnegati e derisi (e al cui rifiuto sembrava an-
che poter autorizzare la morte desolante di padron 'Ntoni, lontano
dalla sua casa in ospedale); mentre gli altri personaggi stanno con il
loro atteggiamento a ribadirne la sacralità. Basterà pensare alla Me-
na, che rinuncia al suo amore per compare Alfio, in nome dei suoi miti
della casa e dell'onore (i miti di tutta la comunità entro cui si muo-
ve), prima quando si prospetta la possibilità di un altro matrimonio
più vantaggioso che recherebbe un po' di sollievo ai suoi familiari, e
una seconda volta quando (dopo la fuga di Lia, la sorella, che si è
data a una vita di perdizione) sente ricadere su di sé e sulla famiglia
il peso del disonore, e rinuncia per sempre alle nozze.
Al di fuori della casa del Nespolo si muove tutto un coro di per-
sonaggi, che agisce nelle piazze e nelle vie di Acitrezza. A questo coro
è affidato il commento delle disgrazie dei Malavoglia: un commento
spesso crudele, il quale mette in luce l'amara soddisfazione del po-
vero nel constatare che c'è qualcuno che sta peggio di lui; un com-
mento dialogato, in cui i personaggi stessi, con il loro parlare, si sosti-
tuiscono al narratore (secondo la geniale tecnica teorizzata da Ver-
ga). 1il dialogo è reso anche più vivo dall'uso di un linguaggio, ri-
costruito, nel suo tessuto sintattico, grammaticale e lessicale, sul dia-
letto e sui modi popolari.
d) Le Novelle rusticane
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ai Malavoglia). Don Gesualdo Motta è appunto il rappresentante di
questa classe, l'uomo che dal nulla si è creato una fortuna, mentre la
famiglia Trao - con cui, grazie a un matrimonio, egli riesce a impa-
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si traduce poi in una tragedia umana ancora più dolorosa. Basterà
pensare per ciò alla scena - certamente tra le più efficaci di tutto il
romanzo - della morte di Gesualdo nel palazzo palermitano dei
Trao. Tra la folla dei domestici perdigiorno e mangiapane, tra la fi-
glia a lui ostile e infelice per il forzato matrimonio, tra il genero
freddamente cortese, Mastro don Gesualdo campeggia tragicamente
solitario, spettatore inerte dell'indifferenza tra cui avviene la sua
morte e del fallimento finale e completo della propria vita. Se il fina-
le dei Malavoglia valeva come una riconsacrazione della tradizione
e dei miti della famiglia e dell'onore, il finale di Mastro don Gesualdo
assume il senso di una totale, definitiva, sconfitta.
Con il Gesualdo termina la grande stagione verghiana. Una sta-
gione che egli aveva iniziato con i Malavoglia, primo capitolo di un
« ciclo dei vinti che aveva proseguito appunto con il Gesualdo e che
intendeva continuare con la Duchessa di Leyra e altri romanzi. In
questo ambizioso disegno (interrotto al secondo romanzo) Verga vo-
leva rappresentare « una specie di fantasmagoria della lotta per la
vita, che si estende dal cenciaiuplo al ministro, all'artista, e assume
tutte le for ne, dall'arnbizione all'avidità del guadagno, e si presta a
mille rappresentazioni del gran grottesco umano :. Ma nelle opere
successive al Gesualdo egli sarebbe dovuto ritornare a quell'ambiente
mondano di cui aveva nutrito i suoi romanzi giovanili. Un mondo
privo per IUI ormai di ogni interesse critico, anche se si preparava ad
affrontarlo con spirito sottilmente ironico, come risulta dai pochi ap-
punti lasciatici della Duchessa di Leyra.
GIOVANNI VERGA.
a). La vita.
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nera invece si fa strada, pur nel tessuto ancora fortemente sentimen-
tale e languido del racconto (vi si narrano le vicende di una gio-
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c) I Malavoglia
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prendere un'attività commerciale, per raggiungere una condizione di
maggiore agiatezza: un giorno la « Prowidenza viene travolta dalla
burrasca, provocando la perdita del carico e la morte di Bastianazzo,
il più valido lavoratore dei Malavoglia. Di qui prendono l'awio le tra-
giche peripezie della famiglia che culmineranno nella perdita anche
della casa del Nespolo.
Nei personaggi dei Malavoglia si trovano realizzate due concezio-
ni di vita. Da un lato vi sono i rappresentanti di una società immobile
e arcaica, ostili a ogni idea di progresso, legati alle superstizioni e alle
tradizioni del passato. Dall'altro troviamo i fautori di una rottura defi-
nitiva con le tradizioni ataviche, desiderosi di un totale riscatto uma-
no ed economico. Nel vecchio capofamiglia padron 'Ntoni e nel ni-
pote ribelle 'Ntoni si incarnano queste due opposte tendenze.
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Padron 'Ntoni è il patriarca della famiglia, colui che « comanda-
va le feste e le quarant'ore », l'assertore della cooperazione e dell'u-
nità familiare (secondo la ma~sima che « per menare il remo bisogna
che le cinque dita si aiutino »), rigoroso del rispetto delle gerarchie
(secondo l'altra ma~sima che « gli uomini son fatti come le dita della
mano; il dito grosso deve far da dito grosso, e il piccolo da dito pic-
colo »). Padron 'Ntoni è nello stesso tempo il portavoce di un'antica
saggezza, che si esprime appunto nel suo continuo uso di proverbi,
e soprattutto in un culto di antichi e saldi valori (la dedizione al la-
voro, il senso dell'onore, la fedeltà alla parola data); così di fronte
alla disgrazia della « Provvidenza e alla perdita della fonte di lavoro,
rifiuta ogni tentativo di soluzione men che onesta, e proclama la
sua rassegnazione stoica, nella considerazione che è a meglio con-
tentarsi che lamentarsi ». A questo immobilismo e a questi contenuti
di antica e fatalistica saggezza si ribella il nipote 'Ntoni (anche se
la sua ribellione si qualifica necessariamente più a livello persona-
le--come uno scontro con il nonno e il suo mondo--che non a
livello generale, come presa di coscienza di una situazione diffusa).
'Ntoni si dichiara incapace di accettare senza reagire una vita di
stenti, e manifesta la propria volontà di rottura, abbandonando la
casa del Nespolo, che per il nonno rappresenta il santuario della fa-
miglia, e partendo per il continente in cerca di fortuna.
La ribellione di 'Ntoni è comunque semplicemente velleitaria.
Già fin dall'inizio del romanzo Verga si era preoccupato di segnalare
il personaggio come un « bighellone di vent'anni »: e alla conclusio-
ne della sua awentura ce lo rappresenta come un vinto, costretto a
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ga). 1il dialogo è reso anche più vivo dall'uso di un linguaggio, ri-
costruito, nel suo tessuto sintattico, grammaticale e lessicale, sul dia-
letto e sui modi popolari.
d) Le Novelle rusticane
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una risata allegra, tutti che volevano da lui qualche cosa, il suo tem-
po, il suo lavoro, o il suo denaro [...] Costretto a difendere la sua
roba contro tutti, per fare il suo interesse. Nel paese non uno solo
che non gli fosse nemico, o alleato pericoloso e temuto ». Ma non so-
lo a questo profilo di uomo in continuo movimento si riduce la fisio-
nomia del personaggio. La sua viva e profonda umanità, si coglie
soprattutto nella solitudine sofferta in cui egli si viene a trovare. Così
Gesualdo giunge a considerare amaramente il fallimento del proprio
matrimonio con Bianca Trao: « Nulla, nulla gli aveva fruttato quel
matrimonio: né la dote, né il figlio maschio, né l'aiuto del parenta-
do... Una moglie che vi si squagliava fra le mani, che vi faceva gela-
re le carezze, con quel viso, con quegli occhi, con quel fare spaventa-
to, come se volessero farla cascare in peccato ogni volta, e il prete
non ci avesse messo su tanto di croce prima, quand'ella aveva detto
di sì [...]. Bianca non ci aveva colpa. Era il sangue della razza che
si rifiutava. Le pesche non si innestano sull'ulivo ». E al dolore per il
fallimento del proprio matrimonio si accompagna la desolazione di ve-
der perduta anche la figlia Isabella dietro fisime nobiliari, intenta a
sperperare la dote per mantenere il decoro della sua condizione di
duchessa, a cui è giunta, a sua volta, attraverso un altro matrimonio
sbagliato. In questa situazione di assoluta solitudine il personaggio
rimpiange quel « momento di svago », quell' « ora di buon umore »
che gli veniva dagli incontri con Diodata, l'umile trovatella che egli
aveva accolto presso di sé un tempo e che gli rimarrà fedele fino alla
fine, capace per lui di un autentico affetto. E tra le pagine più sug-
gestive del romanzo ci sono appunto quelle in cui viene descritto l'in-
contro tra Diodata e Gesualdo, prima del suo matrimonio con Bian-
ca Trao. Un episodio delicatissimo, in cui, sullo sfondo della campa-
gna solitaria, si rivela l'umile, servizievole amore della donna e il
burbero affetto dell'uomo: un episodio che termina con il pianto di
Diodata, nel sentire che il suo padrone deve sposare una nobile, un
pianto « ripetuto con l'accento di una preghiera o di una formula di
sacrificio religioso », che « segna la sua condanna di abbandonata » 2.
In questa mancanza o in questa impossibilità di affetti è la con-
danna dell'ambiziosa ascesa di Gesualdo. Simile a padron 'Ntoni, di
cui possiede, pur in una diversa situazione, la cocciuta tenacia, egli
accoglie in sé - a un livello ben più alto e responsabile - la confu-
sa ansia di ribellione di 'Ntoni. Ma il riscatto mancato a 'Ntoni e
che Gesualdo raggiunge, è un riscatto semplicemente economico, che
si traduce poi in una tragedia umana ancora più dolorosa. Basterà
pensare per ciò alla scena - certamente tra le più efficaci di tutto il
romanzo - della morte di Gesualdo nel palazzo palermitano dei
Trao. Tra la folla dei domestici perdigiorno e mangiapane, tra la fi-
glia a lui ostile e infelice per il forzato matrimonio, tra il genero
freddamente cortese, Mastro don Gesualdo campeggia tragicamente
solitario, spettatore inerte dell'indifferenza tra cui avviene la sua
morte e del fallimento finale e completo della propria vita. Se il fina-
le dei Malavoglia valeva come una riconsacrazione della tradizione
e dei miti della famiglia e dell'onore, il finale di Mastro don Gesualdo
assume il senso di una totale, definitiva, sconfitta.
Con il Gesualdo termina la grande stagione verghiana. Una sta-
gione che egli aveva iniziato con i Malavoglia, primo capitolo di un
« ciclo dei vinti che aveva proseguito appunto con il Gesualdo e che
intendeva continuare con la Duchessa di Leyra e altri romanzi. In
questo ambizioso disegno (interrotto al secondo romanzo) Verga vo-
leva rappresentare « una specie di fantasmagoria della lotta per la
vita, che si estende dal cenciaiuplo al ministro, all'artista, e assume
tutte le for ne, dall'arnbizione all'avidità del guadagno, e si presta a
mille rappresentazioni del gran grottesco umano :. Ma nelle opere
successive al Gesualdo egli sarebbe dovuto ritornare a quell'ambiente
mondano di cui aveva nutrito i suoi romanzi giovanili. Un mondo
privo per IUI ormai di ogni interesse critico, anche se si preparava ad
affrontarlo con spirito sottilmente ironico, come risulta dai pochi ap-
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punti lasciatici della Duchessa di Leyra.
GIUSEPPE UNGARETTI.
I fiumi.
L'Isonzo scorrendo
mi levigava
come un suo sasso.
Ho tirato su
le mie quattr'ossa
e me ne sono andato
come un acrobata
sull'acqua.
Mi sono accoccolato
vicino ai miei panni
sudici di guerra
e come un beduino
mi sono chinato a ricevere
il sole.
Questo è l'Isonzo
e qui meglio
mi sono riconosciuto
una docile fibra
dell'universo.
Il mio supplizio
è quando
non mi credo
in armonia.
Ma quelle occulte
mani
che m'intridono
mi regalano
la rara
felicità.
Ho ripassato
le epoche
della mia vita.
Questi sono
i miei fiumi.
11
Questo è il Serchio
al quale hanno attinto
duemil'anni forse
di gente mia campagnola
e mio padre e mia madre.
Questo è il Nilo
che mi ha visto
nascere e crescere
e ardere d'inconsapevolezza
nelle estese pianure.
Questa è la Senna
e in quel suo torbido
mi sono rimescolato
e mi sono conosciuto.
da L'allegrìa.
GIUSEPPE UNGARETTI.
Mattina.
M'illumino
d'immenso.
da L'allegrìa.
GIACOMO ZANELLA.
Tu ti spezzasti.
1.
I molti, immani, sparsi, grigi sassi
frementi ancora alle segrete fionde
12
di originarie fiamme soffocate
od ai terrori di fiumane vergini
ruinanti in implacabili carezze,
- sopra l'abbaglio della rabbia rigidi
in un vuoto orizzonte, non rammenti?
2.
Alzavi le braccia come ali
e ridavi nascita al vento
correndo nel peso dell'aria immota.
3.
Grazia felice,
non avresti potuto non spezzarti
in una cecità tanto indurita
tu semplice soffio e cristallo,
da Il dolore.
Ungaretti, 37 poesie.
GIUSEPPE UNGARETTI.
nacque ad Alessandria d'Egitto nel 1888 da geniton lucchesi.
Orfano di padre, fu cresciuto dalla madre
tra molte difficoltà economiche.
Nel 1912, compiuti gli studi medi, si iscrisse alla Sorbona.
a Parigi frequentò poeti e pittori d 'avanguardia
(da Apollinaire a Picasso, da Papini a Soffici a Palazzescht).
Interventtsta, partì volontario per il Carso
la trincea palesò la sua vocazione poetica.
Sposato con Jeanne Dupotx,
dal 1936 al '42 insegnò letteratura italtana
all'università di San Paolo (Brasile).
Nel 1939 morì ilfiglioAntonietto. Rientrato in Italia, ottenne,
13
per "chiara fama", la cattedra di letteratura italtana
contemporanea all'università di Roma.
Si è spento a Milano nel 1970.
GIUSEPPE UNGARETTI
37 POESIE
Discendente
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva più
Patria
Amò la Francia
e mutò nome
Fu Marcel
ma non era Francese
e non sapeva più
vivere
nella tenda dei suoi
dove si ascolta la cantilena
del Corano
gustando un caffè
E non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono
L'ho accompagnato
insieme alla padrona dell'albergo
dove abitavamo
a Parigi
dal numero 5 della rue des Carmes
appassito vicolo in discesa
Riposa
nel camposanto d'Ivry
sobborgo che pare
sempre
m una giornata
di una
decomposta fiera
E forse io solo
so ancora
che visse
IL PORTO SEPOLTO
Mariano il 29 giugno
Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde
Di questa poesia
ml resta
quel nulla
d'inesauribile segreto
14
VEGLIA
Un'intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d'amore
DANNAZIONE
Mariano il 29 giugno 1916
Parola tremante
nella notte
'ell'aria spasimante
involontaria rivolta
dell'uomo presente alla sua
fragilità
Fratelli La morte
si sconta
vivendo
15
Come questa pietra
del S. Michele
COSì fredda
COSi dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata
L'Isonzo scorrendo
mi levigava
come un suo sasso
Ho tirato su
le mie quattr'ossa
e me ne sono andato
come un acrobata
sull'acqua
Mi sono accoccolato
vicino ai miei panni
sudici di guerra
e come un beduino
mi sono chinato a ricevere
il sole
Questo è l'Isonzo
e qui meglio
mi sono riconosciuto
una docile fibra
dell 'universo
Il mio supplizio
e quando
non mi credo
in armonia
Ma quelle occulte
mani
che m'intridono
ml regalano
la rara
16
felicità
Ho ripassato
le epoche
della mia vita
Questi sono
i miei fiumi
Questo è il Serchio
al quale hanno attinto
duemil'anni forse
di gente mia campagnola
e mio padre e mia madre
Questo è il Nilo
che mi ha visto
nascere e crescere
e ardere d'inconsapevolezza
nelle estese pianure
Questa è la Senna
e in quel suo torbido
mi sono rimescolato
e mi sono conosciuto
PELLEGRINAGGIO
In agguato
in queste budella
di macerie
ore e ore
ho strascicato
la mia carcassa
usata dal fango
come una suola
o come un seme
di spinalba
Ungaretti
uomo di pena
ti basta un'illusione
per farti coraggio
Un riflettore
di là
mette un mare
nella nebbia
17
UNIVERSO
Sono stato
uno stagno di buio
Ora mordo
come un bambino la mammella
lo spazio
LA NOTTE BELLA
Col mare
mi sono fatto
una bara
di freschezza
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
E il mio cuore
il paese più straziato
NOSTALGIA
Quando
la notte è a svanire
poco prima di primavera
e di rado
qualcuno passa
Su Parigi s'addensa
18
un oscuro colore
di pianto
In un canto
di ponte
contemplo
i'illimitato silenzio
di una ragazza
tenue
Le nostre
malattie
si fondono
E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare
Ma le mie urla
feriscono
come fulmini
la campana fioca
del cielo
Sprofondano
impaurite
MATTINA
Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917
M'illumino
d'immenso
SOLDATI
Bosco di Courton luglio 1918
Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie
LUCCA
A casa mia, in Egitto, dopo cena, recitato il rosario, mia madre che
parlava di questi posti.
La mia infanzia ne fu tutta meravigliata.
19
La città ha un traffico timorato e fanatico.
In queste mura non ci si sta che di passaggio.
Qui la meta è partire.
Mi sono seduto al fresco sulla porta dell'osteria con della gente
che mi parla di California come d'un suo podere.
Mi scopro con terrore nei connotati di queste persone.
Ora lo sento scorrere caldo nelle mie vene il sangue dei miei morti.
Ho preso anch'io una zappa.
Nelle cosce fumanti della terra mi scopro a ridere.
Addio desideri, nostalgie.
So di passato e d'avvenire quanto un uomo può saperne.
Conosco ormai il mio destino, e la mia origine.
Non mi rimane più nulla da profanare, nulla da sognare.
Ho goduto di tutto, e sofferto.
Non mi rimane che rassegnarmi a morire.
Alleverò dunque tranquillamente una prole.
Quando un appetito maligno mi spingeva negli amori mortali
lodavo la vita.
Ora che considero, anch'io l'amore come una garanzia dell
specie, ho in vista la morte.
da
SENTIMENTO DEL TEMPO
1919-1935
Ha una corona di freschi pensieri,
Splende nell'acqua fiorita.
MERIGGIO
ERA
NoTTE
UNA COLOMBA
L'ISOLA
1925
A una proda ove sera era perenne
Di anziane selve assorte, scese,
E s'inoltrò
E lo richiamò rumore di penne
Ch'crasi sciolto dallo stridulo
Batticuore dell'acqua torrida,
E una larva (languiva
20
E rifioriva) vide;
Ritornato a salire vide
Ch'era una ninfa e dormiva
Ritta abbracciata a un olmo.
1931
21
Strugge forre, beve fiumi,
Macina scogli, splende,
E furia che s'ostina, è l'implacabile,
Sparge spazio, acceca mete,
E l'estate e nei secoli
Con i suoi occhi calcinantl
Va della terra spogliando lo scheletro.
STELLE
1927
1928
Perché t'ascolto?
T'inseguo, ti ricerco,
Rinnovo la salita, non riposo,
E ancora, non mai stanca, in tempesta
O a illanguidire scogli,
22
Danni con fantasia.
E abbandono schiumante
E gloria intollerante
E numerosa solitudine,
a Berto Ricci
1935
23
E consenti le immagini all'eterno,
IL DOLORE
1937- 1946
Se tu mi rivenissi incontro vivo,
Con la mano tesa,
Ancora potrei,
Di nuovo in uno slancio d'oblio, stringere,
Fratello, una mano.
24
Il martoriato corpo...
Non conta... Ascolto sempre più distinta
Quella voce d'anima
Che non seppi difendere quaggiù...
M'isola, sempre più festosa e amica
Di minuto in minuto,
Nel suo segreto semplice.
25
Dicendo: «Questo sole e tanto spazio
Ti calmino. Nel puro vento udire
Puoi il tempo camminare e la mia voce.
Ho in me raccolto a poco a poco e chiuso
Lo slancio muto della tua speranza.
Sono per te l'aurora e intatto giorno.
26
Fa piaga nel Tuo cuore
La somma del dolore
Che va spargendo sulla terra l'uomo;
Il Tuo cuore è la sede appassionata
Dell'amore non vano.
da
LA TERRA PROMESSA
1935-1953
VARIAZIONI SU NULLA
Dormi, inverno
Ti ha invaso, ti minaccia,
Grida: «T'ucciderò
E non avrai più sonno».
27
La mia bocca al tuo cuore, stai dicendo
Offre la pace,
Su, dormi, dormi in pace,
Ascolta, su, I'innamorata tua,
Per vincere la morte, cuore inquieto.
da L'ALLEGRIA (1914-1919)
In memoria
Il Porto Scpolto
Veglia
Dannazione
Fratelli
Sono una creatura
I fiumi
Pellegrinaggio
La notte bella
Universo
San Martino del Carso
Nostalgia
Allegria di naufragi
Solitudine
Mattina
Soldati
Lucca
Paesaggio
Una colomba
L'isola
Inno alla morte
Di luglio
Stelle
Sera
Primo amore
Danni con fantasia
Canto terzo
Canto beduino
Auguri per il proprio compleanno
da IL DOLORE 1937-1946)
Se tu mio fratello
28
Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto.
Mio fiume anche tu
Variazioni su nulla
da DIALOGO (1966-1968)
Stella
Dono
La tua luce
Il lampo della boccaGIACOMO ZANELLA.
La veglia.
La tremebonda vampa
in fantastica danza i fluttuanti
sedili aggira, e stampa
sull'opposta parete ombre giganti.
e notte e dì rammenti
che, se al sonno mal vigilila testa
inchinano i viventi,
l'universo non dorme e non si arresta.
29
Precipitoso io varco
di lustro in lustro della vecchia creta
da sè scotendo il carco
lo spirto avido anela alla sua meta.
Indocile sospira
a più fervida vita, e senza posa
sale per lunga spira
al suo merigge ogni creata cosa.
da Poesie.
30