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Anatomia Umana

L’ANATOMIA
Dal greco, vuol dire tagliare, adottato dai medici che dissezionavano i cadaveri. Nel nostro caso sarà
prevalentemente descrittiva; esistono vari tipi di anatomia: veterinaria, normale (in condizioni
normali), topografica (studia le regioni del corpo per strati), patologica (in condizioni di malattia o
di modificazione di alcuni apparati), vegetale (botanica), microscopica (al giorno d’oggi in continua
evoluzione con l’uso del microscopio ottico o elettronico), artistica (soprattutto nel passato).

MORFOLOGIA
Studia la forma e la struttura dei vari organi.
Partendo dalla cellula, formata dalla membrana e dal citoplasma, a sua volta diviso in organuli e
citosol (il loro studio è compito della citologia), notiamo che l’insieme di più cellule forma un
tessuto (materia di studio dell’istologia), più tessuti formano gli organi, più organi gli apparati e
l’insieme degli apparati forma il corpo umano (organismo).

APPARATI DA ESMINARE
- TEGUMENTARIO: protezione, rappresentato dalla pelle;
- SCHELETRICO, ARTICOLARE, MUSCOLARE: insieme delle ossa dello scheletro, sulle
quali si inseriscono i muscoli che muovono le ossa con le contrazioni;
- SISTEMA NERVOSO: insieme delle cellule dotate di eccitabilità (trasmissione di impulsi);
- SISTEMA ENDOCRINO: insieme di ghiandole (endocrine) in grado di produrre ormoni
che raggiungono organi bersaglio attraverso il torrente sanguigno;
- APPARATO CARDIOVASCOLARE: cuore e vasi sanguiferi (arterie e vene), trasporto in
circolo del sangue che porta alle cellule gli elementi nutritizi. Il sangue recupera inoltre i
prodotti dei scarto delle cellule;
- SISTEMA LINFATICO: sistema vascolare che trasporta linfa e compensa le carenze a
livello vascolare sanguifero; talvolta trasporta le cellule tumorali;
- APPARATO RESPIRATORIO: polmoni, importantissimi perché le cellule necessitano di
O2 e devono espellere CO2. I gas passano dai polmoni al sangue e poi alle cellule e
viceversa;
- APPARATO DIGERENTE: le cellule hanno anche bisogno di energia; assumendo alimenti
li scindiamo in molecole semplici che vengono trasportate nel corpo tramite il sangue.
L’apparato digerente scinde le sostanze in molecole semplici nello stomaco e poi le assimila
nell’intestino;
- APPARATO URINARIO: elimina i prodotti di rifiuto del metabolismo cellulare. I reni
filtrano il sangue e lo purificano;
- APPARATO RIPRODUTTORE: maschile o femminile; produce cellule germinali.

I TESSUTI
- Epiteliale
- Connettivo
- Muscolare
- Nervoso

Il tessuto epiteliale
Formato dall’insieme delle cellule che (prevalentemente) proteggono e rivestono l’organismo
all’esterno o nelle cavità. Esempio: cute, cavità interna dello stomaco. Inoltre queste cellule
assorbono o secernono delle sostanze. Esempio: nello stomaco la mucosa produce sostanze come
HCl, nell’alveolo polmonare l’epitelio assorbe O2.
Gli epiteli vengono distinti in base alla forma e agli strati delle cellule che li compongono.
L’epitelio pavimentoso (cellule di forma appiattita) semplice (formato da un solo strato) è il più
facile da classificare. L’epitelio poggia sempre sulla membrana basale. Sotto l’epitelio c’è il tessuto
connettivo. Le cellule dell’epitelio sono unite da giunzioni che le aderiscono completamente le une
alle altre. L’epitelio pavimentoso semplice lo ritroviamo a livello polmonare e nei vasi sanguiferi (il
rivestimento interno, detto endotelio).
Un altro tipo di epitelio è il cubico semplice (cellule più voluminose), rintracciabile come
rivestimento nei dotti.
Altro tipo è l’epitelio colonnare (cilindrico, bachiprismatico) semplice (con cellule alla massima
estensione possibile) rintracciabile nelle cavità in cui l’epitelio necessita di essere attivo (ad
esempio nell’intestino); questo tipo di epitelio può anche essere cigliato, dove le cellule, a livello
apicale, hanno delle espansioni (ciglia) mobili che facilitano lo scorrimento di elementi nella cavità
(nella donna a livello delle tube uterine, per esempio).
Inoltre c’è l’epitelio colonnare cigliato pseudostratificato (le cellule poggiano tutte sulla membrana
basale, ma non tutte arrivano alla stessa altezza a livello apicale) ritrovabile nelle vie respiratorie
perché le cellule secernono il muco e con le ciglia trattengono le particelle che introduciamo.
Ci sono poi gli epiteli pluristratificati (stratificati), dove alla base c’è sempre la membrana basale e
le cellule verso l’apice si assottigliano diventando pavimentose. Lo vediamo nel tratto digerente
perché rinforza le pareti contro gli urti del cibo (le cellule sono poi in continuo rinnovo)
Poi c’è l’epitelio pavimentoso stratificato cheratinizzato, sulla cute, perché la cheratina rinforza la
pelle.
Inoltre abbiamo l’epitelio cubico stratificato che troviamo nei dotti ghiandolari.
Infine abbiamo l’epitelio di transizione, formato da più strati, che poggia sempre sulla membrana
basale e possiede cellule di forma irregolare. Lo ritroviamo nell’apparato urinario perché è
impermeabile ed elastico.
Gli epiteli non sono vascolarizzati ed il nutrimento passa per diffusione dal tessuto connettivo a
quello epiteliale.

Specializzazioni dei tessuti a livello cellulare


Le ciglia sono espansioni della membrana plasmatica sul polo apicale delle cellule e sono mobili.
Nei fumatori le ciglia rallentano la loro motilità, e a lungo termine non sono più in grado di
trattenere o trasportare le particelle.
I microvilli, espansioni più brevi della membrana plasmatica, si vedono nell’intestino, dove
aumentano la superficie assorbente dell’epitelio.
Talvolta all’interno dell’epitelio troviamo le cellule mucose (produttrici di muco), visibili all’interno
dell’epitelio, tra le cellule; comunicano con la superficie esterna tramite apposite espansioni.
Tra le cellule inoltre ci sono elementi di giunzione, come i desmosomi o le giunzioni serrate, in
corrispondenza delle quali le cellule aderiscono.
L’epitelio può poi presentarsi sotto forma ghiandolare: si crea quando alcune cellule dell’epitelio
stesso si spostano nel tessuto connettivo, mantenendo però il contatto con l’esterno (creazione di
una ghiandola esocrina). Quando invece l’epitelio invaginato nel tessuto si stacca, si ha la creazione
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di una ghiandola endocrina. In questo caso l’epitelio ha funzione di secrezione. Esempi di
ghiandole esocrine sono quelle salivari (3 nella cavità boccale), il cui compito è di versare il secreto
all’esterno tramite i dotti ghiandolari. Le ghiandole endocrine invece liberano il proprio prodotto (in
genere di natura glicoproteica), tramite la grande vascolarizzazione che le caratterizza, direttamente
nel sangue. I prodotti da loro secreti sono gli ormoni. Nelle ghiandole esocrine lo sviluppo
ghiandolare può essere di svariati tipi:
- Tubulare, di forma allungata, il più semplice;
- Tubulare ramificata semplice, ramificata, con un unico dotto;
- Tubulare composta, ramificata, con più dotti;
- Alveolare (acinosa), di forma più arrotondata;
- Alveolare ramificata semplice, con un unico dotto;
- Alveolare composta, con più dotti;
- Tubuloalveolare composta, contenente tutte le caratteristiche.

Il tessuto connettivo
Ci sono 3 tipi di tessuto connettivo: tessuto connettivo propriamente detto (che si divide in lasso,
cioè formato da una rete fibrosa aperta, e denso, formato da una rete di fibre impaccate), tessuto
connettivo liquido (formato da sangue e linfa) e tessuto connettivo di sostegno (l’insieme della
cartilagine e delle ossa).

Il tessuto connettivo propriamente detto fornisce supporto metabolico e strutturale agli altri tessuti e
ai vari organi. Inoltre rappresenta un tessuto di riempimento (cicatriziale, ecc.) e la zona privilegiata
per l’accumulo del grasso. Gli elementi che lo costituiscono sono cellulari, ma abbiamo anche una
matrice extracellulare, nella quale troviamo i vasi sanguiferi; questa matrice è formata dalla
cosiddetta sostanza fondamentale e dalle fibre. La sostanza fondamentale è a sua volta formata da
H2O, catene glucidiche complesse e acido galatturonico, e al suo interno vediamo fibre come il
collagene, fibre elastiche e fibre reticolari. Esistono poi diversi tipi di collagene, ma il più comune
nel corpo umano è quello di tipo 4. Il tessuto connettivo cambia il suo aspetto da lasso a denso a
seconda della concentrazione e dell’impaccamento di tali fibre. Le cellule che lo compongono sono
dette fibroblasti. Ogni tanto, all’interno di questo tessuto, si incontrano delle “aperture” che
corrispondono alle zone di passaggio dei capillari sanguiferi. La parete più interna di questi
piccolissimi vasi prende il nome di endotelio (pavimentoso stratificato).
Nel tessuto connettivo denso le fibre sono disposte casualmente ma sono molto impaccate tra loro.
Le fibre di tipo reticolare, che fungono da vera e propria impalcatura dove le cellule connettivali si
appoggiano, sono comuni nei tessuti ad alta concentrazione di cellule, come il fegato. Invece le
fibre elastiche le ritroviamo in particolar modo nelle vie urinarie (o, più in generale, dove i tessuti
necessitano di molta elasticità e capacità di estensione).
Gli spazi tra le fibre e tra le cellule non sono vuoti, ma contengono gli adipociti, che assorbono il
grasso accumulandolo. Inoltre negli spazi del tessuto connettivo possiamo vedere anche altre
popolazioni cellulari, come i globuli bianchi o altre cellule appartenenti al sistema immunitario.

Il sangue è parte del tessuto connettivo liquido ed è divisibile a sua volta in due parti: liquida
(plasma) e corpuscolata (cellule del sistema immunitario, globuli rossi, ormoni, ecc.). Il sangue ha
la funzione di trasportare il nutrimento e i prodotti di scarto delle cellule attraverso tutto il corpo e
di mantenere l’omeostasi tra gli elettroliti dell’organismo.
Il plasma è formato da H2O e proteine plasmatiche (fibrinogeno, ecc.) e rappresenta la totalità della
parte liquida del sangue.
La porzione corpuscolata è invece composta da vari elementi.
I globuli rossi (elementi semplici, tondeggianti, enucleati, delimitati da una membrana plasmatici, il
cui citoplasma contiene molta emoglobina), a forma di disco biconcavo, utile perché devono
passare attraverso capillari più stretti di loro (deformandosi) e devono “caricare” O 2 e CO2; i globuli

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rossi invecchiati (dopo 3-4 mesi di vita) sono meno concavi e vengono eliminati nella milza e nel
fegato, i quali assolvono l’importante compito di recupero del Fe e dell’emoglobina, riutilizzabili
per globuli rossi “nuovi”. Nel midollo osseo si trovano gli elementi per costituire i globuli rossi: dal
midollo vengono creati i reticolociti che daranno poi origine ai globuli rossi propriamente detti.
I leucociti, globuli bianchi, sono un’altra porzione della moltitudine di corpuscoli nel sangue. Ne
troviamo di diversi sia dal punto di vista dell’aspetto che dal punto di vista delle caratteristiche. La
prima grande divisione differenzia i granulociti dagli agranulociti (il nome deriva dalla presenza o
meno di granuli nel citoplasma). I granulociti si differenziano in gruppi in base alla colorazione in
laboratorio: troveremo allora i neutrofili (i più numerosi, circa dal 40% al 70% della popolazione
totale, che intervengono nei processi infettivi), gli eusinofili (che intervengono nelle parassitosi) e i
basofili (che servono all’organismo in caso di allergie e si differenziano per dimensione forma del
nucleo). Negli agranulociti il nucleo occupa invece gran parte della cellula (quasi tutto il volume). I
più rappresentati nella totalità della popolazione sono i linfociti che, poco più grandi dei globuli
rossi, intervengono nei processi di infezione; abbiamo poi i macrofagi (mastociti), molto più grandi
dei globuli rossi, che racchiudono al loro interno ciò che è nocivo per l’organismo umano e lo
digeriscono grazie all’azione di processi enzimatici tipici.
Il sangue è inoltre formato da una porzione cellulare, rappresentata dalle piastrine, porzioni di
cellule derivate dalla germinazione di cellule più grosse (i megacariociti, contenuti nel midollo
delle ossa piatte, come lo sterno e la cresta iliaca), dette anche plasmacellule.
L’origine di tutte le cellule è comunque data dalle cellule staminali totipotenti, capaci di
differenziarsi in tutti i tipi di cellule presenti nell’organismo.
La linfa è un liquido di colorito trasparente, formata prevalentemente da H 2O, proteine e cellule che
vengono trasportate da un sistema vascolare associato a quello sanguifero (da notare il fatto che il
sistema vascolare linfatico corre praticamente in modo parallelo a quello sanguifero). La funzione
principale della linfa è quella di supportare il sistema circolatorio sanguifero. Infatti, il sangue è
diviso in arterioso (“pulito”, che trasporta l’O2 e le sostanze utili al metabolismo delle cellule) e
venoso (“sporco”, che trasporta la CO2 e tutte le sostanze di scarto del metabolismo cellulare);
tuttavia non tutte le sostanze perse dal sangue arterioso vengono poi recuperate da quello venoso:
interviene la linfa, che recupera e trasporta (per poi rimetterle in circolo) le sostanze perse dal
sangue durante gli scambi cellulari. Se ciò non dovesse avvenire, si andrebbe incontro a
conseguenze quali edema (accumulo di liquidi in eccesso), cellulite (ristagno di liquidi, ma
rimediabile con l’esercizio fisico, poiché i muscoli, contraendosi, stimolano il movimenti dei liquidi
in eccesso verso il cuore).

Il tessuto connettivo di sostegno fornisce supporto al nostro corpo, essendo formato dalla cartilagine
e dalle ossa: senza di esso non potremmo muoverci, non riusciremmo a stare in piedi e non
potrebbero essere protetti i nostri organi vitali.
Esso è formato sempre da cellule e da matrice extracellulare: varia soltanto la composizione della
matrice extracellulare (rispetto al sangue e al tessuto connettivo liquido in generale); nelle ossa la
matrice extracellulare subisce un processo di mineralizzazione. Nel tessuto connettivo di sostegno
vi è inoltre presenza di fibre come negli altri tipi tessuto connettivo, mentre la sostanza
fondamentale contiene Ca in concentrazione molto alta, nonché altri minerali inorganici. Le fibre
contenute in questo tessuto possono essere sia fibre elastiche che fibre collagene (queste ultime
sono soltanto nella cartilagine).
La cartilagine è una parte del tessuto connettivo di sostegno, e si distingue in tre tipi diversi: la
cartilagine ialina, la cartilagine elastica e la cartilagine fibrosa.
La cartilagine ialina, la più diffusa, è visibile nel setto nasale, nella laringe, nella trachea e come
rivestimento delle ossa a livello delle loro articolazioni. Nella cartilagine ialina ci sono cellule dette
condroblasti, che producono la sostanza fondamentale. Nella loro forma matura e totalmente
differenziata i condroblasti (presenti per lo più nelle zone superficiali) prendono il nome di
condrociti (che interessano le zone più profonde della cartilagine). Questi tipi di cellule, per

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svolgere meglio i loro compiti, si organizzano in gruppi che variano solitamente dalle 2 alle 5 unità,
separate da una sottile matrice. Nella cartilagine ialina si trovano prevalentemente fibre collagene.
La cartilagine elastica è quella che deve sopportare le torsioni, quindi presenta una fortissima
componente di fibre elastiche. La possiamo per esempio ritrovare nel padiglione auricolare e
nell’orecchio interno.
Infine, la cartilagine fibrosa è caratterizzata da un’organizzazione pluristratificata: strati di
cartilagine si alternano a strati di tessuto connettivo. Solitamente la troviamo interposta tra due ossa
che si articolano, in modo da permettere il loro movimento (per esempio nella colonna vertebrale,
tra le varie vertebre).
Inoltre, a completare il tessuto connettivo di sostegno, vi sono le ossa. Esse sono strutture in
continuo rinnovo, che si rimodellano in continuazione. La matrice extracellulare che circonda le
cellule ossee è formata da vari depositi inorganici, quali CaP, CaS, ecc.
L’osso, in sezione, si presenta diviso in tre parti fondamentali: due epifisi (prossimale e distale, i
“vertici”) e una diafisi (la parte centrale). All’esterno l’osso è circondato da un sottile strato (detto
pereostio) formato da tessuto connettivo denso ma sottile, utile perché fornisce una superficie non
perfettamente liscia per legare muscoli e tendini. Più all’interno troviamo uno strato (più spesso
nella diafisi e più sottile nelle epifisi) di tessuto osseo compatto, con organizzazione ben ordinata di
unità ripetitive una vicina all’altra e molto impaccate tra loro. Ancora più all’interno, a livello delle
due epifisi, è possibile vedere tessuto osseo spugnoso, uguale al tessuto compatto come struttura
ripetitiva, ma con diversa disposizione delle unità componenti (organizzate stavolta a lamelle
disposte in base alle linee di forza che agiscono sull’osso).
A rivestire entrambe le epifisi vediamo la cartilagine ialina articolare.
All’interno della dialisi c’è la cavità midollare, mentre in mezzo alle trabecole (le lamelle)
dell’osso spugnoso c’è il midollo osseo (poco nelle epifisi, che durante la vecchiaia scompare
diventando a poco a poco tessuto adiposo, prendendo il nome di midollo giallo).
Le componenti ripetitive delle ossa spugnose sono dette osteoni (e sono disposti in cerchi
concentrici). Un osteone è formato da una cavità interna (canale di Havers), lunga quanto l’osteone
stesso, circondata dalle lamelle ossee, tra le quali troviamo le cosiddette lacune, dove si sviluppano
le cellule caratteristiche dell’osso: osteoblasti, più immaturi, ed osteociti, la loro forma matura, che
creano la matrice extracellulare dalla quale hanno origine le lamelle ossee (le quali sono peraltro in
continuo rinnovamento e che, se degenerano, si interpongono tra un osteone e l’altro). Dalle lacune
si dipartono (e vengono successivamente a comunicare con i canali di Havers) alcune diramazioni
citoplasmatiche degli osteociti, che raggiungono i canali e prelevano gli elementi nutritizi per gli
osteomi stessi.
Le ossa, soprattutto a livello embrionale, possono crescere e modificarsi notevolmente. All’inizio si
ha una prima formazione di tipo cartilagineo che pian piano si ossifica, prima nel tratto della diafisi,
dove si crea il primo centro di ossificazione, alimentato dai vasi ematici; contemporaneamente nelle
epifisi si creano i centri di ossificazione che verranno poi conservati fino ai 18-20 anni circa. In certi
stati patologici l’anello fibroso che c’è tra le vertebre può fuoriuscire e comprimere il nervo (caso di
ernia al disco).

Il tessuto muscolare
Le cellule muscolari hanno la caratteristica di poter contrarsi, determinando il movimento. Negli
organismi pluricellulari evoluti si è specializzato un apposito tessuto: il tessuto muscolare.
Il tessuto muscolare si distingue in tipi diversi in base al suo aspetto istologico e in base al tipo di
stimolo che riceve. Ad esempio, la maggior parte del nostro tessuto muscolare è composta di
tessuto muscolare scheletrico (striato di tipo volontario), nel braccio, nella gamba o in qualsiasi
parte del corpo che muoviamo di nostra volontà. Questo tipo di tessuto è detto scheletrico perché si
inserisce direttamente sulle ossa, è poi detto striato perché presenta striature regolari ed infine è
definito volontario appunto perché lo possiamo muovere in base alla nostra volontà.

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Un altro tipo di tessuto muscolare è quello liscio, o involontario, chiamato così perché non presenta
le striature e perché la fibre che lo compongono si contraggono e si rilasciano indipendentemente
dalla nostra volontà (lo troviamo ad esempio nello stomaco, nell’intestino, dove favorisce la
peristalsi intestinale, o nella parete vescicale).
L’ultimo tipo di muscolo è quello cardiaco: involontario ma di aspetto striato; varia la frequenza
cardiaca a seconda dell’attività che si sta svolgendo (questo è l’unico aspetto che possiamo in un
certo modo controllare del muscolo cardiaco, visto che possiamo decidere di aumentare o diminuire
lo sforzo).
L’organizzazione del tessuto muscolare è caratterizzata da tanti fascetti.
Attorno al muscolo striato c’è l’epimisio, tessuto connettivo di rivestimento; all’interno del muscolo
ci sono i fasci o fascicoli muscolari. Ciascun fascio è rivestito dal perimisio (tessuto connettivo
dalle stesse caratteristiche dell’epimisio). Ogni fascio all’interno ha le fibre muscolari, avvolte da
un sottile strato di tessuto connettivo (endomisio). Ogni fibra è costituita da cellule con nucleo,
citoplasma e proteine che costituiscono la miofibrilla, costituita da actina e miosina. Le cellule
muscolari sono polinucleate, e i nuclei sono spesso ai lati delle cellule (soltanto nel muscolo lascio i
nuclei sono al centro delle cellule). La fibra muscolare è molto estesa, voluminosa e talvolta può
raggiungere tutta l’estensione del muscolo. La miofibrilla è una continua ripetizione di unità dette
sarcomeri, piccole parti contratte. Durante le contrazioni le fibre si accorciano, mentre durante il
rilascio esse tornano alla posizione originale. Actina e miosina sono filamenti paralleli e danno la
divisione in strati (la miosina forma la banda chiara, mentre l’actina forma quella scura) che non si
accorciano né si allungano, bensì si sovrappongono le une alle altre e sono circondate da ioni e
ormoni (che scorrono nei tubuli attorno ai muscoli).
Il muscolo cardiaco è, come si è detto, una via di mezzo tra muscolo liscio e muscolo striato (è detto
perciò striato involontario). L’intero tessuto è diviso in cellule muscolari piuttosto corte, binucleate
(o al massimo trinucleate), e la disposizione particolarmente ordinata delle proteine fa sì che
l’aspetto esteriore del muscolo sia striato. Le giunzioni tra le cellule lo uniscono molto tra loro e
sono dette dischi intercalari e favoriscono la trasmissione delle contrazioni. Il cuore può variare la
frequenza delle pulsazioni a seconda del momento in cui ci troviamo.

Il tessuto nervoso
La cellula principale che lo costituisce ha la caratteristica dell’eccitabilità (sottoposta a stimoli li
trasferisce alle cellule vicine) ed è chiamata neurone. Quando c’è uno stimolo, esso viene raccolto
dal primo neurone (ad esempio lo stimolo può essere calore, freddo, dolore, pressione, tattile, ecc.)
che provvede a trasferirlo, tramite una catena, di neurone in neurone fino alla corteccia cerebrale
che elabora le informazioni e fornisce una risposta diversa in relazione al tipo di stimolo (risposta
che spesso diviene una contrazione muscolare).
Il neurone presenta un nucleo centrale circondato, come in tutte le cellule, dal citoplasma e dagli
organuli. Dal citoplasma si dipartono i dendriti, diramazioni via via più sottili del neurone. Dal
citoplasma parte anche un prolungamento più voluminoso (assone o neurite), sempre unico. La
porzione terminale dell’assone (lungo a volte anche decine di cm) c’è una diramazione, e, all’apice
di ogni “ramo” si trovano i bottoni terminali. Gli impulsi vengono raccolti nelle parti terminali dei
dendriti, passano poi nel citoplasma ed infine attraverso i bottoni terminali (non possono mai andare
nella direzione inversa).
Esistono poi vari tipi di neurone: multipolare (il tipo di neurone descritto prima, il più
rappresentativo nell’intera popolazione); dipolare (cellula dotata di nucleo e citoplasma, con solo
due diramazioni, che vanno in senso opposto – un dendrite e un assone), ritrovabili nei distretti
precisi del tessuto nervoso, nell’occhio, nella lingua e nell’orecchio (soprattutto per l’equilibrio);
pseudounipolari (nucleo, citoplasma ed una sola ramificazione, comune al dendrite e all’assone),
evoluti perché le informazioni vanno molto più veloci se non devono attraversare il citoplasma; li
ritroviamo nelle vie nervose, specialmente nelle zone in cui vengono raccolti gli stimoli.

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In queste cellule il nucleo è molto voluminoso, a scapito del citoplasma; sono inoltre presenti dei
fascetti che entrano in contatto con i dendriti e il citoplasma (i bottoni terminali degli altri neuroni,
che trasferiscono le informazioni dall’assone ai dendriti, come già detto).
Nella porzione terminale dell’assone troviamo i bottoni terminali, avvolti anch’essi nella guaina
mielinica, che contengono mitocondri ed altri organuli. Inoltre vediamo delle vescicole delimitate a
membrana, le quali contengono i neurotrasmettitori, liberati all’esterno dal bottone terminale, che
entrano in contatto molto velocemente con il dendrite del successivo neurone. I neurotrasmettitori
possono avere sia funzione inibitoria che eccitatoria. I corpi cellulari dei neuroni si trovano tutti
all’interno del sistema nervoso centrale, tranne un’eccezione: i gangli spinali, raggruppamenti
formati da corpi di neuroni posti al di fuori del sistema nervoso centrale, ai lati della colonna
vertebrale. Il neurone è collegato al muscolo tramite la sinapsi (che collega poi anche un neurone
all’altro).
Al microscopio il tessuto nervoso si presenta pieno di neuroni ma anche di altre cellule, che
riempiono gli spazi inevitabilmente creati dalla disposizione dei neuroni stessi e forniscono
supporto strutturale e metabolico alla rete dei neuroni.
Dal punto di vista anatomico possiamo distinguere due tipi di tessuto nervoso: il tessuto nervoso
centrale, che ritroviamo all’interno di strutture ossee (nella colonna vertebrale, che contiene midollo
spinale e nella scatola cranica, che contiene l’encefalo, l’organo principale); il tessuto nervoso
periferico, che ritroviamo al di fuori delle strutture ossee e che costituisce tutto il sistema di nervi
(spinali, encefalici e cranici); i nervi spinali originano dal midollo spinale, mentre i nervi cranici
trovano la loro origine da un tratto dell’encefalo.
Dal punto di vista funzionale possiamo poi dividere il sistema nervoso in altre due parti: sistema
nervoso volontario o somatico (come per esempio la porzione che regola i movimenti peristaltici
dell’intestino) ed il sistema nervoso autonomo o involontario (la parte di sistema che ci permette di
muovere le mani).
I nervi sono fasci di assoni: in sezione trasversa possiamo vedere che sono circondati dal citoplasma
di una cellula, il cui nucleo è centrale, che li contiene tutti, impedendogli di dividersi e di spostarsi.
Questo tipo di cellula è detta cellula di Schwann, e la ritroviamo solo a ricoprire i nervi. Le fibre
nervose provviste di questa copertura cellulare sono definite mieliniche, mentre le fibre che non
sono sempre ricoperte dalle cellula di Schwann sono dette amieliniche. Può inoltre avvenire un
processo di spiralizzazione, nel senso che il citoplasma delle cellule avvolge più volte i fasci
nervosi, creando uno strato costituito da sole membrane (un sistema formato da sola membrana
cellulare), strato che prende il nome di guaina mielinica. Questa risulta molto importante perché gli
stimoli accelerano la loro velocità nel passare dalle cellule rivestite, perché la guaina stessa funge da
isolante per l’assone. Quando la guaina mielinica presenta dei difetti si è vittime della sclerosi a
placche (o multipla) e la trasmissione degli impulsi ne risulta alterata o interrotta. Questi tipi di
cellule sono presenti nel sistema nervoso periferico. Nel sistema nervoso centrale l’unica differenza
è che al posto delle cellule di Schwann ci sono gli oligodendrociti, che però non possiedono la
caratteristica eccitabilità. L’organizzazione interna del nervo è simile a quella muscolare, con
fascicoli e tessuto connettivo.
Nella trasmissione di un’informazione, l’ultimo neurone della catena prende contatto con l’organo
effettore (solitamente un muscolo), liberando al suo interno le vescicole contenenti i
neurotrasmettitori, che vengono automaticamente raccolte dalla fibra muscolare. L’insieme di
questa struttura è della placca motrice.
Il gruppo di cellule dette della neuroglia è formato da tanti tipi cellulari: astrociti, le più numerose,
che riempiono gli spazi tra i neuroni e intervengono nei danni al tessuto nervoso; cellule della
microglia, meno numerose, che intervengono quando c’è bisogno di “pulizia” dalle sostanze inutili;
cellule dell’ependimia, disposte come l’epitelio, rivestono le cavità del sistema nervoso centrale con
un liquido detto cefalorachidiano che scorre tra loro; infine le cellule di Schwann e gli
oligodendrociti, di cui abbiamo già parlato.

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A rivestire il tessuto nervoso ci sono delle speciali protezioni (membrane) di natura connettivale,
che vengono dette meningi. Avvolgono completamente il sistema nervoso centrale e si possono
distinguere in tre tipi: la più esterna (a contatto con la struttura ossea) si chiama dura madre; la
seconda, al centro, è detta aracnoide (perché ricorda la struttura di una ragnatela, poiché presenta
spazi per far sì che possano passare i vasi sanguiferi e il liquido cefalorachidiano); la terza, la più
interna, è detta pia madre, e viene a contatto con il sistema nervoso vero e proprio.
L’ultima porzione costituente il sistema nervoso è rappresentata dalle terminazioni nervose (gli
elementi che raccolgono gli stimoli), le quali terminano liberamente nella cute oppure possono
essere raccolte in gruppi di cellule che vengono costituire un recettore (possono ricevere e
trasmettere stimoli dovuti al calore, al dolore, a forti pressioni, al freddo, ecc.) detto corpuscolo;
altri tipi di recettori sono formati da cellule concentriche (che raccolgono pressioni più profonde,
deformandosi). Infine esistono recettori in grado di percepire gli stimoli interni (come quelli dei
muscoli, detti fusi neuromuscolari, disposti a spirale).

TERMINOLOGIA SPECIFICA PER LO STUDIO DELL’ORGANISMO


Per descrivere il corpo umano lo si considera in stazione eretta, con le braccia allineate lungo l’asse
e con i palmi delle mani rivolti in avanti.
I movimenti possibili per gli arti sono: flessione ed estensione, rotazione su un’asse, abduzione
(allontanamento rispetto all’asse maggiore del corpo) ed adduzione (avvicinamento), circonduzione
(descrizione di un cono con l’arto, movimento che racchiude in sé la sommatoria di tutti gli altri
movimenti).
Per l’osservazione degli organi interni bisogna sezionare e tagliare il corpo; abbiamo quindi vari tipi
di piani, tramite i quali il corpo può essere diviso: piano sagittale (divide il corpo in due metà
uguali), piani mediani (paralleli al piano sagittale, in prossimità della linea mediana), piani laterali
(sempre paralleli al piano sagittale, ma più lontani dal centro del corpo), piani frontali
(perpendicolari al piano sagittale) e piani trasversali (orizzontali, pensando al corpo eretto).
Le parti del corpo più vicine al piano sagittale vengono dette prossimali, mentre quelle più lontane
sono chiamate distali.
Sezionando il corpo per mezzo del piano sagittale si possono veder tutte le cinque cavità in cui si
divide il nostro corpo: cavità cranica (delimitata dal cranio, contiene l’encefalo), cavità nasale (fa
parte dell’apparato respiratorio), cavità boccale (fa parte dell’apparato respiratorio e di quello
digerente), cavità toracica (delimitata dalle costole, dallo sterno e dalla colonna vertebrale; contiene
cuore, polmoni, esofago, vasi sanguiferi importanti, come arterie e vene, e alcune ghiandole, tra cui
il timo) e cavità addominale (non racchiusa tra le ossa, i suoi confini nella parte superiore sono la
colonna vertebrale e i muscoli, mentre nella parte inferiore è contenuta nelle ossa del bacino e
prende il nome di cavità pelvica, nella quale si trovano gli organi appartenenti all’apparato
digerente, riproduttore e urinario).

L’APPARATO LOCOMOTORE
Comprende il sistema scheletrico, muscolare e articolare.

Il sistema scheletrico, muscolare e articolare


E’ formato da due parti: la porzione assile, che va dalla testa al bacino, e la porzione appendicolare,
di cui fanno parte gli arti inferiori e superiori. L’arto superiore è a sua volta diviso in braccio,
avambraccio e mano, mentre l’arto inferiore è suddiviso in coscia, gamba e piede.
Le ossa non sono tutte uguali, possono essere di tante forme diverse. Ad esempio, l’omero (osso del
braccio) è formato dalle due epifisi e dalla diafisi: le epifisi si differenziano nella struttura, visto che
l’epifisi prossimale si articola con la spalla, mentre quella distale con l’avambraccio. Le ossa brevi
hanno le stesse caratteristiche delle ossa lunghe, ma sono più corte; si differenziano dalle ossa
piatte, con forma a parete, formate da tessuto osseo compatto all’esterno e spugnoso all’interno, con

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gli spazi pieni di midollo osseo; inoltre possiamo trovare le ossa irregolari, come le vertebre, che
non hanno una forma ben definita; un altro tipo di ossa è rappresentato dalle ossa suturali,
ritrovabili nell’articolazione tra le due ossa parietali del cranio con l’osso occipitale, molto uniti tra
loro grazie appunto alla presenza delle ossa suturali; l’ultimo tipo di osso rintracciabile
nell’organismo è quello sesamoide, che possiamo vedere nei tendini muscolari come quello che si
estende sul ginocchio (tendine rotuleo), un osso particolare, che si forma solo all’interno di tendini.
I muscoli che si legano a questa porzione di sistema scheletrico sono tutti di tipo volontario, delle
forme più disparate (muscoli a ventaglio, con aspetto laminare, come quelli che chiudono lo spazio
tra una costa e l’altra).
Le ossa si muovono grazie alla contrazione e al rilassamento di questi muscoli uniti all’azione delle
articolazioni, i capi ossei. Ogni osso è articolato con un osso contiguo (l’omero è articolato nella
sua epifisi prossimale con la spalla). L’unica eccezione è rappresentata dall’osso ioide, che non si
articola con nessun altro osso ed è a forma di ferro di cavallo.

Classificazione articolazioni in base ai movimenti effettuati dalle ossa


Abbiamo in questo caso tre tipi di articolazioni:

- SINARTROIDI: articolazioni immobili, come tra le ossa del cranio, non permettono
movimenti di alcun tipo. Tra i due capi ossei c’è una specie di tessuto “collante”. Si
distinguono a loro volta in fibrose (formate da tessuto un po’ più morbido), cartilaginee (il
cui tessuto è lievemente più duro) e ossee (completamente saldate).
- ANTIARTROIDI: permettono un leggerissimo movimento. Si distinguono anch’esse in
fibrose e cartilaginee. Queste ultime, dette anche sinfisi, sono molto importanti perché tra un
capo articolare e l’altro troviamo un disco fibrocartilagineo che le aiuta nel movimento.
- DIARTROIDI: sono le più frequenti, permettono tutti i tipi di movimento. Sono anche dette
sinoviali perché tutte le articolazioni di questo tipo sono dotate di una capsula articolare,
nella quale scorre la sinovia (o liquido sinoviale), che impedisce il crearsi di attriti tra le due
ossa che intervengono nel movimento. Si distinguono a loro volta in tre tipi: monoassiali (su
un asse solo), diassiali (su due assi) e triassiali (su tre assi).

Classificazione articolazioni in base alla superficie articolare


Abbiamo invece qui sei categorie di divisione:

- ARTROSI: la più semplice, dove la forma delle due superfici articolari non presenta rilievi, è
liscia. Da qui deriva che questo tipo di articolazione permette solo lo scivolamento delle
ossa, quindi limita molto il movimento. La possiamo vedere ad esempio tra le vertebre. E’
circondata dalla capsula articolare.
- ENARTROSI: molto simile alla precedente. Un capo articolare è di forma sferica, mentre
l’altro è complementare ad esso. Permette tutti i tipi di movimento; la ritroviamo nell’epifisi
prossimale dell’omero e dell’anca. Alcuni legamenti aiutano l’articolazione a rimanere in
situ.
- CONDILOIDEA: altrimenti detta condiloartrosi, è formata da un condilo (superficie
articolare ellittica) e da una superficie complementare ad esso. Permette tutti i tipi di
movimento, ma leggermente limitati rispetto all’enartrosi.
- SELLARE: (a sella) ricorda la sella applicata sul dorso di un cavallo, in quanto una
superficie articolare è concava, con due angoli che sporgono, mentre l’altra è
complementare. Permette solo flessoestensione e la possiamo trovare per esempio nel
pollice.
- PROCOIDE: oppure a ginglimo laterale, formata da un capo cilindrico e da un capo che lo
abbraccia solo in parte. Esegue soltanto movimenti rotazionali ed è detta anche monoassiale.

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- GINGLIMO ANGOLARE: i due corpi articolari permettono solo il movimento di
flessoestensione. Questo tipo di articolazione è detta anche procreare o proclea.

La porzione assile dell’apparato scheletrico


E’ formato dal cranio, dalla colonna vertebrale, dalle coste e dal bacino.

Colonna vertebrale
E’ la parte più estesa della porzione assile. Formata da un’insieme di 33-34 vertebre (non tutte
uguali) si può dividere in cinque parti:
- zona delle vertebre cervicali, le prime sette;
- zona delle vertebre toraciche, dodici, dall’ottava alla diciannovesima;
- zona delle vertebre lombari, cinque, dalla ventesima alla ventiquattresima;
- zona delle vertebre sacrali, anch’esse cinque, dalla venticinquesima alla ventinovesima;
- zona delle vertebre coccigee, quattro o cinque, dalla trentesima ala trentatreesima
(trentaquattresima). Queste sono vertebre saldate le une alle altre; in fondo a questa parte è
possibile vedere un residuo della coda.
La colonna vertebrale non è rigida, ma possiede una certa mobilità, data dalle articolazioni presenti
tra le varie vertebre (che possono essere mobili o semimobili). La rotazione della colonna non è
tuttavia a suo carico, ma è compito del bacino. La colonna si presenta (dalla vista anteriore e
posteriore) rettilinea, mentre, vista di lato, presenta delle “curvature” normali (due lordosi nei tratti
cervicale e lombare, e due cifosi nei tratti toracico e sacrale). Queste curvature della colonna si
formano già allo stato embrionale: il primo abbozzo di curva si ha quando la colonna prende la
forma di una grande “C”, presentando una curvatura unica; in seguito, con lo sviluppo, si
differenziano le due lordosi e le due cifosi. Più precisamente, le due lordosi si formano alla nascita,
compensando le cifosi. Un difetto della colonna vertebrale, abbastanza grave, è la scoliosi, che
consiste nella deviazione della colonna dalla sua struttura rettilinea (considerando la vista antero-
posteriore della colonna).
Le vertebre si differenziano nella lunghezza: le cervicali sono più piccole delle toraciche e delle
lombari; inoltre le sacrali sono saldate insieme nell’osso sacro (l’unico confine tra le varie vertebre
è segnato dalle linee trasversali).
Esse hanno alcune caratteristiche comuni: viste dall’alto presentano, dalla zona posteriore verso
quella anteriore, un processo spinoso, due processi trasversi (continuazioni dei due peduncoli della
vertebra superiore), la lamina, due processi articolari, il foro vertebrale (che contiene il midollo
spinale, di diametro di 3 cm e circondato dalle tre meningi) con ai lati i due peduncoli ed il corpo
vertebrale (la parte più voluminosa e piena). I processi articolari sono presenti sia al di sopra che al
di sotto delle vertebre, in modo da venire a contatto l’un con l’altro. Sulla superficie articolare del
corpo vertebrale troviamo un disco fibro cartilagineo formato da un anello fibroso contenente un
nucleo polposo (formato da H2O, proteine e fibre). Tale disco si può deformare ma non riduce mai il
suo volume: può succeder allora che fuoriesca dalla sua sede, determinando un’ernia al disco. Tra i
due corpi vertebrali l’articolazione è una sinfisi coadiuvata da legamenti (come il legamento
longitudinale posteriore, che unisce due vertebre dall’alto in basso, il legamento longitudinale
anteriore, posto anteriormente con la stesa funzione del posteriore oppure il legamenti gialli, che
riempiono gli spazi tra le lamine).
Nelle varie vertebre inoltre cambiano le dimensioni e la forma degli elementi che le compongono.
Precisamente le vertebre sono via via più grandi man mano che si va verso il basso, perché devono
sostenere più peso; inoltre i muscoli hanno dimensioni e forme diverse, quindi necessitano di
diverse superfici di attacco. Il foro vertebrale segue un andamento opposto: è più grande in alto,
perché i nervi che passano sono più concentrati nelle vicinanze del cervello.
Le vertebre cervicali presentano questa struttura: il processo spinoso è bifido (forma a Y), mentre la
faccetta articolare per le altre vertebre è tonda e concava. Le prime due vertebre hanno un nome
preciso (atlante la prima ed epistrofeo la seconda) e sono diversificate dalle altre: nell’atlante manca
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il corpo vertebrale ed essa si articola con le ossa del cranio, quindi le faccette articolari vengono a
contatto con quelle dell’osso occipitale (articolazione condiloidea ma con limitato movimento: solo
far sì con la testa). L’epistrofeo invece presenta il corpo vertebrale con un prolungamento rivolto
verso l’alto, il cosiddetto dente, che si “incastra” all’interno dell’arco vertebrale dell’atlante. Essa
consente, coadiuvata dall’atlante stesso, il movimento di rotazione del collo. Sull’ultima vertebra
cervicale il processo spinoso non si presenta più bifido, ma è come quello delle vertebre toraciche.
Le articolazioni tra le vertebre cervicali sono artrodie.
Le vertebre toraciche hanno un corpo vertebrale voluminoso, un foro vertebrale circolare, e un
processo spinoso lungo ed obliquo, rivolto verso il basso. Si distinguono dalle altre vertebre inoltre
per le faccette articolari poste ai lati, utili per il contatto con le coste.
Le vertebre lombari sono ancora più grosse e voluminose, ma con un foro vertebrale più piccolo e a
forma quasi triangolare. Il processo spinoso è più tozzo ed orizzontale. Presentano articolazioni solo
con le altre vertebre.
Le vertebre sacrali sono cinque, come detto, e tutte unite in un unico tratto osseo. Insieme all’osso
dell’anca formano il bacino. Anteriormente l’osso sacro è più liscio che non sulla sua superficie
posteriore; sono presenti dei fori intervertebrali, che permettono il passaggio dei nervi che
fuoriescono dall’ultima parte della colonna. Visto dall’alto esso presenta le ali del sacro, due
espansioni che lo articolano con l’osso dell’anca. La cifosi è diversa tra uomo e donna: nell’uomo è
più accentuata, perché non deve lasciare spazio alle gravidanze.

La gabbia toracica
Contiene i due polmoni, il cuore, le arterie e le vene che si irradiano dal cuore, l’esofago, parte della
trachea e il timo (ghiandola); inoltre protegge organi che si trovano nelle parte alta della cavità
addominale, come fegato e stomaco.
E’ a forma di “botte”, con l’apertura superiore, di forma ovale, più piccola di quella inferiore (i
diametri orizzontale e verticale dell’apertura superiore sono rispettivamente di 10 e 5 cm).
La gabbia toracica è in grado di eseguire movimenti collegati agli atti respiratori, dati dal
movimento delle coste. Esse sono 12 paia (12 per parte) e articolate posteriormente con le vertebre
toraciche (ogni costa corrisponde a una vertebra), mentre anteriormente (solo le prime sette) si
articolano con lo sterno, tramite la cartilagine costale, formando la chiusura sternale. L’ottava,
nona e decima costa si articolano soltanto con le coste precedenti, tramite la cartilagine costale. Le
coste che si articolano con lo sterno sono dette sternali, mentre le altre sono dette asternali. Le
ultime due coste (11-12) sono dette fluttuanti o libere, e non presentano articolazioni nella zona
anteriore. A partire dalla prima, la più in alto, posta orizzontalmente, le coste si curvano e si
allargano portandosi gradualmente in avanti e verso il basso (l’ultima costa è posta in modo
obliquo).
Le coste sono ossa piatte, di forma curva. Non hanno né epifisi né diafisi, quindi vengono divise in
tre zone: la testa, cioè la parte vertebrale, il collo, nel mezzo (il restringimento), l’angolo costale, il
ripiegamento ed infine il corpo della costa. La testa e la parte più allungata e presenta due faccette
articolari, in modo da collegarsi alla colonna vertebrale; nel collo è presente il tubercolo,
un’emergenza con la faccetta articolare per il processo trasverso della vertebra con la quale la costa
si articola; tutte le articolazioni costali sono diartrosi con forme diverse, che permettono soltanto
movimento di scivolamento. La gabbia toracica riesce a muoversi perché le coste, innalzandosi,
amplificano il diametro antero-posteriore della gabbia toracica stessa. Le coste hanno sempre una
faccia superiore ed una faccia inferiore, rivolte sempre più verso la porzione mediale e verso la
porzione laterale. Le fratture delle coste sono più facili sull’angolo costale.
Lo sterno è un osso piatto, avente una struttura interna di tessuto osseo spugnoso (con presenza di
midollo osseo). E’ divisibile in tre parti: il manubrio (zona superiore e più ampia), il corpo (più
voluminoso ed allungato) e il processo xifoideo (la zona in basso). Nella zona tra manubrio e corpo
vediamo l’angolo sternale, che serve a proteggere la prima costa. Il manubrio si articola con la

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clavicola, mentre esistono articolazioni anche tra le tre parti dello sterno, che con l’avanzare dell’età
(20 anni circa) si ossificano.

Ossa della spalla e dell’anca


Il cingolo scapolo omerale, cioè l’articolazione della spalla, si articola con lo sterno per mezzo della
clavicola.
Le scapole sono messe posteriormente, vicino alla colonna vertebrale, e si appoggiano sui muscoli
che le separano dalle coste. Sono ossa piatte, con una faccia anteriore e una posteriore e delimitate
da angoli e margini. Viste posteriormente presentano una divisione in due zone: quella superiore (il
processo coracoideo) è divisa da quella inferiore dalla spina, che culmina nella parte interna (dietro
alla cavità glenoidea) nell’acromion. La cavità glenoidea è facilmente visibile nella parte anteriore
e serve per l’articolazione del braccio.
La clavicola è anch’essa un osso piatto, che possiede una faccia anteriore ed una posteriore. La sua
forma è quella di una “S”, utile per l’assorbimento degli urti. Alle due estremità della clavicola ci
sono le faccette articolari per la scapola e per lo sterno.
Le ossa del bacino sono invece articolate con il femore (articolazione coxofemorale, o dell’anca).
L’osso del bacino è formato da due strutture: l’osso sacro, cioè le 5 vertebre sacrali, e l’osso
dell’anca, anteriore rispetto alle vertebre (le ossa dell’anca sono due e si articolano lungo la linea
mediana: nell’adulto e soprattutto nell’uomo questa sinfisi non presenta mobilità). Sono ossa di
forma elicoidale e sono leggermente ruotate. Ogni osso dell’anca è formato a sua volta da tre ossa
più piccole: ileo, ischio e pube, che si saldano nella superficie articolare in comune col femore, cioè
la fossa acetabolare o acetabolo. Lo spazio centrale che si forma dall’unione dell’osso sacro e delle
due ossa dell’anca è detta cavità pelvica, ed è divisa in grande pelvi e piccola pelvi.

Muscoli che rivestono le ossa nel tratto assile


Tutti questi muscoli sono di tipo striato volontario e sono muscoli scheletrici. Procederemo
dall’interno all’esterno.
Le guaine connettivali che generalmente li ricoprono sono dette aponeurosi.
I muscoli che rivestono internamente la gabbia toracica sono: intercostali, cioè posti tra una costa e
l’altra, e sono due per coppia di coste, uno interno e uno esterno con le fibre che si orientano in
modo diverso; spinocostali, cioè posti a legare le colonna vertebrale alle coste, si differenziano in
dentati posteriori (cioè i fasci superiori e inferiori) ed elevatori delle coste (che vanno dal processo
trasverso alle coste; nella parte inferiore la gabbia viene chiusa dal diaframma, che separa la cavità
toracica da quella addominale, e presenta un foro per permettere il passaggio dell’arteria aorta e uno
per favorire il passaggio della vena cava inferiore; posteriormente troviamo il muscolo quadrato dei
lombi, che si inserisce sull’ultima costa e sulla cresta iliaca; poi, sempre posteriormente, troviamo
l’ileopsoas, un muscolo ampio, formato da una parte iliaca e l’altra dal grande e piccolo psoas, che
parte dalle vertebre lombari e si inserisce con la parte iliaca sul femore.
Più in superficie troviamo invece muscoli che si possono osservare facilmente anche dall’esterno,
cioè quelli del tratto toracico e addominale anteriore (ventrale). In alto si trovano i muscoli che
originano dal torace e si inseriscono nell’arto superiore, detti toracoappendicolari: fanno parte di
questo gruppo il grande pettorale, dalla forma a ventaglio e il dentato superiore, formato da tanti
fascetti. Nel tratto ventrale ce ne sono altri tre: nel centro vediamo il retto dell’addome che non è un
fascio muscolare continuo, ma è diviso in quattro parti (è inoltre coperto dalla guaina, tessuto
connettivo, che si fa più spessa sulla linea mediana, detta linea alba). A lato abbiamo invece i
muscoli di forma laminare che chiudono la cavità addominale (definiti laminari in base
all’andamento delle fibre), cioè obliquo interno ed esterno, che si inseriscono nelle coste e nel
bacino. L’ultimo muscolo che interessa il tratto addominale è il trasverso dell’addome, che si divide
in anteriore, laterale e posteriore.

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La porzione appendicolare dell’apparato scheletrico
Comprende le ossa e i muscoli dell’arto superiore e dell’arto inferiore.

Arto superiore
E’ costituito dalle ossa del braccio, dell’avambraccio e della mano. Ciascuna porzione è articolata
con la seguente tramite un’articolazione mobile.
L’osso che costituisce il braccio è l’omero, un osso lungo con due epifisi e una diafisi. L’epifisi
prossimale si articola con la spalla, mentre l’epifisi distale si articola con l’avambraccio: entrambe
hanno superfici articolari che permettono molto movimento. L’osso ha sezione più o meno
cilindrica dalla parte prossimale ed in corrispondenza della diafisi, mentre presso l’epifisi distale è
piramidale.
L’articolazione con la spalla, cioè all’epifisi prossimale, presenta superficie semisferica in
corrispondenza della cavità glenoidea della scapola, che, per contenere la testa dell’omero deve
avvalersi dell’aiuto del cercine, una specie di disco (uno spessore) che aumenta l’ampiezza della
cavità. Questa articolazione è del tipo enartrosi, cioè permette tutti i movimenti. Nell’insieme
l’articolazione scapolo-omerale presenta strutture che servono ad abbracciare la testa dell’omero: la
capsula articolare è coadiuvata dalla presenza di legamenti.
La zona più stretta adiacente alla testa dell’omero è il collo, che presenta rilievi utili per l’inserzione
dei muscoli. Questo è inoltre il tratto più soggetto a fratture. Appena sotto il collo troviamo il corpo
dell’omero, con altre zone utili all’inserzione muscolare; il corpo inoltre ha funzione di sostegno
dell’osso stesso. L’epifisi distale è più complessa, in quanto presenta l’articolazione col gomito. La
superficie articolare è divisa in due estremità perché deve essere complementare all’ulna e al radio,
le ossa dell’avambraccio. La prima di queste due faccette articolari, cioè quella per l’ulna è di forma
ellittica ed è detta condilo, mentre l’altra, detta proclea, o articolazione procreare, ha forma a
rocchetto con una strozzatura in corrispondenza della linea mediana.
Nell’avambraccio le due ossa, ulna e radio, sono poste rispettivamente in posizione mediale e
laterale. Il radio si presenta più fine in corrispondenza dell’epifisi prossimale e, via via che si
allontana, cresce di spessore, mentre l’ulna segue il comportamento esattamente opposto. Anche qui
ci troviamo in presenza di ossa lunghe, che nell’epifisi prossimale presentano faccette articolari
complementari a quelle dell’omero. Le due ossa, essendo vicine, vengono inevitabilmente a
contatto: abbiamo così un’altra articolazione in corrispondenza dell’epifisi prossimale (le tre
articolazioni vengono comunque racchiuse da un’unica capsula articolare). Lo spazio
apparentemente cavo tra ulna e radio viene riempito da uno strato di natura connettivale, detto
membrana interossea, che svolge anche la funzione di luogo per l’inserzione dei muscoli. La loro
epifisi distale si articola con le ossa del carpo, che a loro volta si articolano con quelle del
metacarpo. Tramite questa articolazione è possibile effettuare il movimento di pronosupinazione,
accavallando ulna e radio, che in questo modo invertono le loro posizioni.

Muscoli che rivestono l’arto superiore


In corrispondenza dell’articolazione scapolo-omerale vediamo: il muscolo sopraspinato e il
sottospinato, posti rispettivamente sopra e sotto la spina; inoltre si possono vedere anche il grande e
il piccolo rotondo, mentre il muscolo che ricopre all’esterno l’articolazione e che forma una cuffia è
il deltoide.
Sul braccio ci troviamo invece in presenza di muscoli diversi, divisibili in anteriori e posteriori, in
base alle loro funzioni, che sono opposte. Anteriormente abbiamo il bicipite, il più superficiale,
chiamato così perché presenta due ventri muscolari, il capo lungo e il capo breve, che si uniscono a
formare il muscolo. Inoltre possiamo vedere il brachiale anteriore e il coracobrachiale, posti
entrambi sotto al bicipite; la loro funzione è quella di permettere all’avambraccio di flettersi. Questi
tre sono muscoli flessori. Posteriormente, sempre sul braccio, troviamo il tricipite, con tre ventri
muscolari (capo lungo, mediale e laterale) che funge da estensore.

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Nell’avambraccio i muscoli sono più numerosi e piccoli perché si continuano nelle dita della mano.

Arto inferiore
L’arto inferiore può, come quello superiore, essere diviso in tre parti: coscia, gamba e piede.
La coscia è collegata all’osso dell’anca per mezzo dell’articolazione coxofemorale. L’osso della
coscia è simile all’omero e prende il nome di femore; è inoltre l’osso più lungo dell’intero apparato.
L’epifisi prossimale, detta anche testa del femore, presenta una superficie articolare di forma
sferica: la cavità acetabolare dell’anca fa da elemento complementare in questa articolazione. A
causa del grave peso che deve sostenere, questa articolazione è molto più saldata rispetto a quella
della spalla, tanto che sembra essere “sottovuoto”. Inoltre all’interno della cavità c’è un
“cordoncino” che collega le due ossa. L’epifisi distale presenta le due superfici articolari per la
tibia, due articolazioni condiloidee.
La gamba è formata dalla tibia e dalla fibula (altrimenti detta perone), dove la tibia è più grossa
della fibula. La tibia è l’unico osso che si articola col femore, mentre la fibula presenta
collegamento solo con la tibia. Nell’articolazione del ginocchio anteriormente si può vedere un
ossicino, la patella o rotula, un osso sesamoide che si sviluppa all’interno del tendine rotuleo. Il
ginocchio presenta un’articolazione doppia condiloidea, dove sia all’interno che all’esterno della
capsula articolare sono presenti legamenti (all’interno possiamo vedere i legamenti crociato
anteriore e posteriore, mentre lateralmente ci sono i legamenti collaterali, coadiuvati nel loro
compito dal menisco). La tibia è posta in posizione mediale rispetto alla gamba ed è unita alla fibula
tramite la membrana interossea; si articola nella zona distale con il piede, costituito a sua volta dal
tarso, dal metatarso e dalle falangi.

Muscoli che rivestono l’arto inferiore


I muscoli che ricoprono l’arto inferiore hanno funzione protettiva nei confronti delle articolazioni e
sono molti.
Sulla coscia, posteriormente, troviamo i glutei, che proteggono la capsula articolare coxofemorale;
il gluteo è formato da più muscoli: grande, medio e piccolo gluteo, muscolo piramidale, muscolo
otturatore e muscoli gemelli. Anteriormente troviamo invece la divisione in tre gruppi: anteriore,
mediale e posteriore. Nel gruppo mediale, più all’interno rispetto agli altri due, troviamo gli
adduttori, distinti in adduttore breve, adduttore lungo, grande adduttore e muscolo gracile (in base
alla diversità dei fasci componenti i muscoli stessi). Nel gruppo anteriore possiamo individuare il
quadricipite del femore, che unisce i quattro ventri muscolari (detti fascio collaterale, vasto
mediale, vasto intermedio e retto anteriore) nel tendine rotuleo; inoltre si vede il muscolo sartorio,
che, partendo dalla cresta iliaca attraversa tutta la coscia e si inserisce nella tibia, ed è il muscolo più
lungo del corpo (detto sartorio perché era molto più sviluppato nei sarti. Posteriormente vediamo i
muscoli semitendinoso e semitendinoso in superficie, mentre in profondità si trova il bicipite
femorale. Nella coscia i muscoli sono opposti come funzione rispetto a quelli del braccio: quelli del
gruppo anteriore sono estensori, mentre quelli che fanno parte del gruppo posteriore sono flessori.
Nella gamba i muscoli si dividono come nell’avambraccio per raggiungere tutte le dita del piede.

Il cranio
Il cranio deve la sua forma a ben 22 ossa, articolate tra loro a circoscrivere la scatola cranica che
protegge l’encefalo e gli organi di senso (naso, occhi e orecchie). La scatola cranica è in grado di
sopportare urti piuttosto violenti.
La volta cranica è formata da ossa piatte articolate tra loro dalle suture. Nel cranio c’è un solo osso
mobile: la mandibola, articolata con l’osso temporale tramite articolazioni di tipo condiloideo (dette
articolazioni temporomandibolari), dotate di una capsula articolare dotata di legamenti, i quali non
danno tuttavia molto supporto.

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Anteriormente vediamo l’osso frontale; posteriormente ci sono le due ossa parietali e l’osso
occipitale (che chiude il buco tra le due parietali); lateralmente ci sono le due ossa temporali; tra le
ossa facciali, cioè quelle che compongono il volto, abbiamo le ossa mascellare, nasale,
zigomatiche, lacrimali, l’osso sfenoide e l’osso ecmoide. Negli spazi che inevitabilmente si creano
tra questi ossicini troviamo la cartilagine.
La superficie interna delle ossa della volta cranica è liscia, perché esse sono a contatto con la
materia grigia. Nell’osso occipitale possiamo vedere il grande forame occipitale, un vero e proprio
buco che permette l’attacco della testa alla colonna vertebrale, essendo in continuità con il foro
presente sull’atlante.
I muscoli facciali sono detti mimici e vengono controllati dalle 12 paia di nervi cranici, che passano
assieme ai vasi sanguiferi all’interno dei fori presenti nelle ossa. Questi passaggi rendono anche
possibile la vascolarizzazione dell’encefalo e degli organi di senso. La base inferiore della scatola
cranica non è invece liscia: presenta tre fosse, una anteriore, una media e una posteriore. In quella
posteriore, precisamente nella sporgenza presente, prende posto il cervelletto. Inoltre c’è una
nicchia, la sella turcica, che accoglie l’ipofisi, che regolarizza l’attività di tutte le ghiandole
endocrine. La fossa anteriore è abbastanza liscia ed accoglie la parte anteriore del cervello.
Sulla parte anteriore del cranio sono presenti le cavità orbitali, formate in parte dall’osso mascellare,
in parte dall’osso zigomatico, in parte dall’osso frontale, in parte dalle ossa lacrimali, sfenoidi ed
etmoidi; tali cavità contengono gli occhi e ne permettono la vascolarizzazione e l’innervatura.
Inoltre possiamo vedere la cavità nasale, divisa in due parti dal setto nasale; questa cavità non è
perfettamente liscia, ma presenta degli ossicini interni che creano degli spazi (detti meati) dove
l’aria passando crea delle “turbolenze”, riscaldandosi, umidificandosi e purificandosi prima di
immettersi nelle vie respiratorie inferiori. Questa purificazione dell’aria è possibile grazie alla forte
vascolarizzazione delle pareti nasali.

L’APPARATO CIRCOLATORIO (CARDIOVASCOLARE)


L’organo centrale di questo apparato è il cuore, la pompa del sistema. Inoltre ne fanno parte tutti i
vasi sanguiferi che portano il sangue a tutti i distretti del corpo e tornano poi verso il cuore. I vasi
che escono dal cuore sono detti arterie, mentre quelli di ritorno prendono il nome di vene. Il sangue
circola per due percorsi diversi: la grande circolazione e la piccola circolazione. La grande
circolazione è l’insieme delle arterie e delle vene che portano il sangue alla periferia del corpo e poi
di nuovo al cuore, mentre la piccola circolazione si snoda verso i polmoni, luogo in cui avviene lo
scambio tra O2 e CO2. Il cuore si può dividere in due metà, una contenente sangue arterioso e l’altra
contenente il venoso (nelle rappresentazioni sui libri, per convenzione, la zona blu è venosa, mentre
quella rosso arteriosa). Il sangue della grande circolazione va verso gli organi arterioso e torna
venoso, mentre nella piccola circolazione avviene il contrario (al cuore va sangue arterioso, pronto
per essere inviato nei vari distretti e ai polmoni va sangue venoso, pronto per cedere CO 2). Il
sistema circolatorio ha origine dai capillari (vasi sanguiferi molto piccoli) e termina nel cuore, dal
quale si dipartono i grossi vasi (arterie e vene) che poi raggiungeranno tutti i distretti, facendosi via
via sempre più piccoli. Il sistema linfatico è di supporto all’apparato vascolare perché permette il
recupero delle sostanze nutritive “perse” dal torrente sanguifero e le riammette nella circolazione
prima che il sangue giunga al cuore.

I vasi sanguiferi
Le arterie che si dipartono dal cuore sono molto grosse e diventano sempre più piccole man mano
che ci si avvicina alle estremità dell’organismo. La parete esterna di quelle più grosse è formata da
tre tonache, tre strati distinti che sono presenti in tutti i vasi di questo tipo (che variano soltanto per
lo spessore) detti tonaca interna (o intima), tonaca media e tonaca esterna. Nelle arterie più
voluminose (come l’aorta), del calibro di 2-3 cm, sulla tonaca interna si può vedere l’endotelio (del
tipo pavimentoso monostratificato) e fibre connettivali di tipo elastico che aiutano a sopportare la
pressione creata dal cuore quando spinge il sangue. La tonaca media è muscolare, anch’essa in
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grado di sopportare forti pressioni, formata da tessuto muscolare di tipo liscio (quando i muscoli si
contraggono si ha vasocostrizione, mentre se si rilassano si ha vasodilatazione). La tonaca esterna è
di natura connettivale. A grande distanza dal cuore il vaso prende il nome di arteriola, e sparisce la
tonaca esterna (lasciando solo l’endotelio e un sottile strato muscolare). All’estremità del percorso
del sangue troviamo invece i capillari, i vasi più piccoli in assoluto, il cui diametro può raggiungere
gli 8-10 µm. Esistono poi diversi tipi di capillari per diversi organi e scambi gassosi. I capillari sono
forniti delle sole cellule endoteliali per rendere più facile il passaggio delle sostanze attraverso le
pareti.
Le vene sono, come le arterie, formate da tre tonache (interna, media ed esterna). La differenza
principale, per quanto riguarda la struttura, è che nelle venule troviamo soltanto lo strato endoteliale
e lo strato esterno di tessuto connettivo (mancano la parte muscolare e la componente elastica
perché non ci sono più le forti pressioni originate dal cuore) e nelle vene lo strato muscolare è
sostituito da un altro strato più rigido. Le vene sono sempre posizionate sopra le arterie, tranne nel
tratto femorale, dove l’arteria si accavalla alla vena. Inoltre le vene presentano delle valvole di
chiusura per impedire la caduta ed il riflusso del sangue.
I capillari non sono mai unici, ma si uniscono in fitte trame che riforniscono una vasta zona.
Esistono tre tipi diversi di capillari: il capillare continuo, chiamato così perché tra una cellula e
l’altra non c’è spazio e le giunzioni sono molto strette; gli scambi gassosi sono possibili grazie alla
diffusione attraverso le cellule endoteliali (li ritroviamo ad esempio nei polmoni). Il secondo tipo di
capillare è detto fenestrato, perché il suo endotelio presenta cellule con interruzioni nel citoplasma,
dove si creano fori (pori o fenestrazioni) che permettono il passaggio all’esterno degli elementi
nutritizi più grossi dei gas (ad esempio nel tratto intestinale). L’ultimo tipo di capillare è il
sinusoide, sempre con endotelio poroso, dove però i pori sono più ampi per permettere il passaggio
di sostanze molto voluminose.

Il cuore
Si trova all’interno della gabbia toracica, in una cavità apposita tra i due polmoni, detta spazio
mediastino, nella parte anteriore della gabbia toracica. La sua posizione risulta un po’ spostata a
sinistra, forma un angolo con l’asse longitudinale del corpo ed è leggermente ruotato sempre verso
sinistra. Dalla parte superiore prendono origine le arterie e le vene (nella zona detta base del cuore),
mentre la parte inferiore, posta grossomodo nel 5° spazio intercostale, è detta apice del cuore.
Generalmente il cuore ha le dimensioni di un pugno, pesa circa 250 g ed è colorato di un rosso
molto intenso e scuro, dovuto alla presenza di sangue. La faccia anteriore è detta sternocostale,
mentre quella posteriore prende il nome di diaframmatici, poiché si appoggia sul muscolo
diaframma. Adiacenti al cuore ci sono in polmoni, sui quali il cuore si appoggia, lasciando
un’impronta ben definita specialmente sul polmone sinistro. Posteriormente, nella parte alta, tocca
la trachea, l’esofago e il timo. La superficie esterna del cuore è circondata da una membrana detta
pericardio, formata da due strati: il siroso interno e il fibroso esterno, detto anche sacco
pericardico. Il pericardio siroso è formato da due strati in continuità (separati soltanto dal liquido
pericardico, utile per evitare attrito tra le due pareti quando il cuore pulsa) ed avvolge perfettamente
il cuore. La parte che aderisce al cuore è detta epicardio (o parete, membrana viscerale), mentre
l’altra è detta membrana parietale. Il sacco pericardico invece è una membrana piuttosto spessa,
formata da tessuto connettivo molto elastico, contiene il cuore e l’origine dei grossi vasi e prende
rapporti con tutti gli organi circostanti. Il cuore mantiene la sua posizione grazie a legamenti che si
fissano al pericardio; questi legamenti sono di natura fibrosa e si agganciano alle ossa in
corrispondenza dello sterno, detti questi legamenti sternopericardici, posti uno in alto ed uno in
basso; inoltre vediamo i legamenti vertebropericardici, dalle vertebre al pericardio e il legamento
frenopericardico, che origina dal diaframma. Il cuore è ricoperto da vasi sanguiferi che scorrono in
solchi appositi e che corrispondono ai limiti delle camere in cui il cuore stesso è diviso (atri e
ventricoli, posti rispettivamente in alto e in basso). L’aspetto del cuore, sia posteriormente che
anteriormente è liscio, fuorché nei solchi; i solchi sono due e separano il primo i due ventricoli

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(solco interventricolare) e l’altro separa atri e ventricoli (ed è il più marcato). Su di essi inoltre si
trovano dei cuscinetti di tessuto adiposo, di colore giallastro. Sulla superficie anteriore, in alto, è
visibile un prolungamento di una delle camere superiori che si riflette all’esterno, l’auricula o
orecchietta.
All’interno il cuore è diviso nettamente in quattro camere, due atri (le camere superiori) e due
ventricoli (le camere inferiori, più grandi). A separarli ci sono i setti, che si differenziano in
interatriale e interventricolare, in modo che dopo la nascita si abbia una divisione netta e ben
definita tra parte destra e parte sinistra del cuore, al fine di non permettere alcuna comunicazione tra
atri e tra ventricoli all’infuori delle apposite fessure. Ogni camera ha una funzione ed una struttura
definite e totalmente diverse dalle altre tre.
L’atrio destro, visibile sulla faccia anteriore sternocostale, presenta pareti lisce e pareti con rilievi:
questi sono di natura muscolare. Precisamente la parete con i muscoli pettinati è quella anteriore. Le
altre pareti sono prevalentemente lisce, tranne per il fatto che presentano alcuni “buchi”, dove si
inseriscono la vena cava inferiore e la vena cava superiore, che raccolgono il sangue refluo
rispettivamente dei distretti inferiori (organi del torace e arti inferiori) e dei distretti superiori (collo,
testa, parte degli organi toracici e arti superiori) dell’organismo. Inoltre c’è un forellino che
rappresenta l’origine del vaso che raccoglie il sangue venoso proveniente dal cuore stesso (lo
sbocco di questa vena è detto seno coronario ed è posto in corrispondenza dello sbocco della vena
cava inferiore). L’atrio destro presenta poi l’auricula di cui si è parlato in precedenza,
prolungamento formato da muscoli pettinati. Dopo la nascita, il setto interatriale lo divide dall’atrio
sinistro, ma prima le due camere sono in comunicazione grazie alla finestra ovale o foro di botallo,
che si chiude nel momento in cui il neonato emette il primo respiro, grazie a tessuto connettivo
(rimane tuttavia una piccola depressione che permette di individuare la posizione in cui essa si
trovava). Questa “finestrella” c’è perché il feto non respira durante la gravidanza: il sangue
ossigenato della madre giunge direttamente al cuore del feto.
Dall’atrio destro il sangue passa nel ventricolo destro. Al suo interno si vedono delle strutture
bianche, poste sul “soffitto” del ventricolo: sono lembi di tessuto connettivo che formano una
valvola. Questa valvola, detta tricuspide a causa dei suoi tre lembi (detti appunto cuspidi) che
vengono fissati ai margini dalle corde tendinee, a loro volta fissate alle pareti ventricolari, separa
l’atrio dal ventricolo ed impedisce che il sangue refluisca durante la spinta cardiaca. Le pareti del
ventricolo presentano le trabecole carnee, rilievi muscolari, e i muscoli papillari, che legano le
corde tendinee.
Il sangue si trasferisce, passando attraverso il cono arterioso, nel vaso della piccola circolazione
detto arteria polmonare, alla cui origine si trova la valvola semilunare, e prosegue nei polmoni,
dove si purifica della CO2 e si arricchisce di O2, per poi tornare al cuore passando nelle 4 vene
polmonari (nelle quali il sangue è arterioso) che lo riportano all’atrio sinistro.
Nell’atrio sinistro, posto sulla faccia posteriore diaframmatica del cuore, le pareti sono
prevalentemente lisce, tranne all’ingresso delle quattro vene polmonari e dove rimane l’impronta
della finestra ovale. Inferiormente si vede l’accesso al ventricolo sinistro, rappresentato dalla
valvola bicuspide, o mitrale, simile alla tricuspide ma con due cuspidi soltanto, fissate anch’esse
con le corde tendinee alle formazioni muscolari.
Nel ventricolo sinistro, la camera più voluminosa presente nel cuore, le pareti presentano le
trabecole carnee e i muscoli papillari (come nel ventricolo destro) che fissano le corde tendinee. Il
ventricolo sinistro termina nell’arteria aorta a livello della valvola semilunare. La parete muscolare
del ventricolo sinistro è più spessa di quella del destro perché deve imprimere più spinta e pressione
al sangue che deve andare nella grande circolazione (quindi in distretti lontani dal cuore rispetto alla
piccola circolazione).
Se le valvole non si chiudono perfettamente il sangue può refluire nell’atrio dal ventricolo, creando
la patologia detta del soffio al cuore (è possibile accorgersene grazie al rumore dei vortici che il
sangue crea refluendo). Questo problema si ha soprattutto a carico della valvola mitrale. Le valvole

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semilunari invece, sono anche dette a nido di rondine e servono perché il sangue non refluisca nel
ventricolo.
Le arterie che forniscono il sangue al cuore sono dette coronarie destra e sinistra (mentre le vene
seguono il loro percorso) ed originano dall’arteria aorta. Se una delle due coronarie si ostruisce si ha
l’infarto, cioè la morte di alcune cellule del cuore ed è una patologia grave; se invece si ostruisce
una piccola zona delle arterie, il cuore continua il suo lavoro, con poche cellule morte. Il cuore è
comunque innervato, anche se è un muscolo involontario: le cellule nervose che danno l’impulso
per la contrazione cardiaca sono chiamate segnapasso, pacemaker, e sono cellule nervose
appositamente modificate.
La parete muscolare del cuore è costituita da fibre striate involontarie innervate in modo che sia
assicurata la continua contrazione muscolare. Nella parete posteriore dell’atrio destro, adiacenti alla
vena cava superiore, le cellule del nodo (o seno) atriale, il punto di origine della contrazione, che si
diffonde alle cellule adiacenti in modo da trasmetterla a tutte le pareti striali. La trasmissione
dell’impulso non passa dall’atrio al ventricolo, ma avviene in un sito apposito (il nodo
atrioventricolare) posto nella parte bassa dell’atrio destro, tra pavimento e parete mediale.
L’impulso origina in prossimità del setto interventricolare. Quando gli atri si contraggono, i
ventricoli si rilasciano e viceversa (tali contrazioni sono dette alternate). II due nodi sono detti
pacemaker, segnapasso.

Principali vene e arterie


Il letto o tratto capillare è l’unica porzione dei vasi in cui il sangue arterioso viene a contatto con
quello venoso. I capillari si differenziano in base alla loro funzione: possono essere continui, come
nel polmone, fenestrati, come nei reni o sinusoidali, come nel fegato. Le fibrocellule muscolari si
inseriscono nel letto capillare e, sempre in questa zona, prendono origine i vasi del sistema linfatico.

La grande circolazione
Prende origine dall’arteria aorta, che esce dal ventricolo sinistro. L’aorta prosegue nel suo percorso
dal basso verso l’alto per un breve tratto (aorta ascendente), compie poi una curva (arco
dell’aorta), e scende poi nell’ultimo tratto, il più lungo, che raggiunge poi con le ramificazioni tutti
i distretti (aorta discendente). Quest’ultimo tratto è diviso in due porzioni: toracica e addominale.
L’aorta ascendente dà origine a due vasi: l’arteria coronaria destra e sinistra, che sono le due
arterie che vascolarizzano il cuore; sono arterie molto brevi.
L’arco dell’aorta dà origine a tre vasi, che si proiettano verso l’alto e vascolarizzano il collo, la
testa, la spalla e l’arto superiore: a sinistra troviamo l’arteria succlavia (vascolarizza l’arto
superiore) e l’arteria carotide comune (vascolarizza la testa); a destra invece possiamo vedere
l’arteria anonima o tronco brachiocefalico, che a sua volta si divide in succlavia destra e carotide
comune destra. L’arteria anonima è presente perché l’arco dell’aorta è spostato verso sinistra: serve
da collegamento per la vascolarizzazione della parte destra della testa.
L’aorta discendente entra in profondità nel torace e passa attraverso il muscolo diaframma, entrando
così nella cavità addominale, giungendo poi alla porzione iliaca, dove dà origine alle arterie iliaca
destra e sinistra.
Dal tratto toracico hanno origine: le arterie bronchiali, le arterie mediastiniche, le arterie isofagee e
le arterie freniche (piccole arterie che vascolarizzano il diaframma).
Dal tratto addominale prendono origine sia arterie pari che arterie impari. Il primo ramo è il tronco
celiaco (o arteria celiaca), poi si staccano le due arterie surrenali; più in basso le arterie renali
(che si originano perpendicolarmente all’aorta addominale); poi l’arteria mesenterica superiore,
che vascolarizza l’intestino; le arterie spermatiche o ovariche, che vascolarizzano gli organi
genitali e sono poste in alto perché allo stato embrionale le gonadi sono poste in alto; l’arteria
mesenterica inferiore, che vascolarizza la porzione inferiore di intestino.
Il tronco celiaco si divide poi a sua volta in arteria gastrica sinistra, arteria splenica ed epatica
comune, che vascolarizzano rispettivamente lo stomaco, la milza ed il fegato.
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Questi vasi danno origine ad una fitta rete, detta anastomosi o circoli collaterali, che forniscono
vascolarizzazione continua, anche nel caso in cui si ostruisse un vaso.
Le arterie sono sempre sotto alle vene, tranne nel tratto femorale, dove vene e arterie si scambiano
di posto.
Le vene hanno la funzione di riportare il sangue al cuore, quindi troveremo le corrispondenti vene
iliache che raccolgono il sangue dalla parte inferiore del corpo e si uniscono nella vena cava
inferiore, che raccoglie anche il sangue proveniente dalle cavità addominale e toracica. Tuttavia il
sangue che proviene dello stomaco, dalla milza e dall’intestino viene fatto passare per mezzo della
vena porta attraverso il fegato, creando così il circolo portale, che recupera le sostanze per
immagazzinarle. La vena cava superiore raccoglie invece il sangue dalla testa, dagli arti superiori e
dal collo e, seguendo il percorso dell’aorta, giunge direttamente al cuore.

L’APPARATO RESPIRATORIO
Ha la funzione di introdurre l’aria dall’esterno ai polmoni, dove avvengono gli scambi gassosi tra
O2 e CO2. Inoltre ha la funzione di espellere la CO 2 all’esterno. I due fenomeni si chiamano
rispettivamente inspirazione ed espirazione.
L’apparato è formato da diversi organi: naso e cavità nasali (vie di conduzione), faringe (in comune
con l’apparato digerente), laringe (organo principale di formazione), trachea (che si divide in rami),
bronchi (distribuiti come un albero ribaltato) e polmoni (dove avvengono gli scambi gassosi).
Le pareti interne di questo apparato sono generalmente ricoperte di muco, prodotto dalle cellule
caliciformi, utile per intrappolare gli elementi patogeni dell’aria e per proteggere le vie respiratorie.

Naso e cavità nasali


Nelle cavità nasali è presente la mucosa respiratoria, formata da tessuto epiteliale cilindrico
pseudostratificato cigliato. Incontriamo poi le cellule caliciformi, poste come popolazione
all’interno del tessuto epiteliale: queste cellule sono in gradi di secernere muco (per questo dette
anche mucipare); le ciglia poste sul polo apicale delle cellule permette lo scorrimento del muco, che
ripercorre le vie aeree e passa poi in quelle digerenti, arrivando allo stomaco, dove viene digerito
assieme agli elementi patogeni. Il fumo rallenta il movimento delle ciglia e può dare origine a
bronchite cronica.
Il naso è formato da uno strato cutaneo e da uno scheletro cartilagineo. Il limite interno delle cavità
nasali è detto coana, ed è qui che c’è la comunicazione con la faringe. Le cavità nasali sono divise
dalla parete mediale; entrambe le cavità presentano una volta ed un pavimento: la prima è limitata
dall’osso frontale e dall’osso nasale, mentre il pavimento prende origine dall’osso palatino e
dall’osso mascellare. Il setto nasale è formato da una parete anteriore cartilaginea, che si continua
superiormente con un osso detto ecmoide, mentre il tratto inferiore è delimitato dall’osso vomere,
mentre sul retro troviamo l’osso sfenoide.
In corrispondenza della volta troviamo dei forellini, e qui la volta prende il nome di lamina
cribrosa, e forniscono il passaggio verso alcune cellule importanti per l’olfatto. In corrispondenza
di alcune ossa parietali ci sono delle camere, dette seni paranasali, che conferiscono leggerezza alla
struttura e consentono la modulazione di alcuni suoni. Queste cavità durante i raffreddori si possono
chiudere a causa del muco, oppure se il muco vi staziona troppo sono il luogo in cui si creano le
sinusiti.
L’interno delle cavità nasali presenta delle formazioni ossee dette cornetti (tre: superiore, medio ed
inferiore, questi ultimi due dipendenti direttamente dall’osso ecmoide), che favoriscono il crearsi di
vortici d’aria quando essa viene ispirata. Ciò permette all’aria stessa di riscaldarsi, purificarsi ed
umidificarsi prima di prendere la via dei polmoni; ciò è possibile grazie alla mucosa che ricopre
questi ossicini e le pareti interne nei meati, cioè negli spazi presenti tra i cornetti.

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La faringe
Si aggancia tramite la membrana faringo-basilare all’osso occipitale, ha una lunghezza di circa 10-
12 cm in verticale.
Ha rapporto quasi diretto con le vertebre cervicali, mentre lateralmente è vicina ai muscoli del collo
e posteriormente è a contatto con l’esofago, mentre inferiormente con la laringe. La parete anteriore
presenta varie aperture: una permette la comunicazione con le cavità nasali; nel tratto intermedio ce
n’è una per la cavità boccale; inferiormente ne possiamo vedere una terza, che sfocia nella laringe.
Queste aperture distinguono anche i tre tratti in cui la faringe si divide: rinofaringe, orofaringe e
laringofaringe. Nella rinofaringe c’è poi un tratto di parete laterale con dei solchi ed un forellino:
qui c’è la zona di comunicazione tra faringe o tube uditive, per far fronte ai cambiamenti della
pressione atmosferica esterna (se non ci fosse si andrebbe incontro alla rottura del timpano).
Troviamo poi una ammasso di tessuto linfoide, utile perché formato da cellule che riescono ad
aggredire gli elementi nocivi contenuti nell’aria; tali cellule sono linfociti e volgarmente vengono
chiamati tonsille (che funge da barriera specialmente in giovane età, perché negli adulti si atrofizza.
Se il tessuto linfoide si gonfia troppo ostruisce le vie aeree superiori (adenoidi), obbligandoci a
respirare solo con la bocca. In questo primo tratto l’epitelio è di tipo colonnare pluristratificato
cigliato.
Il secondo tratto della faringe, ovvero l’orofaringe, inizia a livello dell’arco glosso-faringeo, detto
anche istmo delle fauci; nell’orofaringe è presente altro tessuto linfoide che svolge la stessa
funzione del precedente, spostata però a difendere le vie aeree dalle impurità provenienti dalla
cavità boccale. Qui il rivestimento di cellule non è più solo di tipo respiratorio (in quanto deve
passare anche il cibo), ma l’epitelio, che deve sopportare anche urti meccanici, è pluristratificato
pavimentoso.
La laringofaringe è il tratto più lungo e qui cominciano a differenziarsi il tratto respiratorio e quello
digerente. Tuttavia l’epitelio resta comune, di tipo pavimentoso pluristratificato.
All’esterno, a rivestire la mucosa troviamo i muscoli che la avvolgono e servono specialmente per
favorire lo scorrimento del cibo: sono tre (superiore, medio ed inferiore), disposti sia posteriormente
che lateralmente e sono detti muscoli costrittori. La via del cibo ha origine dove c’è l’epiglottide,
una placchetta grigia che, aprendosi e chiudendosi, impedisce al cibo di passare nella laringe. La
deglutizione inizia quando la lingua spinge il bolo alimentare nella faringe e quando esso ha
raggiunto l’inizio dell’esofago la placchetta cartilaginea si rimette nella posizione originale, cioè
volta ad aprire le vie aeree.

La laringe
La laringe è un organo piuttosto complesso, piccolo (si estende dalla IV alla VI vertebra cervicale),
è costituito da cartilagine, muscoli e membrane. Svolge due funzioni: conduzione dell’aria e
fonazione (modulazione dei suoni). Si trova nella regione sottoioidea, anteriormente rispetto al
collo, sotto all’osso ioide (a forma di ferro di cavallo).
Le cartilagini che compongono la laringe sono distinte in due tipi: pari (poste cioè a due a due) ed
impari (più voluminose e singole).
La prima delle cartilagini impari è la cartilagine tiroidea; essa è formata da due lamine unite sulla
linea mediana a formare un angolo (nella donna di circa 120° e nell’uomo di 90°) detto pomo
d’Adamo. Le pareti laterali non si vedono, a causa dei grossi muscoli che le ricoprono.
La seconda cartilagine impari è detta cartilagine tricoidea, posta sotto la tiroidea: anteriormente è
formata ad anello e posteriormente si continua verso l’alto formando una lamina, cha avvolge la
laringe.
La terza cartilagine è l’epiglottide, descritta come una foglia il cui picciolo si attacca alla cartilagine
tiroidea e si è detto che chiude le vie aeree al passaggio del cibo.
Le cartilagini pari si notano solo sulla parte posteriore e sono dette cartilagini aritenoidee: sono
due, di forma piramidale a base triangolare e le troviamo appoggiate sulla cartilagine tricoidea a
livello del margine superiore della lamina posteriore. Inoltre ci sono le cartilagini corniculate, che
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si trovano sull’apice delle cartilagini aritenoidee e sono a forma di uncino (o di un piccolo corno) e
le cartilagini cuneiformi, che si trovano sopra le corniculate e sono ancora più piccole.
La maggior parte delle cartilagini che costituiscono la laringe sono di tipo ialino e col tempo si
possono ossificare, tra cui solo parte dell’epiglottide e le aritenoidee sono di tipo elastico e non
vanno incontro ad ossificazione. Le cartilagini sono unite le une alle altre mediante articolazioni
mobili.
La laringe prende inoltre rapporto con la carotide e con la vena giugulare, che si appoggiano su di
essa: oltre ai muscoli, a lato della laringe troviamo il fascio arterio-veno-nervoso. Posteriormente
troveremo l’esofago.
Per quanto riguarda le membrane ne troviamo di tre tipi: la prima, molto estesa (va dall’osso ioide
al margine superiore della cartilagine tiroidea), è in grado di accorciarsi e allungarsi, ed è detta
membrana tirotricheale. Questa membrana dona una certa mobilità alla laringe, in modo che essa
posa innalzarsi fino all’osso ioide. Inoltre c’è la membrana tracheale, che si estende dalla
cartilagine tricoidea alla trachea. Infine esiste un’altra membrana, posta internamente alle
cartilagini.
Per mantenere in sede la laringe ci sono il legamento vestibolare, posto nella zona superiore (dalla c
cartilagine tricoidea all’aritenoidea), dove ci sono le corde vocali false, e il legamento vocale, con
attacchi simili al precedente, nella cui zona vediamo invece le corde vocali vere. Il legamento
vestibolare inoltre funge da protezione per le corde vocali vere, perché non possano muoversi dalla
loro zona.
La parete interna della laringe è rivestita da mucosa respiratoria, con epitelio cilindrico
pseudostratificato cigliato, che riveste epiglottide, legamento vestibolare, legamento vocale e un
tratto delle corde vocali. Queste ultime, viste superiormente, si presentano tese tra la cartilagine
tiroidea e le due aritenoidee. La mucosa di rivestimento in questo tratto è formata da epitelio
pavimentoso pluristratificato (e le corde appaiono bianche perché la mucosa non è vascolarizzata).
Le corde vocali vibrano al passaggio dell’aria e, poiché sono abbastanza elastiche producono le
vibrazioni che danno origine ai suoni. Sono più lunghe nell’uomo (1,5 cm) che nella donna (1 cm) e
sono dotate di un certo grado di tensione. Il movimento delle cartilagini aritenoidee permette
l’allargamento e il restringimento delle aperture tra le corde vocali, ed è dato da sottili muscoli della
laringe.
La componente muscolare nelle laringe permette il movimento delle membrane e delle corde vocali:
ne fanno parte il muscolo crio-aritoneideo posteriore, che è allacciato alle cartilagini aritenoidee,
posteriormente, ed è definito come muscolo abduttore delle corde vocali (determina un’apertura
delle cartilagini) ed è l’unico muscolo che svolge questa funzione (nel caso in cui venga a mancare
si chiude anche la via aerea. Gli altri muscoli hanno la funzione di adduttori delle cartilagini e sono:
aritenoideo obliquo posteriore (due muscoli i cui fasci si dispongono obliquamente), aritenoideo
trasverso posteriore (le fibre sono disposte trasversalmente, determina l’avvicinamento delle corde
vocali), trico-aritenoideo laterale (la cartilagine tricoidea e aritenoidea, determina l’apertura delle
corde vocali e la loro tensione, posto dietro alla lamina della cartilagine tricoidea), tiro-aritenoideo
(tra cartilagine tiroidea e aritenoidea, determina l’accorciamento delle corde vocali), tiro-
epiglottideo (tra cartilagine tiroidea ed epiglottide) e ari-epiglottideo (tra cartilagine aritenoidea ed
epiglottide).

La trachea e i bronchi
La trachea è un tubo semirigido dotato di strutture cartilaginee, che inizia in corrispondenza della
VI vertebra cervicale e termina a livello della V vertebra toracica. Nel torace, più precisamente
nella porzione del mediastino inferiore, si divide in due rami.
Nel tratto superiore, anteriormente, dà supporto alla tiroide. I muscoli si dispongono lateralmente,
in modo da creare i vari strati cutanei e cartilaginei. Posteriormente prende rapporto con l’esofago.
Il canale tracheale ha sezione sempre circolare dovuta al fatto che esso è formato da anelli
cartilaginei. Questi anelli, nel numero di 16-20, permettono di mantenere aperta la trachea e

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posteriormente mancano di un piccolo tratto di cartilagine (quindi la struttura più che ad un anello è
paragonabile ad un ferro di cavallo); questa particolare conformazione serve perché l’esofago, a
contatto con la trachea, deve espandersi senza impedimenti per far passare il bolo alimentare (il
muscolo tracheale, presente sulla trachea, si flette, permettendo l’espansione del tratto di esofago
interessato).
Il rivestimento interno della trachea è formato da epitelio respiratorio che aiuta a purificare
ulteriormente l’aria immessa durante l’inspirazione. La tonaca sottomucosa è invece formata da
tessuto connettivo, mentre all’esterno, a ricoprire tutta la trachea, troviamo la tonaca avventizia,
formata da tessuto connettivo fibrillare.
La trachea si estende nel torace a partire dalla porzione del mediastino superiore, per poi terminare
nella sua stessa biforcazione all’origine dei bronchi (quindi dell’albero bronchiale), nella porzione
mediastinica inferiore. Notiamo subito la differenza tra i due rami: quello di sinistra è più lungo e
fine, mentre quello di destra è più corto, ma più capiente. Ciò è dovuto al fatto che la trachea, per
lasciare spazio ai grandi vasi si deve leggermente spostare verso destra.
L’albero bronchiale si sviluppa nel parenchima polmonare: il polmone di sinistra è più piccolo del
destro (ciò è dovuto alla stretta vicinanza del cuore) ma compensa allungandosi verso il basso; allo
stesso modo il polmone destro è più tozzo perché sotto di sé ha il fegato.
I bronchi, finché si resta nel ramo principale, presentano la stessa struttura della trachea;
addentrandosi nei polmoni, dove si dividono in rami sempre più piccoli e numerosi, i canali
bronchiali perdono la componente cartilaginea interna. Le divisioni avvengono senza un ordine
preciso, ma rispettano quello che è l’andamento del parenchima polmonare. I tratti dove
permangono ancora le placche cartilaginee prendono il nome di bronchioli. Man mano che la
cartilagine sparisce viene sostituita da fibrocellule lisce; l’ultima sezione, dove il canale si fonde col
parenchima polmonare, è detta alveolo.

Il polmone
I polmoni sono l’unico organo parenchimatoso (un organo del quale tutta la struttura concorre a
formare il parenchima) dell’apparato respiratorio.
I polmoni sono due, sono posti nella cavità toracica, sulla base poggiano sul muscolo diaframma,
mentre l’apice sporge al di sopra della clavicola.
Nei polmoni si possono vedere una faccia costale, che aderisce alle coste, e una faccia mediale, che
viene anche detta mediastinica, che aderisce al mediastino. Medialmente presentano un margine
verso lo sterno, detto sternale, e un margine verso le vertebre, detto vertebrale.
Esternamente appaiono lisci, fuorché nelle zone dette lobuli, che rappresentano l’unità più piccola
del polmone. La colorazione è rosea nel bambino e via via più ingrigita nell’adulto (per la presenza
di elementi che si sono depositati tra un lobulo e l’altro, sulle linee divisorie formate da tessuto
connettivo).
I polmoni presentano una struttura molto friabile, quindi gli organi circostanti lasciano impronte più
o meno marcate sulla superficie: la più visibile sul polmone sinistro è quella lasciata dal cuore.
Altre impronte vengono lasciate dall’aorta (arco dell’aorta e aorta ascendente), dall’esofago e dalle
varie arterie che si sviluppano dall’aorta stessa. Sul polmone destro troveremo sempre le impronte
cardiaca ed esofagea, però sparirà l’impronta dell’aorta, sostituita da quella della vena cava
inferiore.
Sulla superficie esterna ci sono delle membrane dette pleure, che sono organizzate in una struttura a
doppio foglietto: quello più interno è detto foglietto viscerale, mentre quello esterno, che aderisce
alla gabbia toracica, è detto foglietto parietale. Questi due foglietti sono praticamente lo stesso
foglietto, in quanto si riflettono su un punto della faccia mediale detto ilo polmonare, anche punto
d’ingresso per l’albero bronchiale e per i vasi che portano il sangue ai polmoni. Sotto all’ilo
polmonare possiamo poi vedere una piega dovuta alla pleura viscerale, dove troviamo il legamento
polmonare. Lo spazio tra i due foglietti è riempito dal liquido pleurico, che facilita lo scivolamento
delle due pleure durante i movimenti respiratori. In corrispondenza dell’apice, alla base concava del

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polmone, le due pleure si dividono maggiormente, dando luogo al seno costo-diaframmatico, spazio
che risulta essenziale per l’espansione del polmone durante l’atto respiratorio. Lungo la linea
mediana troviamo invece il seno costo-mediastinico, analogo al precedente per la funzione che
svolge.
Esternamente è visibile una linea obliqua che divide il polmone sinistro in lobo superiore e lobo
inferiore, mentre il destro è diviso in tre lobi (partecipa alla divisione anche una linea orizzontale).
I lobi polmonari possono a loro volta essere divisi in altre parti macroscopiche: i segmenti (da qui il
nome di divisione segmentale). Questa divisione segue la ramificazione interna dell’albero
bronchiale, quindi avremo 10 segmenti per ogni polmone.
Il bronchiolo, che nella parte più sottile prende il nome di bronchiolo terminale, va a finire nel
sacco alveolare, prendendo il nome di bronchiolo respiratorio. Il sacco alveolare è un insieme di
più alveoli (è qui che avvengono gli scambi gassosi), circondato da una sottilissima membrana detta
lobulo polmonare.
Gli alveoli sulla superficie esterna presentano una fitta trama vascolare, facente parte della piccola
circolazione, dove avviene lo scambio tra O 2 e CO2. In sezione è possibile vedere l’interno della
cavità alveolare, che è formato da due tipi di cellule: i pneumociti di primo ordine (o piccole cellule
alveolari) e i pneumociti di secondo ordine (o grandi cellule alveolari). Quelli di primo ordine
rappresentano la maggior parte delle cellule che formano la parete dell’alveolo, hanno poco
citoplasma e presentano espansioni citoplasmatiche (che servono per formare la parete
dell’alveolo); quelli di secondo ordine, presenti ogni tanto all’interno del “muro” di espansioni
citoplasmatiche, si estendono nel lume dell’alveolo e producono, tramite i corpi multilamellari, una
sostanza, detta surfactant (una lipoproteina) che si dispone sulle pareti interne. Questa sostanza
serve per evitare che l’alveolo collassi durante la respirazione.
I pneumociti di primo ordine formano la membrana attraverso la quale avvengono tutti gli scambi
gassosi nell’alveolo: sulla sua superficie si formano vescicole piene di gas che passano attraverso il
citoplasma dei pneumociti e si immettono poi nel flusso sanguifero.
All’interno della cavità alveolare troviamo anche i macrofagi, che hanno funzione di spazzini, in
quanto rappresentano l’ultima difesa contro gli agenti esterni.
I “buchi” tra un alveolo e l’altro sono riempiti da tessuto connettivo.

La respirazione
Durante la respirazione la gabbia toracica si amplia sotto l’azione dei muscoli respiratori e si
innalza, aumentando così il suo diametro antero-posteriore.
I polmoni si ampliano a livello del seno costo-diaframmatico e del seno costo-mediastinico.

LA CAVITA’ ADDOMINALE
Essendo la cavità addominale vasta, è opportuna dividerla in tre regioni principali, divise a loro
volta in tre regioni più piccole. Tali regioni non hanno divisione simmetrica, in quanto possediamo
un solo stomaco, una sola milza, ecc.
Le tre regioni superiori, da destra a sinistra sono chiamate: ipocondriaca destra, epigastrica ed
ipocondriaca sinistra; le regioni al centro, sempre da destra, prendono i nomi di: lombare destra,
ombelicale e lombare sinistra; infine le regioni inferiori si chiamano (da destra): iliaca destra,
ipogastrica ed iliaca sinistra.
Il limite posteriore della cavità addominale è la colonna vertebrale nel suo tratto lombare e sacrale,
mentre anteriormente e lateralmente si hanno solo i muscoli e la cute.
Il rivestimento membranoso è comune a tutti gli organi ed è formato da una struttura a doppio
foglietto, come per la cavità toracica: il foglietto esterno è detto peritoneo parietale, mentre quello
interno prende il nome di peritoneo viscerale. In questo modo un’unica membrana si ripiega su se
stessa cercando di coprire il maggior numero di organi: alcuni di essi saranno completamente
ricoperti (organi peritoneali), alcuni risulteranno ricoperti solo in alcune zone (organi parzialmente
ricoperti da peritoneo), altri saranno posti dietro al peritoneo (retroperitoneali) ed alcuni saranno
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sotto di esso (sottoperitoneali). Il peritoneo viscerale si avvolge intorno al fegato, allo stomaco,
all’intestino, al pancreas, e ad altri organi (questo comportamento si sviluppa a livello embrionale).
Le cellule che formano il peritoneo sono mesoteliali, e sono cellule di tipo pavimentoso semplice.
Nella zona intestinale il peritoneo avvolge quasi tutto il tubo, ma nelle zone in cui lo lascia forma
una struttura a doppio foglietto chiamata meso, quando prende contatto con le zone parietali,
legamento quando si unisce alla parete addominale, e omento quando va da un organo ad un altro.

L’APPARATO DIGERENTE
Si tratta di un canale alimentare lungo 10-11 m organizzato e diviso in varie parti: cavità boccale,
faringe, esofago (punto di passaggio tra le cavità toracica e addominale), stomaco, intestino tenue
(diviso in duodeno, digiuno ed ileo), intestino crasso (diviso in cieco, colon – a sua volta diviso in
ascendente, trasverso, discendente, sigmoideo – e retto).
Gli organi che lo compongono sono tutti organi cavi, in continuità l’uno dopo l’altro. Inoltre,
annesse all’apparato digerente, troviamo alcune ghiandole, che producono sostanze utili per
facilitare la digestione: pancreas, fegato e ghiandole salivari.
La funzione dell’apparato digerente è quella di fornire i nutrienti necessari alle cellule ed introdotti
sotto forma di cibo. I processi della digestione iniziano nello stomaco e terminano nel duodeno.
Questi processi disgregano il cibo negli elementi essenziali che lo compongono, che verranno poi
assorbiti dal torrente sanguifero a livello dell’intestino tenue. Nell’intestino crasso avviene
l’assorbimento degli elementi liquidi, dei sali minerali e delle vitamine, rendendo nello stesso
tempo più solide le sostanze di rifiuto che vengono espulse dall’organismo (feci).
Il cibo, come l’aria, ha bisogno di essere depurato delle sostanze nocive prima di essere digerito:
incontriamo barriere di questo tipo a livello della faringe, dello stomaco (che produce HCl che
abbassa il pH, uccidendo i batteri e digerendo il muco proveniente dall’apparato respiratorio) e
dell’intestino (che possiede una flora batterica buona e ammassi di tessuto linfoide).
Lungo l’apparato digerente troviamo diverse formazioni e caratteristiche della parete: nella cavità
boccale possiamo vedere vari strati di cellule appiattite (struttura molto resistente); nello stomaco
vediamo una mucosa con cellule cilindriche che producono varie sostanze (HCl, enzimi, ecc.);
nell’intestino tenue incontriamo cellule cilindriche con diverse specializzazioni, dette espansioni
microvillose (poste sull’apice delle cellule), che aumentano la superficie assorbente (i villi
intestinali); nell’intestino crasso vediamo strutture meno ampie ma simili a quelle del tenue.

La cavità boccale
La cavità boccale è posta anteriormente al viso, ed è limitata dalle labbra. Il vestibolo è la porzione
di cavità che sta tra le guance, le arcate dentarie e la lingua.
Le ossa che circondano la cavità sono: osso mascellare, mandibola, osso palatino (che forma il
palato duro, posto anteriormente al palato molle, senza ossa); le pareti laterali sono formate dalle
guance, che non hanno ossa.
Linterno è rivestito da epitelio pavimentoso pluristratificato, per evitare il più possibile lesioni
causate dalla masticazione di cibi consistenti. Sulla parete dell’arcata superiore, vicino ai molari, ci
sono due forellini: sono i dotti che fanno parte delle ghiandole salivari; altri due dotti sono presenti
sotto la lingua.
Il limite posteriore è rappresentato dalla doppia arcata (istmo delle fauci)che termina nel
prolungamento detto ugola. Un arco è rivolto verso la lingua (arco glosso-palatino), l’altro verso la
faringe (arco glosso-faringeo); entrambi sono composti da tessuto linfoide, sede delle tonsille.
In corrispondenza delle guance troviamo dei muscoli, i muscoli masticatori, che permettono,
contraendosi, la masticazione del cibo; inoltre troviamo il muscolo buccinatore, particolarmente
sviluppato nei bambini, che serve per la suzione.
La cavità possiede un elemento mobile, la lingua, che poggia sulla base. La lingua è un elemento
prevalentemente muscolare, che serve per facilitare il movimento del cibo all’interno della cavità e
per l’articolazione delle parole e dei suoni. Sul dorso presenta una mucosa dotata di strutture dette
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papille linguali: esse sono corpuscoli deputati a raccogliere lo stimolo del gusto. Le papille si
trovano soltanto sul corpo della lingua, cioè la parte mobile. La parte posteriore, la radice, va a
fissarsi sulla faringe ed è l’unica parte immobile della lingua.
Le ghiandole salivari più importanti sono tre: parotidi, poste anteriormente all’orecchio;
sottomandibolari, poste sotto il mento, quelle che producono circa il 70% della saliva; sottolinguali,
poste sotto la lingua. Sono ghiandole esocrine appartenenti al tessuto epiteliale, il cui secreto, la
saliva, viene emesso nei dotti salivari (1-1,5 l di saliva al giorno). Questo secreto serve per iniziare
il processo di masticazione ed inoltre contiene l’amilasi, un enzima che interviene nei processi di
rottura dei legami nell’amido e svolge una piccola funzione battericida. La ghiandola parotide, la
più voluminosa, produce un secreto di tipo prevalentemente sieroso, e lo libera a livello dell’arcata
dentaria superiore. La ghiandola sottomandibolare produce un secreto misto tra sieroso e mucoso.
La ghiandola sottolinguale è la più piccola e secerne saliva mucosa e la immette ai lati di una piega
della lingua, detta frenulo.
Nel suo movimento la lingua esegue anche il compito della spinta del cibo, necessaria alla
deglutizione: il bolo “va a sbattere” sul palato duro, poi sul palato molle ed infine entra nel canale
alimentare.
Tutta la superficie della lingua è ricoperta dalle papille linguali, distinte in vari tipi: le papille
filiformi, le più numerose, sono rivestite da un epitelio pavimentoso pluristratificato a forma di
piramide e non sono in grado di percepire il gusto, ma facilitano lo scorrimento del cibo verso il
retro; le papille fungiformi, più voluminose, visibili come puntini rossi, disposte tra quelle filiformi,
hanno il compito di percepire il gusto e si differenziano dalle altre perché possiedono alcune cellule
a funzione sensoriale, che, disposte insieme, formano i calici gustativi, le zone di percezione; le
papille circumvallate, che si dispongono a “V” tra il corpo anteriore e la parte posteriore della
radice, sono 12; le papille fogliate, ai lati della lingua, sono localizzate sulle pareti.

L’esofago
Attraversa tutta la gabbia toracica e termina, una volta oltrepassato il diaframma, nello stomaco. Si
posiziona posteriormente rispetto ai visceri, tranne nel tratto inferiore dell’aorta, dove passa sopra
all’arteria. Ha una lunghezza di circa 25 cm e la sua superficie, che vista in sezione presenta varie
tonache, ha dei raggrinzimenti.
Le tonache che formano la parete dell’esofago sono quattro: dall’interno abbiamo la tonaca mucosa
interna (formata da epitelio pavimentoso stratificato), poi la tonaca sottomucosa (di tessuto
connettivo), quindi la muscolare ed infine la tonaca avventizia. I muscoli che compongono la terza
tonaca sono lisci e si dispongono in una struttura ordinata in due strati: uno circolare e uno
longitudinale. Questa disposizione facilita i movimenti di contrazione che creano la peristalsi, cioè
il movimento che permette al cibo di avanzare verso lo stomaco. La tonaca avventizia infine è
formata da tessuto connettivo che serve a ricoprire e isolare la struttura.
Il canale esofageo presenta tre restringimenti: il primo si ha all’origine dell’esofago, dove termina la
faringe (anello cricoideo della faringe), il secondo dove c’è la biforcazione della trachea nei bronchi
e l’arco dell’aorta va a spingere l’esofago contro la trachea stessa e il terzo dove c’è il punto di
passaggio tra cavità toracica e addominale all’interno del diaframma, dopo il quale il canale
continua per 2 cm circa ed entra nello stomaco.

Lo stomaco
Lo stomaco è l’organo principe dell’apparato digerente. Ha una forma a J (o a pera rovesciata) si
trova nella regione epigastrica ed occupa parte della regione ipocondriaca sinistra. Si presenta come
una sacca abbastanza appiattita con una faccia anteriore ed una posteriore e due curvature, la
piccola a sinistra e la grande a destra.
Lo stomaco è diviso in quattro porzioni: cardias, che origina alla fine dell’esofago; fondo dello
stomaco, che segue il cardias ed è la zona più grossa sotto il diaframma; corpo, la zona più dilatata;
piloro, che si continua nel primo tratto dell’intestino tenue.
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Lo stomaco è un organo superficiale e anteriore rispetto all’organismo. Anteriormente prende
rapporti con il diaframma, con il fegato (sulla destra) e con la parete addominale anteriore (sulla
sinistra); posteriormente prende rapporto con la milza, con il rene sinistro e la sua ghiandola
surrenale, con il pancreas e con il colon.
La membrana peritoneale avvolge completamente lo stomaco con la sua parte viscerale: in questo
modo lo possiamo definire un organo peritoneale. In corrispondenza delle due curvature il
peritoneo forma due pliche: il piccolo omento, o legamento gastro-epatico, che parte dalla piccola
curvatura e si lega al fegato, e il grande omento, che si diparte dalla grande curvatura e si lega al
colon trasverso, dopo essere passata su tutta la parete addominale. Il grande omento è importante
perché protegge ed isola tutti gli organi della cavità addominale, sprovvista di ossa ed è sede di
tessuto adiposo.
La parete interna dello stomaco presenta dei rilievi, detti vie del cibo, nelle quali si sospetta che
transiti il cibo, rimanendo per più tempo nella zona inferiore, dove le pieghe si fanno più irregolari.
Lo stomaco è inoltre divisibile in aree gastriche, puntini posti sulla parete e fossette gastriche, cioè
i canalini che delimitano le aree. Il rivestimento delle aree gastriche è formato da cellule in grado di
produrre muco, mentre le fossette sono gli sbocchi per i dotti delle ghiandole gastriche. La parete è
in generale formata da epitelio cilindrico monostratificato, in grado di produrre muco. Le ghiandole
sono diverse a seconda dell’area che si sta osservando: a livello del cardias e del piloro troviamo
ghiandole tubolari composte, mentre nel corpo e nel fondo troviamo ghiandole tubolari composte.
Questa diversità è dovuta al fatto che servono secreti diversi nelle varie zone.
Le cellule più superficiali, dette cellule parietali, producono HCl e un’altra sostanza, il fattore
intrinseco, necessario per l’assorbimento della vitamina B12, fondamentale per l’eritropoiesi
(formazione delle cellule del sangue). Le cellule principali o zimogeniche, poste più in profondità,
producono l’enzima pepsinogeno nella forma inattiva: a contatto con l’HCl esso si trasforma in
pepsina e comincia il lavoro di digestione delle proteine. Ci sono poi le cellule enterocromaffini,
che producono la gastrina, secreto necessario per risvegliare le cellule parietali e principali. Questi
tre tipi di cellule partecipano tutti alla produzione dei succhi gastrici, fortemente acidi, il cui pH
viene neutralizzato grazie all’azione del muco, prodotto da altre cellule superficiali. Il muco inoltre
serve per umettare il cibo. Se il pH rimanesse acido l’HCl avrebbe la possibilità di attaccare anche
le pareti dello stomaco, creando l’ulcera gastrica, di cui è responsabile anche un batterio. A livello
del cardias e del piloro le ghiandole sono tubolari composte e producono muco.
La tonaca sottomucosa è costituita da tessuto connettivo e vi trovano spazio i vasi sanguiferi che
vascolarizzano tutto lo stomaco.
La tonaca muscolare presenta, oltre allo strato circolare e allo strato longitudinale, uno strato di
muscolatura disposta in modo obliquo: questo serve perché nello stomaco deve avvenire un
rimescolamento del cibo, in modo che sia inzuppato di tutti i succhi gastrici. Lo stomaco è l’unico
organo con una tale diversificazione a livello muscolare.
Al di fuori del rivestimento muscolare c’è solo il peritoneo.
Lo stomaco non è però in grado di digerire i grassi: la loro digestione avviene nel duodeno. Soltanto
nei bambini la digestione dei lipidi può avvenire nello stomaco, poiché vengono prodotti gli enzimi
renina e lipasi dalle cellule enterocromaffini.

L’intestino tenue
L’intestino tenue è un tubo lungo circa 6 m ed occupa una buona parte della cavità addominale,
tranne nelle zone epigastrica ed ipocondriaca sinistra. Anteriormente è ricoperto dal grande omento,
mentre le sue anse sono raccolte nel colon, che fa da cornice.
Si divide in tre parti: duodeno, digiuno ed ileo. Tra le varie parti non c’è una netta differenza e
addirittura tra digiuno ed ileo non c’è un punto netto di separazione.
All’interno dell’intestino tenue vengono completati i processi digestivi e si attua il processo di
assorbimento delle sostanze nutritive.

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Il duodeno è il tratto più breve, lungo circa 25-30 cm ed ha forma a “C”: il tratto orizzontale
superiore comunica con il piloro e la seguono una parte discendente, una leggermente ascendente ed
una piega, definita fessura digiuno-duodenale. Tutta la zona orizzontale è peritoneale, mentre la
restante parte è retroperitoneale.
Posteriormente prende rapporti con il rene destro, la ghiandola surrenale, la vena cava inferiore,
l’aorta ed il pancreas, mentre anteriormente si appoggia alla cistifellea e al fegato.
La superficie interna presenta dei rilievi che non si distendono nel momento in cui il bolo entra dal
piloro: essi sono detti pliche circolari e aumentano la superficie assorbente dell’organo. Nel tratto
discendente del duodeno ci sono le due papille duodenali: la maggiore rappresenta lo sbocco dei
due tubicini che provengono dal pancreas e dal fegato, che con i loro secreti aiutano a portare a
termine la digestione. Il succo pancreatico è ricco di enzimi, mentre la bile, prodotta dal fegato,
aiuta la digestione dei lipidi. La papilla duodenale minore invece comunica solo col pancreas.
Gli strati che formano le pareti del duodeno sono le quattro tonache (mucosa, sottomucosa,
muscolare e sierosa o avventizia). Le pliche circolari sono sollevamenti delle tonache mucosa e
sottomucosa.
La tonaca mucosa presenta poi altre specializzazioni: la superficie è costellata di villi intestinali, che
svolgono la funzione di aumentare la superficie assorbente delle pareti. Ogni villo è formato da
un’asse connettivale ricoperta di cellule, dette enterociti, del tipo cilindrico monostratificato, che
svolgono funzione di assorbimento. Nell’asse del villo sono contenuti i capillari sanguiferi e un
capillare linfatico (detto vaso chilifero) che assorbono rispettivamente gli elementi nutritizi digeriti
e la loro componente lipidica. Ogni villo presenta poi numerose estroflessioni citoplasmatiche (i
microvilli) che servono per aumentare ulteriormente la superficie di assorbimento.
Alla base dei villi ci sono dei canali che danno origine alle cosiddette ghiandole intestinali o
ghiandole del Galeazzi, che contengono cellule endocrine aventi la funzione di risvegliare tute le
altre cellule con il loro secreto.
La tonaca sottomucosa è formata da tessuto connettivo molto vascolarizzato, caratterizzato dalla
presenza delle ghiandole del Brunner, importanti perché secernono un muco che neutralizza
ulteriormente il pH leggermente acido del bolo alimentare.
La tonaca muscolare è formata dallo strato circolare e dallo strato longitudinale, gli unici che
servono per i movimenti peristaltici utili all’avanzamento del chimo.
La tonaca sierosa si divide in due tratti: il primo è peritoneo, mentre il secondo è una guaina
connettivale.
Il digiuno inizia in corrispondenza di una piega, detta flessura, e rappresenta i 2/5 dell’intestino
tenue. Ha una lunghezza di 6 m circa e si presenta raccolto in anse, dotate di una certa mobilità,
poste sotto il grande omento. Occupa quasi tutte le regioni dell’addome; posteriormente si appoggia
sui reni, sul pancreas e sugli ureteri; ai lati, superiormente e inferiormente prende rapporto con
l’intestino crasso; frontalmente si appoggia sulla vescica e, nella donna, sulle ovaie. Il nome gli
deriva dal fatto che il cibo ormai digerito non si ferma mai al suo interno, ma vengono solo
assorbite le sostanze nutritizie, lasciandolo sempre vuoto.
L’ileo non ha un punto d’origine vero e proprio, ma diviene tale in seguito a modificazioni graduali
del digiuno. Anche in questi tratti dell’intestino la parete è divisa in quattro tonache, ma il peritoneo
presenta una piega in più che ricopre digiuno ed ileo: il cosiddetto mesentere, che si piega in due
foglietti per ricoprire tutte le anse, dove peraltro scorrono i vasi sanguiferi che poi andranno a
raggiungere il canale intestinale.
La superficie interna del digiuno è diversa da quella dell’ileo: la prima presenta dei rilievi, mentre la
seconda è piuttosto liscia. Tuttavia possiamo notare i villi, più piccoli a causa della vicinanza con
l’intestino crasso, dove la funzione assorbente è molto limitata.
Inoltre possiamo vedere dei noduli linfatici, che nell’ileo sono riuniti nelle tonsille addominali o
placche di Peier. Queste servono ad eliminare i batteri che riescono a superare lo stomaco per
mezzo delle immunoglobine che producono: esse sono sostanze che attaccano tutto ciò che è
estraneo.

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L’intestino crasso
Circonda a mo' di cornice l’intestino tenue, ha lunghezza pari a circa 1,5 m, non è organizzato in
anse, ha un calibro più grosso rispetto al tenue ed è diviso in varie parti: cieco, colon ascendente,
colon trasverso, colon discendente, colon sigmoideo e intestino retto.
L’intestino crasso occupa una buona parte delle cavità addominali, ovviamente escluse quelle
centrali. Anteriormente prende rapporto con il grande omento, posteriormente con il rene, il fegato,
la milza, il pancreas ed i grossi vasi. Forma delle grosse curvature, dette flessure coliche destra e
sinistra. Il punto di passaggio tra ileo e crasso è rappresentato dalla valvola ileo-cecale, un piccolo
sfintere muscolare che si apre soltanto quando in chimo deve passare.
Il cieco è un “sacchettino” che si presenta liscio fuorché nella zona della valvola ileo-cecale. Il
peritoneo si dispone antero-lateralmente, lasciando scoperta la parte posteriore. Sul margine
inferiore possiamo vedere una piccola espansione, detta appendice vermiforme, costituita da tessuto
linfoide (lunga circa 9-10 cm, rappresenta una barriera difensiva), avvolta completamente da
peritoneo, che forma un meso che si fissa sulla parete posteriore. Può prendere posizioni diverse
rimanendo però sempre nella regione iliaca destra.
Il colon ascendente sale verso l’alto e termina in corrispondenza della flessura; è ricoperto dal
peritoneo soltanto nella zona antero-laterale.
Il colon trasverso attraversa tutto l’addome, è totalmente avvolto dal peritoneo e si fissa alla parete
posteriore per mezzo del meso colon trasverso.
Il colon discendente ha lo stesso comportamento dell’ascendente e rimane scoperto dal peritoneo.
Il colon sigmoideo è completamente avvolto da peritoneo e si ancora alla parete per mezzo del
meso colon sigmoideo.
Il retto è l’ultima porzione di intestino crasso, scoperta dal peritoneo.
La superficie esterna del colon presenta dei rilievi, detti gibbosità o austra, visibili sia esternamente
che internamente. In corrispondenza delle gibbosità possiamo vedere tre striscioline, dette tegne
(anteriore, mediale e posteriore), che sono l’organizzazione del tessuto muscolare longitudinale,
che, senza questi sostegni, si rilascerebbe, conferendo un aspetto liscio al colon. Inoltre, in
corrispondenza delle tasche troviamo le appendici epiploriche, depositi di tessuto adiposo.
In corrispondenza del retto non ci sono né le tegne, né le gibbosità.
La struttura del colon appare simile a quella del tenue: le quattro tonache hanno solo piccole
differenze. Sulla tonaca mucosa sono presenti delle ghiandole tubolari mucipare, che riversano il
loro secreto direttamente sulla parete, dove non ci sono villi. La tonaca sottomucosa è sempre
formata da tessuto connettivo. La tonaca muscolare è formata da una parte circolare, uguale per
tutto il colon, e da una parte trasversale, che forma le tre tegne.

Il fegato
Il fegato non è soltanto una ghiandola: svolge numerose funzioni utili all’organismo (interviene nel
processo di distruzione dei globuli rossi invecchiati; funge da deposito per le sostanze nutritizie,
come il glucosio; filtra gli ormoni che hanno già svolto la loro funzione; filtra i farmaci; interviene
nei processi metabolici; produce la bile), come un vero e proprio organo.
Ha notevoli proprietà rigenerative.
Il fegato è posto nella regione ipocondriaca destra, e si estende nella regione epigastrica e
nell’ipocondriaca sinistra; è l’organo più voluminoso dell’organismo e pesa 1,5 kg, più altri 500 g
quando è ripieno di sangue.
Ha la forma di un ovoide con una parte mancante, superficie liscia nella parte anteriore e superiore e
presenta solchi sulle pareti posteriore ed inferiore (solchi dovuti all’impronta di altri organi).
Viene diviso in due parti principali. La parte anteriore, a sua volta divisa in lobo destro (più
voluminoso) e lobo sinistro, dove si vede che il peritoneo si unisce, formando il legamento
falciforme, al cui interno c’è il legamento rotondo, un residuo della vena ombelicale. La parte itero-

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posteriore, viene poi divisa in lobo destro, lobo sinistro, lobo quadrato e lobo caudato (questi
ultimi due a causa della presenza della vena cava inferiore e della cistifellea.
Il peritoneo lascia scoperta una parte rombica per ripiegarsi e dare origine al peritoneo parietale,
cioè al legame triangolare.
Il fegato presenta un punto d’entrata e d’uscita dei condotti, dotto ilo del fegato, che funge da
ingresso per la vena porta, per l’arteria epatica e da fuoriuscita del dotto biliare, che raccoglie ed
porta fuori la bile.
Posteriormente il fegato prende rapporti con il colon (flessura destra e colon trasverso), con il
duodeno, il pancreas, lo stomaco, l’esofago (solo un tratto) e i reni (specialmente quello di destra).
Anteriormente presenta il seno costo-diaframmatico, spazio tra il fegato e il diaframma, e sporge la
cistifellea.
La circolazione nel fegato è doppia: l’arteria epatica vascolarizza il parenchima del fegato, mentre
la vena porta trasporta il sangue dall’apparato digerente, da cui entra nel circolo portale dove
vengono assorbiti gli elementi nutritizi. La quantità di sangue trasportata dai vasi epatici è molto
minore rispetto a quella del circolo portale, che non partecipa alla vascolarizzazione del fegato.
L’unità costituente più piccola presente nel fegato è il lobulo epatico, in cui si svolgono tute le
funzioni del fegato. Ha le dimensioni di 1 mm, quindi risulta visibile ad occhio nudo. Ha una forma
prismatica al cui centro si può vedere un piccolo spazio; al centro troviamo un canalino, detto vena
centro-lobulare, attorno alla quale si dispongono a raggiera le cellule (epatociti) che vanno a
formare il lobulo. Essi si dispongono in file uno sopra l’altro, formando un muro: tale disposizione
è detta muralium. Hanno una struttura esagonale e sono uniti tra loro per mezzo di giunzioni molto
strette.
Alla superficie del lobulo si formano due piccoli spazi, posti in corrispondenza degli angoli, detti
spazi portali, dove arrivano le diramazioni della vena porta, dell’arteria epatica e dei dotti biliari.
Il sangue, entrato dalla vena porta e dall’arteria epatica, si porta verso gli spazi portali tra i vari
muralium, dove troviamo capillari sinusoidi (con ampie aperture) in modo che il sangue entri in
contatto con gli epatociti per poi spostarsi all’interno della vena centro globulare.
Le varie vene centro globulari poi si uniscono per dare origine alla vena epatica, che poi si
immetterà nella vane cava inferiore.
A livello delle membrane degli epatociti si formano piccole conche, che unite creano canalini
utilizzati per il trasporto della bile. La bile viene prodotta dagli epatociti, viene liberata nei suddetti
canalini e, uscendo dal muralium, si riverserà nello spazio portale più vicino, dal quale si incanalerà
nel dotto biliare ed uscirà dal fegato. Essa è formata da sali biliari, da pigmenti biliari, da
colesterolo e da fosfolipidi. Ha il compito di emulsionare i grassi, cioè di ridurli di dimensioni,
prima che essi vengano assorbiti dal vaso chilifero.
Nel muralium ci sono poi delle cellule dette di Cupper che hanno un’azione fagocitaria e sono
ricche di enzimi litici: sono queste che inglobano i globuli rossi invecchiati e i piccoli detriti che si
trovano nel circolo del sangue.
Se le giunzioni cellulari tra i lobuli epatici si allentano, la bile può entrare nel circolo sanguifero
attraverso le vene centro-lobulari: quando la bile entra in circolo si ha la patologia dell’ittero, e si
assume un colorito giallognolo.
Le pareti degli epatociti presentano sul lato dove sono esposte al capillare sinusoide delle espansioni
microvillose, per aumentare la superficie assorbente: in tal modo l’epatocita recupera elementi
nutritizi dal torrente sanguifero e funge da magazzino (il glucosio si accumula sotto forma di
glicogeno). Questo spazio, nel quale avviene l’assorbimento, viene chiamato spazio del Biose.
La bile, raccolta da tutti i condotti biliari entra in un unico grande vaso, detto condotto coledoco che
sfocia nel duodeno a livello della papilla. Lungo il suo percorso incontra la cistifellea, un
sacchettino a forma prima stretta, poi allargata, poi nuovamente stretta, che funge da raccoglitore e
da concentratore di bile (assorbendo un po’ di liquido). La struttura della cistifellea presenta
internamente dei rilievi e difetta della tonaca sottomucosa. In certi casi la cistifellea può essere
asportata, quindi la concentrazione della bile avverrà a livello dei condotti.

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Il pancreas
Lo troviamo nella regione epigastrica, in una piccola porzione posteriore, raccolto nella C
duodenale; ha una forma stretta e allungata, è lungo 25-30 cm ed è diviso in quattro parti.
La testa, il collo, il corpo e la coda, che termina nella regione ipocondriaca sinistra, dove si
appoggia alla milza.
Il pancreas è un organo retroperitoneale; la superficie esterna non è liscia, ma ha una struttura
lobulare.
Questa ghiandola viene considerata sia esocrina che endocrina, quindi produce un secreto che viene
liberato all’interno di dotti e un altro che viene liberato direttamente nel torrente sanguifero.
Dal punto di vista esocrino (99%) si tratta di una ghiandola tubolo-acinosa composta, dove
all’interno di ogni singolo lobulo ci sono parti più chiare (che rappresentano la sua componente
endocrina – 1%). Queste piccole parti sono dette isole di Langherans, che prendono la forma di
piccoli nidi.
La parte esocrina produce un succo (il succo pancreatico), formato da un insieme da enzimi
necessari alla digestione, che viene immesso per mezzo del dotto pancreatico nel duodeno (i lipidi
sono attaccati dalle lipasi, gli zuccheri dalle amilasi e le proteine dalle proteasi). Il succo
pancreatico viene richiamato quando il chimo entra nel duodeno mediante una secrezione ormonale
a carico degli enterocromaffini.
La parte endocrina presenta tre diversi tipi di cellula (che formano tutte insieme le isole di
Langherans): cellula α, cellula β e cellula δ, che producono tre diversi ormoni (insulina, glucagone
e somatostatina). Il primo ha azione iperglicinizzante, permette cioè di smaltire zuccheri alzando la
glicemia (prodotto dalle cellule α); il secondo ha azione ipoglicinizzante, quindi svolge la funzione
opposta al primo (prodotto dalle cellule β); il terzo inibisce le cellule α e le cellule β (prodotto dalle
cellule δ).

L’APPARATO URINARIO
Le cellule dell’organismo producono prodotti di scarto che a lungo andare diventano tossici per
l’organismo stesso: l’apparato urinario provvede a purificare il sangue da questi prodotti e ad
eliminarli. I reni sono gli organi principe di questo apparato, che conta poi anche gli ureteri, la
vescica e l’uretra.

I reni
Si trovano nella cavità addominale, posti posteriormente a livello della doccia poro-vertebrale, cioè
una nicchia ai lati della colonna vertebrale tra la dodicesima vertebra toracica e la terza lombare.
I reni sono lunghi circa 10-12 cm, hanno larghezza di 5 cm e profondità di 3-3,5 cm; non sono
perfettamente allineati (il destro è più basso del sinistro, poiché sopra di esso c’è il fegato); hanno
forma a figliolo con un polo superiore ed uno inferiore, una faccia anteriore ed una posteriore, una
parete concava mediale ed una convessa laterale.
Sulla parete mediale si possono vedere un’arteria (arteria renale), che entra direttamente dall’aorta
addominale, ed una vena (vena renale) che esce e porta fuori dal rene il sangue filtrato fino alla
vena cava inferiore, oltre ad un condotto che trasporta l’urina fuori dal rene, l’uretere.
Esternamente li vediamo lisci in superficie, di un colorito rosso-bruno molto intenso (a causa
dell’intensa vascolarizzazione); possiamo inoltre notare, sopra i reni, due ghiandole (una per ogni
rene) di forma oculare, le ghiandole surrenali.
Il rene destro anteriormente prende rapporto con la ghiandola surrenale, il fegato ed il duodeno;
lateralmente con il colon; inferiormente con le anse del digiuno. Tra rene e fegato e tra rene e
digiuno si interpone il peritoneo, rendendolo un organo retroperitoneale.
Il rene sinistro anteriormente prende rapporto con la sua ghiandola surrenale e lo stomaco,
lateralmente con la milza; in prossimità dell’ilo con il pancreas, il colon e le anse del digiuno. Vale

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anche qui il discorso fatto a proposito del peritoneo, che separa il rene sinistro dal digiuno e dallo
stomaco.
Posteriormente entrambi i reni poggiano direttamente sul piano muscolare, identico a destra e a
sinistra: la parete apicale appoggia sul diaframma, la porzione inferiore sul trasverso dell’addome e
la parte mediale sul quadrato dei lombi e sul grande psoas.
Il rene in tal modo non ha grandi protezioni; essendo poi organi retroperitoneali possiedono una
membrana di natura fibrosa che li avvolge e li protegge, la cosiddetta capsula renale. Al suo esterno
è visibile un cuscinetto adiposo, che li isola dall’esterno. C’è poi una terza membrana, la fascia
renale, che passa attorno al rene avvolgendo anche la ghiandola surrenale e, inferiormente, i due
foglietti di cui è formata la fascia non si fondono mai: per questo comportamento, in seguito alla
riduzione di tessuto adiposo, il rene tenderà ad abbassarsi (tosi renale).
In sezione trasversale vediamo come il foglietto anteriore della fascia renale sia un “pezzo unico”,
in continuità, tra i due reni, mentre posteriormente questo non accade: la fascia si interrompe a
livello del corpo vertebrale. Nel caso di infezioni alla parte anteriore i reni verranno entrambi
intaccati, mentre posteriormente no.
La superficie esterna del rene presenta poi dei solchi, per mezzo dei quali possiamo dividere il rene
stesso in vari lobi. Nel bambino i lobi sono molti, mentre nell’adulto variano dagli 8 ai 12.
In sezione, in corrispondenza dell’ilo renale, troviamo uno spazio, detto seno renale, dove si
trovano dei tubicini (i calici renali): per ogni rene ci sono 12 calici minori che convergono in 3
diversi calici maggiori. I 3 calici maggiori si uniscono poi nell’uretere, dove viene convogliata
l’urina raccolta dai calici.
All’interno, attorno al seno renale, vediamo il parenchima renale, dove avvengono tutte le
operazioni di purificazione del sangue; viene diviso in due parti: quella esterna detta corticale e
quella interna, detta midollare.
L’area midollare presenta delle zone a struttura piramidale, dette piramidi di Malpighi, intervallate
da zone dette colonne del Bertin, con la base maggiore rivolta verso la parte corticale del rene e la
punta verso l’interno in continuazione con i calici minori.
Microscopicamente l’area midollare è caratterizzata da varie striature; microscopicamente invece ne
parenchima si possono osservare numerose formazioni che rappresentano le unità morfofunzionali
del rene, dette nefroni, che svolgono la funzione filtrante. Ogni neurone è formato da due parti: il
corpuscolo renale e il tratto tubulare renale. Il corpuscolo è la parte arrotondata (ce ne sono due),
mentre la parte tubulare va a formare un percorso che parte dalla porzione tubulare composta
prossimale, per poi salire e scendere linearmente formando l’ansa di Henle, terminando infine nella
porzione tubulare composta distale. Nel neurone avvengono i processi di filtrazione del sangue e la
produzione dell’urina, che viene poi condotta al canale collettore, per essere poi espulsa dalla
struttura a piramide nel calice minore corrispondente.
La porzione corticale ospita la parte del corpuscolo renale, mentre la porzione midollare presenta
tutti i dotti della parte tubulare.
La filtrazione del sangue avviene a livello del corpuscolo, che crea l’ultrafiltrato, che non è urina
definitiva, ma deve essere concentrato in modo da recuperare i liquidi ancora utili e le sostanze che
non devono andare perse: questo secondo processo, di riassorbimento, avviene a livello dell’ansa di
Henle.
Il rene è un organo molto vascolarizzato: il sangue proviene dall’arteria renale che a livello dell’ilo
si divide in varie arterie segmentate, che al loro volt si dividono in arterie interlobuli, disposte tra
un lobo e l’altro. I vari vasi interlobuli danno poi origine alle arterie arciformi, che si dispongono
tra la zona corticale e quella midollare. A questo punto da queste ultime prendono origine altre
arterie, dette interlobulari, che si dividono poi nelle arterie afferenti, che entrano nel corpuscolo
renale; una volta avvenuta la filtrazione il sangue uscirà dalle vene efferenti che lo ricondurrà alla
vena cava inferiore. Nella porzione midollare originano anche delle arterie, dette arterie rette, che
seguono l’andamento dell’ansa di Henle.

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Il polo del corpuscolo dove si forma la preurina viene detto polo urinifero, opposto al polo
capillifero, dal quale si origina il tratto tubulare.
Il sangue proviene dall’arteriola afferente e viene filtrato all’interno del corpuscolo ed esce tramite
la vena efferente. Il glomerulo muscolare è contenuto nella capsula di Boumann, che consiste in un
foglietto che aderisce al glomerulo in un doppio rivestimento (doppio perché il sangue contenuto
nel glomerulo non deve fuoriuscire. Il foglietto viscerale del corpuscolo è formato dai podociti, di
forma stellata, che presentano prolungamenti detti pedicelli. Il capillare del glomerulo è di tipo
fenestrato, in modo che le sostanze più piccole vengano espulse dall’endotelio (da cui passano più
sostanze), dalla membrana basale (in cui passano meno sostanze) e dai podociti (da qui passa il
minor numero di sostanze): questi tre elementi formano la barriera emato-urinaria.
Il filtrato prodotto qui viene detto preurina ed è molto simile al plasma sanguigno (in un giorno i
reni producono 180 l di ultrafiltrato da 1500 l di sangue ripulito). La preurina viene raccolta tra le
due membrane che formano la capsula di Boumann (nel polo urinifero)e viene condotta fino al
tubulo contorto prossimale. I capillari mantengono la loro forma e vengono ripuliti grazie alle
cellule del mesangio (che svolgono appunto il compito di mantenere la forma del glomerulo anche
nelle anse, oltre alla fagocitazione). Il tubulo è circondato da cellule cilindriche con microvilli che
permettono il 75% del riassorbimento (il restante 25% si divide tra anse di Henle, 5%, e tratto
distale del tubulo, 20%) di H2O, proteine e sali, mentre a carico delle anse (dove le cellule non sono
più così cilindriche e i microvilli sono minori in numero e dimensioni) c’è il riassorbimento di ioni
Na/K e nella porzione distale (dove i microvilli sono scarsi e corti) si recuperano ancora H 2O, ioni e
alcune proteine; in questo modo l’urina è quasi definitiva.
Il tubulo contorto distale riappoggia al corpuscolo renale in corrispondenza del polo vascolare, nel
punto in cui ci sono i vasi afferenti ed efferenti, formando l’apparato iuxta-glomerulare, costituito
di cellule iuxta-glomerulari che si dispongono attorno ai vasi sanguiferi, vicine alle cellule che
formano la macula densa e alle cellule ilari (nella zona tra corpuscolo e tubulo). Queste cellule
svolgono la funzione recettiva della pressione sanguigna e della composizione dell’urina: nel caso
in cui si abbia riduzione di pressione le cellule agiranno inibendo l’effetto assorbente dei tubuli: le
cellule della macula densa informano le cellule ilari, che mandano uno stimolo alle cellule iuxta-
glomerulari, le quali producono l’ormone renina, che determina vaso costrizione.
L’urina è formata da H2O, urea e acido urico, con una concentrazione del 2% di sali (solfiti, fosfati,
ecc, che, se iperprodotti, danno i calcoli renali) e pigmenti biliari (la cui concentrazione determina
la colorazione più o meno gialla dell’urina).
L’urina a questo punto passa dai dotti collettori e viene raccolta nel tubulo collettore principale, che
termina a livello dell’apice della piramide e sbocca in diversi tubuli collettori; la porzione terminale
della piramide, detta papilla renale, convoglia l’urina entro piccoli imbuti (i calici minori) che
sfociano poi nel calice maggiore. 3-4 calici maggiori si uniscono nell’uretere che fuoriesce dall’ilo
renale ed entra nella cavità pelvica.

L’uretere
Formato da tre tonache: tonaca mucosa, costituita da epitelio di transizione con diversi strati di
cellule (che si distendono per poi tornare alla posizione di partenza) dotate di impermeabilità a
causa delle sostanze tossiche che non devono fuoriuscire; tonaca muscolare, organizzata nelle due
strutture circolare e longitudinale, in alcuni tratti presenta una struttura irregolare (zone queste in
cui viene chiamato uretere plessiforme); tonaca avventizia, non formata da peritoneo (l’uretere è un
organo retroperitoneale).
Ha una lunghezza di circa 30 cm, non ha sezione costante: presenta tre punti di costrizione,
localizzati rispettivamente dopo l’emergenza dell’ilo renale, dove l’uretere sovrasta i vasi iliaci e
nel tratto di ingresso della vescica.
La presenza di calcoli nell’urina può ostruire o lesionare le pareti dell’uretere, provocando dolore e
la perdita di sangue nelle urine.
I due ureteri sboccano poi nella vescica, un sacchettino fibroso-muscolare.

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La vescica
Si tratta di un sacchettino che quando è ripieno è di forma rotonda, costituita da una parete formata
da tonache: mucosa interna (epitelio di transizione), tonaca muscolare (permette lo svuotamento
della vescica, organizzata in struttura circolare, longitudinale e plessiforme) e tonaca avventizia
(tessuto connettivo, visto che è un organo sottoperitoneale).
Nella cavità pelvica il peritoneo non avvolge gli organi ma si adagia soltanto su di essi.
La vescica prende rapporto posteriormente con il retto e anteriormente con la sinfisi pubica. Nella
donna tra vescica e retto c’è l’utero.
L’urina accumulata viene eliminata attraverso l’uretra (150-300 cm3).

L’APPARATO RIPRODUTTORE FEMMINILE


L’apparato riproduttore produce le cellule germinali, nella donna l’ovulo e nell’uomo lo
spermatozoo, prodotti rispettivamente dalle ovaie e dai testicoli.
Le cellule somatiche possiedono un corredo cromosomico diploide, mentre quelle germinali ne
possiedono uno apolide, prodotto tramite la meiosi.

L’utero
Si tratta di un organo prevalentemente muscolare, lungo circa 7-8 cm, che può però ingrandirsi di
circa 30 volte durante la gravidanza e si trova sulla piccola pelvi.
Ha una forma di pera capovolta ed è formato da tre parti: il fondo (la parte superiore), il corpo
(parte più voluminosa) e il collo (la parte inferiore).
L’utero è un organo cavo che presenta due aperture superiori, le tube uterine, alle cui estremità si
trovano le ovaie, ed una inferiore a livello del collo uterino che si continua con il canale vaginale.
L’utero prende rapporto, anteriormente, con la vescica urinaria e, posteriormente, con il retto.
Assume una posizione angolare nelle pelvi: un angolo si stabilisce tra pelvi e collo ed un altro tra
collo e canale vaginale, rispettivamente detti angoli di antiversione e di antiflessione. La posizione
non è però sempre uguale: l’utero può essere retroverso, cioè spostato più indietro, o laterale, senza
che ciò comporti problemi. Gli elementi di fissità attraverso i quali mantiene la sua posizione sono
gli organi con i quali prende rapporto.
Si tratta di un organo sottoperitoneale, tranne nella zona delle tube, che sono completamente
avvolte. Il peritoneo si appoggia sull’utero come fosse un lenzuolo, lo riveste nella zona superiore e,
sia anteriormente che posteriormente, si flette e torna verso l’alto: questo comportamento determina
il crearsi di due cavità, il cavo retto-uterino, posteriore, e il cavo vescica-uterino, in posizione
anteriore. Lateralmente il peritoneo si chiude formando il legamento largo, che si fissa sulle pareti
laterali della cavità pelvica, impedendo la rotazione dell’utero, che può invece alzarsi ed abbassarsi.
Sono poi presenti altri legamenti, che vanno dall’utero al sacro (legamenti utero-sacrali), che
impediscono che cada verso il basso (prolasso uterino); un altro legamento va dalle tube al canale
urinario, il legamento rotondo, che impedisce la risalita dell’organo; il legamento sospensore
dell’ovaia mantiene l’ovaia verso l’alto; il legamento utero-ovarico, che va dall’utero all’ovaia è
anche detto legamento proprio dell’ovaia.
Lungo la piega del legamento largo scorrono i vasi sanguiferi; inoltre questo legamento presenta
una depressione, detta fossa ovarica o borsa ovarica, entro la quale si appoggia l’ovaia.
Al di sotto della tuba uterina i due foglietti del peritoneo si uniscono, dando origine al meso
saltiange, che comprende il meso ovario, un foglietto che ricopre le ovaie partendo dal meso
saltiange.
L’utero è formato da tre tonache: mucosa molto sviluppata, muscolare e sierosa.
La tonaca mucosa va incontro a modificazioni cicliche, dette ciclo uterino o ciclo mestruale, in cui
la mucosa si rinnova continuamente. Quest’ultima è formata da epitelio cilindrico monostratificato,
di cui alcune cellule hanno funzione secernente e altre sono dotate di ciglia; questa doppia

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popolazione ha la funzione di accogliere lo zigote, mentre il muco favorisce le cellula uovo nel
trovare il sito di inserzione e gli fornisce elementi nutritizi nei primi momenti; le cellule cigliate
determinano il movimento della cellula uovo dalle tube all’utero.
Sotto questo epitelio c’è un ricco strato di connettivo con molte ghiandole, che, a seconda del
periodo, si modificano, facendosi più voluminose e contorte. Si può dividere questo periodo in due
fasi: fase proliferativi (1-4 giorni) e fase secretoria. La porzione più profonda è detta strato basale,
risalendo verso l’alto incontriamo lo strato spongioso e in superficie c’è lo strato composito. Nel
ciclo uterino si rinnovano completamente gli strati composito e spongioso, che vengono eliminati.
Le ghiandole sono di tipo tubolare semplice nella fase proliferativa precoce (la mucosa ne è molto
ricca); dopo 7-8 giorni gli ultimi due strati possono essere accomunati nello strato funzionale, dato
che subiscono le modificazioni; dopo 10-12 giorni le ghiandole si fanno più voluminose ed
aumentano di numero. Questi processi avvengono sotto il controllo di particolari ormoni prodotti
dalle ovaie e controllati a loro volta dall’ipofisi.
Nella seconda fase, dal 14° giorno in poi, la mucosa si presenta con ghiandole ancora più
voluminose, del tipo composto. Il loro citoplasma si arricchisce di vacuoli che immagazzinano
sostanze nutritizie (14°-22° giorno). Nella fase secretoria tardiva (fino al 28° giorno) le ghiandole
sono molto grosse e fortemente vascolarizzate e la mucosa è pronta ad accogliere la cellula uovo
fecondata. Se ciò non avviene si ha vasocostrizione che impedisce che gli elementi nutritizi arrivino
allo strato funzionale, che si disgrega e si distacca, mediante la mestruazione, un processo
emorragico. Lo strato funzionale è anche detto endometrio.
Al di sotto della mucosa troviamo la tonaca muscolare, detta miometrio, molto spessa e sviluppata
che serve al momento della nascita: le contrazioni che permettono l’espulsione del feto avvengono a
carico del miometrio e sono di tipo involontario (possono essere aumentate soltanto da un ormone
ipofisario). La struttura è organizzata in modo circolare, longitudinale ed obliquo, con le fibre
disposte in maniera un po’ irregolare. All’esterno della tonaca le fibre possono allungarsi e dividersi
durante la gravidanza, in modo da permettere l’espansione dell’utero.
La tonaca avventizia è formata dal doppio foglietto del peritoneo.
In corrispondenza del fondo l’utero si continua con due canali, detti tube uterine o tube di Fallopio.

Le tube uterine
Sono canali interperitoneali che si possono dividere in tre parti: istmo, in corrispondenza dell’utero,
ampolla, nel centro, infundibulo, la zona più ampia. L’infundibulo termina in un margine allungato,
le fimbrie. Nel tratto centrale dell’ampolla avviene la fecondazione dell’ovulo.
La tuba è un canale la cui tonaca mucosa è formata da epitelio semplice con cellule cigliate e
secernenti, che si dispone a rilievi in modo da accogliere la cellula uovo. Le cellule secernenti
producono una sostanza ricca di elementi nutritizi per la cellula uovo perché il movimento
attraverso le tube può durare dei giorni.
Fuori dalla mucosa c’è un rivestimento muscolare, che contraendosi facilita i movimenti della
cellula uovo.
La tonaca avventizia è formata dal peritoneo.
Il mancato movimento delle cellule uovo nelle tube determina sterilità. Gli spermatozoi all’interno
delle tube si muovono controcorrente e, sempre all’interno della tuba, avvengono le prime divisioni
cellulari dell’ovulo fecondato.

L’ovaia
Ha forma ovale, misura 4-5 cm in lunghezza, appare di un colorito bianco-giallino a causa della
tonaca avventizia chiara; si trova nella piccola pelvi, posta nella fossa ovarica, ma nella donna
primipara si pone con un asse spostato e più rialzato. L’ovaia è mantenuta in posizione dal
legamento proprio dell’ovaia, dal legamento sospesnsore dell’ovaia e dal legamento mesovario,
nella piega del legamento largo.

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Sopra l’ovaia troviamo le fimbrie della tuba, che risucchiano la cellula uovo che scoppia dal
follicolo liberandolo. La superficie esterna non è completamente liscia ma permangono le cicatrici
dovute allo scoppio del follicolo.
Nelle ovaie si possono distinguere due zone: la corticale esterna e la midollare interna. Nella
corticale incontriamo i gameti femminili nei vari stadi, mentre nella midollare vediamo connettivo e
vasi sanguiferi. Le cellule germinali si formano già nell’embrione al settimo mese di vita
endouterina, attraverso divisioni mitotiche, e vengono subito circondate da cellule follicolari,
creando un sistema follicolare (il follicolo primordiale).
Il primo stadio del suo sviluppo viene detto oogone, dopo il quale inizia il processo di meiosi che
origina il follicolo primario (oogone con uno strato glicoproteico, la zona pellucida, attorno ai quali
si costruisce uno strato di cellule follicolari, la zona granulosa). A rivestire tutta questa struttura c’è
la teca follicolare, uno strato di tessuto connettivo.
A questo punto fino ad uno stimolo ormonale che interviene nella pubertà, tutto resta fermo com’è,
interrompendo la maturazione del follicolo. Dopo lo stimolo la struttura resta simile, con l’aggiunta
del liquido follicolare all’interno di un antro contenuto nelle cellule follicolari. Esternamente la teca
si differenzia in due strati, sviluppandosi: teca interna, a contatto con lo strato granuloso, e teca
esterna, che contiene il follicolo. La teca interna si differenzia in cellule che producono ormoni
estrogeni. In questo stadio il follicolo viene chiamato secondario.
Tuttavia tende ad ingrandirsi, divenendo follicolo di Graaf. L’oocita ormai maturo viene allora
circondato dalle cellule follicolari che gli si dispongono attorno a mo’ di raggiera, formando la
corona radiata. All’esterno la teca divisa in due zone continua le sue funzioni. In questo stadio il
follicolo si trova nella zona corticale dell’ovaia, quindi può avvenire lo scoppio del follicolo che
libera l’oocita con lo strato glicoproteico e la corona radiata, determinando una struttura aperta con
attaccata la teca ed una parte di zona granulosa.
Sull’ovaia rimarranno la restante parte della struttura granulosa e una parte di teca, che verranno
riempite con un coagulo.
Se l’oocita viene fecondato le cellule della teca interna si ingrandiscono e producono progesterone,
creando il corpo luteo gravidico. Questo va incontro a modificazione e produrrà l’ormone HCG
(gonadotropina corionica). Nel primo trimestre di gravidanza la placenta sostituisce il corpo luteo
nella produzione di HCG.
In caso di mancata fecondazione le cellule dell’ovaia che si cicatrizzano dopo lo scoppio del
follicolo si atrofizzano e diventano il corpus albicans.
Il periodo dello scoppio del follicolo viene chiamato ovulazione ed è regolato da ormoni: nella
prima parte del periodo viene prodotto l’ormone follicolo-stimolante (FSH), mentre nella seconda
parte l’ormone luteinizzante (LH). Entrambi sono prodotti dall’ipofisi.
L’endometrio va incontro a due fasi di modificazione durante il ciclo uterino (parallelo a quello
dell’ovulazione). L’inizio del ciclo uterino si ha con il risveglio del follicolo, fino all’ovulazione,
che corrisponde alla metà tra fase proliferativa e fase secretoria per l’endometrio. Quando la cellula
uovo entra nelle tube inizia la fase secretoria, poi le strade si differenziano come già visto, in caso di
gravidanza o meno.
Questa fase ciclica ha inizio con la pubertà e termina con la menopausa, ma durante la gravidanza si
interrompe. La prima parte è controllata dall’ormone FSH e durante questa fase si produce più
estrogeno; la seconda è controllata dall’ormone LH, e vede aumentare la produzione di
progesterone. L’ovulo può essere fecondato dal 14° giorno per 2-3 giorni.

L’APPARATO RIPRODUTTORE MASCHILE


L’organo principe di questo apparato è il testicolo, che produce le cellule germinali maschili: gli
spermatozoi.

Il testicolo
Le vie spermatiche sono: epididimo, condotto deferente, condotto eiaculatore ed uretra.
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L’uretra rappresenta l’organo in comune con l’apparato urinario.
Annesse a questo organo ci sono delle ghiandole accessorie: vescichette seminali, prostata e
ghiandole bulbo-uretrali.
Il testicolo è contenuto in un sacco cutaneo posto sotto il perineo, detto scroto, che forma due
tasche interne, ciascuna delle quali contiene un testicolo. La struttura è lievemente staccata dal resto
del corpo perché gli spermatozoi necessitano di basse temperature per svilupparsi e conservarsi.
Nella vita embrionale i testicoli si formano vicino ai reni, per scendere poi nel sacco scrotale,
trascinando con sé un cordoncino detto funicolo spermatico, nel quale si trovano elementi vascolari,
le vie spermatiche e i nervi. Il funicolo è rivestito da un muscolo che con la sua contrazione sposta
verso l’alto il testicolo quando viene a contatto con qualcosa di troppo freddo all’esterno.
Nello scroto posiamo notare la presenza di due rivestimenti: il primo un sistema di doppie
membrane, detto tonaca vaginale (che ha la stessa funzione della pleura nel cuore), costituita di una
membrana unica ripiegata su sé stessa; il secondo è più interno, è un’altra tonaca, detta albuginea,
che aderisce al testicolo, di natura connettivale, la quale invia dei setti all’interno del testicolo
stesso.
Nel testicolo si vengono a creare delle aree diverse, divise dai setti, dette lobuli, che a loro volta
contengono circa 800 tubuli, detti tubuli seminiferi, lunghi diverse decine di metri e raggomitolati,
al cui interno avviene la produzione di spermatozoi. Al vertice di ciascun tubulo si trova un tubicino
che, unito agli altri, va a formare una rete, la rete testis. Dalla rete testis emergono altri tubuli più
piccoli, i retti efferenti, da cui si originano le vie spermatiche.
Il primo tratto delle vie spermatiche è l’epididimo, un tubulo organizzato in anse che si dispone a
partire dal polo apicale del testicolo, appoggiandosi sulla parete posteriore e risale quindi nel
condotto deferente.
Le vie spermatiche sono importanti perché, oltre a condurre gli spermatozoi, gli forniscono la
mobilità (perché a questo livello non sono ancora completamente maturi e non possono muoversi).
Esse sono formate da epitelio cilindrico cigliato coadiuvato da un epitelio muscolare con fibre
muscolari lisce.
Gli spermatozoi sono prodotti dai tubuli seminiferi, formati da tante cellule derivanti da un’uguale
cellula progenitrice, che funge anche da origine per gli spermatozoi.
Appoggiati allo strato connettivale esterno dei tubuli troviamo gli spermatogoni, prodotti
dall’embrione, che alla nascita interrompono la maturazione, per riprenderla soltanto nella pubertà,
sotto effetto e controllo di ormoni. Una parte degli spermatogoni dà inizio alla meiosi, dando
origine agli spermatociti, distinti in spermatociti di primo e di secondo ordine. La fase successiva
permette lo sviluppo degli spermatidi, che diverranno poi spermatozoi. Nel tubulo seminifero gli
spermatogoni continuano il loro processo meiotico in modo da non esaurirsi mai: questa fase non è
ciclica, ma continua. Tutti questi processi impiegano due mesi per compiersi in tutte le varie fasi.
Il tubulo seminifero inoltre possiede altre cellule, dette cellule del Sertoli, molto voluminose, che si
estendono dalla base alla porzione centrale dove si trovano gli spermatozoi. Queste cellule danno un
supporto strutturale al lobulo e aiutano gli spermatozoi nei processi meiotici.
Tra un lobulo e l’altro c’è tessuto connettivo costellato di altre cellule: le cellule di Leydig, deputate
alla produzione del testosterone, l’ormone maschile che controlla lo sviluppo di queste stesse
cellule e dei caratteri secondari maschili.
La cellula germinale maschile si presenta divisa in tre parti: testa, collo e coda. Nella testa troviamo
il nucleo con un po’ di citoplasma ed un elevato numero di mitocondri; la coda è formata da un
flagello, che dona mobilità allo spermatozoo. La motilità viene acquisita nelle vie spermatiche,
quindi la struttura dei condotti deve aiutare lo spermatozoo ad uscire dal testicolo, almeno per i
primi momenti. La loro completa maturazione si ha quando essi escono dall’apparato genitale.

L’epididimo
Si trova in corrispondenza del testicolo, che segue durante lo sviluppo dalla vita embrionale in poi;
è un tubulo lungo vari metri formato da: testa, corpo e coda.

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Presenta un epitelio interno cilindrico pseudostratificato dotato di stereociglia, che aiutano gli
spermatozoi nel movimento. Quando c’è produzione di spermatozoi la pressione interna aumenta ed
è essa stessa che li spinge fuori dal testicolo, grazie anche alla natura anelastica della tonaca
albuginea.
Gli spermatozoi acquistano mobilità quando incontrano sul loro cammino le vescichette seminali.
Queste ghiandole di tipo tubulare producono una sostanza che costituisce il 50-55% del secreto
seminale, costituita da proteine e fruttosio. Tale sostanza serve per fornire il nutrimento agli
spermatozoi.
Il prossimo passo è la formazione del liquido seminale definitivo.

Il condotto eiaculatore
Questo condotto va ad attraversare la prostata, un’altra ghiandola che secerne un liquido ricco di
zuccheri utili perché gli spermatozoi sopravvivano e mantengano la mobilità. La prostata si trova
inferiormente alla vescica.

L’uretra
L’uretra è l’ultimo tratto, in comune con l’apparato urinario. La ghiandola prostatica è in grado di
produrre una certa penicillina che protegge il liquido seminale disinfettando il condotto uretrale.

IL SISTEMA ENDOCRINO
Lo compongono le ghiandole endocrine, una serie di ghiandole che producono secreti destinati ad
essere riversati nel torrente sanguifero, denominati ormoni, di natura proteica, glicoproteica e
steroidea, capaci di fornire stimoli, a cui l’organismo non risponde in maniera immediata.
Queste ghiandole si formano per invaginazione del tessuto epiteliale nel tessuto connettivo
sottostante, che non mantiene alcuna via di comunicazione con l’esterno. Se è presente una via di
comunicazione attraverso la quale le ghiandole inviano il secreto, diventano esocrine.

Le ghiandole endocrine
Le possiamo ritrovare: nella cavità cranica (epifisi ed ipofisi), nella parte anteriore del collo (tiroide
e paratiroidi), nella cavità toracica (timo, anteriormente alla trachea, sviluppato nel bambino, che
poi va involgendosi in un ammasso di tessuto adiposo), nella cavità addominale (ghiandole
esocrine dell’epitelio esterno dello stomaco, le ghiandole enterocromaffini; ghiandole surrenali,
sopra il rene, di natura nervosa, che producono adrenalina e noradrenalina; pancreas, 99%
esocrino, 1% endocrino presso le isole di Langherans, che produce insulina, glucagone e
somatostatina; gonadi, che producono testosterone oppure estrogeno e progesterone).
Tutti questi prodotti vengono condotti direttamente al circolo sanguifero.

L’ipofisi
Si trova in una nicchia dell’osso sfenoide detta sella turcica. Ha le dimensioni di un acino d’uva,
cioè 1-1,5 cm. Presenta un peduncolo che la collega all’ipotalamo, una porzione del cervello.
Produce una serie di ormoni che agiscono in modo da controllare le attività di tutte le altre
ghiandole endocrine dell’organismo.
La si può dividere in due parti, data la loro diversa origine embriologica: la zona ad origine nervosa
è quella che la connette al cervello, mentre l’altra ha origine epiteliale, per invaginazione.
La parte nervosa (neuroipofisi) è in grado di produrre due ormoni: la vasopressina (ADH – ormone
antidiuretico) che agisce sul rene e l’ossitocina, che agisce sulla muscolatura liscia dei visceri. La
vasopressina favorisce il riassorbimento a livello tubulare distale nel nefrone: viene rilasciata
quando c’è variazione di pressione nel corpuscolo renale. L’ossitocina agisce sulla muscolatura
liscia, prevalentemente sulla parete muscolare dell’utero (nella donna) al momento delle contrazioni
del parto, mentre nell’uomo agisce contraendo i primi tratti delle vie spermatiche.
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La parte epiteliale (adenoipofisi), invece, produce molti più ormoni: ACTH, che risveglia le
ghiandole surrenali; TSH, che agisce sulla tiroide; GH o ormone della crescita, che agisce sulle ossa
e sui muscoli, favorendo il metabolismo cellulare; PRL o prolattina, che stimola la produzione di
latte da parte delle ghiandole mammarie (dopo il parto); FSH o LH, due ormoni che regolano la
produzione ormonale delle gonadi (follicolostimolante e luteinizzante); LSH, agisce sui melanociti,
le cellule pigmentate della pelle.
Tutti questi ormoni rappresentano un legame chimico con le cellule recettrici presenti nel flusso
sanguigno, che andranno poi a colpire le cellule bersaglio, sugli organi. Ad esempio se vi è carenza
nella produzione di GH può subentrare il nanismo ipofisario.
I due ormoni rilasciati dalla neuroipofisi vengono prodotti a livello ipotalamico e da lì passano nel
peduncolo fino alla neuroipofisi. La neuroipofisi è dunque formata da neuroni, modificati allo scopo
di produrre ormoni; questi neuroni si radunano in agglomerati, detti nucleo sopraottico e nucleo
paraventricolare, circondati (nei bottoni sinaptici) da capillari sanguiferi fenestrati perché possano
passarci gli ormoni.
L’adenoipofisi viene poi divisa a sua volta in tre parti: pars distalis, la più estesa, pars intermedia,
separa l’adenoipofisi dalla neuroipofisi, ed infine pars tuberalis, attorno al peduncolo. Ha inoltre
una struttura molto diversa: ogni cellula si specializza per creare un differente ormone. In questa
porzione dell’ipofisi c’è una vasta rete capillare di tipo fenestrato, detta stavolta circolo portale o
collaterale ipofisario, che permette l’immissione in circolo degli ormoni.

La tiroide
Prende rapporto posteriormente con la cartilagine tiroidea della laringe e lateralmente con i grandi
vasi del collo, essendo anche fortemente vascolarizzata.
La si può dividere in due lobi laterali e nell’istmo, la porzione centrale. In certi soggetti c’è anche
un piccolo prolungamento, detto lobo piramidale. Ha un aspetto lobulare, conferitole dalla presenza
dei numerosi vasi sanguiferi. Le dimensioni possono variare in seguito a particolari condizioni,
come ad esempio durante il ciclo ovarico o quello uterino nella donna ed è diversa nel bambino
rispetto all’adulto.
Presenta un rivestimento esterno, detto capsula, che aderisce al parenchima tiroideo e all’esterno si
trova la guaina. Sono entrambi tessuti di natura connettivale, all’interno dei quali scorrono i vasi
sanguiferi che si ramificano per entrare nel parenchima.
Il parenchima tiroideo è di tipo follicolare: i follicoli sono separati dalla capsula e dalla guaina per
mezzo di piccoli setti connettivali, dove si diramano i capillari che vascolarizzano i vari follicoli. Il
follicolo presenta uno spazio esterno, la cavità follicolare, circondato da cellule anch’esse di tipo
follicolare. All’interno delle cavità si trova una sostanza di natura proteica, la colloide, prodotta
dalle cellule follicolari.
La colloide è un preormone: legando i suoi amminoacidi ad atomi di I (almeno 3-4), che ricava dai
vari sali di I che assorbe dal torrente sanguifero la colloide o tireoglobulina diventa ormone T3 (3
atomi di I) o T4 (4 atomi di I) detto anche tiroina. A questo punto, dato che le cellule follicolari non
oppongono alcuna resistenza, l’ormone può passare nel torrente sanguifero.Questo è l’unico
esempio di ormone che viene prodotto in due tempi/luoghi diversi. L’ormone tiroideo va ad agire
sul metabolismo cellulare aumentando l’assorbimento di O2.
Diversi aspetti del follicolo identificano lo stato della tiroide in quel momento. Ad esempio se i
follicoli sono di piccole dimensioni, vuol dire che la ghiandola è in fase di riposo dopo aver
prodotto la colloide, mentre se sono più grossi, significa che stanno producendo proteine.
L’inizio della sintesi proteica si ha per mezzo dello stimolo che crea l’ormone TSH.
All’interno dei follicoli troviamo poi un’altra popolazione cellulare: la cellule parafollicolari, o
cellule C. Producono la calcitonina, che viene immessa direttamente nel sangue e ne regola il tasso
di Ca, riducendolo se è troppo elevato.

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Le paratiroidi
Poste vicino alla tiroide, si trovano in diverse posizioni: esterne al parenchima tiroideo ma dentro la
guaina (2 per lato, in corrispondenza dei 2 lobi tiroidei) oppure interne al parenchima. Sono
costituite dalle cellule principali e dalle cellule ossifile, ma l’ormone paratiroideo viene prodotto
dalle cellule principali. Questo ormone interviene nel metabolismo del Ca, alzandone il tasso nel
sangue, se è basso. Le cellule ossifile sono poche e pressoché sconosciute, ma si pensa che siano
uno stadio giovanile delle principali.
Anche queste ghiandole sono circondate da una trama vascolare.

Il timo
Posto nella parte superiore della cavità toracica, molto sviluppato nel bambino (si estende fino al
cuore), nell’adulto subisce una grande involuzione.
Ha un aspetto lobulare, i setti sono delimitati dalla guaina e dalla capsula che li inviano anche
all’interno del parenchima.
I lobuli presentano una parte interna più chiara, detta sostanza midollare, ed una parte esterna più
scura, chiamata sostanza corticale.
Il timo è una ghiandola endocrina particolare: è formata da cellule che appartengono alla linea
bianca del sangue, i linfociti, che riconoscono le sostanze estranee, sviluppando i linfociti T, che
agiscono da sistema immunitario. Nel bambino questa è la funzione più importante del timo, in
modo che il corpo possa poi riconoscere le sostanze estranee. Gli elementi che formano la ghiandola
sono quindi precursori dei linfociti T.
In età adulta il timo si involve in tessuto adiposo. In un esperimento (iniezione di parti funzionanti
del timo nei topolini) in alcuni di essi si è notato che vivevano più a lungo, quindi si ipotizza che
l’involuzione del timo partecipi ai processi di invecchiamento.
Gli ormoni che produce il timo sono ancora in fase di studio, però la sostanza viene in generale
chiamata timosina.

Le ghiandole surrenali
Sono due, poste sul polo apicale dei reni, una per rene, ai lati della colonna vertebrale; sono
ghiandole retroperitoneali e presentano un aspetto lievemente lobulare; quella di sinistra è più
schiacciata. Sono fortemente vascolarizzate ed hanno un colorito giallastro (dovuto ad una buona
componente lipidica presente nella loro struttura).
Producono diversi ormoni, con funzioni diverse, che nell’insieme vengono definiti corticosteroidi.
Anche in queste ghiandole individuiamo due parti: una esterna, corticale, ed una interna, midollare,
che ha origine nervose, quindi è controllata dal sistema nervoso simpatico.
Gli ormoni prodotti dalla parte corticale sono prodotti da tre zone diverse, identificabili dal loro
aspetto: la zona glomerulare, esterna, produce ormoni mineral-corticoidi, che agiscono a livello
renale favorendo l’assorbimento minerale (soprattutto di Na+); la zona fascicolata, mediana,
produce ormoni glico-corticoidi, che intervengono nel metabolismo degli zuccheri (soprattutto
nell’immagazzinamento sotto forma di glicogeno), come il cortisolo, che a livello epatico si
trasforma in cortisone; l’ultima zona, la zona reticolare, più interna, adiacente alla parte midollare,
produce due ormoni, l’adrenalina e la noradrenalina, due neurotrasmettitori che agiscono a livello
nervoso, aumentando il metabolismo (l’adrenalina rende irregolare la produzione e l’utilizzo di
ossigeno) o riducendolo (la noradrenalina lo riporta in condizioni normali).

L’epifisi
Si tratta di una ghiandola più piccola posta nel cranio, formata da cellule di natura nervosa dette
pineacociti, produce l’ormone melatonina.
Questo ormone è soggetto al circolo circodiano, cioè all’alternarsi di luce e buio durante la giornata
(di notte viene prodotta, mentre di giorno si assopisce).

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Interviene nel controllo dell’attività delle gonadi; nell’uomo è fortemente legata alle fasi di sonno e
veglia (a diversi fusi orari infatti il corpo si deve adattare).
La melatonina, essendo priva di effetti collaterali, può essere somministrata ai bambini che soffrono
d’insonnia.

La milza
Viene definito anche un organo linfoide, appartenendo al sistema linfoide dell’apparato digerente;
si trova nella regione ipocondriaca sinistra e si estende sotto la cupola diaframmatica.
Presenta un colore rosso-bruno, data la fortissima vascolarizzazione; è friabile e non è un organo
indispensabile alla vita dell’organismo.
Svolge varie funzioni, come la distruzione dei globuli rossi invecchiati, il recupero delle sostanze
ancora utili (dopo la distruzione dei globuli), come il ferro, è sede di linfociti T e B (è una barriera
difensiva legata al sistema immunitario).
Prende rapporto con il diaframma, anteriormente con lo stomaco, posteriormente con il pancreas e il
rene sinistro, e ciò si può vedere dall’impronta che questi organi lasciano sulla milza stessa.
Ha le caratteristiche di un organo parenchimatoso, possiede un ilo in cui si inseriscono i vasi
sanguiferi; è un organo peritoneale (il peritoneo che la ricopre si origina da un foglietto dello
stomaco che origina il legamento gastro-dienale, che si apre a le avvolge completamente.
Il parenchima è costituito di due parti: la polpa rossa (così chiamata perché formata dalla stessa
componente delle cellule del sangue) e la polpa bianca, che formano un reticolo costituito da tutta
la porzione vascolare.
All’esterno vediamo un rivestimento capsulare, formato dal peritoneo, mentre all’interno troviamo
in gran parte la polpa rossa, in cui incontriamo una gran numero di macrofagi, che eliminano i
globuli rossi invecchiati.
La polpa bianca è invece organizzata a formare dei cerchi, detti linfonoduli, formati da linfociti, che
riconoscono e attaccano le sostanze estranee.

L’APPARATO TEGUMENTARIO
Questo apparato riveste le cavità ed è rappresentato dalla cute. Questo rivestimento cutaneo esterno
serve da barriera difensiva contro gli agenti esterni, impedisce l’elevata evaporazione degli elementi
liquidi, funge da riserva di lipidi, funge da isolante termico, produce la vitamina D (attivata
mediante lo stimolo luminoso), utile per evitare il rachitismo delle ossa.
Possiamo dividerla in tre parti principali: epidermide, la parte più esterna, soprastante, derma, la
parte al centro e ipoderma, la parte che prende rapporto con la fascia dei muscoli e con i visceri.

L’epidermide
L’epidermide è formata da uno strato in cui non arrivano i vasi sanguiferi, che si formano nel
connettivo del derma.
La cute contiene vari annessi: i peli, le ghiandole sudoripare e i recettori che raccolgono stimoli e li
mandano al cervello, che elaborerà risposte. Non tutta la cute ha distribuzione uniforme degli
annessi.
Lo strato basale determina lo strato di divisione tra derma ed epidermide: le cellule di questo strato
vano incontro a divisioni continue e a morte, sostituendo le cellule più in alto nell’epidermide.
I melanociti si estendono dalla membrana basale allo strato spinoso e producono la melanina, un
pigmento che colora la pelle.
I vari strati dell’epidermide contengono molte cellule cilindriche. Lo strato spinoso appoggia sullo
strato basale e le loro cellule sono molto unite (collegate tramite desmosomi). I questo strato si
incontrano anche le cellule di Langherans, che svolgono azione fagocitatoria e sembra che siano
responsabili delle risposte allergiche a carico degli elementi esterni.

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Sotto troviamo lo strato granuloso, che produce la cheratina, una proteina; inoltre le cellule qui
cominciano il loro processo di invecchiamento.
Lo strato lucido è l’unico assente in alcune zone dell’epidermide: si tratta di uno strato molto
sottile, dove è ancora presente cheratina e le cellule tendono ad allontanarsi le une dalle altre.
Nello strato corneo, il più superficiale, le cellule sono ormai morte e contengono un’alta
concentrazione di cheratina; le cellule vanno quindi incontro ad un processo di desquamazione, che
avviene soprattutto di notte (9-10 g di epidermide per ogni giornata).
Lo strato basale deve lavorare tantissimo per ristabilire l’equilibrio delle cellule.
Il derma
Il derma è altamente vascolarizzato; la sua membrana basale è fissata dal liquido interstiziale, che
permette ai vari strati di svolgere le loro attività.
Questa parte della pelle è posta immediatamente sotto l’epidermide, ed è formata da tessuto
connettivo, separato dall’epidermide par mezzo della membrana basale, che forma alcuni rilievi che
si inseriscono nel derma stesso (le papille del derma) che fungono da ancoraggio.
Le fibre presenti nel derma sono fibre collagene e fibre elastiche, che si dispongono ordinatamente
secondo delle linee dette linee di Baggio. Se si taglia la pelle lungo le linee la cicatrice lascia solo
un piccolo segno, mentre se si taglia trasversalmente, la cicatrice sarà ben visibile. In casi
particolari, come la gravidanza o l’eccessivo aumento di peso le linee si stirano fino a rompersi, per
poi rinsaldarsi sulla posizione più larga: si creano le smagliature, sulle quali è impossibile
intervenire per riportare il derma alla condizione originale.
Nel derma incontriamo poi i corpi ghiandolari di tipo sebaceo o sudoriparo, oltre alle cellule
nervose che captano gli stimoli.

IL SISTEMA NERVOSO
Formato da cellule particolari, dette neuroni, con una forma precisa.
Il neurone è divisibile in corpo (che contiene il nucleo, detto pirenoforo), dal quale si origina la
seconda parte, un prolungamento unico, detto assone o neurite, che termina nei bottoni terminali o
sinaptici. Il pirenoforo si dirama anche nei dendriti, altri prolungamenti.
I neuroni possono assumere diverse forme: un neurone può essere multipolare, come quello appena
descritto, bipolare, cioè con il nucleo che origina solo due prolungamenti opposti (uno è il dendrite
e l’altro l’assone), ritrovabili negli organi di senso, oppure pseudounipolari, anche detto neurone T,
dal cui corpo di diparte un peduncolo che si divide in due rami, uno con la funzione di assone,
l’altro con quella di dendrite.
La cellula nervosa è l’unica in grado di eccitarsi dopo uno stimolo. Quando raccoglie lo stimolo
nervoso attraverso i dendriti, la cellula lo conduce tramite l’assone (quindi la trasmissione dello
stimolo va sempre dal dendrite all’assone e mai all’opposto), formando una catena di dendriti e
assoni.
Nel tessuto nervoso ci sono poi altre cellule, che non sono in grado di condurre gli impulsi nervosi,
ma sono in grado di fornire supporto ai neuroni o di riparare eventuali danni (il neurone da solo non
è in grado di rigenerarsi). Queste cellule sono dette cellule di Schwann nel SNC e oligodendrociti
nel SNP. Accelerano inoltre il passaggio degli impulsi, perché avvolgono completamente il
neurone, isolandolo dall’esterno.
Anatomicamente distinguiamo il sistema nervoso centrale (SNC) ed il sistema nervoso periferico
(SNP).
Il SNC è contenuto all’interno di strutture ossee: scatola cranica e cavità vertebrale della colonna
vertebrale. I due elementi principali che lo compongono sono l’encefalo e il midollo spinale.
Il SNP è apparentemente il più esteso tra i due: ne fanno parte tutti i nervi che si originano dal SNC.
Le loro emergenze si posizionano sul midollo spinale (questi nervi sono detti spinali); distinguiamo
però 12 paia di nervi cranici, che si distribuiscono sulla faccia e originano direttamente
dall’encefalo.

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I nervi si riuniscono in fasci e si inseriscono in particolari punti detti plessi, innervando gli arti. Il
plesso brachiale e quello cervicale innervano l’arto superiore, mentre il plesso sacrale e quello
lombare innervano l’arto inferiore (questi ultimi due originano dal tratto inferiore della colonna
vertebrale). In corrispondenza di questi plessi della zona inferiore si origina il nervo sciatico, il più
voluminoso del corpo umano.

Struttura del SNC e del SNP


Dal punto di vista anatomico viene diviso in due componenti: sostanza bianca e sostanza grigia.
Per quanto riguarda i neuroni, la divisione è fatta in questo modo: il corpo rappresenta la sostanza
grigia e l’assone la sostanza bianca.
Nel SNP il sito di localizzazione dei corpi dei neuroni viene detto ganglio, mentre tutti gli assoni
circondati dalla guaina mielinica formano i nervi periferici. In questa parte del sistema nervoso c’è
molta sostanza bianca e pochissime aree grigie.
Nel SNC la sostanza grigia si dispone invece sull’esterno dell’encefalo, formando la corteccia
cerebrale, detta anche materia grigia. Nell’encefalo troviamo anche altri corpi, detti nuclei, che
sono formati da un insieme di corpi di neuroni. Qui l’insieme di più assoni forma la sostanza
bianca, raggruppata in tratti o colonne di sostanza bianca.

Trasmissione degli impulsi


L’avvio della trasmissione avviene quando un impulso viene captato da un recettore, che può essere
situato a livello cutaneo oppure a livello degli organi (rispettivamente detti recettori esterni e
recettori interni). Essi recepiscono la modificazione nell’ambiente che li circonda: i recettori
cutanei (di natura somatica) percepiscono sensibilità tattile, del dolore, termica, ecc. e sono detti
recettori per la sensibilità; i recettori collegati agli organi invece captano gli stimoli odorosi, del
gusto, visivi, uditivi e dell’equilibrio, e sono detti recettori sensoriali. C’è poi una terza famiglia di
recettori, posti a livello viscerale (che captano stimoli quali il bruciore di stomaco, ad esempio).
Gli stimoli viaggiano attraversi i nervi del SNP per giungere al SNC, dove vengono elaborate le
informazioni, nel cervello. Le vie che partono dagli organi di senso e arrivano al cervello sono dette
vie afferenti o vie sensitive. La risposta del cervello parte e si sposta nelle vie efferenti o vie motorie,
per raggiungere gli organi effettori, quelli che daranno la risposta vera e propria (solitamente i
muscoli scheletrici).
La risposta è però differente se lo stimolo arriva da un organo come lo stomaco: l’impulso entra
allora nel cosiddetto SNA, il sistema nervoso autonomo, diviso in simpatico e parasimpatico, che
influenza la muscolatura liscia, il cuore e le ghiandole. Queste ultime in particolare possiedono
cellule, dette mioepiteliali, che si contraggono per favorire l’uscita del secreto.
I recettori si possono poi dividere in famiglie: i recettori cutanei sono esterorecettori, quelli della
muscolatura scheletrica sono propriorecettori e quelli contenuti nei visceri sono enterorecettori.
Nella strada verso il cervello lo stimolo incontra il primo neurone della catena nel ganglio
periferico (questo neurone, avendo un braccio lunghissimo sarà un neurone a T) che porta il segnale
fino alla corteccia, dalla quale gli interneuroni trasmettono lo stimolo; fatto ciò dalla corteccia,
precisamente dai neuroni multipolare, partirà la risposta, che seguirà le vie motorie verso gli organi
effettori. Nelle muscolatura scheletrica manca il neurone periferico.
Nel caso in cui la risposta sia involontaria, lo stimolo si ferma al ganglio periferico(detto anche
motorio), ed interviene il SNP.
Uno stimolo di questo tipo, cioè che richiede una risposta motoria, viene detto riflesso, ed il suo
percorso viene chiamato arco riflesso.
Ad esempio: poggio una mano su un chiodo, arriva lo stimolo del dolore che attiva il primo neurone
sensoriale; a questo punto ho due possibilità. 1 a) Nel SNC (midollo) si può avere una risposta
immediata e un neurone la conduce subito all’organo effettore (alzo la mano tramite una
contrazione muscolare). 2a) Lungo il midollo l’informazione sale a raggiunge la corteccia cerebrale,

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dove si crea la consapevolezza di ciò che sta accadendo, quindi si elabora l’informazione e la
risposta motoria parte verso il muscolo, che alza la mano.
Gli archi riflessi possono essere di vari tipi, semplici o complessi. Ad esempio il riflesso patellare
(quello che il neurologo prova martellando il ginocchio) coinvolge solo il midollo, creando
l’innalzamento involontario della gamba. Un altro esempio è il riflesso i stiramento: le vie sensitive
a livello della muscolatura (nella quale i fasci muscolari captano le modificazioni dei muscoli)
mandano uno stimolo ed il motoneurone invia subito una risposta al muscolo. Possono esserci
anche vie diverse, come ad esempio un neurone ne attiva un secondo, che trasmette però lo stimolo
a più neuroni, creando vie nervose diverse per lo stesso segnale.

Organizzazione del midollo spinale


Dalla colonna vertebrale emergono i nervi spinali, che sono in numero uguale alle vertebre. Il
midollo spinale è lungo circe 45 cm, ha un diametro di 1-1,5 cm e non si estende per tutta la
colonna vertebrale (termina intorno alla 1a – 2a vertebra lombare). Dopo questa zona ci sono
soltanto filamenti, detti cauda equina, che emergono.
Il midollo spinale non ha sezione costante: nel tratto cervicale e nel tratto toracico-lombare c’è un
rigonfiamento, dovuto alle emergenze dei nervi che servono per collegare arti superiori e arti
inferiori al midollo stesso.
La sostanza bianca si trova all’esterno, mentre la sostanza grigia all’interno, organizzata a forma di
farfalla o di H.
La sostanza grigia può essere distinta in: corno anteriore e corno posteriore, le due “ali”, e braccio
centrale e canale centrale (o canale ependimale), che sono rispettivamente l’unione tra le due parti
e il canale posto medialmente lungo tutta l’estensione del midollo.
La sostanza bianca invece è distinguibile in fasci: anteriore, posteriore e laterale.
Sulla linea mediana del midollo sono presenti dei solchi: il solco mediano anteriore, il più
pronunciato, e il solco mediano posteriore, più piccolo.
Dalla periferia del midollo spinale emergono i nervi che si originano dalle corna anteriori e
posteriori, attraverso cui c’è il passaggio delle vie sensitive e delle vie motorie.
Ciascun nervo spinale è dotato di una parte sensitiva e una motoria, in modo da creare fasci
periferici misti.
La distribuzione delle due sostanze varia lungo il decorso del midollo: nel tratto toracico c’è molta
più sostanza bianca, mentre nei tratti cervicale e lombare accade il contrario, dato che ci sono le vie
nervose degli arti. La sostanza bianca è maggiore dove ci sono vie composte da tanti assoni.
Nella distribuzione dei corpi neuronali c’è un preciso ordine, per cui avremo aree specifiche.
Ad esempio nel derma troviamo i corpuscoli di Bacini, recettori di tipo presso rio, formati da tanti
cerchi concentrici che, compressi, danno origine allo stimolo. Oppure il corpuscolo di Meissner,
anch’esso un recettore, subisce delle modificazioni nella struttura. Altri esempi di recettori sono le
terminazioni nervose libere.
Attorno al midollo si dispongono tre strati di tessuto connettivo (le meningi) che fungono da
protezione: la dura madre è lo strato più esterno, a contatto con la vertebra, seguita dall’aracnoide,
nel mezzo, seguita a sua volta dalla pia madre, lo strato interno, a contatto con la parte esterna del
midollo. Tra le tre membrane scorrono il liquido cefalo-rachidiano, indispensabile per evitare attrito
ed usura delle meningi e per dare nutrimento alle cellule, e i vasi sanguiferi. Nello spazio è anche
possibile iniettare farmaci.
I gangli spinali sono posti ai lati della colonna e lì c’è la sede dei corpi dei primi neuroni (sostanza
grigia) che captano gli stimoli trasmessi dai recettori.
I nervi sono un insieme di assoni che formano la sostanza bianca e sono circondati dalle cellule di
Schwann o dagli oligodendrociti.

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Decorso delle vie nervose
Le vie nervose, uscendo dal midollo spinale, si collegano al cervello tramite il tronco dell’encefalo,
o tronco cerebrale.
La sensibilità viene distinta in tre tipi diversi, perché stimoli diversi necessitano di risposte diverse.
Il primo tipo è la sensibilità esterocettiva, che raccoglie gli stimoli provenienti dall’esterno, dai
recettori cutanei (tattili, termici, dolorifici, di pressione). La sensibilità propriocettiva, il secondo
tipo, raccoglie le informazioni dall’apparato locomotore, dai recettori posti a livello muscolare,
osseo, ecc. L’ultimo tipo di sensibilità è quella enterocettiva, che origina dai recettori a livello
viscerale, che prende soltanto la via del SNA perché necessita di risposte involontarie.
Ognuna di queste diverse sensibilità necessita di una via nervosa dedicata. In questo modo si creano
la via esterocettiva, la via propriocettiva e la via enterocettiva.
La via esterocettiva viene anche detta via spino-talamica perché passando attraverso il midollo
raggiunge il talamo (un nucleo di sostanza grigia nell’emisfero encefalico). La sensibilità si divide
in due gruppi: il primo riguarda gli stimoli termici e dolorifici, mentre il secondo riguarda quelli
tattili protopotici (molto grossolani) e di pressione.
Nel primo caso i recettori cutanei vengono stimolati e parte la via nervosa dai fasci periferici. Il
primo neurone che trasmette il segnale è del tipo “a T” ed è un protoneurone, e termina sul corno
posteriore del midollo spinale dove c’è il secondo neurone. L’assone di quest’ultimo passa sulla
metà collaterale del midollo e si dispone nella fascia laterale di sostanza bianca. Il secondo neurone,
detto deutoneurone, manda il segnale vero il cervello fino al talamo, da cui parte il terzo neurone
che raggiunge la corteccia cerebrale, dove l’area sensitiva è deputata alla percezione di questi
stimoli.
Nel secondo caso il primo neurone è ancora detto protoneurone e il suo compito termina sul corno
posteriore del midollo. Qui parte il secondo neurone, che si dispone nel cordone anteriore (nel quale
forma il fascio spino-talamico anteriore): da qui sale e termina nel talamo, da dove il terzo neurone
manderà il segnale alla corteccia cerebrale.
La sensibilità tattile epicritica o discriminativa (sempre esterocettiva) è quella che permette di
distinguere i vari tipi di superficie. La via che percorre viene detta via spino-bulbo-talamica e muta
rispetto alle altre. Il primo neurone rimane il protoneurone ma nel midollo non si interrompe,
iniziando la risalita e formando il fascio posteriore, o fascicolo gracile che si interrompe nel tronco
dell’encefalo in corrispondenza del bulbo. In questa zona si trovano nuclei di sostanza grigia dalla
quale parte il secondo neurone che si dispone contro-lateralmente nella sostanza bianca
dell’encefalo (menisco mediale) e raggiunge il talamo. Da qui parte il terzo neurone che va alla
corteccia.
Queste tre vie hanno in comune il fatto di essere formate da tre neuroni e si proiettano nella metà
corteccia opposta rispetto al punto in cui sono partite.
La via propriocettiva riceve e trasmette gli stimoli dell’apparato locomotore ed è sempre attiva,
perché dà informazioni anche sul tono muscolare e sui tendini.
Si può distinguere in cosciente e incosciente: la prima fornisce le informazioni che si possono
capire a partire dall’origine dello stimolo (ci accorgiamo che corriamo, camminiamo, alziamo un
arto, ecc.), mentre la seconda, che si ferma al cervelletto, elabora risposte che riguardano azioni
semivolontarie e automatiche.
La via seguita dalla sensibilità cosciente è identica a quella epicritica e giunge alla corteccia
cerebrale.
Quella incosciente invece raggiunge il cervelletto, che si trova davanti al tronco dell’encefalo,
seguendo questa via: protoneurone (nel ganglio spinale) fino al corno posteriore, passa nella metà
opposta (contro-laterale), si dispone lateralmente e risale fino al cervelletto, uscendo dal tronco
dell’encefalo attraverso i peduncoli, creando il fascio spiro-cerebellare ventrale. Esiste anche la via
dorsale, che segue più o meno lo stesso percorso, ma posteriormente rispetto al fascio spiro-
cerebellare ventrale.
La via enterocettiva trasmette gli stimoli derivanti dai visceri dell’organismo.

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Risposte del sistema nervoso (le vie motorie)
Le risposte del sistema nervoso giungono agli organi effettori tramite le vie efferenti (o motorie) che
partono dalla corteccia cerebrale: la risposta spesso è volontaria, perché interessa muscoli
scheletrici.
Nel caso in cui la risposta sia volontaria, passa dalla via piramidale. Questa via parte dalla corteccia
cerebrale ed arrivano agli organi effettori passando solo da due neuroni molto lunghi, collegati da
una sola sinapsi. Per questo motivo queste vie sono anche dette motorie monosinaptiche. Il corpo
del primo neurone è molto grande ed ha una forma piramidale (da qui il nome dalla via). Da qui
parte l’assone che in un punto preciso (la cosiddetta decussazione delle piramidi) dopo il tronco
dell’encefalo passa nella metà contro-laterale (formando il fascio cortico-spinale laterale) per
continuare il suo cammino fino al corno anteriore del midollo. Da questo punto parte il secondo
neurone che attraverso la radice anteriore arriva fino all’organo effettore. Questi assoni formano il
fascio cortico-spinale anteriore, ed esiste anche quello posteriore. Talvolta l’incrocio non si ha a
livello della decussazione ma sull’unico bottone sinaptico della via. Di queste vie fanno parte anche
quelle che innervano i muscoli della faccia.
Nel caso invece in cui la risposta sia automatica o semivolontaria, essa passa dalla via
extrapiramidale. Questa porzione è formata da circuiti che collegano le varie sedi dei nuclei di
sostanza grigia e permettono ai muscoli di sentire certe situazioni (l’essere seduti o alzati, ad
esempio). Nell’encefalo troviamo diversi nuclei formati da sostanza nigra e nucleo rosso: lesioni a
questi nuclei portano al morbo di Parkinson, determinando sovreccitazione dei muscoli dovuta
all’inibizione del controllo dei nuclei di sostanza grigia sui muscoli stessi.

Il tronco dell’encefalo
Si può dividere in più parti: una inferiore, che si continua col midollo, detta bulbo o midollo
allungato, una centrale, detta ponte, e una superiore, che si continua con l’encefalo, denominata
mesencefalo.
Nel bulbo possiamo individuare la linea mediana che è anche il punto in cui si incrociano le vie
nervose (precisamente dove si vedono dei rigonfiamenti); anteriormente sono anche visibili le
cellule piramidali con le decussazioni. Un altro rilievo, laterale rispetto alle piramidi, è l’oliva o
nucleo olivare, che rappresenta il punto d’arrivo delle vie nervose extramidollari.
Il ponte è formato da fibre disposte trasversalmente, che permettono la connessione col cervelletto.
Il mesencefalo superiormente appare formato da due fasci nervosi che si divergono, formando una
V, detti peduncoli cerebrali, che si uniscono ai due emisferi cerebrali. Nello spazio tra i due
peduncoli ci sono delle sporgenze formate da nuclei di sostanza grigia appartenenti alle vie ottiche
ed acustiche.
Posteriormente il tronco dell’encefalo si trova in rapporto col cervelletto, a cui è collegato tramite i
peduncoli, posti sul ponte, che sono 3: superiore, medio e inferiore. All’infuori dei peduncoli non
c’è contatto tra i due organi e lo spazio che si crea è in continuazione con il canale ependimale ed è
pieno di liquido cefalo-rachidiano (lo spazio più superiore è chiamato quarto ventricolo). Inoltre
presenta dei rilievi (sempre posteriormente) ancora a livello del ponte: sono nuclei di sostanza
grigia che rappresentano l’origine dei nervi cranici (origine apparente, questa, perché la vera
origine si ha a livello dei nuclei interni al tronco).
Il mesencefalo posteriormente presenta altri peduncoli, nel cui mezzo si trova la ghiandola epifisi.

I nervi cranici
Sono 12 paia e vanno ad innervare specifiche aree della faccia.
Il primo è il nervo olfattivo, che origina nella parte alta del mesencefalo. Appartiene all’organo di
senso dell’olfatto (il naso) e trasferisce gli stimoli che gli derivano dall’epitelio olfattivo della cavità
nasale. Si tratta di un nervo sensitivo.

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Il secondo è il nervo ottico, che trasmette gli impulsi visivi che derivano dagli impulsi luminosi
captati dal bulbo oculare. Crea la via ottica ed è un nervo sensitivo.
Il terzo nervo è il nervo oculomotore, che innerva i muscoli attorno al bulbo oculare, permettendogli
di contrarsi e muovere l’occhio. Gli impulsi gli arrivano dal cervello e si tratta di un nervo
prettamente motorio.
Il quarto nervo è il nervo procreare, che ha lo stesso comportamento del 3°. Nervo motorio.
Il quinto nervo è il trigemino o trigemello, voluminoso, emerge tra il ponte e il mesencefalo. Si
tratta di un nervo misto, perché fornisce sensibilità e movimento ai muscoli masticatori.
Il sesto nervo è il nervo abducente, simile ai nervi 3° e 4°. Nervo motorio.
Il settimo nervo è il nervo facciale, che emerge dal tronco dell’encefalo. Si tratta di un nervo misto,
ma con predominanza della componente motoria: innerva i muscoli della faccia detti pellicciai, i più
superficiali. La branca sensitiva raccoglie lo stimolo del gusto sulla parte anteriore della lingua.
L’ottavo nervo è il nervo acustico o vestibolo coclearie, che si distribuisce nell’orecchio
raccogliendo gli stimoli uditivi e dell’equilibrio (è sensitivo).
Il nono nervo è il nervo glosso-faringeo, che raggiunge la lingua e la faringe. Abbiamo a che fare
con un nervo misto: la parte sensitiva innerva la parte di lingua non toccata dal nervo 7°, mentre la
parte motoria innerva i muscoli della faringe.
Il decimo nervo è il nervo vago, nervo misto che non si distribuisce sulla faccia, ma nella cavità
toracica ed in quella addominale: innerva la laringe, il cuore, i bronchi, i polmoni ed i visceri
dell’apparato digerente, fornendo movimento. Innerva anche l’orecchio esterno (il padiglione
auricolare).
L’undicesimo nervo è il nervo accessorio, prettamente motorio, che innerva i muscoli del collo
(muscolo sterno-cleido-mastoideo e trapezio).
L’ultimo e dodicesimo nervo cranico è il nervo ipoglosso, soltanto motorio, che innerva la
muscolatura della lingua.

Il tronco dell’encefalo (Part II) – Organizzazione interna


Nel bulbo e nel ponte l’organizzazione di sostanza bianca e grigia del midollo scompare. Più si sale
verso il cervello, più la parte sensitiva si sposta verso i lati del tronco dell’encefalo, mentre la parte
motoria si organizza e si dispone medialmente (organizzazione della sostanza grigia). La sostanza
bianca circonda tutto.
La sostanza grigia non forma più un agglomerato a forma di H, ma si dispone in gruppetti che
vanno a formare le reali origini dei nervi cranici. Ad esempio il nervo trigemello è formato da una
branca superiore optalamica (branca mascellare) e da un’altra branca, la mandibolare (che innerva
i vari denti).

Il cervelletto
Fa parte del SNC cha viene raggiunto dalle vie propriocettiva incoscienti.
Trova posto dietro al tronco dell’encefalo, da cui è separato per mezzo del quarto ventricolo, ma
con il quale comunica per mezzo dei tre peduncoli. Sta nella scatola cranica, in basso, a livello
occipitale e superiormente prende rapporto con l’emisfero cerebrale.
Il cervelletto ha una funzione di integrazione e coordinamento della postura e del tono muscolare,
che rientrano nei circuiti dell’apparato vestibolare nei processi di equilibrio; inoltre controlla
l’attività motoria di tipo volontario, facendo in modo che risulti armoniosa.
Si può dividere in due parti dette emisferi; la superficie esterna presenta numerosi solchi e rilievi
(offrendo maggiore superficie per l’estensione della sostanza grigia). La sostanza grigia qui si trova
esternamente e viene detta sostanza cerebellare, mentre quella bianca sta all’interno.
Il cervelletto è divisibile in un altro modo: dall’alto possiamo notare altri due solchi, più
pronunciati, che lo dividono in lobi. La fessura primaria divide il cervelletto in lobo anteriore e
lobo posteriore. Medialmente c’è un’altra depressione, denominata verme.

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Visto dal basso invece, oltre a presentare ancora le due depressioni, mostra un terzo lobo centrale,
detto lobo floculo-nodulare, formato da due parti, il loculo e il nodulo.
Dal punto di vista filogenetico lo si può invece dividere in tre zone: archicerebellum, la zona più
antica, paleocerebellum e neocerebellum, quella più moderna e voluminosa, della quale sono dotati
solo gli animali più evoluti. Tutte e tre le parti sono legate a particolari vie nervose.
L’archicerebellum corrisponde al lobo floculo-nodulare e conferisce stabilità ed equilibrio; il
paleocerebellum raccoglie le informazioni delle vie propriocettive incoscienti dando una risposta di
coordinamento del tono muscolare (corrisponde al lobo anteriore); il neocerebellum infine
comprende il lobo posteriore e riceve informazioni dai nervi piramidali, coordinando i movimenti di
tipo volontario affinché siano armonici.
All’interno della sostanza bianca del cervelletto troveremo dei nuclei di sostanza grigia che
rappresentano stazioni per le vie nervose. Il nucleo più voluminoso è detto nucleo dentato ed è
coinvolto nella via controllata dal neocerebellum. Al paleocerebellum si legano il nucleo globoso ed
il nucleo emboliforme. Legato poi all’archicerebellum troviamo l’ultimo nucleo, cioè il nucleo del
postigio o nucleo del letto.
La sostanza grigia sulla corteccia cerebellare è organizzata in tre strati. Quello più interno, aderente
ala sostanza bianca è detto strato dei granuli, data la presenza di granuli nel citoplasma. Quello
intermedio, formato dalle cellule del Purchinje, è più sottile e vi troviamo grandi corpi neuronali. Il
terzo, più superficiale, è formato dallo strato molecolare. Tra i vari strati c’è uniformità di
distribuzione in tutto l’organo.
Nella corteccia cerebellare troviamo tante vie sensitive che arrivano, ma una sola che si diparte:
prende il nome di fibre muscoidi e scende attraversando prima le cellule dei granuli, poi gli altri due
strati (dove però si chiama fibre rampicanti) e si originano dalle cellule del Purchinje.

Il cervello
Superiormente presenta dei solchi. Si è notato che il cervello maschile è più voluminoso di quello
femminile. A contatto con la superficie esterna c’è la membrana della pia madre. Il cervello ha la
forma di un guantone da boxe e presenta superiormente un solco (solco centrale) molto profondo,
che lo divide in due emisferi.
In ciascun emisfero è presente un solco detto scissura di Rolando, obliqua, insieme ad un altro
solco, la scissura di Silvio, che dividono l’encefalo in lobi. Superiormente si individuano il lobo
frontale, in posizione anteriore, e il lobo parietale, posteriormente; inferiormente invece si trovano
il lobo temporale e il lobo occipitale, delimitato dal solco parieto-occipitale. Le ossa del cranio si
trovano in corrispondenza di queste aree.
Ogni lobo assolve ad una funzione diversa: il lobo occipitale ad esempio comprende le aree
deputate alla vista. Ogni lobo può essere poi diviso in aree più piccole, dette giri o circonvallazioni,
delimitate d altri solchi più piccoli. Tutto ciò permette di aumentare ulteriormente la superficie di
neuroni.
La corteccia continua anche nelle zone interne, deputate a raccogliere gli stimoli della vita viscerale.
L’organizzazione interna del cervello prevede la divisione tra sostanza grigia (posta esternamente,
sulla corteccia) e sostanza bianca (internamente, dove sono dislocati nuclei di sostanza grigia).
Sopra alla zona dove c’è il 4° ventricolo troviamo il 3° ventricolo e sopra di esso vediamo gli altri
due (ventricoli laterali), sempre cavi.
I nuclei che troviamo sono di diverso tipo. Ci sono i nuclei della base, separati tra loro da fasci di
sostanza bianca. I nuclei della base si dividono in nucleo caudato, putamen e globus pallidus e
talamo, il più grosso, sede di vie sensitive ed afferenti. I fasci di sostanza bianca che li separano
fanno da collegamento tra i due emisferi (fasci interemisferici): il più grosso ed importante è il
corpo calloso; esiste poi anche un altro fascio, detto commessura anteriore. Inoltre troviamo fasci
intraemisferici, cioè che attraversano un solo emisfero, che contengono gli assoni delle vie sensitive
e delle vie motorie. I nuclei della base hanno forma a ferro di cavallo.

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Il talamo e l’ipotalamo
Ogni emisfero possiede il suo talamo, che si trova medialmente e va a costituire una delle pareti del
terzo ventricolo, che si forma appunto tra i due talami.
Il talamo può essere diviso in tre parti, ciascuna delle quali riceve stimoli specifici: abbiamo l’area
laterale, comprendente i nuclei di sostanza grigia laterali, l’area anteriore, con i nuclei anteriori, e
l’area ventrale, contenente i nuclei mediali o ventrali. Le varie aree sono separate da striscioline di
sostanza bianca.
L’area ventrale può poi essere divisa ulteriormente. Si crea così l’area ventrale posteriore,
raggiunta dagli stimoli sensitivi generali, rappresenta la stazione da cui parte il terzo neurone della
sensibilità enterocettiva, dove spiccano due nuclei di sostanza grigia, i corpi pericolati, uno laterale
e l’altro mediale, che rappresentano stazioni per le vie ottiche ed acustiche. Le altre aree in cui si
divide la ventrale rappresentano stazioni per vie nervose di tipo involontario che non abbiamo visto.
Al di sotto del talamo troviamo l’ipotalamo. In questa porzione troviamo nuclei diffusi nella
sostanza bianca, come il nucleo sopraottico o il nucleo paraventricolare, che producono gli ormoni
liberati dalla neuroipofisi. Tutta la restante parte dell’ipotalamo controlla le attività vegetative,
viscerali.

La corteccia cerebrale
Il suo spessore è uniforme, è divisa in 6 strati e la distribuzione delle cellule che la compongono
varia a seconda della zona in cui si osserva.
I sei strati sono detti strati granulari e si dividono in questo modo: 1° e 6° non hanno delle vere e
proprie cellule nervose, il primo è detto strato molecolare e il sesto polimorfo, formato dalle cellule
polimorfe; 3° e 5° sono costituiti da neuroni motori, deputati all’invio di stimoli motori; 2° e 4°
sono formati da cellule fornite di granuli che controllano gli stimoli sensitivi.
La distribuzione delle cellule non è uniforme perché ogni area della corteccia ha una sua funzione.
Individuiamo l'arco sensitivo primario esattamente adiacente alla scissura di Rolando, sul lobo
frontale. L’area motoria primaria si trova invece davanti alla scissura, sul lobo frontale. Nel lobo
occipitale troviamo l’area ottica, mentre sotto a questo lobo vediamo l’area olfattiva.
La superficie esterna della corteccia è molto vascolarizzata ma non possiede sistema vascolare
linfatico. Le cavità sono ripiene del liquido cefalo-rachidiano che non è presente solo tra le
membrane e le meningi.

LA VISTA
Nell’uomo è un senso molto sviluppato, formato dall’occhio, dall’apparato lacrimale e dai nervi.
L’occhio è inserito nella cavità orbitaria, i cui limiti sono le ossa frontale, mascellare, zigomatico,
spiroidale, sfenoide e ecmoide. A riempirla c’è tessuto adiposo dove si distribuiscono i muscoli ed il
voluminoso nervo ottico.
L’occhio necessita di una continua deumidificazione e pulizia, quindi ci sono le palpebre, il cui
limite esterno è costellato di ciglia e ghiandoline che producono il lisozima, un enzima che ha
azione antibatterica e disinfetta l’occhio.
La ghiandola lacrimale non è posta in corrispondenza del dotto, ma in posizione superolaterale: i
condotti lacrimali sono in comunicazione con un sacco lacrimale e con un condotto naso-lacrimale,
che sfocia nelle cavità nasali.

Il globo oculare
Ha una forma sferica appiattita ai poli, ha diametro di circa 24 mm e la curvatura anteriore è più
stretta.
Nel globo sono presenti delle cavità: il corpo vitreo, che contiene un liquido gelificato, l’umor
vitreo, attorno al quale c’è la parete oculare, divisa in tonaca fibrosa interna, coroide nel mezzo e
tonaca nervosa all’esterno. La parete anteriore è protetta dalle palpebre, pieghe cutanee costituite da

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epitelio pavimentoso composto cornificato che aderisce perfettamente alla superficie dell’occhio
grazie ad una membrana interna, la congiuntiva.
Internamente troviamo la cornea, una membrana trasparente costituita di fibre collagene,
indispensabile alla vista perché non è vascolarizzata ma presenta forte innevamento (è poi una zona
che si può trapiantare senza rischi di rigetto). Sotto la cornea c’è uno spazio, detto camera
anteriore, riempito di umor acqueo, un liquido.
Al di là di questa camera c’è l’iride (parte pigmentata: la quantità di pigmento determina il colore),
con al centro la pupilla (il cerchiolino nero che si allarga e si restringe). L’iride presenta dei muscoli
che servono per allargare e stringere il foro pupillare, sono due, di cui il più centrale è detto
muscolo sfintere della pupilla, che le si posiziona attorno in modo da stringerla, mentre l’altro è il
muscolo dilatatore ed è posto radicalmente alla pupilla.
Di seguito c’è la camera posteriore, più piccola, ripiena di liquido. Al di là di questa camera
troviamo il cristallino, una lente biconvessa che mette a fuoco le immagini (si appiattisce quando si
guarda lontano e si incurva guardando oggetti vicini). I movimenti sono possibili grazie ad una
struttura muscolare (il corpo cigliare) a cui il cristallino è connesso tramite legamenti. Il cristallino
si può opacizzare impedendo di vedere bene da vicino (a questo punto lo si può sostituire con un
artificiale).
La restante parte del bulbo oculare è divisa in tre tonache.
La sclera è la parte bianca, formata da tessuto connettivo e scarse fibre elastiche (non è in grado di
estendersi), è ripiena di umor vitreo, che, se aumenta la pressione può provocare danni alla tonaca
nervosa (glaucoma).
La tonaca coroidea è la tonaca vascolare, a cui arrivano le arterie e da cui si dipartono le vene che
passano in corrispondenza di un foro, posteriore al globo oculare.
La tonaca nervosa è formata da cellule nervose specializzate, deputate a raccogliere gli stimoli e a
trasformarli in impulsi. Riveste l’occhio nella sua totalità, tranne che in alcune zone posteriori,
definite punti ciechi.
Le cellule sono di varia natura: aderenti allo strato coroideo ci sono le cellule pigmentate, cellule
cubiche semplici, con estroflessioni che contengono i pigmenti.
La parte restante è la retina, ed è formata da cellule nervose disposte su tre strati.
Il primo è composto da cellule nervose che hanno subito varie modificazioni, le cellule fotorecettori
(i coni e i bastoncelli, che prendono il nome dalla loro forma) ,di cui sono più numerosi i
bastoncelli. Queste cellule presentano molti mitocondri ed un prolungamento, il segmento esterno,
formato da tanti dischi in cui sono presenti la rodoxina (nei bastoncelli) e la iodoxina (nei coni).
Essi si inseriscono negli spazi lasciati dalle cellule pigmentate. La luce colpisce la retina
attraversando la pupilla, attraversa anche la retina e colpisce coni e bastoncelli che inviano
l’impulso nervoso.
Il secondo strato è formato da neuroni bipolari.
Il terzo è quello dei neuroni gangliari, che raccolgono l’impulso per trasmetterlo grazie al loro
unico assone: il fascio di questi assoni è il nervo ottico.
Sulla retina c’è un punto vicino al punto cieco che contiene un’elevata concentrazione di coni, la
cosiddetta macula lutea. I coni permettono di veder bene quando c’è molta luce, mentre i
bastoncelli sono utili in condizioni più buie (luce crepuscolare).
Lungo il tragitto verso la corteccia alcuni assoni restano omolaterali, mentre altri si incrociano nei
punti detti chiasmo ottico.
Se la luce viene da sinistra sollecita i recettori nasali dell’occhio sinistro (da cui gli assoni partono
in posizione controlaterale) e quelli temporali del destro (da cui gli assoni partono in posizione
omolatereale). Questi primi assoni si interrompono in corrispondenza del nucleo genicolato laterale
e da lì partirà il secondo assone, che arriva alla porzione destra del lobo occipitale.
Il globo oculare è dotato di quattro muscoli retti (superiore, inferiore, laterale e mediale) e di due
muscoli obliqui (superiore e inferiore) che servono per il suo movimento. Si fissano alla tonaca
fibrosa esterna, la sclera. I muscoli retti si uniscono in un unico tendine posteriore. I muscoli sono

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controllati dai nervi cranici (2°, 4° e 6°). Il nervo abducente raggiunge il muscolo retto laterale,
mentre l’oculomotore raggiunge tutti gli altri muscoli.

APPARATO UDITIVO E VESTIBOLARE


Questo apparato è costituito dalle formazioni che trovano posto all’interno dell’osso temporale, in
una cavità detta rocca petrosa. Le cellule che raccolgono gli stimoli (nell’aria e nell’acqua) li
trasmettono al cervello e captano i movimenti (soprattutto a carico della testa).
L’apparato uditivo-vestibolare è formato da tre parti: orecchio esterno, che comprende il padiglione
auricolare ed un condotto che raggiunge la seconda parte, l’orecchio medio che crea una cameretta
che termina nell’orecchio interno, l’ultima parte.
Il padiglione auricolare è formato da cartilagine elastica rivestita da cute. I suoni giungono nel
padiglione, poi, passando dal condotto uditivo esterno, arrivano fino all’orecchio medio, separato da
quello esterno tramite la membrana del timpano, di natura connettivale, che vibra quando è
raggiunto dalle onde sonore. A livello del condotto ci sono delle ghiandole ceruminose in grado di
produrre un secreto (il cerume) che agisce contro gli agenti batterici esterni.
L’orecchio medio è una piccola camera contenente tre ossicini: staffa, incudine e martello. Il
martello si appoggia alla membrana interna del timpano, si unisce all’opposto con l’incudine, che è
collegata alla staffa. Le onde sonore vengono amplificate dai tre ossicini, che le trasformano in
un’azione meccanica. La staffa rappresenta il limite dell’orecchio medio. Dall’orecchio medio si
diparte (sotto gli ossicini) un canale, detto tuba uditiva o tromba di Eustachio, che si collega con la
rinofaringe, utile per ristabilire le condizioni di pressione normali, nel caso in cui quella esterna
varii.
L’orecchio medio e l’orecchio interno sono separati da una membrana che presenta due finestre: la
finestra ovale, sulla quale si appoggia la staffa, e la finestra rotonda, due spazi chiusi.
L’orecchio interno è l’unica parte contenuta nella rocca petrosa e contiene i due organi deputati alla
percezione dei suoni e dell’equilibrio, è in contatto con le due finestre dell’orecchio medio ed è
diviso in due parti: La chiocciola, che percepisce i suoni, e i canali semicircolari assieme al
vestibolo, che percepiscono l’equilibrio.
Essi sono formati da una struttura ossea, detta labirinto osseo, che all’esterno segue la forma degli
organi. Nel labirinto è contenuto un liquido detto perilinfa con immerse le strutture membranose
dell’organo, il labirinto membranoso. All’interno del labirinto membranoso è contenuta l’endolinfa.
Le cellule contenute sono le cellule capellute, denominate così data la presenza di stereociglia e del
ciglio più grande, unico per ogni cellula. Esse poggiano sulle cellule epiteliali e la loro porzione
apicale è immersa nell’endolinfa. In corrispondenza del ciglio si trova un addensamento
dell’endolinfa (di natura glicoproteica), detto cupola.

L’equilibrio
Le cellule deputate alla percezione dell’equilibrio sono le cellula capellute. I canali semicircolari
presenti nella struttura sono tre: posteriore, anteriore e laterale, posti secondo le tre direzioni
spaziali.
Nella parte posteriore c’è una dilatazione, detta ampolla, in cui troviamo le cellule capellute.
Quando si compie un movimento con la testa l’endolinfa si muove e ciò comporta u movimento
delle stereociglia a del ciglio, in modo che essi avviino l’impulso nervoso verso la corteccia.
Associato ai canali circolari c’è il vestibolo, che presenta due divisioni (il sacculo e l’utricolo) che
permettono di sentire le accelerazioni lineari in alto, in basso ed in orizzontale. Da questi due
elementi e dall’ampolla partono le terminazioni nervose verso l’8° nervo cranico e poi alla
corteccia.
Nella cupola, sulla sua parte apicale, ci sono dei “sassolini” di NaCO 3, detti otoliti, che aiutano a
percepire i movimenti, attivando con il loro rotolare le ciglia.

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L’udito
La parte acustica dell’orecchio comprende la coclea, formata da un labirinto osseo, nel quale è
contenuta la perilinfa, al cui interno c’è il labirinto membranoso, che si avvolge per due volte e
mezza a spirale. All’interno c’è l’organo del Corti, che percepisce le onde sonore.
Il labirinto membranoso della coclea è diviso in due parti: una camera superiore, la scala
vestibolare, ed una inferiore, la scala timpanica. Tra le scale si trova l’organo del Corti, che
appoggia sulla membrana basilare. Al di sopra si trova un’altra membrana, che forma il tetto
dell’organo (la membrana tettoria). Le cellule recettrici dell’udito sono ancora capellute, e sfiorano
la membrana tettoia. Le vibrazioni dei tre ossicini fanno vibrare la finestra ovale, che trasmette le
vibrazioni alla perilinfa, la quale aumenta di pressione e spinge tutta la linfa verso l’unico sfogo che
c’è: la finestra rotonda. Tale movimento della linfa fa muovere le membrane, tra cui quella tettoria,
dove ci sono le cellule recettrici.
A livello dell’organo del Corti c’è la seconda branca dell’8° nervo cranico, che trasporta l’impulso
al cervello attraverso la via acustica.
Suoni troppo forti possono lacerare il timpano.

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