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CODICE
FORESTALE
CAMALDOLESE
Le
radici
della
sostenibilità
La
Regola
della
vita
eremitica,
ovvero
le
Constitutiones
Camaldulenses
a
cura
di
Raoul
Romano
PRIMO VOLUME
Codice
Forestale
Camaldolese
«…
se
saranno
gl’Eremiti
studiosi
veramente
della
solitudine,
bisognerà
che
habbiano
grandissima
cura,
&
diligenza,
che
i
boschi,
i
quali
sono
intorno
all’Eremo,
non
siano
scemati,
ne
diminuiti
in
nium
modo,
ma
piu
tosto
allargati,
&
cresciuti.».
Eremiticae
Vitae
Regula
a
Beato
Romualdo
Camaldulensibus
Eremitis
tradita,
Paolo
Giustiniani,
Camaldoli
1520;
tradotta
dal
latino
alla
lingua
toscana
da
Silvano
Razzi
nel
1575.
Questo
volume
rappresenta
il
primo
prodotto
della
Convenzione
di
ricerca
stipulata
tra
INEA
e
Collegium
Scriptorium
Fontis
Avellanae,
ed
è
stato
realizzato
nell’ambito
del
progetto
“Codice
forestale
camaldolese,
alla
ricerca
delle
radici
della
sostenibilità”,
finanziato
dal
Ministero
delle
Politiche
Agricole,
Alimentari
e
Forestali
(D.M.
1324
del
19
gennaio
2009
e
D.M
19461
del
22
dicembre
2008).
Autori:
Marta
Costantini:
Dottore
di
ricerca
in
filosofia
e
counselor
filosofico,
Fano
-‐Pesaro;
Fabio
Di
Pietro:
Dottore
forestale,
ricercatore
Osservatorio
Foreste
INEA
-‐
Roma;
Sonia
Marongiu:
Dottore
forestale,
ricercatore
Osservatorio
Foreste
INEA-‐
Trento;
Ugo
Fossa:
monaco
della
Congregazione
Benedettina
Camaldolese,
bibliotecario
e
archivista
nella
Comunità
monastica
dell'Eremo
e
Monastero
di
Camaldoli
-‐
Arezzo;
Salvatore
Frigerio:
monaco
della
Congregazione
Benedettina
Camaldolese,
studioso
e
ricercatore
nella
Comunità
monastica
dell'Eremo
di
Monte
Giove
di
Fano
-‐Pesaro;
Raoul
Romano:
Dottore
forestale,
responsabile
di
Progetto,
ricercatore
Osservatorio
Foreste
INEA
-‐
Roma;
Francesca
Socci:
Dottone
Beni
culturali
e
Ambientali
–
Ancona;
Carlo
Urbinati:
Professore
Associato,
Docente
di
Selvicoltura
Università
Politecnica
delle
Marche,
Dip.to
di
Scienze
Ambientali
e
delle
Produzioni
Vegetali
-‐
Ancona;
Francesco
De
Santis:
Dottore
agronomo,
supporto
tecnico
ed
elaborazione
dati
INEA
–
Roma;
Coordinamento
editoriale:
Benedetto
Venuto.
Copertina:
Roberta
Ruberto.
Revisione
testi:
Manuela
Scornaienghi.
Segreteria
Tecnica:
Isabella
Brandi.
Revisione
grafica:
Sofia
Mannozzi
Si
ringrazia:
Giuseppe
Blasi,
Luca
Cesaro,
Cinzia
Marasca,
Emanuele
Vicari,
Carmine
Riggioni,
Giorgio
Franciosini,
Osvaldo
Lucciarini,
Teodoro
Bolognini,
Adriano
Cardogna,
Romina
Pierantoni,
e
in
particolare
le
Comunità
Camaldolesi
di
Monte
Giove,
Camaldoli
e
Fonte
Avellana,
per
la
pazienza
e
l’ospitalità.
Indice
Presentazione ........................................................................................................................................... 7
Introduzione........................................................................................................................................... 13
Capitolo
primo
-‐
I
Camaldolesi....................................................................................................... 17
1.1
Il
monachesimo ............................................................................................................................. 19
1.2
San
Romualdo ................................................................................................................................ 33
1.3
La
riforma
romualdina ............................................................................................................... 48
1.3.1
Le
fondazioni
romualdine ................................................................................................. 55
1.3.2
Camaldoli
e
i
Camaldolesi. ................................................................................................ 67
Capitolo
secondo
-‐
Eremiticae
Vitae
Regula ............................................................................. 91
2.1.
La
Regola ......................................................................................................................................... 93
2.2.
Le
risorse
naturali
nella
Regola...........................................................................................108
Capitolo
terzo
-‐
I
Camaldolesi
l’ambiente
e
le
risorse
naturali ......................................133
3.1
Camaldoli .......................................................................................................................................135
3.1.1
Monaci
e
foreste:
simboli
e
sinergie .....................................................................135
3.1.2
La
foresta
di
Camaldoli
fra
cambiamenti
climatici
e
di
uso
del
suolo....143
3.2
Fonte
Avellana .............................................................................................................................174
3.2.1.
L’eremo
di
Fonte
Avellana:
localizzazione
e
nascita ..........................................177
3.2.2
L’opera
di
Riforma
di
san
Pier
Damiani:
ultimus
monachorum
servus. .......182
3.2.3
Evoluzione
dell’economia
e
della
società
agricola
in
Italia
dopo
il
X
secolo.
................................................................................................................................................................186
3.2.4
Le
Carte
di
Fonte
Avellana ..............................................................................................193
3.2.5
La
gestione
delle
proprietà
terriere
e
l’organizzazione
del
lavoro
nelle
terre
di
Fonte
Avellana. ..........................................................................................................................196
3.2.6
Fonte
Avellana
alla
luce
delle
attuali
teorie
sullo
sviluppo
sostenibile
del
territorio ............................................................................................................................................209
Capitolo
quarto
-‐
Tra
passato
e
presente ................................................................................219
4.1
Tra
passato
e
Presente .............................................................................................................221
Bibliografia ...........................................................................................................................................237
Appendice..............................................................................................................................................246
Presentazione
1
Pubblicazioni
previste
nell’ambito
del
progetto
“Codice
Forestale
camaldolese,
alla
ricerca
delle
radici
dello
sviluppo
sostenibile”:
La
regola
della
vita
eremitica,
ovvero
le
Constituzioni
Camadolensi;La
gestione
delle
foreste:
l’esperienza
di
Camaldoli;
La
gestione
agricola:
l’esperienza
Camaldolese
di
Fonte
Avellana;
Nuovo
Atlante
storico-‐geografico
Camaldolese;
2
Lo
sviluppo
sostenibile
è
quella
forma
di
sviluppo
che
riesce
a
sostenere
i
bisogni
delle
attuali
generazioni
senza
compromettere
tale
possibilità
per
le
generazioni
future.
Questo
concetto
comporta
un
bilanciamento
tra
fattori
ecologici,
economici
e
sociali
(WCED,
1987);
3
Professore
Antonio
Gabbrielli:
Ispettore
Forestale,
socio
ordinario
dell’Accademia
di
scienze
forestali
di
Firenze;
4
Dottoressa
Sara
Cambrini
Paleografo
archivista;
Introduzione
5
La
regola
della
vita
eremitica
stata
data
dal
beato
Romualdo
à
i
suoi
Camaldolensi
Eremiti
ovvero
le
Constituzioni
Camadolensi
tradotte
nuovamente
dalla
lingua
latina
nella
toscana,
stampate
In
Fiorenza,
Appresso
Bartolomeo
Sermartelli
MDLXXV;
traduzione
del
1575
ad
opera
del
monaco
camaldolese
Silvano
Razzi
della
Eremiticae
Vitae
Regula
a
Beato
Romualdo
Camaldulensibus
Eremitis
tradita,
promulgata
dal
Beato
Paolo
Giustiniani
(1476-‐1528)
e
stampata
nel
1520
con
i
tipi
in
legno
dalla
tipografia
nel
monastero
(in
monasterio
Fontis
Boni);
6
Cfr.
Genesi
Cap.
2,15;
1866,
anno
in
cui
le
proprietà
passarono
al
Regio
Stato
italiano,
che
nel
1871
la
dichiarò
inalienabile.
Nel
terzo
capitolo
verranno
introdotti
i
successivi
volumi
di
approfondimento
previsti
dal
progetto
che
vedranno
Camaldoli
e
Fonte
Avellana,
la
gestione
forestale
e
la
gestione
agricola,
quali
soggetti
principali.
Il
secondo
volume
previsto
dal
progetto,
dal
titolo
“La
gestione
delle
foreste:
l’esperienza
di
Camaldoli”,
analizzerà,
dal
1500
al
1866,
il
rapporto
intercorso
fra
i
monaci
Camaldolesi
e
le
popolazioni
locali
nella
gestione
delle
risorse
forestali
dell’Appennino
casentinese
che
ci
ha
consegnato,
oltre
a
una
forte
comunità
che
ancora
oggi
rivendica
con
orgoglio
il
suo
passato,
anche
un
patrimonio
ambientale
e
paesaggistico
di
inestimabile
valore,
dimostrando
come
la
produttività
e
la
salvaguardia
sostenibile
possono
e
devono
coesistere.
Il
terzo
volume,
“La
gestione
agricola:
l’esperienza
di
Avellana”
a
cura
di
Manlio
Brunetti,
sarà
dedicato
interamente
all’enorme
lavoro
di
ricerca
realizzato
nel
tempo
sulle
“Carte
di
Fonte
Avellana”.
Nella
storia
della
Congregazione
Camaldolese
il
venerabile
Eremo
di
Fonte
Avellana
(oggi
Monastero
di
Fonte
Avellana),
situato
sulle
pendici
del
monte
Catria,
nell’Appennino
umbro
marchigiano,
rappresenta
un
passaggio
fondamentale
nell’evoluzione
del
movimento
religioso
camaldolese.
Fonte
Avellana
pur
avendo
avuto
origine
dalla
stessa
riforma
romualdina
che
ha
creato
Camaldoli,
percorrerà
una
strada
autonoma,
per
ritornare
alla
Congregazione
Camaldolese
solo
nel
XVI
secolo.
Le
Carte
di
Fonte
Avellana
sono
rappresentate
da
sette
volumi
in
cui
sono
trascritti
atti,
compravendite,
contratti
da
cui
traspare
l’originalità
della
gestione
agricola
praticata
dai
monaci
sulle
terre
che
dal
venerabile
Eremo
si
estendono
fin
quasi
al
mare
Adriatico:
una
originalità
tendente
in
particolare
a
favorire
la
crescita
culturale,
umana,
sociale
e
anche
economica
delle
7
Dom
Giuseppe
Cacciamani;
Atlante
storico-‐geografico
Camaldolese
con
23
tavole
(secoli
X-‐XX);
Edizioni
Camaldoli
1963;
Capitolo
primo
I
Camaldolesi
cristiano.
Sempre
in
India,
anche
nel
Giainismo8
il
monachesimo
è
un
elemento
fondante
e
si
differenzia
dall’induismo
per
la
maggiore
sistematicità
organizzativa.
Dallo
scisma,
anteriore
all’era
cristiana,
che
comportò
la
nascita
di
due
correnti
principali,
si
distinguono
i
monaci
digambar,
ovvero
“vestiti
di
cielo”,
che
rinunciano
a
qualsiasi
possesso,
compresi
cibo
e
vestiti,
e
i
monaci
shvetambar,
ovvero
“vestiti
di
bianco”,
che
seguono
precetti
meno
rigidi.
L’elemento
comune
dei
monaci
giainisti
si
caratterizza
per
le
modalità
di
convivenza,
che
avviene
sotto
la
guida
di
un
maestro
spirituale
per
anni,
prima
di
diventare
sadhu,
cioè
veri
monaci.
Fra
gli
anziani
viene
eletto
un
capo
amministrativo
e
disciplinare
(ãchãrya),
al
quale
ogni
monaco
è
tenuto
a
fare
la
sua
confessione.
Nel
Buddhismo
il
monaco
mendicante
diventa
l’unico
vero
discepolo
del
Buddha,
attraverso
la
pratica
della
meditazione,
della
povertà
e
della
rinuncia
ai
beni
mondani.
Alla
fine
del
noviziato,
il
monaco
buddhista
prende
i
voti,
mantenendo
però
la
libertà
di
scegliere
di
ritornare
al
mondo.
Alle
origini
i
monaci
buddisti
vivevano
isolati
in
capanne
o
caverne,
ma
oggi
i
loro
monasteri
sono
celebri
per
ricchezza,
bellezza
artistica
e
persino
per
potenza
politica.
Successivamente
al
loro
potere
spirituale
si
affianca
infatti
quello
temporale,
manifestandosi
e
realizzandosi
completamente
nei
monaci
buddisti
del
Tibet.
Nel
mondo
cristiano
il
fenomeno
del
monachesimo
fa
invece
la
sua
comparsa
nelle
aree
desertiche
dell’Egitto
all’inizio
del
IV
secolo,
con
la
forma
eremitica
di
san
Antonio
Abate
(+356)
e
le
prime
comunità
organizzate
di
cenobiti
di
san
Pacomio
(+346).
La
nascita
del
fenomeno
monastico
si
inserisce
in
un’epoca
storica
in
cui
la
Chiesa
(forte
della
libertà
religiosa
ottenuta
con
il
discusso
Editto
di
Costantino
del
313)
poteva
contare
su
una
struttura
consolidata,
vasti
possedimenti,
una
gerarchia
abbastanza
solida
e
circa
7
milioni
di
fedeli
all’interno
di
quello
che
restava
dell’immenso
Impero
8
Antica
religione
inizialmente
documentata
come
una
fede
a
sé
stante
e
una
filosofia
basata
sugli
insegnamenti
di
Mahavira.
Secondo
la
dottrina,
la
filosofia
giainista
è
un
modo
di
comprendere
e
codificare
le
verità
eterne
e
universali
che
occasionalmente
si
manifestavano
fra
l'umanità
e
che
più
tardi
riappariranno
negli
insegnamenti
degli
uomini
che
avevano
raggiunto
l'illuminazione;
10
Làura
(o
Lavra):
in
epoca
antica
significa
cammino,
strada
e
poi
quartiere.
Organizzazione
monastica
bizantina
diffusa
dal
IV
sec.
in
Cappadocia,
distinta
dall’Eremo
e
dal
cenobio
e
rappresenta
l’anacoretismo
in
senso
stretto.
La
Lavra
indicava
un
gruppo
più
o
meno
grande
di
celle
monastiche,
ognuna
separata
e
indipendente,
raccolte
attorno
a
un
oratorio
comune;
Figura
1.1
-‐
Grotta
dove
visse
in
ascesi
Sant’Antonio
Abate.
La
vita
dei
suoi
molti
seguaci
era
caratterizzata
da
straordinaria
austerità,
da
digiuni,
veglie,
penitenze
e
lunghi
periodi
di
silenzio;
(da
monastero
virtuale).
11La
tradizione
camaldolese
interpretò
l’ultima
fase
dell’ascetismo
camaldolese:
l’apostolato
con
la
volontaria
reclusione;
12
San
Giustino,
I
Apologia,
15;
Minucio
Felice,
Octavius,
31;
Erma,
Simil.,
IX,
10,
11;
Eusebio,
Hist.
eccl.,
6,43;
Figura
1.2
–
Ricostruzione
in
tavola
dell'abbazia
di
Montecassino,
alla
fine
dell'XI
secolo:
da
Alessandro
Luciano.
13
Non
servi
ma
uomini;
14
Franco
Cardini,
Marina
Montesano,
Storia
Medievale,
2006,
pag.
191
"La
ricca
abbazia
intendeva
inoltre
costituirsi
a
modello
d'indipendenza
dai
poteri
temporali.
Per
questo
il
duca
Guglielmo
rinunziò
al
patronato
su
di
essa:
ma
per
impedire
che
qualche
vescovo
delle
vicine
diocesi
pretendesse
comunque
di
esercitarvi
una
qualunque
forma
di
controllo
-‐
si
ricorse
all'espediente
di
affidarla
al
patronato
diretto
della
Sede
pontificia.";
Figura
1.3
-‐
Monaci
che
pranzano,
affresco
di
G.A.
Bazzi
(c.a
1505)
nel
refettorio
dei
monaci
nell'Abbazia
di
Chiaravalle
Milanese.
Le
uniche
fonti
disponibili
sulla
vita
di
Romualdo
sono:
“La
vita
dei
cinque
fratelli”15,
scritta
nel
1008
dal
suo
contemporaneo
e
discepolo
san
Bruno-‐Bonifacio
di
Querfurt,
poco
prima
di
morire
martire
in
Prussia
nel
1009,
e
la
Vita
beati
Romualdi16
scritta
nel
1042
da
san
Pier
Damiani
17
(+1072).
Nel
primo
testo,
di
cui
si
è
venuti
a
conoscenza
solamente
alla
fine
dell’Ottocento,
il
tema
principale
è
il
martirio
di
cinque
monaci
benedettini
impegnati
nell’evangelizzazione
della
Polonia.
La
figura
di
Romualdo
rimane
in
secondo
piano,
ma
il
racconto
ci
permette
di
conoscere
non
solo
il
carisma
e
il
fascino
della
sua
parola
come
maestro
spirituale
dei
“cinque
fratelli”,
ma
anche
le
convinzioni
dell’uomo
nel
contesto
sociopolitico
del
suo
tempo.
Il
secondo
testo,
basato
sui
racconti
e
le
memorie
di
monaci
che
avevano
personalmente
conosciuto
il
Santo,
è
principalmente
volto
a
presentare
san
Romualdo
come
l’uomo
che
incarna
i
valori
che
il
mondo
monastico
stava
perdendo
sotto
le
ingerenze
della
Chiesa
di
Roma
e
le
influenze
del
mondo
civile,
con
i
loro
interessi
economici
e
politici.
Pertanto,
nessuna
delle
due
opere
può
essere
considerata
una
biografia
in
senso
stretto.
La
vita
e
le
opere
di
san
Romualdo
possono,
quindi,
essere
solamente
tratteggiate
sommariamente.
Nonostante
le
poche
fonti
la
notevole
figura
di
Romualdo
emerge
chiaramente
nei
lavori
svolti18
dagli
15
Per
le
citazioni
della
“Vita
dei
cinque
fratelli”
ci
serviamo
della
sigla
V5F,
facendo
riferimento
all’edizione
“Vita
dei
cinque
fratelli
e
lettera
a
re
Enrico”
curata
da
Bernardo
Ignesti,
Edizione
Camaldoli
1951;
16
Per
le
citazioni
della
vita
di
san
Romualdo
ci
serviamo
della
sigla
VR,
facendo
riferimento
all’edizione
critica
della
“Vita
beati
Romualdi”
curata
da
Giovanni
Tabacco
e
pubblicata
a
Roma
nel
1957
dall’Istituto
storico
italiano
per
il
Medio
Evo
nella
collana
“Fonti
per
la
storia
d’Italia,
vol.94;
17
Pier
Damiani
o
Pier
di
Damiano
o
Pietro
Damiani
(1007
–1072)
teologo,
vescovo
e
cardinale
della
Chiesa
cattolica,
dal
1043
priore
del
Venerabile
Eremo
di
Fonte
Avellana.
Partecipò
attivamente
con
scritti
e
interventi
personali
alla
riforma
ecclesiastica,
vedendolo
assiduo
assertore
della
Riforma
gregoriana,
adoperandosi
affinché
il
potere
politico
fosse
privato
delle
storiche
connotazioni
sacrali;
mise
in
risalto
l'autorità
del
Papa,
come
fulcro
centrale
della
vita
ecclesiale;
cercò
di
riformare
la
vita
dei
chierici,
combattendo
il
nicolaismo
e
proponendo
come
modello
la
vita
monastica.
Papa
Stefano
X
lo
nominò
nel
1057
cardinale
e
vescovo
di
Ostia
sotto
minaccia
di
scomunica
al
rifiuto.
Solo
nel
1062
poté
rientrare
in
convento
rinunciando
a
tutte
le
sue
cariche.
La
vita
monastica
da
lui
praticata
a
Fonte
Avellana
è
tra
le
più
dure
conosciute
dal
monachesimo
occidentale:
autoflagellazione,
penitenze,
quantità
minime
di
cibo,
lavoro
manuale.
Fondò
numerosi
eremi
e
monasteri,
che
non
entrarono
però
a
far
parte
della
Congfregazione
Avellanita,
restando
indipendenti.
Morì
il
21
febbraio
1072
a
Faenza,
le
sue
ossa
riposano
nella
cattedrale
di
Faenza;
18
Nello
specifico
gli
studi
condotti
da
G.Tabacco,
W.Kurze
e
G.Vedovato,
solo
per
citare
i
principali,
rappresentano
le
basi
del
presente
studio
e
si
rimanda
all’elenco
bibliografico
per
i
riferimenti
puntuali
degli
altri
lavori
utilizzati;
Inoltre
le
traduzioni
qui
riportate
dai
testi
originali
latini
si
rifanno
come,
per
i
lavori
compiuti
da
Thomas
Matus
“Vita
di
san
Romualdo
e
san
Pier
Damiani”,
(Camaldoli,
1988),
“Alle
origini
di
Camaldoli,
San
Romualdo
e
i
cinque
fratelli“
(Camaldoli,
2003),
all’opera
critica
della
professoressa
Jadwiga
Karwasinska
Vita
quinque
fratrum
eremitarium,
in
Monumenta
Poloniæ
Historica,
Series
nova,
Tomus
IV,
Fasc
3,
Warszawa
1973),
e
di
Giovanni
Tabacco
Vita
beati
Romualdi,
Fonti
per
la
storia
d’Italia,
Roma
1957,
vol.94);
19
L’anno
di
nascita
rimane
incerto
e
databile
tra
il
951
e
il
953
accettando
così
la
cronomolgia
“breve”
anziché
quella
tradizionale
che
assegna
al
Santo
un’esistenza
di
120
anni,
di
cui
20
di
vita
civile,
3
di
monastero
e
97
come
eremita;
con
cui
vivevano
i
precetti
della
Regola.
E
come
per
san
Benedetto21,
Romualdo
rischia
la
vita
per
mano
di
un
gruppo
di
monaci
offesi
dall’affronto
ricevuto
da
un
novizio.
La
ricerca
della
perfezione
e
il
bisogno
di
libertà
che
ne
caratterizzano
la
personalità,
dopo
soli
tre
anni
lo
portarono
a
lasciare
il
monastero.
Ottenuto
il
facile
consenso
dell’abate
e
dei
fratelli,
si
trasferisce
lungo
gli
acquitrini
della
foce
del
fiume
Piave,
dove
raggiunge
un
vecchio
eremita
indipendente
ed
eccentrico
di
nome
Marino.
Come
molti
degli
eremiti
che
in
totale
solitudine
vivevano
sparsi
per
l’Italia
del
X
secolo,
Marino
era
approdato
alla
dottrina
del
vivere
eremitico
spinto
unicamente
dall’impulso
della
buona
volontà.
Le
cronache
ci
raccontano
infatti
che
l’eremita
non
aveva
una
grande
istruzione
della
vita
solitaria
e
che
trascorreva
il
tempo
cantando
il
Salterio22
per
giorni
e
giorni.
Romualdo
lo
segue
e
in
questa
scelta
incomincia
a
emergere
la
particolare
forza
della
sua
figura,
quella
di
un
monaco
che
lascia
la
stabilità
e
la
sicurezza
del
monastero
per
seguire
un
Maestro,
sulla
scia
della
grande
tradizione
dell’anacoretismo
orientale.
Questa
nuova
esperienza
eremitica
non
permette
però
a
Romualdo
di
trovare
ancora
la
strada
spirituale
che
nel
monachesimo
cercava.
In
quei
duri
e
severi23
anni,
il
giovane
eremita,
non
ancora
trentenne,
chiamato
insieme
al
suo
Maestro
dal
Doge
Pietro
Orsoleo
I,
conobbe
a
Venezia
l’abate
Guarino24.
Senza
dover
troppo
insistere
l’abate
lo
convinse
nel
978,
a
seguirlo
insieme
a
Marino,
al
Doge
di
Venezia
e
al
suo
cugino
Graderigo
nel
monastero
21
Gregorio
Magno,
Dialoghi
2,3;
22
Con
il
termine
Salterio
viene
definita
la
base
della
Liturgia
delle
ore
e
del
Breviario
romano,
cioè
della
preghiera
liturgica
in
uno
schema
settimanale
o
quadrisettimanale,
in
maniera
tale
che
nel
corso
della
settimana
o
mese
si
possano
recitare
tutti;
23
Oltre
alle
difficoltà
quotidiane
di
una
zona
malsana
come
gli
acquitrini
Romualdo
subiva
la
severità
dell’eremita
Marino,
che
per
ogni
errore
del
novizio
nella
lettura
del
Salterino
lo
picchiava
sul
lato
sinistro
del
capo
con
una
bacchetta.
Secondo
quanto
lasciatoci
scritto
da
san
Pier
Damiani,
Romualdo
arrivò
a
chiedere
di
essere
percosso
sulla’altro
lato
del
capo
in
quanto
sul
procinto
di
perdere
l’udito
dell’orecchio
sinistro;
24
Abate
Guarino
del
monastero
di
Saint
Michel
de
Cuixà,
o
Cuxa
nella
contea
di
Conflent,
nel
Rossiglione
(Pirenei
orientali),
uno
dei
più
importanti
monaci
rifondatori
del
X
secolo.
Di
ritorno
da
un
pellegrinaggio
a
Gerusalemme
viene
incaricato
da
Ottone
II
a
investigare
sulla
situazione
politica
di
Venezia
dove
una
rivolta
popolare
aveva
destituito
il
Doge
in
carica;
Figura
1.2
-‐
San
Romualdo,
Guercino
Barbieri
(1641);
Pinacoteca
comunale
di
Ravenna.
25
Ad
esempio
San
Girolomo,
Vita
di
Ilarione
nn.1-‐2;
Cassiano,
Istituzioni
2,12;
Vite
dei
Padri
X
(PL
73,924);
993,
anche
se
le
fonti
disponibili
rimangono
incerte,
si
reca
nei
pressi
del
monte
Catria,
lasciando
probabilmente
un’impronta
al
sacro
Eremo
di
Fonte
Avellana,
le
cui
origini
risalivano
al
980.
Sta
di
fatto
che
la
sua
figura
è
punto
di
riferimento
nella
tradizione
eremitica
avellanita
ancora
prima
del
priorato
di
san
Pier
Damiani.
Ultima
tappa
del
suo
eremitaggio
itinerante
è
l’isola
del
Peréo,
sul
delta
del
fiume
Po.
Il
periodo
che
vi
trascorre
fu
importante
per
lo
studio
e
la
riflessione.
Qui,
oltre
a
cambiare
in
modo
più
restrittivo
la
regola
del
digiuno
che
aveva
seguito
fino
ad
allora,
raggiunge
un
nuovo
e
più
consapevole
livello
spirituale.
Su
questa
piccola
isola
Romualdo
fonda,
con
un
nucleo
di
fratelli,
un
Eremo,
dove
nel
998
riceve
la
visita
del
giovane
imperatore
Ottone
III
di
Sassonia26.
Questo
incontro
influenzerà
e
condizionerà
fortemente
la
vita
di
entrambi.
Fu,
infatti
Ottone
III,
chiedendo
con
insistenza
all'eremita
di
divenire
abate
di
Sant'Apollinare
in
Classe,
ma
l’eremita
inizialmente
si
mostrò
riluttante
e
rifiutò
la
richiesta
dell’Imperatore,
che
però
minacciandolo
di
scomunica
da
parte
del
sinodo
regionale
dei
Vescovi
lo
convinse
ad
accettare.
Come
abate,
Romualdo
governa
sotto
la
stretta
disciplina
della
regola,
annullando
tutte
le
differenze
di
classe
che
dal
mondo
esterno
si
riproponevano
anche
fra
le
mura
dell’eremo27.
L’imposizione
dell’uguaglianza
tra
uomini
abituati
a
rigide
distinzioni
di
rango
portarono
contro
di
lui
nuovamente
le
ire
dei
monaci28.
Rinunciò
all’incarico,
per
paura
di
perdere
la
propria
anima,
rendendosi
conto,
in
una
realtà
profondamente
secolarizzata
e
reticente
alle
sue
proposte,
dell’impossibilità
di
operare
liberamente
secondo
i
principi
riformatori
che
lo
ispiravano.
E
nel
999
raggiunse,
nei
pressi
di
Tivoli,
Ottone
III
impegnato
nell’assedio
della
città
ribellatasi
e,
26
Ottone
III
di
Sassonia
(980-‐1002),
insieme
a
Papa
Silvestro
II
promosse
l’evangelizzazione
delle
regioni
pagane
dell’Impero,
dalla
Russia
occidentale
alla
Polonia,
e
trovò
un’attiva
collaborazione
nella
sincera
amicizia
di
san
Romualdo
e
dei
suoi
discepoli;
27
San
Romualdo
contestava
le
forme
di
autoritarismo
presenti
tanto
nella
chiesa
quanto
nella
società
civile,
e
cerca
di
creare
strutture
monastiche
atte
a
favorire
rapporti
sani
di
amicizia,
fondati
sull’amore
di
Cristo
secondo
la
massima
della
regola
benedettina
“nihil
amori
Christi
præponatur”;Thomas
Matus,
Alle
origini
di
Camaldoli,
San
Romualdo
e
i
cinque
Fratelli,
Edizioni
Camadoli,
2003;
28
Capitolo
22,
Vita
del
Beato
Romualdo,
di
San
Pien
Damiani,
1042;
Figura
1.5
-‐
Romualdo
di
Ravenna
dialoga
con
i
discepoli
sullo
sfondo
l'immagine
della
scala,
elemento
ricorrente
nell'iconografia
romualdina.
Affresco
nel
coro
del
Monastero
di
Camaldoli.
29
Ottone
III
di
Sassonia
(980-‐1002)
con
l’idea
di
ristrutturare
il
vecchio
Impero
Romano,
trasferì
nel
996
la
capitale
del
regno
a
Roma,
facendosi
chiamare
console,
senatore
e
imperatore
dei
Romani.
L’insurrezione
dei
romani
del
1001
lo
costrinse
a
fuggire
da
Roma,
insieme
al
papa
Silvestro
II;
30
Monaci
della
Badia
di
S.
Benedetto
in
Alpe
presso
il
Passo
del
Muraglione
del
forlivese;
affrettava
a
ripartire
per
nuovi
luoghi,
attratto
dal
desiderio
di
nuove
fondazioni
e
di
altri
discepoli.
San
Pier
Damiani
sottolinea
come:
«dovunque
andasse
il
santo
riportava
sempre
frutto,
guadagnava
sempre
un
numero
via
via
crescente
di
anime
e
convertiva
uomini
dalla
vita
mondana.
E
come
se
si
fosse
tramutato
in
un
fuoco,
accendeva
gli
uomini
al
desiderio
del
cielo.»
(VR.
Cap.43).
Giunge
a
Sitria31,
una
stretta
valle
sul
confine
umbro
marchigiano
nei
pressi
del
monte
Catria
a
sei
chilometri
da
Fonte
Avellana.
A
questo
luogo
è
associato
uno
dei
momenti
più
difficili
per
la
vita
del
Santo,
trovandosi
coinvolto
in
uno
scandalo
che
assume
i
toni
del
pettegolezzo.
I
monaci
suoi
fratelli
lo
accusano
di
aver
avuto
rapporti
omosessuali
con
un
altro
monaco.
Anche
se
innocente,
Romualdo
si
sottopone
in
silenzio
alle
punizioni
inflittegli,
rimanendo
rinchiuso
e
lontano
dalla
celebrazione
della
Messa
per
sei
mesi
(VR.
Cap.52).
È
poco
logico
tale
comportamento,
ma
la
coscienza
veramente
libera,
come
lo
Spirito
Santo,
non
segue
la
logica
lineare
delle
leggi
umane
o
ecclesiastiche
(Matus,
2003).
È
forse
a
partire
da
questa
triste
esperienza
che
Romualdo
abbandona
definitivamente
la
sua
consuetudine
di
condividere
la
cella
con
un
compagno,
fino
a
decidere,
cosi
come
a
Camaldoli,
che
ogni
monaco
viva
nella
propria
cella-‐casa.
Riacquistato
il
rispetto
dei
discepoli
riprende
la
sua
normale
vita
monastica
in
grande
austerità,
rimanendo
recluso
e
osservando
un
silenzio
continuo
senza
eccezioni
per
sette
anni,
sostenendo
un
rigidissimo
minimo
regime
alimentare.
Nel
1014,
nei
pressi
dell’eremo,
venne
costruito
un
piccolo
cenobio
con
una
chiesetta,
conosciuta
oggi
col
nome
di
Santa
Maria
di
Sitria.
Su
invito
dell’Imperatore
Enrico
II
(+1024)
si
reca
all’Abbazia
del
Santo
Salvatore
sull’Amiata,
dove,
coerente
con
il
suo
ideale
di
31
Abbazia
di
Santa
Maria
di
Sitria
nel
Parco
naturale
del
Monte
Cucco,
nell’Eugubino,
presso
l’isola
Fossara
in
Provincia
di
Perugia;
riforma,
costruì
l’Eremo
del
Vivo
sul
versante
nord
del
monte
Amiata.
Secondo
la
tradizione,
tra
il
1023
e
il
1025,
Romualdo
ripercorre
i
sentieri
dell’Appennino
centrale
per
giungere
nelle
montagne
casentinesi,
dove
darà
origine
a
una
comunità
contemplativa
profondamente
inserita
nella
chiesa
locale,
che
racchiude
la
visione
Romuldina
della
vita
monastica
ideale.
Il
monachesimo
vissuto
dai
grandi
Padri
della
Chiesa
nel
deserto
dell’Egitto
si
unisce
qui
alla
Regola
e
tradizione
del
monachesimo
benedettino.
Camaldoli
è
l’ultima
esperienza
creata
da
Romualdo,
su
insistente
sollecitazione
del
vescovo
Tedaldo
di
Arezzo.
Egli
ormai
è
vecchio,
stanco
e
afflitto
dagli
innumerevoli
fallimenti
registrati
nel
rifondare
e/o
fondare
ex
novo
monasteri
ed
eremi;
è
malato
ai
polmoni
e
alle
ossa,
disilluso
dai
rapporti
coi
potenti
e
dal
cenobitismo
dell’epoca.
Quando
san
Pier
Damiani
scrive
la
“Vita
del
beato
Romualdo”,
l’ultima
comunità
romualdina
è
ancora
troppo
piccola
per
ricordarla
esplicitamente.
L’origine
dell’Eremo
di
Camaldoli
e
in
particolare
il
suo
anno
di
nascita
(cfr.
Cap.
1.3.2),
rimangono
ancora
oggi
elementi
controversi
e
fonte
di
discussioni,
ma
tutto
questo
perde
sicuramente
di
importanza
dinnanzi
al
ruolo
che
questo
luogo
ebbe
e
continua
ad
avere
per
le
popolazioni
locali
e
per
tutta
la
Chiesa.
San
Pier
Damiani
ci
racconta
infine
gli
ultimi
anni
della
vita
di
Romualdo,
quando,
ritornato
in
Valdicastro,
morì
recluso
nella
sua
cella.
Era
il
19
giugno
1027.
«Molti
altri
furono
i
luoghi
in
cui
il
santo
abitò
e
i
mali
che
subì
specialmente
dai
suoi
discepoli
e
molti
anche
i
miracoli
da
lui
compiuti,
che
noi
però
tralasceremo
per
evitare
una
narrazione
troppo
prolissa.
Alla
fine
di
tutti
i
suoi
vari
soggiorni,
quando
ormai
aveva
la
percezione
dell’imminenza
della
sua
fine,
ritornò
al
monastero
che
aveva
costruito
in
Valdicastro.
E
mentre
attendeva,
senza
esitazioni,
l’avvicinarsi
del
trapasso,
volle
farsi
costruire
una
cella
dotata
di
oratorio,
in
cui
rinchiudersi
e
osservare
il
silenzio
fino
alla
morte».
(VR.
Cap.72)
La
sua
originale
esperienza
monastica
rende
decisamente
impossibile
“catalogarlo”,
“definirlo”,
“circoscriverlo”
all’interno
di
una
struttura,
di
una
modalità,
di
un
tipo
di
monachesimo.
Romualdo
è
monaco,
eremita,
ma
anche
missionario,
predicatore
e
maestro,
riformatore
di
monasteri
e
creatore
di
eremi,
consigliere
di
imperatori,
censore
del
secolo,
in
conclusione
si
può
dire
che
tutta
la
vita
di
Romualdo
è
una
ricerca
continua.
Un
peregrinare
solitario
e
incessante
nella
parola
del
Vangelo,
un
calarsi
in
modo
critico
nelle
realtà
di
un
mondo
corrotto
e
crudele,
un’estenuante
vita
vissuta
seguendo
la
purezza
del
Vangelo,
verso
la
perfezione
e
quella
spiritualità
che
solo
nella
vita
mistica
e
ascetica
dell’eremo
possono
essere
raggiunte.
Un
continuo
tentativo
di
concretizzare
e
realizzare
in
maniera
libera
il
suo
ideale
di
monachesimo.
Figura
1.6
-‐
Chiesa
romanica
del
secolo
XIII
di
Valdicastro
in
Vallesina,
antica
abbazia
benedettina
istituita
tra
il
1005
e
il
1009;
nel
1027
vi
morì
S.
Romualdo;
eremitica
viene
accostato
il
cenobio,
come
fonte
di
cultura
teologica
e
protezione
materiale
per
gli
eremiti.
Quell’anelito
alla
perfezione
fu
forse
turbato
dalle
disillusioni
e
dalle
ferite
procurategli
dai
numerosi
fallimenti
registrati
nel
tentativo
di
realizzare
quell’ideale
da
lui
tanto
ricercato
e
insegnato.
Ma
dalla
sua
esperienza
nasceranno
molteplici
esperienze,
tra
loro
diverse
quanto
lo
possono
essere
le
varie
scelte
monastiche
che
in
lui
ritrovano
insieme
il
loro
Padre
e
Maestro.
eremiti,
affinché
questi
ultimi
non
vengano
disturbati
dal
rumore
del
mondo,
dalle
preoccupazioni
e
dalle
vicende
politiche,
economiche
e
amministrative
esterne.
Successivamente
acquista
però
una
funzione
pedagogico
formativa
per
gli
aspiranti
eremiti,
che
devono
crescere
nei
principi
della
vita
monastica.
La
vita
eremitica
e
quella
cenobitica
sono
per
Romualdo
la
massima
espressione
spirituale
del
cammino
ascetico
e
si
completano
nei
momenti
della
reclusione
e
dell’evangelizzazione:
la
prima
riprende
le
esperienze
anacoretiche
dei
Padri
del
deserto
e
rappresenta
uno
sviluppo
altissimo
dell’ideale
monastico,
ancora
oggi
uno
dei
valori
più
eminenti
dell’ideale
romualdino
camaldolese
(lo
stesso
Romualdo,
secondo
la
tradizione,
la
praticò
per
sette
anni
a
Sitria,
così
come
si
impegnò
analogamente
nell’evangelizzazione,
o
apostolato,
dei
“popoli
pagani”,
ritrovando
in
quest’ultima
esperienza,
il
momento
più
incisivo,
per
una
vita
dedicata
a
Cristo,
di
incontro
tra
vita
monastica
ed
eremitica).
Da
considerare
infine
il
fatto
che
per
molti
dei
suoi
discepoli
l’impegno
apostolico
si
risolse
spesso
nel
martirio.
L’apostolato
e
la
reclusione
rappresentano,
quindi,
i
due
culmini
di
un
cammino
ascendente,
le
cui
tappe
si
articolano
nel
triplex
bonum:
cenobio,
eremo
e
testimonianza
apostolica,
questa
ultima
intesa
anche
come
martirio.
La
chiara
visione
della
realtà
monastica
del
suo
tempo
e
l’innata
tendenza
all’eremitismo
hanno
portato
san
Romualdo
a
non
accontentarsi,
a
ricominciare
continuamente
con
coraggio.
Attratto
dal
desiderio
di
realizzare,
nella
convivenza,
la
sua
equilibrata
visione
ascetica
ha
sempre
cercato
nuove
comunità
in
un
susseguirsi
di
profonde
esperienze
umane
e
spirituali.
E
dopo
aver
avviato
un
nuovo
nucleo
monastico,
regolarmente
lo
abbandona
per
ricominciare
altrove.
Anche
a
questo
sono
forse
dovute
le
varie
interpretazione
della
sua
eredità
spirituale
che
nei
secoli
successivi
hanno
visto
la
formazione
di
diverse
congregazioni
romuldine.
Le
tendenze
più
disparate
che
il
Santo
aveva
unificato
con
l’ardore
della
sua
ascesi
e
della
sua
genialità,
tenteranno
di
riprendere
ciascuna
il
Figura
1.8
-‐
Veduta
del
Monastero
di
Camaldoli;
Fontani,
Francesco
(1748-‐1818)
in
Viaggio
pittorico
della
Toscana.
[Disegni
di
J.
e
A.
Terreni],
Tofani
e
Compagno,
Firenze,
1801-‐1803;
1.3.1
Le
fondazioni
romualdine
33
Atlante
storico-‐geografico
Camaldolese
con
23
tavole
(secoli
X-‐XX);Camaldoli:
Scuola
tipografica
francescana,
1963;
fonte
su
cui
possiamo
basarci
rimane
lo
scritto34
del
1042
di
san
Pier
Damiani,
in
cui
narrando
la
vita
del
Santo,
l’autore
ci
riporta
i
principali
luoghi
in
cui
operò
come
riformatore,
oppure
come
creatore
di
nuovi
nuclei
eremitici.
Lo
stesso
Pier
Daminani
scrive
:
«Molti
altri
furono
i
luoghi
in
cui
il
santo
abitò
e
i
mali
che
subì
specialmente
dai
suoi
discepoli
e
molti
anche
i
miracoli
da
lui
compiuti,
che
noi
però
tralasceremo
per
evitare
una
narrazione
troppo
prolissa.».
(VR.
Cap.72)
Con
il
suo
ritorno
dalla
Spagna,
infatti,
l’esperienza
ascetica
del
Santo
si
trasforma
in
un
eremitaggio
errante
che
lo
vedrà
impegnato
sull’arco
appenninico
centrale
in
azioni
riformatrici
e
nella
creazione
di
nuove
esperienze
ascetiche.
Dal
990,
dopo
il
rientro
in
Italia
dall’Abazia
di
Cuixà
in
Spagna,
al
1027
Romualdo,
muovendosi
nelle
terre
di
Toscana,
Marche,
Romagna
e
Veneto,
dà
vita
a
un’azione
di
riforma
senza
precedenti
dei
modelli
monastici
del
periodo
(cfr.
Cap.
1.3).
Oltre
ai
tentativi
di
riforma
di
monastri
benedettini
già
esistenti,
crea
anche
ex
novo
sia
insediamenti
eremitici
che
nascono
spesso
a
ridosso
dei
monasteri
stessi,
sia
nuovi
monasteri
(Figura
1.9).
In
quasi
tutti
i
casi
le
nuove
fondazioni
hanno
origine
lungo
quelle
che
erano
le
principali
vie
di
comunicazione
del
tempo
(la
via
Francigena
e
i
diversi
percorsi
della
via
Romea),
e
quello
che
rimaneva
delle
principali
direttrici
consolari
(Flaminia,
Flaminia
Minor,
Cassia,
Salaria,
etc).
Questo
connubio
non
è
una
coincidenza,
ma
esprime
concretamente
quello
spirito
eucaristico
di
sostegno
e
assistenza
di
cui
la
congregazione
si
farà
attrice
e
promotrice
nei
secoli.
I
monasteri
con
i
loro
ospedali,
hospitium,
e
farmacie
diventano
ricovero,
luoghi
sicuri
e
tappe
precise
per
pellegrini
e
viandanti.
Il
primo
monastero
edificato
da
Romualdo
è
quello
di
San
Michele
di
Verghereto,
vicino
a
Bagno
di
Romagna.
Da
qui
verrà
cacciato
dagli
stessi
compagni
monaci
(cfr.
Cap.
1.2)
incominciando
un
viaggio
che
lo
vedrà
impegnato
per
oltre
dieci
anni
tra
le
montagne
dell’Appennino
prima
di
giungere,
passando
anche
per
34
Vita
del
beato
Romualdo,
San
Pier
Daminai,
1042;
Tivoli,
Roma
e
Montecassino,
nell’Isola
del
Peréo
(ora
S.
Alberto
nel
Ravennate).
Qui,
su
progetto
di
Ottone
III,
inizia
la
costruzione
di
un
cenobio
in
onore
di
S.
Adalberto,
di
cui
oggi
non
è
purtroppo
rimasta
traccia.
Nel
1001
si
apre
la
prima
parentesi
Istriana
di
Romualdo,
durante
la
quale
fece
costruire
il
monastero
di
S.Michele
di
Lemno,
di
cui
esiste
ancora
oggi
la
chiesa.
Ritorna
in
Italia
dopo
tre
anni
per
iniziare
la
sua
opera
di
riforma,
cominciando
dal
monastero
di
Biforco
per
poi
dare
vita
a
un
nuovo
nucleo
eremitico
nella
Marca
Camerinese,
con
l’eremo
e
il
monastero
di
Valdicastro.
Dopo
questa
esperienza
tra
il
1007
e
il
1008
si
susseguono
nuove
fondazioni,
come
quelle
di
San
Nicolò
in
Monte
a
Orvieto
e
di
Todi
in
Umbria,
S.
Elena
all’Esino
e
Camerino
nelle
Marche.
Dopo
un
primo
fallito
tentativo
di
raggiungere
missionario
l’Ungheria,
l’opera
riformatrice
nelle
terre
appenniniche
riprende
con
nuove
fondazioni
a
Perugia
e
nel
Senese
per
poi
ritornare
nuovamente
in
Istria,
a
Parenzo,
a
seguito
del
secondo
fallito
tentativo
di
raggiungere
l’Ungheria.
Tra
il
1013
e
1014
ritornato
in
Italia
per
dare
avvio
alla
creazione
dell’eremo
di
Pietralata
nei
pressi
di
San
Vincenzo
al
Furlo,
lungo
la
via
Flaminia,
per
poi
ritirarsi
recluso
a
Sitria
per
alcuni
anni.
Romualdo,
nella
sua
azione
riformatrice
non
attuò
sempre
il
principio
del
cenobio
affiancato
all’eremo,
ma
si
adattò
spesso
alle
esigenze
e
ai
temperamenti
dei
luogo
e
dei
monaci
che
incontrava.
Ed
è
per
questo
che
nelle
fondazioni
romuldiane
troviamo
una
casistica
sorprendente.
Accanto
ai
cenobi
uniti
agli
eremi
con
preminenza
giuridica
di
quest’ultimi
sui
primi,
troviamo
anche
eremi
e
cenobi
soli,
o
anche
eremi
uniti
a
ospizi.
Come
ad
esempio
Camaldoli,
dove
l’hospitium
aveva
la
finalità
di
accogliere
i
pellegrini,
perché
l’eremo
fosse
consacrato
soltanto
alla
contemplazione.
Gli
ultimi
cinque
anni
rappresentano
un
interminabile
peregrinare
per
l’Italia
centrale,
continuando
a
dare
vita
a
nuovi
nuclei
eremitici
fino
a
giungere
a
Lucca
da
dove
prenderà
avvio
Figura
1.9
-‐
Luoghi
in
cui
si
è
sviluppata
l’esperienza
spirituale
di
Romualdo
da
Ravenna,
concretizzandosi
in
nuovi
nuclei
eremitici
e
la
riforma
di
monasteri
già
esistenti:
1)
Abbazia
di
Sant'Apollinare
in
Classe
(Ravenna);
2)
Foce
del
fiume
Piave;
3)
San
Michele
Arcangelo
(Verghereto);
4)
Paludi
di
Comacchio;
5)
Nelle
vicinanze
del
Ven.
Eremo
si
Santa
Croce
di
Fonte
Avellana
(Pergola);
6)
Isola
del
Peréo;
7)
Tivoli;
8)
Monastero
di
Montacassio
(Cassino);
9)
Abbazia
di
Biforco
(Forlì);
10)
Eremo
di
Acquabella
(Amiata-‐monte
San
Vicino;
11)
Abbazia
di
San
Nicolò
in
Monte
(Orvieto);
12)
Ascoli;
13)
Perugia;
14)
Abbazia
di
San
Michele
di
Marturi
(Colle
Val
d'Elsa);
15)
Abbazia
di
S.
Vincenzo
al
Furlo
(Urbino);
16)
Eremo
di
Acquabella;
17)
Eremo
di
Santa
Maria
di
Sitria
(Gubbio);
18)
Eremo
del
Vivo
(Siena);
19)
Sacro
Eremo
di
Camaldoli
(Arezzo);
35
Come
ad
esempio
nell’abazia
del
Santo
Salvatore
del
monte
Amiata;
Figura
1.10
-‐
Fondazioni
Camaldolesi
susseguitesi
fino
al
1250;
elenco
in
appendice.
giuridico
nel
1635
da
papa
Urbano
III,
dando
vita
a
nuovi
eremi
che
sopravvissero
fino
alla
rivoluzione
Francese.
Lo
spirito
romualdino
aveva
però
già
varcato
le
Alpi
dall’XI
secolo,
con
le
missioni
apostoliche
verso
i
paesi
“pagani”
dell’Ungheria
e
della
Polonia.
Nel
secolo
XIX,
con
le
soppressioni
degli
ordini
religiosi,
prima
da
parte
di
Napolene
Buonaparte
(1810)
e
dopo
con
il
Regno
di
Italia
(1866),
i
patrimoni
fondiari,
monumentali,
artistici,
librari
e
archivistici
vennero
incamerati
dallo
Stato
e
la
Comunità
Camaldolese
si
disperse.
Solamente
nel
1873
attraverso
la
stipula
di
canoni
d’affitto
per
le
abitazioni
e
i
luoghi
di
culto
si
ebbe
il
ritorno
dei
monaci
nei
loro
eremi
e
monasteri.
In
molti
casi
per
incamerare
i
beni
ecclesiastici
venne
imposto
il
divieto
di
accettare
nuovi
postulanti,
così
da
ridurre
col
tempo
il
numero
dei
monaci
e
delle
monache
e
poter
chiudere
le
comunità.
Sul
finire
del
secolo
incominciò
un
lungo
e
lento
processo
di
riorganizzazione
della
congregazione
che
nel
frattempo
aveva
oltre
oceano
trovato
nuovi
spazi,
arrivando
nei
primi
del
novecento
in
Brasile
a
seguito
dell’invito
di
un
vescovo
locale.
Con
il
nono
centenario
della
morte
di
san
Romualdo
(1927)
fu
avviata
una
faticosa
riconciliazione
tra
i
rami
separati
della
Congregazione,
che
si
ebbe
con
Papa
Pio
XI
nel
1935
e
trovò
Camaldoli
pronta
a
coordinare
quattro
eremi
e
cinque
monasteri
nella
Congregazione
dei
Monaci
Eremiti
Camaldolesi
dell'Ordine
di
S.
Benedetto.
Oggi
alla
guida
della
casa
Madre
di
Camaldoli
troviamo
una
rete
di
ispirazione
romualdina
di
undici
comunità
maschili
tra
Italia36,
Stati
Uniti
d’America
(Incarnation
Priory
e
New
Camaldoli
Hermitage
in
California),
Brasile
(Mosteiro
da
Transfiguração
in
Brasile)
e
India
(Saccidananda
Ashram
nel
distretto
del
Karur).
36
sette
in
Italia
Sacro
Eremo
e
il
Monastero
di
Camaldoli,
i
Monasteri
di
San
Gregorio
al
Celio
a
Roma,
dei
Santi
Biagio
e
Romualdo
di
Fabriano,
il
Venerabile
Eremo
di
Fonte
Avellana
e
gli
Eremi
di
Monte
Giove
a
Fano,
di
San
Giorgio
a
Bardolino
(VR);
Figura
1.12
-‐
Eremo
di
Camaldoli.
37
Il
primo
lavoro
storiografico
scientificamente
attendibile
sulle
origini
dell’eremo
casentinese
è
rappresentato
dal
breve
articolo
di
Giovanni
Tabacco,
La
data
di
fondazione
di
Camaldoli,
pubblicato
nel
1962,
lavoro
sviluppato
e
integrato
criticamente
nel
1964
da
Wilhelm
Kurze
in
Campus
Malduli.
Die
Frűgeschichte
Camaldolis,
che
può
essere
considerato
il
punto
di
riferimento
storiografico
più
completo
e
autorevole
sulle
origini
di
Camaldoli;
38
Schiaparelli-‐Baldasseroni,
Regesto
di
Camaldoli,
I„
pag.
69,n.
166
;
pag.
132,
n.
328;
Figura
1.13
–
L’abito
bianco
in
lana,
che
caratterizza
i
monaci
Camaldolesi
deriva
dalla
tunica
non
tinta
dei
contadini
e
dei
pastori.
39
Si
confronti
il
documento
dell'ottobre
1066,
dove
si
riporta:
“eremite
de
Sancto
Salvatorem
de
Campo
Amabilis
qui
dicitur
Camaldulo”;
40
Schiaparelli-‐Baldasseroni,
Regesto
di
Camaldoli,
I,
pag.
98.
n.
239;
41
Nel
1037
decime
e
masi
nei
pressi
di
Camaldoli,
1059
la
Chiesa
signorile
di
San
Pietro
in
Cerreto,
nella
diocesi
di
Volterra,
nel
1063
l’acquisizione
della
Chiesa
di
San
Savino
di
Chio;
42
Beato
Rodolfo,
(1074-‐1089)
quarto
priore
dell'eremo
e
primo
legislatore
della
comunità
nonastica
di
Campo
Maldoli;
Figura
1.14
–
L’hospitium
di
Fontebono.
45
La
Congfregazione
Camaldolese
degli
eremiti
di
Montecorona,
di
Placido
T.Lugano
Benedettino
di
Montelovieto,
Frascati
Sacro
eremo
Tuscolano,
1907,
I,
pag.37;
46
I
codici
attraverso
cui
ci
è
pervenuto
il
testo
non
ne
identificano
né
la
data
né
la
paternità,
la
collocazione
e
la
paternità
risultano
ancora
oggi
controverse,
anche
se
la
tradizione
è
concorde
nell’attribuirle
al
Beato
Rodolfo;
Tra
il
XIII
e
il
XIV
secolo
la
Congregazione
Camaldolese
conobbe
una
forte
espansione
territoriale
e
un
inserimento
molto
deciso
nella
società
dei
Comuni.
Si
rafforzò
sempre
più
la
componente
cenobitica,
assumendo
sempre
maggior
rilievo
nella
formazione
culturale
e
teologica
dei
monaci,
anche
a
seguito
della
nascita
di
nuovi
ordini
(frati
mendicanti,
francescani,
domenicani).
Tali
ordini
porteranno
con
loro
nuove
correnti
di
pensiero
che
troveranno
spazio
all’interno
del
mondo
camaldolese.
Camaldoli
entrò
nella
nuova
società
urbana,
fece
sue
le
nuove
istanze
volte
a
un’attenzione
sempre
maggiore
verso
l’”Uomo”
e
il
suo
protagonismo
nella
storia,
istanze
che
venivano
dalla
vicina
Firenze,
culla
dell’umanesimo.
In
questi
secoli
moltissimi
sono
inoltre
i
miniatori
Camaldolesi
che
hanno
operato
negli
scriptoria
di
Firenze,
Camaldoli
e
Fonte
Avellana,
spesso
muovendosi
dall’uno
all’altro
monastero
per
le
reciproche
esigenze
di
lavoro,
producendo
un
prezioso
patrimonio
di
documenti
miniati.
Come
tutti
i
grandi
centri
monastici,
Camaldoli
divenne
principalmente
un
grande
amministratore
che
gestiva,
attraverso
carte
e
scritti,
tutti
i
suoi
possedimenti,
ma
era
nel
rapporto
con
la
terra
e
le
foreste
che
si
realizzava
la
sua
grande
forza
economica
e
sociale.
Fin
dal
suo
primo
sorgere
la
Comunità
di
Camaldoli
stabilì
un
rapporto
vitale
con
l’ambiente
forestale,
fino
ad
assumerlo
a
simbolo
e
custode
della
vita
monastica.
Camaldoli
divenne
realmente
una
signoria
di
grandi
dimensioni,
con
forti
legami
sociali
e
politici
con
la
chiesa
e
con
l’aristocrazia
locale,
nonché
un
grande
centro
di
aggregazione
per
le
popolazioni
circostanti
che
vedevano
in
Camaldoli
non
solo
un
centro
spirituale,
ma
anche
un’
importante
fonte
di
protezione
e
di
sicurezza.
Nasce
così,
anche
grazie
a
questo
grande
centro
monastico,
il
senso
di
essere
parte
di
una
comunità,
protetta
e
tutelata.
Ed
è
in
questo
contesto
che
nel
1331
riapre,
dopo
cinquanta
anni
dalla
sua
distruzione
per
un
incendio,
l’ospedale
di
Camaldoli.
Resterà
operativo
fino
al
1810
fornendo
gratuitamente
cure
e
assistenza,
nonché
i
funerali
per
i
malati
che
morivano
durante
il
ricovero.
48
Lorenzo
Monaco
(1370-‐1425):
pittore
del
monastero
di
S.Maria
degli
Angeli
di
Firenze,
maestro
di
Giovanni
da
Fiesole
(Beato
Angelico),
legato
al
“gotico
fiorino”
di
Gherardo
Starnina,
estimatore
di
Spinello
Aretino,
amico
di
Lorenzo
Ghiberti,
iniziatore
dell’uso
del
“bianco”
come
“luce
interiore”
(vedi
incoronazione
della
Vergine,
Uffizzi
di
Firenze;
Bartolomeo
della
Gatta
(1448-‐1502),
pittore,
scultore
ligneo,
architetto
e
miniatore,
definito
dal
Vasari
in
Le
Vite,
“il
più
grande
dopo
Piero”;
Mauro
“il
cartografo”
(+1459)
ingegnere
idraulico
a
servizio
della
Repubblica
di
Venezia
e
cartografo
insigne,
disegnatore
del
planimondo
che
ha
rivoluzionato
la
geografia
di
Tolomeo
e
contribuì
al
progetto
di
Cristoforo
Colombo;
49
Opera
dedicata
a
Federico
Da
Montefeltro
Duca
di
Urbino,
divisa
in
quattro
dialoghi
tenuti
in
altrettanti
giorni
sul
tema
del
rapporto
tra
sapere
e
fare,
tra
vita
attiva
e
contemplativa;
50
G.Cacciamani,
Camaldoli
cittadella
di
Dio,
Edizioni
Paoline,
Roma
1968,
pp.
33-‐36;
Figura
1.16
-‐
Cartolina
fotografica
di
primi
del
novecento
con
veduta
del
Monastero
di
Camaldoli
e
farmacia.
Figura
1.17
-‐
Il
mappamondo
di
Mauro
“il
cartografo”,
realizzato
su
commissione
di
Alfonzo
V
di
Portogallo
nel
1459,
con
il
suo
assistente
Andrea
Bianco
(un
marinaio
cartografo).
Agli
inizi
del
XVII
secolo
dal
nucleo
centrale
di
Camaldoli
presero
presto
origine
anche
altre
diramazioni,
come
la
“Congregazione
degli
Eremiti
Camaldolesi
del
Piemonte”
originatasi
dalla
prima
emanazione
camaldolese
in
terra
di
Piemonte,
il
cenobio
di
Pozzo-‐
Strada
presso
Torino.
Nel
1601
fu
fondato
l’eremo
del
SS.
Salvatore
presso
Torino
per
volere
di
Carlo
Emanuele
I
di
Savoia
che
concesse
numerosi
privilegi
che
furono
la
causa
della
rottura
con
la
casa
madre
e
la
conseguente
fondazione
di
una
congregazione
autonoma,
la
“provincia
piemontese
dell’ordine
di
san
Romualdo”.
L’Eremo
divenne
la
sede
centrale
della
filiazione
piemontese
che
non
mancò
di
dimostrare
la
sua
vitalità
dando
a
sua
volta
origine
alla
congregazione
degli
Eremiti
Camaldolesi
in
Francia
nel
1625,
soppressa
poi
nel
1770.
Figura
1.18
-‐
Stampa
di
Monastero
San
Michele
di
Murano
incisione
a
stampa
in
tomum
tertium
Annalium
Camaldulensium.
Figura
1.19
-‐
Annales
Camaldulenses,
di
J.
H.
Mittarelli
e
A.
Costadoni,
pubblicato
nel
Dicembre
1773.
all’Archivio
di
Stato
di
Firenze,
dove
ne
giunse
solamente
una
residua
parte.
Il
resto
fu
smembrato
e
venduto
a
privati
e
collezionisti.
Nel
1873
fu
stipulato
un
canone
d’affitto
per
le
abitazioni
e
i
luoghi
di
culto;
fu
così
che
si
ebbe
il
ritorno
degli
eremiti
a
titolo
di
custodi.
Il
nuovo
secolo
si
aprì
ai
Camaldolesi
come
un’ennesima
sfida.
Alcuni
monaci
partirono
per
fondare
nuove
comunità
in
Brasile.
I
pochi
rimasti
si
dedicarono
con
fervore
non
solo
a
riorganizzare
la
Congregazione
e
a
cercare
di
salvare
il
patrimonio
storico-‐
bibliografico
disperso
ma
soprattutto
a
recuperare
quella
“impazienza
di
sterilità”
tipica
di
Romualdo:
ritrovare
cioè
nello
spirito
originario
la
forza
di
vivere
il
nuovo
millennio.
Il
punto
di
partenza
fu
il
nono
centenario
della
morte
di
san
Romualdo
(1927)
in
cui
oltre
a
una
riconciliazione
tra
i
rami
separati
della
Congregazione,
fu
avviata
una
faticosa
analisi
critica
della
lunga
e
complessa
tradizione
romualdina.
Nella
riscoperta
delle
radici
comuni
si
decise
di
ricominciare
dall’originale
programma
di
contemplazione
e
apostolato,
che
confluii
nella
riunificazione
decisa
da
Papa
Pio
XI
(P.
1922-‐1939)
nel
1935
dei
vari
rami
prolificati
sull'antico
ceppo
dei
Camaldolesi.
Si
aprì
così
un
nuovo
stimolante
periodo
di
dialogo,
non
solo
con
le
proprie
radici
storiche
e
spirituali,
ma
anche
con
il
presente
della
chiesa
e
della
società,
offrendo
importanti
strumenti
di
conoscenza
del
proprio
passato,
per
interpretare
il
presente
e
poter
progettare
il
futuro.
Importanti
furono,
negli
anni
‘30
e
‘40,
i
numerosi
scambi
col
mondo
laico
dell’Azione
Cattolica.
Il
Concilio
Vaticano
II
(1962-‐1965),
accolto
dai
Camaldolesi
come
un
dono
irripetibile
dello
Spirito
per
la
Chiesa
del
nostro
tempo,
ha
ispirato
il
rinnovamento
dell'impianto
spirituale,
radicato
nella
tradizione
e
aperto
al
nuovo,
e
la
revisione
delle
strutture
giuridiche
e
organizzative,
che
si
concretizza
nel
documento
di
base
della
vita
delle
Comunità
Camaldolesi
del
1957:
le
“Costituzioni
della
Congregazione
Camaldolese
dell'Ordine
di
San
Benedetto”.
Con
le
nuove
Constitutiones
si
considera
ormai
acquisito
il
principio
Capitolo
secondo
Eremiticae
Vitae
Regula
54
In
monasterio
Fonti
Boni
quod
sacre
Camaldulensis
eremi
hospitium
dicitur
et
habea
per
unis
miliarii
spatium
distat
Camaldulensis
eremitarum
iussione
et
impensis,
arte
vero
et
industria
Bartholomei
de
Zanettis
Brixiensis.
Anno
dominice
incarnationis
MDXX
absoluta
die
XIII.
Augusti;
55
Nato
a
Venezia
il
15
Giugno
1476
dalla
nobile
famiglia
Giustiniani.
Dotto
umanista,
eremita
contemplativo,
fu
superiore
maggiore
nell'eremo
di
Camaldoli
dal
XXX
fino
al
1520,
quando
ottenne
da
Leone
X
il
permesso
di
fondare
un
nuovo
istituto
eremitico.
In
principio
fu
chiamato
la
“Compagnia
di
San
Romualdo”
e
nel
1523
venne
riconosciuta
con
il
nome
canonico
di
“Congregazione
degli
eremiti
camaldolesi
di
Monte
Corona”
(Coronesi),
caratterizzata
da
una
accentuata
centralità
del
profilo
eremitico
della
vita
monastica.
Tra
gli
eremi
fondati,
dopo
quello
di
Monte
Cucco,
che
fu
il
primo
eremo
ad
accoglierlo,
vanno
ricordati
tra
gli
altri
quello
delle
grotte
di
Cupramontana
e
quello
di
San
Silvestro
sul
Monte
Soratte.
A
Macerata
fu
imprigionato
per
amore
e
difesa
degli
eremiti.
A
Roma
nel
1527,
cadde
prigioniero
dei
Lanzichenecchi
dove
fu
torturato
insieme
a
San
Gaetani
da
Thiene.
Nel
1528
ricevere
in
donazione
l'eremo
del
Monte
Soratte
dove
morì
di
peste
all’età
di
52
anni,
il
25
Giugno
1528;
Figura
2.1
–
Frontespizio
della
“Regola
della
vita
eremitica”,
traduzione
in
lingua
toscana
di
dom
Silvano
Razzi,
stampata
in
Fiorenza,
appresso
Bartolomeo
Sermartelli,
1575.
56
Gen
1,1-‐26.29-‐31;
9,9-‐17;
Is
11,6-‐8;
Mc
1,12-‐13;
Rom
8,19-‐23;
Ap
22,1-‐2;
ancora
oggi,
ma
di
restare
per
800
anni
anche
la
principale
risorsa
di
una
fiorente
economia
montana.
Prima
di
iniziare
a
capire
come
il
rapporto
con
l’ambiente
sia
stato
tradotto
e
interpretato
nella
Regola
cinquecentesca
della
vita
monacale
ed
eremitica
è
necessario
ritornare
alle
prime
Constitutiones
a
cui
Giustiniani
si
è
ispirato.
L’ovvio
punto
di
partenza
rimane
comunque
san
Romualdo,
maestro
della
Congregazione
Camaldolese
dell’Ordine
di
san
Benedetto.
Anche
se
non
ha
lasciato
nulla
di
scritto,
conosciamo
però
il
suo
pensiero
e
le
sue
azioni,
grazie,
in
primo
luogo
san
Pier
Damiani.
Come
abbiamo
visto
nei
precedenti
capitoli,
seguendo
il
solco
e
la
tradizione
della
Regola
benedettina,
Romualdo
fece
una
sintesi
del
cammino
monastico
che
era
già
avvenuto
nel
primo
millennio,
apportando
però
elementi
dell’eremitismo
itinerante
Irlandese
e
della
tradizione
monastica
dell'Oriente
cristiano,
dove
nella
“gelosia
del
silenzio”
(espressione
monastica
di
amore
e
difesa)
è
nato
per
i
monaci
l’amore
per
il
deserto
(dal
greco
érèmos).
Questo
fondamentale
concetto
nel
nostro
Occidente
può
identificarsi
in
tutte
quelle
realtà
naturali
isolate
e
selvagge
come
la
montagna,
la
laguna,
il
mare
e
soprattutto
la
foresta.
Forse
non
casualmente
proprio
san
Pier
Damiani
nella
suo
straordinaria
opera
agiografica57,
riporta
lo
stupore
incontrato
dal
giovane
duca
Romualdo
per
le,
«boscose
solitudini
in
cui
gli
eremiti
potrebbero
abitare
felici,
pacificati
e
salvati
dal
chiasso
del
secolo».
Lasciando
ad
altri
studi
e
approfondimenti
le
regole
di
organizzazione
e
ricerca
spirituale
contenute
nelle
Regole
e
Constitutiones
cercheremo
di
analizzare
solamente
l’interpretazione
di
quella
originaria
ricerca
del
rapporto
tra
uomo
e
natura
dato
dai
seguaci
di
Romualdo.
In
quella
che
è
diventata
la
casa
madre
dei
seguaci
di
San
Romualdo,
la
Congregazione
ha
cominciato
fin
dall’inizio
a
dover
far
fronte
alle
proprie
esigenze
spirituali
e
terrene.
Il
primo
passo
è
la
57
Vita
sancti
Romualdi,
S.
Pier
Damiano,
1042;
vitale
bisogno
prende
avvio
quel
processo
che
ha
visto
nei
secoli
una
profonda
mutazione
del
manto
vegetale
dell’Appennino
casentinese.
I
discepoli
di
Romualdo
dedicarono
moltissima
attenzione
all’albero
che,
nella
complessa
botanica
religiosa
presentata
dall’autore,
è
per
eccellenza
simbolo
dell’eremita.
Identificano
nell’abete
bianco
(Abies
alba
Mill.)
l’elevazione
spirituale
e
la
meditazione.
Prende
così
avvio
il
processo
di
coltivazione
e
custodia
che
ha
visto
la
foresta,
originariamente
costituita
di
faggete
e
boschi
misti
di
abete
e
faggio,
mutarsi
in
formazioni
forestali
pressoché
pure:
le
abetine.
Venne,
quindi,
piantumato
e
privilegiato
l’incremento
dell’abete
ma
non
solo
in
virtù
degli
attributi
simbolici
a
esso
riconosciuti,
ma
anche
per
le
sue
qualità
naturali
di
maggior
resa
economica.
Figura
2.2
–
Abies
alba
Mill,
particolare
della
“Corona”
di
abeti
dell’Eremo
di
Camaldoli.
difesa
delle
piante
novelle
e
al
taglio,
che
solo
lui
può
far
eseguire,
per
l’utilità
dell’Eremo
e
del
Monastero.
E
a
tutto
questo
sia
«sollicite
intentus»61.
È
la
prima
regolamentazione
scritta
che,
evidentemente,
tradisce
una
prassi
già
in
corso
e
ormai
bisognosa
di
una
convalida
atta
a
consolidarla
e
a
garantirla
per
il
futuro.
Strettamente
collegati
alle
indicazioni
riportate
nelle
Regole
sono
anche
tutti
quegli
atti,
registri,
verbali,
decreti,
contratti,
prospetti,
promemoria,
corrispondenze
e
documenti
prodotti
lungo
i
secoli62
e
che
ci
riportano
le
attività,
i
problemi
tecnici,
economici
e
sociali
che
la
gestione
del
patrimonio
forestale
ha
richiesto
e
prodotto
insieme.
In
questa
costellazione
di
fogli
troviamo
la
descrizione
delle
tecniche
di
rinnovamento
del
bosco
(artificiali
per
i
vivai
e
naturali
per
mezzo
del
prelievo
di
selvaggioni
in
bosco),
dei
tipi
di
taglio,
(pochissimo
a
raso,
generalmente
tagli
fitosanitari
e
colturali
e
a
scelta
per
assortimenti
particolari
come
gli
alberi
maestri
per
le
navi).
Le
disposizioni
per
gli
usi
collettivi,
per
la
martellata
delle
piante
destinate
al
taglio.
Le
sanzioni
e
punizioni
per
i
tagli
non
autorizzati,
per
le
trasgressioni
alle
norme
di
taglio
e
per
i
danni
eventualmente
arrecati
al
bosco.
Le
elemosine,
concessioni
e
pagamenti
effettuati
in
legname
per
i
più
diversi
destinatari,
tra
cui
il
Vasari.
L’assistenza
sanitaria
gratuita
e
le
pensioni
di
vecchiaia
per
gli
operai
e
dipendenti
e
la
provvigione
della
dote
di
nozze
alle
loro
figlie.
Le
percentuali
concesse
al
gestore
del
porto
di
Poppi
sugli
utili
del
legname
trasportato
via
fiume
e
la
partecipazione
agli
utili
dei
foderatori
(cfr.
Fig.
2.3),
i
contratti
di
compra-‐vendita
e
le
bolle
di
61
Annales
Camaldulenses,
t.VI,
Ap.
Cap.XXIX,
cll.
230-‐231;
62
Si
tratta
di
decreti
di
priori;
atti
capitolari;
tariffari
per
il
prezzo
del
legname
confrontato
con
quello
di
altre
segherie;
note
per
il
pagamento
dei
barrocciai
che
trasportavano
il
legname
fino
al
porto
di
Poppi,
sull’Arno;
tabelle
per
gli
stipendi
dei
dipendenti;
ricevute
doganali;
contratti
di
vendita
del
legname;
atti
di
acquisto
di
nuovi
terreni
boschivi;
liti
per
lasciti
testamentari
o
per
problemi
di
vicinato,
particolarmente
vivaci
con
le
confinanti
foreste
dell’Opera
del
Duomo
di
Firenze;
lettere
che
chiedono
consigli
tecnici;
documenti
con
i
quali
il
Granduca
di
Toscana
nel
1817
affida
ai
Camaldolesi
le
suddette
foreste
dell’Opera
del
Duomo;
memorie
presentate
al
Parlamento
del
nuovo
Stato
Italiano
dai
Comuni
del
Casentino
per
scongiurare
la
soppressione
della
comunità
monastica
e
della
sua
foresta,
carte
amministrative
della
nuova
amministrazione
demaniale
che
si
serve
della
competenza
tecnica
dei
"monaci
soppressi"e
di
uno
in
particolare
che
lavora
a
tempo
pieno
presso
il
nuovo
ufficio
statale;
Figura
2.3
-‐
Gli
abeti
venivano
abbattuti
con
grandi
seghe,
accette,
cunei;
sramati
e
sezionati
in
lunghezze
utili,
legati
ai
buoi
e
trascinati
per
le
bordonaie,
le
vie
di
esbosco
delimitate
da
pali
infissi
(bordoni).
Arrivati
a
valle
i
tronchi
venivano
messi
in
acqua
nei
“porti”
sull’Arno
(rimangono
oggi
i
toponimi
“Porto”
a
Poppi
e
a
Pratovecchio).
Con
il
termine
Fodero
si
indica
una
sorta
di
grande
zattera,
costruita
da
più
tronchi,
legati
insieme
mediante
grosse
vitalbe
o
corde.
Il
fodero
veniva
quindi
immesso
nella
corrente
del
fiume,
e
guidato
con
lunghe
pertiche
dai
foderatori
che
vi
salivano
sopra.
63
Lettera
“De
optimo
genere
interpretandi”
(Epistola
57)
di
San
Gerolamo
a
Pammachio,
suo
amico
e
protettore
a
Roma,
per
difendersi
dall’accusa
che
gli
era
stata
mossa
da
un
suo
avversario
secondo
il
quale
egli
non
sapeva
tradurre
bene.
San
Gerolamo
grande
traduttore
(a
lui
si
deve
la
prima
Bibbia
in
latino),
è
il
santo
protettore
dei
traduttori
e
il
patrono
degli
archeologi
ed
è
venerato
come
uno
dei
maggiori
4
dottori
della
chiesa;
64
Non
è
facile
per
uno
che
segue
il
filo
dei
pensieri
di
un
altro
non
scostarsene
in
nessun
punto.
È
una
vera
impresa
riuscire
a
conservare
in
una
traduzione
lo
stesso
fascino
con
cui
sono
state
espresse
le
immagini
nella
lingua
originale.
Traduzione
di
Don
Silvano
Cola
(+2007),
responsabile
del
movimento
sacerdotale
dei
Focolarini;
65
Regula
monachorum
o
Sancta
Regula,
dettata
da
San
Benedetto
da
Norcia
nel
534;
c)
d)
Figura
2.4
–Particolari
di
“Regola
della
vita
eremitica”;
a)
e
b)
Prefazione
di
dom
Silvano
Razzi;
c)
Proemio;
d)
ultima
pagina
con
timbro
della
stamperia
Bartolomeo
Sermartelli
di
Firenze;
L’intero
volume
in
formato
digitale
è
disponibile
su
www.inea.it/prog/camaldoli.
72
EVR,
Cap.
4,
pag.
24;
73
EVR,
Cap.
4,
pp.
23-‐24;
74
EVR,
Cap.
4,
pag.
24;
75
EVR,
Cap.
4,
pag.
21;
76
Pierluigi
Licciardello
ricercatore
e
studioso
di
letteratura
latina
e
angiografia,
per
la
Società
nazionale
per
lo
Studio
del
Medioevo
Latino
(SISMEL)
ha
pubblicato
la
prima
edizione
critica
delle
due
più
antiche
costituzioni
di
Camaldoli;
77
Nelle
costituzioni
di
Rodolfo
II-‐III
merita
un’attenzione
particolare
il
capitolo
46,
De
Significatione
septenarum
arborum,
citato
precedentemente,
dove
è
evidente
il
rimando
al
versetto
del
profeta
Isaia:
“Pianterò
cedri
nel
deserto,
acacie,
mirti
e
ulivi;
porrò
nella
steppa
cipressi,
olmi
insieme
con
abeti”
(41,19);
78
EVR
Cap.
43
“Quale
debba
essere
il
Priore
dell’Eremo,
ò
vero
Maggiore”,
pag.
187;
79
Un’altra
metafora
biblica
molto
suggestiva
ricorre
nel
EVR
al
Cap.
50
“Qualmente
à
gl’Eremiti
siano
ministrate
tutte
le
cose
all’humana
vita
necessarie”,
pp.
222-‐223;
80
EVR,
Cap.
35
“Dell’opera
necessarie
delle
mani”,
pag.
155;
86
EVR,
Cap.
35,
citato,
pag.
156;
87
EVR,
Cap.
35,
idem,
pag.
155;
88
EVR,
Cap.
36
“Del
fuggire
l’ociosità,
et
perdi
mento
del
tempo:
et
dell’acquistare
il
bene
della
quiete,
et
stabilità”,
pag.
160;
89
EVR,
Cap.
35,
citato,
pag.
157;
90
EVR,
Cap.
6
“Dell’Hospizio
dell’Eremo,
diviso,
et
separato
dalle
Celle
de
gl’Eremiti”,
pp.
31-‐32;
91
EVR,
Cap.
35,
citato,
pp.
156-‐157;
95
EVR,
Cap.
45
“Dell’uso
del
Capitolo,
et
delle
cose,
che
in
esso
deono
farsi”,
pp.
204-‐205;
96
EVR,
Cap.
7
“Chi
siano
quei,
che
debbano
essere
deputati
all’Hospizio
di
Camaldoli”,
pp.
32-‐33;
97
EVR,
Cap.
44
“Dello
eleggere
i
ministri,
et
ufficiali
dell’Eremo”,
pp.
190-‐191;
98
EVR,
Cap.
45,
citato,
pag.
204;
99
EVR,
Cap.
7,
citato,
pag.
34;
100
EVR,
Cap.
44
“Dello
eleggere
i
ministri,
et
ufficiali
dell’eremo”,
pp.
193-‐194.
Naturalmente
delle
funzioni
del
Camarlingo
di
Camaldoli
e
del
Cellelario
dell’Eremo,
la
Regola
parla
anche
in
altri
capitoli;
101
EVR,
Cap.
11
“Dell’Acquistare
la
perfetta
Ubbidienza”,
pag.
50;
102
EVR,
Cap.
12
“Di
dodici
gradi
della
Santa
Ubidienza”,
pp.
51-‐60;
103
Costituzioni
di
Gerardo,
Annales
Camaldulenses,
VI,
Ap.
Cl.
228;
104
EVR,
Cap.
44,
citato,
pp.
198-‐199;
105
EVR,
Cap.
6,
citato,
pag.
31;
106
Musolea
o
Villa
La
Mausolea,
in
località
Soci
a
Bibbiena,
(AR).
Antica
proprietà
e
azienda
agricola
Camaldolese,
fu
costruita
originariamente
intorno
agli
anni
1494-‐1496.
Distrutta
alla
metà
del
Seicento,
fu
ricostruita
nel
1682;
107
EVR,
Cap.
44,
citato,
pp.
199-‐200;
108
Cfr.
nota
100;
spiegato
il
perché
l’obiettivo
della
politica
forestale
messa
in
campo
dall’Ordine,
lungo
i
secoli,
sia
stato
quello
di
vivere
e
ricercare,
come
laici
selvicoltori
oppure
monaci,
la
perpetuità.109
Nella
Regola
emerge,
prima
di
tutto,
un’organizzazione
forestale
evoluta,
con
precise
ripartizioni
dei
poteri
decisionali
e
delle
competenze
direttive,
amministrative
e
di
cantiere.
Se
infatti
è
il
Capitolo,
come
si
è
già
detto,
a
deliberare
la
fattibilità
delle
proposte
e
a
prendere
tutte
le
decisioni,
il
codice
forestale
camaldolese
prevede
però
che
un
cenobita
sia
nominato
custode
della
foresta.
Una
mansione
istituita
per
la
prima
volta
nelle
costituzioni
del
1278:
«Per
la
conservazione
sia
deputato
uno
esclusivamente
per
questo,
il
quale
li
sappia
custodire
con
fedeltà
e
stia
attentamente
sollecito
che
gli
animali
non
sciupino
le
piantine
giovani.
E
nessun
altro
abbia
facoltà
di
tagliare
gli
abeti,
se
non
chi
ne
abbia
ricevuto
da
noi
speciale
incarico:
questi
solo
li
potrà
fare
abbattere
per
le
necessità
dell’eremo
e
del
monastero
di
Fontebuono,
esclusa
ogni
libertà
di
fare
donazioni
o
tagliate
arbitrarie».110
Si
tratta
di
un
passo
importante,
che
oltre
a
inaugurare
un
nuovo
incarico,
sottolinea
come
il
compito
principale
di
questa
figura
sia
quello
di
essere
“attentamente
sollecito”
alla
salvaguardia
delle
piante,
affinché
né
l’uomo
né
gli
animali
sciupino
o
danneggino
il
benessere
ambientale.
Il
Libro
entra,
ancora
una
volta,
più
nello
specifico.
Non
si
tratta
infatti
solo
di
un
custode
della
foresta,
ma
di
una
vera
e
propria
Guardia
degli
Abeti.
Un
servizio
talmente
importante,
chiarisce
Giustiniani,
che
il
monaco
che
lo
compie
può
ottenere
speciali
licenze
e
deroghe
particolari,
persino
nei
giorni
di
astinenza:
«Sia
oltre
ciò
deputato
uno
alla
loro
custodia;
&
à
questo
tale,
quando
in
cotale
servizio
fusse
molto
affaticato,
secondo
l’antiche
costituzioni
dell’Eremo,
i
giorni
deputati
all’astinenza,
sia
dato
del
vino.
E
chi
haverà
questa
cura
gli
custodisca
fedelmente,
&
sia
intento
a
provedere
sollecitamente,
che
i
piccoli
Abeti
non
siano,
ne
da
gl’huomini,
ne
dalle
bestie
offesi.
E
quando
se
n’ha
da
tagliare,
procuri
109
EVR,
Cap.
44,
Idem,
pag.
205;
110
Dalle
Costituzioni
di
Gerardo
del
1278,
in
Annales
Camaldulenses,
Vi,
Ap.
Caput
XXIX
cll.
230-‐231;
113
EVR,
Cap.
6
“Dell’Hospizio
dell’Eremo,
diviso,
et
separato
dalle
Celle
de
gl’Eremiti”,
pp.
31-‐32;
114
EVR,
Cap.
4,
citato,
pp.
22-‐23;
115
EVR,
Cap.
38
“Quando,
et
in
che
modo
possano
fuor
dell’Eremo
andare
gl’Eremiti”,
pag.
166;
116
EVR,
Cap.
36
“Del
fuggire
l’ociosità,
et
perdi
mento
del
tempo:
et
dell’acquistare
il
bene
della
quiete,
et
stabilità”,
pag.
161.
Altri
riferimenti
al
divieto
di
uscire
fuori
della
corona
degli
abeti,
nel
capitolo
35,
pp.
158-‐159;
117
EVR,
Cap.
4,
citato,
pag.
24;
118
EVR,
Cap.
340,
63v.
del
1279;
119
Cfr.
G.
Cacciamani,
L’antica
foresta
di
Camaldoli,
op.
cit.,
pp.
38-‐39;
120
EVR,
Cap.
4,
citato,
pag.
22;
121
EVR,
Cap.
4,
Idem,
pag.
23;
122
EVR,
Cap.
4,
Idem,
pag.
23;
123
EVR,
Cap.
4,
citato,
pag.
23;
124
EVR,
Cap.
4,
citato,
pag.
23;
125
EVR,
Cap.
50,
“Qalmente
à
gl’Eremiti
siano
ministrate
tutte
le
cose
all’humana
vita
necessarie”,
pag.
225;
126
EVR,
Cap.
Idem,
pp.
225-‐226;
127
EVR,
Cap.
54
“Di
quelle
cose,
le
quali,
oltre
la
comune
istituzione
appartengono
à
gl’Eremiti
rinchiusi”,
pp.
245-‐246;
Capitolo
terzo
I
Camaldolesi
l’ambiente
e
le
risorse
naturali
3.1 Camaldoli
Quelle
contenute
in
questo
capitolo
sono
vere
storie
di
boschi,
di
monaci
e
delle
loro
interazioni
che
hanno
caratterizzato,
nel
corso
di
un
millennio,
l’evoluzione
del
paesaggio
montano
tosco-‐umbro-‐
marchigiano,
settore
centrale
degli
Appennini
che
qualcuno
ha
definito
il
cuore,
lo
stomaco
della
nostra
penisola
(Rumiz,
2007).
Chi
scrive
non
è
uno
storico
né
un
esperto
di
religioni,
ma
un
ricercatore
di
ecologia
forestale
al
primo
approccio
con
una
storia
millenaria
articolata
e
complessa,
che
tenta
di
spiegare
a
se
stesso
e
a
chi
leggerà
queste
pagine,
alcune
delle
peculiari
sinergie,
tessutesi
nel
tempo,
fra
i
monaci
Camaldolesi
e
le
foreste
in
cui
hanno
vissuto
e
operato.
Come
già
evidenziato
nel
primo
capitolo
il
monachesimo
è
una
modalità
di
vivere
la
religiosità,
in
totale
o
parziale
solitudine,
trasversale
a
molte
religioni
(buddhismo,
cristianesimo,
induismo,
giainismo,
taoismo,
ecc.)
sebbene
con
differenze
anche
sostanziali.
Questo
fenomeno
in
occidente
e,
in
particolare
in
Italia,
costituì
fino
alla
fine
del
primo
millennio
un
importante
sistema
di
riferimento
per
una
società
devastata
dalla
tragica
caduta
dell’Impero
romano
e
dalle
successive
ondate
di
invasioni
barbariche.
Il
deserto
è
il
luogo
dove
inizialmente
gli
eremiti
si
recavano
per
affrontare,
solo
con
l’aiuto
di
Dio,
la
propria
natura
e
quella
del
mondo
e
costituisce
un
simbolo
ambivalente:
di
sterilità
senza
Dio
e
di
fertilità
con
Dio.
L’ascetismo
in
oriente
si
esplicava
anche
attraverso
esperienze
particolari
come
quelle
degli
“stiliti”
(da
stylos
colonna)
e
dei
“dendriti”
(da
dendron
albero)
che
trascorrevano
la
loro
esistenza
di
preghiera
e
penitenza
in
una
particolare
forma
di
“isolamento
pubblico”.
I
primi
vivevano
lunghissimi
periodi
(anche
diversi
anni)
sopra
colonne,
i
secondi
sopra
o
dentro
alberi
(Gregoire,
1990).
San
Simeone
Stilita
vissuto
ad
Antiochia
(Siria)
fra
il
IV
e
V
sec
d.C,
visse
Figura
3.1
–
San
Simeone
Stilita
in
un’icona
del
XVI
sec.
(Museo
storico
di
Sanok
(PL)
http://it.wikipedia.org/wiki).
Figura
3.2
–
Tori
giapponese
preannuncia
la
presenza
di
un
santuario
scintoista
(Jinja)
(foto
Jesse
Castanares
da
www.endaxei.com).
128
Dall’antico
persiano
“pairidaez”
che
significa
recinto,
parco,
giardino
a)
b)
Figura
3.3
–
Colonne
e
volte
gotiche
che
richiamano
alberi
e
foreste;
a)
Abbaye
de
Royaumont
(Photo©flickrmember
Panoramas)
b)
Hotel
de
Cluny
(foto
Sailko
www.
commons.wikimedia.org/wiki).
129
Qualsiasi
terreno
coperto
da
vegetazione
forestale
arborea,
associata
o
meno
a
quella
arbustiva,
di
origine
naturale
o
artificiale
e
in
qualsiasi
stadio
di
sviluppo,
con
un’estensione
non
inferiore
ai
2.000
metri
quadrati,
una
larghezza
media
non
inferiore
a
20
metri
e
una
copertura,
intesa
come
area
di
incidenza
delle
chiome,
non
inferiore
al
20%,
con
misurazioni
effettuate
dalla
base
esterna
dei
fusti.
Sono
compresi
tra
i
boschi
i
castagneti,
le
tartufaie
controllate
e
la
macchia
mediterranea
aventi
le
predette
caratteristiche.
Non
costituiscono
bosco
i
parchi
urbani,
i
giardini
pubblici
e
privati,
le
alberature
stradali,
i
castagneti
da
frutto
in
attualità
di
coltura,
gli
impianti
di
frutticoltura
e
di
arboricoltura
da
legno,
le
tartufaie
coltivate,
i
vivai
e
gli
orti
botanici
(Decreto
legislativo
n.
227/2001).
130
Fino
al
XIV
secolo,
era
la
via
più
breve
e
semplice
per
raggiungere
l’Italia
centrale
e
Roma.
Dal
Brennero,
attraverso
il
Veneto
e
la
Romagna,
raggiungeva
Forlì,
Bagno
di
Romagna,
da
qui
al
Passo
di
Serra
scendeva
in
Casentino
verso
Arezzo
per
innestarsi
poi
ad
Acquapendente
nella
Via
Francigena.
Essa
nota
come
"Romerstrasse"
in
Baviera,
"Via
Romea"
nella
Valle
del
Po,
"Via
Major”
in
documenti
medievali
aretini
e
camaldolesi
(www.viaromea.eu/serra.htm);
b)
Figura
3.4
Diversità
del
paesaggio
forestale
nei
due
versanti
verso
il
Passo
dei
Mandrioli:
a)
v.
romagnolo,
b)
v.
toscano
(Foto
Urbinati).
Il
paesaggio
si
trasforma
per
la
diversa
geologia
dei
due
versanti:
quello
romagnolo
ripido,
duro
ed
eroso,
per
l’abbondanza
di
formazioni
marnoso-‐arenacee
(localmente
denominate
“scalacce”);
quello
toscano
meno
acclive
e
morbido
per
la
presenza
di
formazioni
argillose
(Liguridi)
e
dove
le
copiose
acque
di
crinale
si
riversano
lentamente
nell’Arno,
che
tutte
le
raccoglie
dopo
aver
girovagato
fra
le
montagne
del
Casentino
per
condurle
verso
Firenze,
Pisa
e
Livorno.
Anche
Dante
Alighieri
nella
Divina
Commedia
riporta
questo
peculiare
aspetto
dell’area,
evidenziandone,
per
bocca
di
mastro
Adamo,
la
fertilità
silvo-‐pastorale,
(Inferno
Canto
XXX,
64-‐69):
«Li
ruscelletti
che
d'i
verdi
colli
del
Casentin
discendon
giuso
in
Arno,
faccendo
i
lor
canali
freddi
e
molli,
sempre
mi
stanno
innanzi
…».
Queste
acque,
come
quelle
del
vicino
Tevere
furono
le
vie
preferenziali
del
lungo
viaggio
che
gli
abeti
appenninici
fecero
nei
secoli
verso
il
Tirreno.
La
scelta
di
Romualdo
per
“Campo
Amabile”
probabilmente
non
fu
casuale,
come
Pier
Damiani
ci
racconta
riportando
le
parole
di
ammirazione
e
stupore
di
un
giovane
Romualdo
a
caccia
nei
boschi
del
ravennate
(Cacciamani,
1965):
«…
o
come
ben
potrebbero
qui
abitare
gli
eremiti
in
queste
boscherecce
solitudini
…».
Nella
Regula
Vitae
Eremiticae
è
scritto
inoltre
che:
«…
il
beato
Romualdo,
pervenuto
già
all’età
di
più
di
cento
anni,
desiderando
lasciare
ai
posteri,
&
mostrare
al
secolo
la
perfetta
Instituzione
della
vita
solitaria;
per
instituire
cotal
vita
più
perfettamente,
si
elesse,
ne
i
confini
di
Toscana,
e
in
sulla
quasi
più
alta
cima
dell’Appennino,
donde
si
può
facilmente
vedere
l’un
Mare,
&
l’altro,
un
luogo
tutto
cinto,
e
circondato
intorno
da
grandi,
e
folte
selve
d’altissimi
Abeti;
&
irrigato
continuamente
da
sette
lucidissimi,
&
chiarissimi
fonti».
Romualdo
era
infatti
già
avvezzo
alle
selve,
sia
nella
natia
Ravenna,
sia
nei
suoi
lunghi
viaggi
in
Italia
e
all’estero,
ma
rimase
particolarmente
attratto
dalle
caratteristiche
forestali
e
ambientali
del
luogo.
È
possibile
interpretare
la
scelta
di
Romualdo
anche
in
chiave
climatico-‐vegetazionale?
Ovvero
è
plausibile
che
il
peggioramento
estese
proprietà
forestali
dell’Opera
del
Duomo
di
Firenze,
una
vera
e
propria
azienda
a
carattere
economico
che
curava
l’utilizzazione,
il
trasporto
e
la
commercializzazione
di
una
cospicua
parte
del
legname
casentinese
e
le
cui
strategie
gestionali
non
possono,
oggi,
essere
considerate
come
esempi
di
sostenibilità.
Fig.
3.5
-‐
L’eremo
di
Camaldoli
(da
iconografia
in
Annales
Camaldulenses);
L’arrivo
dei
monaci
a
Camaldoli
e
la
loro
sensibilità
per
il
bosco
(cfr.
Cap
2)
ha
sicuramente
impedito,
a
giudicare
da
quanto
poi
avvenuto
nelle
terre
limitrofe,
il
processo
di
sfruttamento
forestale
che
enti
pubblici
e
privati
avrebbero
invece
perpetrato
nei
territori
Casentinesi.
Inoltre
la
loro
presenza
e
la
loro
attenta
cura
per
l’abete
bianco
hanno
contribuito
a
rallentare,
se
non
a
impedire
localmente,
il
naturale
processo
regressivo
di
questa
specie.
Cacciamani
(1965),
sintetizza
così
il
reciproco
rapporto
salvifico
fra
monaci
e
boschi:
«la
foresta
salvò
l’eremo
e
da
parte
sua
l’eremo,
dobbiamo
pur
dirla
questa
verità,
salvò
la
foresta».
Uno
dei
primi
obiettivi
dei
monaci
fu
infatti
la
conservazione
e
l’ampliamento
della
superficie
forestale
intorno
all’Eremo,
mediante
donazioni
e/o
l’acquisto
diretto
di
nuove
proprietà.
L’isolamento
dell’eremo
fu
ed
è
tuttora
una
delle
priorità
dei
monaci
romualdini
per
garantire
una
vita
il
più
possibile
contemplativa
e
priva
di
tentazioni
secolari,
ed
essi
si
appellarono
anche
alle
autorità
centrali
per
raggiungere
tale
obiettivo.
Sempre
secondo
il
Cacciamani
(1965)
l’intento
dei
Camaldolesi
nel
primo
periodo,
che
durò
fino
alla
fine
del
XIV
secolo,
fu
quello
di
assicurarsi
una
vasta
proprietà,
soprattutto
per
evitare
possibili
contrasti
con
i
numerosi
confinanti,
anche
perché
le
celle
dell’eremo
non
erano
ancora
racchiuse
nel
muro
di
cinta,
ma
solo
circondate
da
una
fitta
selva
di
grandi
abeti.
Essi
vollero
creare
un
continuum
fra
l’eremo
di
Campo
Amabile
e
il
cenobio
di
Fontebuono
e
quindi
iniziarono
una
paziente
opera
di
composizione
fondiaria
che
consentì
loro,
nonostante
la
pericolosa
vicinanza
dei
Conti
Guidi
di
Porrena,
di
integrare
i
territori
di
Metaleto,
Pucini
e
Cerreta
e
di
raggiungere
un’estensione
di
circa
1400-‐1500
ettari.
Inizialmente
la
foresta
ebbe
soprattutto
un
valore
mistico,
spirituale
e
l’approccio
materiale
al
bosco
fu
prevalentemente
di
tipo
“domestico”,
di
sussistenza,
ma
presto
emerse
la
necessità
dei
monaci
di
regolamentare
l’accesso
e
l’utilizzo
della
loro
crescente
proprietà
forestale.
La
loro
meticolosità
nel
registrare
e
controllare
131
A.C.I.
Ap.
Cll.
302-‐14
1866
era
di
circa
1442
ettari
di
cui
circa
la
metà
coltivata
ad
abete
bianco.
Gli
operai
erano
reclutati
da
paesi
vicini
(in
particolare
dal
paese
di
Moggiona)
e
dovevano
avere
almeno
18
anni
(limite
stabilito
nel
1549)
e
non
si
occupavano
solo
del
taglio
boschivo.
Vi
erano
infatti
i
conciatori,
ovvero
gli
addetti
alla
sramatura,
depezzatura,
squadratura
e
allestimento
del
legname;
i
barocciai,
conduttori
di
legname
addetti
al
trasporto
con
i
buoi
dei
carichi
(trahini)
dal
monastero
al
porto
fluviale
di
Poppi,
dove
veniva
fluitato
poi
sull’Arno.
Il
traino
o
trascino
era
formato
da
due
travi
parallele
legate
orizzontalmente
da
altre
più
piccoli,
e
costituiva
anche
una
sorta
di
unità
di
misura
per
il
legname
che
a
Camaldoli
corrispondeva
a
circa
a
0,396
metri
cubi.
Le
unità
di
misura
lineari
e
di
peso
erano
rispettivamente
il
braccio
fiorentino
corrispondente
a
0,584
m
e
l’oncia
toscana,
pari
a
28,28
g
(Cacciamani,
1965).
«Prima
che
que'legni,
i
quali
hanno
spesso
smisurate
dimensioni,
siano
condotti
ad
una
via
alquanto
battuta,
vi
è
l'opera
più
faticosa
di
smacchiarli,
cioè
di
(toglierli
di)
mezzo
alla
macchia,
ove
si
atterrano
a
colpi
di
accetta,
e
trasportarli
ad
una
strada
men
disagiata,
che
chiaman
treggiaia.
A
ciò
si
adoprano
dieci,
quindici
ed
anche
venti
paia
di
bovi,
che
conducono
si
fatti
legni
in
luogo,
donde
sia
poi
molto
più
facile
strascinarli.
Si
fanno
lì
per
lì
a
forza
di
zappa
passi
meno
disagevoli
e
sentieruzzi;
si
sottopongono
rulli
alla
trave,
si
giuoca
di
manovelle,
si
costringono
i
bovi
ad
inerpicarsi
per
erte
precipitose;
si
cangia
di
tratto
in
tratto
di
direzione;
spesso
le
diverse
forze,
perché
non
operano
tutte
ad
un
tempo
stesso,
riescono
inutili,
non
è
raro
il
caso
che
schiantandosi
per
soverchia
tensione
o
attrito
il
robusto
canapo,
che
riuniva
le
forze
di
quelle
povere
bestie,
una
parte
di
esse
siano
trascinate
e
travolte
dal
peso
del
legno
che
precipita
indietro».
Antonio
Bartolini,
1879
(Diari
di
viaggio).
132
Dall’antico
scandinavo
fodr
e
antico
germanico
fotar
e
poi
ted.
Futter,
che
significano
guaina,
ma
più
propriamente
paglia.
Per
similitudine
indica
un
fascio
di
legname
o
travi
legate
insieme
per
trasporto
in
acqua
(www.etimo.it).
una
stagione
silvana
si
procedeva
ad
una
riduzione
del
quantitativo
nell’anno
successivo
e
anche
alla
rinnovazione
artificiale
con
piantagione
posticipata
(Cacciamani,
1965).
Gli
Atti
capitolari
e
i
cosiddetti
“fogli
sparsi”
costituiscono
una
ricchissima
fonte
di
informazioni
da
cui
sarà
possibile
desumere
molte
indicazioni
di
carattere
selvicolturale,
ma
che
dovranno
essere
adeguatamente
contestualizzate
e
cronologicamente
differenziate.
Operazione
questa,
fondamentale
per
la
ricostruzione
dei
dinamismi
del
paesaggio
forestale
e
dei
cambiamenti
negli
indirizzi
gestionali
e
nelle
tecniche
colturali.
A
titolo
indicativo
si
riportano,
in
modo
non
sequenziale,
alcuni
aspetti
caratterizzanti
della
gestione
forestale
camaldolese,
evidenziati
da
due
monaci
in
seguito
alla
consultazione
dei
documenti
originali
(Cacciamani,
1965;
Frigerio,
2003):
• i
tagli
erano
prevalentemente
fitosanitari
con
ripuliture
del
sottobosco,
ma
anche
a
scelta
per
assortimenti
particolari
(alberi
maestri
per
navi);
pochissimi
erano
i
tagli
estensivi
(a
raso);
• i
tagli
erano
eseguiti
con
seghe
e
“a
raso
terra”
ovvero
il
più
in
basso
possibile
a
livello
del
suolo
per
ridurre
le
perdite;
• i
tagli
venivano
eseguiti
“a
rate”
ovvero
a
rotazione,
dilazionati
in
periodi
successivi
senza
sconfinare
in
aree
non
consentite;
• alcune
superfici
venivano
rilasciate
all’evoluzione
spontanea;
• i
tronchi
per
travature
venivano
squadrati
in
bosco,
mentre
quelli
destinati
ad
assortimenti
tondi
(tondame
o
antenne)
venivano
inviati
alla
segheria
presso
il
cenobio,
insieme
ai
cimali
degli
abeti
svettati;
• la
quantità
di
sole
antenne
superava
i
600
traini
all’anno.
Il
materiale
legnoso
non
idoneo
per
la
segheria
veniva
selezionato
in
bosco;
• la
massa
legnosa
ottenuta
doveva
essere
sufficiente
per
i
depositi
di
Firenze
ed
Arezzo
(dato
non
quantificato).
Gli
impianti
nel
secolo
XIX
venivano
eseguiti
in
posti
«vacui
delle
abetine,
che
non
mancano;
i
più
solativi
e
meglio
esposti».
Dopo
aver
ben
ripulito
l’area
(cfr.
il
termine
ronco
in
nota
133)
ed
eseguito
l’impianto
si
procedeva
a
eseguire:
una
sorta
di
pacciamatura
che
aveva
anche
una
funzione
di
protezione
dal
morso
del
bestiame,
una
sarchiatura
manuale
per
rimuovere
tutte
le
erbe
“estranee”
e
operazioni
di
regimazione
idraulica
per
evitare
pericolosi
ristagni
d’acque
nelle
piazzole
d’impianto.
«Tali
piantate
si
chiuderanno,
secondo
l’antico
uso,
con
le
abetelle
soffocate,
per
tutelarle
dall’essere
molestate,
e
distrutte…
dalle
bestie
pascolanti…
Un
poco
per
anno
…
si
purgheranno
i
giovani
abetioli
dalle
piante
estranee,
qualunque
esse
siano,
che
si
sono
mescolate…,
si
avrà
cura
di
restituire
il
libero
corso
delle
acque,
per
impedire
i
loro
ristagni,
e
rimpozzi,
quali
per
il
loro
troppo
umido,
e
fomento
dell’eccessivo
gelo
dell’inverno,
oltre
il
cagionare
ammottamenti
di
terreno,
pregiudicano
alle
abetine,
a
praterie,
come
alle
strade».(Regolamento
del
1841,
da
Cacciamani,
l.c.).
133
Dal
lat.
Runco
(forse
dal
gr.
Rughos
rostro)
sarchio
adunco
e
tagliente
per
svellere
gli
sterpi
dalle
giovani
messi;
134
Oggi
assortimento
legnoso
da
opera
(es.
toppo
da
sega);
in
passato
indicava
anche
qualsiasi
pezzo
di
legno
grosso
e
informe.
Probabilmente
dal
ger.
Stumpf
o
ingl.
Stump,
ceppaia;
135
Cfr
Cap.2.1
“Potrai
essere
abete
slanciato
nell’alto,
denso
di
ombre
e
turgido
di
fronde,
se
mediterai
le
altissime
verità,
e
contemplerai
le
cose
celesti,
se
penetrerai,
con
l’alta
cima,
nella
divina
bontà:
"sapiente
delle
cose
dell’alto”;
Figura
3.6
–
Bosco
di
abete
bianco
nei
pressi
dell’Eremo
di
Camaldoli
(Foto
Urbinati).
Figura
3.7
-‐
La
“Corona”
di
abeti
che
circonda
il
muro
dell’Eremo
di
Camaldoli
(Foto
Urbinati).
Quale
fosse
la
diffusione
e
il
ruolo
dell’abete
bianco,
all’arrivo
di
Romualdo,
non
è
quesito
di
semplice
soluzione.
La
letteratura
abbonda
di
analisi
e
ipotesi
sui
dinamismi
spazio-‐temporali
di
questa
importante
specie
nella
catena
appenninica
e
non
può
essere
questa
la
sede
per
approfondire
la
discussione.
Basti
ricordare
peraltro,
che
sia
le
vicende
climatiche
post-‐glaciali,
sia
la
più
recente
azione
antropica
hanno
contribuito,
individualmente
e
sinergicamente,
a
modificare
in
modo
significativo
l’areale
di
distribuzione
dell’abete,
oggi
molto
più
ridotto
rispetto
al
passato
(Gabbrielli
et
al.,
1990,
Lang,
1994,
Konnert
et
al.,
1995,
Tinner
et
al.,
2006)
(Fig.
3.8).
Recentissimi
dati
paleobotanici
e
genetici
(Liepelt
et
al.,
2009)
hanno
confermato
l’esistenza
di
cinque
rifugi
glaciali
(Konnert
et
al.,
1995):
gli
Appennini
centro-‐settentrionali,
i
Balcani,
il
Massiccio
centrale
(Francia),
i
Pirenei,
l’Appennino
calabro.
Analisi
genetiche
sull’abete
bianco
delle
Foreste
Casentinesi
hanno
evidenziato
l’origine
artificiale
delle
popolazioni
di
Campigna
e
Camaldoli
(oltre
Fig.
3.8
–
Areale
di
distribuzione
dell’abete
bianco
(Fonte
EUFORGEN,
www.euforgen.org);
Figura
3.9
–
Bosco
di
faggio
nei
pressi
della
Verna
(Foto
Urbinati).
137
Il
toponimo
“Massa”
indicava
un’unità
amministrativa
costituita
di
fondi
o
poderi
di
proprietà
della
Chiesa,
mentre
il
termine
“Trabaria”
è
relativo
all’abbondanza
di
assortimenti
per
travature
provenienti
da
abetine
e
altri
boschi
d’altofusto;
138
L’abete
bianco
può
raggiungere
anche
50-‐60
m
di
altezza
e
diametri
a
petto
d’uomo
ampiamente
superiori
al
metro,
corrispondenti
a
oltre
30
m3
di
legname;
Figura
3.10
-‐
L’abbazia
di
Val
di
Castro
(AN),
dove
morì
San
Romualdo,
in
un
incisione
attribuibile
al
XVIII
sec.
Sono
visibili
nel
bosco
individui
e
nuclei
di
abete
bianco,
non
più
presenti.
Il
Venerabile
Eremo
(cenobio
dal
1325)
di
Santa
Croce
in
Fonte
Avellana
a
sette
chilometri
dal
Comune
di
Serra
Sant’Abbondio
in
provincia
di
Pesaro
e
Urbino
al
confine
con
la
provincia
di
Perugia
è
stato
uno
tra
i
più
importanti
centri
monastici
della
religione
e
non
solo
d’Italia140.
Dal
X
al
XIV
secolo
esercitò,
infatti,
una
forte
influenza
sul
piano
economico,
civile,
sociale
e
politico.
Situato
nelle
Marche
alle
pendici
del
monte
Catria,
si
erge
a
680
m
sul
livello
del
mare
tra
le
valli
del
basso
corso
del
Cesano
e
del
Misa.
Diverse
pergamene
e
atti
notarili
lo
collocano
già
dal
IX
secolo
in
quelle
che
venivano
chiamate
Terre
di
Frattura,
compagine
di
diversi
borghi
o
corti
che
formano
oggi
gli
attuali
comuni
di
Monterado,
Castel
Colonna,
Scapezzano,
Cagli
e
Roncitelli.
Questa
era
la
principale
area
di
competenza
del
venerabile
Eremo
Avellanita,
in
passato
ricca
di
boschi
e
foreste
(faggio,
carpino,
orniello
e
nocciolo)
che
con
il
passare
del
tempo
sono
stati
sostituiti
da
aree
coltivate.
Tuttavia,
l’influenza
del
monastero
si
estendeva
su
una
vasta
regione,
che
si
allargava
a
quasi
tutte
le
Marche
e
a
buona
parte
dell’Umbria,
fino
alla
Romagna
a
nord
e
fino
a
Penne
d’Abruzzo
a
sud
con
appendici
isolate
in
Campania
e
in
Calabria.
All'inizio
del
XIV
secolo,
al
massimo
del
suo
splendore
contava
sicuramente
tre
Eremi
e
ventidue
Monasteri
che
vivevano
sulla
base
dell'ispirazione
romualdina.
La
localizzazione
delle
prime
celle
così
come
la
nascita
del
venerabile
Eremo
di
Fonte
Avellana
è
incerta.
Gli
storici
non
sono
concordi
né
sulla
data
in
cui
l’eremo
del
Catria
iniziò
la
sua
vita,
né
sul
nome
del
fondatore.
Alcuni
propendono
per
il
980,
ma
le
140
A
Fonte
Avellana
son
passati
76
tra
Beati
e
Santi,
54
vescovi,
5
Cardinali
e
inoltre
i
Papi
Celestino
II,
Innocenzo
III,
Celestino
V,
Giulio
II
della
Rovere
e
Gregorio
XVI.
Una
tradizione
ripresa,
anche
negli
Annales
Camaldulenses,
vuole
tra
gli
illustri
ospiti
intorno
al
1318,
persino
il
Sommo
Poeta
Dante
Alighieri,
che
citerà
l’eremo
nel
XXI
canto
del
paradiso
della
Divina
Commedia.
Figura
3.12
-‐
Tra
gli
elementi
costitutivi
lo
stemma
araldico
della
Comunità
Avellanita
troviamo
la
Croce
in
quanto
la
struttura
è
dedicata
alla
Santa
Croce
di
Cristo,
la
fonte,
ovvero
la
sorgente
vicino
alla
quale
stanziò
Lodolfo
nel
980,
due
alberi
di
avellane
(nocciolo),
un
tempo
molto
diffusi
nell’area
marchigiana
del
Monte
Catria
(disegno
di
S.Marongiu);
possedessero
nulla,
vivendo
di
elemosina
in
capanne,
del
lavoro
delle
loro
mani
e
coltivando
quel
poco
di
terreno
che
i
signori
avevano
concesso.
In
una
situazione
cosi
precaria,
i
primi
eremiti
chiesero
e
ottennero
la
salvaguardia
della
solitudine
e
quiete
del
luogo:
nessuna
abitazione
doveva
essere
costruita
entro
la
vallata
in
cui
sorgeva
l’eremo.
A
chiederla
fu
il
priore
Pietro,
detto
di
Rodolfo,
un
nobile
eugubino
che
due
anni
prima
si
era
fatto
monaco
a
Fonte
Avellana
insieme
al
fratello
Rodolfo.
La
carta
n.24
riferisce
invece
di
un’altra
garanzia
ottenuta
nel
1067
dal
priore
Baroncio:
alla
presenza
di
tutti
i
notabili
del
territorio
l’Eremo
di
Fonte
Avellana
venne
stabilito
che
l’Eremo
non
sarebbe
stato
mai
assoggettato
né
a
essi,
né
ai
loro
successori
o
eredi,
né
a
nessuna
chiesa
o
persona.
Questo
probabilmente
perché
i
rapporti
tra
l’eremo
e
i
signori
del
luogo
non
apparivano
più
cordiali
come
prima142.
Grazie
a
donazioni
e
concessioni
la
Comunità
di
Fonte
Avellana
divenne
presto
proprietaria
del
terreno
su
cui
l’Eremo
sorgeva,
e
nel
1194
anche
di
quello
circostante
con
la
donazione
di
una
parte
del
castello
e
della
corte
di
Campietro
fatta
da
Brancaleone
di
Serralta143.
La
primitiva
Chiesa
dedicata
a
sant’Andrea,
dopo
numerosi
rifacimenti
e
sovrapposizioni,
venne
dedicata
alla
Santa
Croce
e
consacrata
nel
1197.
L’eremo
nel
tempo
fu
arricchito
di
nuove
strutture
ed
edifici
di
pregevole
interesse
architettonico144.
142
Grazie
soprattutto
all’opera
di
San
Pier
Damiani,
vennero
fondati
e
riformati
altri
eremi
che
facevano
capo
a
Fonte
Avellana.
Nella
prima
metà
dell’XI
secolo
si
contavano
sei
monasteri
e
quattro
eremi.
I
monasteri
erano:
San
Nicolò
del
monte
Corno,
San
Bartolomeo
di
Camporeggiano,
San
Salvatore
di
Perugia,
San
Giovanni
di
Acereta,
San
Gregorio
in
Conca,
San
Vincenzo
di
Pietrapertusa
o
Pietralata.
Gli
eremi
erano
Fonte
Avellana,
Eremo
del
monte
Suavicino,
Eremo
del
Montepregio,
Eremo
di
San
Barnaba;
143
Brancaleone
di
Serralta,
signore
e
proprietario
di
fondi
nei
pressi
dell’Eremo
nel
periodo
cede
all'eremo
di
Fonte
Avellana
tutti
gli
usi
e
gli
abusi
che
ha
avuto
sugli
uomini
e
i
beni
dell'Eremo
stesso,
dovunque
abitino
e
si
trovino;
inoltre
dona
pro
anima
una
parte
del
castello
e
curtis
di
Campetri,
con
gli
homines
e
le
possessioni,
entro
i
confini
specificati
(Carte
Di
Fonte
Avellana
2,
n.
344
bis
(1140-‐1202),
Instrumentum
donationis
pro
anima
et
concessionis,
data
1194,
ottobre
22;
144
Fonte
Avellana
è
stata
Eremo
fino
al
1325,
poi
fu
trasformata
in
cenobio,
mettendo
in
comunicazione
le
celle
con
un
unico
corridoio.
Oggi
è
presente
un
chiostro
con
una
cripta,
la
torre
campanaria
eretta
nel
1482,
la
sagrestia,
il
refettorio
e
il
coro
finemente
intagliato.
Il
locale
più
austero
è
senza
dubbio
lo
scriptorium,
voluto
da
San
Pier
Damiani
in
un
ambiente
nudo,
austero,
adibito
ad
officina
libraria
dove
operavano
gli
amanuensi.
Il
corpo
di
fabbrica
del
Monastero
è
romano-‐gotico;
Secondo
un
censimento
di
tutte
le
obbedienze
avellanesi
fatto
tra
1227-‐29,
il
monastero
di
Fonte
Avellana
costituiva
una
vera
e
propria
signorìa
rurale.
In
un
elenco
del
XIII
secolo
(Pierucci,
1973)
sulle
dipendenze
del
monastero
e
sul
numero
di
monaci
in
ciascuna
di
esse,
si
parla
di
4
abbazie,
10
priorati,
35
chiese
“private”,
numerose
chiese
rurali,
2
pievi,
7
cappelle,
5
castelli
e
diverse
fattorie.
I
monaci
in
totale
erano
circa
150
e
almeno
280
fra
conversi
e
oblati
dislocati
fra
le
abbazie
e
le
varie
obbedienze.
Figura
3.13
-‐
Monastero
di
Fonte
Avellana,
sopra
il
loggiato
di
ingresso,
vi
è
posta
una
targa
con
incise
le
rime
del
XXI°
canto
del
Paradiso
di
Dante
Alighieri:
Tra
due
liti
d'Italia
surgon
sassi,
e
non
molto
distanti
a
la
tua
patria,
tanto
che
troni
assai
suonan
più
bassi,
e
fanno
un
gibbo
che
si
chiama
Catria,
di
sotto
al
quale
è
consecrato
un
ermo,
che
suole
esser
disposto
a
sola
latria.
Sulla
destra
della
foto
sono
visibili
i
lucernai
dello
Scriptorium
(foto
di
Renio
Linosi).
Figura
3.14
–
San
Pier
Damiani,
opera
di
Andrea
Barbiani,
1776;
Biblioteca
Classense,
Ravenna.
proseguì
con
forza
e
subì
una
parziale
inversione
di
marcia
nei
secoli
XIV
e
XV.
A
partire
da
allora,
infatti,
inizia
a
profilarsi
in
Italia
una
potente
ripresa
economica
sia
nelle
campagne
che
nelle
città.
La
popolazione
aumenta,
si
moltiplicano
gli
scambi
e
i
mercati,
cresce
la
richiesta
di
danaro
e
credito.
La
popolazione
raddoppiò,
raggiungendo
i
7-‐9
milioni.
Caratteristico
dell’Italia
fu
l’aumento
della
popolazione
urbana
proveniente
dalle
campagne,
che
in
certe
regioni
risultò
in
un
rapporto
demografico
superiore
o
pari
fra
città
e
contado.
Il
tipo
di
struttura
predominante
divenne
la
città
agricola,
una
società
mista
di
nobili,
negozianti,
artigiani,
notai
e
contadini.
La
popolazione
artigiana
si
concentrava
nelle
città
ma
l’effetto
dell’espansione
commerciale
contribuì
a
far
aumentare
il
numero
dei
piccoli
commercianti
anche
nei
villaggi
del
contado.
Quindi
i
rapporti
demografici
fra
città
e
contado
corrispondevano
solo
in
parte
a
una
effettiva
divisione
del
lavoro.
Tale
trasformazione
interessò
tutta
l’Italia,
sebbene
non
con
la
stessa
intensità.
Nel
sud
la
classe
dominante
viveva
ancora
vicina
alla
terra,
che
rimaneva
la
principale
fonte
di
ricchezza,
mentre
nel
nord
si
svilupparono
le
grandi
città
e
gli
scambi
commerciali.
Tuttavia
commercio
e
agricoltura
rimanevano
strettamente
interdipendenti:
molti
contadini
lavoravano
anche
come
artigiani,
buona
parte
dei
piccoli
commercianti
possedevano
terreni
e
c’era
una
stretta
alleanza
tra
interessi
terrieri
e
mercantili.
Non
è
ancora
chiaro
se
la
ripresa
economica
di
cui
si
parla
sia
partita
dalle
città
o
dalle
campagne
e
se
l’aumento
della
popolazione
sia
stato
una
causa
o
una
conseguenza
dell’aumento
della
produttività
agricola.
Le
fonti
italiane
non
danno
una
chiara
risposta
a
riguardo.
Emerge
però
l’esistenza
di
una
stretta
interdipendenza
fra
lo
sviluppo
urbano
e
quello
rurale
del
quale
il
principale
indizio
era
una
crescente
richiesta
di
terra
e
prodotti
agricoli
(registrato
in
parte
dal
X
al
XIII
secolo)
e
un
costante
rialzo
dei
prezzi
fondiari
e
agricoli.
Figura
3.15
–
I
monaci
dissodatori,
rappresentarono
una
fase
importante
di
trasformazione
territoriale
ed
economica
del
mondo
rurale
tra
il
X
e
il
XIII
secolo.
I
monaci
benedettini
in
particolare
svolsero
grandi
opere
di
bonifica,
introducendo
nuovi
sistemi
di
coltivazione,
disboscando
e
gestendo
aree
forestali.
(in
valsesiascuole.it).
146
Boschi,
foreste,
pascoli
e
anche
seminativi
ad
uso
collettivo.
Figura
3.16
–
Le
quattro
stagioni
e
il
lavoro
dei
contadini:
il
fluire
del
tempo
è
scandito
dalla
natura
e
dall'uomo
(BNF,
FR
135)
fol.
327,
Barthélemy
l'Anglais,
Le
Livre
des
Propriétés
des
choses,
France,
L'Anjou,
Maine
XVe
s.
(90
x
90
mm).
Immagine
messa
in
rete
dalla
Bibliothèque
nationale
de
France.
148
Carte
di
Fonte
Avellana,
1
(975-‐1139),
a
cura
di
C.
Pierucci
e
A.
Polverari,
Roma
1972;
idem,
2
(1140-‐1202),
a
cura
di
C.
Pierucci
e
A.
Polverari,
Roma
1977;
idem,
3
(1203-‐1237),
a
cura
di
C.
Pierucci,
Fonte
Avellana
1986;
idem,
4
(1238-‐1253),
a
cura
di
R.
Bernacchia,
Fonte
Avellana
1989;
idem,
5
(1254-‐
1265),
a
cura
di
A.
Polverari
(†),
Fonte
Avellana
1992;
idem,
6,
Regesti
degli
anni
1265-1294,
a
cura
di
E.
Baldetti,
Fonte
Avellana
1994;
idem,
7,
Regesti
degli
anni
1295-1325,
a
cura
di
E.
Baldetti,
Fonte
Avellana
2000;
149
Con
il
progetto
Codice
forestale
camaldolese
e
grazie
ad
un
contributo
della
Regione
Marche
si
procederà
alla
digitalizzazione
di
parte
del
materiale
avellanita
custodito
presso
l’Archivio
di
Stato
di
Pesaro
e
il
Collegio
Germanico
di
Roma;
Quando
san
Pier
Damiani
divenne
priore
di
Fonte
Avellana
(dal
1043
al
1057)
una
delle
prime
cose
a
cui
dovette
provvedere
fu
l’assicurare
alla
Comunità
(composta
allora
da
una
trentina
di
persone)
una
base
economica
sufficiente
al
loro
mantenimento,
alleggerendo
così
gli
eremiti
da
quelle
preoccupazioni
che
li
avrebbero
distolti
dalla
vita
contemplativa.
Incominciò
a
farlo
accorpando
alcuni
terreni
agricoli
nei
dintorni
dell’eremo.
Gli
atti
e
i
documenti
citano
tre
donazioni,
un
acquisto
e
una
enfiteusi.
Non
essendoci
documenti
precisi
non
si
sa
se
prima
di
questo
accorpamento
l’eremo
avesse
già
possedimenti.
Vi
è
però
un
documento,
posteriore
di
soli
quattro
mesi
e
mezzo
alla
morte
di
Pier
Damiani
(+1072)
in
cui
si
afferma
che
i
possedimenti
dell’eremo
erano
ben
più
numerosi.
Secondo
i
lavori
di
ricerca
su
Fonte
Avellana
eseguiti
da
Manlio
Brunetti
(2005,
ecc.)
il
patrimonio
agrario
della
Comunità
era
rappresentato
nel
XII
secolo
da
una
proprietà
di
circa
4.000
ettari,
in
cui
esistevano
oltre
alle
obbedienze
variamente
sparse,
due
grandi
aziende
agrarie:
Santa
Maria
del
Piano
e
Frattula.
La
prima
si
estendeva
per
un
migliaio
di
ettari,
la
seconda
per
circa
duemilasettecento
ettari.
Si
trattava,
dunque
di
una
proprietà
in
generale
compatta
e
unitaria,
frutto
di
un
progetto
di
accorpamento
delle
donazioni
portato
avanti
dai
monaci
stessi.
Il
frazionamento
provocato
dalle
divisioni
successorie
è
attestato
da
alcune
chartae
donationis
(Buscarini
Spalla,
1978)
dalle
quali
si
deduce
che
la
proprietà
era
composta
da
porzioni
di
territori
disseminate
in
più
luoghi
e
più
fondi
e
anche
in
più
territori.
I
documenti,
sono
infatti
corredati
da
minuziose
descrizioni
dei
confini
su
cui
si
attestano
nei
lati
i
nomi
dei
diversi
proprietari.
Gli
atti
di
trasmissione
della
terra
solo
raramente
contengono
indicazioni
relative
all’estensione,
e
si
parla
di
fundus,
mansus,
pecia
de
terra
senza
riferimento
alla
come
non
si
trova
nulla
di
preciso
sulla
valenza
religiosa
del
lavoro
agricolo.
Anche
se
non
si
hanno
documenti
precisi
su
cooperativismo,
specializzazione
del
lavoro
agricolo,
pratiche
innovatrici
e
miglioratrici,
regimazione
delle
acque,
ecc.,
i
fatti
e
gli
eventi
riportati
nelle
Carte
e
in
altri
documenti
storici
se
letti
congiuntamente
avallano
però
l’ipotesi
che
i
monaci
abbiano
agito
in
questa
direzione.
In
primis,
nelle
lettere
di
san
Pier
Damiani
ai
monasteri
da
lui
riformati
si
legge:
«il
lavoro
umano
è
collaborazione
alla
creazione
divina»
e
che
è,
«doveroso
costringere
con
il
lavoro
la
terra
a
produrre
sempre
di
più
e
sempre
meglio».
Non
solo
quanto
basta
alla
sopravvivenza
ma
quanto
può
assicurare
e
migliorare
il
presente
e
il
futuro
di
monaci
e
contadini.
Non
si
fa
troppa
fatica
a
individuarne
tra
le
righe
di
queste
lettere
la
spinta
innovativa,
la
visione
nuova,
specialmente
per
il
futuro
orizzonte
temporale,
inesistente
per
i
contadini
del
medioevo.
Con
questo
spirito,
Fonte
Avellana
diventa
amministratore
della
propria
ricchezza,
andando
a
costituire
una
signoria
piuttosto
insolita
per
il
periodo.
A
differenza
della
signoria
fondiaria
dove
il
proprietario
fondiario
esercitava
nei
riguardi
di
coloro
che
coltivavano
e
abitavano
le
sue
terre
oltre
alla
locazione
anche
diritti
extraeconomici,
obblighi,
contribuzioni
e
prestazioni
diverse,
Fonte
Avellana
amministrava
la
propria
ricchezza
a
servizio
dei
contadini
e
dei
poveri.
Inoltre,
Fonte
Avellana
si
distingueva
dalle
signorìe
agrarie
degli
altri
Enti
religiosi
in
quanto
i
monaci
erano
presenti
in
loco,
tra
i
contadini,
tra
la
gente
senza
per
questo
dover
rinunciare
alla
vocazione
o
all’eremo.
Di
fatto
l’eremo
continuava
nell’obbedienza
e
la
corte,
pur
lontana
dall’eremo,
era
come
se
ne
fosse
immersa.
Nelle
due
aziende
avellanite
la
comunità
di
agricoltori
si
affiancava
alla
regola”
che
sia
san
Romualdo
che
san
Pier
Damiani
hanno
permesso,
non
accettando
regole
uniformi
e
immodificabili
e
dando
libertà
di
scelta
e
movimento
ai
monaci
a
seconda
dei
contesti.
D’altronde
soltanto
una
interpretazione
“moderna”
delle
regole
poteva
realizzare
un’azione
originale
e
unica.
Talmente
originale
che
la
Chiesa
inviò
a
Fonte
Avellana
nel
1260
Guido,
vescovo
di
Camerino,
il
quale
in
un
periodo
particolarmente
burrascoso
per
la
morale
della
Chiesa,
non
poté
far
altro
che
ratificare
e
autorizzare
il
progetto
di
riforma
agraria
in
atto.
Anche
perché,
in
tutto
questo
processo
di
cambiamento,
i
monaci
rimasero
fedeli
al
loro
spirito
evangelico,
continuarono
a
vivere
distaccati
dalle
ricchezze
e
dalla
enorme
autorità
in
breve
tempo
acquistata.
La
loro
vita
era
diventata
uno
strumento
per
l’elevazione
morale
del
popolo
che
viveva
nelle
campagne,
formato
da
poveri
e
umili.
Di
tutto
il
reddito
e
i
prodotti
del
lavoro
agricolo
i
veri
e
unici
beneficiari
erano
i
contadini.
Ai
monaci
andava
soltanto
una
somma
d’ingresso
derivante
dall’assegnazione
delle
terre
(laudemio)
e
un
pagamento
annuale
esiguo
utilizzato
in
parte
per
il
sostentamento
e
in
parte
per
la
manutenzione
dell’eremo.
Per
quanto
riguarda
l’assegnazione,
l’eremo
assegnava
gli
appezzamenti
sulla
base
del
numero
di
persone
della
famiglia
contadina.
Le
bestie
venivano
assegnate
in
base
alla
terra.
Come
emerge
dai
documenti
(Mercatili
Indelicato,
1978)
nei
territori
avellaniti
c’era
una
precisa
organizzazione
sociale
e
cooperativa
dei
contadini.
Erano
presenti
strutture
come
i
monti
frumentari
e
sementieri152,
magazzini,
attrezzi
agricoli,
di
stalla,
di
bestie
da
lavoro,
ospedali,
farmacie,
medici.
In
pratica
tutte
le
strutture
e
specializzazioni
tecniche,
professionali
e
amministrative
senza
di
cui
nessuna
azienda
avrebbe
potuto
funzionare
e
durare.
Veniva
praticata
la
divisione
del
lavoro
nelle
diverse
attività
152
I
monti
frumentari
e
sementieri
nacquero
per
prestare
ai
contadini
più
poveri
il
grano
e
l’orzo
per
la
semina.
Capitava,
infatti,
che
a
causa
delle
ristrettezze
e
della
povertà,
alcuni
contadini
fossero
costretti
a
mangiare
anche
quanto
doveva
essere
riservato
alla
semina.
Erano
un
supporto
al
ciclo
agrario;
Figura
3.17
-‐
Affresco
del
ciclo
dei
Mesi
di
Torre
Aquila,
opera
di
Venceslao
1400
è
un
vero
e
proprio
repertorio
di
cultura
materiale,
in
cui
si
distinguono
gli
o ggetti
d ell’attività
q uotidiana
d i
p astori
e
c ontadini.
Capitolo
quarto
Tra
passato
e
presente
Le
funzioni
attribuite
al
bosco
nella
storia,
e
ciò
che
di
queste
la
società
ha
ritenuto
opportuno
tutelare
o
migliorare,
sono
progressivamente
cambiate.
Oggi
le
foreste
hanno
un
numero
sempre
più
crescente
di
“utenti”
che
richiedono
servizi
molto
diversi
e
spesso
non
facilmente
conciliabili
tra
loro.
Questi,
inoltre
non
sempre
possono
integrarsi
e
avere
soluzioni
favorevoli
senza
l’intervento
dell’uomo.
In
questo
contesto
è
ormai
ampiamente
riconosciuto
il
ruolo
“polifunzionale”
svolto
dalle
foreste
per
la
società
e
per
gli
equilibri
ecologici
del
pianeta.
Questo
ruolo
non
si
limita
più
alla
sola
storica
“funzione
produttiva”,
strettamente
correlata
all’ottenimento
di
legname.
In
ogni
epoca
e
in
ogni
società
il
bosco
ha
comunque
svolto,
oltre
e
insieme
a
questa,
anche
altre
funzioni,
che
potremmo
indicare
come
di
rifugio,
di
sussistenza,
di
supporto
e
riserva
per
l’agricoltura,
l’allevamento
e
l’industria
artigianale,
etc..
In
sintesi,
un
utilizzo
multiplo
legato
alla
funzione
produttiva.
L’utilizzo
delle
risorse
forestali
è,
quindi,
da
sempre
strettamente
legato
alle
contingenti
esigenze
locali
e
contestualizzato
alle
necessità
storiche.
Attualmente
la
nostra
società
riconosce
principalmente
quattro
funzioni
svolte
dalle
foreste,
che
risultano
comunque
una
imprescindibile
dall’altra:
la
funzione
produttiva,
la
funzione
protettivo-‐ambientale,
la
funzione
ecologico-‐paesaggistica
e
la
funzione
socio-‐culturale.
Le
scienze
e
la
ricerca,
ma
soprattutto
l’esperienza
e
la
storia
del
rapporto
di
utilizzo
che
l’uomo
ha
avuto
e
che
ha
con
le
risorse
naturali,
ci
insegnano
come
solo
attraverso
una
sana
convivenza
tra
foreste
e
attività
umane,
possono
essere
garantite
contemporaneamente
tutte
le
funzioni
e
componenti
che
il
patrimonio
forestale
svolge.
Convivenza
che
si
sviluppa
in
un
corretto
rapporto
di
gestione
del
territorio,
anche
e
soprattutto
per
158
La
fabbricazione
della
birra,
l'apicoltura,
la
frutticoltura,
le
vigne;
La
stessa
scoperta
dello
champagne
si
può
far
risalire
a
un
monaco
benedettino,
dom
Perignon,
dell'abbazia
di
Saint
Pierre
a
Hautvillers
sulla
Marna;
Portarono
inoltre
il
commercio
del
grano
in
Svezia,
la
fabbricazione
del
formaggio
a
Parma,
i
vivai
di
salmone
in
Irlanda;
159
Il
legame
con
i
monaci
era
talmente
forte
che
ritorna
nel
detto
“ubi
fratres,
ibi
abies”-‐
dove
ci
sono
i
frati,
lì
c'è
l'abete;
160
Cfr.
Genesi
Cap.
2,15;
162
Il
vero
significato
della
vita
è
piantare
alberi,
senza
aspettarsi
di
godere
della
loro
ombra;
Tabella
4.1
-
Confronto
tra
Criteri
di
GFS
e
Criteri
di
Gestione
Camaldolese.
GESTIONE
FORESTALE
Principali
criteri
adottati
nella
Gestione
Criteri
di
Gestione
Sostenibile
Camaldolese
“…
che
i
boschi,
…
non
siamo
scemati,
ne
diminuiti
in
niun
modo,
ma
più
tosto
allargati,
&
cresciuti”.
1.
Le
pratiche
di
gestione
forestale
devono
mirare
La
loro
continua
azione
di
conservazione
dell’abete,
a
mantenere
e
migliorare
il
valore
economico,
principalmente
a
fini
“spirituali”
e
ecologico
e
culturale
delle
risorse,
salvaguardare
la
conseguentemente
a
fii
economici,
ha
permesso
lo
quantità
e
la
qualità
delle
risorse
nel
medio-‐lungo
sviluppo
di
un
ecosistema
a
elevata
valenza
periodo
bilanciando
l’utilizzazione
col
tasso
di
naturalistica
e
paesaggistica
ancora
oggi
presente
e
incremento,
contribuire
ad
attutire
i
cambiamenti
vitale.
climatici
favorendo
la
fissazione
del
carbonio;
Il
tasso
di
prelievo
veniva
compensato
da
piantumazione
artificiale
in
relazione
all’andamento
della
stagione
silvana;
Le
pratiche
selvicolturali
definite
con
vincoli,
indirizzi
e
criteri
per
la
gestione
garantivano
il
rispetto
degli
ecosistemi
con:
2.
I
piani
e
programmi
forestali
devono
riportare
-‐ tagli
fitosanitari
che
garantivano
l’affermarsi
azioni
volte
a
rispettare
il
più
possibile
i
processi
della
rinnovazione;
naturali,
favorendo
la
diversità
genetica
e
le
specie
-‐ pacciamature
che
proteggevano
le
piante
dai
autoctone.
danni
provocati
dagli
animali;
Le
tecniche
di
analisi
e
le
pratiche
selvicolturali
-‐ interventi
idraulico-‐forestali
per
evitare
il
dovrebbero
essere
meno
invasive
al
fine
di
non
ristagno
dell’acqua;
incidere
sugli
ecosistemi,
sulle
risorse
idriche.
Come
modalità
di
taglio
veniva
utilizzato
il
taglio
“a
Vanno
programmate
azioni
mirate
alla
riduzione
e
rate”,
paragonabile
con
l’attuale
taglio
a
buche
che
protezione
dell’inquinamento.
garantiva
spazi
non
interessati
dalle
utilizzazioni
e
Azioni
di
monitoraggio
che
individuino
i
fattori
di
quindi
lasciati
all’evoluzione
naturale;
pertubazione;
La
gestione
camaldolese
prevedeva:
Monitoraggio
della
quantità
di
legname
che
veniva
prelevato
dalla
foresta
e
della
qualità
delle
piante
vive;
La
gestione
era
funzionale
alle
esigenze
del
sistema
agrosilvopastorale
caratteristico
dell’economia
3.
Diversificazione
del
prelievo
legnoso
e
tasso
rurale
locale
e
non
doveva
intaccare
la
principale
di
utilizzazione
adeguato
sono
elementi
utili
per
funzione
di
tutela
“spirituale”;
garantire
la
continuità
delle
risorse
forestali.
La
piantumazione
avveniva
in
relazione
ai
prelievi
Il
taglio
deve
incidere
solo
sull’incremento
legnoso
e
della
stagione
silvana,
i
principali
prodotti
erano
non
sul
capitale
stoccato
al
fine
di
garantire
il
legname
da
opera
e
per
usi
energetici;
rinnovo
dei
prodotti
prelevati.
L’esbosco
avveniva
con
traino
animali
o
per
caduta
Le
tecniche
di
esbosco,
devono
essere
rispettose
del
su
percorsi
definiti
e
protetti
(bordonaie,
delimitate
soprassuolo
residuo,
minimizzando
gli
impatti
da
pali
infissi
(bordoni)).;
negativi
sull’ecosistema.
Veniva
garantito
un
assetto
idrogeologico
con
Promuovere
lo
sfruttamento
delle
risorsa
legno
puntuali
opere
di
ingegneria
e
manutenzione
della
come
fonte
di
energia,
diversificare
le
filiere
viabilità
e
dei
corsi
d’acqua;
soprattutto
nei
contesti
agricoli
e
montani.
Altri
prodotti
garantiti
dalla
gestione
erano:
erbe
Valorizzazione
dei
processi
di
certificazione
e
officinali
ed
essenze
per
la
farmacia;
miele
e
cera;
rintracciabilità.
prodotti
del
sottobosco
(funghi,
bacche,
erbe,
ecc);
selvaggina;
Pascolo
brado,
lettiera
per
le
stalle,
frasche
di
alimentazione
animale;
GESTIONE
FORESTALE
Criteri
di
Gestione
Sostenibile
Criteri
di
Gestione
Camaldolese
4.
La
pianificazione
della
gestione
forestale
deve
tendere
alla
conservazione
e
al
miglioramento
della
La
loro
continua
azione
di
conservazione
dell’abete
biodiversità
a
livello
di
ecosistema,
di
specie,
di
ha
permesso
oggi
lo
sviluppo
di
un
ecosistema
a
varietà
e
di
paesaggio.
elevata
valenza
naturalistica
e
paesaggistica.
Evitare
l’introduzione
di
specie
alloctone
ed
La
rinnovazione
artificiale
utilizzata
era
realizzata
invasive,
favorita
la
conservazione
in-‐situ
ed
ex-‐situ
in
aree
definite
a
vivaio
(orti),
recuperando
e
e
la
creazione
di
nuove
aree
protette.
valorizzando
la
rinnovazione
naturale.
I
piani
devono
presentare
sia
opportuni
rilievi
e
Le
vie
di
esbosco
erano
temporanee
e
i
danni
mappature
che
indichino
i
biotopi
e
le
specie
causati
dall’azione
di
utilizzazione
recuperati
con
endemiche
più
significativi,
sia
devono
definire
la
impianti
artificiali;
definizione
di
infrastrutture
e
di
vie
di
utilizzazione
poco
impattanti;
5.
La
pianificazione
della
gestione
deve
mirare
a
mantenere
e
accrescere
le
funzioni
protettive
della
foresta,
cioè:
-‐ la
funzione
di
protezione
del
suolo
dall’erosione;
-‐ la
funzione
di
protezione
e
regimazione
delle
Tutte
le
pratiche
di
gestione
adottate
dai
risorse
idriche;
Camaldolesi
rispondevano
alle
esigenze
di
-‐ la
funzione
di
protezione
da
altri
fenomeni
protezione
della
risorsa
suolo,
innumerevoli
sono
idrogeologici
avversi
quali
frane,
alluvioni
e
gli
esempi
di
interventi
di
contenimento
dei
valanghe;
versanti
e
di
ripristino
di
aeree
degradate
per
-‐ la
funzione
di
protezione
dei
centri
abitati
e
delle
mezzo
di
opere
idrauliche
e
ingegneria
e
infrastrutture.
ripiantumazioni;
A
tal
fine
deve
essere
prestata
particolare
attenzione
alle
operazioni
selvicolturali
su
suoli
sensibili
e
su
aree
soggette
a
possibile
erosione,
nonché
a
possibili
contaminazioni
delle
falde
acquifere
6.
Le
funzioni
non
produttive
delle
foreste
possono
garantire
nuove
opportunità
di
occupazione
soprattutto
nelle
aree
rurali
e
montane.
Per
il
miglioramento
della
competitività
del
settore
Al
fine
di
garantire,
l’originaria
funzione
“spirituale”
forestale:
e
la
funzione
produttiva
della
foresta,
il
sistema
di
-‐ favorire
la
gestione
forestale
associata;
gestione
e
controllo
istituito
dalla
Congregazione
-‐ utilizzare
le
maestranze
locali,
portatrici
di
un
prevedeva
un
complesso
insieme
di
norme
e
regole,
patrimonio
storico-‐culturale
locale;
di
indirizzi
e
criteri
che
vedevano
coinvolte
-‐ promuovere
la
formazione
degli
operatori
del
direttamente
le
popolazioni
locali
con
affidamento
settore
sui
temi
ambientali
e
di
sicurezza
sul
di
incarichi
e
maestranze,
sanzioni
e
provvedimenti;
lavoro;
-‐ proporre
agevolazioni
fiscali
che
promuovano
la
gestione
forestale
sostenibile
Bibliografia
A.A.V.V.,
Cenni
storici
del
sacro
eremo
di
Camaldoli,
preceduti
da
alcune
brevi
notizie
intorno
Vallombrosa,
La
Verna
per
comodo
dei
forestieri,
Firenze:Tipografia
all'insegna
di
S.
Antonino,
1864;
A.A.V.V.,
Il
sacro
eremo
di
Camaldoli
(Toscana)
1012-1912,
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Stab.
Tipografico
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Giuseppe,
1912;
A.A.V.V.,
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Romualdo,
storia
agiografia
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spiritualità”,
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Atti
del
XXIII
Convegno
del
Centro
Studi
Avellaniti,
Fonte
Avellana:Il
segno
dei
Gabbrielli
editori,
2002;
A.A.V.V.,
“Ottone
III
e
Romualdo
di
Ravenna”,
in
Atti
del
XXIV
Convegno
del
Centro
Studi
Avellaniti,
Fonte
Avellana:
Il
segno
dei
Gabbrielli
editori,
2003;
Andria,
R.
A.,
La
congregazione
camaldolese
e
la
sua
storia,
Napoli:
Tip.
R.
Contessa,
1934;
Archetti
Giampaolini
E.,
“Organizzazione
dello
spazio
in
area
avellanita
tra
X
e
XIII
secolo:
circoscrizioni
territoriali,
insediamenti
e
paesaggio
agrario”,
in
Atti
del
VI
Convegno
del
Centro
di
Studi
Avellaniti,
Fonte
avellana
nel
suo
millenario,
Fonte
Avellana,
1982;
Baroncini,
O.,
Chronicon
Camalduli,
Arezzo:
Biblioteca
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di
Arezzo,
Anno
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politiche
e
organizzazione
economica
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società
avellanita
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secoli
XI
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XII”,
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Atti
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Convegno
del
Centro
di
Studi
Avellaniti
Fonte
Avellana
nella
società
dei
secoli
XI
e
XII.,
Fonte
Avellana,
1978;
Bartoletti,
R.,S.
Romualdo.
Vita
iconografia,
Edizioni
Camaldoli,
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Bartolini,
L.,I
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e
il
Casentino”,
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Il
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Eremo
di
Camaldoli
(Toscana):
1012-1912,
pp.
47-‐55,
Firenze:
Tipografia
S.
Giuseppe,
1912;
Bartolini,
L.,
“Attività
benefica
di
Camaldoli”,
in
Rivista
camaldolese
Camaldoli:
1926;
Basile,
Cecchi,
La
trasformazione
post-industriale
della
campagna.
Dall’agricoltura
ai
sistemi
locali
rurali,
Rosemberg
e
Sellier,
Torino,
2002;
Bellucci,
V.,
L'economia
forestale
della
Toscana,
Firenze:
Accademia
Italiana
di
Scienze
Forestali,
1953;
Beni,
C.,
Guida
illustrata
del
Casentino,
Firenze:Tipografia
editrice
di
Luigi
Niccolai,
1889;
Bernetti,
G.,
Gabbrielli,
A.,
“Le
vicende
del
patrimonio
forestale
dall'antichità
ai
nostri
giorni:
le
utilizzazioni,
i
trasporti,
le
trasformazioni”,
in
Attraverso
le
ragioni
forestali
d'Italia,
Fondazione
san
Giovanni
Gualberto,
I,
pp.
51-‐73,
Vallombrosa:
Edizioni
Vallombrosa,
2000;
Borchi,
S.,
Foreste
Casentinesi,
Firenze:
Edizioni
D.r.e.a.m.
Italia,
1989,
Borchi,
S.,
"Cenni
storici
sulla
foresta
della
Verna"
in
Monti
e
Boschi,
2:
12:18,
2000;
Borchi,
S.,
“Il
codice
forestale
camaldolese:
un
progetto
per
ritrovare
le
radici
culturali
della
politica
forestale
e
della
montagna”,
in
Cardarelli
F.
(a
cura
di)
Il
codice
forestale
camaldolese,
Bologna:Bononia
University
Press,
2009;
Biagianti,
I.,
“Il
bosco
nell'economia
del
Casentino”,
in
Collana
atti
del
Parco
-
Carlo
Siemoni:
selvicoltore
granducale
1805-1878,
Monte
Falterona
e
Campigna:
Parco
Nazionale
delle
Foreste
Casentinesi,
2004;
Bosco,
D.,
“Il
rapporto
uomo-‐bosco
nella
storia”,
in
Silvae,
Anno
1,
n.
2,
pp.
201-‐2142005;
Branciaroli
Pirocci
A.,
(a
cura
di)
Camaldoli,
“Il
monastero,
l'eremo
e
la
foresta”,
in
Le
Guide
del
Viaggiatore
Raffinato,
Città
di
Castello:
Edimond
2003;
Brunetti,
M.,
Frattola,
dove
non
fu
medioevo,
Serra
de’
Conti:
Tipografia
75,
2002;
Brunetti,
M.,
Cesania
Felix
(l’apogeo
della
contadinità),Serra
de’
Conti:
Tipografia
75,2005;
Per
ulteriori
approfondimenti
si
rimanda
alla
bibliografia
presente
sul
sito
del
progetto:
www.inea.it/prog/camaldoli,
www.codice
forestale.it
Appendice
Eremi
e
Abazie
della
Congregazione
Camaldolese
dell’Ordine
Benedettino
fondati,
riformati
o
annessi
dal
1012
al
1550
(cfr.
Fig.
1.10
e
1.11);
Anno
di
N.
in
Nome
Tipologia
fondazione
cartine
Abbazia
di
Sant'Apollinare
in
Classe
(Ravenna)
1138
Abbazia
1
San
Michele
Arcangelo
(Verghereto)
998
Monastero
3
Ven.
Eremo
si
Santa
Croce
di
Fonte
Avellana
(Pergola)
1050
Eremo
5
Abbazia
di
Biforco
(Forlì)
1004
Abbazia
9
Eremo
di
Acquabella
(Amiata-‐monte
San
Vicino)
1012
Eremo
10
Abbazia
di
San
Nicolò
in
Monte
(Orvieto)
1099
Abbazia
11
Abbazia
di
San
Michele
di
Marturi
(Colle
Val
d'Elsa)
1113
Abbazia
14
Abbazia
di
S.
Vincenzo
al
Furlo
(Urbino)
1032
Abbazia
15
Eremo
di
Santa
Maria
di
Sitria
(Gubbio)
987
Abbazia
16
Eremo
del
Vivo
(Siena)
1135
Abbazia
17
Sacro
Eremo
di
Camaldoli
(Arezzo)
1125
Abbazia
18
Abbazia
di
Santa
Barnaba
di
Gamugno
(Faenza)
1050
Abbazia
19
Eremo
di
Gamogna
(Sarsina)
1049
Eremo
20
Abbazia
di
San
Gregorio
in
Conca
(Rimini)
1060
Abbazia
21
Eremo
di
Strabadenza
(San
Sepolcro)
1082
Eremo
22
Abbazia
di
Santa
Cristina
delle
sette
Fonti
di
Luco
(Bolo)
1099
Abbazia
23
Abbazia
di
Santa
Maria
di
Trivio
di
Montecornaro
(Sarsina)
1103
Abbazia
24
Abbazia
di
Santa
Lucia
in
Bagno
di
Romagna
(San
Sepolcro)
1130
Abbazia
25
Abbazia
di
Sant'Ippolito
(Faenza)
1140
Abbazia
26
Abbazia
di
San
Paterniano
(Forli)
1147
Abbazia
27
Abbazia
di
Santa
Maria
fuori
Porta
(Faenza)
1168
Abbazia
28
Abbazia
di
Santa
Maria
di
Urano
(Bertinoro)
1168
Abbazia
29
Abbazia
di
Sant'Eustachio
(Imola)
1204
Abbazia
30
Abbazia
di
Marola
(Reggio
Emilia)
1237
Abbazia
31
Abbazia
di
San
Lorenzo
in
Campo
(Pergola)
1050
Abbazia
32
Eremo
di
Val
di
Castro
(Fabriano)
1060
Abbazia
33
Abbazia
di
Santa
Maria
in
Campo
(Fabriano)
976
Eremo
34
Abbazia
di
Santa
Maria
di
Frasassi
(Fabriano)
1001
Abbazia
35
Abbazia
di
Sant'Urbano
(Fabriano)
1005
Eremo
36
Abbazia
di
S.
Vittore
alle
Chiuse
(Fabriano)
1007
Abbazia
37
Abbazia
di
S.
Salvatore
in
Acquapagana
(Camerino)
1007
Abbazia
38
Abbazia
di
Sant'Elena
dell'Esino
(Jesi)
1007
Abbazia
39
Abbazia
di
Val
di
Castro
(Fabriano)
1007
Abbazia
40
Eremo
di
San
Bartolo
in
Monte
(Cagli)
1007
Abbazia
41
Eremo
di
San
Nicolò
in
Bosso
(Cagli)
1009
Abbazia
42
Abbazia
di
S.
Maria
in
Porto
Novo
(Ancona)
1009
Abbazia
43
Eremo
di
Sant'Alberico
(Pennabili)
1010
Eremo
44
Abbazia
dei
Santi
Angelo
e
Nicolò
(
Cagli)
1010
Eremo
45
Abbazia
di
Santa
Maria
in
Appennino
(Fabriano)
1050
Eremo
46
Abbazia
dei
Santi
Decenzio
e
Germano
(Pesaro)
1111
Abbazia
47
Abbazia
di
Santa
Maria
in
Monticelli
(Fabriano)
1146
Abbazia
48
Abbazia
di
Sant'Esuperanzio
(Cingoli)
n.n
Abbazia
49
Eremo
delle
Grotte
(Jesi)
1153
Abbazia
50
Abbazia
di
Santa
Maria
in
Vallemergo
(Camerino)
1199
Abbazia
51
Abbazia
del
Santo
Salvatore
di
Monte
Corona
(Perugia)
1382
Abbazia
52
Anno
di
N.
in
Nome
Tipologia
fondazione
cartine
Abbazia
di
San
Severo
(Perugia)
1517
Abbazia
53
Abbazia
di
San
Silvestro
del
Monte
Subiasio
(Assisi)
1522
Eremo
54
Abbazia
di
San
Benedetto
di
Gualdo
Tadino
(Nocera
Umbra)
1011
Eremo
55
Eremo
di
Luceoli(Cantiano)
970
Abbazia
56
Abbazia
di
Sant'Emiliano
(Nocera
Umbra)
1012
Eremo
57
Abbazia
di
San
Bartolomeo
in
Camporeggiano
(Gubbio)
1021
Abbazia
58
Eremo
di
Monte
Corona
(Perugia)
1022
Eremo
59
Abbazia
di
S.
Pietro
di
Landolina
(Nocera
Umbra)
1022
Abbazia
60
Abbazia
di
San
Fortunato
(Perugia)
1058
Abbazia
61
Abbazia
di
San
Pietro
al
Ponte
(Perugia)
1076
Abbazia
62
Abbazia
di
Sant'Andrea
d'Isola
(Gubbio)
1076
Abbazia
63
Abbazia
di
Santa
Croce
(Gubbio)
1076
Abbazia
64
Abbazia
di
Santa
Giuliana
(Perugia)
1095
Abbazia
65
Abbazia
di
San
Tommaso
(Perugia)
1098
Abbazia
66
Abbazia
di
Sant'Antonio
Abbate
(
Todi)
1100
Abbazia
67
Eremo
di
Gamugno
(Faenza)
1109
Abbazia
68
Abbazia
di
San
Barnaba
di
Gamugno
(Faenza)
1111
Abbazia
69
Abbazia
di
San
Gregorio
in
Conca
(Rimini)
1113
Abbazia
70
Abbazia
di
San
Giovanni
Evangelista
(Borgo
San
Sepolcro)
1119
Abbazia
71
Abbazia
del
Santo
Salvatore
del
Monte
Amiata
(Siena)
1130
Abbazia
72
Abbazia
di
San
Benedetto
del
Vivo
(Siena)
1143
Abbazia
73
Abbazia
di
San
Pietro
di
Cerreto
(Volterra)
1143
Abbazia
74
Abbazia
di
San
Frediano
(Pisa)
1145
Abbazia
75
Abbazia
di
San
Pietro
della
Rota
(Arezzo)
1147
Abbazia
76
Abbazia
di
Santa
Maria
in
Paterno
(Arezzo)
1150
Abbazia
77
Abbazia
di
San
Michele
(Arezzo)
1186
Abbazia
78
Abbazia
di
Santa
Maria
della
Berardenga
(Siena)
1186
Abbazia
79
Abbazia
di
Santa
Maria
di
Poppiena
(Fiesole)
1192
Eremo
80
Abbazia
di
San
Viriano
(Arezzo)
1192
Abbazia
81
Abbazia
di
Santa
Maria
di
Agnano
(Arezzo)
1200
Abbazia
82
Abbazia
dei
Santi
Carisio
e
Cassiano
(Volterra)
1209
Abbazia
83
Abbazia
dei
Santi
Ippolito
e
Cassiano
(Volterra)
1219
Abbazia
84
Abbazia
di
San
Bartolomeo
di
Anghiari
(Borgo
San
Sepolcro
1241
Abbazia
85
Abbazia
di
Santo
Stefano
in
Cintorio
(Pisa)
1244
Abbazia
86
Abbazia
di
San
Savino
in
Monzione
(Pisa)
1250
Abbazia
87
Abbazia
di
San
Savino
in
Montesansavino
(Arezzo)
1252
Abbazia
88
Abbazia
di
Santa
Maria
di
Morrona
(Volterra)
1252
Abbazia
89
Abbazia
di
San
Pietro
in
Mucchio
(Volterra)
1253
Abbazia
90
Abbazia
di
San
Pietro
Piccolo
(Arezzo)
1258
Abbazia
91
Abbazia
del
Santo
Salvatore
in
Cantignano
(Lucca)
1258
Abbazia
92
Abbazia
del
Santo
Salvatore
in
Sesto
(Lucca)
1259
Abbazia
93
Abbazia
del
Santo
Salvatore
in
Selvamonda
(Arezzo)
1262
Abbazia
94
Abbazia
di
San
Pietro
di
Montemurlo
(Fiesole)
1262
Abbazia
95
Abbazia
di
San
Zeno
(Pisa)
1295
Abbazia
96
Abbazia
di
San
Giovanni
evangelista
di
Pratovecchio
(Fies)
1301
Abbazia
97
Abbazia
di
Santa
Maria
di
Rossano
(Firenze)
1301
Abbazia
98
Abbazia
di
San
Benedetto
(Arezzo)
1324
Abbazia
99
Abbazia
di
Santa
Maria
di
Prataglia
(Arezzo)
1351
Abbazia
100
Abbazia
di
San
Pietro
in
Campo
(Chiusi)
1351
Eremo
101
Abbazia
di
Sant'Egidio
in
Campiano
(Arezzo)
1351
Abbazia
102
Abbazia
di
San
Vigilio
(Siena)
1360
Abbazia
103
Anno
di
N.
in
Nome
Tipologia
fondazione
cartine
Abbazia
di
San
Savino
di
Chio
(Arezzo)
1363
Abbazia
104
Eremo
di
San
Giovanni
in
Buldrone
(Firenze)
1401
Abbazia
105
Abbazia
dei
Santi
Bartolomeo
Gioconda
(Firenze)
1412
Abbazia
106
Abbazia
di
Santa
Maria
in
Pugnano
(Pisa)
1413
Abbazia
107
Abbazia
di
Sant'Andrea
di
Castiglioni
(Arezzo)
1420
Abbazia
108
Abbazia
di
Sant'Andrea
di
Candeli
(Firenze)
1431
Abbazia
109
Abbazia
di
San
Giovanni
di
Buldrone
(Firenze)
1513
Abbazia
110
Abbazia
di
Santa
Maria
d'Adelmo
(Volterra)
1541
Abbazia
111
Abbazia
delle
Sante
Flora
e
Lucilla
(Arezzo)
1007
Abbazia
112
Abbazia
di
Santa
Maria
in
Bagno
di
Romagna
(San
Sepolcro)
n.n.
Abbazia
113
Abbazia
di
Sant'Andrea
in
Selva
(Lucca)
1007
Abbazia
113
Eremo
di
San
Maglorio
(Faenza)
1253
Eremo
114
Abbazia
di
Santa
Maria
di
Prodano
(Rimini)
1256
Abbazia
115
Abbazia
di
San
Pietro
in
Vinculis
(Ravenna)
1284
Abbazia
116
Abbazia
dei
Santi
Matteo
e
Cristina
(Forli)
1311
Abbazia
117
Abbazia
di
Santa
Maria
degli
Angeli
(Bologna)
1311
Abbazia
118
Abbazia
di
San
Nicolò
in
Domodei
(Bologna)
1318
Abbazia
119
Abbazia
dei
Santi
Giovanni
ed
Euticherio
(Faenza)
1330
Abbazia
120
Abbazia
di
San
Pietro
(Cesena)
1336
Abbazia
121
Abbazia
di
San
Giovanni
Battista
(Faenza)
1336
Abbazia
122
Abbazia
di
San
Benedetto
in
Savignano
(Rimini)
1351
Abbazia
123
Abbazia
di
Sant'Angelo
(Forli)
1360
Abbazia
124
Abbazia
del
Santo
Salvatore
in
Vico
(Forli)
1360
Abbazia
125
Abbazia
di
Santa
Maria
di
Cortina
(Bertinoro)
n.n.
Abbazia
126
Abbazia
di
San
Giovanni
Battista
in
Tavaldino
(Forli)
1366
Abbazia
127
Abbazia
di
Santa
Maria
di
Vincareto
(Forli)
1366
Abbazia
128
Abbazia
di
Santa
Maria
degli
Angeli
(Rimini)
1392
Abbazia
129
Abbazia
di
Sant'Andrea
fuori
Porta
(Rimini)
1392
Abbazia
130
Abbazia
SS.
Trinità
e
Sant'Agata
di
Moltefeltro
(Pennabil
1085
Abbazia
131
Abbazia
di
Santa
Maria
in
Porto
(Pesaro)
1200
Abbazia
132
Abbazia
di
San
Biagio
(Fabriano)
1200
Eremo
133
Abbazia
di
San
Sebastiano
(Fabriano)
1218
Abbazia
134
Eremo
del
Montefortino
sul
Volubrio
(Fermo)
1360
Abbazia
135
Abbazia
di
Sant'Angelo
(Assisi)
1100
Abbazia
136
Abbazia
di
San
Donato
(Perugia)
1102
Abbazia
137
Abbazia
della
SS.
Trinità
(Perugia)
1102
Abbazia
138
Abbazia
di
Santa
Maria
della
Selva
(macerata)
1102
Abbazia
139
Abbazia
di
S.
Donato
in
Gualdo
Tadino
(Nocera
Umbra)
1104
Abbazia
140
Eremo
di
Monte
Cucco
(Gubbio)
1104
Abbazia
141
Abbazia
di
Santa
Maria
in
Alfiolo
(Gubbio)
1105
Abbazia
142
Abbazia
di
Santa
Croce
in
Montemaggiore
(Città
di
Castell
1109
Abbazia
143
Abbazia
di
Santa
Maria
Magdalena
(Firenze)
1007
Abbazia
145
Abbazia
di
San
Bendetto
(Volterra)
1007
Abbazia
146
Abbazia
di
San
Mamiliano
(Siena)
1013
Eremo
147
Abbazia
di
Santa
Maria
Magdalena
in
Poggibonsi
(Colle
Val)
1050
Abbazia
148
Abbazia
di
Santa
Mustiola
dell'Arco
(Siena)
1053
Abbazia
149
Abbazia
Sant'Alberto
in
Montalceto
(Siena)
1060
Eremo
150
Abbazia
di
Santa
Maria
di
Montecerpi
(Siena)
1095
Abbazia
151
Abbazia
di
San
Pantaleo
(Lucca)
1252
Abbazia
151
Eremo
poi
Abbazia
di
Santa
Maria
degli
Angeli
(Firenze)
1138
Abbazia
152
Abbazia
di
Sant'Agata
(Firenze)
1138
Abbazia
153
Anno
di
N.
in
Nome
Tipologia
fondazione
cartine
Abbazia
di
Santa
Maria
in
Querceto
(Firenze)
1139
Abbazia
154
Abbazia
di
Santa
Maria
della
Rosa
(Siena)
1139
Abbazia
155
Abbazia
di
Santa
Maria
in
Gradi
(Arezzo)
1145
Abbazia
156
Eremo
di
San
Romualdo
in
Vignale
(Arezzo)
1145
Abbazia
157
Abbazia
di
Santa
Maria
dell''Olmo
(Borgo
San
Sepolcro)
1151
Abbazia
158
Abbazia
di
Buggiano
(Lucca)
1216
Abbazia
159
Abbazia
di
San
Francesco
di
Vicchio
in
Mugello
(Firenze)
1252
Abbazia
160
Abbazia
di
San
Felice
in
Piazza
(Firenze)
1262
Abbazia
162
Abbazia
di
San
Giovanni
Decollato
(Firenze)
1300
Abbazia
163
Abbazia
di
San
Gennaro
in
Campoleone
(Arezzo)
1420
Abbazia
164
Abbazia
di
San
Clemente
(Arezzo)
1521
Eremo
165
Abbazia
di
Santa
Maria
de
Aschis
(Pisa)
1456
Abbazia
166
Abbazia
di
Santa
Maria
delle
Vertighe
(Pisa)
1425
Abbazia
167