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Bonaiuto Lorini

(1540 - 1611)

Le fortificazioni
( 1609)
Dialogo tra un Conte e l'Autore
(Il "Conte" è probabilmente Nestore Martinengo di Barco)

Palmanova, Abraham Saur: Theatrum Urbium. Warhafftige Contrafeytung/ und Summarische Beschreibung/
fast aller vornemen und namhafftigen Stätten/ Schlössern und Klöster ..., Frankfurt : Richter, 1610

excerptum da Luigi Arminio Carrer, in


Arte Militare da vari autori,
Venezia, Co' Tipi del Gondoliere, 1840
LORINI, Bonaiuto (Firenze ca 1537/1547 - Venezia ca 1611)
Ingegnere granducale, fu al servizio spagnolo nelle Fiandre (568-72) eseguì i lavori alla cittadella di Anversa diretti da Paciotto e poi
da Bartolomeo Campi. Tornato in Italia, lavorò in Toscana e nelle fortezze veneziane, in Terraferma, Istria (Cittanova), Corfù e
Dalmazia (Arbe e Zara). Nel 1587-88 realizzò inoltre il collegamento tra l'Adige e il fossato di Legnago e nel 1592 collaborò cin
Giulio Savorgnan e Mario Martinengo alla progettazione della nuova fortezza di Palmanova, dove lavorò sino al 1594. Nel
maggio 1597, per incarico del granduca, ispezionò la nuova fortezza di Livorno. F. Malacrida e B. Lorini, Due pareri sulle
fortificazioni di Udine e Palma nel secolo XVI, a cura di S. Beretta-Manin - G.L. Manin, Udine 1868. DBI LXVI [G. Doti].

Delle Fortificationi di Bonaiuto Lorini, libri cinque. Ne' quali si mostra con le più facili regole la Scienza con la Pratica, di fortificare
le città, & altri luoghi sopra diversi siti; con tutti gli avvertimenti che per tale intelligenza possano occorrere. Nuovamente dati in
luce [ristampate con aggiunta. [dedicato ai principi italiani]. In Vinegia, appresso Gio. Antonio Rampanzetto, 1596, in-folio,
tavv. [BNCF - Palatino 11. 3 .7. 37] 1597. [. Secondo Ayala, p. 104, la prima edizione, rarissima, è del 1592]. Trad. tedesca,
Francoforte, Theodor de Brys, 1607.

Le fortificazioni nuovamente ristampate, corrette & ampliate con tutto quello che mancava per la loro compita perfettione con
l'aggiunta del sesto libro [dedicato al granduca Cosimo I]. In Venetia, presso Francesco Rampazetto, 1609, in-folio, ritr., ill., in
due versioni, una dedicata "alli Serenissimi Principi d'Italia", l'altra "alla Illustrissima Signoria di Venezia". [Catalogo Floncel I,
p. 119, N. 1413. BNCF - Magl. 1. 4. 157]. Trad. tedesca a Oppenheim 1616 e 1620.

Lorini, Buonaiuto (Bonaiuto)


Dizionario Biografico degli Italiani - G. Doti
LORINI, Buonaiuto (Bonaiuto). - Non si conosce con esattezza l'anno di nascita di questo ingegnere militare nato a
Firenze, da nobile e illustre famiglia, tra il 1537 e il 1538 (Writing on architecture() o, come sembra più plausibile, poco
dopo il 1540 (Promis).
La notizia di una sua consulenza sulle difese dell'isola d'Elba, offerta a Cosimo I nel 1547 (Lombardi), che farebbe
retrodatare la data di nascita di parecchi anni, non ha trovato riscontri ed è stata giudicata dalla maggioranza degli studiosi
del tutto infondata. Opinabile sembra poi essere l'età del L. inserita a mo' di epigrafe nella cornice che circonda il ritratto
dell'autore nelle due edizioni del suo trattato sulle fortificazioni ("Buonaiuto Lorini nobile fiorentino aetatis suae anno L"
nell'edizione del 1597 e "anno LX" in quella del 1609): la prima indicazione farebbe individuare l'anno di nascita nel
1547; la seconda, nel 1549. I due dati, oltre a non coincidere del tutto, sembrerebbero essere smentiti dalle notizie fornite
dallo stesso L.: nella prima edizione (nella dedica e nel proemio) ribadisce che la materia trattata è frutto di trent'anni di
attività di cui gli ultimi sedici al servizio di Venezia; nella seconda sostiene invece che sono quaranta gli anni di
esperienze consumate direttamente sul campo, di cui trenta trascorsi al servizio della Serenissima. Nel proemio del 1609
precisa poi di essere stato introdotto alla professione a ventidue anni, il che farebbe desumere ancora due date di nascita
diverse, il 1545 o il 1547. Il problema è dunque lontano dall'essere risolto, anche perché l'età citata dal L. quale inizio
della propria attività (ventidue anni) potrebbe indicare più plausibilmente il momento di inizio della formazione e non
quello di avvio della professione vera e propria, con la possibilità che, prevedendo un tirocinio di almeno due o tre anni, si
arrivi a collocare la data di nascita al 1542 o al massimo al 1544 (cfr. Promis, p. 638 n. 1).
Il L. iniziò la sua attività di "inzegnero" all'età di ventidue anni, entrando a far parte della cerchia di tecnici al soldo di
Cosimo I de' Medici, cui spettò il merito di averlo introdotto nella bottega di Bernardo Buontalenti (Galluzzi).
La frequentazione del maestro, tra i maggiori architetti militari al servizio del granduca, e lo studio attento dei suoi lavori
lasciarono ampie tracce negli schemi urbani del L.: dalla forma del circuito bastionato, alla disposizione dei cavalieri
lungo le cortine murarie; dal tracciamento della rete viaria interna, alla disposizione delle piazze di servizio alla gola dei
bastioni e dei cavalieri del fronte di terra; dalla frequenza variabile del numero di assi stradali, spostandosi dal centro
della città fortezza verso il perimetro, al rapporto tra strade radiali, porte urbane e bastioni.
Tra il 1568 e il 1572 fu nell'esercito cattolico stanziato da Filippo II nelle Fiandre per reprimere il movimento
indipendentista protestante. Fu in quella circostanza che ebbe modo di arricchire le proprie conoscenze in materia di
architettura della fortificazione, con l'osservazione diretta e lo studio di diversi progetti in corso di realizzazione per lo più
su disegni di architetti italiani. È il caso, per esempio, della costruzione della discussa cittadella di Anversa, cominciata
nell'ottobre del 1567 seguendo scrupolosamente le prescrizioni di Francesco Paciotto, sostituito nel 1569 da Bartolomeo
Campi, nuovo direttore dei lavori nonché soprintendente alle fortezze nei Paesi Bassi (Fara, 1993).
Negli anni immediatamente successivi al ritorno in Italia, il L. operò a Firenze e soprattutto nei territori della Repubblica
veneta, dove era stata avviata dalla metà del Cinquecento una massiccia opera di adeguamento e trasformazione delle
piazzeforti, per lo più sotto la direzione di ingegneri esterni, molti dei quali provenienti dal Granducato di Toscana
(Promis). Le prime notizie certe riguardanti la presenza del L. a Venezia sono databili al 1579, anno in cui entrò in
contatto con i maggiori responsabili della Repubblica in materia di fortificazioni, tra cui il soprintendente alle fortezze
Giulio Savorgnan e Sforza Pallavicino, capitano generale delle milizie in Terraferma sin dal 1559. Il 7 febbr. 1581 il L.
presentò una "supplica" al Senato chiedendo di essere assunto come ingegnere della Repubblica e il 21 ottobre
successivo, grazie all'appoggio di Savorgnan e Pallavicino, fu emanato il decreto di assunzione (Hale; Marchesi; Manno).
Nel 1582 ottenne i primi incarichi come direttore dei lavori negli interventi di adeguamento e ristrutturazione di alcune
fortezze dislocate tra la Terraferma e le isole della costa dalmata, che costituiva il fronte veneziano più esposto alle
avanzate dei Turchi. Prove documentarie attestano la sua presenza a Cittanova d'Istria, l'odierna Novigrad (in questa
circostanza stese una relazione: Manno) e nel cantiere di Possederia (Biral - Morachiello). Nel triennio 1583-86 il L.
soggiornò a Corfù, inviatovi dalla Repubblica di Venezia per affiancare il soprintendente Savorgnan, responsabile delle
piazzeforti nei possedimenti veneti del Mediterraneo, come Cipro, Creta e, appunto, Corfù che dal 1386 costituiva uno dei
più importanti baluardi a difesa del "Mare veneziano".
Nel biennio 1587-89, forte delle sua esperienza e delle sue competenze in materia di ingegneria idraulica, il L. si recò a
Legnago per realizzare il collegamento tra l'Adige e il fossato della piazzaforte, la cui ristrutturazione era stata avviata nel
1525, secondo le concezioni urbanistiche dell'allora capitano generale della Repubblica di Venezia, Francesco Maria I
Della Rovere.
Tra il 1587 e il 1588 (Manno) o nel biennio 1588-89 (Biral - Morachiello) il L. fu nuovamente impiegato in Dalmazia, per
sovrintendere ai lavori di adeguamento delle fortificazioni di Arbe (l'odierna Rab) e, più in particolare, delle difese di
Zara dove, oltre a occuparsi del restauro di alcune caserme della fortezza, curò la sistemazione dei fondali e la
fortificazione del porto, "che cinse di muri fondati in casse di sua invenzione" (Promis, p. 640). Intervenne, con ogni
probabilità, anche nella cittadella, realizzando una serie di opere in terra, più economiche e sicure rispetto a quelle in
muratura, scavate in massima parte nella viva roccia.
La prima opera che lo impegnò in forma continuativa fu la realizzazione, nel 1590 e sotto la supervisione di Sforza
Pallavicino, del nuovo circuito delle mura di Bergamo, di cui il L. potrebbe avere curato non solo l'esecuzione ma gli
stessi sviluppi progettuali (Salvioni).
A partire dal 1591 fu coinvolto nella realizzazione del circuito difensivo della fortezza di Brescia la cui ristrutturazione,
avviata negli anni Venti del secolo, aveva finalmente trovato un orientamento definitivo nel progetto redatto da Giulio
Savorgnan tra il 1587 e il 1588.
Costretto a lasciare il cantiere subito dopo l'avvio dei lavori, per effettuare una serie di sopralluoghi nei domini "da Mar"
della Repubblica veneta, Savorgnan decise di affidare la direzione dei lavori al nipote, Mario, e al L. (Maggiorotti).
L'opera eseguita fu essenzialmente un basso muro di controscarpa difeso da un fossato che correva lungo due dei cinque
fronti della cortina muraria. La scarsa altezza della difesa permetteva alle artiglierie, posizionate sulla sommità del monte,
di controllare l'intero declivio che in questa fase fu spianato ricorrendo all'asportazione di tutte le rocce sporgenti e al
riempimento delle parti cave, così da consentire ai difensori la maggiore visibilità possibile del territorio circostante
(Promis). Nel 1591 i provveditori alle Fortezze richiesero sia al L. sia all'architetto Francesco Malacrida, uno dei maggiori
esperti di tecniche militari dell'epoca, una relazione tecnica dettagliata ai fini di una prosecuzione dei lavori. Tra le due
proposte fu scelta quella del L. che garantiva, pur con qualche miglioria, di procedere in perfetta coerenza e continuità
con gli assunti progettuali di Savorgnan.
Pur rispettando un impianto progettuale non suo, il L. riuscì a porre in essere le sue teorie, garantendo quei miglioramenti
legati all'evoluzione formale delle fronti difensive e alla valutazione aggiornata delle dimensioni e delle caratteristiche
costruttive delle cortine che contraddistinsero l'opera di adeguamento e ristrutturazione dei circuiti difensivi intrapresa,
nella seconda metà del Cinquecento, in molti centri dello spazio euromediterraneo. Nel complesso dell'opera loriniana, le
difese di Brescia sono, come è stato più volte sottolineato, l'unico intervento del tutto rispondente alle teorie enunciate nel
trattato sulle fortificazioni. Per tale ragione, il ruolo del L. in questa circostanza sarebbe stato di gran lunga più importante
di quello generalmente riconosciuto a un semplice esecutore o a un direttore dei lavori (Manno).
Nel 1592, in collaborazione con Giulio Savorgnan e Antonio Martinengo, il L. collaborò alla progettazione della città
militare di Palmanova (nel territorio di Udine), eretta dalla Repubblica di Venezia, a partire dal 1593, contro Turchi e
Imperiali. Impiantata su un sito attentamente selezionato dai provveditori alle Fortezze su indicazione degli stessi
architetti, Palma concluderà, insieme con la città olandese di Coevorden (1597), "la parabola cinquecentesca delle città
militari di nuova fondazione" (Fara, 1993, p. 76).
La città fortezza, dichiarata nel 1960 monumento nazionale, è a pianta stellare, circondata da un circuito bastionato di
nove lati, con una grande piazza centrale esagona, dai cui lati hanno inizio strade radiali che conducono a tre porte urbane
e a tre bastioni, e un profondo fossato al quale fu aggiunta, nel Seicento, una seconda cerchia esterna. Nel progetto
originario le porte erano collocate in prossimità dei bastioni, ma successivamente, per ragioni prettamente militari, si
decise di spostarle al centro delle cortine. Diverse soluzioni progettuali - tra cui, per citare le più importanti, i cavalieri
posizionati presso gli angoli o la predisposizione, in otto dei nove bastioni, di due piazze per l'artiglieria - sono tipiche
della fortificazione del L. che in questa impresa, quindi, dovette svolgere un ruolo importante, come è testimoniato, per
altro verso, da numerose "scritture" autografe, datate tra il 1592 e il 1594, aventi per oggetto la costruzione della fortezza.
Indirizzati alle magistrature della Repubblica, questi scritti sono oggi custoditi presso l'Archivio di Stato, la Biblioteca
nazionale Marciana e la Biblioteca del Civico Museo Correr di Venezia (Olivato; Ghironi - Manno).
Nel 1594, forse in dissenso con le scelte e gli orientamenti ufficiali per Palma, il L. raggiungeva Venezia abbandonando
senza alcun permesso il cantiere e provocando, con ciò, la reazione risentita del provveditore Marcantonio Barbaro che,
con apposita istanza inoltrata alla Signoria, ne avrebbe ottenuto l'allontanamento. Il L., tuttavia, con diverse lettere inviate
da Venezia, continuò a rilasciare pareri e a fornire la sua consulenza in merito al cantiere dove, nel 1595, fece ritorno per
effettuare un sopralluogo.
Nel maggio del 1597 tornò a Firenze dove ottenne dal granduca l'incarico di compiere una visita ispettiva presso la
fortezza nuova di Livorno e descriverne lo stato in un'accurata relazione. Nel novembre successivo era nuovamente a
Venezia, forse per essere presente all'uscita, per i tipi di Giovanni Antonio Rampazzetto, della prima edizione del suo
trattato in cinque libri sulle fortificazioni (Delle fortificazioni( libri cinque(, Venetia 1597).
Anticipato, l'anno precedente, da una tiratura di sole quindici copie a stampa (Jordan; Writing on architecture(), inviate,
con apposite dediche, a governanti e membri delle maggiori famiglie educati allo spirito dell'umanesimo, tra cui
Ferdinando I de' Medici (Poggiali), Alfonso II d'Este (Riccardi) e Vincenzo Gonzaga (Cockle), il trattato ebbe una
notevole diffusione, tanto che nel 1607 fu tradotto in lingua tedesca e stampato a Francoforte da Theodor de Brys. Nel
1609 Rampazzetto stampò la seconda edizione, più ampia della precedente per l'aggiunta di un sesto libro dedicato al
granduca Cosimo II (Le fortificazioni( nuovamente ristampate corrette e ampliate di tutto quello che mancava per la loro
compita perfettione con l'aggiunta del sesto libro, Venetia 1609). L'importanza di questo nuovo volume è da riferire non
tanto alle note teoriche preliminari sui sistemi difensivi quanto all'illustrazione, da parte del L., dei principi metodologici
alla base delle operazioni di rilievo dei luoghi condotte con criteri scientifici. Conservata in due versioni, una dedicata
"alli Serenissimi Principi d'Italia" e l'altra "alla Illustrissima Signoria di Venezia", questa edizione fu tradotta in lingua
tedesca e stampata a Oppenheim, una prima volta, nel 1616 e, una seconda, nel 1620.
Per l'attività teorica del L. si rimanda a F. Malacrida - B. Lorini, Due pareri sulle fortificazioni di Udine e Palma nel
secolo XVI, a cura di S. Beretta-Manin - G.L. Manin, Udine 1868.
Il 6 nov. 1599 il L. era di nuovo a Palmanova, questa volta in veste di ingegnere addetto al cantiere (Ghironi - Manno);
ma l'attività al servizio dei Veneziani non gli impedì di tenere ben saldi i suoi legami con il Granducato di Toscana come
testimonia l'incarico, ottenuto nel 1603, della realizzazione del "modello per l'arsenale e ponte a mare di Pisa" (Promis, p.
647).
Divenuto primo ingegnere della Serenissima, negli ultimi anni della sua vita effettuò diversi sopralluoghi in qualità di
supervisore nell'opera di adeguamento delle fortificazioni veneziane, tra cui quelle di Crema e "Orci Nuovi" (Orzinuovi),
citate nel suo trattato (libro VI, c. 291), o quelle del Polesine, che ispezionò nel 1606 (Promis).
Le ultime notizie relative alla sua attività risalgono al 1611, allorquando fu interpellato da Cosimo II perché esaminasse
un progetto per un nuovo molo a Livorno, redatto dall'ingegnere Claudio Cogorano.
Nel corso della sua vita professionale il L. ampliò la sua attività di ingegnere militare occupandosi di sistemazioni
idrauliche, come testimoniano sia le due consulenze in merito al riassetto dell'area di Rialto, del 1587, e alla costruzione
del canale di collegamento tra l'Adige e la fortezza di Legnago, del 1588, sia la nomina a membro della commissione
tecnica incaricata di vagliare le condizioni di fattibilità di una possibile deviazione del corso del Po (Manno).
Fu anche un abile inventore sia di macchine per scavare canali e buche, per realizzare i terrapieni delle fortezze o per
frantumare le pietre, sia di casseformi speciali con cui fondare le murature, come quelle impiegate nel cantiere del porto
di Zara descritte nel trattato a cc. 188 e 191.
Il L. è il perfetto esponente di quegli "inzenieri" militari ai quali, nella seconda metà del Cinquecento, fu affidata la
responsabilità di tradurre, sul piano concreto delle scelte operative, gli schemi delineati, con finalità tutte strategiche, da
sovrintendenti e provveditori. A differenza di questi ultimi, preoccupati essenzialmente della rilevanza politico-militare
della macchina territoriale, gli ingegneri come il L. furono essenzialmente dei tecnici, con chiare e distinte competenze
professionali. Nello scorcio del XVI secolo la sua opera non solo rifletteva la separazione sempre più netta tra architettura
militare e architettura civile, ma testimoniava lo iato, foriero di conflitti e momenti critici, tra attività direzionale e di
coordinamento, propria degli alti funzionari, e attività operativa degli ingegneri.
Il L. morì probabilmente a Venezia nel 1611.

Fonti e Bibl.: I.R. Galluzzi, Istoria del Granducato di Toscana sotto il governo della casa Medici, III, Firenze 1781, p.
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Gualandi, Memorie originali italiane riguardanti le belle arti, III, Bologna 1842, pp. 114-117; P. Riccardi, Biblioteca
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L'architettura militare veneta del Cinquecento, Milano 1988, pp. 45-47; A. Fara, Il sistema e la città: architettura
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(1593-1866) (catal.), Padova 1993, pp. 17 s., 20 s., 25-29, 35-39, 52-56; nn. 43, 47, 75, 94, 97-100, 105, 112; schede 1, 5,
13, 35, 40; P. La Penna, La fortezza e la città: B. L., Giulio Savorgnan e Marcantonio Martinengo a Palma (1592-1600),
Firenze 1997, pp. 5 s.; Writing on architecture, civil and military c. 1460 to 1640, a cura di J. Bury - P. Breman, 't Goy-
Houten 2000, p. 62; M. Canino, La libreria ducale di Casteldurante da Federico Commandino a Bonaiuto L.: geometria,
matematica e scienza della misurazione nel Rinascimento italiano, in I Della Rovere nell'Italia delle corti. Atti del
convegno(, Urbania( 1999, a cura di B. Cleri et al., III, Urbino 2002, pp. 144, 161-172; M. D'Ayala, Diz. militare
francese-italiano, Torino 1853, pp. 104 s.; K. Jordan, Bibliographie zur Geschichte des Festungsbaues von den Anfängen
bis 1914, Marburg 2003, pp. 157 s.; Enc. biogr. e bibliogr. "Italiana", C. Argegni, Condottieri(, II, pp. 107 s.
G. Doti

Esempi di ridotte e fortini quadrilateri a bastioni, mezzi bastioni e a tenaglia: Lorini B., Le fortificationi di Bonaiuto Lorini,
nobile fiorentino, Venezia 1609.
da Roberto Sconfienza, FORTIFICAZIONI CAMPALI NEL XVIII SECOLO. CONTESTI CULTURALI
E CONFRONTI PER I TRINCERAMENTI DELL’ASSIETTA in «Armi Antiche. Bollettino
dell’Accademia di San Marciano - Torino», 1996 (1999), pp. 93-123
http://www.archeofortificazioni.org/FigTRINC.htm
Martinengo, Nestore
Dizionario Biografico degli Italiani - G. Benzoni
MARTINENGO, Nestore. – Nacque con tutta probabilità a Brescia intorno al 1547-48, ultimogenito di Alessandro di Gianmaria, del
ramo dei conti Martinengo di Barco, e di Laura di Graziolo Gavardo, la cui dote era consistita nello stabile di Villanova.
Il padre, già capitano in Fiandra e cultore del mondo classico, utilizzato per l’onomastica della prole, fece testamento il 13 marzo
1550 e morì prima del 6 agosto. Dal matrimonio con Laura erano nati, prima del M., Ortensia (sposa, nel 1561, di Ercole Salis Soglia,
colonnello dell’esercito imperiale a Rastadt); Ulisse (1545 - circa 1570), che fu esule per motivi di fede, abbracciò il calvinismo
insieme con la madre e divenne pastore in Valtellina, esercitando soprattutto a Morbegno (A. Olivieri, Ulisse Martinengo, Brescia e la
«religio Helvetica» (1572-1574), in Riformatori bresciani del ’500. Indagini, a cura di R.A. Lorenzi, Brescia 2006, pp. 169-187);
Aiace; Achille; Ascanio, nato nel 1541, da distinguere dall’omonimo del ramo Cesaresco (1555-83), che ospitò B. Arnigio, fu
rappresentato da costui nella terza delle Veglie (Brescia 1577), fu abate di Leno nel 1567 e fondatore, nel 1573, a Padova
dell’Accademia degli Animosi. Invece, l’Ascanio fratello del M. indossò, nel 1557, l’abito dei canonici lateranensi in S. Afra di
Brescia e si distinse come religioso colto, predicatore elogiato dal futuro vescovo di Chioggia Gabriele Fiamma, autore di Praeludia
in Sacram Scripturam, rimasti inediti, di Glossae… in Genesim (Padova 1597), accreditato agiografo locale con le Vite
de’ ss. Faustino e Giovita, di s. Affra e d’altri santi bresciani… (Brescia 1602). Nel 1585 fu nominato visitatore della sua
Congregazione e, nel 1591, fu eletto generale. Morì non, come si riporta, nel 1600, ma dopo il 1° giugno 1602.
Quanto al M., optò per la milizia. Nel 1567-69 fu a Creta, al seguito di Girolamo Martinengo di Padernello, cooperando con lui a
lavori di fortificazione. Rimpatriato, il 15 marzo 1570 salpò, sempre al seguito del congiunto, alla volta di Cipro, dove sbarcò il 2
maggio con un contingente ridotto dalle vicissitudini del viaggio e dalla febbre, di cui anche Girolamo era stato vittima durante la
navigazione.
Tra i difensori di Famagosta (tra i quali si distinse Ercole Martinengo da Barco, già architetto militare proprio a Cipro e in particolare
a Famagosta), sempre più attanagliata, dopo la caduta di Nicosia, dall’assedio ottomano, nell’aprile 1571 il M. passò al comando della
sua compagnia. Diresse, altresì, lo scavo d’una galleria per intercettare quella fatta dal Turco per far saltare le mura. Ferito due volte,
il 29 giugno e il 9 luglio, non desistette dal battersi. Il 5 agosto fu latore della lettera di Marcantonio Bragadin a Mustafà Lalà, pascià
di Damasco, dove – dopo 11 mesi d’assedio costati agli Ottomani 50.000 uomini – i Veneziani chiedevano una resa con garanzie. Il
comandante turco rispose con toni tranquillizzanti, sicché in serata Bragadin gli si consegnò fiducioso, ma il vincitore reagì con un
brusco voltafaccia per vendicare una cinquantina di prigionieri turchi che Bragadin, il giorno prima della resa, aveva fatto trucidare.
La fine del patrizio veneziano fu atroce e con lui perirono pure Astorre Baglioni e Luigi Martinengo delle Palle; i circa 700 superstiti
del sanguinoso assedio furono destinati a spietata schiavitù e poi inviati a Costantinopoli il 22 settembre. Per cinque giorni il M. si
nascose in una casa di famagostani; quindi, raccomandato da «un greco suo amico», si consegnò come schiavo personale riscattabile
con 500 zecchini a un sangiacco del Bei. A Costantinopoli – anche grazie ai denari fatti avere al sangiacco da un medico bresciano
(forse un rinnegato colà esercitante) – il M. godette d’una certa libertà di movimento, grazie alla quale, in modo ingegnoso, poté
veleggiare fino a Tripoli di Siria. Qui con l’aiuto del console francese s’imbarcò per Creta, dove lo accolse calorosamente il
comandante delle milizie Latino Orsini, e il 3 dic. 1571 sbarcò a Venezia, come racconta il nunzio G.A. Facchinetti (futuro Innocenzo
IX), esponendo le traversie del M. più chiaramente di quanto egli stesso avrebbe fatto.
Dell’assedio di Famagosta, il M. rese una lunghissima Relatione, che sia nel 1571 sia nel corso dell’anno seguente fu stampata più
volte in più luoghi (Brescia, Milano, Fano, poi Verona, Venezia) ed ebbe traduzioni in tedesco (Augusta 1572) e in francese (Parigi
1572, opera questa di François de Belleforest), divenendo uno dei testi di più intensa circolazione sulla guerra contro il Turco ancora
in corso. Sempre del M. una breve Agionta – rimasta manoscritta – alla Relatione, ove rapidamente rifletteva sulle caratteristiche
dell’esercito del Turco, connotato da obbedienza, parsimonia, capacità di sopportare disagi e privazioni e assenza del timore della
morte, in quanto quella ottenuta in battaglia era ritenuta meritoria. A fronteggiare un tanto esercito così motivato era necessaria, da
parte della Cristianità, una milizia non mercenaria, strutturata senza i vincoli che limitassero i comandi e l’azione del principe
ereditario, pronta a obbedire a un principe «nuovo».
Il M. era assente da Brescia quando, il 13 ott. 1572, il fratello Achille vendette anche a suo nome dei beni, a Villanova, al conte
Leopardo Martinengo; risulta, invece, essere in città il 15 nov. 1578 e, ancora, il 6 maggio 1591 e il 16 apr. 1592, in concomitanza con
la stipula di alcuni accordi patrimoniali. Comunque – a parte qualche puntata intermittente – il grosso del suo tempo l’impiegò, non
senza discapito dei suoi interessi privati (quali la lite per un possesso d’acqua, nella quale prevaricò il conte Ettore Martinengo), al
servizio della Serenissima. Per tre anni fu governatore a Sebenico, dove le condizioni della milizia e delle dotazioni d’armi erano
lamentevoli, come riferì al termine del mandato. Nel 1582 ebbe il governo di Legnago, a capo di 35 fanti. Dal 1592 fu a Corfù,
governatore della fortezza vecchia. Il 18 maggio 1594 sottoscrisse a Zara una emptio, trovandosi lì di passaggio, forse trattenuto dal
maltempo e pure dall’attesa di galere per Venezia. È pertanto ragionevole l’ipotesi che ne Il dialogo dove si descrive il ragionamento
fatto da un conte con l’autore (in B. Lorini, Delle fortificationi…, Venetia 1597, pp. 52-104 e di nuovo, ibid. 1609, pp. 56-110 e
parzialmente in Arte militare di varii autori, a cura di L. Carrer, ibid. 1840, pp. 117-163) Lorini rappresenti nel «conte», suo
interlocutore in quel di Zara per cinque giornate (stando alla prima edizione) o per sei (stando alla seconda), proprio il M., sia perché
il conte ricorda la diretta esperienza dell’assedio di Famagosta, l’avervi «visto patire e miserabilmente morire», l’esservi «stato fatto
schiavo», sia per il riferimento a un antecedente colloquio avvenuto a Corfù, nel quale i due s’erano, appunto, ripromessi di avere, con
l’occasione, «un commodo e lungo ragionamento sopra il modo di fortificare».
Il M. morì a Corfù nel 1598. È pertanto errata la persistente notizia che ne ritarda la fine al 1630: forse questa data vale per l’omonimo
conte Nestore Martinengo che al testamento del 23 giugno 1627 aggiunse, il 29 giugno 1629, un codicillo.
La nobile romana Livia degli Amici figurava vedova del M. e tutrice dei figli già in una locatio del 15 ott. 1599. Dall’unione era nata
numerosa prole: una sola femmina, Orizia, dotata dalla madre il 24 ott. 1601 per entrare nel convento bresciano di S. Giulia; e ben
dieci maschi: Bernardo, Leonardo, Sforza, Achille, dei quali resta solo il nome; Alessandro, volontario in Fiandra, morto nel 1601
all’assedio di Ostenda; Gianbattista (1588-89 - 1630 circa) che, entrato a 14 anni nella Compagnia di Gesù, morì prodigandosi per gli
appestati a Bologna, autore d’una Cynosaura devotis Deiparae… dedicata al fratello Marcantonio; Cesare, governatore in varie città
venete; Gianfrancesco (1595-1647) che sposò la friulana Camilla Porcia e fu al seguito d’ambasciatori veneti a Costantinopoli,
Vienna, Roma; Ottaviano che, nato nel 1594, dopo le armi divenne camaldolese, con il nome di Anselmo, nell’eremo di Rua nel
Padovano per poi fondare nel 1639 quello di S. Bernardo a Gussago.
Quello che più si distingue tra i figli del M. è Marcantonio (1592-1673), il quale fu canonico nel duomo di Padova e dedicò al capitolo
un ponderoso Trattato pio e necessario… alla vera divotione… di Maria (Venezia 1629). Amico e benefattore dei teatini, fu vescovo
di Torcello dal 1643 e fece stampare il Ritus admittendi vergines saeculares ad habitum et recipiendi novitias… (ibid. 1654), già
fissato con decreto sinodale del 1648; frutto del medesimo sinodo fu la stampa delle Constitutioni… per la retta disciplina monacale
che, stabilite da un precedente vescovo, Antonio Grimani, sono da lui confermate… con aggiunta d’alcuni de suoi decreti… a buona
direttione de’ monasteri… (ibid. 1666). A lui si devono il calendario torcellano; l’intransigenza severissima contro le zazzere e i
capelli lunghi del clero; la sostituzione con la Dottrina cristiana di Roberto Bellarmino di quella – già vigente nella diocesi – del
patriarca di Venezia Lorenzo Priuli; la proclamazione di s. Eliodoro vescovo a santo protettore della diocesi con la fissazione a festa
di precetto del 3 luglio. Affezionato alle memorie della sua gens, Marcantonio Martinengo fece pubblicare – nella versione latina di
Ottavio Ferrari che uscì col titolo di Origo et stemma gentis Martinenghae (Padova 1671) – una dissertazione di Francesco Leopardo
Martinengo sull’Antichissima origine della famiglia Martinengo.
In precedenza aveva pubblicato i Ricordi…a’ suoi figliuoli (Padova 1650) del M., che ai figli aveva raccomandato la virtù e
l’applicazione allo studio senza peraltro esortarli alla vita militare, nella quale lui s’era impegnato.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Collegio, Esposizioni principi, reg. 2, cc. 78, 80-89; Venezia, Biblioteca del Civico Museo
Correr, P.D. C., 1234 (inventari di scritture da cui si ricavano operazioni e interessi del M. e suoi famigliari); 1188 (affittanze del M. e
dei suoi discendenti e alberi genealogici del suo ramo); 1255/1: Arbori… dei Martinengo e privilegii; 1184: Repertorio docc. relativi
ai… Martinengo; 2299/XV/4; Codd. Cicogna, 2854, cc. 127-128 (relazione del M. al rientro da Sebenico); 2525/XLIV: Agionta
all’historia dell’assedio di Famagosta scritta dall’ill.mo… conte N. M.; 1615: [Francesco Leonardo Martinengo], Raccolta di
memorie… della famiglia Martinenga…, cc. 364, 419-420, 506, 547; R. Benedetti, Narratio de capta Famagusta…, Lipsiae 1571;
E.M. Manolesso, Historia nova, nella quale si contengono tutti i successi della guerra turchesca…, Padova 1572, cc. 51r, 59r; G.P.
Contarini, Historia delle cose successe dal principio della guerra… fino al dì della gran giornata vittoriosa contra Turchi…, Venetia
1572, cc. 24, 25v, 26v, 31r, 32r; F. Sansovino, Della origine et de’ fatti delle famiglie illustri d’Italia, Vinegia 1582, c. 305v; A.
Gatto, Narrazione del terribile assedio… di Famagosta…, a cura di P. Catizzani, Orvieto 1895, pp. 53, 108; Relazioni dei rettori
veneti in Terraferma, VIII, Provveditorato di Legnago, Milano 1977, ad ind.; Nunziature di Venezia, X, a cura di A. Stella, Roma
1977, ad ind.; O. Rossi, Elogi historici di bresciani illustri…, Brescia 1620, ad ind.; O. Ferrari, Origo et stemma gentis Martinenghae,
Patavii 1671, p. 26; L. Cozzando, Della libraria bresciana…, Brescia 1685, pp. 265 s.; [B. Zamboni], La libreria di… Leopardo
Martinengo patrizio veneziano conte di Barco…, Brescia 1778, pp. 84, 117, 121-128; V. Peroni, Biblioteca bresciana, II, Brescia
1823, pp. 246 s.; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, VI, Venezia 1853, ad ind.; F. Odorici, Storie bresciane, IX, Brescia 1860,
p. 237; C. Promis, Biografie di ingegneri militari italiani…, Torino 1874, ad ind.; G.M. Bonomi, Il castello di Cavernago e i conti
Martinengo Colleoni…, Bergamo 1884, p. 441; E. Picot, Les français italianisants au XVIe siècle, Paris 1906-07, ad ind.; L. von
Pastor, Storia dei papi, VIII, Roma 1924, p. 539 n. 1; P. Guerrini, I conti di Martinengo, Brescia 1930, ad ind.; L.A. Maggiorotti,
Architetti e architetture militari, I, Roma 1933, ad ind.; G.A. Quarti, La guerra contro il Turco…, Venezia 1935, pp. 97, 302, 507,
520, 555 s., 558 s.; C. Pasero, La partecipazione bresciana alla guerra di Cipro…, in Commentari dell’Ateneo di Brescia, Suppl.,
1953, ad ind.; Turcica: die europäischen Türkendrucke des XVI. Jahrhunderts, a cura di C. Göllner, II, 1551-1600, Bucure»ti-Baden
Baden 1958, p. 238; Storia di Brescia, II, Brescia 1963; III, ibid. 1964, ad indices; G. Perbellini, Le fortificazioni di Cipro…, in
Castellum, 1973, n. 17, pp. 43 s.; F. Lechi, Le dimore bresciane…, Brescia 1973-83, VIII, ad nomen; J. Beeching, La battaglia di
Lepanto, Milano 1982, ad ind.; P. Marchesi, Fortezze veneziane…, Milano 1984, p. 74; P.M. Kitromelides - M.L. Evriviades, Cyprus,
Oxford-Santa Barbara 1995, ad ind.; P. La Penna, La fortezza e la città. B. Lorini, G. Savorgnan e Marcantonio Martinengo a Palma
(1592-1600), Firenze 1997, ad indicem. G. Benzoni

MARTINENGO (di Barco), Nestore (Brescia 1547/48 - )


Figlio di Alessandro Giammaria, capitano in Fiandra, servì a Creta nel 1567-69 sotto l'ingegnere Girolamo Martinengo di Padernello e
nel 1570-71 fu capitano di fanteria alla difesa di Famagosta, dove si distinsero pure l'ingegnere Ercole Martinengo da Barco e
Luigi Martinengo delle Palle (poi scuoiato dai turchi insieme con Bragadin e Baglioni). Nestore diresse lo scavo di una
contromina: ferito due volte, fu latore dell'offerta di resa di Marcantonio Bragadin e riuscì poi a fuggire e a raggiungere Creta. Fu
poi governatore a Sebenico, di Legnago (1582) e della fortezza vecchia di Corfù (1592). E' probabilmente Nestore il "conte"
protagonista del dialogo sulle fortificazioni riferito da Lorini (v.) e avvenuto a Zara nel maggio 1594. DBI [G. Benzoni].

L'assedio e presa di Famagosta, dove s'intende minutiosamente tutte le scaramucce, battaglie, mine et assalti dati ad essa fortezza, et
quanto valore abbiano dimostrato que' signori capitani, soldati, popolo et infino le donne. Brescia, 1571. [Cad. Vat. Ottoboni
2604. Altre ed. a Brescia, Milano, Fano e poi a Venezia e Verona, pure datate 1571 ma certo stampate nel 1572,
contemporaneamente alle traduzioni tedesca (ad Augusta) e francese (di François de Belleforest, a Parigi). Ayala, p. 107]. In
appendice a Gigi Monello, Accadde a Famagosta, Scepsi & Mattana, 2007..
Carta di Famagosta di Giacomo Franco (1550-1620), Viaggio da Venetia a Constantinopoli per Mare (1597). Wikipedia
[Edito da Luigi Arminio Carrer]

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