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"UN’INASPETTATA
RIVINCITA
DELLA
CASSAZIONE
SULL’OCCUPAZIONE
ILLEGITTIMA?
(2/3)"

L'USUCAPIONE PUBBLICA

10 ottobre 2008

Dott. Paolo Loro


Direttore di Esproprionline

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Sommario : L’usucapione pubblica in generale | L'usucapione pubblica e


l'occupazione illegittima di beni privati | La legge 448/1998 | Immemoriale
e dicatio ad patriam

§ L’usucapione pubblica in generale

Con l’espressione “usucapione pubblica” si intende far riferimento non ad


un distinto istituto acquisitivo di matrice pubblicistica, che non esiste, ma
alla ordinaria usucapione civilistica il cui beneficiario sia un soggetto
pubblico, che semmai presenta alcune particolarità derivanti dalla natura
pubblica dell’usucapente.

Possono usucapire tutti i soggetti in grado di possedere, di essere titolari di


diritti e capaci processualmente [1], e dunque anche le persone giuridiche
pubbliche, titolari di tutti i poteri privatistici propri delle persone
giuridiche ad eccezione di quelli esclusi dalla legge [2].

L’usucapione avviene quando il soggetto pubblico, mediante gli organi del


suo apparato amministrativo, esercita continuativamente il possesso ad
usucapionem del bene per tutta la durata necessaria [3].

L’usucapione a favore di un soggetto pubblico territoriale, il Comune, può


configurarsi anche quando il possesso ad usucapionem non sia esercitato
direttamente dall’ente, bensì da una indifferenziata comunità di persone
alla quale sia riconducibile tanto il corpus (la signoria di fatto sul bene)
quanto l’animus possidendi (l’intenzione di esercitare uti cives sul bene un
potere corrispondente a quello di proprietario o di titolare di un ius in re
aliena) [4]. Non è sufficiente l’utilizzo esercitato soltanto dalle persone che
si trovino in una posizione qualificata rispetto al bene, quali ad esempio i

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proprietari frontisti: l’uso deve rispondere alla necessità od alla utilità di


un insieme di soggetti agenti come esponenti della collettività ed essere
esercitato continuativamente per la durata prescritta dalla legge, con
l’intenzione di agire uti cives e misconoscendo il diritto del proprietario, di
tal che esso non possa essere attribuito a mera tolleranza di quest’ultimo
[5].

Aspetti peculiari dell’usucapione pubblica consistono nella duplice


esigenza che il possesso sia strumentale al soddisfacimento dell’interesse
pubblico cui è preposto il soggetto usucapente, cioè non sia estraneo alla
funzione di esso, e che il bene usucapendo sia idoneo a soddisfare tale
pubblico interesse [6].

Riassumendo, l’usucapione pubblica presuppone: l’idoneità del bene


all’uso pubblico; la rispondenza dell’uso a una utilità pubblica e non al
soddisfacimento dell’interesse privato di alcuni singoli; l’esercizio della
signoria sul bene, corrispondente ad un diritto reale di godimento, da parte
dell’ente o di una collettività di persone agenti uti cives e non uti singuli
[7]; il disconoscimento anche implicito di ogni contrario diritto del
proprietario; la non riscontrabilità nel proprietario di un atteggiamento di
mera tolleranza; la continuità nell’esercizio dell’uso per la durata stabilita
dal codice civile ai fini dell’usucapione.

Così come nell’usucapione in generale, anche nell’usucapione pubblica non


occorre provare l’esistenza di continui atti di godimento, nell’arco di tempo
considerato, potendo la continuità del possesso configurarsi anche quando
gli atti di esercizio siano fisiologicamente intermittenti in relazione alla
destinazione del bene: occorrerà in tal caso accertare l’esistenza di una
relazione tra questi atti di esercizio, in modo che si possa individuare il
primo di essi dal quale far decorrere l’usucapione. Viceversa non sarà il
proprietario a dover dimostrare la continuità degli atti di difesa [8].

Il caso più frequente di usucapione per utilizzo del bene da parte della
collettività riguarda diritti di servitù, come ad esempio il diritto di uso
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pubblico di passaggio gravante su una strada privata [9]; deve in ogni caso
trattarsi – giusta l’art. 1061 c.c. – di servitù apparenti [10].

La p.a. può usucapire il bene privato del quale abbia disposto la


concessione in uso a terzi per oltre un ventennio, anche sussistendo
l’erronea convinzione che il bene fosse già demaniale, circostanza che
conferma, peraltro, la volontà di gestirlo uti domina [11].

Per quanto riguarda il titolo trascrivibile di accertamento dell’avvenuta


usucapione pubblica, secondo alcune pronunce non può essere altro che la
pronuncia giudiziale [12], secondo altre può essere lo stesso
provvedimento acquisitivo ex art. 43 dPR 327/2001, nonostante l’efficacia
costitutiva evincibile dal suo tenore letterale [13].

§ L'usucapione pubblica e l'occupazione illegittima di beni privati

Assai complesso, a causa del notevole grado di controverse elaborazioni


giurisprudenziali implicate, è l’intreccio dell’istituto dell’usucapione con le
problematiche relative alla cd. occupazione appropriativa e usurpativa, cioè
alle varie forme di occupazione illegittima di suoli privati da parte della
pubblica amministrazione in sede di realizzazione di opere pubbliche,
nonché, dopo l’entrata in vigore dell’articolo 43 del dPR 327/2001 (testo
unico in materia di espropriazione per pubblica utilità), con il nuovo
istituto della cosiddetta acquisizione coattiva sanante.

La tradizionale costruzione pretoria dell’occupazione appropriativa, o


acquisitiva, introdotta dalla sentenza Cass. SSUU n. 1464/1983 e tuttora
ammessa dalla Suprema Corte di Cassazione nonostante la contrarietà
della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e del Consiglio di Stato, lascia
poco spazio all’operatività dell’usucapione, giacché allo scadere della
dichiarazione di pubblica utilità dell’opera pubblica in funzione della quale

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il fondo privato è stato occupato, sussistendo l’irreversibile trasformazione


del bene, questo diviene automaticamente di proprietà dell’ente occupante
(configurando così un caso di accessione invertita), senza la necessità del
decorso del tempus ad usucapiendum.

Si prospetta invece una situazione diversa con riguardo, da un lato, alla


cosiddetta occupazione usurpativa, o illecito permanente, laddove
l’occupazione è sine titulo, ovvero svincolata dall’esercizio di un potere
pubblico, e, dall’altro lato, alle occupazioni illegittime in ordine alle quali si
ritenga operativo l’articolo 43 cit.; in entrambi i casi non opera l’accessione
invertita, e dunque è teoricamente aperta la strada dell’usucapione del
bene da parte dell’ente occupante.

Per quanto riguarda, in particolare, l’assetto dell’occupazione illegittima


emergente dal t.u. espropri cit., la giurisprudenza amministrativa ha
precisato che l’azione restitutoria da parte del proprietario spogliato può
essere esercitata in ogni tempo, senza alcun limite prescrizionale,
risultando la restitutio in integrum impedita – in mancanza della scelta
della PA di acquisire in sanatoria il bene ex art. 43 cit. o in mancanza di
rinuncia abdicativa del proprietario – dall’eventuale maturazione
dell’usucapione ventennale a favore dell’ente pubblico occupante [14]; più
in generale i giudici amministrativi fanno discendere il trasferimento del
diritto dal normale provvedimento di esproprio, o atto di cessione
volontaria, ovvero, in caso di procedura espropriativa illegittima, dal
provvedimento acquisitivo ex art. 43, ovvero dall’usucapione [15], e, con
qualche incertezza, dall’accertamento giudiziale dell’“abdicazione” da parte
del proprietario il quale, reagendo all’occupazione illegittima, abbia optato
per la tutela risarcitoria anziché per quella restitutoria.

Sembra da escludersi che accertamento dell’usucapione e accertamento


dell’illecita occupazione ai fini risarcitori possano coesistere: è stato infatti
affermato che l’avvenuta usucapione, essendo un acquisto a titolo
originario, esclude il presupposto del risarcimento da illecito, rendendo

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irrilevante l’illiceità del possesso di chi abbia usucapito [16], purché,


beninteso, si tratti di possesso non viziato ai sensi dell’articolo 1163 c.c..

Quest’ultimo aspetto merita una particolare riflessione.

In caso di acquisto violento o clandestino del possesso, esso non giova


all’usucapione fino a quando cessa la violenza o la clandestinità (nec vi, nec
clam: art. 1163).

Sussiste una netta differenza tra la tradizionale e rigorosa nozione di


violenza intesa come azione fisica (vis absoluta o vis in corpore illata: ad
esempio la rimozione della recinzione e l’ingresso nel fondo con mezzi
pesanti) o morale (vis compulsiva o vis in animo illata) costrittiva
dell’altrui volontà e arbitraria, e l’amplissima nozione giurisprudenziale di
violenza in tema di azione di reintegrazione, (un cui possibile presupposto
è il carattere violento dello spoglio: art. 1168 c.c.), ove la violenza è
ravvisata in qualsivoglia adprehensio del bene avvenuta senza il consenso
dell'avente diritto, esplicito o rivelato per facta concludentia da un
comportamento inequivocabilmente acquiescente (non ravvisabile nella
mera inazione) [17]. Quest’ultima impostazione, se ritenuta valida
nell’ambito dell’usucapione, inibirebbe in pratica la configurabilità
dell’usucapione – giusta l’articolo 1163 – ogniqualvolta il titolare del diritto
sul bene, o il precedente possessore, non abbia dato esplicito consenso ad
una occupazione illegittima della PA, ovvero, a maggior ragione, abbia
manifestato una qualche forma di contrarietà extragiudiziale o contrasto
giudiziale.

Sennonché, anche volendo accogliere la nozione più ristretta di violenza, si


può agevolmente osservare come l’impossessamento forzoso in esecuzione
di un decreto di esproprio o di occupazione temporanea consista in
un’azione coercitiva esecutiva di un provvedimento autoritativo, che
consente di ottenere legalmente l’apprensione del bene contro la volontà
del destinatario. Tale impossessamento contrario alla volontà del
destinatario non è viziato ai sensi dell’articolo 1163 perché è fondato su un
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titolo previsto dalla legge che lo legittima. Ma se quel titolo non c’è o è
viziato, l’impossessamento per le vie di fatto compulsivo della volontà dello
spoliatus diventa arbitrario, e negare – a quel punto – il suo carattere
violento, equivarrebbe ad ammettere che la p.a. operante in carenza di
potere possa essere esonerata dalle conseguenze civilistiche del suo
comportamento.

In altri termini, la violenza è un uso della forza arbitrario, e quando la p.a.


occupa forzosamente un terreno sine titulo, fa per l’appunto un uso della
forza arbitrario. A trarne le conclusioni ai sensi dell’articolo 1163, con le
conseguenti ripercussioni in tema di occupazione illegittima, la
giurisprudenza non è ancora sostanzialmente giunta: non manca però
qualche avvisaglia [18].

Va tuttavia ricordato che parte della giurisprudenza in materia di


usucapione è arrivata ad ammettere - a dispetto della tradizionale opinione
secondo cui il possesso ad usucapionem debba essere “pacifico” - che il
possesso possa diventare violento successivamente al suo acquisto e
mantenersi ciononostante giovevole all'usucapione [19]; ciò, nell'ambito
dell'occupazione illegittima, consentirebbe verosimilmente di inferire che,
a differenza della inesistenza o illegittimità iniziale del titolo di
occupazione, la sua illegittimità sopravvenuta - ad esempio per scadenza
infruttuosa dei termini -, quand'anche qualificabile come violenza, non
impedisca l'usucapione ai sensi dell'articolo 1163 c.c..

§ La legge 448/1998

Occorre spendere alcune parole sulla previsione contenuta al comma 21


dell’articolo 31 della legge n. 448/1998 (finanziaria 1999), in base alla
quale «In sede di revisione catastale, è data facoltà agli enti locali, con
proprio provvedimento, di disporre l’accorpamento al demanio stradale

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delle porzioni di terreno utilizzate ad uso pubblico, ininterrottamente da


oltre venti anni, previa acquisizione del consenso da parte degli attuali
proprietari».

Ora, l’utilizzo ininterrotto ventennale potrebbe, evidentemente, ben


configurare l’avvenuta usucapione, se avente i connotati di possesso ad
usucapionem con il corpus e l’animus possidendi, ma la norma introduce
due aspetti incompatibili con la disciplina dell’usucapione: la
“disposizione” del passaggio di proprietà con provvedimento
amministrativo – mentre l’usucapione può essere accertata solo con una
sentenza non costitutiva – ed il consenso degli “attuali proprietari” –
mentre nell’usucapione, dopo il ventennio “attuale proprietario” è colui che
ha usucapito, e comunque il mancato consenso dell’usucapito non
impedisce l’usucapione –.

In definitiva si può ritenere che la p.a. disponga, dopo codesta legge


finanziaria, di un ulteriore titolo di acquisizione di un bene al demanio
stradale, distinto dall’usucapione: è all’uopo sufficiente la dimostrazione di
un utilizzo ininterrotto per vent’anni, e non delle ulteriori condizioni del
possesso ad usucapionem, ed è possibile disporre in via amministrativa il
passaggio di proprietà, con effetto costitutivo ex nunc: occorre tuttavia il
consenso dei proprietari.

§ Immemoriale e dicatio ad patriam

Prima della codificazione napoleonica, l’immemorabile, o immemoriale,


era considerato un titolo di presunzione di corrispondenza alla situazione
di diritto di una situazione di fatto caratterizzata dalla vetustas, cioè dalla
sua protrazione da tempo immemorabile, le cui origini si perdono nel
passato senza che vi sia memoria del contrario [20].
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Si ritiene per lo più in dottrina e giurisprudenza che l’immemoriale,


nell’ambito del diritto civile, non trovi spazio di applicazione in quanto
abrogato dal codice civile del 1865 e non richiamato in vigore dall’attuale
codice civile, nel quale il sistema di presunzioni del possesso intermedio e
anteriore (artt. 1142 e 1143) rende irrilevante il periodo antecedente
rispetto al momento di esistenza di un titolo o rispetto al momento in cui
possa con certezza essere fatto risalire un atto di possesso [21].

Eppure ciò non ha impedito che il principio preterlegale dell’immemoriale


si sia affermato in presenza di interesse pubblico: vasta è la giurisprudenza
che qualifica il possesso collettivo ab immemorabili, esercitato da una
comunità di individui uti cives, idoneo all’acquisto di una servitù di diritto
pubblico a prescindere da altri titoli di acquisto [22].

I diritti di servitù d’uso pubblico possono essere acquistati per possesso ab


immemorabili – così come per usucapione – anche se non vi siano opere
visibili e permanenti destinate al loro esercizio, in quanto il requisito
dell’apparenza è richiesto dall’art. 1061 cod. civ. soltanto per le servitù
prediali [23].

La dicatio ad patriam è il comportamento volontario ed univoco del


proprietario consistente nel destinare un proprio bene, o nel non impedire
la destinazione di un proprio bene, con carattere di definitività, continuità
e non di mera occasionalità, precarietà e tolleranza, a beneficio di una
comunità indeterminata di soggetti, al fine di soddisfare in via permanente,
analogamente a quanto avviene per i beni demaniali, un’esigenza comune
ai membri di tale collettività considerati uti cives, a prescindere dalle
motivazioni di tale comportamento, dalla sua spontaneità, dallo spirito che
lo anima, e dalla stessa consapevolezza e intenzionalità degli effetti
giuridici correlati all’insorgenza del diritto di uso pubblico [24].

La dicatio ad patriam trova dunque il suo fondamento in un


comportamento di fatto del proprietario, e non, come avviene

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nell’usucapione o nell’immemorabile, nel possesso del bene da parte della


comunità, e non necessita di formali ed espresse manifestazioni di volontà.

Sul piano pratico, la sostanziale differenza tra dicatio ad patriam ed


usucapione consiste nel fatto che nella dicatio la costituzione della servitù
prescinde dalla durata dell’uso collettivo in quanto, una volta accertato,
anche per facta concludentia, il requisito della volontaria dicatio e la
sussistenza oggettiva dell’uso pubblico, la servitù può ritenersi perfezionata
con l’inizio stesso dell’uso in tal modo legittimato, senza che occorra
attendere il decorso di un determinato lasso di tempo [25].

In giurisprudenza si è giunti ad affermare che la volontarietà del


comportamento del proprietario può anche consistere nel mettere a
disposizione il bene nell’ambito di una convenzione stipulata ad altri fini,
arrivando in tal modo alla inevitabile conclusione che alla successiva
formalizzazione occorre attribuire efficacia dichiarativa e non costitutiva
della servitù [26].

A differenza dell’usucapione, uso ab immemorabili e dicatio ad patriam


sono titoli idonei all’acquisto della sola servitù di uso pubblico, non della
proprietà del bene.

http://www.exeoedizioni.it/site/Approfondimento_Dettaglio.asp?ID=638&IDCat=114 (10 di 15)04/04/2011 8.54.08


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[1]Pola, L'usucapione, Padova, 2006, 131 ss. Con riguardo ai gruppi non personificati
e agli organismi collettivi come condominii, associazioni non riconosciute, comitati,
società di persone si creano complesse problematiche riguardo alla titolarità o
contitolarità del diritto e del possesso, e ai riflessi su quest’ultimo e sulla sua
continuità dei mutamenti delle singole persone che li compongono: cfr. Sacco,
Usucapione, Digesto delle discipline privatistiche, sezione civile, Torino, 1999, 564.
Secondo Cass. 3373/1981, FI, 1983, I, 1996 le associazioni non riconosciute possono
usucapire la proprietà di beni immobili.

[2]Ex multis Corso, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2008, 396; Casetta,
Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2006, 293, 563. Numerose sono le
pronunce che, con riguardo all’accertamento del carattere demaniale di un bene,
citano l’usucapione tra i possibili titoli acquisitivi: ex plur. Cons. St. 2618/2007; Tar
CA 1738/2008, TO 2269/2007. Cfr., con riguardo alle pertinenze, Cass. 4975/2007.
Sent. cit. in Eol.

[3] Corte App. NA II 28/4/2008, Eol.

[4] Cass. 11346/2004 Foro Amm. CDS, 2004, 1613, Gius, 2004, 3929; Cass.
10772/2003, AC, 2004, 687, AGC, 2004, 664, Gius, 2004, 1, 89; Cass. 8341/1998;
4436/1996.

[5] Tar GE 1581/2003, Eol; Cass. 6952/1995.

[6] Es. Tar GE 1581/2003, Eol.

[7] Es. Cons. St. 7601/2006, Eol.

[8] Cass. 5468/1986.

[9] Tar VE 338/2008, Eol; Tar NA 834/2007, Eol.

[10]Cass. 3742/2007, Eol; App. RM IV 11/10/2006, Eol.

[11] Cass. 14917/2001, RGE, 2002, I, 586.

[12]Trga BZ 101/2005, Eol.

[13] In base al quale l’atto di acquisizione “comporta il passaggio del diritto di


proprietà”: cfr. Cass. SU 26732/2007, Eol.

[14] Tar CT 1218/2008, Eol. Controversa è la ulteriore rilevanza ostativa alla


restituzione del bene che discenderebbe dal pregiudizio all’economia nazionale (art.
2933 2 c.c.) e dall’eccessiva onerosità per il debitore (art. 2058 2 c.c.): nel senso di
ammetterla, Cons. St. 6560/2007, contra Cons. St. 290/2006, AP 2/2005, tutte in
Eol.

[15]Cons. St. 3752/2007, 2582/2007, Tar BA 2131/2008, NA 10202/2007, BS

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466/2007, tutte in Eol.Cfr. Melloni, Articolo 43 e usucapione, Eol, 24 luglio 2007.

[16] Cass. 19782/2008, Eol: qui la Suprema Corte ragiona in termini di retroattività
sanante dell’usucapione, nel senso che essa rimuoverebbeab origine il connotato di
illiceità al comportamento di chi abbia usucapito.

[17] Ex plur. Cass. 11453/2000, RFI, 2000, Possesso, 5060, 59. Cfr. in generale sulla
nozione di violenza in ambito possessorio Tomassetti, Il possesso, Torino, 2005, 608.
Cfr. sulla nozione tradizionale della violenza: Trabucchi, Istituzioni di diritto civile ,
43^ed., Padova, 2007, 123

[18] Ad esempio secondo Tar NA 9995/2004 – in tema di azione di reintegrazione –


lo spossessamento del bene oltre il termine di efficacia del decreto di occupazione è
violento se effettuato contro la volontà del proprietario.

[19] Cass. 6997/1998; Cass. 6030/1988; Cass. 1682/1982. Cfr. Sacco, cit., 565.

[20] Comporti, Usucapione, I) Diritto civile, EGT, XXXII, 1994, 4; Vismara,


Immemoriale (storia), ED, XX, 156. La legittimazione della situazione di fatto
derivava pertanto da tale presunzione, ed era tenuta distinta da un altro fenomeno, la
longissimi temporis praescriptio, ove la perduta memoria dell’inizio della situazione
di fatto faceva invece presumere l’avvenuto decorso di qualsiasi termine acquisitivo
Trabucchi, cit., 582, n. 3. Per contro, l’immemoriale poteva legittimare situazioni
possessorie inidonee al configurarsi dell’usucapione: Bianca, Diritto civile, VI, La
proprietà, Milano, 1999, 831.

[21]Cass. 4051/1983, Cass. 837/1973, GI, 1974, I, 1, 389; Cass. 2000/1964, RFI, 1964,
Usuc., 2; Cass. 3016/1959, RFI, 1959, Usuc., 19.Trabucchi, cit., 571. Vi è anche chi
ritiene che l’immemoriale sia tuttora operativo anche nei rapporti privati: «chi può
vantare un possesso immemoriale non teme le pretese dei terzi, che non potrebbero
essere fondate su nulla. E può chiedere in ogni tempo e circostanza la difesa della
situazione, perché il possesso immemoriale si circonda di una presunzione
irrefragabile di conformità a diritto» Sacco, cit., 563, che cita su questa linea Cass.
3505/1975.

[22]Ex plur. Tar NA 7221/2006, Eol; Cons. St. 373/2004; 7831/2003; 5692/2002;
Cass. 12167/2002; 4528/1998; 4279/1997; 7718/1991; 1168/1974; 1231/1972.Cfr.
Loro, L’espropriabilità di un bene assoggettato ad uso pubblico, Eol, 16.1.2005,
22.2.2005.

[23] Cass. 4528/1998. La parola “prediale” deriva dal latino praedium che significa
podere, fondo, terreno. Per servitù prediale s’intende dunque un rapporto diretto tra
terreni di cui uno è posto ad obiettivo servizio dell’altro: la “predialità” sta cioè ad
indicare il carattere impersonale del vantaggio, funzionale ad un miglioramento
intrinseco delle condizioni materiali del fondo dominante e non ad un beneficio
personale del proprietario di quel fondo.

[24]Ex plur. Cass. 7481/2001; 6924/2001; 875/2001; 5312/1998; 946/1998;

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4279/1997; 3117/1995; 10574/1994; 5262/1993; 3525/1993; 1277/1991; 1072/1988;


5272/1986.

[25]Ex plur. Cass. 20873/2004; 12167/2002; 15111/2000; 5262/1993.

[26] Si trattava della costruzione di edifici con i portici. Cass. 7481/2001.

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Novità

Autore:Antoniol, Marco
Titolo: L'ART. 10-BIS DELLA LEGGE 241/1990
Il volume costituisce un’analisi ragionata ed operativa dell’art. 10-bis l. 241/1990, condotta alla luce di un
massiccio corpus di recenti applicazioni giurisprudenziali. Chiarito il delicato aspetto dell’ambito attuativo della
norma, nei capitoli centrali si guida l’operatore nello studio dei tre atti che ne compongono la sequenza
procedimentale: la comunicazione dei motivi ostativi, le osservazioni dei privati, il provvedimento finale. Con
riferimento a quest'ultimo, in particolare, viene dedicata speciale attenzione ai profili di interferenza tra l'art. 10-bis
ed il capoverso dell'art. 21-octies l. 241/1990, che costituisce l'aspetto più problematico e controverso dell'intero
istituto.

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Autore:Curatolo, Massimo - Iovine, Antonio


Titolo: LA STIMA DEGLI IMMOBILI URBANI: CASI
Il testo contiene 12 esemplificazioni di casi di stima professionali concernenti il segmento immobiliare degli
immobili urbani. Le casistiche trattate evidenziano gli aspetti più rilevanti dal punto di vista metodologico e sono
integrate da richiami o note che consentono al professionista di individuare criteri, procedimenti, formule adottate,
con valenza sia per l’estimo ordinario che per quello catastale. I procedimenti adottati per la determinazione del
valore sono generalmente quelli classici ovvero di tipo statistico. Pertanto il test è essenzialmente adatto a
professionisti, che seppure esperti nella dottrina dell’estimo ed operanti nel settore, non abbiano ancora avuto
modo di affrontare operativamente alcuni dei casi di stima illustrati.

Autore:Curatolo, Massimo - Iovine, Antonio


Titolo: LA STIMA DEGLI IMMOBILI RURALI: CASI
Il testo contiene 6 esemplificazioni di casi di stima professionali concernenti il segmento immobiliare degli immobili
urbani e due applicazioni pratiche ricorrenti nell’estimo (reintegra e ammortamento di capitali). Le casistiche
trattate evidenziano gli aspetti più rilevanti dal punto di vista metodologico e sono integrate da richiami o note che
consentono al professionista di individuare criteri, procedimenti, formule adottate, con valenza sia per l’estimo
ordinario che per quello catastale. I procedimenti adottati per la determinazione del valore sono generalmente
quelli classici ovvero di tipo statistico. Pertanto il test è essenzialmente adatto a professionisti, che seppure
esperti nella dottrina dell’estimo ed operanti nel settore, non abbiano ancora avuto modo di affrontare
operativamente alcuni dei casi di stima illustrati.

http://www.exeoedizioni.it/site/Approfondimento_Dettaglio.asp?ID=638&IDCat=114 (14 di 15)04/04/2011 8.54.08


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