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LO SPIRITO SOCIOLOGICO DI CALVINO

Nota su Italo Calvino. La realtà dell'immaginazione e le ambi-


valenze del moderno di Elena Gremigni

Marco Trainito

Nel suo Diario americano 1960, uscito tra il novembre


del 1961 e il febbraio del 1962 sui numeri 53 e 54 di «Nuovi Ar-
gomenti», Italo Calvino inserì una breve sezione intitolata "La
sociologia e il calderone", che recita così: «M'accorgo che più sto
qui e più ogni discorso generale diventa difficile. Giro, osservo,
ascolto, scrivo, e sento sempre di più l'insoddisfazione di chi az-
zarda approssimazioni su approssimazioni... Ormai, non resta che
dare la parola ai sociologi, ai freddi raccoglitori di dati. Basta un
breve soggiorno in America per rendersi conto del perché questo
è il paese delle inchieste sociologiche, dei sondaggi Doxa, delle
ricerche di mercato. Nessuna forma di conoscenza e di previsione
pare possibile, di fronte a un mondo umano così cangiante, se
non basata su una dettagliata accumulazione di dati, su scandagli
statistici minuziosi, sempre più minuziosi, fino ad annegare in un
mare di cifre e risposte e notizie che non si possono più mettere
insieme, che non significano più nulla...».
È con un rinvio a questo passo che Elena Gremigni,
docente livornese di Storia e Filosofia nei licei e di Sociologia
dei Beni culturali all'Università di Pisa, apre l'introduzione del
suo agile e rigoroso saggio Italo Calvino. La realtà dell'immagi-
nazione e le ambivalenze del moderno (Le Lettere, Firenze, mar-
zo 2011, 120 pp.). Poiché il saggio mira a illustrare l'"autentico
spirito sociologico" (p. 98) che informa l'opera del grande scritto-
re e intellettuale italiano, ci si potrebbe chiedere come sia possi-
bile una simile operazione esegetica, dato che, come visto, Cal-
vino sembrava nutrire delle perplessità epistemologiche di fondo
sui metodi d'indagine della sociologia empirica. L'analisi di Ele-
na Gremigni risponde a questa domanda sviluppando le implica-
zioni ermeneutiche di due dati di fondo, costituiti 1) dal fatto che
nella sua opera, tanto in quella saggistica quanto in quella lettera-
ria, Calvino si sia dimostrato un acuto osservatore delle strutture
e delle dinamiche sociali dell'Occidente del secondo dopoguerra
in generale e dell'Italia dell'ambiguo boom economico in partico-
lare; e 2) dal fatto che uno dei più influenti sociologi contempo-
ranei, Zygmunt Bauman, abbia più volte riconosciuto un debito
intellettuale enorme nei confronti di Calvino, al punto da dichia-
rare, in un'intervista apparsa il 13 ottobre 2002 sul «Corriere del-
la sera» e intitolata significativamente "Bauman: devo tutto a
Gramsci e Calvino": «Italo Calvino (...) è il più grande filosofo
tra i narratori e il maggior narratore tra i filosofi. Il suo Le città
invisibili è il miglior testo di sociologia mai scritto». Sulla base
di queste premesse, Elena Gremigni può così sintetizzare nella
conclusione lo schema interpretativo seguito nella sua originale
ricognizione critica: «Le interviste, gli articoli e i saggi scritti da
Calvino rendono esplicita la sua attenzione nei confronti della
società e delle dinamiche che la caratterizzano, ma soprattutto
consentono di effettuare in modo non arbitrario un secondo livel-
lo di lettura in chiave sociologica dei suoi testi narrativi» (p.
102).
Questa ipotesi esegetica spiega la stessa articolazione
del saggio, che, delimitato da una introduzione e una conclusione
sintetiche e particolarmente chiare ed efficaci, si compone di tre
capitoli, ciascuno dei quali è suddiviso a sua volta in tre paragra-
fi, ciò che conferisce eleganza ed equilibrio al movimento rapido
e preciso dell'analisi e dell'argomentazione.
Nel primo capitolo, "Dalla prassi alla teoria", Elena
Gremigni mostra come l'esperienza partigiana abbia costituito per
il giovane Calvino il terreno di coltura per lo sviluppo da un lato
di una sensibilità che privilegia la sfera della collettività e della
condivisione rispetto a quella dell'individualità e dell'egoismo, e
dall'altro di un interesse sociologico-speculativo sempre crescen-
te per i sistemi complessi e la modellizzazione delle loro dinami-
che strutturali; offre un quadro della situazione degli studi socio-
logici in Italia nel secondo dopoguerra, sottolineando come que-
sti si muovano fondamentalmente tra l'approccio positivista clas-
sico e quello, prevalente, di stampo marxista; e infine illustra
l'amore difficile tra Calvino e il Partito comunista italiano tra la
fine della guerra e gli anni successivi ai fatti di Budapest, met-
tendo soprattutto in luce come l'ortodossia zdanovista del partito,
in cui ogni discorso artistico è subordinato a superiori esigenze
politiche, appaia sin da subito troppo gretta a una mente inquieta
e aperta al pensiero complesso e plurale come quella di Calvino.
Nel secondo capitolo, "Uno sguardo sociologico sui
fenomeni culturali", la produzione saggistica di Calvino è esplo-
rata alla luce dell'idea che lo scrittore abbia fornito riflessioni in-
teressanti su questioni oggi oggetto di studi sociologici precisi
come i rapporti tra letteratura, cinema e televisione da un lato e
società dall'altro. Intervenendo nel dibattito sul grande cinema
italiano del dopoguerra, e in particolare su tre capolavori usciti
nel 1960 (Rocco e i suoi fratelli di Visconti, La dolce vita di Fel-
lini e L'avventura di Antonioni), Calvino mostra notevole indi-
pendenza nei confronti degli schemi ideologici rigidi della critica
marxista dominante, anticipando quella vera e propria rottura e-
pistemologica che consisterà nel considerare il cinema come una
modalità di espressione artistica dotata di un proprio linguaggio
specifico e irriducibile ai canoni tradizionali dell'estetica lettera-
ria. A proposito della televisione, il soggiorno negli Stati Uniti
tra il 1959 e il 1960 consente a Calvino di osservare i prodromi di
un mutamento epocale nei costumi sociali e culturali indotto dal-
la televisione, la quale, pur veicolando molto cinema, tende a te-
nere le famiglie isolate e lontane da spazi pubblici di condivisio-
ne collettiva di esperienze culturali come le sale cinematografi-
che, e inoltre promuove una modalità di fruizione passiva che si
pone in netto contrasto con quella richiesta dalla lettura, con con-
seguenze sulle strutture cognitive degli individui che oggi si ma-
nifestano in tutta la loro drammaticità sul piano non solo socio-
psicologico ma anche politico. L'esigenza della ricostruzione di
un tessuto culturale nazionale dopo lo sfacelo provocato dal Fa-
scismo e dalla guerra, il lavoro di ricerca culminato con la pub-
blicazione delle Fiabe italiane e la collaborazione intellettuale ed
editoriale con Elio Vittorini, che con la sua "intransigenza etica"
lo segna profondamente, contribuiscono a creare in Calvino la
convinzione che la letteratura sia uno degli strumenti di cui una
società si dota per comunicare e socializzare il proprio mondo
culturale e la sua tradizione. In tal senso lo scrittore ha il compito
di orientare l'attenzione non su se stesso e la sua soggettività, ma
sul mare dell'oggettività, facendosi per gli altri veicolo magari
ludico e ironico di cultura, esperienze, letture, vita, e facendo par-
lare ciò che non ha parola, persino, se fosse possibile - come dirà
alla fine delle Lezioni americane pervenuteci - «l'uccello che si
posa sulla grondaia, l'albero in primavera e l'albero in autunno, la
pietra, il cemento, la plastica».
Il terzo capitolo, "L'analisi della modernità: democra-
zia, città e consumi", fa tesoro delle premesse ermeneutiche of-
ferte dai capitoli precedenti e offre una rilettura in chiave socio-
logica di tre opere narrative di Calvino: La giornata d'uno scruta-
tore (1963), Marcovaldo (1963) e Le città invisibili (1972). E co-
sì la "città nella città" del Cottolengo di Torino diventa nelle ri-
flessioni di Amerigo Ormea, chiaro alter ego di Calvino, metafo-
ra sia dell'involuzione burocratica e alienante della civiltà demo-
cratica, con lo sfruttamento cinico dei moribondi, dei disabili e
dei malati di mente a fini elettoralistici da parte del partito di Go-
verno (la Democrazia Cristiana), sia della possibilità di un riscat-
to attraverso la collaborazione e la solidarietà tra bisognosi ed
emarginati, che costituiscono l'essenza stessa della vita democra-
tica della polis. Episodi come Luna e Gnac e Marcovaldo al su-
permarket offrono in chiave ironica e comica una esemplifica-
zione delle acute riflessioni di Calvino sull'onnipotenza della na-
scente civiltà della pubblicità e dei consumi, e anticipano l'incubo
omologante dell'universo concentrazionario dei centri commer-
ciali, che troverà ne La caverna (2000) di José Saramago forse la
sua più icastica rappresentazione contemporanea. Mentre città
invisibili come Cloe, Cecilia, Pentesilea, Trude e Leonia (su
quest'ultima si è concentrato in particolare Bauman in Amore li-
quido e Consumo, dunque sono) costituiscono delle vere e pro-
prie visioni apocalittiche idealtipiche delle trasformazioni in atto
nelle città contemporanee, che diventano sempre di più spazi
continui, omologati, ricorsivi, e pertanto invisibili a invivibili per
gli individui, condannati a quell'isolamento nella folla già descrit-
to da Friedrich Engels (che Calvino, come documenta Elena
Gremigni, aveva ben presente all'epoca della stesura de Le città
invisibili).
Si comprende, pertanto, come Calvino sia riuscito ad
anticipare alcune delle categorie concettuali più influenti della
successiva sociologia della globalizzazione, come quella di
"surmodernità" di Marc Augé e quella di "modernità liquida" di
Bauman, fornendo delle potenti immagini metaforiche (il Cotto-
lengo di Amerigo, il supermarket e lo spazio urbano di Marco-
valdo, le città invisibili) in grado di fungere da veri e propri
strumenti euristici per i sociologi di oggi. Ed Elena Gremigni
può giustamente concludere lamentando il fatto che in Italia
manchi ancora un approccio di questo tipo all'opera di Calvino,
«mentre altrove sociologi come Zygmunt Bauman e Howard S.
Becker tributano il loro omaggio allo scrittore italiano attraverso
acute analisi dei suoi testi. Questi importanti approfondimenti
critici dimostrano che la lettura delle opere di Italo Calvino può
arricchire in modo notevole la formazione dei sociologi» (p.
102).
Vale la pena allora chiudere ridando la parola a Calvi-
no e proponendo un passo tratto dalla versione italiana di una
conferenza sulle Città invisibili tenuta in inglese dallo scrittore il
29 marzo 1983 a New York davanti agli studenti della Graduate
Writing Division della Columbia University, poi stampata come
Presentazione nella riedizione Oscar Mondadori 1993 dell'opera
(il passo non è citato nel saggio di Elena Gremigni, ma costitui-
sce un sostegno ulteriore a favore sia della plausibilità del suo
approccio critico sia dell'entusiastico giudizio di Bauman riporta-
to sopra): «Credo che non sia solo un'idea atemporale di città
quello che il libro evoca, ma che vi si svolga, ora implicita ora
esplicita, una discussione sulla città moderna. Da qualche amico
urbanista sento che il libro tocca vari punti della loro problemati-
ca, e non è un caso perché il retroterra è lo stesso. E non è solo
verso la fine che la metropoli dei "big numbers" compare nel mio
libro; anche ciò che sembra evocazione d'una città arcaica ha
senso solo in quanto pensato e scritto con la città di oggi sotto gli
occhi. Che cosa è oggi la città, per noi? Penso d'aver scritto qual-
cosa come un ultimo poema d'amore alle città, nel momento in
cui diventa sempre più difficile viverle come città. Forse stiamo
avvicinandoci a un momento di crisi della vita urbana, e Le città
invisibili sono un sogno che nasce dal cuore delle città invivibi-
li».

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