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Le crisi di legalità.
Nello svolgimento dell'attività d'impresa l'imprenditore deve operare secondo legge. L'impresa è investita da una crisi di legalità nel
momento in cui al suo interno viola leggi o regolamenti, o principi generali di prudenza o diligenza, o norme di corretta gestione, e
per la gravità di questa situazione espone a grave pregiudizio gli interessi dei soggetti coinvolti nella sua attività nonchè la
sopravvivenza dell'attività stessa. Per ovviare a questo l'ordinamento ha predisposto che all'interno dell'azienda vi siano degli organi
di controllo di legalità e che nei casi più gravi, o nell'inefficienza dei controlli, che l'ordinamento stesso possa imporre al titolare
d'azienda specifici comportamenti o addirittura sottrargli l'azienda. Questo accade principalmente quando condotte illegali si
sostanziano in compimento di reati.
Si guarda molto alla tutela di imprese del mercato finanziario (banche, sim, sgr, sicav,etc) questo per proteggere la collettività degli
investitori. In caso vi siano delle gravi irregolarità amministrative o violazioni di leggi, in questi casi si passa all'amministrazione
straordinaria, con decreto ministeriali che scioglie gli organi della società e la nomina di uno o più commissari straordinari, insieme
ad un comitato di sorveglianza. Nel caso di eccezionale gravità può disporre anche la liquidazione coatta amministrativa dell'impresa
con la nomina di uno o più commissari liquidatori, anche se è già in corso l'amministrazione straordinaria.
Anche per le società per azioni si può attuare un istituto di controllo che consente all'autorità giudiziaria di ripristinare la situazione
regolare dell'impresa nel caso di gravi irregolarità di gestione: questo a tutela dei soci, specie le minoranze.
Le crisi economiche
Le crisi economiche sono le più frequenti e quindi le più trattate dal diritto concorsuale. Si genera crisi economica quando l'impresa
non riesce più a creare valore. Il processo di crisi economica è lungo, mai istantaneo. I motivi posso essere interni (poca
professionalità dei manager, organizzazione interna inadeguata, inefficienza nel processo produttivo, nella commercializzazione e nel
marketing) oppure esterni (variazioni del mercato, contrazione improvvisa della domanda, o controllo pubblico sui prezzi). Spesso le
cause interne e esterne sono unite. Ci si occupa della crisi di impresa non quando si è raggiunta la vera e propria insolvenza, ma si
inizia molto prima basandosi sui vari squilibri economici, finanziari e patrimoniali.
Lo squilibrio economico
L'impresa manifesta uno squilibrio economico quando i ricavi non riescono più a coprire i costi. Nelle imprese del mercato
finanziario la sola previsione di gravi perdite è presupposto per l'assoggettamento ad amministrazione straordinaria, o in casi gravi
liquidazione coatta amministrativa. Queste procedure sono con decreto del ministro dell'economia e delle finanze, su proposta della
Banca d'Italia. Anche la Consob ha potere di proposta per le sim e le altre imprese del mercato immobiliare. Per le imprese
assicuratrici vale lo stesso discorso delle banche.
La gravità della situazione di squilibrio dipende dalla possibilità di risanamento in base a valutazioni previsionali. Nei casi delle
banche l'intervento è molto tempestivo per evitare danni ingenti agli investitori.
Nella disciplina comune le perdite portano l'impresa a dover adottare misure correttive solo nelle società di capitali. E sono rilevanti
quando le perdite hanno inciso sul capitale sociale con una riduzione di oltre un terzo. In questo caso l'assemblea, se entro l'esercizio
successivo la perdita non è diminuita a meno di un terzo, dovrà procedere alla riduzione del capitale sociale in proporzione alle
perdite accertate. Se invece il capitale è sceso al di sotto del minimo legale, dovrà deliberare la riduzione e il contemporaneo aumento
del capitale al pari del minimo legale oppure la trasformazione della società.
Non sempre le perdite in società portano a crisi d'impresa; a volte può anche essere un evento fisiologico, come per esempio avviene
nelle fasi di avvio di attività imprenditoriali.
Lo squilibrio finanziario
Si ha squilibrio finanziario quando l'impresa finanzia la sua attività principalmente con mezzi di terzi e con esigui mezzi propri. Il
patrimonio netto è inadeguato per le attività da svolgere, quindi si ricorre all'indebitamento (la cosiddetta leva finanziaria).
L'indebitamento può essere vantaggioso solo se il reddito atteso dal suo impiego supera di gran lunga il suo costo oppure se è
realmente in grado di far superare una temporanea difficoltà d'impresa. Se invece non ci sono queste condizione può portare al
deterioramento fisiologico dell'impresa per colpa del suo continuo ricorrere all'indebitamento (che porta poi ad offrire poche garanzie
ai finanziatori che concedono prestiti per questo motivo con oneri molto alti). A volte però è l'imprenditore stesso a decidere di
mettere nell'impresa poco capitale proprio e ricorrere ovviamente a quello di terzi: impresa sottocapitalizzata. Nelle società di
capitali questa sottocapitalizzazione rappresenta una scelta apportata per ridurre al minimo la porzione della ricchezza esposta al
rischio d'impresa, addossando ai terzi creditori le conseguenze di una eventuale insolvenza.
Per individuare se c'è o meno squilibrio finanziario si calcola il rapporto tra patrimonio netto e indebitamento.
Lo squilibrio patrimoniale
Vi è squilibrio patrimoniale quando l'attivo dell'impresa è inferiore al passivo. Questo però non porta direttamente ad insolvenza, ma
porta solo se unita a squilibrio economico e finanziario. Normalmente infatti è accompagnata dallo squilibrio finanziario. Contro il
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mero squilibrio patrimoniale l'ordinamento agisce solo in modo indiretto. Per le imprese che operano nel mercato finanziario ci sono
degli standard precisi di dotazione patrimoniale (un minimo di mezzi propri) e dei coefficienti di solvibilità adeguati da controllare in
modo continuo. Questi requisiti sono armonizzati a livello europeo. È importante salvaguardare le imprese del settore finanziario per
per proteggere il sistema finanziario nel suo complesso, sia a livello di reputazione ed affidabilità sia a livello di intero sistema
economico.
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l'alienazione). Il bene pignorato non è più per il soddisfacimento di tutti i creditori, ma solo per quello del creditore che ha fatto
azione esecutiva. Però su uno stesso elemento possono fare azione esecutiva più creditori (concorso tra i creditori del ricavato
dell'azione esecutiva). Nel caso che il ricavato non sia sufficiente a soddisfare tutti i creditori tra questi scoppia un vero e proprio
conflitto che si esaurisce all'interno del processo esecutivo stesso. C'è una gerarchia nella distribuzione del ricavato della singola
vendita coattiva. L'art 2741 cc dice che “i creditori hanno eguale diritto ad essere soddisfatti sui beni del debitore, salve cause di
legittima prelazione”. La gerarchia di soddisfazione dei crediti è:
1. crediti con prelazione (soddisfatti prima di tutti)
2. crediti chirografari (tutti gli altri tipi di crediti, cioè senza prelazione)
3. crediti postergati (soddisfatti anche dopo i chirografari – prendono solo il residuo)
Le cause di prelazione sono sono i privilegi accordati alla legge ad alcuni tipi di crediti in ragione della loro causa (art 2745 cc) e i
diritti reali di garanzia. Le cause invece di postergazione possono derivare dal tipo di credito, ma anche dal comportamento assunto
dal creditore in ambito di processo esecutivo, a partire dal tempo in cui vi è intervenuto. E queste operano limitatamente alla singola
esecuzione. Quindi si distinguono in cause di postergazione sostanziali (tipo di credito) e processuali (riguardanti il processo
esecutivo).
La garanzia patrimoniale è costituita per ciascun creditore dal complesso degli elementi attivi che compongono il patrimonio del
debitore al momento del sorgere del credito o che vi afferiranno successivamente. Il potere di esercitare azione esecutiva può essere
esercitato solo alla scadenza dell'obbligazione. Si può far riferimento anche ad elementi apparsi dopo il sorgere del credito nel
patrimonio del debitore, ma non su quelli che ne sono poi fuoriusciti. Quindi i creditori corrono lo stesso rischio del titolare:
esaurimento del patrimonio dovuto alla gestione. Il creditore si può proteggere con dei mezzi, cioè i diritti reali di garanzia che sono
diretti a contenere il rischio di gestione. I creditori hanno quindi dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale diretti ad
evitare che la garanzia patrimoniale sia pregiudicata da comportamenti anomali del debitore e cioè incompatibili con gli interessi
comuni.
Per i diritti reali di garanzia rifiniamo nel diritto di seguito del creditore, che può fare azione esecutiva su un bene anche se non è più
di proprietà del titolare (la garanzia segue il bene). È una causa di prelazione. Ha anche una funzione di conservazione perchè
preclude gli atti di disposizione del bene di incidere sulla garanzia patrimoniale del debitore.
Come l'azione esecutiva è un meccanismo individuale e singolare.
I mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale invece sono l'azione revocatoria, l'azione surrogatoria e il sequestro
conservativo che sono diretti a neutralizzare e a prevenire conseguenze pregiudizievoli di determinati atti posti in essere dal debitore.
Riguardano quegli atti lesivi della garanzia patrimoniale, in quanto comportino o aggravino l'insufficienza dell'attivo rispetto al
passivo. A differenza dei diritti reali di garanzia sono strumenti riconosciuti a tutti i creditori, che possono essere utilizzati anche
prima della scadenza del credito, perchè hanno solo funzione di conservazione. E possono essere fatti valere nei confronti di
qualunque atto.
Il presupposto oggettivo
L'atto per essere revocato oltre ad essere soggettivamente anomalo deve arrecare danno agli interessi dei creditori, cioè
pregiudizievole per la garanzia patrimoniale. Rientrano in questa categoria i seguenti atti:
• atti di disposizione: riducono l'attivo anzi, il patrimonio stesso, causando la fuoriuscita di elementi che non saranno più a
garanzia;
• atti a titolo gratuito: ledono sempre la garanzia patrimoniale;
• atti a titolo oneroso: ledono la garanzia patrimoniale nel caso in cui la contropartita del terzo sia minore rispetto a quella del
debitore, oppure se modificato qualitativamente la composizione del patrimonio anche se non ne riducono il valore. Qui non è
l'atto ad essere pregiudizievole, ma un successivo occultamento del denaro da parte del debitore (per ovviare a questo la legge
predispone il “sequestro conservativo”);
• diritti reali di garanzia: sono revocabili gli atti sui beni sui quali il creditore abbia diritti reali di garanzia che costituiscono
causa di prelazione (in caso di vendita il creditore che ha diritti reali di garanzia ha prelazione sugli altri creditori);
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• atti di assunzione di obbligazioni: si accenna alla possibilità di revocare gli atti su cui si sono fatte garanzie personali come
fideiussioni
• atti di pagamento: non si può revocare il pagamento di un debito già scaduto, ma di uno non scaduto si. Per il pagamento
anticipato possono fare azione revocatoria solo coloro che hanno un debito scaduto prima di quello del creditore pagato in
anticipo. I debiti devono essere pagati per ordine di scadenza, ogni alterazione dell'ordine è considerata lesiva per la garanzia
patrimoniale.
Giova ricordare che se il debitore è insolvente non vale la regola del pagamento per ordine dei debiti, perchè dal momento in cui
diventa insolvente tutti i suoi debiti sono considerati scaduti. C'è differenza tra insolvenza civile e incapienza. L'insolvenza civile
riguarda l'insufficienza dell'attivo a soddisfare il passivo già scaduto (art 1186 cc). L'incapienza è l'insufficienza dell'attivo a
soddisfare il passivo complessivamente considerato.
Sono revocabili solo i pagamenti che causano l'insolvenza (rendendo insolvente un patrimonio già incapiente), non anche quelli che
si limitano ad aggravarla (che si riferiscono in via di principio a debiti già scaduti in quanto c'è già insolvenza).
Il sequestro conservativo
Il sequestro conservativo mira a prevenire comportamenti pregiudizievole della garanzia patrimoniale da parte del titolare che vanno
a ledere elementi attivi del patrimonio (attualmente presenti o che ne siano fuoriusciti sulla base di un atto inefficace). Si richiede di
sottrarre i beni al godimento del debitore e di darli in custodia ad un terzo (o al debitore stesso, ma solo come custode) con la
previsione di sanzioni penali in caso di violazione dei relativi obblighi. Sono vietati gli atti di disposizione della cosa sequestrata che
risultano inefficaci in particolare nei confronti del solo creditore che ne ha chiesto il sequestro. Il sequestro si può trasformare in
pignoramento.
L’azione surrogatoria
L'azione surrogatoria ha funzione esclusivamente preventiva. Il creditore può porre in essere atti che spetterebbero al titolare, ma che
questo trascura di esercitare nei confronti di terzi: ovviamente escludendo quelli che per legge sono di competenza esclusiva del
titolare. Ha una funzione preventiva nel senso che non neutralizza il pregiudizio patrimoniale, ma è volta a prevenirlo. Non tutte le
posizioni soggettive del debitore/titolare possono essere esercitate in via surrogatoria, ma solo quelle che risultano funzionali a
conservare nel patrimonio l'elemento dell'attivo in questione: per es. diritti di credito di cui è titolare il debitore per evitare
l'estinzione per prescrizione, oppure tutte le azioni a difesa della proprietà come la rivendicazione.
Nei confronti invece degli atti di rinuncia posti in essere dal debitore il creditore non può fare azione surrogatoria, ma azione
revocatoria. L'azione surrogatoria può essere fatta da tutti i creditori indistintamente. In questi casi il debitore non commette un
illecito, ma solo un comportamento anomalo; si protegge il creditore contro atti anomali, non illeciti. L'azione surrogatoria ha
un'operatività oggettiva non solo nei confronti del creditore che la esercita, ma proteggendo il patrimonio protegge anche gli altri
creditori e il debitore stesso.
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creditori che il debitore che non potrà più soddisfare spontaneamente le proprie obbligazioni. Ci sono due tipi di soddisfazione
collettiva:
1) coattiva. Con liquidazione generale del patrimonio dell'impresa ( e di quello dei soci illimitatamente responsabili) con una
distribuzione a tutti i creditori adottata con parità di trattamento. Si privilegia la vendita dell'intera azienda o di rami di essa
in modo da mantenerne la produttività e di aumentare la soddisfazione dei creditori. La distribuzione del ricavato è fissata
dalla legge.
2) Spontanea. La legge consente e favorisce la conclusione di accordi, i concordati volti alla ristrutturazione dei debiti
dell'impresa in crisi. Il concordato deve essere approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti e poi
omologato dal tribunale. Dopo di che vale per tutti i creditori, anche per quelli che non ne hanno preso parte. Può essere
proposto non solo dal debitore, ma anche da terzi. La legge lascia ampio spazio alle parti circa il contenuto, ma è richiesta
sempre la parità di trattamento tra i creditori: questa parità non vuol dire ovviamente trattamento identico per tutti i
creditori indistintamente. È ammessa la suddivisione in classi dei creditori: tutti gli appartenenti alla stessa classe hanno lo
stesso trattamento e il trattamento cambia tra classe e classe.
Si salvaguarda la garanzia patrimoniale mantenendo inalterata la produttività con interventi più o meno radicali che comprimono i
poteri del debitore e rendendo inefficaci relativamente gli atti posti in essere dal titolare in violazione di questi vincoli che
comprimono i poteri del titolare. Nel caso di impresa in crisi diminuisce l'operatività dei mezzi preventivi, quali il sequestro
conservativo e l'azione surrogatoria. Nel caso in cui la crisi di impresa assuma la forma di insolvenza l'azione revocatoria viene
ampliata nei poteri e si possono dichiarare inefficaci (relativamente) anche gli atti posti in essere prima dell'apertura delle procedura.
Esiste anche l'azione revocatoria fallimentare oltre a quella ordinaria.
Disciplina transitoria
Il fallimento trova applicazione nei confronti delle imprese commerciali non pubbliche a condizione che si trovino in stato di
insolvenza, non sia provata l'insussistenza dei requisiti dimensionali di cui all'art 1 comma 2, ma cmq rimangano al di sotto delle
soglie dimensionali richieste al fine dell'assoggettamento ad amministrazione straordinaria, e non sono soggette in via esclusiva a
liquidazione coatta amministrativa . Simile è il caso del concordato preventivo, però quest'ultimo può risolvere anche crisi dove non
vi sia insolvenza.
Possono ricorrere all'amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi le imprese che presentano un indebitamento non
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inferiore ai due terzi sia del totale dell'attivo, sia dei ricavi, e che hanno almeno duecento dipendenti. Se invece hanno più di
cinquecento dipendenti e un indebitamento non inferiore a trecento milioni di euro posso essere ammesse all'amministrazione
straordinaria delle imprese insolventi di rilevanti dimensioni. Entrambe le procedure possono convertirsi in fallimento.
La liquidazione coatta amministrativa è riservata a particolari categorie come gli enti pubblici, le banche e le cooperative (per le
ultime è previsto in via alternativa anche il fallimento).
Le procedure amministrative sono dirette a regolare l'impresa e la sua sorte in termini di risanamento nelle amministrazioni o di
liquidazione nella liquidazione coatta amministrativa. Concordato preventivo e fallimento hanno invece carattere giurisdizionale in
quanto coinvolgono l'attività giudiziaria: si occupano principalmente della soddisfazione dei creditori e hanno come oggetto la
garanzia patrimoniale dell'impresa.
Le procedure amministrative
L'amministrazione straordinaria delle imprese di grandi dimensioni è stata introdotta negli anni 70 in Italia. L'amministrazione
straordinaria comune (almeno 200 dipendenti e indebitamento non inferiore a 2/3 dell'attivo) e l'amministrazione straordinaria
speciale (dimensioni e dipendenti maggiori). Abbiamo un ruolo centrale dell'autorità amministrativa. L'obbiettivo è la conservazione
dell'impresa e la ricollocazione delle parti vitali sul mercato (obbiettivo primario).
Amministrazione straordinaria comune -->osservazione e gestione temporanea sotto il controllo dell'autorità giudiziaria che valuta la
situazione; se la valutazione è positiva si da il via all'amministrazione straordinaria, se è negativa si apre il fallimento.
Amministrazione straordinaria speciale --> l'imprenditore può richiedere direttamente la procedura senza passare dal controllo
giudiziale (che può essere rimandato ad un momento successivo) e chiede anche la nomina del commissario straordinario che può
proporre un concordato ai creditori e chiedere loro la soddisfazione dei crediti in forme diverse come l'attribuzione di azioni o
obbligazioni.
La liquidazione coatta amministrativa riguarda settori considerati di interesse pubblico o sottoposti a particolari controlli (per le
banche è disciplinata dal TUB): banche, enti pubblici, società cooperative. Può essere proposta anche per gravi irregolarità di
gestione, anche in assenza di vera e propria crisi economica. Dove viene insolvenza può sempre essere disposta la liquidazione coatta
amministrativa e di regola questo esclude il fallimento. Se non viene escluso si applica la regola della precedenza della procedura
attivata prima. La finalità non è la conservazione ma la liquidazione dell'impresa. Si procede così: 1) liquidazione del patrimonio;
2)soddisfazione dei creditori; 3) distribuzione dell'eventuale residuo ai soci.
Stato di crisi --> concordato preventivo, accordi di ristrutturazione debiti, piani di risanamento.
Stato di insolvenza --> fallimento, amministrazione straordinaria, liquidazione coatta amministrativa
gravi irregolarità gestionali o cause diverse dalle precedenti --> liquidazione coatta amministrativa.
L'insuccesso di tentativi negoziali preliminari di soluzione della crisi sfocia il più delle volte nell'insolvenza e nelle procedure
concorsuali che la presuppongono, dando luogo ad una consecuzione di procedure. Analoga cosa succede quando l'insolvenza con
possibilità di recupero si trasforma a insolvenza senza possibilità di recupero.
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(imprenditore fisico o società). Si parla di crisi dell'impresa, ma è all'imprenditore in crisi che si applicano le procedure concorsuali.
Le imprese pubbliche
Gli enti pubblici sono espressamente esclusi dal fallimento: ogni ipotesi di impresa pubblica è esclusa, ma non le società a
partecipazione pubblica. Il titolare è lo Stato o un ente pubblico territoriale (comune, province, regione) e non è pensabile che
falliscano. Gli enti pubblici economici sono soggetti all'iscrizione nel registro delle imprese, ma non sono soggetti a fallimento per
non interferire con l'interesse pubblico. Oggi gli enti pubblici stanno sparendo per la privatizzazione, trasformandosi in società di
diritto privato: erano pubblici gli enti di gestione delle partecipazioni statali (Iri, Eni, Enel). In alcuni casi la privatizzazione è totale,
in altri l'ente pubblico (lo Stato) mantiene la maggioranza, ma indipendentemente da questo sono cmq assoggettate a fallimento.
Dunque le società di diritto privato a partecipazione pubblica sono soggette a fallimento.
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L’imputazione
In linea di principio per individuare l'imprenditore si usa il criterio della spendita del nome: cioè colui che usa il nome nel traffico
giuridico. Spesso però nella realtà giuridica ci sono veri imprenditori che agiscono indirettamente. Nelle società ci sono: soci occulti,
società occulta, socio tiranno e socio sovrano.
Nel caso di socio occulto se dopo la dichiarazione di fallimento viene scoperta l'esistenza di soci illimitatamente responsabili anche
questi falliscono. Indici di socio occulto: sostegno finanziario, intervento in trattative con terzi, percezione di somme di denaro dalla
società.
Se dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale si scopre che fa parte di una società occulta fallisce anche
questa.
Altre volte invece succede che soggetti legati da parentela o amicizia con un imprenditore individuale che compaiono in atti (avvalli,
fideiussioni, etc) portano terzi a far credere che ci sia una società (società apparente) ma non è così e a questi non si possono
estendere le procedure concorsuali. Però la giurisprudenza spesso è favorevole.
Socio tiranno e socio sovrano non sono sottoposti all'estenzione delle procedure concorsuali in quanto non sono personalmente
responsabili dei debiti della società. Il socio tiranno utilizza la società come cosa propria senza rispettare le regole del diritto
societario. Il socio sovrano invece rispetta le regole ma domina la società in quanto possessore della quota di maggioranza.
Nelle snc tutti i soci rispondono illimitatamente delle obbligazioni anche se la gestione è riservato solo a uno o ad alcuni di essi.
Nelle sas gli accomandatari sono tutti illimitatamente responsabili.
Nel caso di srl con soci a responsabilità limitata che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti lesivi a
società, soci o terzi, sono risarcitoriamente responsabili.
Nel caso in cui l'esercizio dell'impresa sia fatto attraverso rappresentante (impresa dell'incapace) sarà dichiarato fallito il
rappresentato e non il rappresentante.
Il criterio della spendita del nome si segue anche nel caso in cui ci sia un imprenditore occulto che amministra l'impresa senza farlo
ufficialmente, ma attraverso un prestanome (imprenditore palese). In questo caso è l'imprenditore palese, cioè il prestanome, ad
essere sottoposto alle procedure concorsuali. L'imprenditore occulto secondo l'art 147 non è sottoposto alle procedure concorsuali.
Diversamente succede nella società occulta.
Si può procedere contro l'imprenditore occulto se si accerta che svolge autonoma attività d'impresa che consiste in finanziamento e
direzione dell'impresa principale (holding). Infatti attività di finanziamento e gestione costituiscono attività commerciale. Questo
però non aiuta molto i creditori del prestanome perchè questi ultimi si possono rifare solo sul patrimonio del prestanome non su
quello dell'imprenditore occulto.
Il termine finale
Per quanto riguarda invece il termine finale le società possono essere dichiarate fallite entro un anno dalla cancellazione dal registro
delle imprese se l'insolvenza di è già manifestata prima della cancellazione oppure entro l'anno successivo se si manifesta dopo.
Se invece manca l'iscrizione (società irregolari) non vuol dire che non ci sono limiti di tempo, ma che il termine annuale indica la
data della cessazione effettiva delle attività. E lo stesso vale per gli imprenditori individuali non iscritti.
Analoghi limiti di tempo si hanno per l'ex socio illimitatamente responsabile. Il fallimento di costui secondo l'art 147 l.g non può
essere più dichiarato quando è decorso un anno dalla cessazione del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata,
anche in caso di trasformazione, fusione o scissione se sono stati rispettati i doveri formali di informazione verso terzi.
Per gli imprenditori individuali vale la stessa cosa che per le società, ma qui la cancellazione dal registro ha rilevanza relativa dato
che ci si può riferire anche al momento dell'effettiva cessazione delle attività. Questo si applica anche agli imprenditori collettivi
diversi dalle società (fondazioni, associazioni).
Il momento di cessazione delle attività è sempre preceduto dalla liquidazione e si rimane imprenditore fino a quando si pongono in
essere operazioni analoghe a quelle della gestione d'impresa. Quindi l'anno entro il cui si possono aprire le procedure concorsuali
parte dalla disgregazione del complesso aziendale: momento in cui il complesso produttivo sia stato destrutturato in modo tale da non
poter più proseguire la consueta attività.
Secondo l'art 11 l.g anche nel caso di imprenditore defunto si possono applicare le procedure concorsuali dividendo il patrimonio del
defunto da quello dell'erede senza ledere nè gli interessi dell'erede nè quelli dei creditori dell'imprenditore defunto. Il limite per
l'imprenditore defunto per l'esposizione alle procedure concorsuali è di un anno dalla morte e, solo nel caso in cui l'imprenditore sia
morto successivamente alla cessazione dell'impresa, dalla fine dell'attività commerciale.
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Nel caso di paesi appartnenti all'unione europea si procede così. Lo Stato che ha la sede principale dell'impresa apre la procedura
secondo le sue leggi e la porta avanti. Gli altri stati che hanno delle sedi secondarie possono aprire le loro procedure secondarie, ma
solo di liquidazione riguardando soltanto i beni ubicati nel suo territorio. Quella secondaria può anche essere aperta prima di quella
principale. Anche le secondarie seguono le regole dello stato in cui sono stata aperte. È previsto l'obbligo di informazione tra il
curatore della procedura principale e quelli delle secondarie. Ogni creditore si può inserire sia nella procedura principale sia nella
secondaria per soddisfare il proprio credito.
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Presupposti della procedura e requisiti della domanda
La domanda di ammissione al concordato preventivo si presenta al tribunale in cui l’azienda ha la sede principale. I trasferimenti di
sede avvenuti nell’anno precedente sono irrilevanti. La richiesta può essere presentata dall’imprenditore commerciale non piccolo
che versa in stato di crisi o insolvenza e vuole prevenire ed evitare il fallimento.
Si può presentare la proposta anche insieme ad un terzo assuntore interessato a rilevare le attività. In questo caso non è prescritto
alcun particolare requisito soggettivo, se non quelli previsti dall’art 1 in generale, e nemmeno valutazioni di meritevolezza.
Per quanto riguarda la documentazione, alla cancelleria del tribunale devono essere consegnati una serie di documenti essenziali alla
valutazione di convenienza e di serietà della soluzione concordataria. Prima di tutto la proposta di concordato preventivo deve basarsi
su un piano industriale-economico-finanziario tendente alla conservazione dell’impresa o al suo trasferimento a terzi o alla
liquidazione dell’attività: in questo documento ci devono essere illustrati gli interventi di risanamento aziendale, le fonti di copertura
del fabbisogno concordatario, i flussi di cassa derivanti dalla continuazione dell’attività, i ricavi attesi dall’alienazione dei cespiti e la
possibilità di riequilibrio della situazione patrimoniale e finanziaria.
Nel piano devono essere inseriti dei documenti necessari:
a) relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria (necessario bilancio infrannuale secondo criteri di
continuazione o dismissione);
b) stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause
di prelazione;
c) elenco dei titolari di diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore;
d) valore dei beni e l’indicazione dei creditori particolari dei soci illimitatamente responsabili.
Questi documenti fanno da controllo di trasparenza e correttezza dell’operazione all’esterno.
Si deve presentare anche la relazione di un professionista in possesso dei requisiti richiesti all’art 67 comma 3 lettera d: iscritto nel
registro dei revisori contabili e dotato dei requisiti di personalità e indipendenza richiesti all’art 28 lett. a e b, per la nomina a curatore
fallimentare. Nella relazione il professionista deve accertare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano tramite:
I) la corrispondenza alla realtà, non in termini assoluti, della rappresentazione della situazione economica e finanziaria offerta
dall’imprenditore in crisi. Qui il professionista controlla la tenuta della contabilità, della corretta rilevazione dei fatti di
gestione e la corrispondenza del bilancio alle scritture contabili e agli accertamenti eseguiti:
II) la ragionevolezza delle previsioni formulate nel piano in ordine al recupero di redditività dell’impresa, ai ricavi e agli altri
introiti attesi, alla possibilità di soddisfacimento dei creditori nei tempi e con le modalità programmate. Qui il
professionista valuta anche la plausibilità delle ipotesi previsionali poste alla base del piano, nonché di attendibilità e
coerenza del programma di risanamento o di liquidazione.
La domanda di concordato deve essere comunicata al pubblico ministero.
La transazione fiscale
L’art 182 ter ha introdotto nel concordato preventivo la transazione fiscale. I presupposti soggettivi e oggettivi per l’accesso
dell’imprenditore alla transazione fiscale sono gli stessi previsti per il concordato preventivo. Il debitore può chiedere la dilazione o il
pagamento parziale dei debiti tributari sia chirografari che con prelazione. Il trattamento dei creditori chirografari fiscali è uguale a
quello dei creditori chirografari non fiscali, ma di “classe migliore”. Il trattamento invece dei creditori privilegiati fiscali è uguale a
quello dei privilegiati non fiscali con gradi di privilegio non inferiore o posizione economica omogenea a quella delle agenzie fiscali.
L’ufficio tributario e il concessionario alla riscossione hanno un termine di 30 giorni dalla presentazione per procedere alla
liquidazione dei tributi e ad attestare l’entità del debito. Partecipano poi all’approvazione del concordato, ma secondo le leggi
ordinarie, cioè esprimendo un voto favorevole o contrario.
Nel 2007 è stata introdotta la possibilità di richiedere la transazione fiscale da parte dell’imprenditore in caso di accordo di
ristrutturazione debiti.
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• almeno tre giorni prima dell’adunanza, presentazione di una relazione sulle cause del dissesto, sulla condotta del debitore, sulle
proposte di concordato e sulle garanzie offerte ai creditori;
• può denunciare gli atti dolosi del debitore nei confronti del patrimonio (come occultamento attività o simulazione debiti)
• vigilanza continua sull’attività dell’imprenditore
• riferisce prontamente al giudice delegato il compimento di atti non autorizzati o cmq diretti a ledere i creditori; riferisce anche
della mancanza delle condizioni di ammissione alla procedura, come la non fattibilità del piano sul quale la proposta era basata.
Il caso di dissesti il commissario deve riferirli subito al tribunale, il quale informa immediatamente il pubblico ministero e i creditori
che possono chiedere fallimento in caso ci sia insolvenza e non solo crisi d’impresa. Ovviamente il debitore ha diritto di difendersi.
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soddisfacimento integrale del credito. Possono però anche qui rinunciare alla prelazione come nel concordato preventivo. Si
escludono dal voto i coniugi, parenti e affini come nel concordato preventivo.
Il voto dei creditori non è espresso in un adunanza, ma attraverso il metodo del silenzio assenso; questo indebolisce la posizione dei
piccoli creditori.
Il concordato fallimentare è approvato quando riporta il voto favorevole della maggioranza dei creditori ammessi al voto. Quando
invece la proposta prevede la suddivisione in classi il concordato è approvato se nel maggior numero delle classi essa abbia riportato
il voto favorevole dalla maggioranza dei crediti.
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dell’omologazione del concordato fallimentare sono:
- cessano gli effetti del fallimento sul patrimonio del fallito, il quale ne riacquisisce la piena disponibilità, entro i limiti del
concorsdato;
- decadono gli organi del fallimento, salvo per i compiti di sorveglianza;
- il curatore perde la sua legittimazione processuale e le azioni derivanti dal fallimento non possono essere proseguite.
Nelle società di persone (commerciali) e nelle sapa il concordato fallimentare è efficace anche di fronte ai soci illimitatamente
responsabili. L’omologazione del concordato fallimentare ha effetto esdebitativo consistente nella liberazione dell’imprenditore dai
debiti residui.
Il concordato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori all’apertura del fallimento.
L’omologazione da il via alla fase finale dell’esecuzione del concordato fallimentare che deve avvenire in conformità del contenuto
della proposta approvata dai creditori.
Ci si accerta poi della completa esecuzione e questo accertamento poi viene pubblicato e affisso come il decreto di omologa.
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• quando il commissario giudiziario accerta che il creditore ha occultato parte dell’attivo ha dolosamente omesso di denunciare
uno o più crediti, esposto false passività o commesso altre frodi
• ipotesi in cui il debitore compia atti non autorizzati o cmq diretti a frode nei confronti delle ragioni dei creditori
• mancato deposito da parte del debitore delle somme necessarie per l’intera procedura
• risoluzione o annullamento del concordato
In questi casi il fallimento non è automatico, ma si deve accertare l’insolvenza del debitore: per questo viene dichiarato con sentenza.
Competente a dichiarare il fallimento è il tribunale del luogo dove ha sede principale l’impresa: cioè dove è concretamente svolta
l’amministrazione e la gestione delle attività.
La sede dell’impresa in forma societaria coincide con quella della società. Per l’impresa individuale, e cmq l’impresa non societaria,
si guarda al registro delle imprese. Se la sede iscritta nel registro delle imprese non è quella effettiva si deve allora far riferimento a
quella effettiva. Nel caso di pluralità di sedi va presa in considerazione quella principale. Se la principale è all’estero si fa allora
riferimento a quella secondaria in Italia (ovviamente solo se esiste una secondaria in Italia).
In caso venga trasferita la sede prima della dichiarazione di fallimento, però rimanendo sempre in Italia, si decide che il trasferimento
di sede è irrilevante se è avvenuto entro l’anno prima del fallimento. Se invece il trasferimento della sede è all’estero ed è stato
chiesto prima della dichiarazione di fallimento questo serve ad escludere la giurisdizione italiana dalla procedura: non la esclude nel
caso il trasferimento sia stato fatto dopo la dichiarazione di fallimento.
Per accertare la competenza si controlla l’ubicazione della sede un anno prima della presentazione dell’istanza di fallimento. Invece
per quanto riguarda la giurisdizione essa si può affermare se al momento dell’istanza di fallimento l’impresa ha sede (almeno
secondaria) in Italia.
L’istruttoria prefallimentare.
Alla presentazione del ricorso segue una fase di istruttoria prefallimentare dove il tribunale verifica:
a) la propria competenza
b) i presupposti sostanziali per la dichiarazione di fallimento
c) il mancato decorso dell’anno dalla cancellazione dal registro delle imprese se l’insolvenza si è manifestata prima della
cancellazione o entro l’anno successivo
d) dai relativi atti risultino debiti scaduti e non pagati per un importo pari ad almeno 30.000 euro.
All’istruttoria fallimentare partecipano debitore e creditore che ha richiesto il fallimento. Devono essere convocati con decreto
apposto in calce al ricorso. Il decreto impone che il debitore depositi i relativi bilanci degli ultimi 3 esercizi, un quadro della
situazione patrimoniale economica e finanziaria aggiornato e poi indica un termini, non inferiore a sette giorni prima dell’udienza,
entro cui possono essere presentate memorie difensive, documenti e relazioni tecniche. Se ricorrono situazioni di particolare urgenza
i tempi possono essere abbreviati dal presidente del tribunale; può decidere che il ricorso e il decreto per l’udienza siano comunicati
alle parti con ogni mezzo idoneo.
Vanno convocati i soci illimitatamente responsabili prima di dichiarare il fallimento. Al socio dovrà essere notificata con un
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preavviso di almeno 15 gg, una copia dell’istanza del curatore con l’indicazione dei motivi che ne giustificano l’estensione e il
decreto che fissa l’udienza per la comparizione dinanzi al tribunale.
Il procedimento è volto all’accertamento da parte del tribunale dei presupposti per la dichiarazione di fallimento e può richiedere
eventuali informazioni urgenti. Dispone la convocazione del debitore, ordina il deposito dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi,
nonché di una situazione patrimoniale economica e finanziaria aggiornata, infine prosegue senza indugio all’audizione delle parti.
Il tribunale ha il potere di disporre d’ufficio (quindi autonomamente) l’assunzione dei mezzi istruttori (c.d principio inquisitorio).
Nei mezzi istruttori si può anche richiedere una consulenza tecnica di parte. Però per evitare che i tempi troppo lunghi di istruttoria
prefallimentare possano ledere il patrimonio e in generale l’organizzazione d’impresa il tribunale può emettere provvedimenti
cautelari e conservativi (sequestro dell’azienda o dei beni, sospensione dei pagamenti, etc.). L’efficacia di questi procedimenti è
limitata alla durata del procedimento: destinati ad essere revocati in caso di rigetto dell’istanza di fallimento, invece nel caso di
accoglimento possono essere confermati dalla sentenza dichiarativa di fallimento.
Una volta chiusa la fase di istruttoria il tribunale provvederà, nel caso lo ritenga opportuno, a dichiarare il fallimento mediante
sentenza. In caso non ritenga opportuno l’apertura di fallimento emetterà provvedimenti diversi a seconda dei casi:
a) difetto di competenza. Nel caso il tribunale si ritenga non competente, il tribunale trasmette gli atti al tribunale che ritiene
competente, il quale accerta la propria competenza e dispone entro 20 gg la prosecuzione della procedura provvedendo alla
nomina del giudice delegato e del curatore. Restano salvi gli effetti degli atti compiuti nella precedente istruttoria. Nel caso
invece anche questo tribunale non si ritenga competente (conflitto negativo di competenza) il tribunale dichiarato competente
potrà richiedere d’ufficio un regolamento di competenza. Esiste anche il conflitto positivo di competenza quando due tribunali si
ritengono competenti e abbiano entrambi dichiarato fallimento: prosegue il tribunale che si è pronunciato per primo il secondo
se non intende richiedere un regolamento d’ufficio di competenza deve trasmettere gli atti al primo;
b) superamento dei limiti dimensionali. Caso in cui il tribunale si è ritenuto competente, ma ha accertato, insieme all’insolvenza, il
superamento delle soglie dimensionali per l’amministrazione straordinaria: qui il tribunale deve procedere d’ufficio a dichiarare
lo stato d’insolvenza e non il fallimento;
c) in tutti gli altri casi a fronte del mancato accertamento dei presupposti per la dichiarazione di fallimento il tribunale si limiterò a
respingere l’istanza, con decreto movimento, provvedendo contestualmente a revocare gli eventuali provvedimenti cautelari o
conservativi. Il decreto è comunicato dal cancelliere alle parti.
Il creditore ricorrente o il pubblico ministero nel termine di 30 gg dalla comunicazione, possono presentare alla corte d’appello un
reclamo contro la sentenza di rigetto (il debitore non può). L’unica eccezione è quella del socio illimitatamente responsabile
dichiarato fallito in estensione ad una società che può proporre reclamo contro il rigetto di un’istanza per la dichiarazione di
fallimento di un altro socio illimitatamente responsabile della medesima società.
Il procedimento il corte d’appello è volto ad accertare i presupposti per la dichiarazione di fallimento. La trattazione si svolge in
camera di consiglio, nel rispetto del contraddittorio delle parti che devono essere sentite, e anche qui il giudice può disporre d’ufficio
i mezzi istruttori. Al termine se il giudice rigetta il ricorrente potrà di nuovo presentare una nuova istanza di fallimento corredata da
nuovi elementi. In caso invece accolga il ricorso la corte d’appello non può dichiarare fallimento, ma rimettere gli atti al tribunale
competente, il quale provvederà a dichiarare fallimento, sempre che i presupposti nel frattempo non siano venuti meno. In questo
caso fa eccezione la decorrenza del termine annuale che si computa a partire dal decreto della corte d’appello e non della sentenza
del tribunale.
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nonostante l’avvenuta dichiarazione di fallimento di una delle parti. Il curatore in questo caso subentrerà al fallito, previa
autorizzazione del giudice. Non può invece essere proseguito il procedimento arbitrale che si basa sulla clausola di un contratto
scioltosi per effetto del fallimento. Ci si riferisce non solo all’arbitrato rituale, ma anche e soprattutto a quello irrituale: nel secondo
caso non è il giudice ad autorizzare il curatore, ma il comitato dei creditori.
La sentenza dichiarativa incide sensibilmente sui giudizi promossi al fine di far valere azioni derivanti dal fallimento e che cioè si
pongono all’esterno della procedura fallimentare. Essi rientrano, a prescindere dal loro valore, nella competenza del tribunale che ha
dichiarato il fallimento e si svolgono secondo le regole di cognizione ordinaria e non secondo il procedimento camerale del
fallimento.
Per quanto riguarda i giudizi di lavoro si seguono le regole sopra descritte. Così l’accertamento dei crediti di lavoro nei confronti
dell’imprenditore fallito è assoggettato alla disciplina dell’accertamento di crediti ai fini del concorso; le controversie nelle quali si
discuta sull’effetto del fallimento sul rapporto di lavoro sono attratte nella competenza del tribunale fallimentare; così anche le
controversie promosse dai lavoratori a seguito dell’esercizio provvisorio dell’impresa; tutte le altre controversie continuano a
rimanere di competenza del giudice del lavoro.
Giudizio di reclamo.
Con la sentenza dichiarativa di fallimento può essere fatto reclamo da parte di chi intenda contestare la sussistenza dei presupposti
soggettivi o oggettivi, nel momento in cui è stato dichiarato fallimento.
Il reclamo si fa con ricorso alla corte d’appello, da parte del debitore, del socio dichiarato fallito, o di ogni altro interessato, nel
termine di 30 gg decorrenti o dalla data di notificazione della sentenza (per debitore e socio) o dalla pubblicazione nel registro delle
imprese (per tutti gli altri), o cmq entro un anno dalla pubblicazione nel caso non siano stati attuati tali adempimenti pubblicitari.
Il ricorso deve contenere:
• indicazione della corte d’appello competente;
• generalità dell’impugnante e elezione del domicilio nel comune in cui ha sede la corte d’appello;
• esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si basa l’impugnazione, con le relative conclusioni;
• indicazione dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti.
Salva la possibilità di richiedere la sospensione della liquidazione dell’attivo, non si sospende la sentenza dichiarativa di fallimento.
Nei 5 giorni successivi al deposito del ricorso il residente della corte d’appello designa il relatore e fissa la data dell’udienza di
comparizione da tenersi entro 60 giorni. Il reclamate entro 10 giorni dalla comunicazione del decreto dovrà notificarlo unitamente al
reclamo, al curatore e alle parti resistenti. Tra la data della notifica e quella dell’udienza devono passare almeno 30 gg. Dovrebbe
esaurirsi in una sola udienza.
Nel caso che i presupposti siano ritenuti giusti dalla corte d’appello questa si limita a rigettare il reclamo con sentenza da notificare al
reclamante che può entro 30 gg fare ricorso in cassazione. Nel caso invece venga accolto il reclamo al corte d’appello reagirà
diversamente a seconda dei casi: nel caso di difetto di competenza trasferisce gli atti al tribunale giudicato competente, che entro
venti giorni deve proseguire la procedura, sempre che si ritenga competente; nel caso invece ci sia un superamento dei limiti
dimensionali deve essere presentata entro 30 gg dal curatore in cancelleria ed essere trasmessa al Ministro delle attività produttive
una relazione motivata circa l’esistenza dei presupposti per l’esposizione alla procedura di amministrazione straordinaria.
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La riapertura del fallimento.
La legge prevede la possibilità di riapertura del fallimento. È disposta dal tribunale con sentenza pronunciata in camera di consiglio
su istanza del debitore o di qualunque creditore, entro 5 anni dal decreto di chiusura, qualora risulti che nel patrimonio del fallito vi
siano attività in misura tale da rendere utile il provvedimento; oppure il fallito si offra di pagare almeno il 10% tra creditori vecchi e
nuovi. Il tribunale invece può provvedere d’ufficio per le ragioni dette in seguito all’annullamento o alla risoluzione del concordato
fallimentare. Anche la sentenza di riapertura è soggetta alle solite pubblicità.
Con la sentenza di riapertura il tribunale:
- richiama gli organi a suo tempo nominati cioè curatore e giudice delegato (il quale a sua volta nominerà il comitato dei creditori
tenendo conto anche dei nuovi)
- stabilisce nuovi termini per l’esame del passivo e per la presentazione in cancelleria delle domande di ammissione al passivo.
In sede di ripartizione dell’attivo dovrà essere dedotto quanto percepito nell’ambito del fallimento chiuso. In particolare
l’accertamento dei crediti e dei diritti reali precedente mantiene la propria efficacia anche nel fallimento riaperto, mentre le altre
operazioni dovranno essere rinnovate secondo le normali regole.
La esdebitazione.
Alla chiusura del fallimento si ricollega la liberazione dei debiti rimasti insoddisfatti, detta esdebitazione. Questa si sostanzia nella
inesigibilità nei confronti del fallito dei crediti concorsuali non integralmente soddisfatti all’esito della procedura e dei crediti sorti
prima dell’apertura del fallimento per i quali non sia stata presentata domanda di ammissione al passivo e nei limiti della parte
eccedente alla percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado.
La esdebitazione è decisa dal tribunale con lo stesso decreto che dichiara la chiusura del fallimento o con decreto emanato su ricorso
del debitore proposto entro l’anno successivo alla chiusura del fallimento, sentiti il curatore e il comitato dei creditori. Contro il
decreto del tribunale ogni interessato può proporre reclamo.
L’ammissione al beneficio di esdebitazione è subordinata al soddisfacimento parziale dei creditori concorsuali. È necessario che
costui possegga alcuni requisiti di meritevolezza:
• abbia collaborato con gli organi della procedura, fornendo tutte le informazioni e la documentazione utile per accertare il
passivo;
• non abbia distratto l’attivo;
• non abbia esposto passività inesistenti;
• non abbia cagionato o aggravato il dissesto;
• non abbia fatto ricorso abusivo al credito;
• non abbia in alcun modo contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura;
• abbia consegnato al curatore tutta la corrispondenza relativa ai rapporti compresi nel fallimento;
• non sia stato condannato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica;
• non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti alla richiesta.
L’esdebitazione è riservata alle sole persone fisiche.
IL FALLIMENTO: L’ATTIVO
La struttura dell’attivo.
Il fallimento investe l’intero patrimonio del debitore e non i singoli beni. La componente attiva del patrimonio si configura con il
termine “beni” intesi non come beni in senso giuridico o singoli cespiti, ma si estende a tutte le situazioni giuridiche attive dalle quali
possa derivare un’utilità. Comprende diritti assoluti su cose materiali e non, diritti relativi e diritti di esclusiva, diritti creditizi e ogni
altra situazione giuridica attiva.
Il fallimento determina la cristallizzazione del patrimonio del debitore: non può essere modificata la consistenza del patrimonio dopo
il fallimento. Riguarda però solo gli effetti negativi per i creditori (assunzione nuovi debiti, fuoriuscita di beni dall’attivo). Si crea
quindi un vincolo a carico dell’attivo patrimoniale che viene destinato solo al soddisfacimento dei creditori che hanno diritto di
partecipare al concorso. Nell’ipotesi di fallimento dell’imprenditore defunto la creazione di un vincolo di destinazione sull’attivo
patrimoniale ne determina la separazione rispetto al restante patrimonio del successore a titolo universale: cessano gli effetti della
separazione ottenuta precedentemente dai creditori del defunto. In caso di accettazione dell’eredità pura e semplice impedisce di
sottrarsi alla responsabilità per i debiti ereditari. In questo modo il patrimonio ereditario viene vincolato al soddisfacimento dei
creditori del defunto. Analogamente, nell’ipotesi di morte del fallito la separazione patrimoniale creata per effetto del fallimento
persiste, indipendentemente che gli eredi abbiano accettato o meno con beneficio di inventario.
Invece se viene dichiarato fallimento del successore universale di imprenditore dichiarato fallito se vi è stata confusione dei
patrimoni i creditori del defunto hanno diritto di concorrere in entrambe le procedure: però il diritto di insinuarsi non è automatico,
ma deve essere esercitato in entrambi, trattandosi di fallimenti diversi.
Alcuni beni però rimangono esclusi dal fallimento come i fondi aziendali di previdenza e assistenza, oppure fondi patrimoniali
istituiti per i bisogni della famiglia, espressamente escluso dal fallimento.
Diversamente si trattano i patrimoni destinati ad uno specifico affare rispetto ai quali la separazione persiste nonostante il fallimento
della società. Vengono sempre affidati al curatore, ma trattati secondo le regole della liquidazione della società in quanto compatibili
(art 155). Rimane la separazione per soddisfare prima di tutto i creditori dello specifico affare. Nel caso ci sia un residuale dopo il
soddisfacimento questo residuo netto va nell’attivo fallimentare.
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per le cose esterne di carattere strettamente personale, per i giudizi inerenti a beni e diritti esclusi dallo spossessamento e anche nei
giudizi che lo vedono contrapposto agli organi della procedura come per il reclamo avverso alla sentenza di fallimento.
Sono ricompresi nell’attivo fallimentare i beni di proprietà del fallito anche se si trovano presso terzi, e anche i beni di proprietà di
terzi che il fallito deve restituire (pur se il detentore attuale sia persona diversa dal fallito). Per quest’ultimi però l’esistenza di un
diritto reale o personale chiaramente riconoscibile da parte del terzo rende superflua l’acquisizione alla massa, potendo procedere
anche immediatamente alla restituzione all’avente diritto con decreto del giudice delegato, previo parere favorevole del curatore e del
comitato dei creditori.
Il curatore deve assicurare la conservazione dei beni dell’attivo fallimentare procedendo all’apposizione di sigilli e deve immettersi
nel possesso materiale dei medesimi, prendendoli in consegna. La consegna è disposta con decreto del giudice delegato, grazie al
potere di adottare provvedimenti d’urgenza per la conservazione del patrimonio. La presa in custodia ha luogo a seguito della
redazione dell’inventario da effettuare nel più breve tempo possibile. Nell’inventario, redatto in forma di processo verbale dal
curatore con l’assistenza del cancelliere ed, occorrendo l’ausilio di uno stimatore, sono elencati e valutati i beni del debitore, e anche
i beni sui quali un terzo vanti diritti reali o personali (a meno che non sia in grado di ottenere l’immediata restituzione come detto
prima). Al termine delle operazioni il debitore è invitato a rendere nota la possibile presenza di ulteriori beni compresi nell’attivo: la
mancata collaborazione espone il fallito a responsabilità penale.
Non si fa inventario della documentazione relativa all’impresa, che però deve essere conservata in luogo idoneo, di modo che il
fallito e gli altri aventi diritto possano accedervi.
Lo spossessamento si verifica a partire dalla data della sentenza e pertanto dalla data di deposito in cancelleria della pronuncia,
indipendentemente da ogni formalità pubblicitaria. Si reputa influente la buona fede del terzo, il quale abbia senza colpa ignorato
l’avvenuta dichiarazione di fallimento. Per i beni soggetti a particolari pubblicità (come immobili e mobili registrati) gli effetti del
fallimento si producono si dalla pronuncia di fallimento indipendentemente dalle iscrizioni sui vari registri: queste infatti hanno solo
valore di mera pubblicità-notizia.
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Perché gli atti siano opponibili a terzi è importante l’anteriorità dell’atto e si deve basare su data certa. L’acquisto per usucapione, la
cessione del credito, l’effetto traslativo della vendita, rimangono soggetti alle regole comuni, e, ad eccezione delle pretese di terzi su
cose mobili in possesso del fallito vanno accertati a mezzo di un giudizio ordinario.
Le scritture private non autenticate non potranno dimostrare l’anteriorità dell’acquisto da parte del terzo. Anche l’alienazione di beni
mobili dovrà risultare da atto con data certa.
Il regime probatorio è diverso per i pagamenti eseguiti o ricevuti dal fallito. Al fine di dimostrare l’anteriorità rispetto alla
dichiarazione di fallimento, se è stata rilasciata quietanza, la data di questa potrà essere accertata con qualsiasi mezzo di prova.
Dimostrare l’anteriorità dell’atto in determinati casi non è sufficiente. L’art 45 richiede delle “formalità necessarie per rendere gli atti
opponibili a terzi” in cui vanno inclusi adempimenti formali (trascrizione atti di vendita di immobili o mobili registrati, o iscrizione
di ipoteche), operazioni materiali (quali la consegna), dichiarazioni negoziali o comunicazione. Non sono necessariamente opera
dello stesso debitore, ma anche un terzo le può fare. Se compiute dopo la dichiarazione di fallimento le formalità sono inefficaci,
hanno un inefficacia relativa, operante cioè solo a vantaggio della massa fallimentare.
Le garanzie finanziarie sono sottoposte ad un regime speciale. L’inefficacia non si verifica nonostante la garanzia sia stata prestata io
l’obbligazione garantita sia sorta nel giorno stesso in cui la procedura concorsuale si considera aperta, ma vale anche se è sorta in un
momento antecedente o successivo, purchè il beneficiario della garanzia dimostri di non essere stato e di non aver potuto essere a
conoscenza dell’apertura della procedura. Si tratta di casi di sostituzione di garanzie finanziarie, integrazione e anche costituzione ex
novo. Per il regime probatorio per l’opponibilità a terzi basta il rispetto delle condizioni prescritte ai fini dell’applicazione della
disciplina speciale.
L’inefficacia ex lege.
Sono inefficaci di diritto ai sensi degli art 64 e 65, gli atti a titolo gratuito compiuti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione
di fallimento ed i pagamenti di crediti aventi scadenza il giorno della dichiarazione di fallimento o posteriormente. L’inefficacia
consegue automaticamente alla sentenza di fallimento. Ci può essere un eventuale proposizione giudiziale da parte del curatore nel
caso in cui questo voglia ottenere la restituzione da parte del terzo del pagamento ricevuto dal fallito oppure di porre in vendita i beni
oggetto dell’atto a titolo gratuito. Si parla di atto a titolo gratuito quando il debitore abbia sopportato un sacrificio patrimoniale senza
ricevere alcun corrispettivo (non è necessario lo spirito di liberalità come per la donazione). Saranno quindi inefficaci la rinuncia ad
un credito, ma non la rinuncia all’eredità che è impugnabile dal curatore ai sensi dell’art 524 cc. In caso di adempimento di un debito
altrui e di costituzione di garanzia per debito altrui è essenziale determinare la natura, se gratuita o onerosa, dell’atto per stabilire
quale disciplina applicare se l’art 64 o l’art 67.
È esclusa l’applicazione dell’art 64 nei casi di regalo d’uso e per gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale o a scopo di
pubblica utilità, in quanto la liberalità sia proporzionata al patrimonio del donante. Sono le attribuzioni eseguite in conformità di un
costume sociale: mance, regali fatti in occasioni particolari, etc.
Sono privi di effetti rispetto ai creditori i pagamenti di crediti che scadono nel giorno di dichiarazione di fallimento o posteriormente,
se tali pagamenti sono stati eseguiti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento. Questo presuppone che il
pagamento sia avvenuto i due anni prima della dichiarazione e che i crediti scadessero il giorno della dichiarazione o posteriormente.
Basterà riscontrare l’esistenza di questi due presupposti per far scattare l’inefficacia. È discusso se la norma trovi applicazione anche
nei casi in cui il pagamento anticipato sia previsto da una clausola contrattuale, come per esempio nei mutui che prevedono il saldo
anticipato senza attendere la scadenza delle singole rate.
La riforma del diritto societario ha introdotto un’altra inefficacia ex lege, cioè il rimborso da parte della società dei finanziamenti
eseguiti dai soci deve essere restituito se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento. Il socio che abbia restituito il
rimborso ricevuto può insinuarsi nel passivo del fallimento con postergazione.
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passivo per il suo eventuale credito. Invece il terzo contraente può soddisfarsi sul ricavato dei beni oggetto dell’azione revocatoria
solo dopo che sia stato soddisfatto il creditore che ha agito. È anche ammessa la possibilità per il curatore di far valere la revocatoria,
in sede di accertamento del passivo, in via d’eccezione, senza la necessità di porre l’azione revocatoria. Quindi nel caso si intenda
escludere un credito a causa della revocabilità del negozio dal quale discende, non sarà necessario per il curatore proporre azione
revocatoria, potendo egli limitarsi appunto a farla valere in via d’eccezione.
I presupposti oggettivi e soggettivi della revocatoria ordinaria in sede fallimentare sono all’art 66 l.g.
Dal punto di vista soggettivo è necessario che il curatore provi la conoscenza da parte del solo debitore (caso di atto a titolo gratuito)
o anche del terzo (caso di atto a titolo oneroso) del pregiudizio alla garanzia patrimoniale arrecato dall’atto di disposizione. La prova
può essere fornita anche mediante presunzioni semplici: sufficiente la prova della consapevolezza del fatto che l’atto di disposizione
abbia dato luogo ad una diminuzione della consistenza del patrimonio del debitore. Qualora l’atto di disposizione sia anteriore al
sorgere del credito si richiede la prova che esso fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicare il soddisfacimento, ma questa
regola non vale in caso di revocatoria durante il fallimento. Il curatore si deve preoccupare che dall’azione revocatoria giovino tutti i
creditori, anche quelli il cui credito sia sorto successivamente all’atto revocato, senza che il curatore sia tenuto a dimostrare la dolosa
preordinazione.
Il presupposto oggettivo dell’azione si identifica nella lesione della garanzia patrimoniale. Anche solo in presenza di un mero
pericolo e non di un danno vero e proprio, non solo quando la garanzia patrimoniale sia stata in tutto o in parte lesa ma anche quando
l’atto di disposizione si traduca in maggiori difficoltà incertezza o dispendiosità. L’art 2901 cc prevede che questi atti siano atti di
disposizione del patrimonio compiuti dal debitore: quindi non atti di amministrazione a meno che non pregiudichino la situazione
patrimoniale e non gli atti compiuti da terzi. La revocatoria per adempimento di un debito scaduto è esclusa. Sono invece soggetti gli
atti estintivi delle obbligazioni diversi dall’adempimento (come datio in solutum, atti notivi), e anche la costituzione di garanzie per
debiti scaduti, non essendo caratterizzato dal connotato della doverosità tipico dell’adempimento. L’art 66 prescrive che la
revocatoria può essere fatta nei confronti degli aventi causa del contraente immediato, nei casi in cui sia proponibile contro costoro.
Infine i terzi in mala fede subiscono il pregiudizio derivante dall’inefficacia dell’atto di acquisto del loro dante causa.
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le garanzie personali, compiuti dal debitore verso corrispettivo. Se ne parla all’art 67 comma 1 nel quale si assoggetta la revocatoria
agli atti a titolo oneroso compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni
assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso. Degli atti a titolo oneroso se ne occupa anche il
comma 2 dello stesso articolo prescindendo stavolta dall’oltre un quarto di quanto di ciò che era stato a lui dato o promesso. La
revocatoria è ammessa purchè gli atti siano stati compiuti nei sei mesi prima della dichiarazione di fallimento ed il curatore provi la
conoscenza dello stato di insolvenza del debitore da parte dell’altro contraente.
I pagamenti di debiti scaduti ed esigibili eseguiti dai fallito nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento sono revocabili se non
sono effettuali con denaro o con altri mezzi normali. Pagamenti effettuati con mezzi normali sono, oltre a quelli effettuati con
denaro, quelli fatti con titoli equivalenti al denaro (assegni circolari e bancari, cambiali e vaglia cambiari). Mezzi anormali di
pagamento sono:
1) la datio in solutum alla quale si accostano sia l’ipotesi in cui il creditore si renda a sua volta acquirente del debitore e compensi
il suo credito con debito del pagamento del prezzo, sia la restituzione al venditore delle merci acquistate dal fallito e non ancora
pagate allo scopo di estinguere l’obbligazione;
2) il mandato in rem propriam all’incasso con l’attribuzione al mandatario della facoltà di utilizzare le somme incassate per
estinguere totalmente o parzialmente un debito del mandante nei suoi confronti, così come la cessione di credito a fini solutori,
sempre che però entrambi i casi non siano stati contemplati dalle parti in fase contrattuale, nel qual caso si ritiene che operino
come garanzia e non come pagamento e siano dunque revocabili ai sensi dell’art 67 comma 2.
I pagamenti sono revocabili anche se eseguiti con mezzi normali: il curatore dovrà assolvere il dovere probatorio e il termine sospetto
è di sei mesi.
Va sottolineato che qualunque pagamento, incidendo sul patrimonio del debitore può essere revocato quindi non solo i pagamenti
spontanei, ma anche quelli coattivi a seguito di mosse esecutive da parte dei creditori.
Il pagamento eseguito non dal debitore ma da un terzo è revocabile se è avvenuto con denaro del fallito o se questo h pagato con
mezzi propri, ma abbia proposto azione di rivalsa nei confronti del debitore prima del fallimento.
Diversa è l’ipotesi del pagamento da parte del fallito del debito altrui, dove come già detto si applica l’inefficacia ex lege.
In deroga a quanto disposto all’art 67 comma 2, non può essere revocato il pagamento di una cambiale scaduta se il possessore di
questa doveva accettarlo per non perdere l’azione cambiaria di regresso. In tal caso l’ultimo obbligato in via di regresso, in confronto
del quale il curatore provi che conosceva lo stato di insolvenza del principale obbligato quando ha tratto o girato la cambiale, deve
versare la somma riscossa al curatore. L’azione cambiaria di regresso è la possibilità che si ha di rifarsi sul possessore precedente
della cambiale che ha apposto la girata prima di noi. Si deve accettare per forza il pagamento per evitare di cadere in prescrizione e
quindi perdere la possibilità di esigere il credito. Il curatore come detto si può rifare e chiedere il versamento della somma sull’ultimo
obbligato in via di regresso se prova che questo era a conoscenza dello stato di insolvenza del debitore fallito e ha girato cmq la
cambiale ad un altro.
Anche le garanzie sono disciplinate dal comma 1 e 2 dell’art 67. Nel primo caso il legislatore prende in considerazione pegni,
anticresi ed ipoteche che non esistevano al momento del sorgere dell’obbligazione e che sono state costituite successivamente. Il
comma 1 al n.3 tratta delle ipoteche volontarie, al n.4 delle ipoteche giudiziali. Il curatore deve solo provare che il debito preesistesse
alla garanzia e non fosse scaduto, nel caso previsto dal n.3, o fosse scaduto, in quello disciplinato al n.4. E’ invece il terzo che deve
provare che ignorava lo stato di insolvenza. C’è poi un secondo caso di revocatoria delle garanzie che è ammessa se la costituzione è
avvenuta nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento (si applica anche per le garanzie date per debiti altrui). Il periodo
sospetto si estende a un anno per le garanzie prestate per debiti preesistenti non scaduti. È frequente nella pratica la conclusione di
mutui ipotecari diretti ad estinguere debiti preesistenti. In questo caso si ravvisa un negozio indiretto volto a trasformare obbligazione
a breve termine in obbligazione a medio lungo termine. Quindi l’ipoteca costituita viene considerata successiva al sorgere del credito
e quindi è revocabile. Sono escluse invece da queste discipline le fideussioni che potranno essere revocate in quanto atto a titolo
oneroso.
Uno speciale regime è previsto per le garanzie finanziarie identificate nel contratto di pegno o nel contratto di cessione del credito o
di trasferimento della proprietà di attività finanziarie con funzione di garanzia, ivi compreso il cpntratto di pronti contro termine, ed
in qualsiasi altro contratto di garanzia reale avente oggetto attività finanziarie e volto a garantire l’adempimento di obbligazioni
finanziarie, purchè però parti contraenti siano soggetti analiticamente indicati dalla norma stessa. Sono equiparati al pegno il
contratto di cessione del credito o di trasferimento della proprietà in funzione di garanzia, nonché la prestazione della garanzia
medesima; la sostituzione della garanzia se contrattualmente prevista, non comporta costituzione di nuova garanzia e si considera
effettuata alla data di prestazione della garanzia originaria; l’integrazione della garanzia purchè sia considerata contestualmente al
sorgere del debito garantito e inoltre si intende prestata al momento della prestazione della garanzia originaria medesima.
Gli atti che incidono su un patrimonio destinato ad uno specifico affare previsto dall’art 2447 bis primo comma lettera a) del cc, sono
revocabili quando pregiudicano il patrimonio della società. Il presupposto soggettivo dell’azione è costituito dalla conoscenza dello
stato di insolvenza della società da parte del terzo contraente.
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meno eseguito nei termini correnti. Tutto ciò si applica anche al contratto di leasing: in caso si scioglimento del contratto sono
esentate da revocatoria le somme già riscosse dal concedente;
2) rimesse in conto corrente bancarioversamenti eseguiti sul proprio conto corrente bancario dal debitore, cui la banca aveva
concesso un finanziamento. La revoca oggi è consentita solo quando la rimessa abbia ridotto in maniera consistente e durevole
l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca. Solo i finanziamenti finalizzati a estinguere o diminuire il debito nei
confronti della banca possono essere revocati. Ne sono invece esentati quelli che rientrano nel normale rapporto finanziario. Per
quantificare si fa riferimento al massimo scoperto: la revoca non può avere ad oggetto l’importo complessivo delle rimesse
effettuate sul conto corrente e dirette ad estinguere l’obbligazione del debitore, ma può riguardare soltanto quanto effettivamente
recuperato dalla banca; l’importo viene fatto coincidere con la differenza tra il credito massimo erogato, cioè il massimo
scoperto del conto, ed il credito residuo al momento della dichiarazione di fallimento;
3) vendite a giusto prezzo di immobili abitativil’intento del legislatore è quello di favorire l’acquirente della casa di abitazione,
altrimenti esposto al rischio di perderla a seguito del fallimento del costruttore-venditore. Condizione per escludere la
revocatoria è che la vendita avvenga a giusto prezzo: cioè un prezzo tale da non superare la differenza tra le controprestazioni
fissata all’art 67 comma 1 n.1 (cioè un quarto). il decreto legislativo 122 del 2005 prevede che gli atti a titolo oneroso che hanno
come effetto il trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento di immobili da costruire, nei quali l’acquirente
si impegni a stabilire, entro 12 mesi dall’acquisto o dall’ultimazione degli stessi, la residenza propria o dei suoi parenti o affini
entro il terzo grado, se posti in essere al giusto prezzo da valutarsi alla data della stipula del preliminare, non sono soggetti a
revocatoria. La stessa norma esenziona anche pagamenti di premi e commissioni relativi ai contratti di fideiussione e di
assicurazione che il costruttore è obbligato a contrarre. Ricordiamo però che l’art 67 differisce perché non si riferisce solo agli
immobili da costruire, ma anche a quelli già costruiti;
4) atti nell’ambito di procedure dirette alla soluzione della crisi sono esenti: a) atti, pagamenti e garanzie concesse su beni del
debitore purchè posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione
debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attesa ai sensi
dell’art 2501 cc, e che il piano sia redatto da un professionista iscritto all’albo dei revisori contabili con i requisiti previsti
dall’art 28; b) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, e dell’accordo di
ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art 182 bis; c) pagamenti di debiti liquidi esigibili eseguiti per ottenere la
prestazione di servizi strumentali all’accesso al concordato preventivo. In tutti questi tre casi l’esenzione mira a favorire la
soluzione della crisi attraverso procedure, anche negoziali alternative al fallimento;
5) pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro sono esenti dal fallimento i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di
lavoro effettuate da dipendenti e altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito;
6) Le disposizioni dell’art 67 non si applicano all’istituto di emissione, agli istituiti autorizzati a compiere operazioni di credito su
pegno, limitatamente a queste operazioni, e agli istituti di credito fondiario. Sono fatte salve tutte le disposizioni delle leggi
speciali.
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