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La scuola professionale per vigilatrici dinfanzia di Trento


di Patrizia Marchesoni

La preparazione del corredino

Nellambito delle numerose attivit dellO.N.A.I.R. (Opera nazionale di assistenza allItalia redenta) allinizio del 1934 fu aperta a Trento la Scuola professionale per vigilatrici dinfanzia (denominata, dal 1942, Scuola professionale di puericultura) che svolse la sua attivit no al 1977. La sede della Scuola fu inizialmente in via S. Margherita presso lIstituto provinciale di assistenza allinfanzia, poi, dopo il bombardamento del 2 settembre 1943, fu ospitata in alcuni edici che lOspedale psichiatrico di Pergine Valsugana gestiva nella vicina Frazione di Vigalzano. In seguito la sede della Scuola ritorn in citt prima in piazza Fiera e poi in via Orsi. La Scuola aveva il compito di preparare giovani donne trentine alla professione di vigilatrice dellinfanzia, da svolgere sia nelle famiglie, sia negli istituti di assistenza allinfanzia dopo un addestramento che forniva una specializzazione nella cura del bambino dai primi mesi di

vita no al sesto anno di et. Alla scuola erano ammesse annualmente non pi di 30 ragazze di et compresa tra i 18 e i 35 anni in possesso di licenza elementare di grado superiore; i corsi duravano un anno e prevedevano sei mesi di lezioni teoriche (anatomia, siologia, patologia, igiene, psicologia infantile, ginnastica, canto) e sei mesi di tirocinio presso lIstituto provinciale di assistenza per linfanzia e presso le strutture ospedaliere della citt, oltre a corsi di economia domestica e lavori femminili. Al termine del percorso scolastico era la stessa O.N.A.I.R. che procurava alla diplomata il lavoro e ne seguiva lassunzione garantendo e tutelando la professionalit attraverso il Decalogo della vigilatrice e dettando le modalit e le condizioni contrattuali: i documenti necessari per lassunzione, il periodo di prova, lo stipendio e le previdenze, le licenze e il riposo settimanale, lobbligo di portare la

divisa, il certicato di servizio, il licenziamento e i rimborsi per i viaggi. Il tipo di insegnamento e lambiente in cui le ragazze ricevevano la formazione era improntato alla signorilit e alleleganza, cosa che le avrebbe preparate ad affrontare il lavoro che, inevitabilmente, era richiesto dalle famiglie abbienti. Molte di loro furono assunte come vigilatrici da famiglie nobili o di industriali e seguendo la famiglia ebbero modo di viaggiare sia in Italia che allestero. La Scuola le preparava ad essere pronte a queste nuove esperienze e consapevoli del ruolo che la vigilatrice era tenuta a svolgere nella famiglia che la chiamava a curare i propri gli. Dal Decalogo della vigilatrice dinfanzia: (art. 5) La Vigilatrice , nella famiglia dove chiamata a prestare lopera sua, un elemento di notevole importanza, perch le viene afdato il bambino, che la parte pi cara della famiglia; perci essa deve comprendere limportanza della sua missione e sapersi contenere in conformit. Essa diventa una collaboratrice dei genitori e perci deve chiedere che le sia dato un posto giusto, che i bambini e il personale di servizio le abbiano rispetto, che necessario il suo prestigio, il quale deve essere dalla Vigilatrice mantenuto nel modo pi rigoroso. La Vigilatrice non manger n dormir col personale di servizio e sapr con lo stesso mantenere rapporti corretti LArchivio O.N.A.I.R. (Opera nazionale di assistenza allItalia redenta) diventato poi nel 1960

Ritorno da un giro nel parco

O.N.A.I.R.C. (Opera nazionale di assistenza allinfanzia delle regioni di conne) conservato presso lArchivio della Provincia autonoma di Trento. Nel 1997 stato predisposto linventario a cura di Fabio Margoni cha ha anche pubblicato il saggio Per lassistenza sica e spirituale delle Terre redente: lattivit dellOnair-Onairc e il suo fondo archivistico presso lArchivio provinciale di Trento in A scuola! A scuola! Popolazione e istruzione dellobbligo in una regione dellarea alpina secc. XVIII-XX, ed. Museo storico in Trento, 2001, pp. 245-260. Le informazioni sullOnairOnairc qui riportate, sono state ricavate dalla scheda dellEnte redatta dal dott. Livio Cristofolini, direttore dellArchivio provinciale, che si ringrazia per la collaborazione.

Divisa estiva per vigilatrice di infanzia

Il mantello deve arrivare a cm 23 da terra. Lorlo deve essere alto cm 5. Il doppio petto, con nte larghe cm 10, deve essere sormontato cm 7. Lallacciatura dal collo al basso, va fatta con occhielli riniti in stoffa e con bottoni messi alla distanza di cm 10. La mantellina deve arrivare a cm 2 dal punto di vita: il nodo ricamato a punto pirello sulla parte sinistra della mantellina. Le tasche sono tagliate. La schiena ha una falda cucita no a cm 40 dallorlo.

Giovanna Simoncelli: Ci sentivamo qualcuno

Alla ne del 1951 avevo letto per caso su Alba notizie sulla scuola per puericultrici di Trento. In quel tempo stavo preparandomi, da privatista, allesame di terza media e ho fatto la domanda discrizione. Prendevano, ogni anno, 30 ragazze: non era obbligatorio aver fatto le scuole medie, ma erano preferite quelle che avevano il diploma. Era una scuola-convitto: si stava l a dormire, a mangiare... era un istituto, si stava dentro, si lavorava e si aveva 6 ore settimanali di libert, una mezza giornata. La direttrice era Pia Marchetti, una signorina molto energica. Ci dava anche lezioni di anatomia. L arrivavano bambini che erano quasi tutti gli di ragazze madri. Le madri venivano ad allattarli, ma spesso li lasciavano l e non si facevano pi

vedere. Ogni due settimane avevamo un cambiamento di turni: dovevamo alternarci notte e giorno con i bambini che andavano dai prematuri ai divezzi, questi erano tanti, pi di 120. Stavano in grandi sale, sette-otto per box. (Le allieve tenevano un diario che veniva sottoposto alla lettura della direttrice, dove riportavano, con un proprio commento, ogni loro nuova esperienza o la verica di un apprendimento. Scrive Giovanna Simoncelli, l11 gennaio 1953: Quanti dentini nuovi; sembravano altrettanti chicchi di riso che contrastavano col colore rosso della bocca. Qualcuno pi piccino invece, aveva le gengive ingrossate e trasparenti, segno che i dentini sarebbero usciti prestissimo. La nostra direttrice in una delle sue lezioni, ci aveva spiegato

lordine con cui vengono i denti, ed ho potuto constatare che anche nei nostri bambini, sono venuti cos n.d.r.). Insomma era una specie di asilo nido dove i bambini stavano in attesa di essere messi in un orfanotroo. Dunque ho frequentato questa scuola, che si trovava in via Gocciadoro, dallottobre del 1952 allottobre del 1953: un anno, la scuola durava solo un anno, ma non avevamo un minuto libero. Ci alzavamo prestissimo, alle 6 andavamo a messa nella cappella interna (era obbligatorio); alle 6 e 3/4 eravamo gi in reparto. Il pranzo si consumava in una grandissima sala e a turno si andava a servire alla tavola della direttrice (con lei sedevano anche le diplomate che erano le nostre dirette sorveglianti). La scuola era divisa tra una

Ginnastica di bimbi e allieve

parte pratica ed una teorica, cerano lezioni di anatomia, di igiene, di alimentazione infantile, di pedagogia (seguivamo i metodi dellAgazzi) di galateo... Dopo sei mesi cera un esame pratico e teorico (la pagella semestrale riporta i voti ricevuti per la condotta, lordine, la diligenza, il protto nello studio, lassistenza al bambino lattante, lassistenza al bambino divezzo, leducazione infantile, leconomia domestica, il lavoro, il canto, la ginnastica n.d.r.). Dopo sei mesi ti davano lo speciale, cio tu avevi un bambino per conto tuo: dovevi decidere tutto, dalla visita medica al cambio di dieta (l i bambini spesso avevano bisogno di cure particolari per cui al lattario cerano diete molto diverse). Prima della ne della scuola ci

portavano al reparto maternit dellospedale Santa Chiara e l dovevamo assistere ai parti, accogliere e, dopo il taglio del cordone ombelicale, medicare e fasciare il bambino. Lanno terminava con un esame nale. Quando ho nito la scuola, nellautunno del 1953, avrei voluto andare a Roma (volevo vedere il Papa) e invece la direttrice Marchetti mi ha detto: No, tu non vai a Roma, vai dove ti dico io. Vai a Venezia che l c una buona famiglia di antico stampo. Era la scuola che ti procurava il posto di lavoro, contrattava lo stipendio ed era sempre la scuola che teneva i contatti con la famiglia durante il servizio. La scuola di Trento era come una famiglia, era come avere una famiglia alle spalle: sapevi che potevi essere ripresa ma

anche protetta. Entrando in servizio presso una famiglia (erano solo le famiglie aristocratiche e facoltose quelle che potevano permettersi una puericultrice) avevi la possibilit di provare per un mese prima di decidere. La famiglia poteva anche richiedere la divisa della scuola: noi eravamo come le suore, avevamo un velo blu con un davantino rigido e un cappotto bello, marrone. La scuola addestrava ad avere un comportamento formale secondo le regole del galateo, moralit, discrezione. Voi dovete distinguervi dal personale di servizio! Ci dicevano. E per davvero, diventare puericultrici in quel tempo signicava una promozione sociale: ci sentivamo qualcuno! (testimonianza raccolta da Quinto Antonelli).

Pesatura del neonato

Maria Gagliardi Liliana Linardi: Era faticoso lavorare alla macchina

Si sono conosciute in fabbrica diventando amiche. Maria Gagliardi e Liliana Linardi entrarono alla Michelin di Trento a 18 anni, nel 1951. Ne sono uscite, per andare in pensione, 31 anni dopo, nel 1982. La storia del pi importante stabilimento industriale del Trentino, chiuso nel 1997 e di cui non rimane pi traccia se non nei ricordi di chi cera, un po anche la loro. Sfogliano attente il numero di AlteStorie che parla della Michelin. La fabbrica di via Sanseverino nella quale, allinizio, venivano realizzati i lati di cotone per i pneumatici e, in

seguito, i cavetti dacciaio, era una struttura paternalistica che dava servizi sociali e ricreativi ma voleva mano libera in termini di condizioni di lavoro e retribuzione. La signora Maria ricorda bene quando, nel settembre del 51, mise per la prima volta un piede al di l del cancello, per le visite mediche. Mi dissero che ero troppo piccola e che non cera niente da fare. Mi rivolsi al dirigente e gli chiesi: Secondo lei possono mangiare solo le persone alte?. Il giorno dopo ero gi alla macchina, operaia, assunta al

reparto G21, prima copiatura del lo. L sono rimasta no alla pensione. Maria nata a Napoli ma ha sempre vissuto a Trento, la mamma era di Villazzano e nel 1942 la famiglia, con i sei gli, sfoll in citt. Cera miseria nel dopoguerra e lavorare alla Michelin voleva dire il posto e uno stipendio sicuri. Toccavo il cielo con un dito al momento dellassunzione. Lamica Liliana, orfana di guerra, invece di Cimone e restava a dormire anche per due settimane di la nel dormitorio dello stabilimento.

Operaie dello stabilimento Michelin di Trento in una foto del 1960

Il 2 aprile 1951 fu il mio primo giorno di lavoro. Riuscii ad entrare come operaia grazie al cavalier Ebranati, presidente dellAssociazione orfani di guerra, dice. Pensi che, in un primo momento, non mi presero perch erano venuti a sapere che lavoravo gi nello studio dellavvocato Vinante. Ma io avevo bisogno di un posto sso e il cavalier Ebranati parl direttamente con il ragionier Dalla Fior della Michelin e, insomma, fui assunta. G21, G22, G23 erano i nomi dei reparti nei quali Liliana ha lavorato per pi di trentanni. Da 26 anni anche la glia Franca in fabbrica, ora nello stabilimento di Spini di Gardolo. Sono donne forti. Dimostrano riconoscenza nei confronti di chi ha dato loro lavoro ma non dimenticano affatto, anzi, rivendicano, le lotte, dure e sacrosante, per i diritti di tutti che dalla ne degli anni Sessanta ai primi Settanta hanno fatto di quella fabbrica un terreno innovativo di scontro per la conquista di condizioni di

lavoro e retributive migliori . Ho sempre scioperato per i nostri diritti, dice la signora Maria, e con me anche Liliana. Eravamo iscritte al sindacato metalmeccanico della Cisl di Beppino Mattei, era un uomo che credeva in quello che faceva. Era faticoso lavorare alla macchina, anche se, nel corso del tempo, ti ci affezioni un po. Faceva un gran caldo, cera polvere dappertutto e non ci si poteva fermare neanche per andare in bagno o fumarsi una sigaretta. Il controllo, da parte dei capi reparto, era severo. E poi si lavorava a cottimo e il minimo previsto dovevamo garantirlo, se no erano guai, dicono allunisono. Le manifestazioni ce le siamo fatte tutte, abbiamo fermato i camion olandesi che dovevano entrare in fabbrica, siamo andate in Provincia con tutti gli altri, e tante altre cose. Quello che non accettavamo - continuano - erano solo i vandalismi.

Negli anni, risultati positivi ne abbiamo avuti. Nei nostri confronti c stata tanta solidariet anche se nel 1974, dopo 400 ore di sciopero, non andata molto bene. Ora, Maria e Liliana non solo continuano a vedersi ma vanno ai ritrovi che regolarmente la Michelin promuove durante le feste per gli ex dipendenti. Lo sa - dice Maria - quando passo davanti alla Michelin, e vedo che non c pi nulla, mi viene come un tuffo al cuore. In fondo ho passato l gli anni migliori della mia vita e non dimentico che quella fabbrica ha dato lavoro e da mangiare a tanta gente. Ma senta, il posto della memoria lo fanno? Certo che - aggiunge Liliana - potevano almeno lasciare in piedi il teatro, dove ci siamo riuniti tante volte, o un pezzo di capannone, per ricordare. Ma si sa, i soldi. Eh s, il dio Soldo ha sempre distrutto parecchio, da sempre, ma non la memoria, per fortuna (intervista a cura di Paolo Piffer).

Lo stabilimento Michelin alla vigilia della chiusura

Valeria Furletti Zanolli: Ma lavori non c nra

Valeria Furletti Zanolli, classe 1915, nativa di Villa Del Monte, raccolse le memorie autobiograche della propria vita in un diario scritto nel 1987. Edito nel 1998 dalla rivista Il sommolago (n. 2), questo testo non rappresenta certamente, come scrive il curatore delledizione Quinto Antonelli, n una scrittura in qualche modo testamentaria, n una confessione, bens unimportante testimonianza storica, culturale, etnograca, di interesse pi generale. In questa sede si propone un breve passaggio.

Canada. Il venticinquesimo anniversario di matrimonio di Ferdinando Zanolli e Valeria Furletti (foto archivio Furletti)

Mio maritto ritornato dl belgio in estatte nel 1950. In princippio si pensava, che anchio con i gli di andare nel Belgio; M poi si cambiatto idea, perche, quelle miniere erano assai pericolose e in salutevoli sollo pcchi anni pottevano, resistere, molti venivano ammalatti, Cs e ritornato casa. Ma lavori non c nra, fortuna che sono statte aperte le emigrazioni per il Canada, E con la buna ocasione che si aveva l zio, che erra gi da anni in Canada, le fatto il ricchiamo mio maritto. abitavano in Cumberland. In settembre 1951

partitto per il Canada. e pure lavorare in minierra del carbone che pure il zio e due gli lavoravano la il terzo glio ra mecanico; A cominci[a]tto con l paga meno di un dllero allora. Poi sappeva adopperare il driler che faceva quel lavoro anche in Belgio cosi prendeva alquni centesimi di pi. In quel fratempo ci fatto il richiamo noi e siamo arivatto qui in Canada nel 1952 in novembre. Il viaggio statto non male ma nemeno bne. Per non mi sono alarmata messa paura. Sono sempre statta tanto oqupata con

i due gli, 2 bauli 2 valigge e due borse mano. La glia aveva 4 anni e poco pi compia i 5 in dicembre. Il glio 3 anni proprio il suo compleanno nella medima ora che la nave lasciatto il porto di Gnnova. I primi giorni rano tutti in copert cantavano suonavano, rano belle giornatte di sole, Eravamo in 1200 paseggeri in pi quelli di servizio. Si andava mangiare in pi turni. in una grandiosa salla d pranzo, il mangiare ra buno con botiglie di vino in tavola, I primi giorni la salla ra affolatta. Arivatti in alto mare nemeno un quarto di persone erano mangiare. Erano ammalate con mal di mare. Si doveva stare atnti ni coridoi e nelle scalle che ti rimandavano dosso. lo sono statta fortunata che non mi rimandato guardare i gli, pero per alquni giorni mangiatto pocco, lodore dei cibbi mi faceva nausea, Molte donne stavano malle e piangevano dicendo se debbo farre un viaggio cs non ritorno pi in Italia. In maggior parte rra donne chiamate dai maritti, Vi erano anche ragazze chiamate dai danzatti a sposarsi qu in Canada avevano il suo tempo asegnato se non si sposavano dovevano ritornare in Italia, Per loro e stata facile avevano il suo tmpo libero, andavano al cinema l bllo, Io non avuto locasione nemeno di vedere queste salle.

Duccia Calderari: Ero crocerossina allospedale Santa Chiara

Duccia Calderari in una foto degli anni quaranta allegata alla scheda della Commissione provinciale Patrioti attiva nellimmediato secondo dopoguerra

Proprio sulla parete dingresso, lungo il corridoio, appeso un suo ritratto a matita del pittore Mario Disertori, lo zio. E stato fatto mentre su Trento cadevano le bombe alleate e veniva colpito il ponte di San Lorenzo, era il 1944. Poco prima del salotto, dove, tra laltro, c uno splendido Moggioli e un altro suo ritratto, sempre dello zio, in bella vista il certicato al patriota, rmato dal generale Alexander. Duccia Calderari, 93 anni compiuti da poco e, nonostante qualche acciacco, una memoria lucida, ci riceve nella bella casa di Trento. Quasi si schermisce, non so quanto potr esservi utile, premette. Di famiglia benestante, imparentata con i Disertori da parte di madre, Beppino era suo cugino, Duccia Calderari non era solo crocerossina ma anche staffetta partigiana. Nel dopoguerra, ha donato la casa di via Spalliera, dove vive, al movimento dei Focolari, ai quali ha aderito. L8 settembre 1943 fu per me una giornata indimenticabile. Ero crocerossina allospedale Santa Chiara e si fece a gara per far scappare i soldati italiani ricoverati, prima che arrivassero i tedeschi, afferma. Tutte le mattine, durante la visita nei reparti con i medici, cerano dei letti vuoti. Sa cosa rispondevamo ai dottori che ci chiedevano, pro forma, dove erano i malati? Che erano probabilmente in giardino. Era la nostra parola dordine per far capire che erano scappati, almeno quelli che potevano muoversi. Quando sono arrivati i tedeschi hanno trovato ben pochi soldati nei loro letti. Nella sua casa ha ospitato molti personaggi della Resistenza? S, certo. Il mio lavoro era quello dellaccoglienza. Tutti si

rifugiavano in casa mia. Quando Manci fu arrestato, arrivarono qui in sei. Cera trambusto e confusione. In questa casa si sentivano al sicuro. Com che si avvicinata ai personaggi della resistenza trentina? E partito tutto dallospedale. L cera un nucleo di persone, Pasi, Visentini, ed altri. Io non potevo sopportare linvasione del mio Paese da parte dei tedeschi. Non mi sono avvicinata alla resistenza per ragioni di carattere politico ma soltanto per fare qualche cosa e ho messo a disposizione la mia casa. I miei genitori, e anchio, erano sfollati in una casetta sulle pendici del Bondone. Scendevo dalla montagna, andavo in ospedale e poi venivo qui a mangiare. Mi ricordo quando i tedeschi cercarono Carlo Scotoni a casa sua. Non lo trovarono. Di solito si rifugiava nella canonica di Cognola ma, quel giorno, era a casa mia e dopo, con la moglie, part per Padova. Chi ricorda maggiormente fra tutti quelli che ha ospitato? Un po tutti. Venivano qui per riposarsi. Ascoltavamo musica insieme. Si sentivano tranquilli. Ero legata a loro da un profondo sentimento di amicizia. C stato anche un brutto momento quando un frate cappuc-

cino mi disse che girava intorno alla casa un brutto guro. E Andrea Mascagni, morto poche settimane fa, lha conosciuto? S, certo. Mi ricordo che feci con lui anche un viaggio da Bolzano a Trento su un camion tedesco. Una persona squisita, un grande amico. Ce ne fossero tanti. Ma tutti, Carlo Scotoni, Franco Bovelacci, Gino Lubich e gli altri erano persone oneste e integre moralmente. Quando le si chiede della sua attivit di staffetta, minimizza. Ma s, mi hanno mandata in giro alcune volte. A Cavalese, dove sulle montagne attorno cerano i nostri, e dovevo portare un messaggio, una parola dordine, in farmacia. Il viaggio di ritorno me lo sono fatto in parte a piedi perch avevano bombardato la linea ferroviaria. Poi ero andata a Padova a prendere dei volantini di Concetto Marchesi, consegnatimi da Scotoni e Bovelacci, nei quali era contenuto un appello. I volantini, che dovevo distribuire a Trento, dicevano che tutti erano chiamati a perseguire un ne unico, lasciando da parte le appartenenze partitiche. Tutte le settimane andavo a Bolzano, spesso in bicicletta, per avere notizie dei carcerati, tra i quali Gino Lubich. Cosa ricorda dei giorni seguenti la liberazione? Cerano molte conferenze pubbliche organizzate dai partiti. Capitai ad un incontro dei comunisti alla Filarmonica. Stavo in fondo alla sala, non avevo voglia di essere riconosciuta. Invece lo fui e mi presentarono a tutti con queste parole: E una nostra compagna. Non appartiene al nostro partito ma ha lavorato nelle nostre la. Fu un atteggiamento leale, che apprezzai molto (intervista a cura di Paolo Piffer).

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Donne di Prijedor
di Annalisa Tomasi

Prijedor Bosnia Erzegovina. Ljeva Obala. La cooperativa si chiama Bio Food ed nata allinterno dellAssociazione di donne bosniaco-musulmane Mostovi Priateljstva (Ponti di Amici-

delle tecnologie ad essa connesse. Nel contesto di una Bosnia Erzegovina, che, nonostante sia una regione ricca di acqua e di terra fertile, si trova ad importare oggi i due terzi di ci che consuma!

Serra Mostovi Priatelijstva

zia); produce e commercializza ortaggi da ormai tre anni. Gestisce quattromila metri quadrati di serre ed un numero sempre maggiore di produttori della zona le conferisce i propri prodotti; il tutto commercializzato prevalentemente in Bosnia Erzegovina ma lobiettivo quello di esportare in Croazia, Slovenia ed Unione Europea, non appena sar ottenuta la certicazione biologico. Rappresenta una delle realt di produzione agricola pi importante dellarea di Prijedor dove prima della guerra lindustrializzazione, concentrata attorno a quattro realt produttive, oggi ferme, che da sole occupavano diecimila dipendenti, aveva avuto come effetto labbandono dellagricoltura e delle sviluppo

Nella cooperativa Bio Food lavorano circa quindici donne, tutte bosniaco-musulmane: sono le manager, le responsabili di produzione, le responsabili di vendita, le socie e tra loro anche il presidente ed i membri del Consiglio di amministrazione. Lavorano molto. Studiano ed imparano dagli esperti... e nellinverno del 2003 sono riuscite a vendere dodici tonnellate di insalata sul mercato (serbo) di Banja Luka! Tra loro si contano soprattutto vedove. La guerra che ha sconvolto la Bosnia Erzegovina ha portato loro via i mariti, i fratelli i padri e le ha rese profughe per dieci anni. Era il luglio del 1992 quando la Ljeva Obala, sobborgo bosniaco-musulma-

no di Prijedor in cui oggi sono rientrate, stato teatro, tra i pi tragici, di una delle tante azioni di pulizia etnica condotte dalle forze militari e paramilitari serbe contro la popolazione civile non serba. Sono scappate nei boschi con langoscia nel cuore ed i bambini per mano per arrivare a Travnik e da qui nei campi di raccolta profughi della Croazia e della Slovenia per essere poi smistate in uno dei paesi dellUnione Europea: Germania, Austria, Svizzera, Svezia, Norvegia, Italia... Con grande dignit e forza, aiutandosi come tra sorelle, hanno affrontato queste terribili difcolt: erano s sole, ma giovani madri con un futuro da garantire a se stesse ed ai propri gli. Finita la guerra e non appena il contesto lo ha reso possibile, sono rientrate nella Prijedor che le aveva brutalmente cacciate. Tremanti, ma forti del proprio coraggio e della propria dignit di vittime innocenti sono arrivate in citt per affrontare i volti e i luoghi dai quali aveva avuto inizio il loro dramma. Non con sentimenti di odio e di vendetta, ma duciose nella giustizia e consapevoli che quella della coesistenza e della riconciliazione, e quindi del perdono, lunica, anche se difcile, via per dare un futuro alla Bosnia Erzegovina (e probabilmente allumanit). La soluzione al problema dellautosostentamento lhanno cercata in se stesse e nella propria capacit di lavorare ed imparare, ma soprattutto di associarsi per aiutarsi e sostenersi a vicenda come nei momenti difcili della guerra; hanno costituito unassociazione, dedicata allamicizia, che crea ponti: oggi sono imprenditrici e capo-

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Serra Mostovi Priatelijstva

famiglia in grado di trainare con s unarea, la Ljeva Obala, che grazie a loro sta trovando delle soluzioni al problema del lavoro e testimoniano a quella Prijedor che le aveva cacciate che insieme possibile ricostruire per il futuro. Molte associazioni europee hanno aiutato e continuano ad aiutare queste donne a realiz-

zare il loro progetto. Tra queste lAssociazione Progetto Prijedor di Trento (progetto.prijedor @libero.it) che dal 1996 sostiene e promuove il rientro, la riconciliazione, lo sviluppo locale e costruisce ponti tra Prijedor e la comunit trentina ad altre regioni dEuropa con lapertura in particolare, avvenuta nel 2000, dellAgenzia della demo-

crazia locale in collaborazione con il Consiglio dEuropa. Una nota di merito particolare va alle molte donne del Sindacato pensionati italiani della CGIL, sia nazionale che delle regioni Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Puglia, che hanno saputo costruire e mantenere con loro un forte legame di solidariet ed amicizia.

In ricordo di Maria Elisabetta Vindimian La redazione Altrestorie e la Direzione del Museo storico in Trento aderiscono allidea lanciata dallAssociazione Progetto Prijedor per intitolare una borsa di studio per uno studente di Agraria di Prijedor a Maria Elisabetta Vindimian: una prima iniziativa per tenerci vicino il sorriso e la tenacia di questa donna straordinaria. Chi intendesse aderire al progetto pu versare un contributo sul conto corrente dellAssociazione Progetto Prijedor: Cassa Rurale di Aldeno e Cadine coordinate bancarie: CIN-A/ABI-08013/CAB-01802/cc. 000050351944

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Irene Suarez: Mi sento uninsegnante

Non le piace essere chiamata poetessa. Preferisce riconoscersi per quello che : una maestra a cui piace scrivere poesie e racconti. E giusto da 13 anni che Irene Suarez, una donna di origini piemontesi, emigrata dallArgentina, da Rosario, dove nata. Ora vive a Trento con la famiglia, sta preparando la tesi di laurea, in scienze della formazione, e insegna a Pergine e Cembra ai ragazzi stranieri. Avevo 14 anni quando ho scritto il primo racconto. Poi, la Societ argentina degli scrittori, che era molto conservatrice e di difcile accesso, mi pubblic alcune poesie. In seguito ho continuato e vinto anche alcuni premi sia in Italia che in Argentina. Ora non scrivo da un po. Penso a laurearmi. Come denirebbe il suo modo di scrivere poesie? E molto difcile riuscire a dirlo perch cambia nel tempo. Il motore che ti fa scrivere in un modo

a 15 anni diverso da quello con il quale ti esprimi a 20 o a 40. Se proprio devo cercare un lo conduttore questo la rinuncia. Ovvero? Cio limpotenza di fronte alle cose che ti stanno davanti e non cambiano come vorresti. La consapevolezza che noi cittadini non possiamo fare molto. Cosa le piacerebbe potesse cambiare e rimane invece sempre uguale? La povert e la follia della guerra. Non cambia la politica degli Stati Uniti verso i nostri poveri Paesi, sempre pi impoveriti. Non cambia questa globalizzazione, che non mi piace. Che ricordo ha dellArgentina? E il ricordo dellemigrante ltrato dalla soggettivit e dalla nostalgia. E un ricordo che, passando il tempo, molto difcile ricostruire. LArgentina della mia adolescenza era lArgentina pericolosa, quella della dittatura

Irene Suarez

militare. Era lArgentina nella quale mia mamma mi diceva sempre: Mi raccomando non uscire senza documenti, mi raccomando torna presto, mi raccomando le amicizie, mi raccomando le letture. Pensi che anche a Trento, se mi accorgo di essere uscita di casa senza documenti, torno a casa a prenderli. E poi c lArgentina dell83, della democrazia, della partecipazione, dei sogni, di unidea di futuro. Adesso mi difcile parlare dellArgentina di oggi. Sono qui da troppi anni. Quando ci si allontana geogracamente da un posto per tanto tempo difcile essere oggettivi. Quali sono i poeti che sente a lei pi vicini, i suoi punti di riferimento? Senzaltro Pablo Neruda, in lui c tanta denuncia, e poi Garcia Lorca ma anche Alfonsina Storni, argentina nata in Svizzera, femminista, poetessa dei primi del Novecento, e poi Eugenio Montale. Sa, mi piacerebbe riuscire a leggere tutti i poeti nella loro lingua. E tutta unaltra cosa rispetto alle traduzioni. E un sogno. Si sente pi italiana o pi argentina? Non mi sento italiana, anche se sono cittadina italiana. Sono cittadina italiana nel momento in cui posso decidere qualche cosa, quando posso lamentarmi o modicare aspetti della realt che mi sta intorno, quando posso partecipare. Mi dispiace molto, ad

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ANTE DIEM
di Irene Suarez

(Antes del da) Argentina. Tercer Mundo. 24 marzo 1976. Argentina. Mi madre me sacude. La maana es clida an,, el verano no termin de irse. Es temprano (creo) y el sol no sali. Mi madre me sacude y me despierta. Golpe de Estado. - Madre, es peligroso? - Hija, no lo s. Tercer Mundo. Europa. Primer Mundo. 1996. Fin del siglo Xenofobia. Racismo. Intolerancia. - Hija, es peligroso? - Madre, no lo s. Primer Mundo.

(Prima del giorno) Argentina. Terzo Mondo. 24 marzo 1976. Argentina. Mia madre mi scuote. La mattina ancora tiepida, lestate non ha nito di andarsene. presto (credo) e il sole non sorto. Mia madre mi scuote e mi sveglia. Colpo di Stato. - Madre, pericoloso? - Figlia, non lo so. Terzo Mondo. Europa. Primo Mondo. 1996. Fine secolo. Xenofobia. Razzismo. Intolleranza. - Figlia, pericoloso? - Madre, non lo so. Primo Mondo.-

esempio, che questo Paese abbia un presidente come Berlusconi, o che i medici debbano fare sciopero e fermare gli ospedali. Nello stesso tempo, dopo 13 anni di Italia, non mi sento neanche profondamente argentina. Diciamo che mi sento

pi latinoamericana che europea. E come una condizione di mezzo. Quando sono qui ho nostalgia dellArgentina. Quando vado in Argentina ce lho dellItalia. Perch non le piace essere denita una poetessa? Perch non ho mai pensato al mio fu-

turo in funzione della poesia. Io mi sento uninsegnante. E il mio contributo per cambiare il sistema, e lo faccio lavorando nella scuola. Ripassi tra 20 anni. Chiss, magari allora sar diventata una poetessa (intervista a cura di Paolo Piffer).

Via Torre d Augusto, 41 38100 TRENTO Tel. 0461.230482 fax 0461.237418 www.museostorico.it e-mail:info@museostorico.it

ALTRESTORIE - Periodico di informazione. Direttore responsabile: Sergio Benvenuti Comitato di redazione: Giuseppe Ferrandi, Patrizia Marchesoni, Paolo Piffer, Rodolfo Taiani

Hanno collaborato: Quinto Antonelli, Livio Cristofolini, Annalisa Tomasi. Periodico quadrimestrale registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1132, ISSN-1720-6812. Progetto graco: Gracomp - Pergine (TN)

Per ricevere la rivista o gli arretrati, no ad esaurimento, inoltrare richiesta al Museo storico in Trento.

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AGENDA

Vite al femminile Segnaliamo i titoli di alcune opere edite dal Museo storico in Trento nelle quali sono raccolte testimonianze dirette di vite al femminile: donne intellettuali, ma anche donne del popolo, il cui prolo afdato allanalisi e al ricordo di alcuni studiosi o semplicemente al racconto di diari ed epistolari dai quali emerge un ricco mondo di impegni ideali, valori e sentimenti. In ricordo di Bice Rizzi, pagine 110, 1989 (numero monograco del Bollettino del Museo trentino del Risorgimento), con scritti di: Sergio Benvenuti, Giuseppe Colangelo, Renzo Francescotti, Renzo Monteleone, Cesaria Pancheri, Elisabetta Postal, 10.00; Ernesta Bittanti Battisti: a quarantanni dalla morte, pagine 285, 1997 (numero monograco di Archivio trentino), scritti di: Quinto Antonelli, Sergio Benvenuti, Vincenzo Cal, Giuseppe Colangelo, Gianni Faustini, Giuseppe Ferrandi, Sara Ferrari, Antonino Radice, Bice Rizzi e Walter Micheli, 20,00; Cesare Battisti, Ernesta Bittanti: addio mio caro

Trentino: carteggio (luglio 1914-maggio 1915) a cura di Vincenzo Cal, Pagine 196, 1984, 11,40; Salvemini e i Battisti: carteggio 1894-1957, a cura di Vincenzo Cal, pagine 344, 1987 (Fonti Archivio Battisti, 1), 14,30; Mi chiamer Serena, di Ines Pisoni, pagine 383, 2000, 15,60; Una vita ai Morganti, di Annetta Rech, pagine 187, 1991, 11,40; Valeria Bais, Amabile Maria Broz, Giuseppina Cattoi, Giuseppina Filippi Manfredi, Adelia Parisi Bruseghini, Luigia Senter Dalbosco, a cura di Quinto Antonelli, Diego Leoni, Maria Beatrice Marzani, Giorgia Pontalti, Scritture di guerra, pagine 221, 1996, 7,80; Antonietta Angela Bonatti Procura, Giorgina Brocchi, Elena Caracristi, Corina Corradi, Melania Moiola, Cecilia Rizzi Pizzini, Virginia Tranquillini, Amelia Vivaldelli, Ines Zanghielli, a cura di Quinto Antonelli, Diego Leoni, Aldo Miorelli, Giorgia Pontalti, Scritture di guerra, pagine 315, 1996, 7,80.

La testimonianza di un protagonista Il Museo storico in Trento inaugura la nuova collana Progetto memoria con la video-intervista rilasciata da Vittorio Gozzer nellestate del 1999, alcuni mesi prima di morire. Nato a Mezzocorona nel 1918, Vittorio Gozzer, fu arruolato nel 1939 e assegnato nel 1943 in Croazia, dove fu fatto prigioniero dai tedeschi allindomani dell8 settembre. Riuscito a fuggire, si riun a Roma al fratello Giuseppe ed assieme si aggregarono a una

formazione partigiana. Titolo: Vittorio Gozzer Regia: Lorenzo Pevarello Consulenza storica: Giuseppe Ferrandi Ricerca materiali darchivio: Riccardo Pegoretti Musiche: Emilio Galante Produttore esecutivo: Patrizia Marchesoni Durata: 50 Prezzo: euro 21,50 (disponibile in VHS e DVD)

La collaborazione con lUniversit della terza et Il Museo storico in Trento, in collaborazione con lUniversit della terza et e del tempo disponibile, ha animato tra il novembre 2003 e il febbraio 2004, grazie al contributo del proprio personale

e dei suoi collaboratori, numerosi corsi di storia contemporanea e storia locale nelle diversi sedi di Cavalese, Pergine Valsugana, Lavis, Pozza di Fassa, Lavarone e Volano.

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Alcide De Gasperi e la municipalit di Trento In occasione del cinquantesimo anniversario dalla scomparsa dello statista, numerose sono le iniziative promosse o sostenute dalla Provincia autonoma di Trento. Tra queste, il Museo storico propone un convegno sul ruolo e la gura di De Gasperi nei suoi rapporti con la municipalit di Trento in particolare nel periodo precedente la prima guerra mondiale quando svolse il mandato di Consigliere comunale, di Deputato al Parlamento di Vienna e alla Dieta di Innsbruck. Verranno messe a fuoco le prime esperienze politiche del futuro statista che a Trento si era formato anche come giornalista dirigendo il quotidiano

cattolico Il Trentino e, nel dopoguerra, Il Nuovo Trentino. Sabato 3 aprile 2004, a Trento, presso la Sala di Rappresentanza del Comune di Trento a Palazzo Geremia in via Belenzani, con inzio ad ore 9.00. Relatori: Lorenzo Bedeschi, Gianni Faustini, Giuseppe Ferrandi, Maria Garbari, Gnther Pallaver, Fabrizio Rasera. Commemorazione ufciale: Alberto Pacher, Sindaco di Trento. Ore 12.30: Cerimonia di scopertura a Palazzo Thun di una targa commemorativa dedicata ad Alcide De Gasperi.

Giorno della memoria, 27 gennaio 2004 Anche questanno, nellanniversario dellabbattimento dei cancelli di Auschwitz, della ne della Shoah e delle leggi razziali, nonch nel ricordo dei cittadini ebrei e italiani che hanno subto la deportazione, la prigionia, la morte, il Museo storico in Trento in collaborazione con il Comune di Trento, ha proposto alcune iniziative che hanno avuto un grande riscontro di pubblico. La celebrazione ufciale a Palazzo Geremia ha vissuto, oltre al discorso del Presidente del Consiglio Comunale Marco dalla Fior e alle letture di Quinto Antonelli, un momento molto importante quando la

signora Gabriella Betta, vedova di Aldo Pantozzi, ha consegnato nelle mani del sindaco, in qualit di presidente del Museo storico, la casacca indossata dal marito durante linternamento a Mauthausen. Il Sindaco Alberto Pacher ha ringraziato la Signora e la famiglia del dono, sottolineando, in un intervento fuori programma, limportante signicato civile di un simile gesto. Alla sera il Museo storico, in collaborazione con Arcigay e Arcilesbica del Trentino, ha presentato al Teatro Cuminetti due documentari della regista Gabriella Romano sulla persecuzione degli omosessuali durante il fascismo. Il 3 febbraio, per le scuole superiori, sono stati rappresentati due spettacoli Gente come uno e Patria potest prodotti dalla compagnia Alma Ros che hanno proposto una riessione molto efcace ed intensa sulle persecuzioni della dittatura in Argentina.

I campi di sterminio nazisti Il Museo storico in Trento e il Gruppo di ricerca per la storia regionale Arbeitsgruppe regionalgeschichte di Bolzano organizzano un doppio appuntamento a Bolzano e a Trento per presentare il volume a cura di Giovanna DAmico e Brunello Mantelli, I campi di sterminio nazisti: storia, memoria, storiograa (Milano, Angeli, 2003). Il primo incontro si svolger a Bolzano il 24 marzo 2004 con inizio alle 18,00 presso lUniversit

di Bolzano in via Sarnesi, 1, sala A101. Vi parteciperanno oltre ai curatori anche Barbara Pfeifer e Cinzia Villani. Il secondo appuntamento, che vede la partecipazione anche di Gustavo Corni, ssato invece a Trento per il giorno successivo, 25 marzo 2004, con inizio alle ore 17,30, presso lo spazio incontri del Museo storico in Trento, in via Torre dAugusto, 41.

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Fotolibro, formato 32x24, 648 pagine, confezione in brossura cucita cartonata con cofanetto, 1260 fotograe di cui 450 di grande formato Prezzo E 70,00

Volume in vendita presso le librerie, il Museo storico in Trento e il Museo storico italiano della guerra di Rovereto

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