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A MATTER OF CONSCIOUSNESS

ALESSANDRO GIANNANDREA
[ a.giannandrea@gmail.com ]

Nel ciel che pi de la sua luce prende fu' io, e vidi cose che ridire n sa n pu chi di l s discende; perch appressando s al suo disire, nostro intelletto si profonda tanto, che dietro la memoria non pu ire. Veramente quant' io del regno santo ne la mia mente potei far tesoro, sar ora materia del mio canto. DANTE, Paradiso, I 4-12

Corpo io sono anima cos parla il fanciullo. E perch non si dovrebbe parlare come i fanciulli? Ma il risvegliato e il sapiente, dice: corpo io sono in tutto e per tutto, e nullaltro; e anima non altro che una parola per indicare qualcosa del corpo. [...] Vi pi ragione nel tuo corpo che nella tua migliore saggezza. (FRIEDRICH NIETZSCHE 1883)
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Il corpo umano costituito da circa 1022 (10 000 trilioni) di cellule, di esse circa 1011 (100 miliardi) sono cellule neuronali. Sebbene nessuna di queste cellule sia dotata della capacit di comprendere la propria funzione o quella dellintero sistema, il risultato della loro coesistenza allinterno di un organismo umano la meravigliosa complessit di pensiero e azione della nostra specie. Il quesito su come possa la materia (auto)organizzarsi e diventare un corpo pensante e agente stato affrontato da ogni civilt sin dallalba della propria filosofia. Praticamente ogni cultura, in ogni tempo, ha prodotto un approccio e una risposta al quesito mente-materia. Per secoli si considerato il campo mentale non riducibile al fisico: qualunque cosa la mente fosse non era ritenuta spiegabile dai fenomeni fisici soggiacenti. Scivolando nel sottile tranello della confusione tra ontologia ed epistemologia, filosofi, scienziati e religiosi hanno ritenuto impossibile, se non addirittura pericoloso e blasfemo, descrivere come e perch la materia fosse capace di pensiero, in alcuni casi

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Kata: La Forma NIETZSCHE,F.. Also Sprach Zarathustra. 1883-1885 (Cos parl Zarathustra, tr. it. Adelphi, Milano 1968).

tracciando la separazione tra res-cogitans e res-extensa, in altri descrivendo linaccessibilit dellesperienza mentale privata o cercando in qualche divinit il soffio vitale che ha creato dal fango il peccatore. Lapproccio, tipicamente occidentale, in principio era il logos pu condurre ad un empasse epistemologico: se la ricerca dellorigine del mentale parte dal mentale stesso, si rischia di ritenere incolmabile la distanza che separa lesperienza soggettiva dellessere-un-essere-pensante, esperita come multicolore e vivida, dalla quella degli esseri inanimati definiti da Hofstadter e Dennet tutto fuori e niente dentro3, strutturalmente incapaci di esperienza cosciente. Qualunque descrizione si faccia partendo da tale approccio sembra lasciare fuori qualcosa di tanto importante quanto inafferrabile. Charles Darwin nel 1859 affermava la psicologia si baser su nuove fondamenta [...] quelle della necessaria acquisizione per gradi di ogni facolt e capacit mentale4; cerchiamo di proseguire il percorso preconizzato dal padre dellevoluzionismo: dalla materia alla mente in una progressione di complessit e capacit crescenti. Ricorreremo al filtro dellatteggiamento intenzionale (Dennett 1997)5 per spiegare come il mentale possa essere riconosciuto nelle sue componenti fisiche, a partire dalle sue componenti fisiche, e senza aggiungere altro alle sue componenti fisiche. Per atteggiamento intenzionale intendiamo lattribuire agli agenti osservati (che siano virus, neuroni o persone) una intenzionalit propria, un comportamento teso a un fine6. Sul pianeta Terra, cinque miliardi di anni fa, non cerano menti di nessun tipo. Un miliardo di anni dopo, alcune macromolecole, tra cui le prime molecole di RNA, iniziarono a produrre copie di s stesse sempre pi perfezionate. Tutto ci avvenne in assenza di una mente che ne guidasse il comportamento e anche in assenza di vita nel senso biologico del termine. Compiendo un balzo in avanti di un ulteriore miliardo di anni troviamo gli
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HOFSTADTER D. R., DENNET D.C. Lio della mente. Adelphi, Milano 1992. DARWIN C.. Lorigine delle specie, tr. it. Universale Scientifica Boringhieri, Torino1967. DENNETT D.C.. La mente e le menti. Tr. it. BUR, Milano 1997. DENNETT D.C.. Dove Nascono le Idee. Di Renzo Editore, Roma 2006

stessi robot-macromolecolari-autoreplicanti (per usare unespressione cara a Dennett) organizzati in organismi unicellulari finalmente in grado di compiere azioni oltre che di avere effetti. Nel giro di centinaia di milioni di anni seguiranno nella scala evolutiva le prime creature marine pluricellulari, evolutesi poi in pesci, rettili e, infine, mammiferi. Questo breve excursus sullevoluzione della specie Homo Sapiens porta alla luce due assunti importanti: 1) i nostri antenati filogenetici erano privi di facolt mentali, 2) in un organismo umano, composto esclusivamente dai suddetti robotmacromolecolari-autoreplicanti, ed evolutosi a partire da essi, non c alcun componente singolo in grado di pensare. Di fatto, facendo ricorso ad una sorta di principio antropico, constatiamo che linsieme strutturale e funzionale delle parti che costituiscono un corpo umano in grado di pensare. Autori come Dennett non ritengono questo passaggio un salto qualitativo inspiegabile, si tratta semplicemente di quello che egli definisce un falso problema filosofico: il mentale allestremo del continuum che origina dalle caratteristiche fisiche della materia di cui composto lorganismo pensante. Inoltre, tracciando le tappe del percorso si ottiene un circolo che non sembra lasciare nulla di incompreso: il mentale spiegato dalle neuroscienze a partire dallattivit del sistema nervoso centrale (e dellorganismo in genere); tale attivit a sua volta descrivibile nei termini del funzionamento collettivo dei vari aggregati funzionali e strutturali di cellule; il funzionamento di ogni singola cellula descrivibile nei termini delle interazioni fisiche degli atomi che la compongono, i quali atomi si comportano secondo le leggi della meccanica quantistica. Ed a questo punto che il cerchio si chiude poich la meccanica quantistica necessita di includere losservatore (e la sua mente) nella descrizione del sistema osservato. Come spieghiamo allora la differenza di capacit di pensiero e azione che separa, ad esempio, un virus da un essere umano? Al fine di rispondere a questa domanda, appare opportuno procedere per tappe nella ricostruzione evolutiva del mentale. Inizialmente la selezione naturale ha favorito esclusivamente il genotipo degli organismi pi adatti

allambiente:

in

questo

primo

stadio,

lespressione

del

fenotipo

direttamente collegata al genotipo in una rosa di possibilit adattive ridotta a uno. Successivamente, in analogia col modello del comportamentismo di Skinner7, e per il medesimo meccanismo di selezione naturale, si osserva un aumento della fitness degli organismi in grado di mostrare una pi alta variabilit di comportamenti sebbene questi risultino ancora scelti a caso fra di quelli resi possibili dal genotipo. In questa tappa tale selezione di comportamenti consolidata attraverso il meccanismo del rinforzo, ovvero dopo gli esiti del comportamento espresso. La terza tappa della progettazione genetica quella nella quale gli organismi diventano in grado di scegliere i vari comportamenti possibili testandoli su un proprio modello interno dellambiente; citando le parole di Popper8 un tale meccanismo consente alle nostre ipotesi di morire al posto nostro. Infine, lultimo passo della catena evolutiva costituito da quelle creature in grado di depositare intelligenza9 nellambiente sotto forma di strumenti utilizzabili e condivisibili, primo tra essi il linguaggio. In questo breve riassunto della filogenesi umana possiamo vedere come quello che appare un salto qualitativo nelle capacit mentali, da organismi unicellulari a esseri umani, sia in realt un processo graduale, continuo e in progressione quantitativa. Si noti che i modelli descritti fino ad ora sono compatibili con la descrizione del funzionamento mentale che si ritrova nei testi della dottrina buddista. In essi la mente viene infatti considerata come unentit autonoma caratterizzata da un funzionamento proprio legato alla sua struttura interna.

CASTIGLIONI M., CORRADINI A.. Modelli epistemologici in psicologia. Dalla psicoanalisi al costruzionismo, Carocci, Roma, 2003. citato in DENNETT 1997 (ibid.) pg.103 BELLONE E.. I corpi e le cose. Bruno Mondatori, Milano 2000.

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Dov' il pensiero? , questa, cosa che non si pu sapere n vedere. come un'illusione magica, perch con l'immaginazione dipinge il mondo. Cercando il pensiero, incapace di vederlo, una persona ne cerca l'origine. E gli sembra che il pensiero sorga l dove c' un oggetto. Il pensiero non sorge senza un oggetto. Pu il pensiero vedere il pensiero? No. Come la lama d'una spada non pu tagliare se stessa, o la punta di un dito toccare se stessa,cos il pensiero non pu vedere se stesso. Sikshasamuccaya SANTIDEVA (VII-VIII secolo d.C.)

Vi unamabile ma fuorviante inclinazione delle persone a esagerare le meraviglie delle proprie esperienze coscienti, piuttosto simile a quella dei partecipanti agli spettacoli di magia, che tendono a uscire dal teatro affermando di aver assistito a prodigi superiori a quelli realmente presentati per il loro divertimento.; con queste parole Dennett (2006)11 ridimensiona il compito di spiegare la coscienza, la cui meta, lo studio scientifico dellesperienza cosciente, pi vicina e concreta oggi di quanto non lo sia mai stata in passato. Autori come Edelman e Tononi (2000)12 hanno elaborato modelli informatici estremamente accurati del funzionamento delle reti neurali, processi che solo un secolo fa sembravano insondabili sono stati riprodotti con lelegante semplicit delle simulazioni al computer (ad es. Sporns et al. 2000)13.

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Shin: La Mente DENNETT D.C. Sweet Dreams. Philosophical Obstacles to a Science of Consciousness. MIT Press (MA) 2006. EDELMAN,M., TONONI G.. Un universo di coscienza. Einaudi, Torino 2000.

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SPORNS O., TONONI G., EDELMAN M.. Theoretical Neuroanatomy: Relating Anatomical and Functional Connectivity in Graphs and Cortical Connection Matrices. Cerebral Cortex, Vol. 10, No. 2, 127-141, February 2000. Oxford University Press.

Non negli scopi del presente lavoro quello di riassumere le conquiste attuali nel campo dello studio della coscienza, ci limiteremo a sottolineare i punti di contatto tra scienza contemporanea e buddhismo percorrendo alcuni dei numerosi ponti che collegano gli studi di entrambe i campi. A tal fine, considerando la coscienza come un processo, essa si mostra essere il risultato dellattivazione, istante per istante, di vaste e mutevoli popolazioni neurali, in risposta allintegrazione di percezioni, e azioni aventi sempre come protagonisti inseparabili tra loro un corpo e lambiente che lo circonda. Secondo tale paradigma non si pu distinguere la coscienza n dagli oggetti che accoglie n dal corpo dal quale emerge. Nelle parole del filosofo esistenzialista Maurice Merleau-Ponty (1965)14 dacch c coscienza, e perch ci sia coscienza, necessario che ci sia un qualcosa di cui essa sia coscienza, un oggetto intenzionale. Bisogna quindi ricorrere ad unica descrizione ontologica per soggetto e oggetto in unottica, quella del paradigma della enazione, che sviluppa ulteriormente il modello dellemergenza, delocalizzando la sede dellorigine delle esperienze fenomeniche e diffondendola in una rete che nasce dal sentire e muoversi con il corpo nel mondo15. Il modello della enazione fu creato nel 1991 dal biologo, neuroscienziato ed epistemologo cileno Francisco Varela16 il quale trasse profonda ispirazione dalla descrizione, nel modello buddhista, dei concetti di skandha e dharma. Secondo questultimo modello, gli oggetti di coscienza, i dharma, vengono raggruppati in aggregati, i cinque skandha, ciascuno dei quali ha natura illusoria. La coscienza risulta essere quindi il risultato della relazione tra organismo e ambiente, ed solo nella relazione che si pu descrivere luno e laltro: La materia, parlando metaforicamente, la creazione dello spirito [] lo spirito la creazione della materia che esso crea. Questo non un paradosso, ma lespressione della
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MERLEAU-PONTY M.. Fenomenologia della percezione. Il Saggiatore, Milano, 1965. p. 176.

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BERTOSSA F.,FERRARI R.. in Neurofenomenologia. Curato da CAPPUCCIO, M., Bruno Mondadori, Milano 2006. VARELA F. J., THOMPSON E., ROSCH E.. The Embodied Mind. Cognitive Science and Human Experience. MIT Press (MA) 1991.

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nostra esistenza in un dominio di cognizione nel quale il contenuto della cognizione la stessa cognizione. (Varela 2001)17. Il paradigma dellenazione delocalizza al di fuori dellindividuo la coscienza attribuendo agli oggetti il ruolo di condizione fondante dellesperienza cosciente. Quindi, lespressione essere coscienti degli oggetti va riformulata nellespressione essere cosciente perch ci sono gli oggetti. Questo assunto legato al concetto buddista di interdipendenza, che descrive come ogni cosa sia partecipe di tutto il resto in una rete indissolubile.

Un essere umano una parte del tutto che noi chiamiamo universo, una parte limitata nel tempo e nello spazio, che sperimenta pensieri e sensazioni come qualcosa di separato dal resto, una specie di illusione ottica della coscienza. (ALBERT EINSTEIN)

La dottrina buddhista molto esplicita per quanto riguarda la natura degli oggetti fisici: essi sono impermanenti, interdipendenti e insoddisfacenti. Ciascun oggetto attraversa un percorso che passa necessariamente per le tre fasi di nascita vita e morte. In aggiunta, e in consonanza con la Teoria della Relativit, non esiste nulla che possa essere descritto in termini assoluti, distinto nello spazio e nel tempo da tutto il resto. Notiamo brevemente la sintonia di questi assunti con il pensiero scientifico contemporaneo: la termodinamica si occupa dellimpermanenza quando descrive le caratteristiche delluniverso in termini di sistema entropico, un sistema cio allinterno del quale lenergia tende a degradare verso stati sempre pi semplici e dis-ordinati. Inoltre, la concezione di un universo fatto di oggetti distinti, situati nei due contenitori concettuali di spazio vuoto e tempo costante, ha ormai perso di efficacia descrittiva, lasciando il posto ai modelli quadridimensionali (e oltre) che seguono alle intuizioni di Einstein
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MATURANA H. R., VARELA F. J.. Autopoiesi e Cognizione!Autore: la realizzazione del vivente. Marsilio, Venezia 2001.

sulla Teoria della Relativit. Malgrado ci i nostri sistemi sensoriali sono strutturati in modo da distinguere i vari elementi dal contesto, come, ad esempio, gli oggetti dal loro sfondo, la conversazione che stiamo ascoltando da tutte le altre contemporanee, il presente dal passato e dal futuro. Tali discriminazioni avvengono in larga misura al di l della nostra consapevolezza, delle nostre intenzioni e, come nota Enrico Bellone (2000)18, senza che noi abbiamo necessit di conoscere il funzionamento dei nostri recettori sensoriali. La scienza distingue il tempo soggettivo, definito da Einstein una ostinata illusione19, dai tempi della fisica teorica, dando validit descrittiva solo a questi ultimi. Se osserviamo una qualunque scena che si presenta ai nostri occhi abbiamo la percezione, lostinata illusione, di vedere oggetti, disposti nello spazio, pi o meno in movimento in relazione a noi, e situati nel tempo, precisamente nel tempo presente. Almeno due osservazioni possono sollevare dubbi sulla affidabilit descrittiva della nostra impressione sensibile: 1) il tempo presente, l adesso della scena che stiamo osservando, non un punto di riferimento valido per discriminare passato e presente, e 2) il concetto stesso di eventi contemporanei un costrutto relativo esclusivamente alle impressioni dellosservatore. Per quanto riguarda la prima osservazione basti notare il dato empirico e fenomenologico che analizza Tolle (1997)20: qualunque idea possiamo aver maturato sul concetto di tempo non abbiamo mai avuto esperienza diretta di quello che definiamo passato e futuro. Ovvero, qualunque cosa accada nella vita di una persona, accade nel presente soggettivo di quella data persona. La seconda osservazione si basa su una considerazione piuttosto semplice, la luce si propaga ad una velocit grandissima, ma finita. Nel suo ormai classico

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Ibid. BELLONE 2000.

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EINSTEIN A.. La relativit e il problema dello spazio, Appendice 5 a Relativit: esposizione divulgativa in Albert Einstein. a c. di BELLONE E., Bollati Boringhieri, Torino 1988. (citato in BELLONE 2000). TOLLE E.. The Power of Now. 1997. Hodder & Stoughton LTD, London 1999.

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trattato sulla visione Gregory (1988)21 sottolinea che ogni sguardo sulle cose uno sguardo sul passato: i fotoni che raggiungono la rtina in un dato istante, dando limpressione di una scena che avviene tutta nel presente dellosservatore, sono in realt partiti dalle rispettive sorgenti in tempi molto diversi. Osservando ad esempio un cielo stellato attraverso una finestra si ha lillusione percettiva che le stelle, dalle quali i fotoni sono partiti diversi anni prima, e la finestra, siano contemporanei e presenti. Di fatto, la fisica ha abbandonato la categorizzazione degli oggetti attraverso i concetti di spazio e tempo cos come li si intendeva ai tempi di Galilei, adottando la descrizione, comune alla dottrina buddhista dellimpermanenza e dellinterdipendenza, in termini di eventi. Secondo Minkowsky (1908)22 gli oggetti della nostra percezione includono sempre una combinazione di luoghi e di tempi, essi sono la sequenza ordinata dei quattro valori con i quali esprimiamo abitualmente le tre dimensioni spaziali e la dimensione temporale. Tale punto localizzato in un sistema di riferimento quadridimensionale quello che corrisponde al concetto archetipico di evento, nelle parole di Einstein23: la somma totale di tutti gli eventi proprio ci che noi intendiamo quando parliamo del mondo reale esterno. Da tale punto di vista il concetto moderno di oggetto appare descritto negli stessi termini del buddhismo tradizionale: la reificazione di un evento percepito ripetutamente e categorizzato dai nostri sistemi percettivi e cognitivi in un modo che, sebbene sia risultato essere utile ai fini evolutivi di adattamento alla nicchia, diventa inutile ai fini della scientificit e oggettivit della descrizione.

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GREGORY R.. Occhio e cervello. La psicologia del vedere. Raffaello Cortina, Milano 1988. (citato in BELLONE 2000). MINKOWSKI H.. Raum und Zeit. In Physikalische Zeitschrift, 20, 1909. (citato in BELLONE 2000). EINSTEIN A.. I fondamenti della teoria della relativit generale, in Albert Einstein. Opere scelte, a c. di BELLONE E., Bollati Boringhieri, Torino 1988. (citato in BELLONE 2000).

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Siamo quindi la meravigliosa somma di minuscoli robot il cui funzionamento corale la sorgente di quello stream of toughts che William James (1892)24 pone come nucleo dellesperienza cosciente. Detta esperienza, come fosse uno specchio, emerge solo in presenza di oggetti (e di attaccamento verso di essi, forse aggiungerebbe Buddha) che ne riempiono il panorama. Oggetto una ipostasi che il nostro sistema cognitivo usa per cristallizzare linafferrabile fluidit di un universo fatto eventi in continuo cambiamento. Tirando su le reti che abbiamo audacemente gettato nelloceano della conoscenza scopriamo che non ci sono pesci, non ci sono reti, e, a guardare bene, non c traccia del pescatore.

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Abitare un corpo pensante genera la costante (ed efficacissima) illusione che ci sia un dentro e un fuori, un soggetto e un oggetto. Se volessimo definire con attenzione (completezza e coerenza, per dirla con Gdel) i confini di questi costrutti ci troveremmo invischiati in un loop epistemologico, lo stano anello26 che si genera ogni volta che un sistema descrive se stesso (cambiando livello di complessit). Una prima impossibilit ci viene dalla natura processuale delluniverso (che, non a caso, uni-verso): come ogni cosa fatta di atomi tenuti insieme dalla valenza delle loro cariche elettromagnetiche, anche noi siamo il continuo divenire di aggregazione e disgregazione di particelle elementari. Daltronde che ne dellultimo chicco di uvetta che abbiamo mangiato? Siamo fatti degli atomi che abbiamo introdotto nel nostro sistema digerente, quello che noi adesso era
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JAMES, W.. Psychology. Henry Holt and Company, New York, 1892.

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Omote, Ura: Interno, Esterno HOFSTADTER , D.. Anelli nell'io. Che cosa c' al cuore della coscienza?. Mondadori, Milano 2008.

necessariamente altro-da-noi e fuori-di-noi prima. In fondo siamo tutti stati una singola cellula, un tempo. Proviamo a tralasciare il dato ontogenetico, cercando una definizione della distinzione soggetto/mondo attraverso una fotografia della realt in questo preciso istante nel quale (ammesso che, per complicarci le cose, non stiamo mangiando un altro chicco di uvetta) ci sembra di finire l dove finisce il nostro corpo fisico. Sembrerebbe quasi che la nostra pelle sia il confine tra dentro e fuori. Ma questa forte impressione destinata a soccombere ad unanalisi pi obiettiva: anche se volessimo ignorare il fatto che le nostra superficie esterna diventa interna senza soluzione di continuit attraverso il sistema respiratorio, digerente ecc. (e tralasciamo anche che, avendo i polmoni una superficie a struttura frattale e la pelle a struttura lineare, abbiamo pi superficie dentro che fuori) consideriamo che la nostra forma tridimensionale nello spazio dipende da una moltitudine di caratteristiche fisiche dellambiente. Se non esplodiamo o implodiamo perch ci siamo evoluti per vivere in questo preciso range di variazione della pressione atmosferica. Le nostre membra hanno una forma che rispecchia in modo molto accurato le caratteristiche degli oggetti con i quali ci relazioniamo per vivere: abbiamo mani e braccia atte a manipolare oggetti di medie dimensioni e consistenza solida, piedi e gambe atti a sostenere la nostra massa in questo esatto sistema gravitazionale e sul terreno che di solito calpestiamo (altrimenti, ad esempio, avremmo pinne o ciaspole da neve al posto dei piedi). I nostri occhi sono fatti per rispondere ad una precisa sezione dello spettro elettromagnetico e le aree visive del nostro cervello sono fatte per interpretare un mondo quasi-bidimensionale (non tridimensionale come quello degli uccelli o dei pesci che si muovono naturalmente anche lungo lasse verticale delle tre coordinate spaziali). Come un enzima e il suo cofattore, abbiamo la forma del mondo che abitiamo. Ma questo ecosistema responsabile in modo cos stringente della nostra forma (postulando lequivalenza tra forma e funzione propria della fisiologia) a sua volta costituito dallequilibrio di tutte, nessuna esclusa, le sue componenti: a livello macroscopico pensiamo al rapporto tra temperatura, gas atmosferici e vegetazione. Per quanto ci possa sembrare di essere altro da, ad esempio,

un albero, proprio ad esso che dobbiamo la nostra forma, i nostri polmoni ecc.. facile a questo punto argomentare come la vegetazione del pianeta sia legata alle radiazioni emesse dal sole, allargandoci poi fino allequilibrio gravitazionale del sistema solare, alla sua delicata interazione con le altre galassie ecc.. Un proverbio serbo dice: sii umile perch sei fatto di terra, sii nobile perch sei fatto di stelle. Potremmo anche percorrere allinverso questo slippery slope, considerando dapprima tutti i vegetali del pianeta, poi riducendo il focus a tutte le foreste nel loro ruolo ecologico, poi ad una foresta, un boschetto e cos via, arrivando ad affermare che ogni singolo albero, ogni singola foglia, determina la nostra forma, la nostra natura, il nostro essere-nel-mondo.

SHA RI SHI SHIKI FU I KU KU FU I SHIKI SHIKI SOKU ZE KU KU SOKU ZE SHIKI JU SO GYO SHIKI YAKU BU NYO ZE27 O Sariputra, i fenomeni non sono diversi dalla Vacuit, la Vacuit non diversa dai fenomeni; i fenomeni diventano Vacuit, la Vacuit diventa i fenomeni; e per la percezione, il pensiero, la volont e la coscienza vale la stessa cosa.

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Maka Hannya Haramita Shingyo: Sutra del cuore della perfetta saggezza

Il poeta John Keats descrisse come i pi grandi uomini fossero dotati di Capacit Negativa, la possibilit cio di tollerare dentro di s lincertezza del vivere nel mistero del mondo, senza dover necessariamente trovare una spiegazione razionale, senza afferrare nulla. Consapevolezza la possibilit di contemplare il panorama che abbiamo descritto senza sforzare i nostri occhi o corrugare la nostra fronte, ascoltare la musica delluniverso scoprendo che lo stesso canto che risuona nel nostro cuore, sapere che in fondo non siamo poi cos diversi da un chicco di uvetta, non siamo separati da ci che ci intorno, non siamo gli stessi di ieri o di domani. Avere spazio dentro di noi per accogliere tutto questo, e, magari, sorriderne. Del resto, dallalba al tramonto, non c molto altro da fare.

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Ku: il Vuoto, la Vacuit

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