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Iliade ed Odissea

Le più antiche testimonianze che la letteratura greca possa offrire sono due delle opere
forse più famose ed apprezzate di ogni tempo dall’umanità intera: l’Iliade e l’Odissea; si
tratta di poemi caratterizzati da una architettura talmente complessa e da una così grande
perfezione stilistica, che ci risulta sinceramente impossibile collocarli all’origine di una
tradizione letteraria senza presupporre che siano esistite esperienze letterarie anteriori,
non sopravvissute fino a noi. E’ tuttavia corretto affermare che si tratta delle prime opere
letterarie greche che ci siano giunte attraverso la scrittura: infatti dovevano essere
indubbiamente esistite produzioni precedenti, appartenenti ad una letteratura
prevalentemente orale, le cui tracce sono individuabili nella materia stessa dei poemi
omerici e in genere della letteratura di età arcaica, ma che risultano altrimenti perdute per
sempre. Gli autori ed i divulgatori di queste opere vengono generalmente individuati nei
rapsodi o aedi, che erano i professionisti della declamazione orale, in genere itineranti,
nell'Ellade antica, veri e propri esclusivi detentori - attraverso l'opera di memorizzazione e
rielaborazione della tradizione orale - di un materiale letterario che di volta in volta
organizzavano e modificavano in base ai gusti e alle specifiche esigenze del loro pubblico.
Gli antichi si erano resi conto senza dubbio che fosse necessario riferirsi ad una tradizione
poetica precedente alle prime attestazioni letterarie, ed avevano cercato di colmare le
lacune delle origini con figure leggendarie di cantori. In questa produzione letteraria pre-
omerica sono rintracciabili dei generi, tuttavia la materia trattata è per lo più tratta dal
mito, e tale ricostruzione è condotta in via ipotetica sulla base degli stessi poemi omerici e
ciclici, delle opere di Esiodo, della poesia lirica corale e monodica, della tragedia del V
secolo, e più in generale sulla base della religiosità dei Greci dell’età arcaica.
L’epica arcaica, che trova sicuramente un vero e proprio vertice nell'Iliade e
nell'Odissea, è rappresentata da due autori famosissimi nella storia della letteratura
mondiale di tutti i tempi, divenuti poi riferimenti costanti di tutta la letteratura greca in
ogni epoca: Omero ed Esiodo. In particolare, i poemi omerici possono essere considerati
l’unica attestazione scritta della poesia eroica degli aedi e dei rapsodi: essi riescono ad
unificare in una eccezionale rielaborazione tutto il bagaglio di miti e di leggende elaborato
per secoli dalla letteratura pre-omerica, e anzi proprio sono la testimonianza di tale
elaborazione.
Dalla stessa letteratura epica di età arcaica possiamo apprendere che gli aedi vivevano
nei palazzi dei re, come ospiti fissi, benvoluti e rispettati - possiamo riferirci alla figura di
Odisseo alla reggia dei Feaci: il suo ruolo è del tutto simile a quello di un rapsodo, se si
prescinde dalle circostanze fortunose del suo arrivo sull'isola di Nausicaa. L’argomento
del loro canto non era limitato esclusivamente alla sola esaltazione degli eroi, ma veniva
anche a cantare, ad esempio, gli amori di Ares e di Afrodite o la genesi degli dei. Questo
materiale, come non riesce difficile immaginare, si arricchì e si ampliò progressivamente
nel tempo, fino ad assumere la sua forma letteraria definitiva e a diventare il genere
letterario definito epos.
La lingua dell’epos è quasi interamente ionica, commista tuttavia di elementi eolici, e si
avvia a divenire la prima lingua letteraria dell’Ellade; il metro di cui si fa uso, l’esametro, è
destinato anch’esso a diventare canonico per la narrazione delle gesta eroiche. Un'altra
caratteristica tipica dell’epos è l'uso di formule ricorrenti, attribuite più o meno
strettamente all’uno o all’altro personaggio, o proprie di specifiche situazioni, in punti ben
precisi del verso. Si tratta di una caratteristica che l’epos eredita dalla tecnica dei rapsodi,
che avevano la necessità di utilizzarle per poter memorizzare più facilmente il vastissimo
materiale poetico che declamavano.

Introduzione
La tradizione classica attesta che la più antica redazione scritta dell’Iliade e dell’Odissea
fu realizzata nel VI secolo a.C. ad Atene per iniziativa del tiranno Pisistrato e di suo figlio
Ipparco: si trattava di quella che potremmo definire una sorta di edizione ufficiale, che
ebbe infine il sopravvento col sulle altre già esistenti. A partire dal III secolo a.C. e fino al
150 a.C., vennero edite delle edizioni critiche dei due poemi, ad opera di filologi
alessandrini, come Zenodoto di Efeso, Aristofane di Bisanzio e Aristarco di Samotracia,
che lavoravano nell’ambito di grandi istituzioni culturali come la Biblioteca e il Museo,
sorte ad Alessandria d’Egitto su espresso desiderio dei sovrani della dinastia Tolemaica. I
filologi si occuparono di ripartire Iliade e Odissea ciascuna in ventiquattro libri,
esattamente quante erano le lettere del nuovo alfabeto attico, ed impiegarono le maiuscole
per la prima opera e le minuscole per la seconda: le comodità di consultazione, di citazione
e di rimando furono subito evidenti. Il lavoro di questi studiosi consistette
sostanzialmente in un'opera di rigorosissima conservazione, volta a conservare inalterate
nel testo anche parti di autenticità dubbia, limitandosi tuttavia a contrassegnarle mediante
un segno grafico speciale, l’obelos. I filologi si occuparono anche del delicato lavoro di
atetesi, cioè di espunzione dei versi spuri. Sebbene la loro opera risultò infine davvero
fondamentale per la preservazione del testo omerico, i filologi alessandrini contribuirono
tuttavia a distruggerne definitivamente il carattere originario di poesia destinata alla
recitazione e quindi indissolubilmente legata all’oralità. Dalla coesistenza di questi due
elementi, redazione pisistratea e composizione orale, oltre che dall’incertezza dei dati sulla
composizione, ed insomma da tutta la serie di problemi connessi all'origine ed all'autore
dei due poemi, prese avvio e venne a svilupparsi la cosiddetta questione omerica, che,
malgrado l’opera di molti studiosi, resta a tutt’oggi un problema in gran parte insoluto.

I “separatisti”
Nel V secolo a.C. due grammatici, Xenone ed Ellanico (detti successivamente oi
corizontes, cioè i “separatisti”), effettuando un’analisi interna dei due poemi e
riscontrandovi evidenti discrepanze di contenuto e di stile, presero a sostenere che solo
l’Iliade potesse essere opera di Omero, mentre l’Odissea doveva essere obbligatoriamente
considerata opera di un altro poeta, quasi sicuramente più tardo. Il problema fu
largamente dibattuto nell’antichità: mentre Aristarco di Samotracia, direttore della
Biblioteca di Alessandria, volle rifiutare le teorie dei “separatisti”, nel I secolo d.C.
l’anonimo autore del trattato Sul Sublime – in un passo divenuto celebre - propone di
considerare l’Iliade come un’opera giovanile del poeta e l’Odissea come un’opera della
sua maturità, considerando Achille nell’Iliade l’espressione della forza e degli ideali della
gioventù, e Odisseo nell’Odissea, invece, la testimonianza di una età del poeta più pacata e
matura: l’Anonimo si spinge oltre, affermando che l’Iliade per i suoi tratti assomiglia ad
una tragedia, l’Odissea a sua volta ad una commedia.
La questione omerica in età moderna: d’Aubignac e Vico
Nella seconda metà del XVII secolo, alla corte di Luigi XIV, re di Francia, partendo dal
pregiudizio, decisamente in auge allora, che l’arte dei moderni fosse superiore a quella
degli antichi ed inserendosi nella celeberrima "Querelle des Anciens et des Modernes",
François Hédelin, abate d’Aubignac, sostenne in un suo scritto, pubblicato poi postumo
nel 1715, che Omero non fosse mai veramente esistito e che l’Iliade non consistesse in altro
che una raccolta di canti composti in epoche diverse, unificati successivamente nella
redazione scritta attribuita a Pisistrato: queste furono le sue "congetture accademiche",
datate 1664. Il d’Aubignac giustificò la sua teoria sostenendo che all’epoca di Omero la
scrittura non esisteva ancora, e quindi un poema così lungo non poteva assolutamente
essere stato tramandato interamente a memoria; tuttavia egli si guardò bene dal
determinare quale fosse “l’epoca di Omero”. Nel 1744, il filosofo napoletano Giambattista
Vico volle dedicare alla questione omerica il III capitolo dei suoi Principii di una Scienza
Nuova, intitolato "Discoverta del vero Omero". Anche Vico negava decisamente consistenza
storica alla figura del poeta e sosteneva che le opere lui attribuite dovevano essere
considerate piuttosto "l’espressione del patrimonio collettivo dei ricordi del popolo greco
nel suo tempo favoloso”. L’Odissea, inoltre, era da considerarsi espressione di una civiltà
meno primitiva e più recente.

La fase “scientifica” della questione


omerica: Wolf
Nel 1795 il filologo tedesco Friedrich August Wolf pubblicò i Prolegomena ad Homerum, e
parve finalmente che la disamina del problema venisse a subire una svolta secondo criteri
di maggior rigore scientifico; in realtà, Wolf non si discostò molto dalle teorie proposte dal
d’Aubignac e giunse alla conclusione che ai tempi di Omero non esisteva la scrittura.
Sostenne inoltre che i poemi omerici fossero opera di più di un aedo, in un tempo che
potremmo chiamare l'età eroica del popolo greco e che tali poemi, costituiti da un
assemblaggio di canti della cultura orale dei rapsodi, fossero stati riuniti e trascritti solo
nella definitiva redazione di Pisistrato. Per valutare appieno queste affermazioni, non
possiamo ignorare tuttavia l'ambiente culturale europeo dell’epoca in cui venne formulata
questa teoria: ci si trovava in un periodo di pre-romanticismo, che, come è noto, costituì
una sorta di culla della visione dell’età primitiva come luogo privilegiato della nascita e
dello sviluppo di una poesia pura, priva di qualunque condizionamento manieristico. Le
tesi del Wolf ebbero dunque un vasto seguito e diedero successivamente origine ad una
corrente di pensiero che portò alle estreme conseguenze il metodo analitico, che si
proponeva di rilevare nei due poemi qualsiasi elemento a sostegno della tesi antiunitaria.

La critica antiunitaria
Georg Zoega e Friedrich Gottlieb Welcker, dopo Wolf, cercarono di individuare il
rapporto fra i poemi omerici e quelli del cosiddetto Ciclo (serie di composizioni oggi
purtroppo perdute, che narravano sia gli antefatti che gli avvenimenti successivi a quelli
raccontati nei due poemi omerici). Anche questi ultimi postulavano l’esistenza di un
materiale molto vasto che costituiva l'antico patrimonio degli aedi e dei rapsodi: l’Iliade e
l’Odissea sarebbero state composte in epoca più recente, attingendo proprio a questo
materiale. Fra il XVIII e il XIX secolo il tedesco Karl Friedrich Hermann e l’inglese George
Grote avanzarono poi l’ipotesi dell’esistenza di due canti eroici originari, uno dedicato
all’ira di Achille e uno al ritorno di Odisseo: questi nuclei leggendari sarebbero poi stati
ampliati fino alla forma attuale attraverso generazioni di rapsodi; i due studiosi presero
proprio da quest’ipotesi lo spunto per l’esame dei testi omerici. Tra la fine del ‘800 e gli
inizi del ‘900 il celebre studioso tedesco Ulrich Wilamovitz tentò di conciliare i risultati
della teoria analitica con l’esistenza di un poeta unico: sostenne che l’Iliade doveva essere
stata composta verso l’VIII secolo a.C. da un poeta di lingua ionica, che avrebbe attinto alla
tradizione rapsodica e che in seguito la sua opera sarebbe stata ampliata da altri, fino a
raggiungere l’estensione attuale.

La critica unitaria
Il primo quarto del Novecento è stato caratterizzato da una vivace reazione alle teorie
precedentemente enunciate, a favore dell’unitarismo. La tesi secondo la quale i due poemi
sarebbero stati opera di un solo poeta ebbe l’appoggio di vari studiosi, fra cui C. Rothe, J.
A. Scott e J. T. Sheppard; però appare più sostenuta da entusiastica ammirazione per
Omero che da solide basi scientifiche e da un’attenta analisi critica.

La tesi moralistica
Un punto di vista decisamente originale sulla questione omerica è stato fornito, già a
partire dal 1928, dagli studi dell’americano Millman Parry: quest'ultimo, attraverso
l’analisi del linguaggio dell’Iliade, fece emergere le caratteristiche di formularità, ovvero
ripetizione di parole o frasi che compaiono molte volte in situazioni analoghe, come epiteti
umani e divini, inizio e conclusione di discorsi, modo di interpellare e di rispondere,
indicazioni temporali e formule di transizione del discorso, e le volle attribuire ad una fase
orale della composizione, dovuta ai rapsodi, che avrebbero tramandato così i due poemi
fino al momento della loro redazione scritta. La tesi del Parry ha buone basi che le
vengono anche dal confronto con la tradizione dei cantori popolari attivi tuttora presso
popoli al di fuori dell’ambito della cultura greca – ad esempio possiamo citare le leggende
popolari trasmesse nel mondo serbo-croato, di cui Parry si occupò, mostrando nel 1934 che
un cantore era in grado di improvvisare un poema di dimensioni paragonabili a quelle
dell'Odissea o dell'Iliade improvvisando sulla base di formule mnemoniche - offrendo una
visione antropologica, oltre che filologica.
Andrea Zoia

Letture
Anonimo del Sublime
Anonimo del Sublime, 9
L'Odissea, opera di un sole al tramonto
Testo originale
Per tale ragione, penso, dato che l'Iliade venne scritta quando la sua - scil. Omero - era al
culmine, egli riempì l'opera di dialoghi e di azione; al contrario l'Odissea ha una forma
soprattutto narrativa, come è tipico della vecchiaia. Per questo motivo per l'Odissea
potremmo paragonare Omero ad un sole che sta tramontando, che brucia di meno, pur
essendo ugualmente grande. Infatti qui ( nell'Odissea ) non conserva la stessa tensione dei
celebri canti dell'Iliade, nè la grandezza sempre uguale senza abbassamenti di tono, nè il
continuo susseguirsi di passioni, nè la capacità di improvvisi cambiamenti, l'eloquenza e
nemmeno la densità di immagini realistiche: è simile all'Oceano quando si ritira in se
stesso, e trova in sè medesimo la propria misura, mentre ancora si manifestano i riflussi
dell'antica grandezza anche in quelle divagazioni favolose ed incredibili. Ma dicendo
questo non ho intenzione di trascurare le tempeste dell'Odissea, le vicende presso i Ciclopi
ed alcuni altri episodi: parlo di una vecchiaia, ma la vecchiaia di Omero. Tuttavia in tutte
queste scene l'elemento narrativo prevale su quello drammatico.

Un giudizio su Omero: i sogni di Zeus


Testo originale
Come ho asserito, questa mia digressione ha lo scopo di mostrare che alle volte i grandi
geni tendono alla futilità quando entrano in decadenza, come nel caso dell'otre ( dei venti )
e degli uomini trasformati in maiali da Circe - uomini che Zoilo definì "porcellini stridenti"
-, di Zeus nutrito dalle colombe come fosse un pulcino, del naufrago che non può toccare
cibo per dieci giorni e dei fatti incredibili a proposito dell'uccisione dei pretendenti. Come
altrimenti si potrebbero definire questi episodi, se non sogni di Zeus? Ma anche per una
seconda ragione bisogna parlare delle caratteristiche dell'Odissea: perchè ti sia palese che
il declino della passione si stempera, nei grandi autori di prosa e di poesia, nella
raffigurazione dei caratteri: infatti la descrizione della vita familiare all'interno della casa
di Odisseo ricorda quasi una commedia di costume.

Anonimo del Sublime, 33


Grandezze a confronto: Omero e gli epici
Testo originale
Anch'io ho riscontrato molti difetti in Omero ed in altri grandi, e di certo mi rallegro ben
poco per le loro cadute; tuttavia non li definisco errori volontari, quanto piuttosto sviste,
causate da una noncuranza occasionale, arrecate distrattamente dalla loro grandezza, dove
è capitato. Pur tuttavia, penso che le grandi virtù, sebbene non sempre pari a sè medesime,
debbano sempre ottenere il primo premio, se non foss'altro, per la loro stessa grandezza.
Sicuramente, infatti, Apollonio nelle Argonautiche è un poeta cui non si può rimproverare
nulla, ed anche Teocrito nelle Bucoliche, tranne per pochi dettagli, è davvero felice;
tuttavia, non preferiresti essere Omero invece che Apollonio?

Bibliografia
Storia della Letteratura Greca, CD-ROM, L'Espresso
M.I. Finley, Il mondo di Odisseo, Marietti Scuola
Gabriella De Blasio, Letteratura Greca, Polis
Carles Miralles, Come leggere Omero, Rusconi

FONTE: www.antiquitas.it

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