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Corte di Cassazione Sezione 1 Civile


Sentenza del 11 luglio 2008, n. 19238

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo - Presidente

Dott. RORDORF Renato - Consigliere

Dott. BERNABAI Renato - Consigliere

Dott. PANZANI Luciano - Consigliere

Dott. SALVATO Luigi - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

GA. VA. - elettivamente domiciliata in ROMA, Via Alberico II, 33 presso lo studio dell'avv.
LUDINI Elio, dal quale e' rappresentata e difesa, unitamente e disgiuntamente all'avv. Federico
Giaimo, in virtù di procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

BU. &. C. s.r.l., in persona dell'amministratore unico, Dr. Ca. Gu. - elettivamente domiciliata in
ROMA, Viale Mazzini, 88, presso l'avv. BARBERIS Giorgio, dal quale e' rappresentata e difesa,
unitamente e disgiuntamente all'avv. Carlo Tabellini, in virtù di procura a margine del controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza della Corte d'appello di Torino depositata il 19 settembre 2006;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 20 giugno 2008 dal Consigliere Dott.

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Luigi Salvato;

udito per il ricorrente l'avv. Anna Chiozza, su delega che ha chiesto l'accoglimento del ricorso, e per
la contro ricorrente l'avv. Carlo Tabellini, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ABBRITTI Pietro, che ha
concluso per l'accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La Bu. &. C. s.r.l. (di seguito, Bu.), con ricorso Decreto Legislativo n. 5 del 2003 ex articolo 19,
depositato l'8 luglio 2004, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Torino Ga. Va.,
chiedendone la condanna a pagare euro 45.189,98, oltre interessi legali a far data dal 5 febbraio
2001, a titolo di corrispettivo per la compravendita in detta data di n. 187.500 azioni della s.p.a. To.
Va..

La convenuta, nel costituirsi in giudizio, eccepiva l'incompetenza per territorio del Tribunale di
Torino, in favore di quello di (OMESSO), in quanto nel circondario di quest'ultimo Tribunale era
ubicata la sua residenza e la sede della s.p.a. To. Va.. Nel merito, contestava la domanda, deducendo
che la compravendita era parte di una piu' ampia operazione di concambio di azioni e
partecipazioni, nella quale era coinvolta la s.r.l. We. e che non era stato convenuto il pagamento di
un prezzo.

Il Tribunale di Torino, con ordinanza del 27 ottobre 2004, dichiarava la propria incompetenza,
condannando l'attrice a pagare le spese di lite.

2.- Avverso detto provvedimento proponeva appello la Bu., chiedendo, in sua riforma,
l'accoglimento della domanda.

Resisteva al gravame Ga.Va., eccependone l'inammissibilità, in quanto l'ordinanza aveva


pronunciato esclusivamente sulla competenza; nel merito, deduceva l'infondatezza dell'appello.

La Corte d'appello di Torino, con sentenza del 19 settembre 2006, dichiarava nulla l'ordinanza
impugnata e, in accoglimento della domanda, condannava l'appellata a pagare euro 45.189,98, oltre
interessi legali a far data dal 3 dicembre 2003, ponendo a suo carico le spese del doppio grado.

La sentenza riteneva ammissibile l'appello, in quanto non aveva ad oggetto in modo diretto ed
esclusivo la statuizione in ordine alla competenza per territorio, ma aveva denunciato anche vizi del
processo.

La Corte territoriale, in accoglimento del primo motivo di appello, riteneva l'ordinanza adottata in
violazione del Decreto Legislativo n. 5 del 2003, articolo 19 che avrebbe imposto di dichiarare
l'incompetenza con sentenza, previa conversione del rito da sommario ad ordinario, cosi' da rendere
ammissibile il regolamenta di competenza, non proponibile avverso l'ordinanza. La pronuncia
affermava, testualmente, che da detta considerazione conseguiva, "in accoglimento del mezzo, la

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nullità dell'ordinanza impugnata, assorbente il concorrente (e da essa dipendente) profilo di nullita',


relativo alla violazione dell'articolo 50 quater c.p.c. (per la pronuncia resa da giudice monocratico,
anziché collegiale) ".

Secondo la Corte distrettuale, "la nullità ravvisata, pertanto da dichiarare, integra invalidità
riguardante la costituzione del giudice, a norma dell'articolo 158 c.p.c.", che "si converte, ai sensi
dell'articolo 161 c.p.c., comma 1, in motivo di gravame", con conseguente facoltà della stessa Corte
di decidere la controversia nel merito.

La pronuncia affermava, quindi, che, avendo la controversia ad oggetto una compravendita di


azioni, era inconferente il richiamo operato all'articolo 23 c.p.c., dall'ordinanza, dichiarata nulla
sotto un diverso profilo, poiché la controversia non presentava nessun collegamento con un
rapporto di società.

In accoglimento del terzo motivo di gravame, la Corte d'appello riteneva sussistente la competenza
del Tribunale di Torino ex articolo 20 c.p.c., in quanto il prezzo della compravendita avrebbe dovuto
essere pagato presso il domicilio del creditore, che aveva sede in (OMESSO).

Nel merito, in accoglimento del quarto motivo d'appello, la sentenza affermava che il contratto di
compravendita risultava provato mediante l'atto stipulato per notaio Carlo Alberto Migliardi di
Torino e l'estratto del libro soci della s.p.a. To. Va., ritenendo inammissibile la prova per testi
dedotta da Ga. Va., per provare che non era stato convenuto il pagamento di un prezzo, bensì la
cessione di azioni della società We.. Inoltre, riteneva che siffatta deduzione neppure era confortata
dal bilancio di esercizio della Bu..

3.- Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso Ga. Va., affidato a due motivi; ha resistito
con controricorso la Bu..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- La ricorrente, con il primo motivo, denuncia "violazione e falsa applicazione di norme di
diritto, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., in relazione al Decreto Legislativo 17 gennaio 2003, n.
5, articoli 19 e 20, all'articolo 50 quater c.p.c. e agli articoli 161 e 354 c.p.c.".

A suo avviso, la sentenza impugnata ha affermato che, nel nuovo rito societario, proposta domanda
ai sensi del Decreto Legislativo n. 5 del 2003, articolo 19 qualora sorga una questione di
competenza, la relativa pronuncia deve essere resa con sentenza, all'esito della conversione del rito.
La Corte territoriale ha, quindi, dichiarato nulla l'ordinanza ed "assorbente il concorrente (e da essa
dipendente) profilo di nullità relativo alla violazione dell'articolo 50 quater c.p.c."; concernendo
detta causa di invalidità la costituzione del giudice, ha ritenuto che essa si converte ai sensi
dell'articolo 161 c.p.c., comma 1, in motivo di gravame, con conseguente potere del giudice
d'appello di decidere la causa nel merito.

Secondo Ga.Va., la sentenza avrebbe in tal modo violato l'articolo 354 c.p.c..

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Il Decreto Legislativo n. 5 del 2003, articolo 20 stabilisce che il processo d'appello, nel rito
societario, e' disciplinato dall'articolo 341 c.p.c. e segg., in quanto compatibili.

Nella specie, poiché il giudizio di secondo grado ha accertato la nullità dell'ordinanza di primo
grado, sussisteva uno dei casi che imponevano la rimessione della causa al primo giudice, ai sensi
dell'articolo 354 c.p.c., comma 2.

Inoltre, qualora sia esclusa l'ammissibilità della rimessione della causa al giudice di primo grado, il
giudice d'appello avrebbe dovuto procedere alla rinnovazione del provvedimento, con conseguente
assegnazione all'attore dei termini di cui al Decreto Legislativo n. 5 del 2003, articolo 6 che avrebbe
reso possibile alla convenuta repliche ulteriori e la possibilità di produrre documenti e formulare
nuove richieste istruttorie.

La ricorrente sostiene che, non avendo il doppio grado di merito copertura costituzionale, il diritto
di difesa sarebbe tutelato soltanto se si afferma il dovere del giudice d'appello di disporre la
rimessione della causa al giudice di primo grado, ovvero di procedere alla rinnovazione dell'atto
nullo nel contraddittorio delle parti, cosi' da permettere lo svolgimento delle attività che
illegittimamente sono state precluse nel giudizio di primo grado.

In conclusione, Ga.Va. formula il seguente quesito di diritto:

"Ricorre violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa se, a fronte di
un'ordinanza che pronuncia l'incompetenza territoriale dichiarata nulla per violazione del Decreto
Legislativo n. 5 del 2003, articolo 19 comma 3, la Corte di appello decide direttamente nel merito
senza rimettere la causa al primo giudice o disporre la rinnovazione del provvedimento dichiarato
nullo?".

1.1.- Con il secondo motivo e' denunciata "omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione
riguardo un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 5".

Ga.Va. sostiene di avere dedotto che, direttamente o tramite fiduciari, aveva proceduto allo scambio
di azioni della To. Va. s.p.a. e di partecipazioni della We. s.r.l., senza prevedere il pagamento di un
prezzo.

A suo avviso, la prova di questa complessa operazione sarebbe data dal bilancio di esercizio della
controricorrente. Nella relazione degli amministratori si da, infatti, atto della cessione delle azioni
della To. Va. e non e' menzionato il diritto di credito conseguente a detta vendita. La motivazione
della sentenza sarebbe, quindi, carente nella parte in cui ha ritenuto che il documento contabile non
conforta la sua tesi, avvalorata invece dalla circostanza che innanzi al notaio Migliardi le parti
confermarono che le cessioni erano avvenute senza esborso di danaro.

Inoltre, la pronuncia mancherebbe di una logica, coerente ed adeguata motivazione a conforto della
ritenuta inammissibilità delle prove orali dedotte nella comparsa di costituzione, con conseguente
violazione dell'articolo 360 c.p.c., n. 5, per due ordini di ragioni.

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La Corte distrettuale avrebbe, in primo luogo, erroneamente ignorato la circostanza di fatto oggetto
delle prove orali, consistente nell'esistenza di un'intestazione fiduciaria delle azioni della To. Va.
s.p.a., della mancata previsione di un corrispettivo in danaro e della circostanza che il vero
cessionario dei titoli era tale Ca.Ro., essendo ella formale intestataria dei medesimi e fiduciaria di
quest'ultimo.

In secondo luogo, in occasione della stipula dell'atto notarile del 5 febbraio 2001, su indicazione del
notaio e del commercialista che si occupava dell'operazione societaria in questione "veniva dato atto
del prezzo per la cessione delle suddette quote, con l'indicazione verbale svolta alle parti presenti
che il relativo fissato bollato rilasciato rappresentava una quietanza dei versamenti relativi al con
cambio di azioni We. s.r.l. e To. Va. s.r.l.".

Dunque, le parti avevano dato esecuzione agli accordi; la fattispecie configurava, inoltre, una
intestazione fiduciaria di azioni e quote sociali, quindi, la relativa prova non sarebbe governata dagli
articoli 2721 e 2722 c.c. (Cass. n. 7899 del 1994).

In definitiva, "in virtù del richiamato principio e tenuto conto del nesso di causalità tra la denunziata
omissione e la decisione" questa Corte "non potrà non riscontrare la decisività delle prove non
ammesse".

2.- Al presente giudizio sono applicabili, ratione temporis, le norme del codice di rito civile che
disciplinano il processo di legittimità, nel testo modificato dal Decreto Legislativo n. 40 del
2006.

2.1.- La controversia, in primo grado, e' stata introdotta con ricorso proposto ai sensi del Decreto
Legislativo n. 5 del 2003, articolo 19 disposizione che con chiara lettera, resa univoca dalla
modifica introdotta dal Decreto Legislativo 6 febbraio 2004, n. 37, articolo 4, permette due soli esiti
decisori: la pronuncia di una ordinanza di condanna immediatamente esecutiva; l'assegnazione dei
termini di cui al Decreto Legislativo n. 5 del 2003 articolo 6.

In armonia con tale disciplina, il Decreto Legislativo n. 5 del 2003, articolo 19 comma 4, disciplina
soltanto l'impugnazione dell'ordinanza di condanna.

La sentenza che decide l'appello proposto avverso l'ordinanza resa sul ricorso del Decreto
Legislativo n. 5 del 2003 ex articolo 19, e', infine, impugnabile con ricorso ordinario per cassazione.

La modifica introdotta all'articolo 360 c.p.c., dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006, articolo 2
rendendo applicabili il primo ed il secondo comma di detta norma anche al ricorso per cassazione
per violazione di legge, ha ridimensionato la questione, controversa, in ordine al tipo di ricorso
proponibile (se cioe' ex articolo 360 c.p.c., ovvero ex articolo 111 Cost., comma 7).

In ogni caso, l'argomento svolto per sostenere la tesi restrittiva, essenzialmente consistente nel
silenzio sul punto da parte del citato articolo 19, appare assai fragile. La considerazione che la
sentenza in questione e' resa all'esito di un giudizio di secondo grado, a cognizione piena

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sull'oggetto della controversia, sul cui contenuto, in difetto di previsione derogatoria, si forma il
giudicato, rende chiara la proponibilità del ricorso ordinario.

2.2.- Nella specie, il giudizio di primo grado e' stato definito con un provvedimento che aveva un
contenuto diverso da quello stabilito dal citato articolo 19, in relazione al quale il comma 4 di detta
disposizione stabilisce la facoltà di impugnarlo con l'appello.

Tuttavia, l'ammissibilità dell'appello non puo' costituire oggetto d'esame in questa sede.

La questione e' stata, infatti, dibattuta nella fase di merito, in quanto Ga.Va. aveva "preliminarmente
eccepito l'inammissibilità dell'appello avversario", deducendo che l'ordinanza avrebbe dovuto essere
impugnata con regolamento necessario di competenza ex articolo 42 c.p.c. (sentenza pg. 4), ed e'
stata decisa dalla Corte territoriale, che ha ritenuto infondata l'eccezione proposta dall'attuale
ricorrente.

Siffatta statuizione non e' stata censurata dalla ricorrente.

Ga.Va., con il primo motivo, ha infatti dedotto, esclusivamente, che la sentenza sarebbe viziata, in
quanto la Corte Territoriale, una volta ritenuta l'ordinanza nulla, in quanto pronunciata in violazione
del Decreto Legislativo n. 5 del 2003, articolo 19 comma 3 (poiché pronunciata dal Tribunale in
composizione monocratica, senza disporre l'assegnazione dei termini di cui all'articolo 6 di detto
decreto e la conversione del rito), avrebbe dovuto disporre la rimessione della causa al primo
giudice.

Con il secondo motivo, e' stato dedotto, invece, un vizio di motivazione della sentenza, nella parte
in cui ha deciso, nel merito, la domanda della società, ritenendola fondata.

Su detta statuizione si e', conseguentemente, formato il giudicato, e cio', in primo luogo, non
permette di occuparsi della difformità della sentenza rispetto ai principi enunciati dal piu' recente
orientamento di questa Corte in ordine all'ammissibilità del regolamento di competenza ex articolo
42 c.p.c., avverso un provvedimento assunto con ordinanza, nonché alla rilevanza della denuncia
della violazione di norme processuali (Cass. S.U. n. 21858 del 2007) e dell'eventuale pronuncia di
condanna alle spese, ai fini dell'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile (Cass. S.U. n.
14205 del 2005).

In secondo luogo, rende chiaro che il giudicato si e' formato sulla piu' ampia questione
dell'ammissibilità dell'appello avverso un provvedimento diverso dall'ordinanza di condanna,
l'unico suscettibile di definire il procedimento sommario di cognizione, in difetto dell'assegnazione
dei termini di cui al Decreto Legislativo n. 5 del 2003 articolo 6.

2.3.- Superati i profili pregiudiziali, nel merito, il primo motivo e' infondato.

2.3.1.- Il giudizio d'appello promosso con l'impugnazione dell'ordinanza resa sul ricorso Decreto
Legislativo n. 5 del 2003 ex articolo 19, e' disciplinato dall'articolo 20 di detto decreto, il quale
stabilisce che "si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 341 e seguenti del codice di procedura
civile".

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La norma rende chiaro che l'impugnazione non e' stata strutturata come un reclamo ed e' stata
stabilita l'applicabilità delle regole del giudizio "ordinario" di appello.

Alla Corte d'appello spetta, quindi, una cognizione piena, non sommaria, poiché, come bene e' stato
osservato, il controllo demandato al giudice superiore deve ragionevolmente consistere in una
cognizione approfondita, mentre ragioni di economia processuale, valorizzabili ex articolo 111
Cost., per quanto si precisa di seguito, neppure rendono costituzionalmente illegittima
l'insussistenza di un doppio grado di merito di cognizione non sommaria.

La clausola di applicabilità delle norme del giudizio d'appello "ordinario", "in quanto compatibili"
con il rito societario (Decreto Legislativo n. 5 del 2003, articolo 20 comma 2), tenuto conto che nel
giudizio in esame e' questo il primo grado di cognizione piena, inducono a ritenere operante il
divieto dei nova stabilito dall'articolo 345 c.p.c., nella parte concernente le domande, non anche in
riferimento alle prove.

Ne consegue che, per quanto qui interessa, poiché il convenuto, in primo grado, deve dimostrare la
non manifesta infondatezza della sua tesi, mentre in appello deve provarne la fondatezza, puo'
formulare istanze istruttorie; le prove devono necessariamente ritenersi indispensabili, ferma
restando, ovviamente, la sussistenza degli ordinari requisiti di ammissibilità e rilevanza del mezzo
istruttorio.

Siffatta conclusione realizza l'obiettivo di economia processuale avuto di mira dal legislatore del
2003, senza comportare un vulnus del diritto di difesa.

Nella specie, va escluso che il giudice d'appello - una volta ritenuta ammissibile l'impugnazione,
con statuizione che, come ricordato, non e' stata qui specificamente censurata - potesse e dovesse
rimettere la causa al giudice di primo grado.

La rimessione della causa al primo giudice e' prevista dagli articoli 353 e 354 c.p.c., con
enumerazione che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ha carattere tassativo (per
tale carattere, ex plurimis, Cass. n. 19358 del 2007; n. 18691 del 2007; n. 8993 del 2003) e non e'
stata ampliata dal Decreto Legislativo n. 5 del 2003.

Pertanto, poiché la violazione del Decreto Legislativo n. 5 del 2003, articolo 19 comma 3, in virtu'
di una conclusione non censurata, ha comportato, tra l'altro, la decisione della causa da parte del
giudice in composizione monocratica, e cioè un vizio che non rientra in nessuna delle ipotesi nelle
quali e' consentita una pronuncia meramente rescindente (Cass. n. 15961 del 2007; n. 7712 del
2007; n. 12174 del 2005), sussisteva il potere-dovere del giudice d'appello di trattenere la causa e di
deciderla nel merito, ricorrente anche qualora egli ritenga sussistente la competenza negata dal
primo giudice (Cass. n. 6520 del 2007; n. 10020 del 2003).

In conseguenza della ritenuta nullità del provvedimento appellato, esclusa la sussistenza di


un'ipotesi di rimessione della causa al primo giudice, le parti potevano proporre istanze istruttorie e
l'indispensabilità dei mezzi che ne costituiscono oggetto andava valutata tenendo conto della
suindicata interpretazione da dare all'articolo 345 c.p.c., restando escluso che in secondo grado
potesse innestarsi la disciplina in punto di assegnazione dei termini e disciplina stabilita dal Decreto
Legislativo n. 5 del 2003 per il processo societario, ordinario, di primo grado.

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Peraltro, questa conclusione non può far dubitare della compatibilità della disciplina con le norme
della Costituzione, dato che il principio del doppio grado di merito non ha copertura costituzionale
(tra le molte, Corte cost. n. 585 del 2000; n. 124 del 1998; v. anche Corte cost. n. 107 del 2007; n.
84 del 2003).

Inoltre, il diritto di difesa deve ritenersi tutelato e garantito dalla facoltà della parte di formulare
istanze istruttorie, dato che la rinnovazione prospettata dalla ricorrente non può che consistere
appunto nella possibilità di espletare l'attività istruttoria non svolta nel giudizio di primo grado.

Nella specie, tanto e' accaduto, con conseguente inesistenza del prospettato vulnus del diritto di
difesa.

La sentenza ha, infatti, preso in esame le istanze istruttorie formulate da Ga.Va., che non ha
ammesso poiché - come si precisa nell'esame del secondo motivo - ha ritenuto che la prova
testimoniale articolata fosse in contrasto con l'articolo 2722 c.c., oltre che "generica e valutativa", e
che le risultanze del bilancio d'esercizio della società non erano idonee a dimostrare la sua tesi,
risultando invece la domanda confortata dai documenti prodotti dalla società. Dunque, la Corte
d'appello ha ritenuto, in tesi, ammissibile l'espletamento dell'attività istruttoria - quindi possibile lo
svolgimento dell'attività non espletata in primo grado- ma ha negato ingresso alle relative istanze, in
quanto giudicate inammissibili ed irrilevanti per ragioni attinenti al contenuto delle prove.

Il motivo va, quindi, rigettato ed al quesito di diritto deve essere data la seguente soluzione:
"proposto ricorso del Decreto Legislativo n. 5 del 2003 ex articolo 19, qualora il Tribunale, in
composizione monocratica, abbia dichiarato con ordinanza la propria incompetenza per territorio,
non ricorre violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa se la Corte d'appello,
dopo avere ritenuto nullo il provvedimento (ed avendo espressamente reputato ammissibile
l'impugnazione con statuizione non censurata con il ricorso per cassazione, sulla quale si e' formato
il giudicato), decida nel merito, senza rimettere la causa al primo giudice e senza ammettere le
prove articolate dall'appellato soltanto in quanto prive dei relativi requisiti di ammissibilità e
rilevanza, dovendo consistere la "rinnovazione del provvedimento" dichiarato nullo
nell'espletamento dell'attività istruttoria non svolta in primo grado".

2.4.- Il secondo motivo e' inammissibile.

2.4.1.- Secondo un principio consolidato, l'interpretazione del contratto si traduce in una indagine di
fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per vizi
di motivazione o per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (per tutte, Cass. n. 7500
del 2007; n. 27168 del 2006; n 8296 del 2005).

Il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in se', ne' la censura essere
formulata mediante l'astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma e' imprescindibile
la specificazione dei canoni e delle norme ermeneutiche asseritamente violati, con la precisazione -
al di la' della indicazione degli articoli di legge in materia - del modo e delle considerazioni con le
quali il giudice del merito se ne sarebbe discostato (Cass. n. 5273 del 2007; n. 4178 del 2007).

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Pertanto, non e' sufficiente una mera critica della decisione sfavorevole (tra le piu' recenti, Cass. n.
12946 del 2007; n. 420 del 2006; n. 8296 del 2005) e, nell'osservanza del principio di specificità ed
autosufficienza del ricorso - ed anche perché sia soddisfatto il requisito della "chiara indicazione del
fatto controverso" (articolo 366 bis c.p.c.) - occorre riportare il testo integrale della
regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione (Cass. n. 2560 del 2007; n.
3075 del 2006; n. 16132 del 2005), anche quando ad essa la sentenza abbia fatto riferimento,
riportandone solo in parte il contenuto, se tanto non consenta una sicura ricostruzione del diverso
significato che ad essa il ricorrente pretenda in ipotesi di attribuire (Cass. n. 4063 del 2005).

Peraltro, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l'interpretazione offerta dal giudice del merito non
deve essere l'unica possibile, o la migliore in astratto, ma e' sufficiente che sia una delle possibili e
plausibili interpretazioni. Dunque, quando di una clausola negoziale siano possibili due o piu'
interpretazioni (plausibili), non e' consentito, alla parte che aveva proposto l'interpretazione
disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l'altra (Cass. n.
12123 del 2006; n. 15197 del 2004; n. 11193 del 2003).

Infine, il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per
Cassazione si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il
mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili
d'ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, non potendo detto vizio
consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito
rispetto a quello preteso dalla parte (per tutte, Cass. n. 15264 del 2007; n. 13242 del 2007; n. 2272
del 2007).

Nella specie, con il motivo e' stata contestata l'interpretazione del contratto di compravendita di
azioni indicato in narrativa, senza tuttavia indicare quali regole legali dell'interpretazione sarebbero
state violate e, specificamente, il punto e le considerazioni del giudice del merito che le avrebbero
violate, risolvendosi il mezzo nella assertiva deduzione dell'erroneità dell'esegesi accolta dalla
sentenza e nella prospettazione di una diversa lettura, e cioè in una. censura inammissibile.

Peraltro, ancora prima, neppure sono riportati il testo del contratto che sarebbe stato male
interpretato, il bilancio d'esercizio e le scritture contabili, nella parte che avrebbero dovuto
confortare la tesi della ricorrente e che sarebbero state male interpretate dalla Corte d'appello,
mancando anche dell'indicazione del tipo e del contenuto delle annotazioni suscettibili di confortare
la tesi della ricorrente. Siffatta indicazione vieppiu' sarebbe stata necessaria, in quanto la sentenza
ha indicato che dal contenuto del documento contabile "nulla si ricava nel preteso senso di
un'evidente ammissione di inesistenza del credito di prezzo vantato", mentre dalla nota integrativa
emergono elementi che contrastano la tesi della ricorrente.

Relativamente alla censura concernente la mancata ammissione delle "prove orali", va data
continuità all'orientamento secondo il quale, quando il ricorrente formula la relativa denuncia, ha, in
primo luogo, l'onere di dimostrare l'esistenza di un nesso eziologico tra l'errore addebitato al giudice
e la pronuncia emessa in concreto, che senza quell'errore sarebbe stata diversa, al fine di consentire
un controllo sulla decisività delle prove.

In secondo luogo, deve indicare specificamente nel ricorso le istanze di prova disattese

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(specificando, mediante trascrizione, le circostanze che formavano oggetto delle medesime), allo
scopo di permettere a questa Corte, sulla sola base di tale atto di impugnazione e senza necessita' di
inammissibili indagini integrative, di verificare validità e decisività delle disattese deduzioni, dato
che, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, neppure può svolgere una
funzione sostitutiva il riferimento, per relationem, ad altri atti o scritti difensivi presenti nei
precedenti gradi di giudizio (per tutte, Cass. n. 13085 del 2007; n. 1113 del 2006; n. 2527 del 2003).

La sentenza impugnata ha affermato che "inammissibili, per la violazione dell'articolo 2722 c.c., in
quanto finalizzati alla dimostrazione di una contestuale pattuizione contraria, oltre che generici e
valutativi sono i capi di prova orale dedotti sub 1 e 2 in comparsa di costituzione", rigettando,
quindi, l'istanza sulla scorta di due rationes decidendi.

Ga.Va. ha censurato soltanto la seconda ratio ma, in violazione dei principi sopra richiamati, ha
omesso di indicare nel ricorso i capitoli di prova asseritamente concludenti e decisivi al fine di
pervenire a soluzioni diverse da quelle raggiunte nell'impugnata sentenza, o almeno di indicare in
modo esaustivo le circostanze di fatto che formavano oggetto della disattesa istanza istruttoria,
come sarebbe stato necessario (Cass. n. 17043 del 2007; n. 17606 del 2007; n. 13556 del 2006), con
conseguente inammissibilità della deduzione, che rende inutile approfondire la correttezza della
prima ratio.

2.5.- In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese della presente fase seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese della presente fase, che liquida
in complessivi euro 3.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di
legge.

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