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Universit degli Studi di Udine Anno Accademico 2000-2001 Storia e Tecnica della Fotografia dott.

ssa Roberta Valtorta tema del corso: CONCETTUALIT DEL VIAGGIO NELLA FOTOGRAFIA ITALIANA CONTEMPORANEA materiali di lavoro

1. Piccola riflessione sui significati del viaggio e sul concetto di luogo Poich tratteremo del tema della concettualit del viaggio nella fotografia contemporanea, necessario analizzare lidea di viaggio per arrivare a capire come essa si sia incontrata con lidea di fotografia nella contemporaneit (1). Il latino via-viae, da cui derivato il termine viaggio, presenta tre ordini di significati: a) via, strada; b) viaggio, cammino, traversata, tragitto; c) metodo, regola. Questa terza, interessante, accezione indica che il viaggio presuppone, almeno in origine, qualcosa di sistematico, voluto, metodico. Allidea di viaggio si associa quella di conoscenza, concreta conoscenza del mondo attraverso uno spostamento nello spazio, ma essa contiene anche una dimensione immaginaria e mentale. Il viaggio mette alla prova lindividuo separandolo da una condizione originaria a lui nota e obbligandolo a confrontarsi con una realt nuova che egli non conosce e che potrebbe porgli dei problemi: dunque il viaggio non solo conoscenza del mondo, ma anche di se stessi, della propria soggettivit. La possibilit di questa esperienza di duplice conoscenza esterno/interno si basa su una relazione fra lio e il mondo come entit fra loro integrabili. In questa chiave, il viaggio lo strumento di una dinamica relazionale assai mobile e delicata, molto mutevole, che prende significato grazie a condizioni di regolarit e di ripetitivit, di metodo appunto (conosco e capisco un luogo se vi torno pi volte; se ci vado ricercando qualcosa di preciso; se confronto lesperienza di un dato luogo con lesperienza di altri luoghi, etc). Latto del viaggio pu essere diviso nelle fasi della partenza, del transito, dellarrivo. La partenza risponde al bisogno individuale di staccarsi da una matrice originaria, alla necessit di libert e di autonomia, di una condizione diversa dalla quotidianit e dal gi conosciuto. Per la fase del transito, che si pu dire costituisca il corpo del viaggio, quella pi interessante e problematica. Essa costituisce un mutamento continuo di luogo (e di tempo) che permette allindividuo di valutare costanti e variazioni in un confronto continuo nel quale misura il mondo esterno e se stesso, accumulando esperienza e memoria. Ne consegue che il luogo il principio organizzativo stesso della struttura del viaggio. Lindividuo vive una serie di spazi, di scenari, di paesaggi, e di esperienze in una sequenza che lo aiuta a classificare e a capire. Non possibile parlare di luogo in assoluto. Dobbiamo pi propriamente parlare di luogo antropologico, cio di luogo organizzato dalla storia e dalla vita degli uomini secondo percorsi, assi, itinerari che collegano anche gerarchicamente un punto ad un altro, determinato dalle attivit umane che vi si sono svolte e che vi si svolgono, segnato dai significati che sia i suoi abitanti che i suoi visitatori gli attribuiscono. Infatti nel nostro viaggiare scegliamo di compiere tappe che riteniamo pi significative di altre, e queste contribuiscono a determinare lidentit dei luoghi nel nostro immaginario: per esempio privilegeremo le citt principali a discapito di luoghi marginali, secondari, minori. Oppure, al contrario e tenendo i luoghi principali come riferimento sottinteso, eviteremo volutamente i luoghi pi noti per esplorare quelli meno noti e correntemente ritenuti insignificanti. Oppure ancora tenteremo un viaggio senza tappe definite a priori e senza obiettivo, per trovare qualcosa che non abbiamo deciso di cercare. In questo senso, va annotato, esiste una forte differenza fra il concetto di viaggio cos come si configurato nella cultura europea e quello di viaggio nato in seno alla giovane cultura americana. In questo senso, in molte pagine del bel volume LAmerica , uscito nel 1986, Jean Baudrillard tocca il problema del lungo viaggio senza meta, negli immensi paesaggi naturali americani, dominati dallidea di deserto e dallanonimato degli incontri che avvengono lungo la strada.

In realt, la concezione di un viaggio senza obiettivo, dunque senza fine, non si sviluppa che progressivamente. Rifiuto delle metamorfosi turistiche e pittoriche, delle curiosit, dei paesaggi stessi (solo la loro astrazione permane, nel prisma della canicola). Niente pi estraneo al travelling puro che il turismo o il tempo libero. E per questo che si realizza al meglio nella banalit estensiva dei deserti o in quella, altrettanto desertica, delle metropoli - mai prese come luoghi di diporto o di cultura, ma televisivamente come scenery, scenari. Ed per questo che si realizza al meglio nella calura pi intensa, come forma goditiva di deterritorializzazione del corpo. Laccelerazione delle molecole nel calore porta a una dispersione sottile del senso. (...) Correre in macchina una forma spettacolare di amnesia. Tutto da scoprire, tutto da cancellare. Certo, vi lo shock primale dei deserti e dellabbaglio californiano, ma quando tutti questo passato, allora il viaggio assume un secondo tipo di luminosit, quella della distanza eccessiva, della distanza ineluttabile, dellinfinito dei volti e delle distanze anonime, o di qualche miracolosa formazione geologica, che in fondo non esprimono la volont di alcuno pur mantenendo intatta limmagine dello sconvolgimento. Questo travelling non ammette eccezioni: quando si imbatte in un volto noto, in un paesaggio familiare o in una qualunque decifrazione, lincanto rotto (2). Nella cultura americana, limmensit del viaggio e lassenza di confini tale che, forse, per capirla, occorre riviverla nellimmagine. Baudrillard pone questa riflessione in apertura del suo libro: Nostalgia nata dallimmensit delle colline texane e delle sierre del Nuovo Messico: gi a capofitto nellautostrada fra vampate di calore e canzoni di successo dallo stereo della Chrysler - la fotografia pi fedele non basta pi - bisognerebbe avere lintero film del percorso, in tempo reale, compresa la musica e il caldo insopportabile, e riproiettarsi il tutto integralmente a casa propria, in camera oscura - ritrovare la magia dellautostrada e dello spazio, dellalcool ghiacciato in mezzo al deserto e della velocit, rivivere tutto questo a casa, sul videoregistratore, in tempo reale - non per il solo piacere del ricordo, ma perch il fascino di una ripetizione insensata gi l, nellastrazione del viaggio. Il dispiegarsi del deserto infinitamente vicino alleternit della pellicola. (...) (3). Nella cultura europea invece, il viaggio qualcosa di pi esatto, mirato, appunto secondo letimologia del termine latino via. E dunque il viaggio aspira a definire il luogo con pi precisione. Nella recente riflessione sui significati complessi dei luoghi, in corrispondenza con i grandi mutamenti che leconomia, la societ, la cultura e dunque il paesaggio stanno vivendo, e in coincidenza con il mutare del sentimento del tempo, della storia, dellappartenenza, sorto un dibattito che ha visto contrapporsi il concetto di luogo e il concetto di nonluogo. Al centro del dibattito (oggi superato in una crescente complessit di ipotesi) fu il volumetto dellantropologo francese Marc Aug Nonluoghi, uscito nel 1992. Sulla scorta del concetto di luogo elaborato da Michel de Certeau, e individuate alcune sostanziali differenze fra modernit e surmodernit, cio lepoca contemporanea, egli discute che cosa sia invece un nonluogo. Se la modernit presenza del passato nel presente in un processo di conciliazione e integrazione, la surmodernit non integra il passato con il presente, ma semplicemente li affianca: La modernit (...) preserva tutte le temporalit del luogo cos come queste si fissano nello spazio e nella parola. (...) Se un luogo pu definirsi come identitario, relazionale, storico, uno spazio che non pu definirsi n identitario n relazionale n storico, definir un nonluogo. Lipotesi che qui sosteniamo che la surmodernit produttrice di nonluoghi antropologici e che (...) non integra in s i luoghi antichi: questi, repertoriati, classificati e promossi luoghi della memoria, vi occupano un posto circoscritto e specifico. Un mondo in cui si nasce in clinica e si muore in ospedale, in cui si moltiplicano, con modalit lussuose o inumane, i punti di transito e le occupazioni provvisorie (le catene alberghiere e le occupazioni abusive, i club di vacanze, i campi profughi, le bidonville destinate al crollo o ad una perennit putrefatta), in cui si sviluppa una fitta rete di mezzi di trasporto che sono anche spazi abitati, in cui grandi magazzini, distributori automatici e carte di credito riannodano i gesti di un commercio muto, un mondo promesso alla individualit solitaria, al passaggio, al provvisorio e alleffimero, propone allantropologo (ma anche a tutti gli altri) un oggetto nuovo del quale conviene misurare le dimensioni inedite (...). Aggiungiamo che la stessa cosa vale tanto per il nonluogo che il luogo: esso non esiste mai sotto una forma pura: dei luoghi vi si ricompongono; delle relazioni vi si ricostituiscono (...). Il luogo e il nonluogo sono piuttosto delle polarit sfuggenti: il primo non mai completamente cancellato e il secondo non si compie mai totalmente -

palinsesti in cui si reiscrive incessantemente il gioco misto dellidentit e della relazione. Tuttavia, i nonluoghi rappresentano lepoca; ne danno una misura quantificabile addizionando - con qualche conversione fra superficie, volume e distanza - le vie aeree, ferroviarie, autostradali, e gli abitacoli mobili detti mezzi di trasporto (aerei, treni, auto), gli aereoporti, le stazioni ferroviarie e aerospaziali, le grandi catene alberghiere, le strutture per il tempo libero, i grandi spazi commerciali e, infine, la complessa matassa di reti cablate o senza fili che mobilitano lo spazio extraterrestre ai fini di una comunicazione cos peculiare che spesso mette lindividuo in contatto solo con unaltra immagine di se stesso (4). Il viaggiare nellepoca contemporanea si misura necessariamente con questi importanti temi che investono oggi i luoghi e che investono di conseguenza lidea stessa di viaggio. Le questioni a cui Baudrillard e Aug si riferiscono sono segnatamente tipiche della stretta contemporaneit, ma alle origini di questo mutamento oggi divenuto evidente sta tutto il processo di maturazione del capitalismo occidentale che ha organizzato lo sviluppo sul pianeta terra e nel fare questo ha modificato il paesaggio: ha infatti affiancato alle millenarie testimonianze monumentali manufatti, oggetti, strutture prodotte dal progresso industriale, in un processo di crescente e globale omogeneizzazione. In questo processo, molto accelerato rispetto al corso complessivo della storia, iniziato negli anni Trenta del Novecento, definitosi negli anni Settanta e giunto fra anni Ottanta e Novanta alla seguente fase definita postindustriale, si sono infine prodotti anche quelle nuove situazioni definite nonluoghi. Il profilo del paesaggio si modificato includendo presenze nuove e diverse: gli insediamenti industriali si moltiplicano, lurbanizzazione si sviluppa in modo funzionale alle esigenze economiche, nascono le grandi periferie urbane, esplode ed entra in crisi definitiva il modello di forma urbana chiusa che in Europa aveva resistito per secoli, nascono le metropoli, e poi centri commerciali, capannoni, strutture di vario tipo articolano il paesaggio nel viaggio da una citt a quella successiva, ferrovie e autostrade tagliano le campagne. Accanto a questo complesso insieme di situazioni, lurbanizzazione di regioni ecologicamente fragili, fenomeni di desertificazione, deforestazione, erosione dei terreni, urbanizzazione selvaggia delle grandi megalopoli. Viaggiare significa confrontarsi con questa grande quantit e variet di fenomeni che toccano il paesaggio e la nostra esistenza stessa. 2. Concetto di viaggio e concetto di fotografia Il regista Wim Wenders, il cinema del quale si basa spesso sullidea stessa di viaggio, in una intervista pubblicata in Una volta, volume di fotografie e scritti pubblicato nel 1993, afferma: Penso che il viaggio e la fotografia siano molto legati fra loro. La fotografia, voglio dire, stata inventata prima di tutto per mostrare luoghi distanti, impossibili da raggiungere. E cos i primi fotografi portavano in viaggio i loro strumenti. Io amo viaggiare pi di qualsiasi altra cosa, e non ho mai fatto foto se non in viaggio. Perci quando preparo una valigia o una borsa penso prima alla mia macchina fotografica poi al mio passaporto, mentre quando resto a casa le mie macchine fotografiche diventano del tutto inutili. Ho una collezione immensa di apparecchi fotografici, ma quando sono fermo, quando per esempio sto lavorando al montaggio, diventano completamente obsoleti, non so cosa farci. Fotografare, per me, un atto profondamente legato al desiderio e al piacere del viaggio (5). Con chiarezza Wim Wenders esprime qualcosa che molto condivisibile, qualcosa che molti di noi potrebbero dire. La fotografia, come il viaggio, conoscenza. La fotografia poi, profondamente, testimonianza. Proprio in quanto descrive, documenta, la fotografia accerta che le cose viste esistono veramente (come scrive Roland Barthes, il noema della fotografia stato, cio la fotografia afferma che la cosa che io vedo nellimmagine realmente esistita davanti allobiettivo della macchina (6). La fotografia ci d questa certezza in virt della verosimiglianza che la caratterizza e che, fin dalle sue origini, ha impressionato e convinto gli uomini (si pensi sempre al clima positivistico in cui la fotografia si afferma nellOttocento e non si dimentichi mai che la verosimiglianza si basa sulla costruzione prospettica che essa impone allo spazio, derivata dalla prospettiva rinascimentale). Spesso si sottolineato il valore di memoria della fotografia, e la fotografia stata definita prolungamento della realt, pezzo di realt, miniatura della realt, secondo le parole di Susan Sontag (7).

La fotografia permette non solo di confermare a se stessi lavvenuto viaggio, ma di mostrare anche agli altri, mostrando le immagini, lavvenuta esperienza sia nei suoi aspetti di novit, originalit, difficolt, che in quelli economici (sono stato in un posto straordinario, ce l'ho fatta ad affrontare la novit, ho potuto permettermelo). Il sociologo Pierre Bourdieu, autore dellimportante volume La fotografia. Usi e funzioni di un'arte media, mette in evidenza come vi sia un notevole incremento nelluso della fotografia nei momenti forti della vita familiare o del gruppo (matrimonio, battesimo, compleanno, feste) e nei viaggi (8). La fotografia dunque comprova il viaggio, agisce da strumento di controllo del viaggio mentre esso avviene e ne arricchisce il significato, attribuisce, in un certo senso, maggiore importanza al viaggio, ne evoca il ricordo a viaggio avvenuto. Crea, durante e dopo il viaggio, una importante dimensione rituale. Nellincontro con lesotico, il diverso, leccezionale, lAltrove (un incontro che pu far nascere in noi incertezze, paure, interrogativi) rafforza la certezza che lesperienza in corso stia proprio avvenendo, durante il viaggio, e che il viaggio sia davvero avvenuto, dopo. La fotografia permette di archiviare il mondo, collezionarlo, dunque un poco possederlo. Questo archiviare e cercare di possedere anche una componente del viaggio. Va poi sottolineato che la fotografia dialoga molto bene non solo con la dimensione reale, fisica, del viaggio, ma anche con la sua componente immaginaria. Ed ci che in particolare cercheremo di vedere. Infatti viaggiare significa anche compiere viaggi mentali. Significa immaginare come il viaggio sar, quale sar la prossima tappa, significa ricordare. Sui soggetti che scegliamo di fotografare noi carichiamo spesso molti significati personali, legati alla nostra esistenza. Spesso non fotografiamo per documentare, ma perch siamo colpiti da cose che vediamo in quanto esse si collegano profondamente a esperienze gi vissute, cose gi viste, o a desideri. Non si spiegherebbe altrimenti perch ognuno di noi sceglie di fotografare certe cose e non altre. La fotografia colma cos la distanza fra vita reale e immaginaria. Luomo vive creando continuamente immagini, tentando di andare oltre la vita reale, e la fotografia funziona da ottimo meccanismo in questo senso. Vedremo come sia possibile compiere viaggi fotografici che prescindono dal viaggio fisico e possono invece essere solo viaggi mentali. 3. La nuova identit del viaggio nella fotografia americana contemporanea: Robert Frank, Lee Friedlander, i New Topographics NellAmerica che sta costruendo il suo benessere, si forma a partire dagli anni Cinquanta una cultura critica che indaga sulla possibile identit degli States, sulla solitudine delluomo nellera del capitalismo maturo, sui grandi spazi che gli uomini americani occupano, sulle citt, su un territorio che lindustrializzazione va mutando profondamente. Cresce in America una fotografia sincera, onesta, coraggiosa, che cerca di non mentire. E una fotografia nuova, non formale, non pi attenta a comporre le forme del mondo, ma a cercare di capirne i significati. Il problema non pi scegliere parti del mondo pi belle per realizzare belle fotografie. La questione diventa guardare in faccia il mondo, con tutta la sua complessit e tentare di comprendere il senso. A preparare questa fotografia attenta al mondo, riflessiva e critica il grande fotografo Walker Evans, noto per aver collaborato dal 1935 al 1938 al progetto di documentazione dello stato delle campagne e delle periferie, delle condizioni abitative e lavorative dei contadini voluto dallo stato americano allindomani della Grande Crisi del 1929, nellambito degli interventi della Farm Security Administration. Tema del suo lavoro la strada, percorrendo la quale raccoglie le tracce del nuovo paesaggio. Mostra la provincia americana con la sua tranquillit puritana, ma racconta anche i lavoratori, i contadini, i minatori, gli operai, parla del rapporto uomo-natura, civilt e wilderness (il mito americano della natura grandiosa e selvaggia), ma anche di come questo si stia definitivamente rovinando con lindustrializzazione. Include nelle sue fotografie tutti i simboli e le strutture del progresso: pali della luce, automobili, distributori di benzina, pubblicit, segnaletica stradale, tutto. Fa piazza pulita delle nozioni di bello e di brutto, capendo che esse non sono pi applicabili al mondo contemporaneo. Come artista, indica che la ricerca della bellezza un tema superato e inadeguato alla complessit del mondo contemporaneo. Ci che conta, per Walker Evans, non creare belle immagini, ma immagini che servano a osservare e forse a capire, secondo uno stile documentario rispettoso del soggetto, per ogni soggetto. Tutto avviene senza alcun abbellimento, a dimostrare che il senso del lavoro del fotografo sta nel guardare il mondo cos com.

Lidea del viaggio come mito crolla. Viaggiare diventa il normale procedere delluomo che incontra il paesaggio e il mondo. Uno svizzero trapiantato in America, Robert Frank, raccoglie negli anni Cinquanta leredit culturale di Walker Evans, unendo ad una osservazione carica di impegno etico dei luoghi dellAmerica il racconto critico della situazione esistenziale dei suoi abitanti. Frank compie il viaggio fotografico per eccellenza: il paesaggio si scompone, diventa provvisorio, natura e storia non trovano pi alcuna armonia; linquadratura non sa pi contenere gli spazi, appare insufficiente a descrivere una realt troppo carica di contraddizioni. Nelle sue foto troviamo funerali, immigrati, magnati del capitalismo americano, neri, juke box, stanze vuote dei motel, automobili, strade vuote, bandiere americane, cartelloni pubblicitari, spazi vuoti, televisori. Tutti i simboli della nascente civilt del benessere e della solitudine. E ironia, tristezza, malinconia, silenzio, in una fotografia ruvida, non finita, talvolta piena di toni grigiastri, trasandata, sfuocata, in termini formali molto provvisoria. Il viaggio diventa per lui una dimensione mentale di riflessione sul mondo e su se stessi, coscienza critica. Frank coglie il difetto, limperfezione, coglie langoscia, il vuoto. E un europeo che vede lAmerica come luogo del vuoto. Cosa che gli americani, tesi al benessere e alla felicit, in quel momento non possono fare (il libro Les americains che raccoglie queste fotografie non piacer e non trover editore negli USA, ma verr pubblicato in Europa, a Parigi dalleditore Delpire, nel 1958). Quella che Robert Frank comunica nelle sue fotografie una dimensione di provvisoriet e di sradicamento che quella stessa che troviamo nei poeti e nei romanzieri della beat generation, Jack Kerouac, Allen Ginsberg, William Borroughs, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Le Roi Jones, che lanciano il loro urlo sgangherato e senza forma contro il potere, lestablishment, il conformismo e a sensibile espressione della contraddittoriet della stridente societ americana in corsa verso il benessere. Per Frank - scrive lo storico della fotografia Jean Claude Lemagny - la fotografia un viaggio solitario. (...) In un mondo ove lindividuo solo di fronte a una realt discontinua e priva di senso, Frank coglie le commedie insincere che il viaggiatore trova sul suo cammino, ma anche istanti di poesia imprevedibile, idiota e intensa: un riflesso sulla strada, lo schermo dun televisore che balugina nella solitudine di un bar, lo spuntare dei volti dalla folla. (...) Frank riconosce come propri lincompiuto, lo sfumato, lunto e il bisunto, lindistinto di cui consta il tessuto reale del nostro modo di guardare. Non si erge a maestro di bel vedere, di ben giudicare del bello che nelle cose. E dalla nostra parte, come tutti noi solo tra la folla, condivide e ci costringe a confessare quello che c di pi vero, e anche di pi comune, nellordinario quotidiano visuale. (...) Basta con la pretesa di cogliere il bellordine del mondo in uno di quei fuggevoli istanti in cui sembra cristallizzarsi. Non pi momenti decisivi ma momenti in between fra quelli che appaiono pieni di significato e darmonia. (...) Dopo Frank, il fotografo sa che i momenti significativi non esistono, che i significati ce li mettiamo noi, e che sorte della fotografia non saper sorprendere un mondo in flagrante reato di concordare con le nostre idee, ma vederlo cos com in s, assurdo. Un mondo che preesiste al pensiero e al significato. (...) (9). Cos scrive Robert Frank a proposito del suo lavoro: (...) Con queste fotografie ho cercato di mostrare una sezione trasversale della popolazione americana. Il mio sforzo era di esprimerla semplicemente, senza confusione. Il punto di vista personale e quindi molti aspetti della vita e della societ americane sono stati ignorati. Le fotografie sono state scattate fra il 1955 e il 1956, per la maggior parte in grandi citt, come Detroit, Chicago, Los Angeles, New York, ed in molti altri posti durante il mio viaggio attraverso il paese. (...) Le mie fotografie non sono pianificate o composte in anticipo ed io non mi aspetto che lo spettatore partecipi del mio punto di vista. Comunque credo che, se la mia fotografia lascia unimmagine nella sua mente, qualcosa stato compiuto. (...) (10). Lintroduzione del volume Les americains si deve allo scrittore Jack Kerouac, appunto uno dei grandi e pi amati scrittori della beat generation. Egli scrive, fra laltro: Questa folle sensazione dAmerica nelle strade torride quando la musica esce dal juke box o da un funerale, che Robert Frank ha catturato in queste immagini straordinarie prese percorrendo i 48 stati, praticamente, al volante di una vecchia macchina doccasione (grazie a un Guggenheim); ha fotografato con agilit, senso del mistero, genio, e con la tristezza e la strana discrezione di unombra, delle scene che non avevamo mai visto sulla pellicola. Di quale grande arte ci d prova, lo dobbiamo riconoscere una volta per tutte. (...)

Il gusto, la tristezza, la sensazione che una cosa valga laltra, lamericanit di queste immagini! (...) Robert raccoglie due autostoppisti e gli passa il volante, la notte, e la gente guarda i due volti, la loro aria sinistra tesa nella notte (questo mi ricorda Allen Ginsberg: Angeli visionari indiani che erano angeli indiani visionari), e la gente dice: Che brutta faccia, ma, loro, tutto ci che vogliono infilare la strada e tornare a letto - Robert l per dirci - (...). Strade insensate che vi portano dritti - strade di follia, strade di solitudine che vi buttano dopo una curva nello spazio aperto fino allorizzonte delle nevi di Wasacht promesse nella visione del West, altezze spinose delle origini del mondo, notti stellate, nel Pacifico blu - lune banane disossate dipinte sul groviglio del cielo notturno, tormenti di grandi formazioni di nebbie, e linsetto invisibile rannicchiato nella macchina che va a tutto gas - il fiume in piena, le strie, la collina, la stella, il burrone, il girasole nellerba - deserti orientali dArcadia dalle grandi crepe aranciate, sabbie perdute della terra lontana, cose esposte alla rugiada in questo infinito di spazio nero (...) - livello del mondo, basso e piatto (...) (11). Jack Kerouac noto per il suo romanzo Sulla strada, del 1957, vero mito della letteratura della beat generation. Un romanzo completamente costruito sul viaggiare come ansia di vita e di esperienza, una storia che si svolge sulle interminabili highways dellAmerica e del Messico. Romanzo dellamicizia, dellamore e della ricerca del s, del desiderio di rivolta. Romanzo dellandare senza fine e dellimpossibilit della comunicazione. Cos leggiamo nelle prime pagine: (...) dopo aver ripiegato per lultima volta le mie comode lenzuola casalinghe, me ne andai una mattina con la mia valigia di tela nella quale erano riposte poche cose essenziali e partii per lOceano Pacifico con i cinquanta dollari in tasca. A Paterson avevo studiato per mesi le carte geografiche degli Stati Uniti e mero letto persino i libri che parlavano dei pionieri (...). Pieno di sogni su quel che avrei fatto a Chicago, a Denver, e finalmente a San Francisco, presi la sotterranea della Settima Avenue fino al capolinea della 242ma strada, e l salii su un filobus che andava a Yonkers; nel centro di Yonkers mi trasferii su un autobus che andava fuori e arrivai alla periferia della citt sulla riva orientale del fiume Hudson. Se lasciate cadere una rosa nellHudson alla sua misteriosa sorgente negli Adirondack, pensate a tutti i posti che essa percorre nel suo cammino mentre va verso il mare per sempre...pensate a quella meravigliosa valle dellHudson. Cominciai a fare lautostop. (...) (12). Il filo che lega Robert Frank a Walker Evans porta pochi anni dopo a un altro autore fondamentale della fotografia americana e internazionale contemporanea: Lee Friedlander. Egli continua a lavorare sul concetto di viaggio, inteso come racconto interrogativo e intimo, come diario quotidiano e indagine sul mondo e contemporaneamente su se stesso. Friedlander opera a partire dalla met degli anni Cinquanta ma diviene noto verso la met degli anni Sessanta. Fotografa il paesaggio sociale americano e le sue condizioni: collega dunque il concetto statico di paesaggio alla mutevole nozione di societ. Le sue fotografie degli anni Sessanta comunicano un senso dellesistenza indefinibile e sradicato. Il critico Rod Slemmons scrive che esse contenevano scetticismo sulla societ americana e sulla capacit dellindividuo di capirla a pieno, se non di cambiarla. Temperate da un senso di distacco e di ironia, le immagini adottavano la contingenza come prima condizione del paesaggio sociale (13). Nei venti anni successivi, Settanta e Ottanta, Friedlander continua a lavorare su tutto ci che scopre nelle strade, cercando metafore visive elusive che allinizio possono confondere ma che invece ci aiutano a chiarire la nostra posizione nel paesaggio sociale. Lavora sulle metropoli, la variet dei luoghi e dei segni che vi si ritrovano. Ricordiamo che negli anni Sessanta esplode la Pop Art che pone al centro dellattenzione i materiali e gli oggetti pi comuni, banali, quotidiani, le merci di cui il mondo occidentale si va popolando. Friedlander osserva tutto, e mette in relazione tutto con tutto. Perch anche per il suo lavoro parliamo di viaggio? Perch egli indaga la posizione di se stesso nel mondo attraverso ci che lo circonda. E fa questo viaggiando ovunque, senza pi distinguere mete del viaggio e mancanza di mete. Il suo un viaggio dentro il mondo e dentro se stesso: nel suo procedere, il mondo appare come un enigma, un accumulo di segni di fronte ai quali luomo si interroga. Non vi pi interno n esterno e tutto si interseca in un dialogo fitto e complesso nel quale ogni elemento della scena contemporaneamente se stesso e qualcosa che rimanda ad altro.

Unimportante mostra tenutasi al Museum of Modern Art di New York nel 1967, New Documents, present insieme fotografie di Lee Friedlander, Garry Winogrand e Diane Arbus. In quella occasione fu coniata unespressione, paesaggio sociale, a indicare un tipo di fotografia che tendeva a contenere tutto, al di l dei tradizionali generi (ritratto, paesaggio, reportage, oggetti...) ormai superati dalla complessit stessa del mondo. Qualche anno pi tardi, nel 1975, unaltra importante mostra dal titolo New Topographics riporta lattenzione sul paesaggio e i segni che gli uomini hanno lasciato e lasciano in esso. I fotografi inclusi nella mostra (Robert Adams, Lewis Baltz, Bernd e Hilla Becher (gli unici europei), Joe Deal, Frank Gohlke, Nicholas Nixon, John Scott, Stephen Shore, Henry Wessel jr.) si muovono nel paesaggio e lo osservano: il loro viaggio un tentativo di riconciliazione, di comprensione e di rivalutazione del paesaggio quotidiano, in un rifiuto del Sublime, del mito della bellezza selvaggia, di ogni formalismo (quello, per esempio, che aveva caratterizzato la fotografia di paesaggio di Edward Weston e Ansel Adams). Si tratta di un tipo di fotografia che rifugge qualsiasi idealistica narrazione del dato naturale, per la quale conta invece una nuova disposizione verso le cose, un tentativo di penetrare con la forza di uno sguardo rigenerato la superficie del mondo per cercare di capirlo. Il rapporto uomo-natura, tanto caro alla cultura statunitense, perso, ogni armonia sembra persa. La mostra ha come sottotitolo Photographs of a Man-altered Landscape - fotografie di un paesaggio alterato dalluomo. E proprio questo ci che i Nuovi Topografi indagano, attraverso il loro documentarismo scarno, semplice, attraverso la loro aspirazione a una anonimit di stile che indica la fragile coerenza esistente fra il soggetto e la sua rappresentazione fotografica (14). La loro una dolorosa accettazione della verit di un paesaggio che ha perso forza e identit. La fotografia diventa allora un vero e proprio viaggio dello sguardo e del pensiero, un interrogarsi. Vi spaesamento, vuoto, inquietudine, in queste fotografie. Il nostro sguardo non incontra pi lo stereotipo del viaggio, il bello, il misterioso, il sublime, il mito, la leggenda. Ma solo il quotidiano e a volte il mediocre: i margini, le periferie, il deserto, le zone in costruzione. 4. Anni Settanta: la revisione concettuale della fotografia italiana Gli anni Settanta segnano un momento di grande trasformazione della fotografia italiana, che giunge a una nuova coscienza e a una nuova maturit. Dagli anni Trenta fino a tutti gli anni Sessanta i fotografi pi impegnati e desiderosi di riflettere sulle funzioni e sui significati del mezzo che utilizzavano, avevano concentrato le loro energie sul reportage, sulla narrazione degli eventi che riguardano la vita degli uomini, la realt sociale e i suoi problemi. Il fiorire di molti importanti periodici illustrati (Omnibus, Il Mondo, Tempo, Epoca, LEspresso) aveva creato le condizioni perch il reportage potesse esprimersi. Al di l del versante professionale, il dibattito sullidentit della fotografia era, fra anni Quaranta e anni Sessanta, rimasto pressocch chiuso nellambito dei circoli fotoamatoriali in una contrapposizione sterile (seppur significativa per la cultura italiana molto a lungo influenzata dal pensiero crociano) fra fotografiadocumento e fotografia-arte. Ma con la fine degli anni Sessanta alcuni fattori importanti cominciano a mutare la scena. Essi sono: limporsi a livello diffuso della televisione come mezzo di informazione e di svago e la conseguente crisi del fotogiornalismo, lo strutturarsi del sistema dei mass media, una maggiore alfabetizzazione, laffermarsi di movimenti artistici quali la Pop Art, la Land Art, la Body Art, lArte Concettuale. Tutto questo rinnovamento sul piano della comunicazione dellarte ha le sue radici in una situazione sociale che vede i grandi movimenti dei lavoratori e degli studenti sviluppatisi alla fine degli anni Sessanta e poi negli anni Settanta mettere in discussione tutto il sistema economico e culturale nellaspirazione utopica e radicale a un nuovo tipo di societ basata su valori sociali inediti. In questa situazione dinamica e ricca di spinte si sviluppa una cultura critica anche nel nostro paese che consente anche alla fotografia, arte minore fino a quel momento chiusa dentro una sorta di ghetto staccato dal resto della cultura, di iniziare un processo di maturazione come arte e forma importante della comunicazione che sarebbe giunto a completamento ai giorni nostri, momento in cui la fotografia sembra occupare una posizione centrale e assai interessante nel sistema delle arti. Inizia dunque un processo di critica a quel tipo di fotografia che cerca la sua forza nel racconto del sensazionale dellesotico e anche a quel tipo di fotografia che cerca di essere forzatamente arte ancora guardando alla pittura, cos come avveniva nei circoli fotoamatoriali. Inizia invece una indagine della fotografia come linguaggio agganciato ai grandi temi dellarte contemporanea e a quelli della grande comunicazione massmediale.

Nel 1961 viene pubblicato il saggio Il messaggio fotografico di Roland Barthes, subito tradotto anche in Italia (15), nel quale limportante studioso francese si interroga sullesistenza e sulle caratteristiche di un linguaggio fotografico dotato di codici alla stregua degli altri linguaggi. Nel 1962 esce Opera aperta di Umberto Eco, un libro nel quale viene fornita una nuova visione dellopera darte come situazione in fieri determinata nel suo significato non solo dalloperare dellautore, non solo dalle caratteristiche dellopera, ma anche dallintervento e dalla lettura del fruitore (16). In generale, la Pop Art spinge la cultura a guardare gli oggetti della quotidianit e a scoprirne nuovi significati. La Land Art favorisce il sorgere di una nuova attenzione verso il paesaggio e i suoi codici. La Body Art sposta lattenzione dalloggetto artistico al corpo stesso dellartista. LArte Concettuale mette laccento non sulle caratteristiche dellopera e sullabilit dellartista, ma sullintenzione e il processo mentale e linguistico che presiede alloperare dellartista. Sia nella Pop Art che nellArte Concettuale viene largamente impiegata la fotografia, come importante momento di realt dentro lopera. Body Art e Land Art (cos come le performance e gli happening) vengono assiduamente documentate attraverso lopera di fotografi: cos che la fotografia diventa fondamentale per la sopravvivenza nel tempo di opere basate su azioni e interventi destinati a non durare. Si verifica cos un contatto profondo della fotografia con la societ e larte contemporanea che le permette di divenire linguaggio pi cosciente, autonomo, contemporaneo. Gli anni Settanta vedono una fioritura di ricerche fotografiche che mirano a discutere il concetto stesso di fotografia e a cambiare lidentit culturale di questa. Il rinnovamento della fotografia italiana che ha inizio con i primi anni Settanta un processo assai vasto e complesso che giunger a completamento nellarco di trentanni. Allinterno di questo sviluppo scegliamo in questo momento alcuni autori che hanno lavorato sulla coincidenza fra il concetto di viaggio e il concetto di fotografia. 5. Franco Vaccari: il viaggio come smontaggio delloperazione fotografica Franco Vaccari (Modena 1936) inizia con una ricerca dal titolo Le Tracce, 1966, a scegliere una fotografia che non racconta eventi particolari, non ricerca soggetti speciali, ma rileva lesistenza di segni. La fotografia solo un modo per osservare lesistenza di segni. Sono scritte sui muri, nei gabinetti pubblici o nelle stazioni etc, segni del passaggio delle persone. E lontano sia dal racconto che dal prelievo formale. In un momento di costipazione della comunicazione (il sistema dei mass media si sta strutturando), egli opera un rifiuto del racconto e della descrizione di particolari narrativi, a favore di una semplificazione che metta a nudo concetti e questioni fondamentali del comportamento e della comunicazione: semplificazione nei riguardi della scelta del soggetto, della quantit di lavoro immessa nellopera darte (sulla scorta di quel processo di occultamento del lavoro messo in atto da Marcel Duchamp con i suoi ready made), dellassillo di poter governare e piegare la tecnologia. Vaccari ha vigorosamente contribuito al crollo dellillusione di poter compiutamente raccontare le vicende umane che tanto a lungo aveva sorretto il reportage, anche in Italia (forte, anche da noi, linfluenza di Cartier Bresson e molto specifica quella del cinema neorealista), e a un processo di concettualizzazione della fotografia, intesa non pi come prodotto finale fondato sullefficacia dellimmagine, n sulla sua bellezza, ma come meccanismo in s, come operazione importante in s nel suo riferirsi alla realt e al tempo stesso alloperare dellartista. Vaccari sviluppa una critica agli strumenti del fare arte e del fare fotografia, rifiutando un concetto di arte come contemplazione lavorando invece a quello di arte come azione, come intervento, come congegno che scatena comportamenti. Discute la tradizionale triade autore-opera-pubblico congegnando operazioni che la mettono in crisi. Lopera dunque si fa con il contributo congiunto dellautore, del pubblico e del suo stesso farsi lungo la strada, lungo il percorso di lavoro: lopera, dunque, non pi oggetto, ma azione, evento, accadimento. Vaccari autore del fondamentale saggio uscito nel 1979 Fotografia e inconscio tecnologico (17) nel quale sviluppa limportante concetto di inconscio tecnologico dichiarando lelemento macchina/tecnologia determinante nel significato dellopera fotografica. Cade il mito dellartista-autore, cade il mito della bellezza dellopera, nasce la piena consapevolezza del peso delle macchine e degli strumenti tecnologici nella nostra cultura. Fondamentale in questo senso la sua Esposizione in tempo reale realizzata alla Biennale dArte di Venezia nel 1972, dal titolo Esposizione in tempo reale n. 4. Lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio. Unopera che si fa nel tempo, nella quale lartista solo responsabile del progetto: lopera si

compone delle molte fototessere prodotte meccanicamente da una cabina Photomatic nella quale le persone entrano, si fanno un ritratto automatico che poi attaccano, appunto, alla parete. Vaccari usa spesso lo schema concettuale del viaggio inteso come operazione che si svolge e che nel suo svolgersi, produce lopera. Nei suoi viaggi Vaccari non racconta nulla se non il meccanismo stesso del viaggiare, al di l della referenzialit dellimmagine fotografica e, anzi, in forza di essa. Vediamo alcuni dei suoi viaggi. Esposizione in tempo reale n. 2.Viaggio + rito, 1971, galleria 2000, Bologna Sono andato alla stazione FF.SS., seguito da due fotografi che con macchine Polaroid testimoniavano istante per istante del mio viaggio. . Mi hanno fotografato mentre prendevo il biglietto, comperavo il giornale, mi facevo lucidare le scarpe, salivo sul treno, scendevo, prendevo un taxi. Arrivato alla galleria 2000 ho attaccato le fotografie a una parete e il biglietto lho messo in una apposita scatola appesa alla parete di fronte. I due fotografi hanno continuato a scattare e le nuove fotografie venivano aggiunte alle altre; la mostra in questo modo si autocostruiva, si autoalimentava. Chi era venuto per assistere veniva immediatamente incorporato , moltiplicato, registrato, bloccato in istanti irripetibili e questo distruggeva lo spazio della contemplazione per aprire quello dellazione. A un certo momento ho ripreso il biglietto e me ne sono andato (18). Vaccari rifiuta la contemplazione della fotografia e la pone invece allinterno di una azione. La fotografia entra nei meccanismi di comunicazione, si affianca allazione. Si rompe lo scarto fra costruzione dellopera e mostra. Lautore entra nel farsi dellopera. 700 km. Di esposizione, 1972 Ero stato invitato a Graz alle settimane di pittura, cio a trascorrere un mese in una localit isolata dove avrei dovuto produrre oggetti artistici; mi sarebbe stato passato alloggio e vitto gratis, e, alla fine, anche un compenso in denaro. Erano stati invitati altri tre italiani, alcuni jugoslavi e austriaci. Per distrarci, avremmo avuto a disposizione anche un tavolo da ping-pong. Il mio lavoro lho fatto durante il viaggio di andata; ho scelto di applicare sistematicamente lattenzione ai mezzi di trasporto merci che si muovevano nella mia stessa direzione. Voglio usare la fotografia non come mezzo di contemplazione, ma per scardinare i miei condizionamenti visivi, come strumento che mi costringa a vedere quello che non so. Adesso siamo coscienti che vediamo solo quello che sappiamo, ma quello che sappiamo sospetto. Lattenzione orientata mi serviva cos per cortocircuitare gli automatismi psichici. Una volta arrivato a destinazione il mio lavoro era gi fatto; mi sono fermato due giorni, ho giocato a pingpong e ho scoperto che gli jugoslavi in questo sport erano tutti a un livello notevolissimo. Questo dovuto sicuramente al loro sistema politico che offre uninfinit di occasioni di giocare a ping-pong. Alla fine del mese sono ritornato a Graz e ho avuto la sorpresa di trovare che gli altri artisti erano tutti ingrassati (19). Lopera finale una scacchiera-catalogo di fotografie a colori di molti camion di tipo diverso ripresi da dietro. In ogni nostro viaggio, lo sappiamo, limmagine del camion che ci precede si stampa nella nostra visione ma soprattutto nellesperienza del viaggiare: questa immancabile figura di camion viaggiante , nella nostra esperienza visiva, il viaggio stesso, entra nella nostra vita. Vaccari riflette su se stesso artista, su se stesso uomo mentre viaggia negli schemi del viaggio di massa e pensa al moderno viaggiare di tutti. Il farsi dellopera coincide con lopera stessa ed avviene durante il viaggio stesso. Il viaggio non il soggetto del lavoro, ma il lavoro stesso, la sede del lavoro e del suo senso. Esposizione in tempo reale n. 8. Omaggio allAriosto, 22 maggio 1974 Ero stato invitato alla mostra Omaggio allAriosto che doveva essere allestita al Palazzo dei Diamanti di Ferrara. Come omaggio ho percorso lo stesso cammino che il poeta aveva fatto distrattamente a piedi.; raccontano infatti le cronache che lAriosto, partendosi da Carpi, venne un giorno a Ferrara in pianelle, perch non aveva pensato di far cammino.

Durante il viaggio ho fatto delle fotografie con la Polaroid; le ho incollate alle cartoline dei paesi che attraversavo e le ho spedite per posta alla Galleria (20. Lazione di Vaccari contiene tutti i significati del viaggio. Innanzitutto lomaggio in se steso un viaggio in quanto implica un percorso di ritorno, di riflessione e di riconoscimento. Vaccari lo prende alla lettera, dando il via a un pezzo di vita vissuta e compie davvero il viaggio che lAriosto comp da Carpi a Ferrara. Associa al viaggio la fotografia, compagna inseparabile del viaggio contemporaneo. Sceglie la Polaroid, che nella sua radicale istantaneit fotografia-azione. Poi introduce un altro classico elemento del viaggio: la cartolina, acquisto e invio. Sovrappone alla visione assoluta e retorica della cartolina cristiallizzatasi nel tempo e nella consuetudine, visioni frammentate parziali, provvisorie: questo nuovo oggetto visivo crea una doppia personalit al viaggio: una assoluta e una banale, quotidiana. Poi le cartoline vengono regolarmente imbucate, timbrate, recapitate. Viaggiano. Viaggia lartista, viaggia lopera che si fa nelle sue parti. Per Franco Vaccari, la fotografia un grimaldello per liberare comportamenti, significati, prove di scrittura, e per discutere il rapporto fra agire artistico e vita (un retaggio dada, un legame con Duchamp). Vaccari cambia le funzioni della fotografia, la spoglia, la scuote. Abbatte ogni mira di tipo formale ed estetico, mette a nudo il meccanismo della fotografia. Ed significativo che spesso compia questo grazie alla formula del viaggio. 6. Luigi Ghirri: il viaggio come percezione di una geografia del quotidiano Luigi Ghirri (Scandiano - RE, 1943, Roncecesi - RE, 1991) una figura determinante negli sviluppi della fotografia italiana contemporanea. Maestro di molti, forse maestro di tutti. La sua influenza si sente ancora oggi enormemente. Fotografo, scrittore, organizzatore di eventi per la fotografia, studioso dei rapporti fra fotografia e cinema, fotografia e scrittura, osservatore del quotidiano, ha lavorato dai primi anni Settanta fino alla sua prematura morte avvenuta nel 1991. Anche la sua opera, enigmatica, interrogativa, costantemente attraversata dallidea di viaggio, e per molti aspetti sta sotto il segno dello stupore e dellincanto. Ma il suo non mai stupore per leccezionale, lesotico, il diverso, ma per il quotidiano, per ci che sta accanto a noi, vicino a noi e dentro di dentro. La sua opera piena di strade, di percorsi, di spostamenti concettuali da un luogo allaltro, siano essi anche fisici oppure soltanto mentali. Sulla necessit di viaggiare nel quotidiano e nel vicino scrive: Nei viaggi non mi sono mai spinto troppo lontano. Ho viaggiato in Svizzera, in Francia, in Austria, in Germani, in Olanda e poi anche in Italia centrale e meridionale. E sempre durante le vacanze estive o i fine settimana. Quando viaggio, faccio due tipi di fotografie, quelle solite, che fanno tutti, e che in fin dei conti mi interessano poco o niente, e poi le altre, quelle a cui veramente tengo, le sole che considero mie davvero. Nelle mie foto i soggetti sono quelli di tutti i giorni, appartengono al nostro campo visivo abituale: sono immagini insomma di cui siamo abituati a fruire passivamente; isolate dal contesto abituale della realt circostante, riproposte fotograficamente in un discorso diverso, queste immagini si rivelano cariche di un significato nuovo. Ne possiamo allora fruire attivamente, cio ne possiamo iniziare una lettura critica. Per questo mi interessa soprattutto il paesaggio urbano, la periferia, perch la realt che devo vivere quotidianamente, che conosco meglio e che quindi meglio posso riproporre come nuovo paesaggio per unanalisi critica continua e sistematica. Per questo mi piacciono molto i viaggi sullatlante, per questo mi piacciono ancora di pi i viaggi domenicali minimi, nel raggio di tre chilometri da casa mia (21). Il viaggio pu essere cos minimo e vicino da svolgersi anche solo sulle pagine dellatlante: pu dunque essere un viaggio senza spostamenti nello spazio, ma solo mentale. La ricerca fotografica del 1973 alla quale d appunto titolo Atlante pu essere considerata la sua ricerca pi emblematica e totale sul viaggio e insieme sul senso della fotografia. Conscio che in quella che in quegli anni veniva chiamata civilt dellimmagine, a causa del dilagare delle immagini nei mass media era divenuto impossibile scoprire luoghi nuovi e arduo darne nuove descrizioni

(tutti i luoghi possibili sono gi descritti e gli itinerari sono gi tracciati), Ghirri studia il luogo che racchiude tutti i luoghi del mondo: latlante - e ne fotografa le pagine. Si tratta di un viaggio concettuale, poetico, mentale. Uno slittamento dalla realt fenomenica alla sua schematizzazione grafica che lascia libera la lettura e lillusione e ci riporta, infine, allinfanzia, tema molto caro a Ghirri e presente in tutta la sua opera. Scrive: Latlante il libro, il luogo in cui tutti i segni della terra, da quelli naturali a quelli culturali, sono convenzionalmente rappresentati: monti, laghi, piramidi, oceani, citt, villaggi, stelle, isole. In questa totalit di scrittura e descrizione, noi troviamo il posto dove abitiamo, dove vorremmo andare, il percorso da seguire. Il viaggio sulla carta geografica, peraltro caro a molti scrittori, penso sia uno dei gesti mentali pi naturale in tutti noi, fin dallinfanzia. Linevitabile associazione di idee, sovrapposizioni di immagini, pensa poi automaticamente al resto. In questo lavoro ho voluto compiere un viaggio nel luogo che invece cancella il viaggio stesso, proprio perch tutti i viaggi possibili sono gi descritti e gli itinerari sono gi tracciati. Le isole felici care alla letteratura e alle nostre speranze, sono ormai tutte descritte, e la sola scoperta o viaggio possibile, sembra quello di scoprire lavvenuta scoperta. Cos analogamente il solo viaggio possibile sembra essere oramai allinterno dei segni, delle immagini: nella distruzione dellesperienza diretta. Se Oceano immediatamente ci rimanda a infinite possibili immagini che noi possediamo mentalmente, mano a mano che la scrittura sparisce, spariscono meridiani e paralleli, numeri, il paesaggio diventa naturale, non viene pi evocato, ma si dispiega davanti a noi, come se sotto i nostri occhi una mano avesse sostituito il libro con un paesaggio reale. E la fotografia in questo caso che con il suo potere di variare i rapporti con il reale, sempre, sposta i termini del problema evocando una naturalit illusoria. Il reale, la sua rappresentazione convenzionale in questo caso sembrano coincidere, la formulazione del problema si sposta, da quello della significazione a quello della immaginazione. Il viaggio cos dentro allimmagine, dentro al libro. I due analoghi immagine nellimmagine, libro nel libro, ci riportano alle infinite possibili letture che ci sono sempre possibili anche allinterno del mondo pi codificato, la gi avvenuta esperienza apparentemente totalizzante si dispiega come nella frase di W. Blake chiarificatrice: se le porte della percezione fossero ripulite tutte le cose sembrerebbero infinite (22). La possibilit/impossibilit di rappresentare il mondo e di rappresentarlo in modo totale si conferma ancora centrale, nel pensiero di Ghirri, quando nel 1979, nella prefazione del suo volume di fotografie Kodachrome, scrive: Nel 1969 viene pubblicata da tutti i giornali la fotografia scattata dalla navicella spaziale in viaggio per la Luna; questa era la prima fotografia del Mondo. Limmagine rincorsa per secoli dalluomo si presentava al nostro sguardo contenendo contemporaneamente tutte le immagini precedenti, incomplete, tutti i libri scritti, tutti i segni decifrati e non. Non era soltanto limmagine del mondo, ma limmagine che conteneva tutte le immagini del mondo: graffiti, affreschi, dipinti, scritture, fotografie, libri, films. Contemporaneamente la rappresentazione del mondo in una volta sola (23). Ghirri ragiona sul fatto che per poter vedere tutta la Terra bisogna lasciarla e viaggiare non su di essa, ma allontanandosene andare verso altri mondi. Come dire, per capire un problema bisogna prendere le distanze, spostarsi in un altrove. Ghirri indaga poi a fondo la questione della relativit della visione e della rappresentazione. Non vi una sola rappresentazione del mondo, ma molte possibili. Nuovamente nel viaggio che questo tema si rivela: sul treno. E la ricerca Italia ailati, 1971-1979 (la seconda parola il rovesciamento della prima, a indicare due Italie opposte). Viaggiando in treno, ho sempre avvertito con divertimento la distanza che separa il paesaggio visibile dal finestrino e le fotografie che allinterno dello scompartimento rappresentano invariabili torri di Pisa, cattedrali romaniche, citt rinascimentali, montagne, laghi e pini sul mare. Il viaggio era cos duplice, quello visto dal finestrino e quello allinterno dello scompartimento. Forse da questa osservazione ho chiamato questo mio viaggio in Italia Italia ailati. Ho cercato infatti non solo di dare limmagine del viaggio fatto dal finestrino, ma di evidenziare anche la sovrapposizione del

viaggio nello scompartimento; sandwich di immagini, unItalia ufficiale statica, sempre presente; e laltra pi nascosta da vedere in fretta, come spezzone non importante, tra un viaggio e laltro. La compenetrazione delle due visioni trova poi nella realt la sua effettiva realizzazione. Se le merlature delle torri citano un glorioso passato, e le rondini volano ancora, pur tuttavia non possono celare le staccionate di cemento sullo sfondo di un cielo azzurro. Il mio non vuole essere testimonianza del banale quotidiano, sottolineatura kitsch, ma desiderio di conoscere, decifrare, relazionando questi due paesaggi per scoprirne le affinit, e le dissociazioni. (...) Sui resti del passato, pi che mai testimoni teatrali, si innestano realt storicamente escluse, che sembrano comparire in maniera allucinante o simbolicamente aberrante, pur tuttavia in questa scena luogo di coincidenza di sconnessioni, noi possiamo leggere della nostra identit. (...) non mi interessa testimoniare ed estrapolare qualche oggetto dallo sterminato catalogo del kitsch, in cui sono stati relegati semplicisticamente una serie di oggetti solamente colpevoli di essere frutto di meccanismi di esclusione. (...) La stesura attuale anche progetto per una identit territoriale (...). Rivedendo nel passato, nelle strutture delle citt, nelle immagini che abbiamo visto, nel nostro paesaggio, e relazionandoli con un presente possiamo distinguere: verificare, smascherare, per poi progettare un paesaggio (24). Una riflessione sul passato e il presente, la storia e il banale. Sui molti segni presenti nel mondo visibile (come gli americani Evans, Frank e Friedlander, autori cari a Ghirri, avevano indicato): segni della storia e segni del presente che convivono nella realt. Ghirri si dedica alla analisi dei segni, e talvolta li fotografa secondo il metodo del catalogo: sistema molto coerente con la fotografia, che arte seriale. Arte dellosservare pi volte e con cura le stesse cose. E ci che Ghirri fa, per esempio, nella serie Catalogo, sviluppata dal 1970 al 1979. Catalogo per antonomasia linsieme di immagini dello stesso tipo di oggetti. Ho usato maggiormente la sequenza perch un catalogo anche sequenza, insieme organico di oggetti. Contemporaneamente, siccome lattenzione rivolta alle superfici, ho cercato di evitare una ripetibilit che sarebbe inevitabilmente risultata contraddittoria allo scopo e alle mie intenzioni. Una eccessiva ripetizione dello sguardo avrebbe provocato una seconda meccanicit di lettura dellosservatore, analoga a quella della realt e che io ho cercato di evidenziare come aspetto negativo proprio nel consumo dello sguardo, che porta alla dissuasione a vedere. (...) Le fotografie di questa serie prestano attenzione ai materiali che compongono i muri delle periferie, delle citt, delle case. Oggetti, superfici che da sempre hanno compiti anche di comunicazione diretta perch data dallosservazione quotidiana. In questo sguardo pubblico sulle modalit decorative, non possiamo non tacere di un ritratto interno; e le superfici diventano cos codici di comunicazione, momento di identit. Le analogie rigorosamente geometriche di queste fotografie combaciano con quelle architettoniche, con la mia formazione culturale (Ghirri era geometra, n.d.r.), non dimenticano tuttavia come sempre che allinterno dello schema tracciato le combinazioni espressive delle tessere sono infinite. Se questi abiti delle case sembrano bloccati in un gelido rigore, e le assenze cromatiche ci dicono di paesaggi grigi e uniformi, pur vero che su una serranda chiusa la scritta colori lascia intravedere combinazioni infinite. Non ho voluto attenermi rigorosamente a quanto potrebbe suggerire il titolo scelto, ma ho piuttosto cercato di suggerire che, al di l delle schematiche e facili accumulazioni, il significato di depositare i dati per operare distinzioni, collegamenti, sottolineare rapporti, smontare meccanismi. Le sequenze qui presentate hanno proprio questa intenzione, smascherare, attraverso un raffronto tra il presunto identico e il presunto differente, la meccanicit di uno sguardo, la deliberata scelta della dissuasione a vedere perch momento di conoscenza. Proprio per questo sguardo vuoto, ho voluto, pi che dispiegare esempi, suggerire in un inizio di attivazione dello sguardo, un inizio di conoscenza. (...) (25). Il problema della conoscenza del mondo attraverso la fotografia, di una possibile conoscenza, un altro tema importante nellopera di Ghirri, artista sempre cosciente della necessit, nella civilt delle immagini sempre presenti e moltiplicate, di capire, di distinguere, di non lasciarsi confondere. Alla presenza dellimmagine pubblicitaria nel nostro paesaggio e nel nostro muoverci nello spazio egli dedica, nel 1973, una ricerca dal titolo Km 0,250. Si tratta ancora di un viaggio, breve come sempre, anzi minimo, in quanto si svolge lungo un muro di una strada sul quale sono incollati, uno dopo laltro, molti manifesti pubblicitari

fino a coprirlo. Ghirri paragona questo insieme di manifesti che tappezzano il muro allantico affresco, e riflette sulle profonde differenze fra questi due tipi di comunicazione. In questo lavoro, eseguito per la prima volta nel 1972, ho voluto sottolineare sia nella dimensione, sia nella ripetitivit il carattere storicamente nuovo di immagini che si pongono alla contemplazione-fruizioneassimilazione pubblica. Oltre che ad unovvia, ma non prioritaria sottolineatura dellinvadenza della pubblicit nellambiente urbano, e nella nostra vita, ho voluto sottolineare in una sequenza, interna alla sequenza delle immagini, il carattere di serialit delle immagini odierne anche quando devono comunicare immagini diverse, perch concepite e strutturate nello stesso identico modo. Il risultato un affresco dei nostri tempi, apparentemente analogo allaffresco delle chiese e degli edifici pubblici che ben conosciamo. Non dissimilmente nelle immagini seriali esposte sul muro, e quindi alla contemplazione pubblica, noi possiamo leggere della nostra vita; ma il rovesciamento avviene in quanto, anzich agire su di una realt comune preesistente e in cui riconoscersi (affreschi delle chiese, palazzi medievali), il messaggio avviene in modo da essere rappresentazione della nostra vita aprioristica e progettata. (...) Se laffresco era momento di identit personale e collettiva, pure questi trittici ripetuti ci danno una immagine personale e collettiva; ma se per laffresco il momento di fruizione era momento di attivazione di coscienza, ri-conoscenza, il muro di immagini, letto e assimilato nella maggioranza dei casi dallautomobile, diventa come uno spezzone cinematografico a velocit accelerata, ed i fotogrammi, immagini indistinte e di fruizione totalmente passiva, disattivazione critica per pseudo-riconoscimenti. (...) (26). Ancora sulla relativit della visione e della rappresentazione sempre complessa e irta di inganni ottici Ghirri realizza nel 1977-78 la serie di fotografie dal titolo In scala, sorridente viaggio di gulliveriana memoria fra i plastici architettonici dell Italia in miniatura di Rimini (tema ripreso a met anni Ottanta con la ricerca Italia in miniatura). Ghirri turista-fotografo ripercorre i luoghi pi famosi del paesaggio italiano ricostruiti uno vicino allaltro in scala ridotta in questo parco dei divertimenti destinato al nostro tempo libero, da San Pietro al Monte Bianco, dal Palazzo Vecchio di Firenze al Duomo di Milano, da piazza San Marco al Cervino alla piazza del Palio di Siena. La serie In scala stabilisce un importante parallelo fra vedere e viaggiare. Il viaggio inteso come riflessione sullimmagine e la retorica dei luoghi. La fotografia, strumento di rappresentazione che sempre ripropone le cose ridotte in scala, in questo caso si trova anche a rappresentare luoghi gi ridotti in scala. Ogni riferimento alla realt perso, tutto diventa discutibile e relativo, paradossale. Le figure delle persone entrano, enormi come Gulliver nella famosa storia, in questi paesaggi-cartoline. Scrive: Ho chiamato cos questo lavoro per suggerire immediatamente una lettura, la scala una convenzione usata abitualmente per riportare, riconoscere le dimensioni di un oggetto nelle sue dimensioni spaziali. Metro per passare dal disegno alla costruzione, metro per riportare il mondo fisico ad un grafico interpretabile. La scala ci segnala cio una differenza. In questo atlante-sussidiario tridimensionale in scala lItalia: monumenti, montagne, ruderi, piazze, chiese, laghi. (...) La celebrazione dei miti, dei luoghi delegati ad una identit territoriale, induce ad una immediata ironia sulla follia di questo viaggio, di questo vedere tutto contemporaneamente, distruggendo con lo sguardo i tempi storici, le distanze chilometriche contemporaneamente. Se le analogie con un colossale fotomontaggio sono evidenti, Piazza del Palio di Siena col Monte Bianco sullo sfondo, se il tramonto deposita le luci sulle guglie del Cervino e rende rosa le Dolomiti (...) piano piano non si riesce a nascondere un dubbio. E proprio in questo spazio di totale finzione che forse si cela il vero; qui e solo qui che vedendo San Pietro non sommiamo le immagini mentali, ma riandiamo alla percezione avvenuta nella realt. (...) Camminando riconosciamo gli stili, evochiamo viaggi compiuti realmente, riandiamo al reale e al suo doppio e non viceversa. In questa colossale olografia delloleografia, possiamo misurare lo spessore dei nostri miraggi, e se le ombre si proiettano su Palazzo Vecchio, cos il reale si proietta sul suo doppi smascherandolo. (...) Vedere diventa lettura trasversale, attraversare con un solo sguardo la storia, larte, la natura, e vedere laltra immagine censurata.

Lombra delle persone copre interamente una piazza, in questa dimensione inusitata, in questo grande teatro una volta tanto gli attori sono molto pi alti dei fondali (27). E interessare concludere questa serie di riflessioni su alcuni aspetti dellopera di Ghirri legati tema del viaggio con la ricerca del 1974 che porta il titolo di Infinito. Con questo viaggio estremo e fortemente simbolico nel cielo (simile per assolutezza allAtlante, e infatti Ghirri parla di atlante cromatico del cielo), Ghirri fotografa il cielo ogni giorno per 365 giorni, un intero anno, cio fotografa un soggetto-non soggetto, un soggetto aleatorio, non definito (infinito anche la distanza massima e simbolica sulla quale si imposta la macchina fotografica quando si fotografa qualcosa di lontano) e dichiara dunque che la fotografia compie soprattutto operazioni mentali, viaggi mentali, che il paesaggio non ha limiti, che i percorsi non hanno limiti, e che la natura in realt molto difficile, forse impossibile, da descrivere. Scrive: Non ho mai amato le fotografie della natura. Da quelle in cui la natura appare nei suoi aspetti misteriosi o metafisici, alle forzature astratte dei segni e delle campiture di colore. Ho sempre trovato in queste immagini , e nel tentativo disperato di bloccare il momento naturale, una contraddizione insanabile con il linguaggio fotografico. (...) Pur se nella storia della fotografia i casi eclatanti sembrano contraddire questa mia convinzione, pur vero che questi episodi sono riconducibili sempre e comunque ad esempi di una parzialit disarmante; e i momenti fermati, che vengono letti come illuminazioni e folgorazioni, rimandano inevitabilmente a una fenomenologia estetica pertinente ad altri linguaggi visivi (pitture, incisioni, etc). Quando ho deciso di fotografare il cielo per un anno intero, una volta al giorno, ho voluto anche sottolineare questa impossibilit di tradurre i segni naturali. In Infinito la sequenza temporale di un anno per un totale di 365 fotografie cos anchessa insufficiente per poter dare unimmagine del cielo. Neanche un linguaggio fotografico, iterazione, ripetizione progettata, sequenza temporale, sufficiente a fissare limmagine di un aspetto naturale. Infinito diventa cos un possibile atlante cromatico del cielo; 365 possibili cieli. Anche seguendo una schedatura ulteriormente precisa come in un calendario, lanno solare 1974 in cui ho eseguito il lavoro, sarebbe diventato come in effetti, un anno, non catalogabile, non riconoscibile a posteriori. Cos formulato il lavoro pu suggerire una impossibilit a fotografare, invece in questa non possibile delimitazione del mondo fisico, della natura, delluomo, che la fotografia trova validit e senso. In questo suo non essere linguaggio assoluto, e nel farci riconoscere la non delimitabilit del reale, trova la sua naturalit e la sua autonomia (28). 7. Anni Ottanta e Novanta: viaggi nel paesaggio ed esperienze di committenza pubblica Dopo queste importanti ricerche degli anni Settanta, negli anni Ottanta Ghirri sviluppa un intenso interesse verso una nuova rappresentazione del paesaggio. A cavallo fra anni Settanta e anni Ottanta anche altri fotografi della sua generazione (Gabriele Basilico, Mimmo Jodice, Mario Cresci, Guido Guidi, Roberto Salbitani, Giovanni Chiaramonte, Fulvio Ventura) e i pi giovani Vittore Fossati, Vincenzo Castella, Olivo Barbieri, non volgono pi la loro attenzione al reportage, come i fotografi della generazione prima avevano fatto, e invece nutrono a loro volta un crescente interesse per il paesaggio e le sue modificazioni, e avviano progetti di lettura dei territori nei quali vivono. A cavallo fra anni Settanta e anni Ottanta Ghirri li coinvolge in un vasto progetto dedicato allintero paesaggio italiano: un progetto che ha lambizione di tracciare una mappa poetica del paesaggio italiano contemporaneo, fuori dagli stereotipi e fuori dagli schemi della fotografia di consumo, e al tempo stesso di disegnare lipotesi di una nuova fotografia italiana. Il progetto, oggi diventato modello di riferimento, si intitola Viaggio in Italia, e si realizza nel 1984 con una mostra alla Pinacoteca Provinciale di Bari e un libro, che, a conferma dellamore di Ghiri per le carte geografiche e gli atlanti, porta in copertina la carta geografica dellItalia, quella stessa che stava appesa nelle nostre aule delle scuole elementari. Cos leggiamo sul risvolto di copertina del libro: Viaggio in Italia nasce dalla necessit di compiere un viaggio nel nuovo della fotografia italiana, e in particolare per vedere come una generazione di fotografi, lasciato da parte il mito dei viaggi esotici, del reportage sensazionale, dellanalisi formalistica, e della creativit presunta e forzata, ha invece rivolto lo sguardo sulla realt e sul paesaggio che ci sta intorno.

Le opere degli autori spostano lattenzione della fotografia alla cultura quotidiana dellItalia doggi e impongono il confronto con il vuoto di impegno conoscitivo che paralizza altre attivit espressive e altri sistemi di comunicazione. La televisione, il cinema, le arti visive appaiono sempre pi lontani dal volere conoscere o almeno osservare il volto concreto dellItalia. Eppure manca in queste fotografie quanto si trova sulle pagine dei quotidiani e su quelle patinate dei rotocalchi: n cronaca nera o rosa, n languide Venezie, n tristi bassi napoletani, e gli uomini parlano meno con il loro volto e pi con gli oggetti che li circondano, con lambiente in cui vivono. Linsieme, volutamente a-ideologico, si colloca in una posizione equidistante dalle facili critiche come dalle apologie. Lintenzione ricomporre limmagine di un luogo, e antropologico e geografico, il viaggio cos ricerca e possibilit di attivare una conoscenza che non una fredda categoria di una scienza, ma avventura del pensiero e dello sguardo (29). Il libro, comprendente fotografie di Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Gianantonio Battistella, Vincenzo Castella, Ermanno Cavazzuti, Giovanni Chiaramonte, Mario Cresci, Vittore Fossati, Carlo Garzia, Guido Guidi, Luigi Ghirri, Shelley Hill, Mimmo Jodice, Gianni Leone, Claude Nori, Umberto Sartorello, Mario Tinelli, Ernesto Tuliozi, Fulvio Ventura, Cuchi White, si divide nei seguenti capitoli: A perdita docchio Lungomare Margini Del Luogo Capolinea Centrocitt Sulla soglia Nessuno in particolare Si chiude al tramonto LO di Giotto Sono tutti titoli poetici che indicano non dei luoghi precisi e ben identificati, ma dei luoghi mentali, dei concetti di luogo. Luoghi comunque riferiti ai margini, alla periferia del paesaggio, a qualcosa di indefinito che sta nel paesaggio, a qualcosa di semplice, quotidiano, e al tempo stesso poetico ed enigmatico, inafferrabile. Nel volume, accanto a un saggio di Arturo Carlo Quintavalle, vi un testo dello scrittore Gianni Celati, il quale con la stessa semplicit e lo stesso stupore descrive alcuni paesaggi di pianura e di provincia. Il titolo del testo Verso la foce (reportage, per un amico fotografo). Vediamone una parte: Al mattino presto in queste pianure la luce tutta assorbita dai colori del suolo. C un vapore azzurrino che fa svanire le distanze, e oltre un certo raggio si capisce solo che le cose sono l, disperse nello spazio. E col sole alto e la luce netta che cominciano a vedersi grandi separazioni. I tagli di luce e ombra fanno apparire forme desolate in tutti i muri, pezzi dasfalto, siepi o cartelli ai margini dun movimento generale. Le cose che indicano traffici o direzioni di marcia sono tutte in abbandono. Dove non c' traffico, le ombre hanno sempre l'aria di aspetti inutili, troppo immobili per questo mondo. Se un camion passa sollevando un pezzo di giornale sullasfalto, subito ci si accorge che ogni forma di indugio fuori posto. Sulla Padana Inferiore abbiamo vista la prospettiva alberata duna villa antica, lungo la strada, interamente coperta da un emporio di lampadari. Il manifesto di un circo, vecchio di otto anni, penzolava dalle imposte chiuse dun cascinale. Per strade secondarie certe volte anche il silenzio sembra inutile; finch non si arriva davanti a quelle nuove villette su terrapieni a giardino, intorno alle quali c un silenzio diffuso che non quello degli spazi aperti. E un silenzio residenziale, che ti fa sentire cos estraneo da metterti in fuga. (...) Le cose disperse nello spazio vengono avanti con i loro nomi, sfiorandoci mentre passiamo. (...) Abbiamo infilato una strada asfaltata che finiva contro un campo di granoturco. In mezzo al campo una cisterna del gasolio e una casa in cemento, nuova, con infissi di legno nuovi, finestre e porte chiuse. (...) Tranne nei vecchi borghi con piazzetta e campanile, in questi giorni di viaggio per le campagne abbiamo visto dappertutto il vuoto. Aggregati di case in cemento con laria di essere appena sorte e subito abbandonate, fattorie in cui non si riconoscono forme di vita, cave di sabbia anchesse deserte, recinti di roulottes in mezzo ai prati, cabine telefoniche accanto a campi di granoturco, tralicci dellalta tensione con

fili che pendono su lunghe distanze. Il vuoto riempito da nomi di localit inesistenti, comunque non luoghi ma solo nomi messi sui cartelli stradali da qualche amministrazione dello spazio esterno. (...) Il paesaggio seminato di pali della luce che portano locchio allinfinito su questa striscia dasfalto. Pi indietro cerano ancora vecchi pali della luce in legno, adesso invece solo pali in cemento. Lorizzonte basso e lontano, velato da un alone che probabilmente pioggia, attraversato da cipressi e salici bianchi. (...) Sparse tra i campi case abbandonate, alcune col tetto sfondato. Invece pi vicino alla strada e lungo la strada case moderne in cui non difficile riconoscere la graduatoria salariale degli abitanti. (...) A Isola Ca Venier c un pioppeto, vicino al pioppeto un bar che solo un vecchio cascinale, con sopra la porta la pubblicit della FAEMA. (...) Dal un lato c il mare e la massicciata, su cui sono stese dovunque reti da pesca e fasci di cannella palustre. Dallaltro lato la pianura uniforme, per coltivazioni e colori, a perdita docchio, con sparse fattorie tra i campi. Lungo la strada e sullo sfondo le costruzioni sono quasi tutte recenti, case quadrate a due piani, insediamenti che risalgono a venti o trentanni fa. (...) Chiama le cose perch restino o con te fino allultimo (30). Successivamente, nel 1989 Celati pubblica da Feltrinelli Verso la foce, nel quale raccoglie quattro diari di viaggio, uno dei quali riprende il testo gi pubblicato in Viaggio in Italia. Nella premessa Scrive: Questi quattro diari di viaggio sono nati mettendomi a lavorare con un gruppo di fotografi, che si dedicavano ad una descrizione del nuovo paesaggio italiano, tra cui il mio amico Luigi Ghirri. Per come sono adesso, dopo essere stati riscritti e resi leggibili, li chiamerei racconti dosservazione (31). Il che evidenzia lintenzione di Celati di utilizzare una scrittura di tipo fotografico-descrittivo, e ci fa capire i legami profondi fra la sua scrittura semplice, stupita e attenta al quotidiano, e quel tipo di fotografia che Ghirri privilegiava e considerava adatta alla comprensione del paesaggio contemporaneo italiano. Ghirri realizza in seguito diverse operazioni di confronto fra fotografia e scrittura, sempre usando come contenitore ideale dei suoi progetti lidea di viaggio. E il caso, per esempio di Esplorazioni sulla Via Emilia. Vedute nel paesaggio, del 1986, progetto nel quale alcuni fotografi italiani ed europei, alcuni scrittori e cineasti vengono invitati, in una operazione di committenza pubblica, a percorrere la Via Emilia, antica via di comunicazione, forte asse economico, sociale, culturale, spina dorsale di una complessa area agricola, industriale, turistica di stampo quasi metropolitano, e a produrre il loro lavoro I fotografi sono Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Vincenzo Castella, Giovanni Chiaramonte, Vittore Fossati, Luigi Ghirri, Guido Guidi, Mimmo Jodice, Klaus Kinold, Claude Nori, Cuchi White, Manfred Willmann. Gli scrittori Ermanno Cavazzoni, Gianni Celati, Corrado Costa, Daniele Del Giudice, Antonio Faeti, Tonino Guerra, Giorgio Messori, Giulia Niccolai, Beppe Sebaste, Antonio Tabucchi. Nel volume pubblicato vi anche una prefazione di Italo Calvino (32). Linsieme del progetto si intitola Dal fiume al mare. Lo spunto geografico diventa ancora una volta molla per esplorazioni culturali complesse, certamente ancorate al luogo ma anche libere. Si tratta nuovamente di viaggi che sono fisici, s, ma soprattutto mentali. Inizia anche, in questi anni, un viaggio nelle istituzioni pubbliche, che diventano committenti per il lavoro dei fotografi. Gli incarichi pubblici ai fotografi in operazioni dedicate al territorio e al paesaggio contemporaneo si moltiplicano fra anni Ottanta e anni Novanta. Questo metodo di lavoro, matrimonio produttivo fra le singolarit degli artisti e la collettivit simbolicamente rappresentata dagli enti pubblici (Regioni, Province, Comuni, Comprensori) si rivela assai costruttiva e utile per lo sviluppo della fotografia italiana contemporanea. Costituisce per i fotografi un terzo polo di lavoro e di impegno culturale insieme, accanto a quello della professione volta a produrre fotografia commerciale e a quello del mercato dellarte, duro ancora da penetrare. Fa del fotografo un operatore culturale, lo lega al territorio, contribuisce alla nascita di collezioni pubbliche di fotografie legate ai territori nei quali esse vengono realizzate e abitua gli enti pubblici alla fotografia contemporanea, favorisce il dibattito teorico. Nel suo procedere organizzato e dinamico anche il rapporto con la committenza pubblica , per i fotografi di quegli anni, a suo modo un viaggio. Da Napoli a Milano, da Trieste a San Casciano, ai territori piemontesi, a Roma, a Venezia Marghera, Carpi, Modena, Reggio Emilia, Napoli, Bolzano, a molti, moltissimi luoghi, la committenza pubblica affidata ai fotografi paesaggisti diventa una realt che costruisce piano piano un metodo di lavoro e una profonda riflessione sulle trasformazioni del nostro territorio (33). I fotografi viaggiano, osservano laspetto del mondo in cui viviamo, e insieme elaborano nuovi codici per la fotografia italiana che, intanto, matura e diviene contemporanea.

Alcuni di questi fotografi sono i protagonisti assoluti della nostra cultura fotografica pi avanzata. Ed interessante notare come ognuno di essi abbia inteso il viaggio nel paesaggio secondo concetti diversi. Cerchiamo di vedere questa diversit, per capire quanti concetti di fotografia e insieme di viaggio siano possibili. 8. Mario Cresci: viaggio nel sud e misurazione del territorio Mario Cresci (Chiavari 1942), prima di dedicarsi, negli anni Ottanta, allosservazione del paesaggio e come gli altri suoi compagni di strada alle campagne di committenza pubblica sul territorio, sviluppa negli anni Settanta ricerche molto importanti in Basilicata, operando su pi livelli: lanalisi del paesaggio, lanalisi degli oggetti prodotti dagli abitanti del territorio, lanalisi del linguaggio della fotografia e dei suoi codici. Pubblica parte del suo complesso lavoro in un volume del 1979 dal titolo Misurazioni. Fotografia e territorio. Nella presentazione scrive un testo dal titolo Fotografia e memoria. Le immagini della prima parte del libro rappresentano un aspetto del lavoro fotografico svolto in Basilicata dal 1967 ad oggi (cio al 1979, n.d.r.). Con il gruppo durbanistica Il Politecnico, la fotografia si poneva sin dallora come mezzo di lettura critica della realt contadina in una analisi globale che partiva dal territorio circostante per arrivare alla sistematica ripresa del paese, delle case, degli spazi interni ed esterni e dei momenti della vita quotidiana in un continuo rapporto tra la fotografia e il tempo reale delle situazioni. A distanza di anni si pu definire il lavoro di Tricarico come uno dei primi interventi in Italia sulla cultura materiale nel Mezzogiorno. Da questa esperienza, durata dal 67 al 72, nasce il mio rapporto con la Basilicata e i problemi delle aree meridionali; la ricerca fotografica continua saltuariamente sino al 74 e in questi ultimi due anni si identifica nelle misurazioni. Misurazioni il senso, il modo di condurre e vivere un lavoro sul campo in un ambito ben preciso e ricco dimplicazioni ed nello stesso momento loccasione per lanalisi di un comportamento riferito esplicitamente sia al mezzo fotografico che alla realt sociale. Negli oggetti ripresi inizialmente nel loro ambiente e poi nello studio ho trovato un riscontro con la memoria e la creativit degli anziani che li hanno realizzati al di fuori di qualsiasi uso commerciale; nel caso degli oggetti intagliati nel legno da ex contadini e pastori, ancora maggiore il recupero della memoria e del tempo vissuto nei campi. Ho fotografato, volta per volta, gli attrezzi, la casa, gli oggetti e i gesti come elementi indicativi di una cultura autonoma e non certo subalterna a nessunaltra sul piano del rapporto materiale con il mondo delle cose e del linguaggio. Attraverso accostamenti di fotografie ho cercato una serie di analogie che a livello visivo individuano segni, forme e significati traslati su materiali diversi a testimonianza che il rapporto uomo-ambiente, nel suo isolamento, ha creato nel tempo la propria identit raffigurata e costruita in valori duso e credenze (architettura scavata, insediamenti mimetizzati o emergenti, artigianato, masserie, recinzioni per le greggi, attrezzi da lavoro, marchi del pane, ceramiche, ex-voto, feste, riti, ecc.). La seconda parte del libro la diretta conseguenza della prima, vissuta come esperienza di lavoro in una cooperativa di giovani artigiani di Matera (34). Cresci unisce cio paesaggio, abitazioni, oggetti contadini, attrezzi da lavoro, in un concetto molto complesso di territorio. Il suo viaggio una misurazione vera e propria di tutto ci che compone la cultura e la vita delle persone che vivono nelle zone del Meridione nelle quali egli stesso sceglie di vivere per un lungo periodo. Si tratta, in sostanza, di un ri-conoscimento di quella cultura e al tempo stesso di se stesso, uomo e artista che in essa cerca un inserimento. La fotografia di Cresci, tagliata in senso sperimentale, utilizza codici molto vari e opera in senso non solo e non tanto documentaristico, ma metalinguistico, cio rivolto allanalisi del linguaggio stesso della fotografia, analizzando contemporaneamente gli oggetti, i luoghi, la loro storia - e la natura della fotografia. 9. Roberto Salbitani: il viaggio come interrogazione esistenziale Molto diversa lesperienza che Roberto Salbitani (Padova 1945) compie negli anni Settanta. Proveniente dal reportage, ma sensibile alla fotografia critica ed enigmatica di Frank e Friedlander, Salbitani osserva

pensosamente la realt che lo circonda, i mutamenti nei luoghi e nelle persone. Tutta la sua fotografia pu essere definita un vero e proprio viaggio In particolare, in una specifica ricerca che porta proprio il titolo Viaggio (1974-1982), Salbitani utilizza il treno come luogo per riflettere sulla condizione umana, sulla conoscenza degli altri, sulla relativit dellesperienza di vita e della conoscenza. Scrive: In questa serie di fotografie - in tutto circa ottanta - c landare avanti e indietro per treni che continuato per tutta la mia vita. Sono affezionato ai treni, nonostante questo loro tirarmi a corpo morto facendomi essere parallelo a tutto, sempre orizzontale senza mai poter vedere dove la loro testa mi sta conducendo. Si alloggia per un po in un corpo di ferro e di finta pelle diviso in tanti scomparti dove uno sceglie un posto (non scelta da poco, sono in gioco sensazioni di rilassatezza o di imbarazzo o addirittura di fastidio, e lo rivela quellattimo di esitazione che prende il viaggiatore sulla soglia di uno scompartimento). Il treno mi fa sfiorare i corpi ed i gesti di persone di cui potrei in fondo disinteressarmi perch nulla mi lega a loro tranne quel casuale trovarsi vicini in un punto dello spazio, in una frazione di tempo fra infinite. Questa coincidenza di vite, destini e direzioni, che gi non pi la stessa uno scomparto pi in l, che spazzata via dal treno successivo, mi spinge ad aggrapparmi a qualcosa. In tanti foglietti sparsi ho fissato per anni le mie sensazioni di viaggiatore parallelo, per cos dire. Con le fotografie ho cercato di allargare il raggio delle impressioni immediate, tentando un improbabile e sfaccettato ritratto del viaggiatore. Persone e vedute, spazi e tempi diversi, che si compenetrano e si riflettono luno nellaltro. Prospettive in sovrapposizione nella ricerca di un collegamento unificante ed ideale delle situazioni, degli accidenti di viaggio. Chi erano effettivamente quelle persone, mi chiedo, quali luoghi reali scorrevano fuori dalle cornici di quelle finestre prima che io assegnassi loro un posto nel mio treno, nel mio viaggio? Guardandolo oggi, ho limpressione di averlo sognato, quel viaggio (35). Salbitani utilizza la fotografia in senso esistenziale, sentimentale si potrebbe dire, non senza una vena di malinconia. Pensa al destino, agli incontri che facciamo, allimprevedibilit della nostra vita, che un incontro pu del tutto mutare. La fotografia diventa strumento di registrazione di situazioni che valgono in se stesse ma, al di l del racconto, assumono valore simbolico. Il treno diventa, in questo senso, simbolo stesso della vita, che altro non che un transitare. 10. Guido Guidi: viaggio come pensiero che si fa Guido Guidi (Cesena 1941), fondamentale protagonista della stagione della fotografia di paesaggio italiana, compagno di strada di Ghirri, attivo ormai da trentanni, fotografo presso la Facolt di Architettura dellUniversit di Venezia, elabora un concetto di viaggio ancora diverso e assai aperto e problematico: in questo senso molto contemporaneo. Egli ha passato letteralmente la sua vita sommando viaggio a viaggio, da Cesena, dove vive, a Venezia, dove lavora, oppure lungo la Via Emilia, o su molte strade italiane sulle quali ha lavorato in incarichi pubblici, o su molte strade dEuropa, sulle quali ha svolto progetti. Da molti anni passa molto del suo tempo in automobile, scendendo da essa per fotografare. Esplora e torna ad esplorare litorali marini, tenere campagne, boschi, periferie, strade e autostrade, montagne, case contadine, vecchi impianti industriali: si interroga sulle modificazioni che avvengono nellaspetto del mondo mentre la sua stessa esistenza si modifica allinsegna del viaggio. La sua fotografia, la cui tessitura comprensibile solo nel tempo, lavoro in fieri, un lavoro programmaticamente non finito, silenzioso, non facile in quanto frammentario e indefinito come i veri viaggi. Tutti i suoi progetti sono aperti, pronti a prendere direzioni altre da quelle dalle quali sono partiti. Quando scrive, Guidi usa la scrittura allo steso modo, per brani, per tracce anche lasciate da altri. Cita spesso scritti di altri pi che scrivere parole sue. Alcuni esempi: Non guardarti in giro, cammina! madre al bambino uscendo dalla porta di casa, Venezia, ore otto della mattina

Camminare lungo un percorso mettendosi, di volta in volta, nelle scarpe di un bambino, di un elettricista, di un intellettuale, di un fotografo,...di un cane, ammesso che i cani portino le scarpe...e in fine di tutti in un solo colpo. suggerimento di Italo Zannier agli studenti del corso di laurea in Urbanistica a Preganziol ...non facciamo altro che restituire al nostro suolo silenzioso e illusoriamente immobile, le sue rotture, la sua instabilit, le sue imperfezioni; e, sotto i nostri passi, di nuovo si turba. Michel Foucault, Les mots et les choses, Editions Gallimard, Paris 1966, ed. it. Le parole e le cose , Rizzoli, Milano 1978. (36) E ancora: La tua vita dipende un po dalle tue scarpe; curale come si deve, e non perderai che un quarto dora al giorno. R. Daumal. In un recente seminario Bernardo Secchi affermava, in modo provocatorio, che lurbanistica si fa coi piedi. La fase iniziale del lavoro dellurbanistica camminare attraverso, mettersi in ascolto. Durante un viaggio recente attraverso la Polonia, Marco Venturi mi ricordava che le ultime composizioni di Luigi Nono hanno per titolo un testo scritto da un anonimo sul muro della cattedrale di Toledo: No hay caminos, hay que caminar, allincirca: non hai strade, hai solo da camminare. Il tema del camminare rinvia a quello delle tracce, vi sono tracce che noi troviamo a che talvolta tentiamo di leggere, riguardo cio la preoccupazione che altri potrebbero leggere le nostre tracce, Pontiggia, in una conversazione citava da Il Monte analogo: Quando vai alla ventura, lascia qualche traccia del tuo passaggio, che ti guider al ritorno: una pietra messa su unaltra, dellerba piegata da un colpo di bastone. Ma se arrivi a un punto insuperabile o pericoloso, pensa che la traccia che hai lasciato potrebbe confondere quelli che ti seguissero. Torna dunque sui tuoi passi e cancella la traccia del tuo passaggio. Questo si rivolge a chiunque voglia lasciare in questo mondo tracce del proprio passaggio. E anche senza volerlo, si lasciano sempre delle tracce. Rispondi delle tue tracce davanti ai tuoi simili. E poi ancora Pontiggia a ricordare che il Tao dice: un buon camminatore non lascia tracce. Queste modalit mi sono molto care e le ritrovo allo stato nascente nel lavoro di Gloria E Francesco, lavoro che mi appare come registrazione non di un pensiero fatto ma di un pensiero che si fa (citazione taciuta di una frase di Antonioni, n.d.r.), un percorso legato piuttosto alla verit che alla logica (37). Un altro esempio: Prima ragazza: io fotograferei tutto...tutti. Seconda ragazza: Tutti quelli che incontro. (conversazione raccolta per strada, Milano, febbraio 1999) Fu per me uno shock. Mi trovavo in distese sconfinate della terra e di tanto in tanto, quando camminavo allaperto o sfrecciavo in macchina lungo una strada, la luce sferzava un particolare e per pochi minuti gli scenari si trasformavano. (Stephen Shore, Uncommon Places, traduzione di Paolo Costantini) (38) Le sue fotografie sono tracce come le parole che raccoglie o sommessamente, raramente scrive. Per Guidi, il mondo non pu essere organizzato in racconto. Tutto ci che il fotografo pu fare raccogliere dei frammenti, dei pezzi sparsi. La fotografia , sostanzialmente, esperienza di vita, percorso aperto, non definito, viaggio che accade e che si fa man mano, lungo la strada, sia nellesperienza fisica che nel pensiero. 11. Gabriele Basilico: fotografia come contemplazione Gabriele Basilico (Milano 1944), uno dei paesaggisti italiani pi noti in Europa, ha costruito una ipotesi di fotografia, in quel pieno stile documentario indicato da Walker Evans, come lentezza dello sguardo, secondo le sue parole, e come forma di contemplazione del reale. Basilico ha lavorato in moltissime committenze pubbliche sia in Italia che allestero, costruendo ogni volta progetti saldamente legati ai territori sui quali si trovava a lavorare. La sua opera, in questo senso,

costituisce un potente archivio della contemporaneit, una vastissima documentazione del paesaggio industriale e post-industriale europeo nelle sue trasformazioni, dalla fine degli anni Settanta in poi. Il fotografo milanese matura la sua ipotesi di fotografia come contemplazione proprio nellambito di un viaggio in Francia, a met anni Ottanta, quando viene incaricato dal governo francese di sviluppare una lettura del paesaggio del nord della Francia allinterno della importante Mission Photographique de la DATAR, operazione voluta dallo stato francese (1984-1989) al fine di ottenere una efficace e libera documentazione dei molti aspetti e dei problemi del territorio di tutto il paese attraverso la lettura di quasi trenta importanti fotografi europei e statunitensi. Proprio operando in un territorio per lui in quel momento nuovo capisce di dover abbandonare unidea di fotografia come veloce ripresa di una situazione nel suo svolgersi (metodo caro al reportage) e decide di adottare tempi lunghi di osservazione che consentano una comprensione del paesaggio, una sorta di abbraccio e di riflessione. Sceglie una fotografia pura, semplice, tutta fondata sulla luce e la chiarezza dellinquadratura: una fotografia tutta dedicata al luogo che ha davanti. In un testo del 1992 dal titolo Per una lentezza dello sguardo scrive: (...) Prima del 1984 i miei approcci con la fotografia di ricerca (o meglio con quella che definirei fotografia di libera interpretazione di fatti, luoghi, persone) erano stati sporadici e caratterizzati da brevi incarichi o libere e autonome ricerche, conquistati e sottratti con determinazione ad altre attivit di natura professionale. Il fascino di ognuna di queste singole avventure verso temi e luoghi delezione era in me anche esaltato dalla possibilit di staccarmi dal lavoro quotidiano e il tempo disponibile, come per un regalo prezioso, doveva essere sfruttato al massimo per consentirmi comunque un rapporto armonico fra metodo di lavoro e tempo concessomi. Ne conseguiva una sorta di rapidit nel vedere e nel fermare le cose, dove la predilezione per i soggetti fissi non sapeva rinunciare a uno sguardo veloce, non dissimile dalle tecniche di ripresa del reportage. Dopo aver osservato e captato le situazioni, nasceva in me il bisogno di fissarle rapidamente per garantirmi comunque un certo ritmo operativo. Altro aspetto caratteristico del mio modo di procedere nel periodo che definirei pre-DATAR, era lattitudine a selezionare alcuni frammenti della realt anche nei soggetti preferiti e ricorrenti nella mia ricerca, soggetti quali larchitettura, il paesaggio urbano, larcheologia industriale, che affrontavo da una parte come separati dal mondo e dallaltra attraverso un esercizio personalizzato di linguaggio alla ricerca di un metodo di rappresentazione che fosse rigorosamente unitario: utilizzo della luce chiara e netta, gioco ricompositivo delle ombre, ridisegno prospettico dello spazio, sequenza dei piani focali, distanza, ecc. Scelte tematiche molto precise, quindi, tipologicamente assimilabili e predilezione per frammenti specifici, estratti dal contesto, quasi a caricarne sintatticamente laspetto simbolico: unattenzione per il frammento come campione del tutto e per lo sguardo originale, come messaggio di una propria autonoma identit. Negli anni 1984-85 il lavoro condotto lungo le coste del nord ella Francia mi ha consentito una lenta e progressiva modificazione del modo di osservare, un arricchimento nel rapporto tra lo sguardo e la rappresentazione del mondo. Rivedendo le immagini che risalgono ai primi mesi della campagna, realizzate in piccolo formato, con la volont manifesta di raccontare tutto il visibile e tutto quanto mi sembrava interessante raccontare, senza tralasciare occasioni, mi sembra di rilevare che, oltre alla necessit di costruirmi un taccuino da viaggio, persistesse lintenzionalit evidente di utilizzare tecniche fidate, lo sguardo pi complessivo ed esteso quale strumento per una lettura sicura e per continuare, anche in questa occasione deccezione, un gioco per me mai interrottosi. Ma nel prolungarsi della campagna, nel vedere e rivedere i luoghi che maggiormente mi avevano interessato e soprattutto nellabbracciare temi per me assolutamente inediti, come il paesaggio naturale e le grandi vedute, con luso lento e riflessivo della camera 10x12, ho scoperto nuovi orizzonti, ho improvvisamente allargato, e in certo senso semplificato, losservatorio sul mondo, dilatando nello stesso tempo le mie capacit percettive: uno sguardo lontano e un tempo rallentato mi avevano consentito di scoprire le cose osservate quasi al di l della loro apparenza. Le grandi visioni dinsieme, i punti di fuga che avvicinano lorizzonte, il gioco dialettico dei vari piani e larmonia che unisce le diverse parti, erano diventati per me nuovi terreni di conquista. Losservazione insistente e il ritorno in alcuni luoghi avevano generato un rapporto di maggiore confidenza, quasi di affetto, come se le citt, i villaggi, i cieli, le campagne, i paesaggi, guardati con il giusto approccio, avessero potuto restituire e irraggiare una loro armonia che aveva come riscontro un mio armonico benessere di comprensione. Al momento decisivo, al quale mi aveva abituato la lezione del reportage, avevo preferito sostituire, attraverso progressioni successive, la lentezza dello sguardo, quasi a voler cogliere tutti i particolari fino alla complessit delle cose che, a una minuziosa osservazione, il paesaggio sapeva restituire. In queste condizioni mi piace pensare di essere quasi scomparso, in quanto fotografo, di essermi saputo mettere da parte, rinunciando la narcisismo e a una rappresentazione troppo soggettiva e spesso artificiosa in

favore di una riproduzione apparentemente oggettiva fino allassenza, ma caratterizzata dal rispetto verso le cose. In fondo penso che le immagini pi forti, quelle pi rappresentative di questo nuovo approccio, consentano di leggere una realt pi complessa e articolata, carica di valori reali che lega in un rapporto esistenziale, come in un magico rito, uomini e cose. Grande formato, cavalletto, ritmo rallentato, atteggiamento pi meditativo, raggiungimento di grande dettaglio, non concorrono alla celebrazione di un virtuosismo tecnico e di un appagamento formale, ma hanno creato in me i presupposti per un modo nuovo di capire e di trattenere la realt con un atteggiamento segnatamente contemplativo. Contemplazione: parola che per anni ha significato solo sentimentalismo e disimpegno, per me oggi significa visione diretta e cosciente, pura, senza acrobazie di interpretazione. Non serve pi costruire la fotografia in maniera artificiosa poich, dato un punto di vista eccezionale, sufficiente guardare in modo normale, rinunciando alle perversioni delle ottiche: la fotografia diventa meno carica di segno interpretativo, lasciando alla natura e alla luce il compito di esprimersi e autorappresentarsi (39). 12. Mimmo Jodice: viaggio come ritorno alle origini Mimmo Jodice (Napoli 1934), grande protagonista della fotografia italiana contemporanea attenta al paesaggio, grande fotografo di opere darte e sperimentatore di linguaggi della fotografia, maestro della fotografia meridionale (ha insegnato anche per pi di 25 anni allAccademia di Belle Arti di Napoli), approdato a cavallo fra anni Ottanta e Novanta, dunque nella sua piena maturit di artista, a una vasta ricerca dal titolo Mediterraneo nella quale possibile osservare un altro modo di intendere il viaggio e di utilizzare la fotografia come strumento per compierlo. Mediterraneo il punto di arrivo della lunga e complessa riflessione che ormai da anni Jodice, napoletano, sviluppa sulle origini e lantica cultura del Mediterraneo, sulla persistenza del passato nel presente - e su se stesso -. Sono vibranti immagini di frammenti di archeologie, volti e corpi, occhi, bocche, arti che vivono della concretezza del marmo o del mosaico e al tempo stesso appaiono come perse nel tempo, sono paesaggi infuocati, cieli pieni di misteriosi bagliori, architetture, spazi e cavit. Il Mediterraneo, ventre antico, fucina di storia e di cultura, per Jodice un laboratorio sentimentale e mentale che gli consente di recuperare, nella sua piena maturit, unespressivit emozionata vicina a quella dei suoi esordi di irrequieto indagatore dei codici della fotografia. Il viraggio leggero e il mosso scaldano e muovono queste immagini cariche e un poco disperate nelle quali Jodice pensa alla gente antica del sud, non pi ripresa dal vero come aveva fatto negli anni Settanta, ma divenuta scultura, dipinto, icona, trasformata per sempre in traccia della storia dellarte. La dimensione del presente appare, in questo lavoro, del tutto mediata dallazione congiunta della memoria e dellarte. Scrive: (...) vivo in questi luoghi come se fossi uno di duemila anni fa. Col passato ho un bel rapporto perch evidentemente ripulito da tutte le cose negative che vi saranno forse state , mi trovo a mio agio perch non mi trovo a contatto con questa civilt. (...) la nostra societ corre, sta su un piano inclinato e non se ne rende conto. Io provo paura, mi pare che ci sia una follia collettiva alla quale non mi sento di partecipare (40). La memoria serve ad isolarmi dal presente. (...) Il passato mi rassicura con le sue certezze mentre il futuro mi inquieta. Con limmaginazione, i templi, le strade, e le stesse statue rivivono, il tempo non esiste pi, passato e presente diventano una cosa sola (41). Nel libro Mediterraneo, pubblicato nel 1996, lo storico dellarte George Hersey e lo scrittore Predrag Matvejevic scrivono parole importanti e partecipi sul lavoro di Jodice. Hersey definisce Jodice il fotografo di una desolazione bella, di scene le cui vestigia umane parlano di coloro che sono morti da molto tempo, di luoghi e di manufatti abbandonati alla profondit del tempo. Nella serie Mediterraneo si riconoscono principalmente due tipologie. La prima rappresenta una scena, un teatro, spesso rovinoso e inselvatichito; qui troviamo citt perdute e paesaggi distrutti, spiagge con scogli semiumani, cieli violenti. Nel secondo tipo di immagini, come attori che si muovono in questi teatri, Jodice fornisce visioni di corpi e volti antichi, antichi animali e mostri scomposti, spesso visti dallocchio della macchina fotografica come colti da un repentino, argenteo volo. Matvejevic porge una riflessione sul Mediterraneo, passa attraverso un interessante collegamento con lalbum di famiglia (Gli album di famiglia sono stati per molti di noi il primo vero atlante: limmagine del mare prima del nostro incontro con il mare), si spinge a immaginare le foto di famiglia di Mimmo Jodice per poi giungere a parlare della sua ricerca: Il lavoro di Mimmo Jodice definito in primo luogo dai suoi

rifiuti e dalla sua ascesi. Rifiuta ogni confessione e qualsiasi eloquenza, coltiva la reticenza e la discrezione (...) I luoghi da lui scelti o eletti portano impronte di sacralit (42). E chiaro che questa ricerca di Jodice un vero e proprio viaggio allindietro, alle origini di una civilt e alle proprie origini di uomo fortemente legato alla cultura del Mediterraneo. La fotografia, ben lontana dallessere strumento di documentazione, diventa espressione di visionariet e di invenzione di figure immaginarie, di proiezioni di fantasmi.

Note (1) = Alcune delle riflesioni che seguono provengono in particolare da due miei scritti: Dilatazioni del paesaggio dilatazioni della fotografia, in : M. Galbiati, P. Pozzi, R. Signorini (a cura), Fotografia e territorio, Guerini e associati, Milano 1995; Viaggi organizzati, in: W. Guerrieri (a cura), Via Emilia Luoghi e non luoghi, Linea di Confine per la Fotografia Contemporanea, Rubiera 2000. (2) = Jean Baudrillard, Amerique, Editions Grasset & Fasquelle, Paris 1986; ed. it. LAmerica, Feltrinelli, Milano 1987, pag. 13-14. (3) = Idem, ibidem, pag. 7. (4) = Cfr. Marc Aug, Non lieux, Editions du Seuil, Paris 1992; ed. it. Non luoghi, Eluthera, Milano 1993, pag. 71-74. (5) = Wim Wenders, Una volta, con una intervista di Leonetta Bentivoglio, prefazione di Daniele Del Giudice, Edizioni Socratres, Roma 1993, pag. 392 (ed. or. 1993 Frankfurt am Main). (6) = Roland Barthes, La chambre claire, Editions du Seuil, Paris 1980; ed it. La camera chiara, Einaudi, Torino, 1980. (7) = Susan Sontag, On Photography, New York, Farrar Strauss and Giroux, 1973; trad. it. Sulla fotografia, Einaudi, Torino 1978. (8) =Pierre Bourdieu, Une art moyen.Essais sur les usages sociaux de la photographie, Les Editions de Minuit, Paris 1965; trad. it. La fotografia. Usi e funzioni di unarte media, Guaraldi, Rimini, 1972. (9) = Jean Claude Lemagny, Histoire de la Photographie, Bordas, Paris 1983; ed. it. Storia della fotografia, Sansoni, Firenze 1987. (10) = dichiarazione in U.S. Camera Annual, New York, pag. 115, pubblicato in italiano nel volume: Nathan Lyons (a cura), Fotografi sulla fotografia, Agor, Torino 1985. (11) = Jack Kerouac, Introduction, in: Robert Frank, Les americains, Delpire Editeur, Paris 1958. (12) = Jack Kerouac, On the Road, New York 1957, ed it. Sulla strada, Mondadori 1959, e molte edizioni successive. La citazione a pag. 12 delledizione Oscar Mondadori, Milano 2000). (13) = Rod Slemmons, A Precise Search for the Elusive, in: Lee Friedlander, Like a One-Eyed Cat. Photographs 1956-1987, Harry N. Abrams Inc, New York 1989. (14) = R. Jenkins (a cura), New Topographics: Photographs of a Man-altered Landscape, International Museum of Photography at George Eastman House, Rochester 1975. (15) = Roland Barthes, Le message photographique, in Communications, 1961; trad. it. Il messaggio fotografico, Almanacco Bompiani, Milano 1961, poi in: Roland Barthes, Lovvio e lottuso, Einaudi, Torino 1981). (16) = Umberto Eco, Opera aperta, Bompiani, Milano 1962. (17) = Franco Vaccari, Fotografia e inconscio tecnologico, Punto e Virgola, Modena 1979; poi Agor, Torino 1994, con prefazione di Roberta Valtorta. (18) = Franco Vaccari. Opere: 1966-1986, con saggio critico di Renato Barilli e antologia critica, Edizioni Cooptip, Modena 1987, catalogo della mostra alla Palazzina dei Giardini, Modena 1987. (19) = Idem, ibidem. (20) = Idem, ibidem. (21) = Luigi Ghirri, Paesaggi di cartone, in Il Diaframma/Fotografia Italiana, n. 188, dicembre 1973, pag. 28; poi in: Paolo Costantini e Giovanni Chiaramonte (a cura), Luigi Ghirri. Niente di antico sotto il sole. Scritti e immagini per unautobiografia, SEI, Torino 1997, pag. 17. (22) = Luigi Ghirri, introduzione di Arturo Carlo Quintavalle, testi di autori vari e di Luigi Ghirri, CSAC, Parma/Feltrinelli, Milano 1979; poi in: Paolo Costantini e Giovanni Chiaramonte, op. cit., pag. 30.

(23) = Luigi Ghirri, Kodachrome, Punto e Virgola, Modena 1979; poi in: Paolo Costantini e Giovanni Chiramonte, op. cit., pag. 18. (24) = Luigi Ghirri, op. cit. poi in: Paolo Costantini e Giovanni Chiaramonte, op. cit. pag. 31. (25) = Idem, ibidem, pag. 24. (26) = Idem, ibidem, pag. 26. (27) = Idem, ibidem, pag. 37. (28) = Idem, ibidem, pag. 36. (29) = Luigi Ghirri, Gianni Leone, Enzo Velati (a cura), Viaggio in Italia, Il Quadrante, Alessandria 1984, catalogo della mostra alla Pinacoteca Provinciale di Bari, con scritti di Arturo Carlo Quintavalle e Gianni Celati. (30) = Idem, ibidem, pag. 20-35. (31) = Gianni Celati, Verso la foce, Feltrinelli, Milano 1989, pag. 9. (32) = AA.VV., Esplorazioni sulla Via Emilia. Vedute nel paesaggio, Feltrinelli, Milano 1986; AA.VV., Esplorazioni sulla Via Emilia. Scritture nel paesaggio, Feltrinelli, Milano 1986. (33) = Per approfondimenti su questo tema si veda: Roberta Valtorta, La fotografia di paesaggio come fotografia, in: Achille Sacconi e Roberta Valtorta (a cura), 1987-1997 Archivio dello spazio. Dieci anni di fotografia italiana sul territorio della provincia di Milano, Art&, Udine 1997. (34) = Mario Cresci, Misurazioni. Fotografia e territorio. Oggetti, segni e analogie fotografiche in Basilicata, Edizioni Meta, Matera 1979). (35) = Roberto Salbitani, Il viaggio. Fotografie 1971-1994, con un testo di Italo Zannier e scritti di Roberto Salbitani, CRAF, Spilimbergo 1994. (36) = Guido Guidi, SS9, Linea di Confine per la Fotografia Contemporanea, Rubiera, 2001. (37) = Guido Guidi, presentazione del lavoro di Gloria Salvatori e Francesco Raffaelli in: Paolo Costantini e William Guerrieri (a cura), Venti fotografi italiani, Comune di Carpi 1995. (38) = Roberta Valtorta (a cura), Milano senza confini, Silvana Editoriale, Milano 2000. (39) = Gabriele Basilico, Bord de mer, con un testo di Bernard Latarjet, Art&, Udine 1992. (40) = Arturo Carlo Quintavalle, Muri di carta. Fotografia e paesaggio dopo le avanguardie, Electa, Milano 1993. (41) = Alessandra Mauro, Lo sguardo da sud. Conversazioni su sud e fotografia, Lancora, roma 1999. (42) = George Hersey e Predrag Matvejevic in: Mimmo Jodice, Mediterraneo, Art&, Udine 1995.

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