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Galleria Nazionale di Arte antica Palazzo Barberini, 3 novembre 2011 29 gennaio 2012
Introduzione
La Galleria Nazionale di Arte Antica in Palazzo Barberini unistituzione antica, ma un museo giovane, che solo da pochi mesi ha concluso la sua piena rinascita. A giugno infatti, al termine di un restauro completo, stato aperto il secondo piano che ospita le opere risalenti al periodo dal tardo Barocco al Neoclassico con le quali si conclude un ricco percorso di 34 sale. La Soprintendenza ha ora il compito di far vivere il museo attraverso una fitta attivit di eventi, mostre, concerti e altro ancora. Tra queste rientra certamente la collaborazione tra musei di tutto il mondo grazie alla quale si instaurato uno scambio con il Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid. Abbiamo infatti risposto positivamente alla loro richiesta di poter esporre nella mostra Arquitecturas Pintadas da loro organizzata il dipinto raffigurante la Adultera di Tintoretto. In cambio abbiamo ottenuto il prestito del Ritratto di giovane di Raffaello e collaboratore, intenso e intimo al tempo stesso, di un naturalismo sorprendente. Ma soprattutto intendevamo proporre un confronto mai realizzato, ma auspicato da tanti studiosi tra lesemplare di Madrid e la Fornarina. Due opere risalenti alla stessa fase tarda dellattivit di Raffello accomunate da un sottile filo di mistero legato allidentit del personaggio raffigurato, che in entrambi i casi gioca un ruolo primario, aggiungendo un fascino particolare alle due rappresentazioni. Ma lo stile e limpostazione a unire poi le due opere, concepite sullonda di uno stesso intenso dialogo con il riguardante verso il quale volgono il loro sguardo, quasi a comunicare tutta lessenza della loro persona. La Galleria Nazionale di Arte Antica proseguir su questa strada con incontri, conferenze, mostre-dossier, scambi, che di volta in volta mettano in luce un aspetto della ricca e articolata raccolta, nata da un collezionismo diffuso di varia provenienza che ancora oggi si accresce di nuovi acquisti di cui si dar presto conto. Nostro compito proprio quello di incentivarne una conoscenza sempre pi diffusa e una piena valorizzazione dei suoi capolavori. La mia riconoscenza va al direttore del Museo Thyssen-Bornemisza, Guillermo Solana, e al direttore della Galleria Nazionale dArte Antica di palazzo Barberini, Anna Lo Bianco, che hanno reso possibile la realizzazione di questa importante iniziativa Rossella Vodret
Soprintendente per il Patrimonio storico artistico ed etnoantropologico e per il Polo museale della citt di Roma
accogliere la proposta per le profonde differenze somatiche tra i due soggetti, evidenti anche se effigiati in et diverse. Infatti nellesemplare di Chicago si colgono perfettamente i tratti marcatissimi, quasi esotici del figlio di Clemente VII, nato da una relazione con una popolana romana, spesso indicata come una schiava di colore. La terza ipotesi, che fa il nome di Pier Luigi Farnese (1503 - 1547), appare invece pi verosimile gi a partire dalla fonte, LInventario delle Suppellettili del Conte Giulio Cesare Gonzaga di Novellara, stilato nel 1676. Qui, nella sesta stanza, stanza dei ritratti, si fa menzione di Un quadro alto onc[cie] 10 largo onc[cie] 6 e in tavola . Una testa del Ser. Mo Sig. Duca Pier Luigi Farnese giovane con manto rosso di Raffaele di Urbino.(Campori) Ed ecco che i dettagli si incastrano perfettamente a cominciare dalle misure. Loncia, allora in uso come misura lineare a Parma, corrisponde a 4 cm. e mezzo (A. Martini, Manuale di metrologia, Roma 1976) e, fatta la conversione, abbiamo una dimensione di cm. 45 x 29,5, a fronte di quella effettiva della tavola di 43,8 x 29cm. A questo si aggiunge il rimando alla raffigurazione limitata alla testa, peraltro inconsueta, e allet giovanile del soggetto; anche laccenno al manto rosso non si discosta poi troppo dal rosa del dipinto. Non abbiamo altri ritratti giovanili di Pier Luigi Farnese, ma ne esiste uno in et matura eseguito da Girolamo Mazzola Bedoli conservato nella Galleria Nazionale di Parma, che, sebbene barbuto e diverso, mostra qualcosa di volpino e acuto nel volto, cos da rendere non impossibile laccostamento. Coinciderebbe anche la cronologia perch se riferiamo la tavola della Thyssen agli anni attorno al 1517 a tale data il personaggio avrebbe circa quattordici anni. Ma siamo nel campo delle ipotesi: lidentit del personaggio resta un mistero e questo aggiunge certamente un alone di fascino al piccolo ritratto. Lattribuzione e i confronti Lattribuzione a Raffaello come per la maggior parte delle opere non citate dalle fonti risalenti agli ultimi anni di attivit del pittore, quando era contornato da tanti giovani talenti in una bottega fiorentissima, non unanime. Sullargomento la ricostruzione riportata da M. Natale, alla quale rimandiamo, esauriente. Lo studioso ricorda che al momento dellacquisto, avvenuto nel 1928 presso Julius Blher a Berlino, la tavola era riferita a Giulio Romano ma gi nella mostra del 1930 a Monaco W. Suida sottolineava l intensa vivacit e la naturalezza dellopera richiamando laffinit con la Velata di Palazzo Pitti. Dopo questo autorevole giudizio, Hartt e Freedberg nei loro ampi studi su Giulio Romano, ignorano il ritratto che viene pubblicato nel 1964 nel catalogo della collezione Thyssen a Lugano da P. Hendy come uno dei pi spontanei e brillanti ritratti del periodo. Si succedono poi pareri diversi, tutti per concordi nel riconoscere allopera prerogative uniche di freschezza e vitalit. Lidea generale, con diverse inflessioni, quella di annoverarla in quella produzione ai confini tra una totale autografia del maestro e la partecipazione di allievi. Tra i giudizi pi lusinghieri quello di Silvia Ferino Padgen (1989) che attribuisce a Raffaello lintera ideazione e impostazione del quadro su cui si inserisce laiuto degli allievi. Per M. Natale, che ha dedicato uno studio cos analitico alla tavola , il collaboratore potrebbe essere individuato in Raffaellino del Colle; per Meyer Zur Capellen, che ha scritto ancor pi recentemente una monografia in pi volumi sui
dipinti di Raffaello, al mistero dellidentit si aggiunge quello dellautore, per lui il maestro con la collaborazione di Giulio Romano. Ma forse, come scrive Natale, ha ragione proprio Gombrich (1983) che con la sua consueta ironia raccontava che, tanto pi le opere tarde presentavano i modi di Raffaello, tanto pi la critica li riferiva alla scuola ed il contrario, in una sorta di involuto processo mentale. E quello che avviene nel nostro caso confrontando il ritratto con lopera di Raffaello stesso. La riflettografia eseguita sullopera ha rivelato uno stile veloce, sicuro, senza disegno sottostante ma con piccolissime correzioni, secondo una procedura adottata anche dal maestro. Si gi detto come limpostazione generale, toccante e sofisticata, tutta giocata sullo sguardo e la giovinezza del soggetto, ricalchi quella del Ritratto di Bindo Altoviti, ricordato nella Vita di Vasari. Entrambi sembrano bucare lo schermo anche se la bellezza del primo gioca senzaltro a favore. rispetto allaccento realistico e alquanto irregolare dellesemplare Thyssen. Ma questo realismo estremo, questa vitalit spontanea sembra coinvolgere lo spettatore e estendersi allambiente circostante in un sentimento di equilibrio perfetto tra persona e mondo. Un sentimento che Raffaello riesce a rendere palpabile nei suoi dipinti e che ritroviamo in alcuni esemplari di poco precedenti, risalenti al 1514 15. Il Ritratto di Baldassarre Castiglione del Louvre, ad esempio, che pur nella diversa iconografia ufficiale, invece intimo e quotidiano ed esprime lo stesso senso felice del vivere. Il volto, dai grandi e sereni occhi azzurri, ci comunica la perfetta e consapevole coscienza di s e del proprio amore per la vita. La stessa attitudine di fiduciosa apertura verso il riguardante ricorre nella Velata della Galleria Palatina di Firenze, in cui la perfezione del dettaglio ben visibile nella definizione minuta delle sopracciglia, nulla toglie al respiro universale dellopera. M. Natale , ma ancor prima Laclotte (1965) hanno messo in relazione il quadro Thyssen con il Ritratto di giovane donna, conservato nel Muse des Beaux-Arts di Strasburgo, attribuito alla cerchia di Raffaello o a Giulio Romano. Li accomuna una certa immediatezza e alcune prerogative del volto, ma a mio giudizio sono decisamente diversi nella tecnica di esecuzione. Colori accesi: verde, rosso, giallo oro, toni metallici nel quadro di Strasburgo; trasparenze e tinte morbide nel ritratto Thyssen. La preparazione scura e densa del primo, tipica di Giulio Romano, crea ombre profonde sugli occhi e sul naso, mentre il giovane uomo del museo spagnolo presenta un volto meravigliosamente diafano, dalla pelle luminosa e chiara, come spesso in Raffaello. La differenza risalta anche da altri confronti con lopera di Giulio Romano, lallievo pi fedele del maestro che lo imit nella maniera, invenzione, disegno e colorito come ricorda Vasari. Lattivit degli ultimi anni di Raffaello da sempre argomento di dibattito critico circa la piena autografia e il ruolo dei collaboratori, tra cui Giulio Romano riveste il ruolo di caposcuola. Molte delle Madonne di questo periodo, di cui pu ritenersi un prototipo la Madonna della Perla del Prado e le altre composizioni a questa legate, testimoniano perfettamente una fase estrema in cui il limpido linguaggio di Raffaello si complica nel moltiplicarsi dei dettagli, degli sfondi enigmatici e artificiosi che si aprono dietro le scene sacre, nei contorni guizzanti dei personaggi dalle espressioni pi marcate e dalle pose innaturali e nel colore sfumato, metallico, che preannuncia il Manierismo. Ma anche nei ritratti la complessit prende
talvolta il sopravvento. E il caso del Ritratto di Isabella d Aragona del Louvre, tradizionalmente attribuito a Raffaello, che Meyer zur Capellen ritiene opera di collaborazione tra maestro e discepolo per lartificioso e scenografico sfondo di architetture alle spalle della donna, che movimenta e amplifica la solenne impostazione tradizionale. Nel Ritratto di giovane tutto esplicito e dichiarato; il lieve movimento della testa e del collo non ha nulla di caricato ed esprime tutta la fisicit del personaggio, rendendocela tangibile e comunicandoci la stessa energia. Lincontro con la Fornarina Poter proporre il confronto tra il Ritratto di giovane e la Fornarina crea unopportunit unica di vedere insieme due dipinti pi volte messi in relazione tra loro (M.Natale) , risalenti allultima attivit di Raffaello, uniti da uno stesso filo di mistero. Prima di tutto quello relativo al soggetto ritratto: per entrambi infatti lindividuazione del personaggio gioca un ruolo primario, accrescendo il fascino dellopera. Nel quadro Barberini siamo di fronte alla fanciulla amata dallartista secondo la leggenda, non da tutti per accettata; nella tavola spagnola, al giovane rampollo di una grande famiglia, purtroppo sconosciuta. Eppure, anche se il realismo dei tratti riconduce per entrambi alla loro esistenza vissuta e al loro ruolo, non riusciamo a sciogliere del tutto i nostri interrogativi sulla loro identit. Anche lo stile e limpostazione li unisce. Lartista realizza infatti in modo simile la testa, con una leggera torsione sul collo sodo, e ci fa trapassare dallo sguardo acuto degli occhi scuri da cui emana una vitalit coinvolgente. I volti arrotondati sono privi di ombre e lincarnato trasparente e porcellanato, di un nitore estremo. Una chiarezza di materia e dinvenzione insieme, che vuole sottolineare la piena fisicit dei personaggi, ritratti nel fulgore della giovinezza, immersi con grazia e forza nellatmosfera che li circonda. Entrambi ora, uno di fronte allaltra, si guardano e ci guardano e se percorriamo lo spazio della sala i loro occhi ci seguono senza mai abbandonarci.
Commentario della vita di Agostino Chigi menziona il dipinto nella collezione Buoncompagni in cui era passato dopo il matrimonio dellunica figlia di Caterina Sforza con Giacomo Buoncompagni. Il dipinto descritto nel capitolo su Raffaello, collegato al periodo dei lavori per gli affreschi della villa di Agostino Chigi, come di unopera non precisamente bella che raffigura una cortigiana sul cui braccio sinistro un bracciale reca in lettere doro il nome di Raffaello. La definizione di cortigiana da parte del Chigi aveva forse a che fare con il racconto di Vasari nella sua biografia dell'artista. Fu Raffaello persona molto amorosa ed affezionata alle donne, e di continuo presto ai servigi loro; la qual cosa fu cagione, che continuando i diletti carnali, egli fu dagli amici fosse pi che non conveniva rispettato e compiaciuto. Onde facendogli Agostino Chigi amico suo caro dipignere nel palazzo suo la prima loggia, Raffaello non poteva molto attendere a lavorare per l'amore che portava ad una sua donna; per il che Agostino si disperava di sorte, che per via d'altri e da se, e di mezzi ancora per si, che appena ottenne, che questa sua donna venne a stare con esso in casa continuamente, in quella parte dove Raffaello lavorava; il che fu cagione che il lavoro venisse a fine. In un altro passo Vasari, che non cita alcun dipinto somigliante alla Fornarina, dice che Raffaello tra tanti ritratti femminili fece anche quello della sua amante. Nel Seicento la Fornarina nelle collezioni dei principi Barberini, arricchite di capolavori dopo lelezione di Maffeo Barberini, papa col nome di Urbano VIII (1623). Ne parla Girolamo Teti nel volume dedicato alla grandiosa dimora della famiglia pontificia (Aedes Barberinae ad Quirinalem, 1642). Lerudito usa parole appassionate per descrivere una delle opere eccellenti della raccolta la nobilissima tavola nella quale [Raffaello] dipinse a mezza figura una donna bellissima, animata da un'arte cosi perfetta nei lineamenti e nei colori che veramente dal dipinto parrebbe poter venir fuori una persona viva, anzi una che a guardarla incautamente ti tolga il respiro; e rispetto a lei certo il tuo giudizio non preferirebbe neppure la famosa Campaspe dipinta da Apelle. Sulla qualit del dipinto si esprime anche Francesco Scannelli, autore del Microcosmo della pittura (1657) definendo il ritratto dell'amante di Raffaello: una mezza figura di femmina al naturale nella Galeria dell'Eminentissimo Antonio Barberino dipinta in ordine al gusto di quelle, che sono a Ghisi, creduta il ritratto, e particolar modello della propria Innamorata, Pittura la quale contiene sopra l'altre adequatissime sufficienze dell'arte una pastosit straordinaria con grande, e ben rilevata naturalezza. (Mochi 2000 e bibl. precedente) Solo dalla fine del Settecento documentato lappellativo di Fornarina associato al dipinto: nella prima incisione tratta dalloriginale eseguita da Domenico Cunego nel 1772 liscrizione Raphael Amasia, vulgo La Fornarina riporta evidentemente una tradizione orale. Da allora per tutti la Fornarina. Il personaggio La divulgazione dellimmagine attraverso le incisioni accrebbe la fortuna del dipinto e contribu ad alimentare la concezione romantica che dal primo Ottocento interpret costantemente la tavola come il ritratto dellamante / musa di Raffaello. Il mito si basava su elementi desunti dalle fonti. Si sa infatti dellesistenza di una donna molto amata dallartista; si sa che Raffaello non si spos, nonostante una promessa nuziale
con la nipote del cardinale Bibbiena, suo committente; e che allepoca era nota la sua sensibilit alla bellezza femminile e ai piaceri amorosi tanto da indurre ad attribuire a eccessi sessuali la causa della sua morte. Su questa tradizione si fondano i tentativi di ricostruzione romantica della donna ritratta, e le ipotesi suggestive come quella che partendo da una anonima nota apposta a un'edizione del 1568 delle Vite di Vasari che chiama Margherita la presunta amante di Raffaello - la identifica con Margherita Luti figlia di Francesco senese fornaio (sintesi in Mochi 2000). Lidentit anagrafica della Fornarina costituirebbe naturalmente un tassello fondamentale per ricostruire la genesi e comprendere il significato dellopera. Finora tuttavia i tentativi di identificare la giovane donna raffigurata non hanno prodotto certezze. Per le somiglianze fisiche e per la corrispondenza della posa e di alcuni dettagli come il pendente, il dipinto Barberini stato messo in relazione con la Velata di Raffaello (Firenze, Galleria Palatina). A questo ritratto si riferiva probabilmente Vasari che vide a Firenze, nella casa del mercante Matteo Botti, il ritratto bellissimo duna donna molto amata da lui sino alla morte. I due quadri sono certamente in stretta relazione; e si molto discusso sullidentit delle modelle, se si tratti di una stessa persona o di due personaggi distinti. Sul quesito si sono espressi e divisi in molti, e per alcuni la questione secondaria, trattandosi in realt di due rappresentazioni ideali della bellezza femminile, invenzioni che, anche se prese dalla realt, raffigurano una certa idea della bellezza, in quellaspirazione alla forma universale attribuita allestetica raffaellesca (Oberhuber 1999 e 2001; Arasse 2001; Mochi Onori 2001 e 2002; Meyer zur Capellen 2008-09). Certo che sul contrasto tra la bellezza statuaria, in senso letterale, del levigatissimo corpo della Venere / Fornarina e i tratti marcati e cos poco aristocratici del viso della giovane dall'espressione un po' sfrontata, si basa gran parte del potere di seduzione e dell'intrigante ambiguit di questa immagine femminile. L'attribuzione e l'iconografia Il dipinto stato attribuito alla mano di Raffaello fin dalle prime fonti; nel 1799 il Della Valle, seguito nel secolo successivo da diversi studiosi, propose lattribuzione a Giulio Romano, il pi dotato allievo di Raffaello, e la tesi fu ripresa nel Novecento. Un terzo indirizzo critico (Ferino 1989 e altri), infine, sostiene lintervento di Giulio Romano a completamento di una prima stesura raffaellesca incompiuta (sintesi in Mochi Onori 2001). Un contributo importante al tema dellattribuzione venuto dagli esiti delle indagini tecniche e del restauro che hanno confermato la sostanziale autografia del dipinto, documentando una tecnica esecutiva e una qualit pittorica del tutto affini ai modi della tarda maturit del maestro. Lappartenenza del dipinto alla fase tarda della produzione raffaellesca si accorda al prevalere, in questo periodo, di un ideale estetico classicheggiante. L'ispirazione all'antico nella perfezione quasi marmorea della nudit ha un evidente riferimento alla statuaria antica. In questo senso la Fornarina si collega anche alla riattualizzazione dell'antico intrapresa da Raffaello nella Galatea e compiuta nel vasto repertorio di studi del nudo classico negli affreschi della Loggia di Psiche alla Farnesina.
Nella Fornarina la connotazione erotica dell'immagine, forse scandalosa al tempo, inserita nel contesto umanistico della raffigurazione in veste di Venere ed quindi rinviata a un significato allegorico che oltrepassa la percezione immediata dell'immagine. Alla tipologia antica della Venere pudica rimanda la nudit stessa e la posa della figura, e il bracciale che nella statuaria classica attributo della dea. Anche le fronde di mirto e melo cotogno dello sfondo - un motivo compositivo gi presente in celebri ritratti femminili come quelli di Laura di Giorgione e di Ginevra Benci di Leonardo con riferimento al nome delle donne raffigurate - nell'antichit erano legati a Venere come simboli di amore, immortalit e fecondit. Gli attributi divini innalzano la figura oltre la sua presenza fisica. Eppure il nome di Raffaello sul bracciale una semplice firma? la riporta a una dimensione molto terrena, e non pu non essere considerato un segno di possesso che, insieme con gli altri ornamenti, svolge una funzione di sofisticata descrizione di una amante, svelando lesistenza di un intimo legame tra il pittore e la sua modella. Cos la leggenda nata dalle testimonianze di Vasari e dalla tradizione ottocentesca sopravvive. Accanto alla dimensione storica e scientifica degli studi, in una sorta di vita parallela, la Fornarina continua a raccontare di s una storia avvincente, dai contorni sfumati. La sovrapposizione di tanti temi chiave - un artista considerato eccelso, la Roma del Rinascimento, ricchissimi e potenti mecenati, una bottega attivissima, e una bella ragazza romana, non ricca, n nobile, n importante, semplice ma vestita come una dea - produce un corto circuito capace ancora oggi di emozionarci. Ma sopra ogni cosa - e malgrado un'immagine riprodotta infinite volte, anche per svolgere la sua funzione pubblicitaria di icona del museo ci che ci tocca in profondit la forza del vero capolavoro.
fenomenici come limpalpabile refolo di vento che appena solleva qualche ciocca , larticolazione del corpo nello spazio, del lume locale e di quello atmosferico: sono tutti aspetti che Raffaello rimedita a partire dal magistero leonardesco, pur senza rinunciare, tuttavia, a un pi vistoso ossequio alle ragioni di rappresentanza sociale, dalla puntuale resa dello sfarzo degli abiti allesibizione, persino un po ingombrante, dei gioielli. una linea irenica, ma non superficialmente eclettica, quella intrapresa dallUrbinate. E gli esiti di tale tirocinio possono valutarsi appieno nel momento in cui il giovane talento lascia Firenze nel 1508 per trasferirsi a Roma, grazie ai buoni uffici del conterraneo Bramante, presso la corte pontificia. Di fronte alle richieste di una pi prestigiosa e impegnativa committenza Raffaello elabora nuovi modelli e perfeziona strategie figurative collaudate. Un passaggio di importanza decisiva segnato dal ritratto del papa Giulio II (Londra, National Gallery), che il pittore realizza nellestate del 1511 e che richiamer frotte di devoti e curiosi quando verr esposto in Santa Maria del Popolo, poco dopo la morte del pontefice. Nella tavola londinese Raffaello ripensa con inedita audacia liconografia del ritratto ufficiale: non pi la figura ieratica, frontale o di profilo, distante in unaraldica astrattezza, ma una presenza assai pi prossima e immediata. Senza, peraltro, che ci tolga allimmagine la sua valenza cerimoniale. Al contrario, linconsueto taglio diagonale colloca letteralmente lo spettatore al cospetto del papa, in piedi e, per giunta, di fianco. Non a noi che il vecchio e assorto pontefice sta dando udienza, eppure, proprio questa momentanea indifferenza conferisce alla scena una dimensione spiccatamente temporale, un istante di intimit altrimenti inafferrabile. La formula avr largo e duraturo successo nella ritrattistica papale, da Tiziano a Velzquez e oltre, e lo stesso Raffaello vi far ancora ricorso quando, nel 1518, ritrarr il successore di Giulio II, Leone X, al secolo Giovanni de Medici (Firenze, Uffizi). In realt si tratta di uneffigie di gruppo, e pi precisamente di famiglia, dettata dalle ragioni di una premeditata politica di immagine, dinastica, encomiastica, persino profetica (la sontuosa bibbia miniata aperta sullincipit del quarto vangelo, che al verso 6 recita: Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni). In ogni caso, la pi ampia composizione consente al pittore di complicare ulteriormente la geometria dei rapporti visivi: di nuovo lo spettatore eccezionalmente ammesso nella ristretta cerchia del papa, che non sembra troppo preoccuparsi del suo sguardo, come se, proprio per questo, si trattasse di una presenza non meno familiare di quella dei cardinali cugini. Raffaello affina cos la sottile dialettica tra ostentata indifferenza e dissimulata teatralit che attraversa la ritrattistica rinascimentale. Daltra parte, non va dimenticato che il ritratto non mai e men che mai nel Cinquecento mera rappresentazione delle sembianze di un modello, ma anche studiata rappresentazione dellatto intenzionale con cui quel modello stesso mette in scena la propria persona, nel senso etimologico del termine. La tela degli Uffizi per pure un tour de force di virtuosismo pittorico, che gareggia in sottigliezze ottiche con la tradizione doltralpe: dalla certosina natura morta in primo piano, alla resa materica dei tessuti, al riflesso nel pomo della sedia che misura lo spazio dellintera stanza e giustamente stup Vasari. A questa data, comunque, simili difficult sono incoraggiate anche da un altro confronto, con le possibilit della scultura. il dibattito intorno al cosiddetto paragone o maggioranza delle arti, che da Leonardo al Varchi anima il mondo
artistico italiano, in particolare tra Firenze e Roma, e aggiunge rilievo allo statuto intellettuale degli artisti. Alla corte pontificia Raffaello deve vedersela con un rivale della statura di Michelangelo e forse non un caso che nel ritratto del papa sembri voler mettere in mostra quanto la pittura superi larte sorella, a minor costo e con maggior effetto, per giunta: loda lo scalpello e tienti al pennello, che costa manco et par pi bello, avrebbe scritto di l a poco il Serlio, con molto senso pratico. Anche la severa disciplina formale del disegno di ascendenza toscana non deve perci necessariamente abdicare alla sensualit della materia, del colore e della luce, come provano i maestri veneziani, e come lo stesso Raffaello testimonia in proprio, per esempio nel celebre dipinto della Velata (Firenze, Galleria Palatina, 1516), sontuosa e insieme armoniosa sinfonia cromatica che potrebbe a buon diritto definirsi il ritratto di una manica. Limportate, comunque, dar prova di abilit senza far trapelare un sforzo eccessivo, come richiede la nozione di sprezzatura, che in questi anni diviene la nuova norma del gusto, artistico e sociale. Il precetto non nuovo, anzi, classico: larte deve celare larte, ma nel Cinquecento questo diventa regula universalissima, ideale di condotta del gentiluomo, e pi precisamente del cortegiano. Non per nulla il teorico della sprezzatura appunto il letterato e diplomatico Baldassarre Castiglione. E forse altrettanto indicativo che lo stesso Castiglione decida di farsi immortalare proprio da Raffaello, tra il 1514 e 1515, negli anni in cui lavora alla propria opera maggiore (Parigi, Muse du Louvre). Il capolavoro del Louvre sempre stato considerato come limmagine perfetta del perfetto cortigiano, magari non senza qualche preconcetta autosuggestione. In effetti, se non conoscessimo lidentit delleffigiato non sarebbe probabilmente cos facile riconoscere in figura tutte le qualit che Castiglione raccomanda al gentiluomo di corte. Ma il punto rilevante che il dipinto di Raffaello individua e contribuisce a istituire un genere nuovo di ritratto, che non pi quello ufficiale dei regnanti, spirituali o temporali, n quello delluomo darmi, del mercante e neppure, in verit, dellumanista, con i suoi canonici contrassegni: la penna, il libro, il leggio, secondo un modello in cui poteva ancora riconoscersi, per esempio, Erasmo o, per restare alla ritrattistica raffaellesca, il bibliotecario apostolico Tommaso Inghirami (Firenze, Galleria Palatina, 1514-15 ca.). Il Castiglione di Raffaello, invece, non ha bisogno di attributi iconografici che non siano la sua misurata eleganza, pi grave che vana, e la disinvolta padronanza della propria immagine, giacch, come avrebbe detto pi tardi il conte di Buffon: le style c'est l'homme mme. Da questo punto di vista, il ritratto di gentiluomo non meno parte integrante che espressione esteriore di uno status sociale e intellettuale, e in ci artista e modello condividono un reciproco, simmetrico interesse. Daltronde, se nellestetica rinascimentale lideale della sprezzatura, come quello dello stile, materia di giudizio e sensibilit, affatto personali, non significa che non sia anche qualcosa che si possa acquisire. Lo mostra proprio la questione dellimmagine individuale e il ritratto di Bindo Altoviti ne un esempio eloquente (Washington, National Gallery, 1512 ca). Che si tratti della figura di un banchiere lo sappiamo dai documenti, ma il dipinto mira a restituire o, meglio, a costruire unimmagine assai pi idealtipica, e non del tutto casuale se ancora nel Settecento alcuni studiosi vollero riconoscervi le fattezze dello stesso Raffaello. Anche in questo caso fondamentale la complicit dellosservatore: lartista riprende qui il modello del ritratto di spalla, gi
sperimentato a suo tempo da Leonardo (per esempio nello straordinario disegno a punta dargento della Biblioteca Reale di Torino) e poi utilizzato da Tiziano e Sebastiano del Piombo, e ne accentua il carattere estemporaneo, accidentale, concentrando lattenzione dello sguardo nellistante in cui si compie il movimento della testa, che letteralmente si rivolge, sia pure con una punta di noncuranza, allo spettatore. Questa dinamica struttura dappello, giocata sul contrapposto gestuale, ulteriormente drammatizzata da un contrapposto luministico. Una vivida luce spiove sulla spalla e luccica sulla bionda chioma del giovane, ma lascia in unombra profonda pressoch la met del volto. una soluzione suggestiva, che conoscer ulteriori e arditi sviluppi, basti pensare a Rembrandt. Ed una soluzione, di nuovo, che rivela celando, nel senso pi ampio dei termini. I ritratti di Raffaello sono sempre un campo di forze, che tengono in equilibrio dimensioni diverse, che sovrappongono rappresentazione e autorappresentazione, quella del modello come quella dellartefice. Non c da stupirsi se nella Fornarina, che forse pi di ogni altro dipinto del maestro un oggetto personale e nello stesso tempo, letteralmente, un manifesto, Raffaello apponga la propria firma sul quadro e insieme nel quadro, cos che il suo nome stesso diventi lideale punto di giuntura tra realt e finzione. Ogni dipintore dipinge s era il motto che gli artisti del Cinquecento amavano ripetere spesso, e certamente Raffaello avrebbe sottoscritto, ma possiamo credere che egli sarebbe stato non meno concorde con la celebre massima di Flaubert, che dello spirito della sprezzatura colse, si pu dire, la quintessenza: lartista devessere nella sua opera come Dio nel mondo, onnipresente e invisibile.