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Analisi Matematica 3 (Fisica e Astronomia) Risposte a commenti-richieste-dubbi esposti durante il corso

Universit` di Padova - Lauree in Fisica ed Astronomia - A.A. 2011/12 a Ultimo aggiornamento: luned` 21 novembre 2011

In questo foglio, aggiornato di tanto in tanto, scriver` le mie risposte ai commenti-richieste-dubbi esposti dagli studenti o durante il corso. Le nuove risposte verranno aggiunte in testa al documento, cos` che le vecchie si troveranno via via pi` in fondo. Suggerimento per un utile esercizio: provate a leggere le domande e, prima di leggere la mia risposta, a u riettere su che cosa rispondereste voi.

26. D. Desideravo arontare il discorso relativo al bordo ed allorientazione delle variet` in Rn . a 1. Nel Lemma 4.1.2 (pag. 61), alla 2a riga della dimostrazione, ` scritto che ... F (Hm ) ` sottoine e m e analogamente per linversa F 1 ...). Non sono riuscito a trovare un nesso tra il fatto sieme di H che se F (Hm ) ` sottoinsieme di Hm e F 1 (Hm ) ` sottoinsieme di Hm , allora F (Hm ) = Hm . e e Quale (piccolo?) tassello debbo inserire nel mezzo del ragionamento, per completarlo ed arrivare alla tesi in questione? 2. In secondo luogo, riguardo a come determinare lorientazione del bordo X di una variet` X di a dimensione m, non capisco se il versore n che si prende per uscente da giace nel Tx X (dove x punto di X) o se giace semplicemente in Rn . A tal proposito, vorrei precisare i miei dubbi: a pag. 63, nella dimostrazione della Proposizione 4.1.3, dopo che introduce le funzioni g, h e caratterizza, di conseguenza, X e X, lei osserva come X sia lo spazio generato dai vettori ortogonali a h. Ma perch poi parla di ruolo del versore normale uscente svolto dal versore n della proiezione di h su e Tx X...? Intendo dire: perch debbo proiettare h su Tx X? A questo punto non mi risultano chiari e la direzione ed il verso di uscita di h dalla variet` e rispetto alla base di Tx X; non dovrebbero essere a la direzione ed il verso delle h crescenti, come detto a lezione? 3. In ultimo, mi riferisco allesempio (1) della pag. 63: se h ` funzione di denizione cartesiana, e mi aspetto che vada da W sottoinsieme di Rn in Rnm . Se h, nellesempio 1, va da W a R, la X del resto scritto allinizio di pag. 64 - ` una ipersupercie, quindi di dimensione n 1. Ma allora e perch` subito dopo ` scritto che X ` munita dellorientazione di Rn ? Non dovrebbe essere munita e e e dellorientazione dello spazio Tx X, generato da n 1 vettori in Rn ? R. 1. Se F 1 (Hm ) Hm , applicando F ad ambo i membri si ottiene che Hm F (Hm ). Se inoltre si sa che F (Hm ) Hm , i due saranno uguali (uno ` contenuto nellaltro, e viceversa). e 2. Prima ricordo brevemente quello che ho scritto sulle dispense, dopo do un esempio concreto. Se x X, lo spazio tangente piccolo Tx (X) ` un iperpiano dello spazio tangente grande Tx X. Il versore e n ` quello contenuto in Tx X ortogonale a Tx (X) e diretto nel verso uscente da X, e si ottiene come e segue: descritte X come {g1 = = gnm = 0 , h 0} e X come {g1 = = gnm = 0 , h = 0}, per avere n si tratta di proiettare h su Tx X dividendo poi per il modulo. Veniamo ora allesempio, nel caso n = 3 e m = 2 (vedi gura). Siano g : R3 R e h : R3 R date rispettivamente da 1

g(x, y, z) = x2 +y 2 +z 2 5 e da h(x, y, z) = 1z: allora X = {(x, y, z) : g(x, y, z) = 0 , h(x, y, z) 0} ` la calotta sferica superiore ottenuta tagliando la supercie sferica di raggio 5 col piano orizzontale e z = 1, mentre X = {(x, y, z) : g(x, y, z) = 0 , h(x, y, z) = 0} ` la circonferenza-bordo di quella e calotta; e il verso delle h crescenti ` quello verso il basso, ovvero giustamente quello uscente da e X. Prendiamo ora il punto P (2, 0, 1) X: allora lo spazio tangente TP X ` il piano ortogonale e a g(P ) = (4, 0, 2) ovvero 2x + z = 0 (nella gura si vede il corrispondente spazio tangente ane P + TP X in grigio) e, dentro TP X, lo spazio tangente TP (X) ` dato dallulteriore ortogonalit` a e a 2x + z = 0 h(P ) = (0, 0, 1), ovvero TP (X) ` la retta z = 0 e , ovvero x = z = 0, cio` lasse y (nella gura e si vede il corrispondente spazio tangente ane P + TP (X) in rosso). Proiettando h(P ) = (0, 0, 1) 2 ortogonalmente sul piano TP X = {2x + z = 0} si ottiene il vettore ( 5 , 0, 4 ), che diviso per il suo 5 1 2 modulo d` il versore n = ( 5 , 0, 5 ) (in blu nella gura). A questo punto loperazione di orientare a TP (X) a partire dallorientazione del semispazio superiore di TP X ` del tutto analoga a quella di e 2 a partire dallorientazione di H2 , il ruolo del versore n essendo lo stesso di quello del orientare H versore em per H2 rispetto a H2 : ne risulta che lorientazione indotta su X ` quella antioraria se e osservata dallalto.

` 3. No, lei si sta confondendo: nellesempio (1) lipersupercie non ` X, ma il suo bordo X. E infatti e X ad essere denito da h(x) = 0, mentre X ` dato dalla disuguaglianza h(x) 0. In altre parole e X ` la chiusura di un aperto di Rn , che sarebbe quello dato da h(x) < 0: e, in quanto tale, eredita e lorientazione di Rn , come fosse per appunto un aperto di Rn . Per esempio: se h : R2 R ` data e 2 + y 2 1, allora X = {(x, y) : h(x, y) 0} ` il disco chiuso (chiusura del disco aperto), che h(x, y) = x e eredita naturalmente lorientazione del piano, mentre X = {(x, y) : h(x, y) = 0} ` la circonferenza e 1 , ipersupercie di R2 . S

25. D. Le scrivo per chiarire un mio dubbio. Ho letto che per dimostrare linnumerabilit` di R ` stata a e dimostrata prima linnumerabilit` dellintervallo [0, 1], quindi di conseguenza tutta la retta reale ` un a e insieme non numerabile. Ora, linsieme caratteristico di Q su R nellintervallo [0, 1] ha detto avere dimensione di Lebesgue 0, quindi la sua misura ` 0. Ma Lebesgue ` in grado di misurare solo insiemi e e numerabili, e per quanto detto prima [0, 1] non lo `. Qual ` il passaggio che non colgo? e e R. Sinceramente non capisco cosa vuole dire. Ad esempio, non ho mai parlato di dimensione di Lebesgue (nozione che peraltro esiste, anche se noi non ce ne occupiamo) ma solo di misura di Lebesgue; inoltre temo che lei faccia confusione tra numerabilit` e misurabilit` (in particolare, quando a a dice che Lebesgue ` in grado di misurare solo insiemi numerabili dice una cosa totalmente sbagliata: e ci` che Lebesgue misura meglio di tutto sono gli intervalli, che sono notoriamente innumerabili). Se o 2

crede, pu` venire a chiedermi il suo dubbio direttamente a voce, cos` possiamo spiegarci meglio. o

24. D. Le mie domande/chiaricazioni riguardano la denizione di dieomorsmo e omeomorsmo e il teorema delle immersioni/sommersioni. 1. Da ci` che ho capito mi sembra che dieomorsmo implichi omeomorsmo, quindi ad esempio o per una variet` il fatto che lintorno di ogni suo punto sia dieomorfo ad un aperto del dominio a implica in particolare che sia omeomorfo. (Citando le sue dispense lei denisce un dieomorsmo tra insiemi qualunque come un omeomorsmo dierenziabile k-volte con continuit`). Perci`, se a o tutto ci` ` vero, in pratica quando lei per dimostrare che la curva-otto oppure linsieme dei due oe assi cartesiani non sono delle variet` di dimensione 1, usa solo il fatto che lintorno di (0, 0) e a lintorno di 0 non sono omeomor e di conseguenza non dieomor. 2. Mi pare di capire da questi due teoremi che in pratica una f sommersiva/immersiva in x0 sia una restrizione ad un particolare aperto di un dieomorsmo locale a questo punto su ogni punto dell aperto centrato in x0 . Cio`, ad esempio, che f immersiva in x0 sia un dieomorsmo locale e tra A in Rn e f (A) in Rm e invece una sommersione sia un dieomorsmo tra A e f (A) per` o ristretto in pratica a dimensione m essendo il dieomorsmo da Rn in Rn e la funzione da Rn in Rm . Giusto? R. 1. Osservazioni corrette. Devo per` fare unosservazione sulla denizione di dieomorsmo tra o insiemi qualunque che lei riporta non proprio esattamente: la cosa giusta che io ho detto e scritto ` quella che segue. Primo: una funzione tra due insiemi qualunque D Rp e E Rq si dir` essere e a k in un punto t D se ` indotta da una funzione di classe C k denita in un intorno di classe C e 0 aperto grasso di t0 (ove grasso signica un aperto di Rp ). Secondo: un dieomorsmo di classe C k tra insiemi qualunque ` un omeomorsmo di classe C k tra essi, tale che anche la sua inversa sia e di classe C k . Ad esempio, consideriamo la circonferenza S1 = {(x, y) : x2 + y 2 = 1} e poniamo D = {(x, y) S1 : y < 0} R2 (lemisfero inferiore) e E =] 1, 1[ R. Allora la proiezione x stereograca dal polo nord N : D E data da N (x, y) = 1y ` un dieomorsmo di classe C : e infatti ` un omeomorsmo (` biiettiva e continua, e tale ` anche linversa 1 : E D data da e e e N 1 2t 1t2 x N (t) = ( 1+t2 , 1+t2 )) indotto dalla funzione N (x, y) = 1y che ha come dominio connesso non solo D, ma tutto laperto grasso {(x, y) : y < 1}, ed ` evidentemente C . e 2. Rispondo per quanto posso capire da quanto lei scrive. Mi pare che losservazione sullimmersione sia corretta: se f : Rn Rm ` immersiva in x0 Rn (dunque n m, si va dal piccolo al grande) allora e f dipinge dieomorcamente un intorno aperto A Rn di x0 sulla sua immagine f (A) di f (x0 ): ma attenzione, f (A) non ` aperto in Rm (tranne il caso in cui n = m). Ad esempio, la parametrizzazione e : R R2 della curva-otto, data da (t) = (sin t, sin t cos t), ` unimmersione perch (t) = (0, 0) e e per ogni t R, e infatti per ogni t0 R esiste un intornino di t0 che viene disegnato su un segmentino della curva-otto. Invece una sommersione f : Rn Rm (dunque n m, si va dal grande al piccolo) non va pensata come una funzione che se ristretta a qualcosa di dimensione m (ma a cosa poi?) diventa un dieomorsmo, ma come una proiezione in cui limmagine di f in Rm viene ricoperta di bre uniformi, tutte variet` di dimensione n m, sopra i suoi punti. Il prototipo di sommersione a 2 R data da (x, y) = x: tramite essa, la bra sopra ogni punto ` la proiezione canonica : R e del codominio R ` una retta (variet` di dimensione 1). Invece la funzione f : R2 R data da e a f (x, y) = x2 + y 2 ha immagine [0, +[, ma mentre la bra di f sopra > 0 ` la circonferenza e 2 + y 2 = (variet` di dimensione 1), quella sopra 0 ` il solo punto (0, 0) (variet` di dimensione 0). x a e a Non sorprende dunque che f non sia sommersiva in (0, 0) (infatti df(0,0) = 0).

23. D. Finora abbiamo sempre parlato di integrazione di funzioni da Rn a R. Mi chiedo se sia possibile generalizzare i concetti a funzioni da Rn a Rm integrando componente per componente e se questa operazione abbia senso. R. Certamente. Data f = (f1 , . . . , fm ) : Rn Rm con componenti fj : Rn R integrabili su un dato E Rn misurabile, lintegrale vettoriale E f dn ` denito come il vettore di Rm le cui componenti e sono gli integrali E fj dn . Ad esempio, se f : Rn Rn ` lidentit` (ovvero f (x) = x) e E Rn ` e a e compatto, allora il vettore E f dn , diviso per la costante Voln (E) = n (E) = E dn , individua il baricentro geometrico di E .

22. D. Nelle sue note, lenunciato di Tonelli `: Siano E Rn misurabile e f una funzione misurabile e su E. Se un qualsiasi integrale iterato del modulo |f | esiste nito, allora f ` integrabile su E. Ma e non vale anche il viceversa? Cio`: non si potrebbe dire f ` integrabile su E se e solo se un qualsiasi e e integrale iterato del modulo |f | esiste nito? R. Certo: infatti se f ` integrabile su E allora tale ` anche |f |, e per Fubini lintegrale di |f | si calcola e e come un qualsiasi integrale iterato di |f |. Il motivo per cui non ho scritto il teorema in questa forma ` duplice: da un lato, linteresse di Tonelli ` principalmente quello di passare dallesistenza nita di e e un qualsiasi integrale iterato di |f | allesistenza nita dellintegrale multiplo di f , pi` che il viceversa; u dallaltro lato, scrivendo il se e solo se avrei forse rischiato di instillare in qualche studente distratto lerrata sensazione che, se trovo un valore nito per un integrale iterato di |f |, quello sia anche il valore dellintegrale multiplo di f che sto cercando, il che ` falso (per Fubini, per calcolare lintegrale e multiplo di f dovr` infatti calcolare s` un integrale iterato: ma di f , non di |f | !). o

21. D. Lei a lezione ha calcolato larea della supercie esterna del cono retto a base circolare di raggio R e altezza h usando la tecnica degli integrali superciali, ritrovando correttamente R R2 + h2 . Io invece ho provato a fare in un altro modo: per un certo 0 z h ho calcolato la lunghezza z della circonferenza-sezione ad altezza z, che viene 2R(1 h ); e poi ho integrato in z tale lunghezza, trovando per` un risultato diverso (e sballato) Rh. Dov` che ho sbagliato? o e R. Lei ha proprio sbagliato il conto, perch il suo procedimento ` ingiusticato: se ci pensa un attimo, e e non c` nessun motivo per cui questo integrale superciale dovrebbe decomporsi come integrale iterato e per z-fette, come se dovesse calcolare il volume del cono (infatti, in quel caso, integrando in z larea z del disco-sezione ad altezza z ovvero R2 (1 h )2 si trova giustamente 1 R2 h). 3

20. D. Nella disuguaglianza fondamentale dellintegrale di Lebesgue lei scrive (cito): Si ha f L1 (E) se e solo se |f | L1 (E) , e in tal caso vale E f dn E |f | dn . Ma la funzione f : R R denita come 2V 1 su [0, 1] (ove V [0, 1] ` linsieme di Vitali, non misurabile alla Lebesgue) e e come 0 altrove (in altre parole: f (x) = 1 su V , f (x) = 1 su [0, 1] \ V , e f (x) = 0 altrove) non costituisce una contraddizione? Infatti f L1 (R), mentre |f | L1 (R) con integrale 1. Pu` spiegare? / o R. Come ho detto a lezione, tra le ipotesi ` sottointeso che f debba essere misurabile, dunque il e suo controesempio non ` pertinente. Eettivamente sarebbe stato meglio ribadirlo nellenunciato: lo e aggiunga pure a penna sulle note del corso.

1 19. D. Se non ricordo male, a lezione lei ha detto che f (x) = 1+x2 e g(x) = ex sono Lebesgueintegrabili su R, cio` che stanno in L1 (R); che h(x) = x2 ha integrale di Lebesgue su R ma non ` e e Lebesgue-integrabile su R; e che l(x) = x e m(x) = sin x non hanno integrale di Lebesgue su R (in x particolare, di certo non sono Lebesgue-integrabili su R). Ho detto bene (se no, potrebbe correggermi)? E potrebbe rispiegare il motivo di queste aermazioni, che temo di non aver capito bene?

R. Bisogna ricordarsi le denizioni date. Se f ` misurabile e positiva e E Rn ` misurabile, allora e e lintegrale di Lebesgue E f d1 (denito come estremo superiore degli integrali delle funzioni semplici positive che stanno sotto f ) ha sempre senso come numero in [0, +], solo che potrebbe essere +; nel caso in cui tale valore ` nito si dir` che f ` Lebesgue-integrabile su E, e si scriver` f L1 (E). Questa e a e a nozione tiene anche quando f ` misurabile e negativa, invertendo tutti i segni. Nel caso generale, in e cui f sia misurabile ma non necessariamente di segno costante, abbiamo detto che per dare senso al simbolo E f d1 chiediamo espressamente che almeno uno tra E f + d1 e E f d1 (integrali di funzioni misurabili e positive) esista nito, e in tal caso deniamo E f d1 := E f + d1 E f d1 , che avr` senso come numero in [, +], eventualmente uguale a (abbiamo infatti espressamente a escluso leventualit` di cadere nella forma indeterminata +); nel caso in cui entrambi gli integrali a f d1 siano niti (dunque anche E f d1 risulta nito) si dir` che f ` Lebesgue-integrabile su E, a e E 1 (E). Venendo ai casi che lei cita, tutti in modo corretto, nei quali E = R e tutte e si scriver` f L a le funzioni sono misurabili (in quanto continue), si ha quanto segue.
1 f (x) = 1+x2 e g(x) = ex sono positive, dunque di certo hanno integrale di Lebesgue, solo che potrebbe essere +. Come appurarlo? Abbiamo visto che, su un insieme misurabile di R, una funzione ` Lebesgue-integrabile se e solo se essa ` assolutamente Riemann-integrabile in senso e e generalizzato, con lo stesso valore di integrale: e le nostre funzioni sono (assolutamente) Riemann integrabili in senso generalizzato su R, con valori e rispettivamente. Dunque esse sono anche Lebesgue-integrabili su R, con lo stesso valore di integrale.
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Anche h(x) = x2 ` positiva, dunque di certo ha integrale di Lebesgue su R, solo che potrebbe e essere +. E cos` `: ad esempio per il confronto, perch h sta sopra la funzione semplice che vale e e 0 per |x| 1 e 1 per |x| > 1, il cui integrale ` evidentemente +. e e e l(x) = x non ha integrale di Lebesgue R x d1 (cio` questo simbolo non ha senso), perch sia x+ d1 che R x d1 valgono +. Per quanto riguarda la funzione di Dirichlet m(x) = sin x , x R gi` sappiamo che essa ` R-integrabile in senso generalizzato ma non assolutamente, dunque non a e sar` L-integrabile. Resta solo il dubbio se, per caso, non possa capitare che lintegrale di Lebesgue a m d1 abbia senso e valga ad esempio + (non pu` essere nito, altrimenti m(x), essendo o R L-integrabile su R, sarebbe anche assolutamente R-integrabile in senso generalizzato su R, e o sappiamo che ci` non ` vero), ovvero che R m+ d1 = + e R m d1 < +. Pu` accadere una o e cosa simile? La risposta ` no. Infatti, dire che R m d1 < + implicherebbe che m sarebbe e assolutamente R-integrabile in senso generalizzato su R, ovvero R-integrabile in senso generalizzato su R (perch m 0), ma allora, poich anche m ` R-integrabile in senso generalizzato su R, e e e + = m m , ma questo ` falso (perch sarebbe come dire che m+ tale dovrebbe essere anche m e e ` assolutamente R-integrabile in senso generalizzato su R, ovvero L-integrabile su R, falso perch e e m+ d1 = +). R Aggiungo un ultimo esempio. La funzione p(x) = xex non ha segno costante; tuttavia R p+ d1 = + (infatti p+ sta sopra la funzione semplice che vale 0 per x 1 e 1 per x > 1, il cui integrale ` evidentemente +) e R p d1 = 1 < +, pertanto lintegrale R p d1 ha senso e vale +. e

Risposte no al 05/11/2011

18. D. Il problema riguarda la mia necessit` di inquadrare meglio il concetto di forma dierenziale a lineare, organizzandolo in un contesto che mi permetta di capire meglio lui ed altri concetti come integrale, campo vettoriale, ecc. 1. Prima di tutto vorrei chiederle qual` la necessit` di scrivere una forma dierenziale (e una forma e a in generale) usando i simboli dxi al posto di i , visto che come lei ha scritto: dxi := di = i . Voglio dire, se col simbolo dxi si vuole solo intendere la i-esima componente di un vettore, nel senso che: dx1 . v= . , . dxn perch usare questo simbolo invece di i ? C` un preciso signicato, un motivo storico, o semplicee e mente non ho proprio capito cosa sia una forma dierenziale? 2. Nelle sue dispense, lei scrive cos` Lassociazione che permette di passare da forme dierenziali a : campi vettoriali e viceversa `: e campo forma F (x) = (F1 (x), . . . , Fn (x)) F = F1 (x) dx1 + + Fn (x) dxn

Dunque, quello che mi viene da pensare ` che presa una forma in R3 (esempio): e = f1 (x, y, z) dx + f2 (x, y, z) dy + f3 (x, y, z) dz = (3xy) dx + (5x + 1) dy + (6z) dz ad essa corrisponder` il campo F (x, y, z) = (3xy, 5x + 1, 6z). Ora guardo in un punto, ad esempio a (1, 2, 3) e la mia forma dierenziale non ` altro che lapplicazione lineare (x, y, z) = (1, 2, 3) = e 6 dx + 6 dy + 18 dz ... giusto? 2 Quindi, se ora applico tale funzione al vettore 0 rispetto ad una determinata base, ottengo un 6 numero, precisamente: (x, y, z) = 6 2 + 6 0 + 18 6 = 120. Ora generalizzando, posso dire che una n-forma dierenziale prende un campo vettoriale e restituisce una funzione f : Rn R; ad esempio nel caso di prima, applicando la f.d.l. al campo F ottengo : f (x, y, z) = (3xy) (3xy) + (5x + 1) (5x + 1) + (6z) (6z) = 9x2 y 2 + (5x + 1)2 + 36z 2 Il succo della questione ` che una forma dierenziale mi sembra ben pi` di un campo vettoriale scritto e u in una forma matematica pi` agevole, che ritorna una teoria pulita (motivazione dei compagni di u corso a cui ho chiesto delucidazioni), tanto pi` che i campi vettoriali sono gli argomenti delle forme u dierenziali... mi sembrano insomma due oggetti a due gerarchie dierenti, le forme ben al di sopra dei campi. Dove sbaglio? Inoltre, quale interpretazione geometrica dare alle forme dierenziali? 3. Per nire, vorrei parlare degli integrali. Chiaramente, una comprensione delle forme dierenziali credo mi permetterebbe di capire meglio gli integrali, poich la scrittura f (x) dx non mi sembra altro e che dove ` la forma dierenziale lineare f (x) dx. Dunque, cosa signica integrare una forma e dierenziale? Come si ricollega allidea intuitiva di sommare rettangolini innitesimi? Inoltre, per quanto riguarda lintegrale di linea, non capisco la denizione nelle sue dispense. Precisamente, c` e scritto:
b b

i dxi

:=
a

((t)) ( (t)) dt =
a

i ((t)) (i (t)) dt

ma viste le considerazioni fatte in precedenza, non dovrebbe essere che ((t)) = i ((t)) i ((t)) = i ((t)) (t)i ?

In fondo, (t) : [a, b] Rn non ` un vettore? e R. Cerco di rispondere punto per punto. 1. La notazione j (oppure e , ` lo stesso) rappresenta un covettore, mentre dxj rappresenta una j e forma dierenziale lineare. Sono cose diverse, a livelli dierenti. Per capirci, immagino lei abbia ben chiara lidea di campo vettoriale: lo confonderebbe con un singolo vettore? No, perch sa bene che e n ` una funzione F che assegna ad ogni punto x di U un un campo vettoriale su un aperto U di R e vettore F (x), ovvero un elemento di Rn . Allo stesso modo non si pu` confondere un covettore (una o funzione lineare di Rn in R, ovvero un elemento di (Rn ) ) con una forma dierenziale lineare (che ` e n ) ). E la stessa ` una funzione che assegna ad ogni punto x di U un covettore, ovvero un elemento di (R situazione che si presenta tra vettori e campi vettoriali, vissuta stavolta al di l` dello specchio, cio` a e nel duale (Rn ) anzich in Rn . Nel caso in oggetto, dxj ` la forma dierenziale lineare che associa ad e e ogni x Rn il covettore j : dunque dxj ` una forma costante, ma sempre di forma dierenziale si e tratta, non di un singolo covettore. 2. Le sue deduzioni di conto sono corrette, tranne che per una notazione: quando dice e la mia forma dierenziale non ` altro che lapplicazione lineare (x, y, z) = (1, 2, 3) = 6 dx+6 dy +18 dz in realt` e a dovrebbe scrivere e la mia forma dierenziale non ` altro che lapplicazione lineare (x, y, z) = e (1, 2, 3) = 61 + 6 2 + 18 3 . Il perch lho spiegato anche qui sopra: ` un covettore, non una e e forma (cio` di un campo di covettori); anche se, a dire il vero, quando presto inizieremo a parlare di e k-forme (dunque non solo di 1-forme, come stiamo facendo ora) per semplicit` useremo la notazione a (x, y, z) = 6 dx+6 dy +18 dz anche per i covettori. Dunque lei ` stato inconsapevolmente profetico. e Comunque sia, come ho gi` avuto modo di dire anche in aula, limportante ` che si sappia quello che si a e sta facendo e scrivendo, poi sulle notazioni ci si pu` mettere daccordo (purch siano ragionevolmente o e appropriate, in particolare non fuorvianti). Riguardo alla presunta dierenza di livello tra campi e forme: la risposta ` no, campi e forme hanno esattamente lo stesso livello nei loro rispettivi ambiti, e sono aspetti duali di una stessa nozione (un campo di vettori da un lato, un campo di covettori dallaltro). Forse lei si fa condizionare dallidea che, secondo lei, una funzione sarebbe pi` importante u del suo dominio: ma questa convinzione ` piuttosto impropria, perch in eetti una funzione non e e ha grande vita autonoma senza il suo dominio. Pare un po una domanda esistenziale del tipo: ` u E pi` importante il tino, creato per lavorare luva, o luva che ci butto dentro? Vero ` che senza il e tino (la funzione) il vino ` dicile farlo, ma io propenderei comunque per luva (il dominio)! Circa e linterpretazione geometrica delle forme dierenziali: ` chiaramente meno immediata di quella dei e ` campi vettoriali. E anche per questo che, a dispetto della maggior ecienza ed espressivit` matematica a delle forme (vantaggi circa i quali cercher` di fornirvi ulteriori spiegazioni oltre a quanto gi` detto o a a lezione e anche in queste pagine in riferimento ai cambi di variabile), la preferenza per i campi ` e ancora ben radicata in Fisica e generalmente nelle scienze. 3. Ovviamente non si inventer` un nuovo integrale per le forme: si tratter` di quello per le funzioni a a (ovvero di quello di Lebesgue) con laggiunta di una nuova sensibilit` per lorientazione dello spazio su a cui si integra. Questo lo vedremo ben presto, ma in realt` labbiamo gi` visto in una variabile: infatti a a b ricorder` che lintegrale a f (x) dx (a tutti gli eetti un integrale di forma dierenziale) era stato a denito come [a,b] f se a b, e come [b,a] f se a > b (dunque usando un integrale di funzione, alla Riemann). Un altro esempio ` per lappunto quello dellintegrale di una forma dierenziale lineare e lungo un cammino, di cui stiamo parlando qui: per denirlo abbiamo usato il gi` noto concetto di a integrale in una variabile, mica ci siamo inventati una nuova teoria dellintegrazione! Inne: quella di integrale di una forma su un cammino ` una denizione, e va presa come tale. Tenga presente poi e 7

che ` la sola denizione che funziona, nel senso che ` solo cos` (e non nel modo che lei suggerisce, e e peraltro in modo piuttosto confuso e immotivato) che la denizione non dipende dalla particolare parametrizzazione del cammino, come ragionevolmente deve essere.

17. D. Sappiamo che una forma per essere esatta deve essere chiusa. Se per` io ho una forma su o di un aperto non semplicemente connesso (ad esempio il piano bucato) e con il metodo delle derivate trovo una funzione f denita anchessa su tutto il dominio di , senza veriche ulteriori, questo implica di per s` lesattezza della forma? E cio` f ` la primitiva cercata? e e e R. Certamente. Se le va dritta (cio` se lei riesce davvero a trovare una funzione f denita su tutto il e dominio di il cui dierenziale sia ), in questo modo lei ha trovato subito una primitiva su tutto il dominio (sia o non sia semplicemente connesso), risparmiandosi il lavoro preliminare di controllare se la forma sia perlomeno chiusa. Il punto ` che, partendo cos` alla cieca, lei rischia seriamente di fare e tanti conti per nulla, perch una forma data a caso ` ben raro che sia esatta. e e

16. D. Buongiorno, leggendo le sue dispense di Analisi II sulle variet` ho incontrato una termia nologia che non era mai stata utilizzata. Potrebbe denire/chiarire cosa siano una funzione immersiva/immersione e una funzione sommersiva/sommersione? R. Ha ragione, faccio riferimento a denizioni e risultati del capitolo precedente sul calcolo dierenziale, che per` non vi ho fatto avere (anche se immagino che nel corso di Analisi II che lei ha frequentato o queste nozioni siano state in qualche modo accennate). Comunque sia, in coda a questo documento pu` o ora trovare alcune pagine con sfondo colorato con la parte di quel capitolo che dovrebbe permettere di capire quanto presentato nelle note sulle variet`. a

15. D. Lei ha detto a lezione che le sottovariet` proprie di Rn sono n -trascurabili: dunque, ad a esempio, nel piano R2 lo sono le curve (e le loro unioni numerabili). Daltra parte ho sentito parlare di curve che, gira di qua gira di l`, alla ne riescono a riempire tutta una regione piana, ad esempio a un disco chiuso, o addirittura tridimensionale. Come si fa in tal caso a parlare di n -trascurabilit`, a se riescono a riempire tutta una regione che non ` n -trascurabile? Non ` una contraddizione? e e R. Lei fa riferimento alle cosiddette lling curves (in italiano potremmo dire curve riempitive) di Peano-Hilbert: se vuole vedere rapidamente di cosa si tratta pu` dare unocchiata in internet, ad o esempio in http://en.wikipedia.org/wiki/Space-filling-curve. Ma non c` nessuna contraddizione: e infatti le lling curves non sono sottovariet` (potremmo anche dire: non sono curve regolari) di a Rn , perch, lo ricordiamo, per essere tali bisognerebbe che per ogni loro punto esistesse un intorno e aperto in Rn tale che il tratto di curva che sta in quellintorno fosse dieomorfo a un intervallo aperto di R: cosa che ` evidentemente falsa per una lling curve, perch la porzione che ne entra nellintorno e e di un suo punto ` per lappunto tutto lintorno stesso, che non pu` essere dieomorfo a un intervallo e o di R (se gli tolgo un punto resta connesso, mentre se tolgo un punto a un intervallo di R diventa sconnesso).

14. D. La funzione di Dirichlet Q[0,1] non ` continua q.o. (infatti il suo insieme di discontinuit`, e a che ` [0, 1], non ` trascurabile), ma posso dire che ` nulla q.o., vero? e e e 8

R. S` infatti linsieme su cui la funzione non si annulla ` appunto quello di Dirichlet Q [0, 1], che : e ` trascurabile in quanto numerabile. Visto che ci siamo, metto in evidenza un esempio di funzione e f : R R continua quasi ovunque (perci`, in particolare, Lebesgue-integrabile su ogni insieme di o misura nita), esempio che ` riportato anche sulle dispense in una nota circa a pag. 34: si ponga e f (x) = 1 se x = p Q con p, q primi tra loro, e f (x) = 0 se x R \ Q. Linsieme di discontinuit` di a q q questa f ` Q, numerabile e dunque trascurabile. e

13. D. Abbiamo visto che linsieme di Dirichlet D = Q [0, 1] ` trascurabile (perch numerabile), e e ovvero 1 (D) = 0. Possiamo allora concludere che linsieme D dei numeri irrazionali dentro [0, 1] ha misura 1 come quella di tutto lintervallo? R. Proprio cos` Infatti D = Q [0, 1] ` misurabile (perch trascurabile in quanto numerabile, e . e e ha misura 0); dunque ` misurabile anche il suo complementare R \ D, dunque anche D = [0, 1] e (R \ D) (ricordare che i Lebesgue-misurabili costituiscono una -algebra, dunque sono stabili per complementazione, intersezione numerabile, ...); e allora, essendo [0, 1] = D D , per additivit` si ha a 1 = 1 ([0, 1]) = 1 (D) + 1 (D ) = 0 + 1 (D ), da cui 1 (D ) = 1. Una delle migliori intuizioni della costruzione di Lebesgue ` di aver preteso di costruire una misura che goda delladditivit` numerabile e a (niente di pi`, niente di meno), riuscendo in questo modo a domare tutta una famiglia di insiemi u magri (come sono appunto quelli numerabili) che per` potevano essere comunque densi e perci` o o dare fastidio, come accadeva per lappunto nella costruzione di Riemann.

Risposte no al 24/10/2011

12. D. Mi chiedevo se ` consistente il ragionamento che segue. Semplicemente connesso non implica e stellato (es.: R3 senza un punto), ma stellato implica semplicemente connesso che implica connesso per archi. Stellato implica connesso per archi ma non viceversa (piano bucato). Ho dimenticato qualche cosa, a parte che connesso non implica connesso per archi? R. Tutto vero!

11. D. Lei ha detto che le forme radiali a simmetria sferica sono quelle del tipo a(r) dr, ove r(x) 1 ` la funzione distanza dal punto-polo (se x ` tale punto-polo, si ha r(x) = ( (xj xj )2 ) 2 e dunque e e a(r) dr = a(r) j (xj xj ) dxj ). Ma in generale quali altri addendi devo aspettarmi, in un sistema r di coordinate che comprenda r, per una forma dierenziale lineare qualunque? Voglio dire: pensando ad esempio a x = 0 in R2 e alle coordinate polari (r, ), una forma qualsiasi sar` esprimibile come a a(r, ) dr + b(r, ) d? E pensando a x = 0 in R3 e alle coordinate sferiche (r, , ), una forma qualsiasi sar` esprimibile come a(r, , ) dr + b(r, , ) d + c(r, , ) d? a

` R. E proprio cos` Questo ` uno dei punti in cui le forme dierenziali mostrano la loro grande ecienza . e e naturalit` rispetto ai campi vettoriali. Infatti cambiare in Rn le coordinate da quelle cartesiane a (x1 , . . . , xn ) a un altro sistema di coordinate (x1 , . . . , xn ) equivale a considerare un dieomorsmo : A A tra aperti di Rn (si intende (x ) = x), e, come vedremo, data una forma = 1 (x) dx1 + + n (x) dxn , passare alla sua descrizione come 1 (x ) dx1 + +n (x ) dxn equivale a farne il pull-back (immagine inversa) , in concreto sostituendo a (x1 , . . . , xn ) le espressioni (1 (x ), . . . , n (x )). Ad esempio, supponiamo di avere nel piano cartesiano la forma = (x, y) dx + (x, y) dy , e consideriamo il cambio con le coordinate polari (x, y) = (r, ) = (1 (r, ), 2 (r, )) = (r cos , r sin ) (in questo caso si ha (x1 , x2 ) = (x, y), (x1 , x2 ) = (r, ), A = R2 \ {(x, 0) : x 0} e A = ]0, +[ ] , [). Si ha allora = (r cos , r sin ) d(r cos ) + (r cos , r sin ) d(r sin ) = (r cos , r sin )(cos dr r sin d) + (r cos , r sin )(sin dr + r cos d) = a(r, ) dr + b(r, ) d ove, dopo aver radunato i termini con dr e quelli con d, si ` posto e a(r, ) = (r cos , r sin ) cos + (r cos , r sin ) sin b(r, ) = (r cos , r sin ) r sin + (r cos , r sin ) r cos . Lidea ` che la forma ` sempre la stessa, solo che prima lho scritta in funzione delle coordinate e e (x, y) come (x, y) dx + (x, y) dy, e dopo delle coordinate (r, ) come a(r, ) dr + b(r, ) d. A questo punto, visto che ci siamo, cerchiamo di capire le condizioni su (x, y) e (x, y) anch sia e proprio una forma radiale a simmetria sferica, cio` del tipo a(r) dr (quando espressa in funzione di r e e ). Bisogner` dunque che b(r, ) 0, e che a(r, ) in realt` non dipenda da ma solo da r, ovvero a a che sia a(r, ) = a(r). Otteniamo pertanto il sistema cos + sin = a(r) sin + cos = 0 , la cui soluzione (x, y) = a(r) cos (x, y) = a(r) sin
a(r) r

(ottenuta ad esempio con Cramer) ci rid` la gi` nota forma esatta = a(r) dr = a a a(r) r sin dy) = r (x dx + y dy) (con primitiva A(r) = a(r) dr).

(r cos dx +

10. D. In un esercizio svolto in aula cera da studiare un campo vettoriale G(x, y, z) denito in R3 privato dellasse z. Si era calcolata la circuitazione di G lungo un certo circuito che girava attorno allasse z (si trattava di una circonferenza orizzontale centrata in un punto dellasse), e veniva zero. Non era abbastanza per dire che G ` conservativo? e R. No: lo sarebbe stato nel caso in cui G fosse stato irrotazionale. Solo in tal caso, infatti, ` assicurata e linvarianza della circuitazione di G su circuiti omotopi, e la verica che lei cita sarebbe allora stata suciente per passare dallirrotazionalit` alla conservativit` in quel dominio, che non ` semplicemente a a e connesso. Per un G qualunque, invece, tale conto non dice nulla pi` del semplice fatto che su quel u circuito la circuitazione ` nulla. e

09. D. In un esercizio svolto in aula cera una forma dierenziale lineare nel piano cartesiano, denita solo per x + y > 0. Una volta vericato che era chiusa, essendo il dominio semplicemente connesso lei aveva giustamente concluso che essa era esatta. Si trattava allora di trovarne una 10

primitiva. Dopo aver fatto il conto col solito metodo delle derivate parziali, lei aveva proposto, come metodo alternativo, di integrare lungo la spezzata che va dal punto ssato (1, 0) al punto variabile (x, y) seguendo prima il tratto orizzontale da (1, 0) a (x, 0), e poi quello verticale da (x, 0) a (x, y). Ma questo metodo non sembra funzionare per tutti i punti del dominio: infatti, se a partire da (1, 0) volessi ad esempio raggiungere (x, y) = (2, 3), seguendo quella spezzata io uscirei dal dominio! Come conviene procedere allora? R. Osservazione corretta: quella spezzata non era una buona scelta, o quantomeno non era una scelta che andava bene per tutti gli (x, y). In realt`, poich il dominio ` convesso, una scelta sensata era a e e quella di integrare lungo il segmento a partire da qualsiasi punto pressato nel dominio. Unaltra scelta possibile, forse ancora pi` furba, era di muoversi prima parallelamente e poi perpendicolarmente alla u retta x + y = 0: ovvero, pressato ad esempio il punto (1, 1), integrare prima da (1, 1) a (1 + xy , 1 2 xy xy xy 2 ) (punto proiezione di (x, y) sulla retta x + y = 2), e poi da (1 + 2 , 1 2 ) a (x, y). 2y+x x (Nellesercizio in oggetto si trattava di = x+y dx x+y ; il conto con le derivate parziali dava f (x, y) = 2 (x 2y) x + y + k.) 3

08. D. Supponiamo sia data una forma dierenziale lineare su un dominio A Rn stellato rispetto a un suo punto x0 . Per ogni x A si ha dunque diritto di integrare lungo il segmento [x0 , x], e in ` questo modo si ottiene una funzione, diciamo f (x). Che relazione ha f con ? E qualcosa di simile a una sua primitiva (in fondo, su non ho messo alcuna ipotesi, men che meno che sia esatta...) ? R. Se ` esatta (il che, visto che il dominio ` stellato e dunque semplicemente connesso, ` come e e e dire che sia chiusa) sappiamo che f ` una primitiva di . Nel caso generale, invece, a priori non e ci sar` alcuna relazione signicativa tra f e ; si pu` tuttavia dimostrare che se ` continua allora a o e f ` dierenziabile e vale dfx0 = (x0 ) (ovvero ` il dierenziale di f perlomeno in x0 ). Giusto per e e fare un conto, si consideri la forma = (3y x, x2 ) in A = R2 (si noti che non ` chiusa e dunque, e essendo A semplicemente connesso, nemmeno esatta), e scegliamo (x0 , y0 ) = (0, 0): in tal caso si ha 1 1 1 f (x, y) = 0 ((3ty tx)x + (t2 x2 )y) dt = 0 (x(3y x)t + (x2 y)t2 ) dt = x(3y x) + 3 x2 y, da cui 2 1 2 f = (3y 2x + 3 xy, 3x + 3 x ): si nota allora che vale df(x,y) = in tutti e soli i punti dellasse y (tra i quali appare anche (0, 0)) e in ( 9 , 3 ). 2 2

Risposte no al 13/10/2011

07. D. Quali sono i particolari accorgimenti da seguire quando, una volta calcolata la serie derivata con relativa somma, si deve risalire alla somma della serie originaria integrando? R. Se ci si limita alla serie reale e ai punti interni dellintervallo di convergenza, nessuno: si tratta tipicamente di fare il solito integrale di funzione reale, e di determinare la costante dintegrazione tramite il valore della serie di potenze in x = 0. Nel caso complesso serve pi` attenzione, ma, come u detto, durante il corso non abbiamo tempo di soermarci su questi punti che richiederebbero una

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trattazione pi` approfondita delle funzioni olomorfe. Lidea ` comunque che bisogna restare sempre u e allinterno della palla di convergenza limitandosi allintegrazione indenita (ricerca di una primitiva), e in ogni caso, se si vuole ragionare oltre, rimanendo su domini semplicemente connessi. Un esempio n+1 n+1 per capirci. La serie f (z) = n1 (1) z n ha, per |z| < 1, derivata f (z) = n1 (1) nz n1 = n n 1 1 n+1 z n1 = n e e n1 (1) n0 (z) = 1(z) = 1+z ; questultima espressione, vista in s` e per s`, denisce una funzione su tutto C \ {1}, e indubbiamente log(1 + z) (logaritmo principale) come ci si attende, ` una sua primitiva (nel senso che ` una sua antiderivata), ma non si pu` dire che log(1 + z) e e o 1 ` una primitiva di 1+z su tutto C \ {1}, in eetti log(1 + z) non ` olomorfa su tutto C \ {1}. Si pu` e e o solo dire che in B(1) la somma f (z) della serie originaria ` del tipo log(1 + z) + k, ed essendo f (0) = 0 e 1 ` in realt` k = 0; in realt` ci si potrebbe spingere anche a dire che log(1 + z) ` una primitiva di 1+z , e a a e ma solo sullaperto semplicemente connesso C \ {t R : t 1}.

06. D. Alla luce di quanto visto no ad ora sulle serie di potenze nello spazio complesso, mi sorge un dubbio. Se r ` il raggio di convergenza per una serie di potenze, allora, per dimostrare che, per e |z| = r, la serie non converge, come bisogna procedere? Mi riferisco in particolare allesercizio delle sue dispense con + (2)n n+2 z n . Il fatto ` che solo mettendo un valore reale al posto di z es. e n=0 n+1 1 z = 2 mi rendo conto del fatto che, eettivamente, quella determinata serie non converge. Ma allora come faccio a dire che su tutta la circonferenza la serie non converge per esempio, va bene considerare il modulo del termine generale della serie? R. Come gi` detto, a priori il comportamento della serie di potenze sulla circonferenza di convergenza a |z| = r pu` variare punto per punto, tranne che per un fatto: la convergenza assoluta o va bene per tutti o questi punti, o per nessuno. La prima cosa da fare ` allora guardare la serie dei moduli + 0 |an z n | e n=n sulla circonferenza |z| = r, in cui questa serie diventa + 0 |an |rn . Se tale serie converge, tutto ` e n=n chiaro: ci sar` convergenza assoluta su tutti i punti con |z| = r. Anche nel caso in cui il termine a generico |an |rn = |an z n | non ` innitesimo (` quello che accade quando |z| = 1 nella serie che mi ha e e 2 ricordato sopra), tutto ` chiaro: infatti allora non pu` essere innitesimo nemmeno an z n , e dunque e o o nemmeno la serie + 0 an z n pu` convergere, per nessun z tale che |z| = r. Resta solo il caso dubbio in n=n + n non converge ma il termine generale |a |r n = |a z n | ` comunque innitesimo: e cui la serie n=n0 |an |r n n in tal caso per |z| = r non ci pu` essere convergenza assoluta, ma la questione non ` chiusa, perch in o e e questi punti ci potrebbe essere convergenza semplice o non convergenza, a priori senza alcuna relazione ` tra ci` che accade in un punto e ci` che accade negli altri. E quello che accade per la serie logaritmica o o + 1 n + 1 1 2 n=1 n z = z + 2 z + : in questo caso, se |z| = 1 la serie dei moduli diventa larmonica n=1 n , che diverge a + ma con termine generale innitesimo. Dunque siamo certi solo del fatto che in nessun punto con |z| = 1 ci pu` essere convergenza assoluta; per il resto, nebbia. Andiamo un po o a tentativi per vedere che succede. Se z = 1 la serie diverge, e se z = 1 converge semplicemente (Leibniz). E per tutti gli altri? Proviamo ad esempio con z = i. La ridotta 4k-esima ` 4k n in = e n=1 1 1 1 1 1 1 1 ( k 4n k 4n2 ) + i( k 4n3 k 4n1 ) = 2 k 4n(4n2) + 2i k (4n1)(4n3) , il n=1 n=1 n=1 n=1 n=1 n=1 1 cui limite per k + converge (entrambe le ridotte della parte reale e immaginaria sono n2 ), dunque pare probabile che ci sia convergenza semplice. In eetti, come detto a lezione, la teoria (che 1 non tratteremo) delle serie di Fourier mostra che + n z n converge semplicemente per ogni z tale n=1 che |z| = 1 e z = 1 (con somma log(1 z) ove log ` il logaritmo principale), ma dobbiamo accettarlo e sulla ducia, perch con le nostre conoscenze attuali non siamo in grado di provarlo. e

05. D. Non ho capito come si comporta lindice della serie dopo loperazione di derivata. Devo ricontrollare ogni volta i primi termini della serie? C` un metodo veloce per capire se pu` rimanere e o 12

lo stesso indice della prima serie o se devo per forza aumentarlo di 1? e R. La serie derivata di + 0 an z n ` sempre + 0 nan z n1 , punto e basta (stesso indice di partenza): n=n n=n o e n=3 dunque ad esempio, la derivata di + nz n ` + n2 z n1 (che, riscalando n, si pu` anche scrivere n=3 + 2 z n ). Tuttavia, nel caso in cui la somma parta dallindice zero (cio` n = 0) si come n=2 (n + 1) e 0 usa scrivere che la serie derivata di + an z n ` + nan z n1 : rispetto a scrivere + nan z n1 e n=1 n=0 n=0 non cambia nulla (laddendo con n = 0 ` nullo), solo che si evita lo sgradevole eetto di far apparire e 1 anche solo visivamente che per n = 0 venga una potenza negativa di z (cio` z 1 = z ), che ci farebbe e uscire dalla teoria della serie di potenze di Taylor o olomorfe (in cui appaiono sviluppi con potenze 0, di cui ci stiamo occupando) e ci farebbe entrare in quella delle serie di potenze di Laurent o meromorfe (in cui appaiono sviluppi con potenze intere, dunque anche a esponente negativo, che non abbiamo modo di arontare per mancanza di tempo). Morale: si parte sempre da n0 anche con la serie derivata, ma poi si cerca di far partire la somma dal primo indice utile, eliminando quelli iniziali che danno addendi nulli.

04. D. Mettiamo che una serie di potenze abbia raggio di convergenza r > 0 (eventualmente +), e sia f (z) la sua somma. Se io sviluppo f (z) in serie di Taylor in un punto z0 B(r) diverso da 0 come insegnato a lezione (cio` f (z) = e della serie
+ f (n) (z0 ) (z n=0 n! + f (n) (z0 ) (z n=0 n!

z0 )n ), come diventa il raggio di convergenza

z0 )n ?

R. La domanda, cos` com` formulata, ` piuttosto ingannevole. La funzione somma f (z) ha senso e e ed ` denita solo in B(r), dunque il raggio di convergenza (stavolta centrato in z0 ) della serie di e Taylor in z0 B(r) dovr` avere raggio di convergenza che non faccia uscire da B(r), ovvero r |z0 |. a Daltra parte, per`, una volta che si sia riusciti a scrivere f (z) in forma nita (cio`, non pi` come o e u serie) ci si potrebbe accorgere che f (z) ` interpretabile come funzione olomorfa su un aperto ben e pi` grande di B(r) (ricordiamo che comunque tale forma nita coincide con la somma della serie u data in partenza solo su B(r)), e dunque, come detto, essa ` sviluppabile in serie di potenze su tutta e la pi` grande palla aperta centrata in z0 e contenuta in : e il raggio di convergenza di tale serie u potrebbe allora essere molto maggiore di r |z0 |. Ad esempio, sappiamo che per la serie geometrica 1 n e n0 z la somma ` f (z) = 1z sulla palla aperta unitaria B(1). Tuttavia la funzione in forma nita 1 f (z) = 1z , che coincide solo su B(1) con la somma della serie, ` olomorfa non solo in B(1) ma in e tutto C \ {1}, dunque la sua serie di Taylor centrata in un punto z0 B(1) (ma a questo punto potremmo dire: centrata in un qualsiasi punto z0 = 1) avr` raggio di convergenza pari alla distanza a di z0 da 1, ovvero |1 z0 |, che per gli z0 B(1) ` in generale ben maggiore di 1 |z0 |. In eetti e 1 k! la derivata k-esima di f (z) = 1z ` f (k) (z) = (1z)k , dunque la serie di Taylor di f (z) in z0 = 1 ` e e
+ f (n) (z0 ) (z n=0 n!

z0 )n =

+ 1 n=0 (1z0 )n (z

z0 )n , che ha raggio di convergenza esattamente |1 z0 |.

03. D. In un esercizio ha detto che se due serie di potenze an z n e bn z n hanno raggio di conn ha raggio di convergenza r vergenza ra e rb , allora la serie somma (an + bn )z a+b = min{ra , rb }. Tuttavia, se ra = rb la cosa non mi pare sempre vera: molto banalmente, se bn = an la serie somma (che ` zero) ha raggio di convergenza sempre + indipendentemente da quanto valevano ra = rb ... e R. Lei ha pienamente ragione. Infatti a lezione ho dimostrato che vale sempre ra+b min{ra , rb }, ma il viceversa lho dimostrato solo nel caso in cui ra e rb sono diversi tra loro. E ho omesso di esaminare il caso in cui ra = rb , in cui pu` accadere infatti levidente contraddizione che cita lei. Dunque: se o ra = rb allora ra+b = min{ra , rb }; mentre se ra = rb =: r, in generale si pu` dire solo che ra+b r. o 13

02. D. Non ho capito bene cosa pu` succedere sui punti della circonferenza di convergenza, soprattutto o in riferimento alla convergenza assoluta. R. Sui punti della circonferenza di convergenza ci pu` essere convergenza semplice o assoluta, o non o convergenza. Per quanto riguarda per` la convergenza assoluta, se c` in un punto c` anche in tutti o e e gli altri: ci` ` ovvio dalla denizione stessa di convergenza assoluta (se r ` il raggio di convergenza, per oe e tutti i punti della circonferenza di convergenza la serie dei moduli |an z n | diventa |an |rn , dunque converge o per tutti o per nessuno).

01. D. Durante il suo corso ha detto che una funzione in C si dir` derivabile in senso complesso a se essa ` dierenziabile e risolve un sistema di equazioni con derivate, mentre per una funzione in e R2 abbiamo limplicazione inversa (ovvero dierenziabilit` implica derivabilit`) lesatto opposto. Mi a a potrebbe spiegare in cosa consiste questa dierenza? R. A lezione io ho denito una funzione f (z) come derivabile in senso complesso in un certo punto (z z0 = x0 +iy0 C se in quel punto esiste il limite del rapporto incrementale complesso f (z)f0 0 ) ; poi ho zz dimostrato che la funzione ` derivabile in senso complesso in z0 se e solo se, vista come funzione di R2 in e s` (interpretando z = x+iy come la coppia (x, y)), essa ` dierenziabile in (x0 , y0 ) e soddisfa al sistema e e di Cauchy-Riemann. Il fatto che la derivabilit` complessa in un punto implichi la dierenziabilit` reale a a in quel punto (mentre come noto la derivabilit` reale in un punto rispetto alle varie direzioni non la a implica aatto, ma ne ` solo implicata) non dovrebbe sorprendere pi` di tanto: infatti lesistenza del e u limite del rapporto incrementale complesso ` molto pi` impegnativa di quella del limite del rapporto e u incrementale reale (nel complesso la variabile ha una libert` ben maggiore che nel reale) ed ` anzi pi` a e u impegnativa del limite che denisce la dierenziabilit`: infatti, in questultimo, a denominatore tutto a viene banalizzato con la distanza ||z z0 || = |z z0 | e dunque si perde un po dinformazione sulla direzione; mentre, nel limite complesso, a denominatore c` proprio il numero complesso z z0 in carne e e ossa (in questo senso, la condizione di Cauchy-Riemann ore proprio la necessaria compatibilit` tra a derivate direzionali che permette di passare dalla dierenziabilit` reale alla derivabilit` complessa). a a Abbiamo parlato nora nora di derivabilit` al punto: se vogliamo poi passare alla derivabilit` in tutto a a il dominio, tale ` la forza della condizione di esistenza della derivata complessa che, come abbiamo e visto, se la funzione ` olomorfa (cio` derivabile in senso complesso in tutti i punti del suo dominio, e e non solo in un z0 ) allora essa ` addirittura analitica, in particolare derivabile innite volte in senso sia e reale che complesso su ogni palla contenuta nel suo dominio.

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Immersioni e sommersioni Come sappiamo, il Teorema della Funzione Inversa aerma che: Se A Rn ` aperto e x0 A, una funzione e dierenziabile f : A Rn ` dieomorsmo locale in x0 (cio` ` localmente invertibile vicino x0 ) se e solo se e e e dfx0 : Rn Rn ` un isomorsmo, cio` se e solo se det Jf (x0 ) = 0. Linteresse di questo teorema ` quello e e e di riuscire ad ottenere informazioni sullinvertibilit` locale di f vicino ad un punto x0 cosa di verica spesso a ardua a partire dalla funzione tangente dfx0 in quel punto, e dunque a partire da una condizione algebrica sulla matrice jacobiana Jf (x0 ), di verica assai pi` agevole.(1) Cerchiamo allora di generalizzare questa ricerca u di informazioni dal tangente al locale introducendo due ulteriori nozioni. Siano A Rn aperto e f : A Rm una funzione dierenziabile in x0 A. Se n m, si dir` che f ` immersiva a e in x0 se il dierenziale dfx0 : Rn Rm ` iniettivo, mentre se n m, si dir` che f ` sommersiva in x0 se dfx0 e a e ` suriettivo. Se f ` immersiva (risp. sommersiva) in ogni punto di A, si dir` che f ` unimmersione (risp. una e e a e sommersione). Poich alla funzione lineare dfx0 ` associata (rispetto alle basi canoniche di Rn e Rm ) la matrice e e jacobiana Jf (x0 ) Mm,n (R), ricordando lalgebra lineare si ha: Proposizione 1. Se n m, la funzione f ` immersiva in x0 se e solo se Jf (x0 ) ha rango massimo n. Se e invece n m, la funzione f ` sommersiva in x0 se e solo se Jf (x0 ) ha rango massimo m. e
Esempi. (0) Se n m, il prototipo di immersione ` linclusione naturale in,m : Rn Rm data da in,m (x1 , . . . , xn ) = e (x1 , . . . , xn , xn+1 , . . . , xm ); mentre, se n m, il prototipo di sommersione ` la proiezione naturale n,m : Rn Rm e data da in,m (x1 , . . . , xm , xm+1 , . . . , xn ) = (x1 , . . . , xm ): infatti, trattandosi di funzioni lineari, per ogni x0 Rn si ha d(in,m )x = in,m (iniettivo) e d(n,m )x = n,m (suriettivo). (1) Se n = 1 (dunque A R ` un intervallo aperto), una e 0 0 curva : A Rm ` immersiva in t0 A se e solo se (t0 ) = 0. (2) Se m = 1, una funzione scalare f : A R ` e e sommersiva in x0 A se e solo se f (x0 ) = 0.

Il Teorema della Funzione Inversa pu` allora essere enunciato anche dicendo: Se A Rn ` aperto e x0 A, una o e funzione dierenziabile g : A Rn ` dieomorsmo locale in x0 se e solo se g ` immersiva e sommersiva in x0 . e e Cercando di estendere tale risultato al caso in cui f : A Rm (con A aperto di Rn ) ` solo immersiva o solo e sommersiva, ci si aspetterebbe che limmersivit` (risp. la sommersivit`) di f in x0 debba corrispondere ad una a a sorta di iniettivit` locale (risp. suriettivit` locale) di f vicino a x0 : tuttavia, denire ci` ` unoperazione a a oe delicata, perch in generale limmagine B = f (A) Rm ` lungi dallessere un aperto di Rm , e dunque una frase e e del tipo f |A ` un dieomorsmo tra A e B ` al momento (anche localmente) priva di senso. Bisogna dunque e e innanzitutto denire le nozioni di funzione di classe C k e C k -dieomorsmo per funzioni tra sottoinsiemi qualsiasi (non necessariamente aperti) dello spazio euclideo. Siano D Rp , E Rq due sottoinsiemi qualsiasi, e h : D E una funzione. (Nozione di funzione di classe C k in t0 D) Se D ` un aperto di Rp , la nozione ha gi` senso (pensando h e a a valori in Rq ). Nel caso generale, si richiede che h sia indotta da una funzione di classe C k nello spazio ambiente, ovvero che esistano un intorno aperto U Rp di t0 ed una funzione h : U Rq di classe C k in t0 tale che h = h|DU .
DU

(Nozione di C k -dieomorsmo) Si richiede che h sia un omeomorsmo di classe C k con inversa h1 : E D pure di classe C k . La cercata generalizzazione del Teorema della Funzione Inversa ` la seguente. e Teorema 2. Siano A Rn un aperto e f : A Rm dierenziabile in x0 A. (i) (Teorema delle immersioni) Se n m, allora f ` immersiva in x0 se e solo se vicino a x0 , la funzione e f identica A con la sua immagine f (A), ovvero esiste un intorno aperto U A di x0 tale che f |U ` e dieomorsmo tra laperto U di Rn ed il sottoinsieme f (U ) Rm .(2)
Comunque tale criterio non d` informazioni circa linvertibilit` globale di f . a a Equivalentemente, se e solo se vicino a x0 , la funzione f si comporta come linclusione naturale in,m : Rn Rm , ovvero se esistono intorni aperti U A di x0 e V Rm di f (x0 ), un intorno aperto W Rnm di 0 ed un dieomorsmo : U W tali che, denotando con iU : U U W linclusione iU (x) = (x, 0), si abbia f |U = iU .
(2) (1)

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(ii) (Teorema delle sommersioni) Se n m, allora f ` sommersiva in x0 se e solo se vicino a x0 , la funzione f e si comporta come la proiezione naturale n,m , ovvero se esistono intorni aperti U A di x0 e V Rm di f (x0 ), un aperto W Rnm ed un dieomorsmo : U W tali che, denotando con V : V W V la proiezione V (x , x ) = x , si abbia f |U = V . In particolare vale f (U ) = V , e per ogni y V linsieme(3) f 1 (y) = {x U : f (x) = y} ` dieomorfo allaperto W di Rnm . e ` E importante rimarcare che le informazioni date dai risultati precedenti sono di carattere locale, e dunque non escludono fenomeni particolari nel comportamento globale della funzione: a tale proposito arontiamo nellesempio seguente lanalisi della curva otto, che sar` ripresa pi` avanti parlando di variet` ani. a u a

(a) Il sostegno della curva otto. (b) Il segmento ] 11 , 11 [ R, intorno di t0 = 0, ` dieomorfo alla sua immagine (] 11 , 11 [) R2 , che ` il tratto e e

di curva otto evidenziato in rosso: il Teorema delle Immersioni ` rispettato. (c) La ics porpora che lintorno giallo di (0, 0) in R2 individua sulla e curva otto non pu` essere dieomorfo ad un intervallo di R. o

Esempio. (1) La curva otto : R R2 data da (t) = (sin t, sin t cos t) (il cui sostegno = (R) ` rappresentato e in g. (a)) ` unimmersione: per le curve, a tal ne basta vericare che il vettore derivato non sia mai nullo (perch e e dt : R Rn ` dato da dt () = f (t)), e in questo caso se (t) = (cos t, cos 2t) fosse nullo si avrebbe cos t = cos 2t = 0, e impossibile. Perci`, in base al Teorema delle Immersioni, deve esistere un intorno ], [ di t0 = 0 che sia dieomorfo alla o sua immagine (] , [): ci` ` vero, in realt` basta che sia < (g. (b)). Tuttavia la curva otto, nella sua globalit`, oe a a ` tuttaltro che iniettiva: in particolare il suo punto (0, 0), oltre che da t0 = 0, ` raggiunto anche da tutti i valori del e e parametro t multipli interi di ; inoltre, anche se (come appena visto) un suo tratto ` dieomorfo ad un intervallo di R, e non ` troppo dicile mostrare che il sostegno della curva otto non pu` essere dieomorfo ad un intervallo di R, proprio e o a causa della sua conformazione ad ics allintorno del punto (0, 0) (g. (c)).(4)

Sempre in vista delle variet` ani, ` importante mettere in evidenza il seguente fatto. a e Proposizione 3. Siano D un aperto di Rp e h : D Rq (con p q) una funzione di classe C k che induce un C k -dieomorsmo tra D e E = h(D). Allora h ` unimmersione. e Dimostrazione. Siano t0 D e u0 = h(t0 ) E. Per ipotesi esistono un intorno aperto V Rq di u0 ed una funzione : V D di classe C k tale che |V E = h1 V E . Poich h = idD : D D, e D ` un aperto di e e Rp , dierenziando in t0 si ottiene du0 dht0 = idRp , e ci` implica (che du0 ` suriettiva e che) dht0 ` iniettiva. o e e

detto insieme di livello, o bra, di f in U . Sia infatti per assurdo h : I un dieomorsmo tra un intervallo I R e il sostegno della curva otto, e sia t I tale che h(t) = (0, 0): per denizione deve esistere un intervallo aperto U I contenente t, un intorno V R2 di (0, 0) (che, a meno di prendere U pi` piccolo, sar` sucientemente piccolo da individuare una ics su , vedi g. (c)) u a e una funzione dierenziabile k : V U tale che h(U ) = V e k|V = ( h|U )1 : dunque lintervallo U e la ics V sarebbero dieomor tramite h|U : U V , e togliendo il punto t a U da un lato e il punto (0, 0) = h(t) a V dallaltro tale dieomorsmo dovrebbe restare valido. Ma un dieomorsmo deve preservare tutte le propriet` a topologiche, come ad esempio il numero di componenti connesse, e mentre U \ {t} (segmento meno un punto) ne ha alpi` u due, ( V ) \ {(0, 0)} (la ics senza il punto di incrocio) ne ha quattro: assurdo.
(4)

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