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Il monastero di Cimitile fondato nel 395 d.C. dal vescovo Paolino di Nola non nacque
sui resti di un cimitero pagano ma probabilmente a partire da una sinagoga ed un
piccolo cimitero ebraico poi trasformato in luogo di culto cristiano da Felice
Sabato Scala
Il lavoro che presentiamo in anteprima, avrebbe dovuto trovar posto sul n.9 di
Episteme del prof. Umberto Bartocci della Università di Perugia: questo numero
purtroppo non uscirà mai avendo il professore, con sofferta decisione, stabilito
di chiudere la sua straordinaria creazione. Con la chiusura di Episteme
scompare la sponda accademica per i ricercatori non accademici che non
temono l'impopolarità di una nuova idea.
A Bartocci ed a Episteme dedichiamo quest'ultima Ns fatica con la nostra
eterna stima ed amicizia.
Premessa
Il complesso delle basiliche paleocristiane di Cimitile nei pressi di Napoli, rappresenta un
patrimonio storico archeologico di valore inestimabile essendo uno dei primissimi insediamenti
monastici d’Europa.
La sua fondazione risale al 395 d.C. a pochi anni di distanza dalla edificazione del primo monastero
d’Europa realizzato da Martino di Tours a Ligugè in Francia nel 361 d.C..
A differenza, però, di altri primitivi complessi oggi scomparsi, l’insediamento cimitilese é l’unico
conservatosi fino ai giorni nostri, sebbene in forma che non si può certo definire ottimale. Esso
costituisce, quindi, terreno di studio diretto di quelle che furono le prime sperimentazioni
architettoniche di edifici adibiti al culto cristiano.
Le numerose lettere dell’epistolario del vescovo Paolino di Nola artefice primo della ideazione,
edificazione e riadattamento del precedente complesso basilicale a nucleo monastico
contribuiscono, da sempre, ad agevolare e stimolare tale fondamentale ricerca.Il numero di studi
compiuti su questo plesso di straordinaria importanza storico - archeologica è, rispetto a casi
analoghi o anche di minore importanza, tutto sommato estremamente ridotto.
Fin troppo scarse sono state le indagini archeologiche serie iniziate, con metodo scientifico e
meticolosità, solo nell’ultimo decennio partendo, purtroppo, da scavi condotti con eccesso di
disinvoltura a partire dagli anni 40, dall’architetto Gino Chierici.
Il risultato di quelle opere di scavo ci impedisce oggi, in molti casi, di eseguire approfondimenti
completi per l’oggettivo stravolgimento del sito e per la perdita definitiva di svariate testimonianze.
Alla meritoria opera della scuola tedesca iniziata già negli anni 60 dal Belting e proseguita, di
recente, dagli archeologi e professori Korol e Lehmann, si è affiancata anche una, non affollata
schiera di studiosi italiani .
Nonostante tutto, soprattutto, per il numero non certo grande di studi prodotti e per la valenza degli
studiosi che hanno pubblicato i primi e principali lavori sul sito, in questi anni è mancato un
contraddittorio scientifico serrato e si è, quindi, prodotto un precoce unanimismo sulle prime
autorevoli conclusioni.Pur nei miei oggettivi e cospicui limiti, ho segnalato negli scorsi anni, alcune
possibili alternative a tesi dominanti, relative, principalmente, alla identificazione della funzione
originaria del sito e delle costruzioni che precedettero l’arrivo di Paolino.
Il questo lavoro intendo approfondire il discorso iniziato con i precedenti articoli [2][10]
proponendo a titolo di mero ma documentato suggerimento agli studiosi, una alternativa alla tesi
universalmente accettata, secondo la quale il complesso basilicale, prima dell’arrivo di Paolino e
prima della edificazione delle 5 basiliche che precedettero l’arrivo del santo, fu un cimitero pagano
con tanto di imponenti mausolei funerari.
Concentreremo l’attenzione su un fondamentale studio prodotto dal prof. Dieter Korol dal titolo “I
Sepolcreti Paleocristiani e l’aula soprastante le tombe dei Santi Felice e Paolino a Cimitile” in
Didattica e Territorio 30mo distretto scolastico – Nola.[8]
Figura 2: ricostruzione 3D dell'atri di separazione tra la Basilica Vetus e la Basilica Nova nel complesso
cimitilese
Le posizioni possibili per l’”ingresso privato” cui accenna Paolino, potrebbero essere due: o quella
indicata dal Mercogliano collocata sulla parere ovest o quella sulla parete sud.
Le pareti nord ed est sono da eludersi poiché la prima era è quella sfondata in corrispondenza
dell’ingresso alla basilica Nova, mentre la seconda era occupata dall’abside della Basilica Vetus di
cui parla Paolino nella medesima lettera.
Sebbene ai fini della trattazione che segue, nulla cambi scegliendo l’una o l’altra soluzione, va detto
che la identificazione proposta dal Mercogliano, che appare come la più logica, indicando un
apertura nella parete ovest opposta all’abside della basilica e corrispondente, a quello che, potrebbe
essere stato, il vecchio ingresso della chiesa preesistente, non necessariamente è quella più
attendibile. In un contesto aperto, sperimentale e pressoché privo di riferimenti precisi qual’era, al
tempo di Paolino, la realizzazione architettonica di edifici sacri, nulla può esser dato per scontato.
Figura 4: vista in pianta della abazia del Goleto in Sant'Angelo dei Lombardi (av)
1[1]
Testini, Krautheimer che propongono per la identificazione della Basilica dei Martiri all’interno del gruppo delle 4 e
i tedeschi Korol e Lehmann che, invece, ritengono si tratti di un monumento funerario, riadattato da precedente
mausoleo con medesima funzione.
Nel caso di questo complesso monastico, l’abbazia separava il chiostro del monastero femminile,
circondato dal porticato con annesse celle per la clausura, dal monastero maschile.
Ma torniamo al complesso cimitilese.
Nella mappa precedente, gli edifici ad ovest (1,2,3 della Figura 1), sembrano proprio delineare
quell’area chiusa o privata di cui Paolino parla nella epistola 32, chiudendo l’orto a nord nei pressi
dell’”ingresso privato” e ad ovest in corrispondenza di quello pubblico.
Vari sono gli elementi che, a nostro avviso, avvalorano la nostra tesi, partiamo, in questo paragrafo,
col delineare quelli di più immediata comprensione.
Cominciamo con l’osservare che tutti gli ingressi a tali edifici danno sull’orto di Paolino.
La stratificazione che si nota in situ ed il livello di profondità delle basi murarie sono compatibili
con la nostra ipotesi configurando tali costruzioni tra le parti più antiche del complesso tanto da
essere identificate dal Korol come appartenenti a monumenti funerari pagani precedenti alla
edificazione del complesso paoliniano.
Alcuni di questi edifici, come quelli nella foto seguente, corrispondenti ai numeri 1 e 2 nella mappa,
non mostrano alcun segno visibile di deposizione funerea.
Figura 5: interno della cella 2 ripartizione interna in due stanze / porta di ingresso e spessore murario
Nella foto si notano mura perfettamente lisce e pavimentazione priva di elementi murari o altro che
possa far pensare alla presenza di sepolture.
Si notano, invece, l’ingresso particolarmente curato e la presenza di una ripartizione ulteriore in due
sottostanze, che lascia pensare ad un ambiente abitativo singolo ripartito in camere, proprio ciò che
ci si attende da una cella di un monastero.
Il modo in cui Paolino, inoltre, parla degli “adoratori di Cristo” fa ritenere che egli si stia riferendo
proprio ai monaci che, attraverso quell’ingresso “quasi privato” o “segreto” ad ovest della basilica
Vetus accedevano ad essa per le celebrazioni liturgiche.
Nella epistola 11 Paolino scrive, rispondendo a Severo:
Infatti non abbiamo abbandonato Ebromago per l’orticello, come tu scrivi, ma abbiamo preferito il
giardino del Paradiso sia al patrimonio che alla patria, perché ivi piuttosto è la vera casa dov’è la
nostra dimora eterna; ivi è la nostra patria più autentica, dove è la terra di origine e la principale
abitazione.
Perciò se credi che ci sia stato propizio Cristo, per mezzo del quale pur non avendo nulla
possediamo in Lui, allora il fango della terra non ci trattiene nemmeno nella piccola zolla del
campiello in questa terra piena di spine e fatiche”(ep.:11,14)
Nella lettera Paolino paragona la scelta di vita nel suo piccolo orto e nell’annessa abitazione al
Paradiso; la metafora è descritta con forza e convinzione e, a nostro avviso, è stata ripresa nella
iscrizione sulla porta di ingresso alla Basilica Vetus.
E’ interessante anche notare che, con la configurazione dell’orto che si deduce dalla epistola 32, la
Basilica dei Martiri, certamente una delle 5 di cui parla Paolino e che preesistevano al sui intervento
edificativo, veniva a trovarsi al centro dei quello che presumiamo essere il complesso monastico e
del suo orto.
Data la posizione e le dimensioni estremamente ridotte, essa poteva benissimo configurarsi come
una tipica cappella privata adibita al ritiro in preghiera dei monaci, in analogia a quelle presenti in
molti monasteri di epoche successive.
Questa particolare collocazione spiegherebbe anche i cospicui investimenti in denaro sostenuti per
le costose pitture veterotestamentarie identificate ed analizzate dal Korol nel suo lavoro [8] e
presenti nell’ala est del piccolo edificio.
Anche la tesi da noi proposta, inerente la vetustà degli affreschi di Sant’Eusebio e della Maddalena,
che si trovano in due cappellette interne alla Basilica, parrebbe ancor più probabile vista la
centralità della basilica e il particolare rilievo che, per motivi differenti, come illustrato nel nostro
precedente lavoro [2], Paolino dette alle figure dei due santi, nel suo epistolario.
L’elemento documentale che, però, crediamo renda più che plausibile la nostra proposta
interpretativa, é tratto dalla lettera 29 di Paolino, in cui il santo stesso descrive, sebbene in maniera
succinta, la struttura degli edifici monastici annessi al complesso delle basiliche.
In tale lettera Paolino ci narra dell’arrivo di Santa Melania e del suo numeroso seguito di fanciulle e
ricchi possidenti, presso il complesso cimitilese.
Paolino, ospitò il cospicuo numero di persone, in una apposita ala del monastero che egli descrive
come segue:
Tugurioum uero nostrum, quod a terra suspensum cenaculo una porticu cellulis hospitalibus
interposta longius tenditur, quasi dilatatum gratia domini non solum sanctis <cum> illa plurimis,
sed etiam diuitum illorum cateruis non incapaces angustias praebuit, in quo personis puerorum ac
uirginum choris uicina dominaedii nostri Felicis culmina restabant. (Ep.29,13)
Il Santaniello traduce il controverso brano nel modo che segue:[12]]:
In verità, la nostra povera casa, che a piano rialzato si estende abbastanza in lungo con la sala da
pranzo e un solo colonnato che la divide dalle cellette degli ospiti, quasi diventata più grande per
grazia del signore, offrì alloggio modesto, ma non insufficiente, non solo alle moltissime sante
donne che erano con Melania, ma anche ai ricchi che la scortavano. Inoltre i cori dei ragazzi e
delle fanciulle, che si svolgevano in questa casa, facevano risuonare le volte del vicino tempio del
nostro padrone di casa, Felice.
Se volessimo tener presente la struttura tipica di una villa romana, l’atrio a peristilio prevedeva, a
lato del porticato che contornava il giardino centrale e lungo esso, una serie di piccole camere
spesso prive di finestra o dotate di piccole aperture, dette “cubicula” adibite a camere da letto.
Il caso in esame è, però diverso in quanto non stiamo, evidentemente, parlando di una villa privata
ma di una modesta casa che Paolino non esita a chiamare “tugurium”.
E’ difficile credere che un “tugurium” possa disporre di porticati e di ampie sale al piano superiore
magari corredate da porticato che le separa dal cenacolo.
Le dimensioni che si desumono e le caratteristiche del “tugurium”, nella pur breve descrizione che
ne fa Paolino, ci portano a desumere che il termine sia riferito più allo stato di conservazione della
struttura e quindi alla sua fatiscenza, che non alle dimensioni ed alla architettura complessiva.
Ad ogni modo, riteniamo che le “cellulis” di cui parla Paolino non fossero ubicate lungo il porticato
come lascerebbe intendere la traduzione del Santaniello; riteniamo, inoltre, assai improbabile la
collocazione di dette celle e dell’annesso porticato con cenacolo al secondo piano dell’edificio
poiché, a quanto ne sappiamo, tale configurazione risulterebbe alquanto inusuale.
Le celle, con la principale funzione di “camere da letto”, fossero state disposte lungo il porticato,
anche ipotizzandone la collocazione al secondo piano della abitazione, potevano essere assimilare ai
tipici “cubicula” romani, ma Paolino non ha usato questo termine.
Il termine “cubicula” viene, invece, adoperato dal santo nella lettera 32, ove descrive le 4 cappelle
che egli fece ricavare nelle due navate laterali della basilica Nova, ancora oggi parzialmente
visibili[12]:
Cubicula intra porticus quaterna longis basiliche lateribus inserta secretis orantium uel in lege
domini meditantibur.. (Ep. 32,12)
Santaniello traduce il brano come segue:
All’interno dei portici quattro cappelle per parte, collocate sui alti longitudinali della basilica,
offrono luoghi adatti a coloro che desiderano pregare in privato oppure meditare sulla legge del
signore
Nel brano il termine cubicula è associato, non al camere da letto, ma a cappelle, evidentemente
perché, al tempo, l’idea architettonica innovativa introdotta da Paolino, non aveva ancora un nome
ed il Santo dovette adoperare una parola in grado di evocare elementi architettonici già noti al
lettore.
Il “cubicula” adoperato da Paolino è, evidentemente, stato scelto poiché tali stanze, nelle case
romane, erano ubicate lungo i porticati, ed erano, quindi, assimilabili alle cappelle disposte lungo le
navate laterali della Basilica Nova identificati come “porticati” con annessi “cubicula”.
L’assenza di tale denominazione nel brano della epistola 29 ci porta ad escludere che l’”una
porticu” fiancheggiasse e percorresse l’esterno delle “cellulis” dal lato delle aperture, e di
conseguenza crediamo si possa escludere anche l’interpretazione implicita fornita con la traduzione
del Santaniello e quindi il fatto che queste stanze si trovassero al secondo piano dell’edificio
insieme alla sala da pranzo definita da Paolino, “cenacolo”.
Il termine “cenacolo” adottato da Paolino fa, quasi certamente riferimento implicito alla struttura
dell’edificio di cui si parla nei Vangeli: la stanza e la sala a piano rialzato in cui Gesù celebrò
l’ultima cena.
Esclusa, quindi, tale interpretazione, il testo:
“Tugurium uero nostrum quod a terra suspensum cenaculo una porticu cellulis hospitalibus
interposta longius tendibur”
in riferimento alla posizione delle celle degli ospiti rispetto all’edificio a due piani, riteniamo vada
tradotto nel seguente modo:
“Il nostro tugurio, che sospeso da terra con il cenacolo (sala da pranzo), si estende abbastanza in
lungo con un solo porticato che lo divide dalle celle degli ospiti”
Nella traduzione la variazione principale è relativa alla termine “interposto” che a nostro avviso non
si riferisce alla separazione tra le celle ed il cenacolo, ma tra le celle e l’intero edificio.
In pratica ci troveremmo di fronte a tre corpi di fabbrica disposti a formare una “C”:
l’edificio a due piani con sala da pranzo al piano superiore e con estensione
longitudinale
le celle degli ospiti disposte dall’altro lato dell’orto parallelamente al fabbricato
un porticato perpendicolare ai due edifici che li separava a separarli con funzione di
passaggio coperto e che, come vedremo oltre, forse proseguiva sotto l’edificio a due piani
fungendo da rifugio ed alloggio per i poveri
A nostro avviso, quindi, Paolino, sebbene in forma ambigua, parla di un porticato ad un solo
colonnato o forse meglio, singolo, che separava l’edificio principale dalle celle degli ospiti.
A fare parziale chiarezza sulla struttura del monastero interviene nuovamente Paolino con il
seguente brano tratto dal carme 21, in cui descrive i primi lavori effettuati in Cimitile sia prima che
dopo il suo insediamento nel 395 d.C.:
(390) iam tunc praemisso per honorem pignore sedis Campanias metanda locis habitacula fixi, te
fondante tui ventura cublilia serui, cum tacita inspirans curam mihi mente ferentem adtiguumque
tui longo consurgere tractu culminibus tegumen, sub quo prior usus egentum incoluit. Post haec
geminato tegumine crueit structa domus, nostris quae nunc manet hospita cellis; subdita
pauperibus famulatur porticus aegris, quae nos inpositis super addita tecta colentes sustinet
hospitiis inpumque salubria praestat uulneribus nostris consortia sede sub una comoda praestemus
nobis ut amica uicissim, fondamenta illi confirment nostra precantes, nos fraterna inopum fouemus
coprora tecto.(carme 21, 379-394)
Nella traduzione del Ruggiero [19] il brano viene così interpretato:
Avendo già allora assunto l’impegno di stabilire la sede in tuo onore, decisi di porre la mia dimora
nelle terre della Campania, mentre tu ponevi le fondamenta della casa futura del tuo servo, al
quale ispirando il proposito nel silenzio del cuore, comandasti di costruire e lastricare, attiguo al
tuo tempio, su vasto spazio, un tetto sotto il quale per primi trovarono rifugio i poveri. Dopo di ciò
aggiunto un secondo tetto crebbe la casa costruita che ora accoglie gli ospiti nelle nostre celle. Il
portico sottostante serve i poveri ammalati e sostiene noi che abitiamo le camere aggiunte agli
alloggi sovrastanti e in una sola dimora rende possibile la vita comune con i poveri, salutare per le
nostre ferite, affinché ci procuriamo a vicenda i vantaggi della amicizia essi rafforzino con la
preghiera le nostre fondamenta, noi aiutiamo i corpi dei fratelli indigenti con l’abitazione.
Il testo non lascia dubbi sul fatto che un portico fu aggiunto a pian terreno e non al secondo piano:
esso ospitava i poveri. Più difficile, invece, appare la ricostruzione da noi proposta anche se, a
nostro avviso é, nel complesso, ancora compatibile con la testimonianza del santo.
Paolino, a nostro avviso, descrive il porticato sud e quello che proseguiva sotto le celle al secondo
piano come un unico edificio chiuso successivamente dalla aggiunta di un ulteriore “tetto” nel lato
ovest con le celle degli ospiti. Terminata la descrizione del piano inferiore, Paolino ritorna al lato est
della struttura, per descrivere il secondo piano aggiunto solo in questa zona, a completamento
dell’atrio chiuso del monastero.
La struttura muraria non eccessiva degli edifici che ho identificato come celle, e che si nota anche
dalla foto precedente, non sembrerebbe, infatti, far propendere per l’esistenza di un secondo piano
sopra di essi, ma va, detto che la legislazione romana in periodo augusteo, aveva imposto dapprima
un limite all’altezza massima degli edifici (21 m) e successivamente uno spessore murario
obbligatorio massimo di soli 45 centimetri anche per le abitazioni a più piani. Tale spessore si
rivelo, ben presto, insufficiente ad assicurare solidità strutturale ed è, quindi, probabile che, ad oltre
300 anni da tale discutibile legge, si fosse già fatto tesoro della triste esperienza dei crolli che essa
aveva necessariamente provocato, specie nelle case a piano rialzato o a piani multipli.
Ebbene, se gli edifici che stiamo analizzando fossero le celle degli ospiti narrate da Paolino,
l’edificio principale a due piani si sarebbe trovato dal lato opposto e quindi ad est allineato con la
parete ove era ubicata l’abside della Basilica Vetus.
Nella immagine seguente descriviamo quella che riteniamo essere la struttura del monastero di
Paolino.
Sul modo in cui si è pervenuti al tracciamento del sistema viario che doveva esistere al tempo
torneremo in un apposito successivo paragrafo.
Figura 6:ricostruzione della struttura della ala abitativa del monastero paoliniano
Lo spazio rimanente a sud dovette, quindi, essere occupato dal porticato chiudendo, così. l’orto in
un quadrilatero.
Il questo modo il porticato stesso si allineava al decumano ancora visibile nel tracciato viario attuale
rimasto, da allora, pressoché immutato e che è divenuto il Corso principale di Cimitile (tracciato 1
in figura).
Nella nostra proposta grafica abbiamo scelto di allineare il muro ad ovest del corpo di fabbrica
principale, con il cardo della centuriazione (punto 7 in Figura).
L’edificio a due piani, quindi, avrebbe occupato lo spazio ora coperto dal sagrato della parrocchiale
di San Felice
Questa fortunata situazione ambientale renderebbe possibili eventuali scavi atti a verificare la nostra
ipotesi a differenza, invece, di quanto , accade in corrispondenza del probabile porticato, il cui suolo
è oggi interamente occupato da varie unità abitative.
Il porticato era, quindi, come sottolinea Paolino, “unico” occupando uno solo dei 4 lati del
rettangolo che racchiudeva l’orto con al centro la Cappella dei Martiri, e separava l’edificio
principale dalle celle degli ospiti.
Al centro di esso doveva, opportunamente, trovarsi l’ingresso al monastero facendo in modo che il
porticato collegasse le celle degli ospiti, probabilmente occupate solitamente dai monaci, con
l’edificio principale che, al secondo piano ospitava il cenacolo e che, a piano terra, ospitava il
proseguimento del portico sud collegandolo alla basilica Vetus.
Figura 9:dettaglio della basilica Vetus (destra), dei Martiri(sinistra) e delle celle (sopra)
Le celle sono disposte in sequenza longitudinale, ma l’asse della struttura non è rettilineo e si curva
partendo dall’abside ovest della Basilica Vetus (parte superiore in figura edificio al centro) man
mano che esse si avvicinano alla Basilica dei Martiri (a sinistra).
Questo particolare va correlato al fatto che il piano di calpestio della Basilica dei Martiri è lo stesso
di quello osservabile nelle celle, ciò lascia presumere che gli edifici siano stati realizzati
contemporaneamente.
Nell’edificazione e nell’allineamento delle celle, si è, quindi, tenuto conto nella parte a destra, del
decumano che fiancheggiava la Basilica Vetus, mentre a sinistra dell’asse inclinato della Basilica
dei Martiri, da ciò si deduce quanto segue:
• • Le celle, insieme alla Basilica dei Martiri, sono state edificate di certo in periodo
romano visto che tengono conto della centuriazione (in particolare del decumano che
attraversava in origine lo spazio dell’atrio tra la Basilica Vetus e la Nova. Su questo punto
concordano i principali studi compreso [8])
• • L’edificazione delle celle è contemporanea o di poco successiva (vedi insistenza sullo
stesso piano di calpestio)
• • L’inclinazione della basilica dei Martiri è stata voluta dai costruttori che hanno deciso di
non allinearla con il decumano
Torniamo, quindi, al sistema generale delle Basiliche.
Le basiliche pre - paoliniane occupavano, come mostrato, la parte centrale di tre cellule di
centuriazione su due delle quali (quelle a sud) era annessa la casa colonica di proprietà del vescovo
Paolino.
La estensione della casa colonica di Paolino, infatti, non poteva occupare tutte le cellule (iugeri),
come accade per le celle del monastero, poiché vi era interposta la grande Basilica Vetus.
Paolino, nel carme 27, ci propone un tour che parte dal porticato che supponiamo si trovasse
all’esterno del complesso basilicale nell’ala ovest indicato con A4.
Il punto d’ingresso crediamo corrisponda alla prima porta sotto il porticato a sinistra per chi
proviene dai cardi 2 e 3 :
(360)Vieni, dunque, o padre, e unisciti a me con passo fraterno, mentre ti accompagnano
conducendoti intorno tra le singole costruzioni. Ecco vedi questo portico attraverso il quale la
prima porta ci accoglie; un tempo era un portico schiacciato da un tetto senza luce; ora lo stesso si
eleva rinnovato nei colori e nel soffitto. Ma dove ora nel mezzo della campagna si schiude al cielo
un vestibolo circondato intorno da un portico quadrato, una volta era un orticello con terreno mal
coltivato, la superficie di poco valore offriva scarsi ortaggi di nessuna utilità(carme 27,360-370)
Il portico quadrato cui si riferisce Paolino schiude sull’ala già in precedenza descritta ove,
evidentemente, all’atto della stesura del documento non era più presente l’antico orto o frutteto che,
chiuso tra gli atri e privo di luce aveva finito per produrre pochi ortaggi. In questa ipotesi,
ovviamente, andrebbero riviste anche la data di composizione proposta per il carme.
La forma quadrata è quella centrata sul vestibolo A2 fatto costruire da Paolino perché si elevasse al
di sopra del porticato esterno A4 e, formata dalle celle per gli ospiti che insistevano oltre detto
porticato e dagli atri B2 e A1 .
(370)Intanto ci venne il desiderio di costruire questo edificio; infatti ci sembrava che il luogo stesso
richiedesse questo ornamento affinché, più luminoso splendore ravvivasse da lontano la veneranda
aula de martire attraverso le porte aperte nella facciata di rimpetto, e la facciata resa luminosa
per l’apertura di archi bifori, inondasse l’interno di luce abbondante, rivolta alla vista della
tomba ben evidente da cui è ricoperto il martire addormentato nel corpo sepolto. Questo Felice
guarda gioioso i suoi atri dinanzi alla soglia del suo sepolcro fulgente attraverso l’apertura di due
porte a doppio battente e gode che le sue mura siano sufficienti a contenere le folle e le ampie
basiliche a contenere le moltitudini festose e i pellegrini in dense schiere che attraversano le
numerose uscite….(Carme 27,370-380)
Figura 11: ingresso doppio ad ovest alla basilica vetus con porte a doppio battente
L’alto vestibolo consentiva l’accesso alla facciata aperta nella parete sud della Basilica Vetus.
Quando Paolino parla di “facciata di rimpetto” si riferisce alla parte frontale a sud della Basilica
Vetus posizionata, “di rimpetto” alla tomba ed opposta all’abside di detta basilica.
Essa, aprendosi con due porte a doppio battente e possedendo, in cima, due finestre con archi bifori
consentiva, dalla tomba di Felice (T in figura), di avere la visione anche dell’atrio A 2 oltre che di
quello B2 che fronteggiava il vestibolo e A1 che, a sua volta, divideva in due le basiliche.
E’ questa singolare posizione centrale della tomba che consentiva, da essa, di avere la visione
completa del transito delle folle dei pellegrini.
Terminata la descrizione dell’atrio di ingresso Paolino passa a descrivere l’ala B degli edifici ed in
particolare la zona B1 dove si estendevano le camere costruite sulla copertura dei portici ad est e che
consentivano la visione, dall’alto, di tutto il complesso e degli annessi altari contenenti le reliquie
dei santi, protetti, a loro volta, dai tetti degli edifici sacri. Tali cellee, come vedremo nel carme
successivo, verranno indicate come “quasi unite” alla struttura delle basiliche.
(395) Ma di nuovo ritorniamo agli atri. Guarda in alto le camerette costruite con una seconda
copertura sui lunghi portici; sono le abitazioni destinate ad essere occupate dagli uomini santi che
qui avrà condotto il desiderio della preghiera per la giusta gloria di Felice, non il desiderio di
bere. Infatti le piccole stanze, quasi congiunte al sacro tempio, guardano dalle finestre superiori,
gli altari ben protetti sotto i quali nell’interno hanno dimora i corpi dei santi… [segue l’elenco
delle reliquie dei santi sepolti nelle basiliche]…
(450) A questi [gli apostoli ed i Martiri sepolti], dunque, sarà vicino chiunque vivrà santamente
nelle stanze superiori e lo straniero che di lontano mosso da giusto affetto, si sarà accostato al
santo tempio…
A questo punto Paolino passa a descrivere l’ingresso dal Vestibolo A3 che si apriva con tre porte
riprese anche nella facciata di rimpetto nell’atrio A1 cui fa seguire una descrizione delle fontane ed
in particolare di quella centrale presente nell’atrio A1 segnalando anche il modo in cui aveva
provveduto al reperimento dell’acqua: il rifacimento dell’acquedotto che attingeva dal fiume Clanio
con le sue sorgenti erano in Avella (AV).
(455)Ammira anche questo: il tempio sublime del martire in armonia con la legge del ministero si
apre con tre porte (egli infatti, professo la fede nell’unico regno sotto il nome della Trinità) e le
case unite insieme, essendo le costruzioni congiunte tra loro, hanno un significato per santa legge,
poiché, pur essendo molti i tetti per gli edifici innalzati, tuttavia una sola è la casa della pace santa
e l’armonia fa di molte membra un corpo solo, per il quale al vertice sta la forza del Cristo…
[segue la trattazione relativa alle varie fontane che ornano gli atri ed alla provenienza della
cospicua acqua che le irrorava]…(Carme 27,445-464)
Terminata la descrizione delle opere create per condurre acqua alle Basiliche, Paolino torna proprio
sull’atrio A1 descrivendolo come aperto da ambo le parti a con 3 archi che separavano le due
Basiliche in analogia a quanto già visto nella epistola 32ma. Tale atrio era aperto al cielo, come
vedremo, da una grata.
(480) Garda ora l’altro lato: come vi è un solo porticato e la parete costituita dalle colonne che
stanno nel mezzo, fiancheggiate da uno spazio aperto da ambo le parti, unisce a se attraverso un
passaggio le basiliche che in alto sono separate. (Carme 27,480-484)
A questo punto Paolino analizza la Basilica Vetus che ospitava il fulcro del complesso, la Tomba di
felice (T in Figura). Grazie alle arcate che si aprivano a sud sull’atrio B 2 ad ovest sull’atrio A2 e a
nord sull’atrio interno A1 si otteneva la visione completa del sistema di fontane facendo apparire gli
atri come un “campo irriguo”. Nonostante, comunque, questa apertura sull’esterno, il vestibolo, il
relativo tetto e quello che proteggeva le due basiliche custodiva alla vista esterna, l’area sacra
interna ai due templi.
(484)E’ tempo ora, mentre i nostri occhi si muovono in giro, di passare in questo tempio [la
basilica di Vetus], che aperto sul lato lungo, raggiunge insieme con la luce del cielo lo spazio del
soffitto, che si estende sugli atri uniti tra loro congiungendoli, sebbene separati, con le arcate
inserite ed offre alle assemblee dei fedeli la vista di un campo irriguo. Tuttavia le mura innalzate
d’intorno lo racchiudono con la costruzione di un recinto, affinché il sacro tempio non sia aperto
aglio occhi dei profani (490) e il vestibolo aperto all’aria protegga le parti segrete.Né ti
meravigliare che i sacri recinti si allarghino in altri spazi…
La descrizione iniziata nel carme 27mo prosegue più approfondita in quello 28mo che, ancora una
volta, ci propone l’accesso da ovest e ci mostra due sezioni del complesso, quella che dal centro si
estendeva verso nord lungo lo spazio occupato dalla Basilica Nova e quella che, sempre dal centro,
si allungava in direzione sud lungo lo spazio occupato da quello che riteniamo fosse il vero e
proprio monastero con il suo atrio centrale.
La descrizione riposta nell’area A, la presenza dei lunghi portici riferiti sia alle navate della
Basilica Vetus sia al portico più lungo esterno che abbiamo indicato con A4 e che consentiva
l’accesso al complesso. Lo spazio tra essi racchiuso viene definito “interno” perché, più angusto
rispetto alla estensione maggiore dello spazio nella zona definita con B in figura.
Il muro che unisce le basiliche “dall’atra parte” è il lungo muro che circonda in complesso a sud,
mentre le piccole stanze sono riferite alle celle degli ospiti tra cui si aprono le porte che sotto il
lungo porticato danno accesso al complesso.
(5)Da questa parte i vestiboli, circondati per largo tratto da lunghi portici, si aprono in uno spazio
interno racchiuso tra le case ed insieme mostrano le stelle allo sguardo ed aprono gli atri agli
ingressi. Dall’altra parte le basiliche sono unite insieme mediante i muri che vi sono stati aggiunti
e, distendendosi in uno spazio aperto e nello stesso tempo convergente, congiungono i tetti
gareggianti tra loro con travi intrecciate e si elevano variamente abbellite con eguali ornamenti di
marmo, di pittura, di soffitti a riquadri e colonne tra cui la leggiadria è variata anche da piccole
stanze. (Carme 28, 5-15)
E’ proprio da questo lungo portico esterno che Paolino riprende la descrizione indicandoci, appunto,
la presenza di tre ingressi chiusi da cancellate.
La posizione di questi ingressi è, a nostro avviso, determinata dalle singolari pitture che li
sovrastano e che vedono al centro immagini di Martiri mentre a destra ed a sinistra immagini di
santi rispettivamente di sesso maschile e femminile.
Sono proprio queste pitture e la presenza della piccola Basilica dei Martiri al centro con la
conseguente separazione degli atri B2 e B3 che ci spinge a credere che Paolino abbia voluto indicare
con la separazione dei sessi sulle porte di accesso al complesso, anche la divisione in due nel
monastero con le celle femminili nell’atrio B2 e quelle maschili nell’atrio più ampio B3
(15)Nei portici, laddove un unico porticato si estende ininterrottamente per più lungo tratto
intorno allo spazio interno, tre ingressi vicini tra loro schiudono queste celle addossate ad un lato
e tre aperture le aprono con cancelli scorrevoli. Nomi santi adornano quella centrale con immagini
di martiri, che una gloria uguale coronò pur nella diversità dei sessi. Una pittura di argomento
religioso adorna poi con due storie ciascuna le due porte che si aprono a destra e a sinistra. La
sacre gesta di uomini santi ne riempiono l’una: Giobbe provato dalle piaghe, Tobia malato agli
occhi; ma il sesso più debole occupa l’altra, dove è raffigurata la famosa Giuditta ed insieme a lei
anche al potente regina Ester. (carme 27, 15-25)
Anche in questo caso Paolino non si sofferma a descriverci lo spazio riservato all’ala maschile del
complesso monastico, chiuso, evidentemente, all’accesso dei pellegrini ma comunque adibito ad
ospizio per i poveri almeno relativamente al porticato inferiore.
Il santo, entrando dalla porta che nel carme 27mo era già stata definita la “prima porta” e quindi la
porta contrassegnata da dipinti di sante, passa a descrivere, nuovamente, l’interno degli atri.
Il percorso parte dall’atrio interno che a nord separava le due Basiliche. Paolino ci descrive la
fontana bronzea già segnalata nella lettera 32, chiusa alla sommità da una grata.
Passa poi, a descrivere le cinque fila di vasi che non sarebbero, chiaramente, potuti essere collocati
all’interno dell’atrio A1 eccessivamente angusto, e che, quindi, si trovavano “innanzi” nell’atrio A2 .
L’atrio A2 infatti, che viene indicato come “questa superficie”, aveva una pavimentazione in marmo
e consentiva l’ingresso non solo alle due basiliche le due porte che fronteggiavano la tomba di
Felice, per l’accesso alla Basilica Vetus, ed attraverso l’ingresso che si apriva a nord sull’atrio A 1
per l’accesso alla Basilica Nova, ma anche all’atrio B2 con il conseguente lungo tratto di accesso
alla piccola Basilica di San Calionio.
E’ proprio la descrizione dell’accesso a tre e non a due basiliche, cui solitamente si fa riferimento
sia nelle lettere che nei carmi che ci fa, da un lato escludere che si stia parlando dell’atrio A 1 e
dall’altro ci conferma come la Basilica dei Martiri (a nostro avviso una di quele preesistenti)
fosse,stata esclusa del circuito di visita aperto ai pellegrini includendola nell’area privata dell’ala
maschile del monastero.
La descrizione prosegue segnalando la vasta possibilità di passeggio evidentemente resa possibile
dalla terna di atri A1, A2 e B2 con la possibilità di sedersi sotto le balaustre delle colonne dei portici e
di godere della vista delle fonti zampillati degli atri proteggendosi sotto i portici sia dal sole estivo
che dalla pioggia invernale.
(26) Lo spazio interno sorride per vari ornamenti, in alto abbellito dai soffitti e dalle facciate
luminose sotto l’aperto cielo e in basso coronato da bianche colonne. Nella parte scoperta in
quest’area si innalza un vaso splendente con fontana che una struttura di bronzo protegge con la
sommità chiusa di una grata. Gli altri vasi stanno innanzi a piccole fontane disposte sotto il cielo
aperto; in esse, variamente ordinate in piacevole successione, è diversa l’opera dell’arte, ma
uguale è la materia del marmo e una sola acqua scorre per diverse bocche nei capaci recipienti.
Questa superficie si stende unita a tutte e tre le basiliche e da un solo punto apre a tutti i diversi
ingressi e insieme spaziosa nel suo pavimento centrale in un solo grembo accoglie le diverse uscite
alle tre basiliche. Tuttavia una serie continua in cinque gruppi di splendenti vasi costruiti e disposti
in file apre allo sguardo questo pavimento mirabile per il marmo che vi è in abbondanza raccolto,
lo delimita per quelli che vi passeggiano.
Tuttavia vi è ampia possibilità di muoversi sotto i porticati circostanti e di sedere quando si è
stanchi sulle balaustre poste tra le colonne e di osservare i vasi traboccanti e a piedi asciutti
guardare senza calcarlo il suolo bagnato e ammirare le fonti zampillanti con placido mormorio in
piacevole gara tra loro. E’ offerta questa possibilità gradita non solo nel tempo invernale, perché
l’ombra del tetto è piacevole durante il caldo estivo allo stesso modo come sono graditi i luoghi
soleggiati durante la fredda stagione e quelli asciutti durante la pioggia. (carme 27,26-50)
La descrizione del complesso termina con la vista dello spazio maggiormente esteso formato dalla
coppia di atri B1 e B2 che nell’area est ospitavano il secondo piano del monastero come le celle ed
il cenacolo già descritto nella lettera 29ma.
La posizione ad ovest del punto di osservazione e la possibilità di vedere, da questo punto, sia l’alto
vestibolo che il lungo muro che si veniva a determinare a sud –est con il secondo piano delle celle
ci conferma che questo doveva trovarsi nell’area già da noi identificata attraverso la testimonianza
della lettera 29.
Se, infatti, il secondo piano si fosse elevato direttamente sopra il portico A1 il Vestibolo sarebbe
apparso coperto da esso lasciando intravedere, da lontano, solo la cima del tetto.
(51) Dall’atra parte si estende uno spazio esterno che è ugualmente circondato da portici, meno
ricco di ornamenti, più grande per estensione. Davanti al sacro tempio esso apre un vestibolo
visibile da lontano con le celle costruite in due piani, mediante le travi convergenti delle
costruzioni unite tra loro, con lo spettacolo del muro da l’impressione di un castello e da luogo ad
una piazza per le riunioni in cui è possibile passeggiare per largo tratto.
Note bibliografiche
[1] Lehmann T. - Lo sviluppo del complesso archeologico a Cimitile, Boreas, 1990, 13, 16, pp. 123-
134.
[2] Scala S. - Il culto gnostico della Maddalena dal mosaico di Otranto alle basiliche paleocristiane
di Cimitile, Episteme n. 6, ed. PORZI, 21 dicembre 2002.
rif. on-line: http://www.robotics.it/episteme
[3] Ebanista C., Fusaro F. - Cimitile: guida al complesso Basilicale e alla città, Comune di Cimitile,
2001
[4] Korol D. - Il primo ritrovamento di un oggetto sicuramente giudaico a Cimitile: una lucerna con
rappresentazione della menorah, Boreas, 1990, 13, pp 94-102.
[5] Belting H. - Die Basilica dei SS.Martiri in Cimitile und ihr frumittelalterlicher Freskenzlus,
Wiesbaden, 1962.
[6] Testini P. - Note per servire allo studio del complesso paleocristiano di S.Felice a Cimitile
(Nola), MEFRA Antiquitè 97, 1985, 329-371 - menzionato in [1].