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Anno XXXX
RICERCHE STORICHE
N. 101 aprile 2006
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Vice Direttore
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Direttore Responsabile
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Reggio Emilia n. 220 in data 18 marzo 1967
Rivista semestrale di Istoreco
(Istituto per la storia della resistenza
e della societ contemporanea in
provincia di Reggio Emilia)
Foto di copertina:
Le foto si riferiscono al 22 maggio 1949,
manifestazione regionale dei giovani
comunisti con la presenza di Palmiro
Togliatti.
g

__ DI REGGIO EMILiA __
PIETRO MANODoRI
Con il contributo della Fondazione Pietro Manodori
Indice
Editoriale
Massimo Storchi, Un altro 25 aprile 5
Ricerche
Philip Cooke, Da partigiano a quadro di partito: l'educazione degli emigrati
politici italiani in Cecoslovacchia 9
Mario Frigeri, Il caso Disteso: la mancata rivolta dei carabinieri contro Sal.
Rapporto su una ricerca in corso 39
Ugo Pellini, Temistocle Testa 45
Memorie
Ettore Borghi Ca cura di), L'autonomia al lavoro: comune e infanzia. Intervi-
sta a Loretta Giaroni su Scuole e nidi comunali 57
Teresa Vergalli, Claudio Truffi, un reggiano trapiantato per I1talia.
Un percorso di vita 65
Didattica
Lorena Mussini, Un territorio nel tempo. Sassuolo e le traiformazioni del '900.
Giornata di studi - Sassuolo 29 maggio 2005 103
Strumenti
Amos Conti, Gli Albi della Memoria: le tecnologie informatiche, supporto es-
senziale per la ricerca storica e per la conservazione attiva della memoria 119
Massimo Storchi, La Memoria della citt-Polo Archivistico. Un progetto per la
comunit reggiana del XXI secolo 139
Note & Rassegne
Enzo Grappi, Immigrazione, flessibilit del lavoro e lavoro nero. Il nuovo
profilo sociale di Reggio Emilia 147
Gian Franco Ricc, ''Modello emiliano ": lavoro e coesione sociale a Reggio
Emilia 161
Francesca Bellti, Ecolinguistica dell'italiano negli Stati Uniti. Dinamiche del
processo di perdita linguistica tra gli emigrati italiani nel territorio statuni-
tense 169
Francesco Paolella, Il problema delle fonti nella ricerca sulla deportazione
dall'Italia, 1943-1945. Museo della Deportazione di Prato, 7-8 dicembre
2005 179
Alberto Ferraboschi, La Grande guerra raccontata in tre libri 189
Recensioni 193
3
Un altro 25 aprile
Massimo Storchi
Scrivo questa breve nota una ventina di giorni prima delle elezioni politiche
del 9 aprile che spero significheranno la fine del periodo peggiore del
dopoguerra italiano, un periodo che lascia dietro di s macerie istituzionali,
economiche, etiche e culturali.
Di queste macerie culturali chi si occupa di ricerca e divulgazione storica ha
dovuto prendere coscienza giorno per giorno pur nella condizione favorita dal
vivere in terra d'Emilia, dove un forte tessuto democratico ha retto meglio agli
urti e limitato gli effetti pi devastanti dell'azione di governo, pur ricevendone
ugualmente danni non trascurabili fino ad uscirne parzialmente indebolito
sotto numerosi punti di vista.
In questo contesto si trattato di proseguire in un percorso sempre pi
difficile dove l'uso politico della storia, giunto ai minimi livelli di dignit etica
e culturale, stato purtroppo un elemento quasi consueto.
Il successo di operazioni editoriali (di cui l'episodio Vespa e sodali solo
il segnale pi clamoroso di una situazione di grande confusione e degrado
non soltanto mediatica); il tentativo, fortunatamente fallito, di equiparare
i collaborazionisti di Sal ai combattenti delle formazioni partigiane e del
ricostituito esercito italiano; l'introduzione strumentale di una festa come
la Giornata del ricordo; il periodico riproporsi in terra reggiana di vicende
legate ad episodi di violenza della guerra di liberazione e dei suoi immediati
e successivi dintorni, sono soltanto alcune delle tappe di questo conflitto ora
strisciante ora esaltato dai mezzi di comunicazione che ha segnato questo
difficile periodo. Un periodo che ha evidenziato soprattutto un paradosso
sul quale ritengo opportuno riflettere in maniera pi meditata nell'immediato
futuro. Il paradosso costituito dal progressivo allargarsi di una frattura fra
nuove acquisizioni della ricerca storica e consolidarsi di una percezione
diffusa nell'opinione pubblica. Una spaccatura fra risultati delle ricerche e
senso comune.
5
6
Un paradosso che in qualche modo ha superato anche le polemiche un
po' stantie contro il revisionismo storiografico della destra, un revisionismo
che si sostanziato, nei fatti, non con la proposizione di nuove fonti e nuove
interpretazioni, ma semplicemente con la negazione delle fonti e delle ricerche
che in questi anni sono state condotte. Un revisionismo che si fondato sulla
creazione di un preteso "anno zero" sul quale poter imbastire, ogni volta, una
campagna di rivelazioni clamorose, di silenzi "finalmente" svelati, di misteri
che potevano finalmente essere sottratti ad una "congiura del silenzio" operata
da occulte (ma non tanto nella propaganda sgangherata che riecheggiata
anche prima degli eccessi della campagna elettorale) forze riconducibili alla
schieramento articolato della sinistra storica italiana.
Questa frattura fra ricerca e senso diffuso della propria storia costituisce
un fenomeno di grande interesse sul quale si stanno interrogando anche
ricercatori e storici esteri sia per le sue componenti di irrazionalit, che per le
possibili conseguenze nel medio/lungo periodo, su come questa sostanziale
"fuga dalla realt" possa influenzare un'identit nazionale ed europea gi cos
traballante e discussa. La domanda che viene fatta sull'Italia dopo il 2001
come possibile?, una domanda che ci coinvolge profondamente tutti come
cittadini, prima ancora che come storici.
In questa prospettiva il prossimo 25 aprile si pone come un occasione non
rituale di riflessione, non solo nella speranza di aver superato la fase pi critica
ma anche, e soprattutto, su come ripartire, sulle prospettive future da costruire
dovendo tener conto proprio di quelle macerie cui abbiamo accennato. E
allora sarebbe ipocrita non rivolgere anche al nostro interno un invito ad una
autocritica serrata, alla apertura di una riflessione che in questi anni stata
troppo spesso latitante quando, in una fase di scontro frontale, di attacco
politico, culturale ed etico, ogni richiesta di apertura, di una visione pi laica e
aderente proprio a quanto la ricerca stava mettendo in evidenza, poteva venire
interpretata come un cedimento, suscitando la richiesta della "opportunit" di
mostrare all'avversario lati "deboli" di una costruzione politica e culturale che,
in realt, proprio nel suo chiudersi al confronto, maturava giorno per giorno
nuovi elementi di criticit.
La stessa debolezza storica del 25 aprile come data celebrativa, come
epifenomeno di una Resistenza che rimane psicologicamente, culturalmente,
politicamente remota (Rusconi, 1995), senza riuscire a diventare un elemento
condiviso della cittadinanza ma sempre di pi un segnale di quella crisi
dell'antifascismo che probabilmente il nocciolo critico di una debolezza di
valori e contenuti di una buona parte della sinistra italiana.
Avere scelto e/o accettato nel tempo di privilegiare la Resistenza armata,
lasciando ai margini o nel silenzio le altre Resistenze (quella dei seicentomila
IMI in Germania, quella dei combattenti nel ricostituito esercito italiano, quella
dei lavoratori coatti, quella silenziosa e non violenta dell'assistenza, del rifiuto,
del salvataggio di ebrei, perseguitati e prigionieri) ha costituito un elemento
di debolezza e di fragilit che ha contribuito, non in piccola misura, ad isolare
proprio il fenomeno complesso e ricchissimo sotto il profilo etico, culturale
e politico che fu la opposizione, diffusa e condivisa, al progetto di dominio
nazista e fascista.
La mitizzazione del partigiano combattente, la sua elevazione a figura
intrinsecamente superiore sul piano etico, ha impedito di confrontarsi proprio
con la complessit di una guerra che ha avuto anche caratteri di guerra
civile, di ferocia, di violenza subita e agita durante e immediatamente dopo
la sua conclusione. Lasciando sullo sfondo le altre Resistenze si impedito
che si costruisse un sentimento comune di appartenenza che consentisse un
riconoscimento diffuso di quanti erano approdati all'antifascismo o anche al a-
fascismo e che si sono trovati, nel dopoguerra, senza un quadro di riferimento
che permettesse di inserire anche la loro esperienza nel contesto della storia
nazionale. Nella impossibilit di arrivare ad una storia condivisa si maturata la
incapacit di confrontarsi, per troppo tempo, con memorie diverse e memorie
divise che hanno progressivamente e silenziosamente eroso il terreno del
confronto conquistando, anche attraverso l'uso spregiudicato del "mercato"
culturale e dei mass media, un ruolo progressivo di egemonia. Ci si cos
trovati troppo spesso in posizioni difensive, costretti ad inseguire l'onda
ricorrente delle polemiche strumentali di cui il reggiano stato, e resta, terra
di aperto confronto.
In questo quadro, che richiederebbe spazi di discussione pi ampi, alcune
scelte compiute da Istoreco mi sembrano di rilevanza non trascurabile. La
realizzazione di Albi della memoria aperti a tutti gli attori della storia nazionale
(attraverso la dimensione locale), la ricerca aperta su tutti gli aspetti della
vicenda resistenziale, l'avvio di programmi di ricerca in collaborazione con
l'Universit sul dopoguerra reggiano e nazionale (con la prossima Giornata
di studi del 28 aprile, dedicata ai primi anni della ricostruzione), sono alcuni
segnali importanti che vanno incoraggiati e adeguatamente sostenuti, proprio
per l'occasione di riflessione e analisi che, attraverso di essi, viene offerta a
tutta la comunit locale.
Bibliografia
R.Chiarini, 25 aprile. La competizione politica sulla memoria, Marsilio, Venezia 2005.
S.Luzzatto, La crisi dell'antifascismo, Einaudi, Torino 2004.
S.Peli, La Resistenza in Italia. Storia e critica, Einaudi, Torino 2004.
G.E.Rusconi, Resistenza e postfascismo, Il Mulino, Bologna 1995.
P.Scoppola, 25 aprile. Liberazione, Einaudi, Torino 1995.
7
Da partigiano a quadro di partito:
l'educazione degli
emigrati politici italiani in
Cecoslovacchia
1
Introduzione
Philip Cooke*
Quando nel 1944 Palmiro Togliatti decise che il PCI doveva entrare a far parte
del governo (la cosiddetta "svolta di Salerno"), il partito si pose il problema
di come educare i propri membri. Fu aperta a Roma una scuola centrale di
partito (pi tardi nota come "Le Frattocchie") e scuole regionali furono aperte
a Milano, Bologna e in altre citt. Alla scuola centrale gli allievi seguivano corsi
dettagliati sulla storia del PCI, sulla storia del Partito bolscevico, sul Manifesto
comunista e cos via. In seguito, furono offerti corsi brevi e presto divenne
possibile seguire anche corsi per corrispondenza. In alcuni rari casi gli allievi
che dimostravano meriti particolari alla scuola di partito di Roma potevano
ottenere di studiare all'Istituto Lenin di Mosca
2
.
Oltre ai propri iscritti in Italia, il PCI prese in considerazione anche la
necessit di formare i suoi emigrati politici in Cecoslovacchia. Questi erano,
nella maggior parte, ex partigiani costretti ad abbandonare l'Italia perch
*Philip Cooke Senior Lecturer di Italian Studies presso l'Universit di Strathclyde
(Glasgow). l'autore di diversi saggi sulla cultura e sulla storia italiana. Attualmente
lavora su un libro sull'emigrazione politica in Cecoslovacchia, da cui tratto questo
saggio.
9
lO
accusati di atti di violenza nel dopoguerra
3
. Inizialmente, agli emigrati politici
fu dato qualche insegnamento di base, ma poco dopo divenne evidente la
necessit di organizzare corsi di formazione sulla falsariga della scuola centrale
del partito di Roma.
In questo saggio mi occuper esclusivamente della scuola di partito di
Dobrichovice vicino a Praga che funzion per tre anni dal 1950 al 1952, e fu
di gran lunga la pi importante iniziativa di formazione politica condotta dal
PCI in Cecoslovacchia.
Prima di esaminare la scuola necessario analizzare, in alcuni dettagli, la
interpretazione che della scuola di Dobrichovice ha recentemente fornito il
sociologo italiano Rocco Turi nel suo libro Gladio Rossa. La tesi centrale del
libro di Turi si fonda sull'esistenza di un "filo rosso" che passa dal partigiano
della Resistenza, ai partigiani fuggiti in Cecoslovacchia, e da l alle Brigate
rosse degli anni 1970. Franceschini e altri, cos si sostiene, sono stati addestrati
in Cecoslovacchia e cos, in una catena assai discutibile di anelli causali,
possibile in definitiva attribuire al movimento della Resistenza la responsabilit
della morte di Aldo Moro. La scuola di Dobfichovice ha giocato, nella visione
di Turi, una parte vitale in questo processo.
Sotto il titolo Le scuole di sabotaggio e terrorismo e il tentativo di putsch
in Italia Turi descrive come la scuola, assiduamente frequentata da italiani
che erano fuggiti in Cecoslovacchia, fu aperta a Praga nel marzo/aprile del
1950. Il nome ufficiale della scuola era scuola politica del compagno Synka,
un giornalista ex-combattente ceco. Le informazioni di Turi derivano da un
rapporto spedito da Vanni D'Archirafi della ambasciata italiana a Praga al
ministero degli Affari esteri a Roma nel settembre 1950. Secondo il rapporto,
basato su informazioni fornite da informatori cechi, la scuola era frequentata
da circa cinquanta attivisti che erano nel complesso italiani, bulgari e rumeni.
L'esatta collocazione della scuola era la cittadina di Dobrichovice, a sud di
Praga. Il r ~ p p o r t o di Archirafi indusse il ministero della Difesa e il ministero
dell'Interno a richiedere ulteriori indagini e ulteriori informazioni.
Altre informazioni arrivarono: secondo la ambasciata uno degli italiani che
aveva frequentato la scuola di partito fin dall'inizio era un certo Luigi Chiappa
che intendeva ritornare in Italia all'inizio di dicembre 1950. Nella scuola
prestavano servizio tre insegnanti, un russo, un ceco e un italiano. Altre fonti
indicavano che un gran numero di cittadini italiani era arrivato a Dobfichovice
dalla Francia. Inoltre, parecchi dei famigliari degli studenti vivevano in alloggi
vicino alla scuola. Le misure di sicurezza erano chiaramente molto strette e gli
italiani venivano tenuti lontano dai residenti cechi. Ci nonostante, la moglie
di uno studente rivel all'informatore che un certo numero di insegnanti erano
russi e che il progetto degli allievi era di ritornare in Italia nel febbraio del 1951
allo scopo di realizzare un putsch.
Le informazioni riguardanti il putsch arrivarono al ministero degli Esteri
nell'ottobre 1950 dove furono accolte come una bomba5. Entrarono in
vigore provvedimenti per affrontare ogni tentativo insurrezionale e le misure
anticomuniste, gi attivate nei mesi precedenti, furono inserite nei piani
generali di difesa dello Stato italiano. I servizi segreti tentarono di scoprire
chi fosse Chiappa. Frattanto il primo corso di formazione in Cecoslovacchia
stava giungendo al termine e un nuovo gruppo d'italiani stava per arrivare
in Cecoslovacchia allo scopo di seguire, come afferma senza mezzi termini
ancora Turi, "i corsi terroristici,,6.
Questi nuovi arrivati alloggiavano alla "pensione Stejzkal a Dobfichovice e,
ipotizza Turi, erano anche mandati a lavorare in fabbrica in varie localit della
Cecoslovacchia "per coprire la loro vera attivit,,7. Quelli fra loro che avevano
famiglia alloggiavano in ville vicino alla scuola. Quando se ne andarono
rimasero solo due famiglie, quella di un certo Guglielmo Secondo e di un
signor Gabetta.
Seguirono ulteriori richieste d'informazioni. Il capo della scuola era
un certo Jurko Stefano Keudic e buona parte degli allievi erano iugoslavi
antititoisti. Il ministero dell'Interno chiese informazioni su chi si nascondesse
dietro il complotto. Furono forniti altri nomi ma le investigazioni procedevano
lentamente e con difficolt. La maggior parte delle prove raccolte sulle diverse
persone nominate nella richiesta di informazioni risultarono inconcludenti.
Quanto al putsch, Turi prosegue col dire, sebbene non citi la fonte, che esso
fu sospeso dalla dirigenza comunista a causa di una fuga di notizie.
L'indagine di Turi certamente ampia (ci racconta che il frutto di oltre
un decennio di lavoro) ma non completamente convincente, soprattutto
quando descrive proprio il presunto colpo di stato del 1951 (elemento chiave
della sua tesi nel libro), per il quale la sola fonte a quanto pare la moglie
di uno degli studenti. In genere le informazioni che raccoglie sulla scuola
sono estremamente vaghe e basate su alcuni presupposti piuttosto ingenui
delle sue fonti. In primo luogo, la tesi di Turi basata sull'interpretazione di
informatori sulle cui credenziali e intenzioni non abbiamo alcuna informazione.
Secondariamente, le informazioni compilate dagli informatori sono trapelate
a Roma dalla Ambasciata italiana a Praga. In terzo luogo, non presa affatto
in considerazione l'isteria creata dalla situazione della Guerra fredda a cui
possiamo facilmente attribuire il "colpo di stato" del 1951. Ma soprattutto,
Turi non ha avuto a sua disposizione l'ampia documentazione disponibile
all'Archivio di Stato di Praga riguardo gl'italiani in Cecoslovacchia e sulla quale
il presente lavoro in gran parte basato. Come vedremo, questo materiale
fornisce prove convincenti che indicano come la scuola di Dobfichovice non
fu una specie di campo di formazione per sedicenti terroristi di sinistra, bens
una normale scuola di partito che seguiva un modello gi esistente.
11
12
La scuola di partito a Dobnchovice: 1950-1952
1. Origini
L'idea di organizzare una scuola di partito per emigrati politici si fece strada
nel 1949, sulla base di una proposta fatta dal Partito comunista ceco (d'ora in
poi KSC)9. A quel tempo il numero di coloro che erano fuggiti dall'Italia verso
la Cecoslovacchia cresceva ogni giorno, cos che non ci sarebbe stata carenza
di potenziali allievi. Una lunga lettera di Roberto Dotti (allora responsabile
degli emigrati politici), datata 31 ottobre 1949, al comitato centrale del KSC
e alla dirigenza del pcr fornisce una grande quantit di informazioni molto
interessanti. In questo periodo non era ancora stata stabilita la sede della
scuola (Dotti parla di una scuola di partito in o vicino a Praga), ma il processo
di scelta degli allievi era gi avviato. Il criterio per la selezione degli allievi
era cos concepito: Attaccamento al partito, maturit politica, disciplina.
Attaccamento allo studio, durante i collettivi. Rendimento sul lavoro, durante
i collettivi".
Usando questo principio, unito alle notizie biografiche su ogni compagno
cui era stato proposto di frequentare i corsi, la CCDL (Commissione centrale per
l'emigrazione, con sede a Praga) aveva provvisoriamente redatto un elenco
di due gruppi: uno elementare, l'altro costituito da i pi elevati". Segue poi
un elenco di ventinove compagni" che erano compresi nel primo gruppo e
sedici nel secondo. Pressoch in ogni caso venivano espresse alcune riserve
su ognuna di queste persone. Tuttavia, queste riserve, Dotti era fiducioso,
potevano essere superate e i soggetti, si prevedeva, avrebbero impiegato in
modo proficuo il loro tempo nella scuola di partito.
Esaminando alcuni casi significativi, l'allievo numero diciannove di questa
lista Oreste Bianchi (pseudonimo di Natale Burato, uno dei protagonisti
dell'organizzazione della Volante rossa a Milano) cos descritto: Operaio.
un giovane compagno che ha cominciato ad occuparsi seriamente di questioni
politiche da quando si trova al collettivo ed ha progredito rapidamente
eliminando in buona parte la sua mentalit partigiana. Desidera studiare e
ne ha tutte le qualit per una buona riuscita. Attaccato al partito e disciplinato
malgrado i suoi precedenti (corsivo mio)".
I riferimenti alla cancellazione della mentalit partigiana di Burato ed ai suoi
precedenti", un eufemismo per il suo comportamento estremamente violento,
sono decisivi qui per la comprensione di uno dei ruoli chiave della scuola:
plasmare i quadri del partito e utilizzare la loro intelligenza piuttosto che la
loro forza bruta per raggiungere gli scopi del partito.
Burato non il solo ad arrivare in Cecoslovacchia con seri difetti". Antonio
Baffi (Giulio Paggio), uno dei compagni di Burato nella Volante rossa, risult
avere i requisiti richiesti per il gruppo pi avanzato. E come per Burato il suo
passato partigiano veniva evidenziato come un problema da lui contrastato
con successo: All'inizio aveva tutti i difetti del comandante partigiano che non
ha mai curato molto la sua preparazione politica (corsivo mio)>>. Malgrado la
mancanza di preparazione politica, che ricever solo alla scuola di partito, le
attivit di Paggio nel collettivo forestale furono elogiate. Riusciva a spronare
i suoi compagni di lavoro fino al punto da essere tutti proclamati udarniki,
l'equivalente ceco di stakanovista. In effetti, come ulteriore prova dell'idoneit
di Paggio per i corsi, chiese di restare nel collettivo forestale oltre il periodo
stabilito per potersi preparare meglio per lo studio. Alla fine, descritto come
di origine operaia e molto intelligente.
L'ultimo esempio Dante Landi (Raul Ballocci). Ballocci era stato un capo
partigiano che operava nella provincia di Arezzo
ll
. Si sottolineava che, al
suo arrivo in Cecoslovacchia, si erano verificate diverse incomprensioni ma
che aveva una preparazione politica notevole quantunque sconclusionata.
Era, comunque, migliorato moltissimo a aveva superato le nostre previsioni.
Ballocci faceva parte di un piccolo gruppo di emigrati politici che avevano gi
un certo livello di istruzione di base.
Verso la fine del novembre 1949 i rapporti tra i due partiti vennero
convenientemente formalizzati. Il 21 novembre Pietro Secchia, a quel tempo
responsabile del PCI per le relazioni estere, scrisse al suo omologo Bedrich
Geminder
12
affermando che la direzione del PCI approvava la proposta fatta dal
KSC di fondare una scuola di partito. L'iniziativa, dunque, sembra essere venuta
dai cechi, piuttosto che da parte degli italiani. Lo scopo della scuola era di
introdurre gli emigrati politici nella vita ceca affinch potessero svolgere un
lavoro politico nei centri dell'immigrazione italiana. In altre parole, appena
finito il corso, i quadri avrebbero svolto la funzione di attivi missionari del PCI
fra i lavoratori emigrati, elevando la loro coscienza di classe. In totale saranno
circa una cinquantina e la met di loro continuer a fare il lavoro appena
descritto. Non chiaro quali compiti avrebbe avuto la parte rimanente. Sia PCI
che KSC avrebbero collaborato nella scelta degli allievi per il corso. La lettera
precisava procedure e responsabilit nell'operazione:
1 - Il primo corso durer un anno e rifletter quello presentato dalle scuole centrali del
PCI; ma vi sono molte importanti aggiunte al programma: diversi aspetti della storia ceca
cos come la lingua ceca.
2 - Il KSC dovr procurare gli insegnanti per trattare la materia ceca, un funzionario che
manterr i contatti tra la scuola e il KSC, un interprete, e altro personale vario.
3 - Il PCI dovr procurare un direttore della scuola e altri due compagni in grado di
insegnare le materie italiane del corso. Questi saranno Secondo Villa (che si occuper
dell'organizzazione iniziale oltre che dell'insegnamento); Dotti dovr anche insegnare e
dovr essere mandato in fretta un direttore, prima dell'apertura. IL PCI invier libri e materiale
didattico. Invier inoltre 15 compagni attualmente residenti in Italia per frequentare la
scuola.
Con l'inizio del gennaio - 1950, il numero complessivo degli allievi
sembrerebbe essere di sessanta allievi, quarantacinque dalla Cecoslovacchia
13
14
e quindici dall'Italia13. Poich quattro o cinque di loro non erano in grado
per diverse ragioni di partecipare, Dotti propose cinque sostituti e forn vari
dettagli su queste persone. Erano: Fedele Proni, Pietro Moretti, Carlo Ravizza,
Ermanno Polacci e Antonio Chiappa. Quest'ultimo (in realt Luigi Guitti) con
tutta probabilit il Luigi Chiappa citato da Turp4. Qualche giorno dopo seguiva
un'altra lettera di Dotti a Geminder per annunciare che Edoardo D'Onofrio (il
responsabile quadri nella segreteria del pcr) e Secchia lo avevano informato
sul fatto che i due insegnanti sarebbero arrivati nei prossimi giorni, i quindici
allievi dall'Italia, con ogni probabilit, non sarebbero venuti, i libri e i testi
italiani sarebbero arrivati entro pochi giorni e, si sperava, la scuola avrebbe
potuto presto iniziare
15
.
Con la fine del mese il direttore della scuola fu scelto e arriv in
Cecoslovacchia
16
. Domenico Ciufoli (che assunse lo pseudonimo di Paolo
Belli) era un veterano del pcr con credenziali di antifascista di vecchia data. Per
il breve periodo in cui Ciufoli rimase in Cecoslovacchia (circa un anno) fu sia il
direttore della scuola che il responsabile degli emigrati politici. Nella lettera di
presentazione del Ciufoli a Geminder, Secchia spieg di essere assolutamente
soddisfatto delle prestazioni di Dotti, ma che Ciufoli, come membro del
Comitato centrale del partito, aveva diritto all'incarico in questione.
A questo punto, quindi, erano disponibili sia gli allievi che il direttore, ma
non l'edificio della nuova scuola. La mancanza di riferimenti negli archivi circa
la sede si pu spiegare con la necessit di mantenere il segreto. Qualunque sia
il motivo, il luogo prescelto per la scuola era evidentemente gi stato deciso.
A circa trenta chilometri a sud di Praga, si trova la cittadina di Dobfichovice.
Attraverso un p o n t ~ c' una strada stretta che conduce nel bosco. L'ultima
casa una bella e comoda villa che era gi stata usata come scuola di partito
dai cechi
17
. La villa fu completamente riadattata per gli italiani, fu dotata di
personale oltre che di guardie di sicurezza, gli allievi furono dotati di lenzuola
nuove e (persino) di pantofole. La cerimonia d'inaugurazione ebbe luogo
sabato 11 febbraio 1950 alle ore 15, con una breve presenza di Geminder e di
numerosi funzionari del partito
18
.
2. Organizzazione
La scuola inizi quindi la sua attivit dal febbraio 1950. Nella seconda parte
esamineremo come era organizzato l'insegnamento, quale il programma dei
corsi, e come in generale funzionasse la scuola.
A Secondo Villa venne dato l'incarico di organizzare la scuola per il primo
anno. Villa (Silvio Bertona) era gi stato insegnante alla Scuola centrale del
partito a Roma. La sua Relazione sull'organizzazione delle scuole di partito
una fonte fondamentale di informazioni. Bertona afferma che, in base ad
un accordo tra D'Onofrio e la commissione centrale della scuola di partito, i
corsi da far seguire agli allievi in Cecoslovacchia si dovevano basare sul gi
esistente programma di sei mesi usato in Italia. Ci secondo le proposte fatte
da Secchia di cui abbiamo gi accennato.
Con alcune modifiche per le condizioni locali (niente lavoro pratico e nessun
esame) i corsi dovevano svolgersi per cinque mesi (ma, in effetti, il primo corso
del 1950 dur nove mesi con esami). Vi doveva essere un elemento aggiuntivo
che comportava l'insegnamento della lingua ceca, ma Bertona sottolineava il
fatto che l'italiano sarebbe rimasto la lingua obbligatoria delle lezioni.
Dopo aver discusso il programma Bertona continuava poi con la lista dei vari
materiali, libri di testo e libri destinati a ciascun allievo. Questi comprendevano
le note fornite dalla scuola centrale di partito oltre gli appunti forniti a quegli
allievi che seguivano il corso di corrispondenza in Italia. Si richiedevano libri di
Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Marx, Engels, Stalin (l'onnipresente Breve
corso di storia del PCB) e Dimitrov. In effetti, erano compresi nell'elenco di
Bertona tutti gli scritti di Togliatti, i testi di tutti i suoi discorsi, i suoi opuscoli,
e anche quelli della dirigenza del pcr. Veniva inoltre richiesta, per la biblioteca,
una copia dei classici del marxismo-leninismo, in versione italiana.
Bertona, poneva poi il problema della scelta degli insegnante. Il pcr
avrebbe inviato un terzo insegnante da aggiungere ai due emigrati politici
gi in Cecoslovacchia (Dotti e, naturalmente, Bertona stesso). L'insegnante in
questione era Vittorio Gambetti (Vittorio Gombi) arrivato da qualche settimana
in Cecoslovacchia (tra il 23-25 gennaio 1950). Gombi era bolognese ed era
stato partigiano. Un mandato di cattura lo aveva costretto a fuggire dal paese
20
.
Un altro insegnante, Giulio Foschi, sembra essere arrivato da Mosca a un certo
punto nel 1950
21
. Bertona continuava dicendo che il KSC avrebbe procurato un
insegnante per i Corsi specifici sulla storia della Cecoslovacchia e del Partito
comunista ceco.
Alla fine della relazione, Bertona fornisce alcuni interessanti dettagli
statistici sui quarantacinque emigrati politici nel corso del 1952: ventun operai,
nove braccianti, cinque contadini, cinque impiegati, tre piccolo-borghesi, un
borghese, ventiquattro sposati e ventuno scapoli. Dodici di loro hanno et
comprese tra venti e venticinque anni, ventiquattro sono fra ventisei e trenta,
e sette fra trentasei e quarantasei. Dal punto di vista della loro istruzione,
due avevano frequentato la terza elementare, due la quarta, ventinove la
quinta, tre la scuola media inferiore, tre la scuola media superiore, cinque
avevano frequentato scuole professionali e uno aveva un diploma di laurea in
ingegneria.
Dei quarantacinque, quarantatr erano stati partigiani, e fra questi
trentaquattro partigiani combattenti. Tutti i quarantatr erano fuggiti a causa di
fatti inerenti alla guerra partigiana. Gli altri due erano in esilio per avvenimenti
connessi all'attentato a Togliatti e per lotte sindacali. Undici erano stati in
carcere per ragioni politiche22.
La composizione del gruppo nel 1951 era molto simile a quella del 1950.
Ancora una volta, c'erano in totale quarantacinque allievF3. Di questi per, i
quattordici appartenenti alla categoria superiore erano indicati come aspiranti.
15
16
Gli aspiranti erano, o allievi che precedentemente non avevano nemmeno
frequentato il corso, ma possedevano i requisiti necessari, o, in cinque casi,
che avevano gi frequentato il corso ed erano stati promossi al corso di
aspirante per l'anno seguente
24
. Fra questi vi fu Natale Burato. In modo del
tutto indipendente dai loro studi, gli aspiranti, che erano stati per un anno alla
scuola, continuarono ad occupare un importante ruolo nelle attivit formative.
Erano in grado di assistere gli allievi normali nel processo di adattamento che
incontravano durante le prime settimane. In questo periodo di transizione
davano una mano nelle varie commissioni. In alcuni casi eccezionali, come
per Argante Bocchio, gli aspiranti potevano diventare insegnanti nella scuola.
Il successo del sistema aspiranti, unito alla difficolt di trovare allievi
capaci a causa della continua diminuzione del gruppo, port la direzione della
scuola ad un ripensamento su come affrontare il corso del 1952
25
. I corsi si
articolarono in blocchi di quattro mesi e alla fine del primo periodo di studio
(piuttosto che alla fine dell'anno accademico) un certo numero di allievi veniva
promosso al grado di aspirante, mentre altri meno capaci venivano rimandati
ai vari collettivi da cui provenivano. L'elenco degli studenti per il primo corso
del 1952 comprendeva trentanove allievi e tre aspiranti
26
. Per il secondo corso
del 1952 erano iscritti ventitr allievi e ventisette aspiranti, la maggior parte dei
quali gi allieva del corso precedente
27
.
Sia allievi che aspiranti, mentre frequentavano la scuola dipartito, dovevano
sottostare a regole molto severe. Queste erano indicate in un documento
distribuito a tutti i nuovi allievF8. Il documento [vedi documento 3] era diviso
in cinque sezioni separate che trattavano i contatti con l'esterno, la funzione
del comitato direttivo, i rapporti tra allievi e la direzione, lo studio e la pulizia
29
.
Il motto della scuola era: Il Collettivo responsabile per il successo della
scuola.
Se le regole fossero o no seguite alla lettera una questione che riprenderemo
in seguito. Dal punto di vista dell'organizzazione quotidiana e della gestione
della scuola, tuttavia, era decisiva l'esistenza del Comitato direttivo. Il
Comitato direttivo si divideva in sei sezioni separate, o commissioni. Ogni
commissione aveva un responsabile scelto dagli allievi fra di loro, insieme
ad un numero limitato di altri membri, sempre scelti fra gli allievi. Nel 1951
i responsabili erano: Ciro Nasi (Politica); Mario Martini (Organizzazione);
Amadio Lancellotti (Economico); Arturo Bernardi (QuadrO; Argante Bocchio
(Accademica); Andrea Calano (Stampa e propaganda). Il Comitato direttivo,
quindi, dirigeva il collettivo. Era, in effetti, sotto il diretto controllo della
direzione scolastica, ma la sua esistenza dimostrava, in un certo senso, che gli
allievi dovevano essere coinvolti nello svolgimento dell'attivit.
La funzione di ogni commissione era abbastanza logica. La commissione
economica, per esempio, aveva come principale incarico quello di controllare
il bilancio alimentare. Il cibo scarseggiava e gli allievi dovevano tenere uno stile
di vita piuttosto spartano. Un documento del 1951 elenca il cibo consumato
per un periodo di tre settimane. Non stupisce che le due voci pi popolari
siano carne (356,6 chili) e patate (500 chili). Nell'elenco c' un'allarmante
carenza di verdura e niente pesce, ma bene ricordare che esisteva un orto
che forniva una limitata quantit di ortaggPo.
3. Programma accademico per gli allievi
Nella relazione di Silvio Bertona che abbiamo precedentemente analizzato,
vi sono alcune discussioni sul programma di studio che gli allievi seguirono
nel corso del 1950. Senza contare i corsi linguistici, Bertona prevedeva almeno
un centinaio di corsi incentrati su alcuni blocchi tematici fondamentali: la storia
d'Italia, il movimento operaio italiano e la storia del PCI (dall'inizio del XIX secolo
fino al momento attuale); la storia del movimento operaio internazionale (dalla
rivoluzione industriale al COMINFORM); la storia del Partito comunista sovietico
(XVIII congresso, Grande guerra, dopoguerra); economia politica, compreso
lo studio dell'imperialismo; i fondamenti del marxismo-leninismo; geografia
economia politica italiana, politiche e problemi organizzativi del partito e
dell'organizzazione di massa. Ogni blocco tematico doveva essere diviso in
una serie di lezioni. Per ogni lezione era prevista un'introduzione, lo studio
privato, lo studio di gruppo (<<studio di brigata) oltre alla conversazione. Ogni
lezione avrebbe avuto una durata dalle otto alle sedici ore al giorno in base al
metodo d'insegnamento usato.
Il programma delle lezioni per la scuola risulta essere abbastanza simile
a quello descritto a grandi linee da Bertona
31
. L'insegnamento si svolgeva
da luned a sabato e l'orario poteva essere molto lungo. La settimana dall'8
al 13 Maggio 1950 non deve sembrare atipica
32
Ogni mattina dalle 8 alle 9
si faceva un'ora di lettura collettiva dei giornali
33
. Luned questa era seguita
da due ore di studio individuale di economia politica. Dalle Il alle 12,30 gli
allievi ascoltavano una lezione introduttiva alla storia del partito bolscevico il
cui tema centrale era il concetto di partito nel marxismo-leninismo. Seguiva
il pranzo. Dalle 3 alle 4 c'erano lezioni di lingua ceca seguite da un'ora di
studio privato di economia politica e quindi un'ulteriore ora e mezza di studio
di gruppo sullo stesso argomento. C'era poi una pausa, presumibilmente per
cena, a ancora un'ora di italiano dalle 8 alle 9. Da marted a sabato si seguiva
uno schema molto simile. Ma buona parte del marted sembra dedicata alle
riunioni (la riunione del collettivo durava dalle 3,00 alle 6,30) e il venerd sera
ad una conferenza su un argomento da stabilire.
Nonostante alcuni cambiamenti nei corsi del 1952, le materie trattate erano
essenzialmente le stesse. In una dettagliata relazione completa di dati statistici,
per il secondo corso del 1952, erano previste misure circa il numero di lezioni
e il numero complessivo di ore da dedicare a ciascuna lezione: Manifesto
dei comunisti (30 ore), storia del Partito comunista sovietico (118.5 ore),
economia politica (115 ore), storia del PCI (6 lezioni per oltre 64 ore, circa lO
ore al giorno), Movimento Operaio Internazionale (51.5 ore), Politica attuale
17
18
(98 ore - compreso "Strategia e tattica PCI nel periodo attuale. Lotta per la pace
a la democrazia di GombO, KSC (19 ore), Marxismo-Leninismo (76 ore), 19 ore
per la lingua ceca
34
.
Un aspetto particolare del programma era l'attenzione riservata alla storia
della Cecoslovacchia a del KSC
35
Questo aspetto enfatizzato da Giulio Foschi
nel suo rapporto della fine del 1950
36
. Foschi rileva che il programma era
molto vasto considerando il livello di istruzione degli allievi. Cos, bench
gli allievi che studiavano a Dobhchovice mostrassero una conoscenza meno
dettagliata rispetto a quelli che studiavano in Italia, essi avevano una maggior
comprensione generale dei due paesi.
In aggiunta al programma descritto c'era una serie di lezioni supplementari
d'italiano e matematica e tredici "giornate politiche, da svolgersi il gioved.
Abbiamo meno dettagli sul programma accademico degli aspiranti. Il
corso da luglio a novembre del 1952 era cos strutturato: Marxismo-Leninismo
(114 ore), "Storia d'Italia a Movimento Operaio Italiano (130 ore), "Problemi
internazionali (62.5 ore) [per esempio Gombi: "Il significato a importanza del
movimento partigiani per la pace, "Economia politica (48.5), "Politica attuale
(205)>> gli argomenti comprendevano i rapporti peI/psI, la conquista dei "ceti
medi", il problema del neofascismo, come organizzare una riunione di partito,
tattica a strategia, gli scritti di Stalin sull'economia.
Considerando il programma piuttosto denso descritto sopra, sorprendente
come gli allievi trovassero il tempo e la voglia di fare molto altro. Tuttavia fu
trovato il tempo per lo sport e per un'ampia serie di attivit culturali. Il calcio
fu, e non stupisce, l'attivit sportiva pi richiesta. Una volta gli allievi e gli
insegnanti si sfidarono l'un l'altro in una partita di pallavolo con esiti, sembra,
piuttosto disastrosi [vedi documento 6].
La gamma delle attivit culturali era notevole. Nel 1950, per esempio,
Giulio Foschi annotava: letture serali su temi politici, scientifici e culturali.
Le letture serali erano tenute dagli allievi stessi per colmare lacune nella loro
conoscenza riguardo importanti paesi, come India, Cina, Germania, Corea;
letture su singole regioni italiane quali Sardegna, Emilia, Lazio e Toscana;
cinquantasei spettacoli cinematografici, per lo pi film di guerra sovietici; un
"Giornale murale ogni quindici giorni; gli allievi pubblicavano quattro bollettini
per occuparsi di numerose questioni e per far pratica nel realizzare insieme
simili pubblicazioni; tre spettacoli teatrali scritti e rappresentati dagli allievi;
visite ai musei di Praga, Brno (dove un tempo era stato imprigionato Silvio
Pellico), Karlstein; una gara di lettura di poesia, con assegnazione di premi
per la miglior declamazione del Partito di Mayakovsky; e, per finire, verso
la fine del corso, con l'aiuto di Francesco Moranino, vi furono vari scambi
su esperienze partigiane. Gombi e Bertona discutevano delle differenze tra
la guerra partigiana in citt e in campagna. Moranino aggiunse un'analisi su
specifici problemi strategici nelle aree di Biella e Modena, spiegando le sue
parole con un modello topografico di sabbia
37
La maggior parte di queste
attivit furono ripetute negli anni successivi. Nel 1951 vi furono due mostre di
pittura con quadri prestati dalla galleria Tretyakov.
In aggiunta al lavoro accademico, alle attivit culturali e allo sport che fino
qui abbiamo visto, si richiedeva agli alunni di partecipare anche ad attivit
di tipo manuale. Non sorprende he queste fossero organizzate dal collettivo
di base e conosciute come brigate di lavoro. Occasionalmente i brigatisti
lavoravano nell'orto della scuola dove si coltivavano le verdure. Ma di solito
le attivit si svolgevano fuori dalle mura scolastiche. Nel 1950, per esempio,
ogni domenica circa trenta brigatisti erano impegnati nella costruzione di
una fabbrica di cemento a Beroun. La giornata iniziava alle 5:30 del mattino
e terminava soltanto verso sera. In una relazione del 1951 sull'attivit delle
brigate si suggeriva di spostare il giorno lavorativo dalla domenica al sabato
cosicch gli alunni potessero avere per lo meno una giornata intera di ripos038.
Lo scopo di queste brigate.. non era semplicemente di aiutare i cechi nella
ricostruzione del loro paese ma anche di favorire buone relazioni tra lavoratori
cechi e italiani.
Nel 1950 la polizia uccise a Modena sei lavoratori nel corso di una
manifestazione sindacale e i cechi fecero, cos pare, una colletta per aiutare
le famiglie in lutto. Gli italiani della scuola ringraziarono con una lettera i
cechi per il loro aiuto e promisero di impegnarsi ancora di pi nello studio
della storia d'Italia, del Manifesto dei comunisti, della lingua italiana, e di
quella ceca, e in pi di superare gli obiettivi prefissati nel giorno di lavoro alla
fabbrica di cement0
39
.
Tuttavia mantenere la vigilanza rivoluzionaria era importante, e ci
significava che non era opportuno che italiani e cechi avessero troppe occasioni
di contatto, cosa che avrebbe potuto procurare dei problemi. Le misure di
sicurezza erano arrivate al punto di tentare di impedire che gli italiani, di
ritorno in camion alla scuola, cantassero poich questo avrebbe potuto svelare
la loro identit.
Oltre alla brigata di lavoro della domenica, per tre settimane durante il
mese di giugno, gli allievi partecipavano al collettivo agricolo di Oleksovice e
si univano ai loro compagni emigranti per aiutarli nella raccolta in campagna.
Nel 1951, quegli allievi che partecipavano alla raccolta, distribuirono un
volantino fra i loro compagni cechi e italiani. Il volantino prometteva che i
brigatisti avrebbero lavorato sodo per la realizzazione del piano quinquennale
di Gottwald. Nel volantino erano frequenti i riferimenti a Stalin, descritto come
il primo partigiano della pace. La partecipazione ai lavori di raccolta non
era totalitaria, studenti rimanevano in sede mentre ad altri furono richieste
di svolgere unicamente mansioni leggere. Per l'anno 1950 i brigatisti di
Dobnchovice complessivamente diedero un contributo di circa diecimila ore
di lavor0
42
.
19
20
4. Metodi di insegnamento
Abbiamo precisato quali erano le materie di studio degli allievi e degli
aspiranti. Di seguito analizzeremo come studiassero gli allievi. Venivano usati
diversi metodi di insegnamento, ma sostanzialmente erano quattro i sistemi
differenti di studio: testo introduttivo, studio privato, studio di gruppo e
conversazione. Un aspetto centrale della filosofia dell'insegnamento era quello
che in Gran Bretagna si definisce come student-centred learning, ma che nel
1950 era chiamato iniziativa mentale43. Gli allievi venivano incoraggiati a
cercare di sviluppare le loro capacit di studiare da soli, cos portandoli ad uno
stato di autonomia didattica. Dovevano anche migliorare la loro conoscenza
generale e continuare a lavorare alla loro comunicazione orale e scritta, cos
da imitare i grandi autodidatti del passato.
Per ogni lezione, quindi, veniva tenuta un'introduzione dall'insegnante
prescelto. Durante l'introduzione gli studenti erano scoraggiati dal prendere
appunti, ma dovevano ascoltare attentamente per poter capire al volo la natura
dei problemi e le questioni a loro rivolte. Seguiva quindi un'ora di studio
privato, durante la quale gli allievi erano incoraggiati a prendere appunti.
Le ore di studio privato seguivano un piano prestabilito: gli alunni ricevevano
un questionario per ogni lezione con una serie di domande alle quali si
chiedeva di rispondere. Il questionario per il corso in storia ceca consegnato
agli aspiranti nel 1952 poneva domande di questo tipo: Come avevano
combattuto i popoli cechi a slovacchi durante la Prima Guerra Mondiale per
guadagnare la loro indipendenza?; In che modo la borghesia ceca ottenne
il controllo della lotta per la liberazione nazionale?; Quale situazione
internazionale aveva portato alla nascita della Repubblica Cecoslovacca?.
Il problema della qualit degli appunti presi preoccupava costantemente
insegnanti a commissione accademica. Nelle relazioni per i tre anni accademici
sono frequenti le osservazioni sulle difficolt che gli allievi avevano nel prendere
buoni appunti. Si impantanavano nei dettagli e sfuggiva loro la comprensione
dei punti salienti. In alternativa, c'era fra gli allievi una tendenza a trascrivere
meccanicamente le lunghe domande senza realmente capirne il significato. Gli
alunni non sempre si dedicavano sufficientemente allo studio, e con cadenza
troppo frequente lasciavano la sala di studio per "consultare" i dizionari.
Il gruppo di studio richiedeva agli allievi di partecipare alla discussione
dell'argomento. In questi casi, per ogni gruppo c'era un capogruppo che
assumeva la direzione ed era noto come capobrigata. I problemi incontrati
sono fin troppo noti. Numerosi studenti non contribuivano abbastanza a
queste discussioni, mentre altri prendevano il controllo e monopolizzavano
la situazione. Come per i problemi del prendere appunti, la direzione della
scuola affront concretamente queste difficolt, incoraggiando gli allievi che
presiedevano i gruppi di discussione a persuadere gli allievi eccessivamente
loquaci a trattenersi ed i reticenti a parlare. Questi ultimi furono sollecitati a
riassumere ci che altri compagni avevano appena detto, nella speranza che,
infine, sarebbero riusciti ad intervenire spontaneamente.
Abbiamo meno informazioni sulle conversazioni, ma queste sembravano
destinate a un dibattito limitato. C'erano di nuovo problemi per far intervenire
gli studenti e dopo un anno i dirigenti li indirizzarono verso un nuovo sistema
chiamato gli attivisti del dibattito. Gl'insegnanti si resero inoltre disponibili a
"ricevere" gli allievi individualmente se un determinato problema non fosse
stato abbastanza chiarito.
Su ogni tematica del corso si imponeva un esame finale mentre veniva
proposto il ripasso delle lezioni. Non chiaro se questi esami fossero orali o
scritti. Sembra che ci fosse solo un numero limitato di temi scritti. Alla fine del
1950 a del 1951 agli allievi dei corsi fu richiesto di scrivere un saggio sul tema:
Che cosa mi ha dato la scuola? Nondimeno, il limite relativo ai temi scritti
sembra essere stato compensato dal fatto che gli allievi erano stati sollecitati a
scrivere per il giornale murale e per il bollettino.
Il giornale murale era gestito dalla commissione stampa e propaganda".
Aveva una molteplicit di funzioni, soprattutto quella di essere parte vitale
nella vita del collettivo. In un certo senso rappresentava una bacheca, che
forniva agli allievi l'informazione quotidiana sulle attivit. Ma ancora pi
importante, procurava agli allievi una tribuna in cui "pubblicare" i propri articoli.
Sfortunatamente negli archivi non sono stati conservati questi "giornali", cos
possiamo averne una idea solo attraverso le relazioni annuali dei dirigenti.
Nel 1950, per esempio, erano state realizzate oltre venti edizioni del giornale
stesso incentrate sia su tematiche internazionali (Corea, crisi economica dei
paesi capitalistici) che italiane (l'economia in particolare). L'ultima edizione
era stata particolarmente apprezzata dai nuovi studenti, appena arrivati, per le
notizie utili alloro inserimento. Anche per questa attivit uno dei problemi era
rappresentato dal mancato coinvolgimento di tutti gli studenti presenti.
Il bollettino della scuola si intitolava "La nostra bandiera", la collezione in
archivio lacunosa (sono conservati alcuni degli anni 1950-51) ma pare chiaro
che non fu possibile mantenerne la scadenza bimensile4
5
. Il primo numero del
1951 della prima quindicina del marzo 1951 e fornisce un'ottima idea sulla
natura della pubblicazione. L'editoriale annuncia una nuova veste tipografica"
e un nuovo titolo: La nostra bandiera: Ilio Barontini-Dario. Barontini veniva
indicato come il modello per tutti gli allievi, un esempio che li avrebbe stimolati
a migliorare il proprio impegno.
Gli obiettivi principali della pubblicazione erano cos sintetizzati:
1 - Deve essere un efficace supplemento del giornale murale. Quindi conterr articoli
che il giornale murale non pu ospitare, oltre agli articoli che i compagni scrivono apposto
per questo.
2 - Il giornale e la versione murale hanno la funzione specifica di aiutare i compagni
ad esprimere le loro opinioni scrivendo su diversi argomenti: la vita nel collettivo, la
situazione politica nazionale e internazionale, iniziative da prendere, e cos via.
21
22
3 - Inoltre l'occasione offre ai compagni, per il periodo alla scuola di partito",
l'opportunit di imparare, ma soprattutto imparare a scrivere con metodo", con le dovute
formulazioni .
Il giornale avrebbe dovuto affrontare una notevole ampiezza di argomenti,
era necessaria quindi la collaborazione pi ampia all'insegna della buona
volont e dell'intento di riuscire". Nella presentazione la redazione esprimeva
un saluto al nuovo comitato direttivo" che si era appena insediato, ora che il
comitato direttivo provvisorio" aveva terminato il proprio lavoro.
Uno dei primi articoli (Per una organizzazione migliore) sottolineava come
la vita del collettivo fosse un'esperienza nuova che richiedeva uno sforzo di
adattamento, sforzo che poteva portare risultati solo grazie l'organizzazione,
metodo fondamentale da applicarsi in ogni momento, nella zona di studio,
in camera da letto, nella sala da pranzo, all'interno e all'esterno della scuola.
L'attenzione al dettaglio era considerata decisiva: Ogni piccola cosa, trascurata
apre sempre la strada alle infrazioni, che potrebbero influire molto sul buon
funzionamento del Collettivo". Anche la puntualit era vista come disciplina
fondamentale e gli allievi erano invitati a non rimandare i loro impegni. Questi
cambiamenti nei modelli comportamentali non solo avrebbero permesso al
collettivo di funzionare al meglio, ma erano parte integrante nella creazione
del nuovo uomo" comunista: Ricordiamoci queste regole che significano
anche trasformare le nostre abitudini ricevute da una societ in putrefazione e
impadronirci del nuovo modo di vivere comunista, condizione indispensabile
per diventare dei futuri quadri temprati alla maniera bolscevica".
Molte delle tematiche discusse nella scuole erano il soggetto dell'articolo
Disciplina a metodo di studio. Un mese ormai trascorso e molti progressi sono
stati fatti. Ma ci sono ancora parecchie possibilit di miglioramento, soprattutto
per quanto riguarda l'organizzazione. necessaria maggior disciplina durante
lo studio privato, il baccano disturba gli altri studenti".
In realt anche l'attivit dei gruppi di studio andava migliorata: troppe
interruzioni nei dibattiti (soprattutto per colpa di due allievi - Lucia e Scarlatti),
mentre i capi brigata" esitavano ad intervenire, nonostante le sollecitazioni ad
un maggior rigore nel sanzionare i comportamenti scorretti.
Come abbiamo visto da La nostra bandiera gli allievi erano sottoposti a
regolari critiche. Nella pratica ogni tecnica di insegnamento prevedeva la
pratica comunista della critica" e autocritica" [vedi documento 7]. Questa
pratica era destinata a guidare ogni aspetto delle attivit di allievi e insegnanti,
anche nella vita di tutti i giorni. La scuola riusciva a promuovere la critica" e
l' autocritica" in una molteplicit di nuove direzioni.
Il giornale murale" fu utilizzato come una "palestra" in cui gli allievi potevano
indicare chi tra i loro compagni avesse un comportamento insufficiente".
Questa pratica della denuncia dei compagni port a qualche scontro fra gli
allievi, come quando le poesie satiriche di Cesare Zerbini indirizzate a Ennio
Castiglione degenerarono dalla critica in insulti. Zerbini fu ammonito e il
caso discusso in una riunione nel corso della quale fu messa in evidenza la
differenza fra critica costruttiva a distruttiva. I contendenti si riappacificarono
e, alla fine del corso, furono destinati a collaborare a Oggi in Italia nella sede
di Praga.
In un'altra occasione, gli allievi parteciparono ad un esercizio di autocritica
inventato da compagni cinesi. Gli allievi scrissero un saggio sul ruolo dell'Unione
Sovietica e poi, a turno, ne fecero un'autocritica in pubblico. La discussione
che ne segu non fu sul saggio, ma sulla capacit di ciascun allievo di fare
autocritica. Nelle relazioni si sottolinea come la capacit di autocritica fosse
migliore fra gli allievi con minor istruzione tradizionale ma maggiore sensibilit/
coscienza di classe, rispetto ai compagni pi colti, ma, evidentemente, meno
disposti a riconoscere i propri errori. L'esercizio fu, a quanto pare, accolto con
entusiasmo e ammirazione nei confronti delle tecniche pedagogiche usate dai
compagni cinesi.
Problemi
Inevitabilmente, la scuola di Dobrichovice, durante i suoi tre anni di attivit,
and incontro a numerosi problemi di varia natura, oscillanti tra le difficolt
con la scarsa produttivit del personale di servizio ceco, alle difficolt dei
trasporti, ai problemi personali dei singoli allievi dovuti all'isolamento e alla
separazione dalla famiglia.
Questi problemi in alcuni casi portarono a misure disciplinari fino
all'espulsione. Nel 1951 un allievo si tolse la vita.
Il funzionamento quotidiano della scuola poneva piccoli e grandi problemi
capaci di influenzare fortemente la normale conduzione dell'istituzione.
All'inizio si tratt di conflitti fra il personale italiano e ceco delle cucine. La
causa fu dovuta alla scorrettezza di una coppia (fratello e sorella) cecoslovacca
in vario modo oziosa e corrotta.
La sorella non voleva sottostare agli orari, sostenendo che i cuochi italiani
dovevano fare pi turni. Si rifiutava di lavorare di domenica. Suo fratello che
era il responsabile dei viveri, emise delle ricevute false per derrate che non
erano mai state usate all'interno della scuola, ma erano passate agli agenti
della polizia ceca. Alto stesso modo, diversi beni alimentari semplicemente
sparivano dalla dispensa. Questa situazione port ad un'inchiesta della
commissione economica che consigli il licenziamento della sorella, conosciuta
come Fanny46.
Alla fine del 1950 i problemi erano ancora molti. L'edificio fu affidato a dei
sorveglianti cechi che, cos sembra, erano tutt'altro che scrupolosi, asportando
a loro uso attrezzature della scuola (letti in partciolare). Foschi di passaggio alla
scuola per ritirare alcuni libri scopr questo spiacevole stato di cose che egli
poi descrisse in una lettera a Rohlenova, il funzionario ceco che manteneva i
rapporti tra gli emigrati politici a il KSC. Foschi sollecit allora regolari ispezioni
23
24
all'edificio cos che non si potessero accusare gli italiani stessi per i danni
provocati
47
.
Con il 1951 queste difficolt erano state largamente appianate. Ma sorsero
altri problemi. L'autista della scuola, Arrigo Pioppi, in una lunga relazione
descrisse con minuzia lo stato in cui versavano le auto a disposizione (Skoda
e Mercedes). Richiese interventi di manutenzione a sterzo e freni per una di
esse, ma l'intervento richiese ben sei mesi, impedendo l'uso della vettura in
occasione della visita di importanti membri del PCI alla scuola medesima
48
.
Ma anche per gli allievi la vita non era facile. Nell'aprile 1950 la direzione
della scuola mand una relazione sullo stato delle cose al PCI e al KSC.
Sfortunatamente, non c' traccia di questa relazione negli archivi. E' stata
reperita, pero, una lettera di accompagnamento di Domenico Ciufoli dedicata
ai problemi sollevati nel rapporto in cui tentava di ammorbidire il colpo,,49. La
prima parte della lettera un abile esercizio di diplomazia e descrive i pregi
dell'edificio e le visite regolari che hanno fatto i funzionari del KSC. I controlli
medici erano eseguiti regolarmente, era stato aumentato e migliorato il cibo, e
le lezioni in lingua ceca erano iniziate. La seconda met della lettera affronta
i problemi e le preoccupazioni sollevate nella relazione, e tratta ben sette
argomenti correlati. La qualit di apprendimento degli allievi sembrava essere
stata scarsa, ma Ciufoli spiega che alcuni degli allievi potenzialmente pi capaci
erano stati mandati a fare importanti lavori altrove (programma radiofonico,
circoli di Democrazia popolare, e il giornale Democrazia popolare,,). Ciufoli
continua col dire che la conoscenza della situazione politica italiana da parte
degli allievi era buona, ma vi erano carenze quando si trattava di capire in
che modo i partiti dei due Paesi stanno combattendo per creare una societ
nuova". Erano stati fatti tentativi per rimediare ma il livello di ignoranza si
poteva spiegare con il basso livello ideologico" degli allievi, oltre che alla loro
limitata esperienza del partito in Italia, e alle difficolt che avevano incontrato
per inserirsi nella vita politica cecoslovacca". Viene descritto come fattore
aggiuntivo il fatto che la vita di un immigrante fosse una vita con una infinit
di piccole beghe". Come rimedio si proponeva lo svolgimento di escursioni
e la regolare lettura del giornale del KSC, "Rude Prave". Ciufoli si sposta poi
sul problema della morale e della coscienza del collettivo che era da
attribuire principalmente alla lontananza di ogni allievo dalla propria famiglia.
Ma la nostalgia di casa" diminuiva quanto pi ogni allievo si irrobustisce
ideologicamente". Ciufoli conclude affermando che:
Complessivamente il Collettivo N. 1 un collettivo sano. Composto di ex paJ;tigiani in
maggioranza operai o comunque proletari. Il forte spirito partigiano che essi hanno ancora
non elemento negativo. Per molti. di loro la lotta partigiana racchiude tutta o quasi tutta
l'esperienza concreta e viva del loro lavoro a della loro lotta di rivoluzionari. La vita del
collettivo irrobustir la loro coscienza di classe e di Partito e li abituer a vedere ed a
esaminare i problemi politici ed il lavoro di Partito in un modo critico a autocritico.
Ancora una volta si sottolineava come la scuola fosse costituita da partigiani
rimasti ancora partigiani. Per Ciufoli, ma non necessariamente per le figure pi
autorevoli sia del pcr che del KSC, questo non era da considerarsi negativamente
nella misura in cui la scuola, tuttavia, avrebbe eliminato tale mentalit per
sostituirla con qualcosa di pi produttivo e adatto alle esigenze del tempo.
I problemi che Ciufoli discuteva non erano scomparsi. La questione
della separazione dalla famiglia in Italia non venne mai superata. Mentre gli
insegnanti furono raggiunti da mogli e figli, gli allievi non godettero mai di
questo privilegio. Le visite di vari capi del partito dall'Italia, quali D'Onofrio,
Secchia, Amadesi, Leone; Roasio e Fedeli, citate alla fine del 1950 nella relazione
annuale del Foschi come fonte di incoraggiamento per gli allievi, furono solo
di modesto aiuto. A peggiorare la situazione, nel 1951 le lettere spedite a casa
dagli allievi furono limitate a una al mese. Fu una decisione presa dal KSC e
indusse Moranino a scrivere a Rohlenova per chiedere un parere su questo
regolamento. Per rafforzare la sua tesi Moranino citava brani estratti dalle
lettere (che venivano aperte dalla direzione della scuola} Riguardo al fatto
che in avvenire mi scriverai solo una volta 25 o 30 giorni ti dico questo: fallo
pure, ma io non ti scriver pi ... ma dimmi un po', in Cecoslovacchia lo devi
fare te tutto il lavoro ... tu stesso non mi racconti la verit50.
In modo analogo, la separazione degli italiani dalla realt ceca rimase una
fonte costante di preoccupazione. All'accentuato isolamento dall'ambiente
cecoslovacco, dalla vita e dalla lotta della classe operaia del pCC, come definito
da Foschi, si pose in parte rimedio permettendo agli allievi di uscire il sabato
sera, ma vi fu la tendenza degli allievi a frequentare alcuni elementi della
societ ceca non fra i pi indicati.
Come per le lettere a casa, questo indusse ben presto il KSC a limitare a
una volta al mese la libera uscita degli allievi. Di nuovo Moranino chiese un
parere su questo regolamento, sostenendo che aveva un effetto dannoso sugli
allievi pi giovani. Ma anche quando gli italiani potevano uscire e incontrarsi
con i cechi non avevano la necessaria conoscenza della lingua. Malgrado i
numerosi riferimenti ai corsi di lingua ceca, sembra che questi non avessero
dato un buon risultato.
Nella relazione del 1950 FOschi introduce un altro problema ancora esistente:
l'antagonismo regionale. Nel 1950 la maggior parte degli allievi era dell'Emilia
Romagna (diciotto), quattro i toscani, quattro dal Veneto, due dall'Umbria,
cinque dalla Lombardia, due dal Piemonte e uno di lingua tedesca (Trento).
I conflitti erano tra toscani ed emiliani, con i primi, cos si sosteneva, in gran
parte responsabili dei problemi per la loro spiccata tendenza anarcoide e
anche spirito di gruppo tra di loro. In questo contesto si inserisce una dura
critica rivolta a Raul Ballocci, espulso dal corso dopo essere stato uno degli
allievi pi promettenti.
Ma anche l'alto numero di emiliani era un problema. Nel 1952 Foschi
annotava che verso la fine del corso la Direzione ha dovuto organizzare
25
26
una vera campagna contro l'uso abituale del dialetto emiliano nella vita
quotidiana degli allievi". L'abuso del dialetto impediva il miglioramento della
comunicazione orale e scritta e, allo scopo di combatterlo, Foschi organizz
una lezione sulle opere di Stalin sulla linguistica, durante la quale cit anche
le riflessioni di Gramsci sull'argomento, un intervento che, come emerge dalle
sue relazioni, diede buoni risultati.
Conclusione
In una lettera a Bedrich Geminder, datata 31 gennaio 1951, Domenico Ciufoli
scriveva che lo scopo della scuola era quello di procurare nos camerades
[sic] partisans la prparation idologique qu'ils n'ont pas eu le temps d'avoir
la montagne" [ai nostri compagni partigiani la preparazione ideologica che non
hanno avuto o il tempo di avere in montagna]51. Quanto la scuola fosse in grado
di realizzare il suo scopo dichiarato, aperta la discussione. Effettivamente,
vi furono alcune storie di successo. Argante Bocchio progred da allievo ad
aspirante" e giunse a fare l'insegnante nel 1952. Successivamente lasci la
Cecoslovacchia per l'Unione Sovietica dove studi all'Istituto Lenin. Mario
Olivieri rest in Cecoslovacchia per diversi anni e successivamente complet
il suo corso di laurea. Non sappiamo se, in seguito, altri allievi della scuola
abbiano lavorato tra i lavoratori emigrati in Cecoslovacchia, come prevedeva
il programma. Mentre su questo argomento restiamo all'oscuro, c' in ogni
caso una conclusione chiave a cui possiamo giungere riguardo alla scuola
e ai motivi del PCI per fondarla: all'inizio degli anni cinquanta il tempo della
rivoluzione armata e violenta era stato superato e il tema dell'istruzione era
all'ordine del giorno. Nel disegno di Togliatti per la V'ia Italiana al Socialismo
la penna poteva molto pi della spada.
l L'articolo viene anche pubblicato in lingua inglese in "Italian Studies" val. 61, 2006/1,
pp. 64-84. ( ... ) La ricerca stata finanziata dalla British Academy e dall'University of
Strathclyde (Glasgow), alle quali sono molto grato. Mi fa anche piacere ringraziare
i miei assistenti Giovanni Focardi (Italia) e Vitek Prosek (Repubblica ceca) e il
gentilissimo personale dell'Archivio Centrale Statale di Praga. Infine sono grato ad
Argante Bacchio, Mario Olivieri e a Giovanni Padoan per avermi fornito di dettagliati
resoconti delle loro attivit alla scuola.
2 La letteratura sulle scuole di partito non molto ampia: per una buona recente
visione d'insieme delle scuole italiane nel dopoguerra vedi F. CELLAI, Le scuole di
partito del PC! tra il 1945 e il 1956, "Quaderno di storia contemporanea", 25-26/1999,
1-17; sulla "formazione" dei comunisti italiani in questo periodo assai utile lo studio
di G.c. MARINO, Autoritratto del PC! staliniano 1946-1953, Editori Riuniti, Roma 1991.
3 Il fenomeno dell'emigrazione politica in Cecoslovacchia stato poco studiato, sia per
l'apparente mancanza di fonti archivistiche, sia per la (anche comprensibile) riluttanza
della maggior parte dei pochi emigrati tuttora vivi di uscire dalla clandestinit. Cos
troppo spesso il vuoto stato colmato da libri e articoli di discutibile attendibilit come
G. STELLA, Rifugiati a Praga: Ipartigiani italiani in Cecoslovacchia, So. Ed. E., Faenza
1993, e, pi recentemente, di Rocco Turi (vedi sotto). Un decisivo salto di qualit il
romanzo di G. FroRI, Uomini ex Einaudi, Torino, 1993, ma importante sottolineare
che si tratta, appunto, di un romanzo. Si possono anche trovare brevi commenti sul
fenomeno in G. GOZZINI, R. MARTINELLI, Storia del Partito comunista italiano. Vol. VII.
Dall'attentato a Togliatti all'VIII Congresso, Einaudi, Torino 1998, pp.152-154.
4R. TURI, Gladio Rossa, Marsilio, Venezia, 2004. Ringrazio Massimo Storchi dell'lsToREco
per l'indicazione bibliografica e per il suo gentile aiuto nel corso delle mie ricerche.
5 TURI, Gladio Rossa, p. 125.
6 Ibidem.
7 Ibidem.
8 I materiali si trovano in due fondi diversi: Fond 100/3 (KSe mezinarodnf oddeleni
1945-62) e 19/7. Riferimenti dettagliati nell'articolo saranno dati seguente il formato:
100/3 (fondo), 56 (busta), 264 (fascicolo), f.12 (numero di pagina). Nei documenti si
trovano quasi senza eccezione i nomi falsi degli emigrati politici. In quest'articolo i
nomi falsi vengono indicati in corsivo. In alcuni casi stato possibile scoprire i nomi
veri degli emigrati politici, e in questi casi i nomi compaiono in caratteri normali.
9 C'erano anche corsi organizzati per lavoratori emigrati, sparsi su un ampio raggio di
localit. Per i dettagli relativi al 1949 vedi 100/3 56, 264, f.12 a per il 1950 19/7, 196:
1, ff.37-42.
10 100/3, 56, 265, ff.33-39.
11 Sulla carriera di Ballocci da partigiano vedi G. CONTINI, La memoria divisa, Rizzoli,
Milano, 1997.
12 100/3, 56, 265, f.41.
13 100/3, 56, 265, f.52.
14 In realt Guitti non ritorn in Italia nel dicembre 1950 come indicato dai servizi
segreti, ma nel 1965. Aveva sposato una donna ceca dalla quale aveva avuto quattro
figli. Guitti, di Brescia, fu attaccato da una banda di neofascisti nel Novembre 1968 e
sub un mortale attacco di cuore.
15 100/3, 56, 265, f.56.
16
100/3, 56, 264, f.17.
17 19/7, 196:1, ff.27-28 (lettera da Ciufoli alla segreteria del PCI di 21/041950).
18 100/3, 56, 265, f.57 (lettera di Dotti alla segreteria del KSC datata 9/021950).
19 19/7, 198, ff.9-11 (relaZione datata 25/01/1950).
20 Ulteriori informazione su Bertona a Gombi si possono trovare in 19/7, 196:2, f.99
(Lettera del 28/7/1950). Bertona aveva studiato a Mosca e Gombi insegn alla scuola
regionale di Bologna. La lettera chiede anche che alle mogli degli insegnanti sia permesso
raggiungerli - richiesta che fu accolta. In alcuni casi le mogli lavoravano nella scuola
(la moglie di Gombi era segretaria). Altri documenti rivelano che i figli degli insegnanti
stavano in un locale della scuola: 19/7, 196:2, f:98 (Lettera del 6/12/1951) che chiede
se le figlie di Bertona, Giovanni Padoan a Arrigo Pioppi possano frequentare la scuola.
Gli insegnanti erano tutti pagati dal KSC -19/7. 196:1, f.32 -lettera di Favaro a Novotna
del KSC (datata 6/11/51) che richiede che la posizione salariale di Enzo Bruni sia
regolarizzata. La stessa richiesta viene fatta per Bertona e Padoan.
21 Foschi pass la maggior parte della sua vita a Mosca ed aveva una moglie russa. Per
un breve ed affascinante ritratto di Foschi vedi S. SOGLIA, 1956: Clandestino a Mosca,
Teti, Milano 1987, pp.13-18.
22 Come evidente i dati forniti da Bertona non quadrano, ma nella versione ceca del
documento la matematica stata corretta (100/3, 56, 264, ff.21-22).
23 100/3, 56, ff.86-89 (elenco in lingua ceca dei partecipanti alla scuola nel 1951).
24 Gli allievi che frequentarono il corso nel 1950 ma non furono promossi o tornarono
ai collettivi in cui erano stati prima del corso, o furono mandati a nuove destinazioni.
Vedi 19/7, 195, ff.40-41 (lettera in lingua francese di Dotti a Rohlenova del 26/10/1950).
La lettera descrive la destinazione di trentatr allievi nei posti seguenti - Oleksovice,
Chqmutov, Ostrava, Kladno, Teplice, Radio Praga (Castiglione, Zerbini, Bortolotti,
Orsini, Bruni) e alla "Commission de Travail" (Socrate Minelli).
25 19/7, 195, ff.19-21 rapporto datato 29/09/51. Il rapporto in francese.
27
28
26 19/7,196:2, f .98.
27 19/7, 194:3, 153-159.
28
19/7, 197.1, ff.106-107.
29 Sulla pulizia vedere 100/3, 56, 266, ff.10-11 in data 18/11/1951 (Rapporto firmato da
Marco Biagi). Il documento descrive dettagliatamente il regime di scrupolosa pulizia
che si doveva seguire. Particolare enfasi e data ai lavandini del dormitorio: "Pensate
che tutti, o quasi, si soffiano il naso e sputano nei lavandini lasciando moccoli e
contorni attaccati al lavandino stesso e non curandosi di pulirlo nemmeno un poco
alla meglio. un dovere, credo, di ogni buon comunista di tenersi pulito almeno le
proprie porcherie.
30 19/7, 197.2, f.176.
31 100/3, 56, 265, ff.13-17 programma per la scuola) il documento fornisce uno
spaccato dettagliato delle singole lezioni.
32 19/7, 195, ff.48-51 (orario del maggio 1950).
33 Come prova dell'importanza di questa attivit, un documento statistico del 1952
000/3, 56, 267, fOO-47) dimostra che, per un periodo di quattro mesi, gli allievi gli
dedicavano 106 ore e gli aspiranti 112.
34 100/3, 56,267, ff.30-47 (dati statistici per luglio-novembre 1952).
35 19/7, 195, f.46 descrive ventiquattro lezioni dedicate alla storia della Cecoslovacchia.
La maggior parte delle lezioni sono sul periodo dopo la prima guerra mondiale. Una
nota, alla fine di questo documento, dichiara che i dirigenti del collettivo hanno tolto
dalla biblioteca il materiale sospetto (quello che era stato scritto dai dirigenti del KSC
recentemente screditati).
36
19/7 196:1, ff. 1-15 (per il testo del documento vedi appendice).
37 istruttivo che Moranino abbia chiesto il permesso di Lampredi, un membro della
segreteria del PCI di grado pi elevato, prima di poter tenere le sue lezioni sulla guerra
partigiana per il corso del 1951 (vedere 19/7, 198, f.29). Sulle vicende giudiziarie di
Francesco Moranino si veda: R. GREMMO, Il processo Moranino. Tragedie e segreti della
Resistenza biellese, Storia Ribelle, Biella, 2005.
38 19/7 196: 1, ff.34-35.
39 100/3, 56, 267, 3.
40 100/3, 56, 226, f.101.
41 100/3, 56, 264, f.59.
42
19/7, 196:1, ff.1-15.
43 19/7, 196:1, ff.1-15.
44 100/3, 56, 264, ff. 85-86 (relazione su "Gli attivisti del dibattito del 3/9/1951)
45 100/3, 56, 267, ff.59-99 per i numeri del 1951.
46 19/7, 196:1, ff.29-31.
47
19/7, 196:1, f.17 (Lettera di Foschi a Rohlenova datata 15/12/1950) .
48 100/3, 56, 265, f.92. Lettera datata 18/5/1951 scritta da Enrico Parisini (Arrigo
Pioppi).
49 19/7, 196:1, ff.27-28.
50
19/7,197.1, ff.78-79.
51 100/3, 56, 265, f.90.
Documenti
I documenti che seguono (tutti inediti) sono stati scelti allo scopo di fornire
un 'idea dello sviluppo della scuola. Si pubblicano due lettere di Pietro Secchia
mandate al suo equivalente nella sezione esteri del KSC, Bedrich Geminder.
Queste lettere risalgono al periodo in cui erano in corso i vari preparativi
per la scuola. Segue il regolamento interno" della scuola e due resoconti che
testimoniano delle difficolt affrontate nel primo anno accademico (1950). Per
dare un 'idea delle attivit degli allievi seguono poi due brevi articoli presi dal
giornale della scuola (1951). Infine un resoconto finale per uno degli allievi
della scuola (1952).
Doc. 1) 100/3, 56, 265, ff.41-42
Cari compagni,
Roma, l 21 Novembre 1949
Al Comitato Centrale del Partito Comunista Cecoslovacco
Compagno GEMINDER
PRAGA
La segreteria del PCI approva le conclusioni a cui siete arrivati con il compagno D'Onofrio
circa l'istituzione di una scuola per i comunisti italiani in Cecoslovacchia e vi ringrazia per
questa nuova prova di fraternit verso il nostro partito.
Resta inteso che lo scopo della scuola di inserire nella vita cecoslovacca i quadri del
PCI emigrati in Cecoslovacchia preparandoli a svolgere un lavoro politico nei centri della
immigrazione italiana. In pari tempi la scuola servir a formare un certo numero di quadri
che rientreranno in Italia per mettersi a disposizione del PCI.
Il numero degli allievi sar di 50 di cui almeno la met da destinarsi al lavoro nei centri
di immigrazione economica italiana in Cecoslovacchia. La scelta degli allievi sar fatta di
comune accordo dalle Segreterie dei due Partiti restando al PCC la decisione definitiva della
accettazione degli allievi soprattutto per quanto riguarda i quadri immigrati.
Il trattamento degli allievi sar quello ordinario di cui godono gli allievi delle scuole del
Pce.
La durata del primo corso della scuola dovrebbe essere di un anno (pensiamo che i corsi
debbano avere una durata di almeno un anno). Il programma verr stabilito in base a quello
delle scuole centrali del PCI aggiungendo lo studio della storia del movimento operaio in
Cecoslovacchia e del PCC, della costruzione del socialismo in Cecoslovacchia, della lingua
ceca per gli allievi che restano in Cecoslovacchia, della lingua italiana per tutti gli allievi.
Il PCC si impegna a dare alla scuola un insegnante di storia del movimento operaio
e del PC in Cecoslovacchia; un insegnante per i temi del materialismo dialettico e del
materialismo storico, un insegnante di lingua ceca; un organizzatore di Partito responsabile
della scuola e dei collegamenti con il CC del PCC; un traduttore dal ceco in italiano; il
personale per i servizi.
Il PCI si impegna a inviare il direttore della scuola ed altri due compagni capaci di
insegnare il complesso dei temi contenuti nel programma delle scuole centrali del PCI -
In base a questa decisione noi abbiamo deciso di:
1 - inviare a Praga il comp. Villa perch inizi la organizzazione della scuola e lavori in
essa come insegnante;
29
30
2 - utilizzare il comp. Dotti che si trova gi a Praga come insegnante della scuola;
3 - Inviare il direttore della scuola appena essa star per cominciare;
4 - Iniziare l'invio di testi del marxismo-Ieninismo in italiano per la biblioteca dell;:!
scuola;
5 - Iniziare la scelta di una quindicina di quadri del PCI, attualmente residenti in Italia,
da raccomandare come allievi della Scuola
Per quanto riguarda la scelta degli altri allievi vi preghiamo di farci pervenire al pi
presto possibile l'elenco completo dei comunisti italiani residenti in Cecoslovacchia con
relativi dati biografici e caratteristiche.
In tal modo, saremo in grado di proporvi rapidamente i nominati dei 50 allievi del primo
corso.
I! primo corso potr cominciare appena esisteranno le condizioni perch esso si svolga
regolarmente secondo i criteri qui indicati. Intanto si potrebbe organizzare un corso
preparatorio di lingua ceca per i compagni italiani immigrati in Cecoslovacchia che, dopo
aver partecipato alla scuola, resteranno nel Paese.
Impegnandoci a fare tutto il possible perch la nuova scuola funzioni regolarmente e dia
i risultati che se ne attendono vi inviamo i nostri fraterni saluti.
Doc. 2) 100/3, 56,264, f.17
Cari compagni,
p. LA SEGRETERIA DEL PCI
Pietro Secchia
Roma, li 30 gennaio 1950
VIA DELLE BOTTEGHE OSCURE
Al Comitato Centrale del
Partito Comunista Cecoslovacco
PRAGA
Per il comp. Geminder
I! latore della presente il compagno DOMENICO CIUFOLI, membro del Comitato
Centrale del Partito Comunista Italiano il quale viene inviato dalla Direzione del nostro
Partito a Praga con l'incarico di, dirigere la Scuola da voi organizzata per gli emigrati politici
italiani, d'accordo col Comitato Centrale del Partito Comunista Cecoslovacco.
I! comp. Ciufoli rester in Cecoslovacchia per alcuni mesi e cio sino a quando il primo
corso sia praticamente ben avviato e non sia pi indispensabile la sua presenza.
Durante tutto il periodo in cui il comp. Domenico Ciufoli rester a Praga, noi lo
consideriamo il rappresentante del Comitato Centrale del Partito Comunista Italiano presso
il Comitato Centrale del Partito Comunista Cecoslovacco, ed incaricato da parte nostra
non solo di dirigere, d'accordo con voi, la scuola, ma di essere anche il responsabile
dell'emigrazione politica italiana, e di tutta l'attivit ad essa inerente.
Sar cio il comp. Ciufoli che dovr essere direttamente a contatto con il vostro Comitato
Centrale dal quale ricever le direttive per il lavoro da svolgere.
Noi siamo soddisfatti dell'attivit del comp. Dotti ed abbiamo stima di lui, per il periodo
in cui Ciufoli sar in Cecoslovacchia, essendo egli membro del Comitato Centrale del nostro
Partito ed avendo ricoperto da molti anni incarichi di direzione nel Partito, evidente che
egli dev'essere il responsabile del lavoro.
Ricevete, cari compagni, i nostri pi fraterno saluti
Doc. 3) 19/7, 197:1, ff.106-107

p. LA SEGRETERIA DEL PCI
Pietro Secchia
Gli allievi sono tenuti ad osservare scrupolosamente queste regole e disposizioni della
Direzione.
1. Contatti con l'esterno
Ogni contatto con amici ed altre persone che soggiornano in Cecoslovacchia deve essere
interrotto. La Direzione prender in considerazione i casi eccezionali che saranno portati
a sua conoscenza.
Riguardo alle relazioni con le famiglie, devono essere osservate le regole seguenti:
a - scrivere a casa una volta al mese;
b - le lettere devono essere consegnate alla direzione ancora aperte;
c - non si deve fare nessuna menzione di questo collettivo n scrivere in modo da poter
diminuire la vigilanza che deve essere osservata da tutti gli allievi;
d-Le lettere spedite dai parenti devono essere indirizzate ai vecchi indirizzi.
Anche queste saranno consegnate ai destinatari in busta aperta
2. Contatti interni
a - Nessuno pu uscire dalla sede del collettivo senza permesso della direzione e neppure
pu rivolgersi a passanti sconosciuti dal giardino.
b - Tra compagni deve regnare uno spirito di mutua comprensione e di fratellanza. Tutti
devono osservare scrupolosamente la vigilanza.
c - I compagni sono tenuti anche ad osservare una disciplina severa quotidiana.
3. Rapporti tra allievi, le commissioni e la direzione
Gli allievi devono eseguire le disposizioni della Direzione.
Per facilitare i rapporti tra gli allievi e la direzione viene costituito per designazione della
direzione il comitato Direttivo del collettivo composto di un segretario e dei responsabili di
varie commissioni di lavoro: organizzativa, accademica, stampa e propaganda, economica
e culturale.
Gli allievi devono rivolgersi alle commissioni per tutte le loro richieste o al segretario
del Comitato Direttivo e in casi urgenti e importanti dal punto di vista di principio, alla
direzione ..
4. Ordine e nettezza
a - Invitiamo i compagni ad osservare il massimo rispetto e la massima economia per i
31
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mobili e per i generi di consumo offerti ai compagni collettivamente e individualmente, a
non sperperare l'acqua, la luce elettrica, ecc.
Gli allievi devono in tutti i modi rendere pi facile il lavoro del personale di servizio.
b - Nelle camerate, nelle sale di studio, nei corridoi, nei gabinetti ecc. deve essere
mantenuta la pulizia pi scrupolosa. I compagni devono inoltre mantenere l'ordine e la
pulizia personale.
Nelle sale di studio e da pranzo, come anche nelle camerate, non si fuma. Le camerate
debbono essere adibite esclusivamente al riposo.
5. LO STUDIO
Il calendario giornaliero di studio fissato dalla direzione.
a - Gli allievi devono osservare con diligenza le ore di studio e approfondire con
coscienza il complesso delle materie. Nel caso che un allievo non riesca a capire il materiale
di studio oppure senta il bisogno di essere aiutato, ha diritto di consultare un professore
del corpo insegnante.
b - Oltre allo studio del materiale gli allievi sono tenuti anche a perfezionare la loro
capacit di farsi comprendere oralmente e per scritto e ad elevare il loro livello di cultura
generale oltre che allargare il loro orizzonte politico.
c - La parola d'ordine della scuola : "IL COLLETTIVO E' RESPONSABILE PER IL
SUCCESSO DELLA SCUOLA". Questa parola d'ordine impegna i singoli allievi ad aiutarsi
reciprocamente.
Per infrazioni a queste norme del regolamento interno la direzione richiamer l'allievo
alla sua responsabilit ed applicher le sanzioni che creder necessarie.
La direzione ha il diritto di modificare questo regolamento.
Doc. 4) 19/7196:1, ff.27-28
Per conoscenza:
Al compagno Geminder
alla compagna Thelenova
al compagno Setlich
Cari compagni,
LA DIREZIONE DEL COLLETTIVO N.l
Praha, 21 aprile 1950
ALLA SEGRETERIA
DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANO ROMA
Vi rimetto un rapportino che i compagni dirigenti del Collettivo N. 1 hanno scritto in
questi giorni,
Ritengo che qualche rigo di commento sia necessario per maggiore chiarezza e per poter
valutare la possibilit di sviluppo degli allievi. Prima di sottolineare qualche aspetto particolare
del contenuto del rapporto necessario rilevare l'assiduo e fraterno interessamento che il
Partito Cecoslovacco ha avuto ed ha per l'organizzazione e per assicurare al Collettivo un
normale funzionamento.
Il partito fratello ha messo a disposizione del Collettivo N.l una bella e comoda villa
che dista una trentina di chilometri da Praga. La casa situata ai limiti di un grande
bosco ed attrezzata modernamente. Prima che il collettivo fosse portato sul posto la
villa era gi fornita di tutto l'occorrente perch gi adibita a scuola politica. Pur tuttavia il
Partito ha voluto cambiare tutto il materiale adibito alla precedente scuola sostituendolo
con materiale completamente nuovo. Tutti gli allievi sono stati forniti di pigiama, pantofole
ed altra biancheria necessaria.
All'inaugurazione del Collettivo era presente, oltre alla compagna Thelenova, al compagno
Scedich, una compagna della Commissione Centrale Culturale ed il compagno Geminder in
rappresentanza del c.c. del KSC.
Successivamente la compagna Thelenova si recata tre volte al Collettivo per accertarsi
personalmente che il Collettivo avesse tutto il necessario. Lo stesso Geminder seguita ad
interessarsi assiduamente dell'andamento del Collettivo e tutte le richieste della Direzione
sono sempre state concretamente prese in considerazione e soddisfatte.
Attualmente la visita medica assicurate periodicamente, il vitto stato aumentato e
migliorato, l'insegnante della lingua ceca ha gi fatto due lezioni, il barbiere va regolarmente
al Collettivo. La riunione della Direzione ha luogo due volte alla settimana. lo vi partecipo
regolarmente ed in mia assenza vi partecipa il compagno Dotti. La Direzione omogenea
e segue il lavoro accademico, politico e di Partito del Collettivo con attenzione e senso di
responsabilit.
In quanto all'aspetto concreto dei giudizi che si danno nel rapporto sul funzionamento
del collettivo e sulle capacit accademiche e politiche degli allievi, ritengo necessario fare
alcuni rilievi:
1. La scelta dei 45 allievi - attualmente sono 46 - stata fatta su un totale di un centinaio di
compagni emigrati politici che si trovavano in Cecoslovacchia nel periodo di preparazione
e di organizzazione del Collettivo. Il criterio di scelta, oltre che a tener conto dell'attivit
partigiana, politica e di Partito svolta nel Paese, ha tenuto conto del comportamento
politico e del lavoro materiale compiuto dai compagni nella loro permanenza ai collettivi di
produzione nel periodo da essi trascorso in Cecoslovacchia.
2. Va inoltre rilevato che per assicurare il lavoro di direzione politica dell'emigrazione e
per altre branche di attivit, d'accordo con il Partito Cecoslovacco, alcuni dei compagni pi
qualificato non hanno potuto partecipare a questo primo collettivo di studio. Il compagno
Dotti perch vice-responsabile politico, il compagno Marinoni perch a quel tempo era
responsabile della trasmissione italiana di Radio Praga e del lavoro sindacale, il compagno
Tognotti perch responsabile del giornale "Democrazia Popolare", il compagno Nadalutti
perch dirigente dei circoli di Democrazia Popolare. Altri compagni hanno dovuto essere
inviati, sempre d'accordo col Partito Cecoslovacco, a dirigere l'emigrazione ne centri pi
importanti.
3. Nell'insieme il Collettivo ha un orientamento politico soddisfacente sulla situazione
politica italiana. I compagni del Collettivo discussero, per esempio, sulla situazione politica
del nostro Paese in base ad un articolo del compagno Togliatti che fu commentato da un
allievo. La discussione fu abbastanza buona e concreta, tanto che io mi limitati a tirare
soltanto delle brevi conclusioni.
4. La stessa non si pu dire invece dell'orientamento degli allievi in riferimento ai
problemi di fondo concernerti la lotta che il Partito ed il popolo cecoslovacco conducono
per costruire la nuova societ. stato necessario discutere a varie riprese nel Collettivo
per portare chiarezza su tali problemi. Attualmente il Collettivo ha fatto degli indiscutibili
progressi. Questa grave lacuna che ha preoccupato e continua a preoccupare seriamente
la direzione del Collettivo, si spiega in primo luogo con il basso livello ideologico dei
33
34
compagni, la limitata vita di Partito da essi fatta nel nostro Paese, le difficolt da essi
incontrate per inserirsi concretamente nella vita politica cecoslovacca, eccetera. Oltre al
fatto che la vita dell'emigrato, anche in un paese di democrazia popolare, impregnata
di cento piccole cose e di una infinit di piccoli problemi. La Direzione del Collettivo ha,
dicevo, costantemente presente questa debolezza basilare e si sforza di porvi rimedio sia
con lo studio della lingua cecoslovacca sia con la lettura di Rude Prave, sia con rapporti ed
informazioni sulla situazione politica del Paese.
5. Sul problema del morale e sulla coscienza del Collettivo, almeno nelle sua prime
settimane di vita, necessario tener presente la particolarit del tipo del Collettivo. In primo
luogo va rilevato che tutti gli allievi hanno la famiglia lontana. Preoccupazioni quindi anche
dal punto di vista finanziario in cui si trova la famiglia, oltre al fatto che la prospettiva della
sua utilizzazione politica, una volta terminato lo studio, resta incerta ed imprecisa. Tutti
questi elementi di disagio morale son per piano piano superati a misura che l'allievo
si irrobustisce ideologicamente, cose che gli permetteranno qui od in Italia di essere un
dirigente. Pur tuttavia anche l'elemento preoccupazione famigliare di notevole importanza
nel determinare moralmente e negativamente la coscienza dell'allievo.
6. ancora troppo presto per dare un giudizio concreto sulle capacit accademiche
e politiche di ogni singolo allievo. Ci potr essere fatto successivamente, nei prossimi
rapporti, ma fin d'ora la Direzione segue attentamente l'andamento del Collettivo nel suo
complesso e cura anche, nella misura del possibile, ogni singolo allievo prendendo anche
della misure concrete per aiutare i deboli.
7. Complessivamente il Collettivo N. l un collettivo sano. Composto di ex-partigiani
in maggioranza operai o comunque proletari. Il forte spirito partigiano che essi hanno
ancora non elemento negativo. Per molti di loro la lotta partigiana racchiude tutta o quasi
tutta l'esperienza concreta a viva del loro lavoro a della loro lotta di rivoluzionari. La vita
del collettivo irrobustir la loro coscienza di classe a di Partito a li abituer a vedere ed a
esaminare i problemi politici ed il lavoro di Partito in un modo critico a autocritico. Queste
le osservazioni che ho creduto opportuno fare a guisa di complemento al rapporto della
Direzione.
Saluti fraterni
Paolo Belli
Doc. 5) 19/7, 196:1, ff.1-3
5/l2/1950
RELAZIONE SULLO SVOLGIMENTO DEL CORSO PER EMIGRATI ITALIANI IN
CECOSLOVACCHIA FEBBRAIO-NOVEMBRE 1950
L .. l
Il corso stato terminato da 44 allievi in seguito all'espulsione per indegnit morale e
politica di Landi Dante avvenuta alla fine di maggio. Su di esso stata consegnata relazione
apposita e caratteristica supplementare. Inoltre l'allievo L .. l degente all'ospedale. Bisogna
notare che su i 44 che hanno terminato il corso, 2 L .. l non sono stati in grado di fare gli
esami. L .. l per anormali condizioni di mente che si notavano fin dall'inizio ha dovuto
essere passato al lavoro tra il personale. Il secondo L . .l sebbene abbia fatto molti sforzi,
non ha potuto piegarsi al lavoro mentale che produceva grandi disturbi al suo sistema
nervoso e non stato in grado di dare gli esami.
Rispetto alla provenienza regionale gli allievi erano in massima parte emiliani (18) con
solo 4 toscani, 4 veneti, 2 umbri, 5 lombardi, 2 piemontesi, e uno di origine tedesca, di
Trento.
Ci ha prodotto durante il corso qualche accenno di antagonismo regionale ma
caratteristico il fatto che esso si verificato quasi esclusivamente da parte dei toscani verso
gli emiliani, mentre da parte dei veneti, lombardi, piemontesi ed umbri questo sentimento
non si verificato quasi affatto.
Ci si spiega con la circostanza che i toscani, presi uno per uno hanno dimostrato una
spiccata tendenza anarcoide e anche spirito di gruppo tra di loro. Uno di essi, il Landi, ha
rappresentato un caso estremo e ha dovuto essere espulso.
Tuttavia anche tra gli emiliani vi era un certo numero che non dimostrava abbastanza
comprensione.
Questo antagonismo era gi antecedente all'inizio del corso dovuto alle circostanze
particolari della vita dell'emigrazione. Salvo questo antagonismo limitato quasi
esclusivamente ai toscani per il resto il corso ha dimostrato una buona compattezza che si
andata sempre elevando.
Dal punto di vista dell'attivit politica precedente, solo pochi degli allievi avevano avuto
funzioni politiche come dirigenti di Sezione e la massima parte erano venuti al Partito
durante e dopo la guerra di liberazione in seguito all'attivit partigiana.
Nella formazione mentale di molti allievi si notava uno squilibrio tra la scarsa maturit
politica e la poca conoscenza del Partito da una parte e le funzioni di comando che essi
avevano avuto nel movimento partigiano durante la guerra di liberazione (Baffi, Palacci,
Bavieri, Castigliani, Chiappa, Freganara, Marchi Maria)
Questo squilibrio ha avuto per effetto che in alcuni di essi all'inizio del corso si creava
una delusione verso se stessi con effetti deprimenti (Freganara, Chiappa, Castigliani) in
altri un'autosufficienza mascherata o insolente che creava difficolt all'influenza formativa
del corso (Baffi, Palacci, Bavieri, Marchi Maria).
Come conseguenza della debole conoscenza del Partito e della mancanza di attivit
politica precedente, si comprendono le difficolt per gli allievi di capire le questioni della
vigilanza rivoluzionaria in un Paese dove essi sapevano la classe operaia al potere.
Questa mentalit esponeva gli allievi anche a pericoli morali specialmente a contatto con
una emigrazione economica che presenta lati deteriori.
Queste circostanze erano aggravate dal fatto che un buon numero di allievi (10) era
composto di elementi anziani oltre i 30 anni di et. Alcuni allievi erano venuti al corso
contro la propria volont (Freganara, Nardi, Martelli) e con scarsissima fiducia nelle
proprie forze.
Le differenze dovute al diverso grado di istruzione generale e di cultura erano molto
marcate, assai pi di quello che si osserva nelle scuole di Partito in Italia.
evidente che la possibilit di scelta nel reclutamento degli allievi erano molto limitate
nelle condizioni dell'emigrazione.
Ci nonostante il corso giunto alla sua fine avendo realizzato un alto grado di
collaborazione e di solidariet nello studio. Le condizioni fisiche degli allievi erano
prevalentemente precarie sia per le precedenti sofferenze e privazioni subite nella lotta
in Italia, sia per le privazioni sofferte dagli allievi nello stadio iniziale dell'emigrazione in
Cecoslovacchia.
Sta di fatto che, dopo la prima visita fatta dal dottor Herald, ottenuta nell'aprile, dopo
gi due mesi di corso, il dottore rimase allarmato delle condizioni di denutrizione e di
35
36
avitaminosi degli allievi che comunic le sue preoccupazioni alla compagna Thelenova
dopo di ch si ottennero i supplementi di vitto.
CAPITOLO SECONDO
- Condizioni di ambiente del corso sulla vita interna e contatti con l'esterno.
Come stato rilevato nella relazione precedente in data 20 settembre la caratteristica
generale dello svolgimento del corso stata un accentuato isolamento dall'ambiente
cecoslovacco, dalla vita a dalla lotta della classe operaia del Partito comunista
Cecoslovacco.
All'inizio questo isolamento era completo. In seguito fu permessa l'uscita serale del
sabato. Questi contatti accidentali e non organizzati con la citt di Praga avvenivano con gli
elementi deteriori della societ cecoslovacca e presentavano pericoli morali e politici che
sono stati rilevati insistentemente. Il luogo di residenza non era adatto a stabilire rapporti
normali con la popolazione e a coprire dal punto di vista della vigilanza l'attivit degli
allievi.
Altra caratteristica generale dello svolgimento del corso stata data dalle gravi
preoccupazioni farp.iliari di molti degli allievi, preoccupazioni che in molti casi distoglievano
la loro mente dallo studio. La direzione della scuola ha controllato la posta in arrivo e in
partenza degli allievi ed ha segnalato i casi pi preoccupanti al compagno Belli.
Inoltre la direzione della scuola si preoccupata di superare gli effetti deprimenti di queste
circostanze cercando di creare nell'ambiente della scuola una vita ideologica intensa anche
per gli allievi meno preparato e creando un'atmosfera di ottimismo e di fiducia. In questa
opera ci hanno validamente coadiuvato, oltre al compagno Belli i compagni dirigenti di
passaggio per Praga che ci hanno visitato come in compagni D'Onofrio, Secchia, Amadesi,
Leone, Roasio, Fedeli che hanno dato brio e coraggio all'attivit della scuola L .. l.
Doc. 6) 100/3, 56, 267, f.64 - La nostra Bandiera - Ilio Barontini (Dario)
SPORT
Allievi battono aspiranti 15-11 e 15-8
Per iniziativa della Commissione sportiva Gioved 1 c.m. si svolta la partita di Palla a
Volo fra allievi ed aspiranti, arbitrata dal compagno Recanzone.
Per gli allievi giocavano: Barbieri, Lucia, Comellini, Cavallari, Scotti, Ghiacci; per gli
aspiranti: Burato, Campani, Papa, Nadalutti, Pasqualini, Bernardi.
stato sufficiente il lancio della palla per la scelta del campo per rendersi conto della
incompetenza che vi era in ogni giocatore verso questo sano gioco.
I compagni che si sono distinti fa i neo-giocatori sono: Barbieri, buon realizzatore, Lucia
fantasioso, il suo gioco pecca di individualit, Scotti, uno dei pi disciplinati assieme a
Cavallari; Ghiacci si distinto per i suoi falli, Comellini irruento molto irregolare.
Per gli aspiranti si distinto per prendere storte alle mani Papa, Nadalutti quello che
ha fatto pi volte corpo con la terra inoltre non ha smentito Darwin, quando non era per
terra era attaccato alla rete come un pesce. Pasqualini emerse nel colpire poco la palla.
Campani ha realizzato dei punti dando prova in molte occasioni che non ha il senso della
misura, molti palloni li ha mandati alle stelle; Burato, il sorridente, stato il cervello della
squadra, malgrado le sue gaf. Bernardi scusabile se colpiva il pallone a met, tutti sanno
il perch ...
Come stato detto sopra si pu scusare la nostra famigliarit scarsa con la parte tecnica
e la nostra obbligatoria incapacit in questo gioco.
Quello che innammissibile ed criticabile, l'indisciplina e la confusione dando colpi
alla palla con i piedi, gridando scorrettamente, quell'entrare e sortire dal campo durante
il gioco.
Nello sport in generale e in particolare nelle partite che giochiamo in questa scuola, non
devono riflettersi soltanto le qualit atletiche del singolo: ma lo spirito collettivo, il nostro
carattere, la nostra educazione generale e politica.
Eliminiamo queste deficienze comunemente riconosciute, facciamo s che questo gioco
collettivo sia collettivo ed elemento supplementare alla nuova educazione che il PCI sta
dando.
Doc. 7) 100/3, 56, 267, f.76 - La nostra Bandiera - Ilio Barontini (Dario)
ESAME AUTOCRITICO DEL MIO PASSATO
In questo articolo ho l'intenzione di fare un esame degli errori commessi nel passato, ma
forse ancora non vi riuscir in modo esauriente e sufficientemente autocritico.
Fin dai primi giorni della mia appartenenza al Partito, per la mia ignoranza politica,
debbo riconoscere di avere fatto pi male che bene sia al Partito che alla classe operaia.
Ricordo che quando partecipavo alle riunioni facevo molta confusione ed ero sempre
in disaccordo con tutti; la politica del Partito la vedevo a modo mio e peccavo di due
mali: di opportunismo e di anarchismo. Alla linea del Partito non mi sottomettevo mai
e dicevo - ma quella non la linea del Partito! Per me i comunisti sono quelli che sono
capaci di sparare, macch analizzare la situazione bisogna incominciare subito a fare la
rivoluzione, altroch aspettare, ecc. ccc. Compagni, forse voi non crederete a quello che
dico in questo mio articolo ma invece purtroppo la verit e questi esempi che elencher
vi dimostreranno come lavoravo e di quale genere era il contributo che portavo.
Nel 1948 il Partito mi diede la carica di capo cellula giovanile e il mio segretario di
sezione mi disse le testuali parole - devi svolgere in fabbrica un lavoro di persuasione
verso i giovani - io a quel tempo lavoravo in una fabbrica tessile dove vi erano molti
giovani e ragazze e quindi quello era il compito pi delicato da svolgere.
lo dovevo avvicinare al nostro Partito questi giovani. Come facevo? Lavoravo bene?
Senz'altro no! perch li avvicinavo e parlavo in questo modo - sarebbe meglio che tu ti
iscrivessi al Partito; se non ti iscrivi guarda che te la passi male, ecc. - Come poteva il
Partito andare avanti se fossero stati tutti come me? Non comprendevo che era necessario
agire in modo differenziato, fare opera di persuasione spiegando che cosa il capitalismo,
chi la causa di tutte le guerre e tante altre cose.
Altri errori li commisi durante le elezioni del 18 aprile; mi ricordo che in una riunione
mi dissero - siamo vicini alle elezioni e bisogna svolgere un'attivit particolare concreta e
politica, di persuasione, in modo di far capire agli operai, specialmente a quelli che sono
incerti e che credono che se viene il comunismo o se vince il Fronte Popolare la terra viene
tolta ai contadini, bruciate le chiese e cos via, che queste sono menzogne, ecc. ecc. -
Quale era la politica che facevo io in mezzo alle masse? La mia politica grosso modo
era questa - se riusciamo a vincere le elezioni ce lo diamo noi, le chiese le eliminiamo
tutte, macch chiese noi non le vogliamo - agivo forse come era la politica del Partito?
Certamente no, commettevo errori madornali e credevo che il comunismo si doveva fare
in quel modo.
Questi errori da me commessi li commettevo perch ero incosciente e non comprendevo
37
38
niente. Adesso mi sono forse levato tutti i difetti? No, qualcosa rimane ancora in me. Per in
questa scuola marxista-leninista sono sicuro che riuscir a eliminare molti dei miei difetti e
a liquidare il bagaglio che porto con me. questo un impegno che con l'aiuto del collettivo
potr realizzare.
Adesso un poco mi sono formato per non sono ancora un vero comunista, un marxista,
ma sono certo che non commetterei pi gli errori di prima. Invito i compagni a cercare di
farsi un esame autocritico e di non aver paura di esprimere i loro difetti. In questo modo
riusciremo reciprocamente a correggerci per non commettere pi altri errori che sarebbero
un male per il nostro Partito.
BARBIERI MARIO
Doc. 8) 19/7, 194:3, 216
ZUPPIROLI CELESTINO!
7 Dicembre 1952
Anni 28 - Modena ongme operaia, garzone macellario, V elementare, partigiano
combattente nel Partito dal 1945. In Jugoslavia dal 1946 al 1949 in Cecoslovacchia dal
Giugno 1950 - Nel collettivo capo gruppo
Temperamento e carattere
Serio, socievole sebbene un po' timido, laborioso, di sana moralit
Caratteristica politica
Attaccato al Partito, modesto, si lega bene ai compagni. In generale si orienta bene nelle
questioni fondamentali. Assolve con impegno i compiti affidatigli. Deve sviluppare una
maggiore iniziativa politica. Non ha dato luogo a rilievi per motivi di vigilanza.
Caratteristica accademica
Si applicato con diligenza allo studio lottando [, .. 1 contro difficolt derivanti dal basso
livello di cultura generale.
Ha ottenuto discreti risultati nell'assimilazione del materiale di studio. Deve acquistare
maggiore sicurezza di s e senso critico.
Espone con difficolt.
Prospettive
Ha discrete possibilit di sviluppo politico e ideologico a condizione di essere ben guidato
e orientato. Pu essere utilizzato in un lavoro organizzativo come attivista di sezione.
1 Si tratta in realt di Alberto Ternelli
F.to Giulio Foschi
Secondo Villa
Vittorio Gambetti
Il caso Disteso: la mancata rivolta
dei carabinieri contro Sal.
Rapporto su una ricerca in corso
1
Mario Frigeri
Ricerca e prime conclusioni sull'uccisione di Armando Disteso, Luigi Lelli e
Natale Romagnoli, da parte di militi dell'Ufficio polizia investigativa (UPI) della
GNR di Reggio Emilia, avvenuta la sera del 30 maggio 1944.
Cronologia dei fatti
Febbraio - marzo 1944
Il carabiniere Armando Disteso, originario di Castelmaggiore (BO), classe 1923, presta
servizio presso la stazione dell'arma di Montefiorino (Ma). Conosce una ragazza, Nelia
Serradimigni
2
, staffetta della Resistenza che mette Armando in contatto con il locale CLN.
Aprile 1944
Disteso viene trasferito da Montefiorino a Reggio Emilia; i militi appartenenti all'Arma dei
Reali carabinieri vengono incorporati nella Guardia nazionale repubblicana.
18 aprile 1944
Sono arrestati dalla GNR a Vezzano sul Crostolo i membri della locale cellula comunista
clandestina, fra essi Silvio Brevini, Giuseppe Coluccio ed altri antifascistP. Gli arrestati sono
rinchiusi al carcere dei Servi per esservi interrogati.
30 aprile 1944
Il comandante generale della GNR Renato Ricci decreta che tutti gli appartenenti
all'Arma incorporati nella GNR debbano vestire la camicia nera, suscitando le proteste dei
carabinieri.
39
40
2 maggio 1944
Riorganizzato il comando provinciale della GNR, agli ordini del colonnello Giuseppe
Onofaro, con sede in Viale Timavo presso la caserma Mussolini.
8 maggio 1944
Il capitano della GNR Cesare Pilati viene posto al comando dell'Ufficio di polizia investigativa
(UPI) con il compito specifico della lotta antipartigiana e gli viene affidato l'interrogatorio di
Brevini e dei suoi amici.
lO maggio 1944
Armando Disteso, che non approva l'ordinanza del console Ricci, si mette in contatto
con la Resistenza reggiana che lo spinge ad organizzare una rivolta contro il comando della
guardia nazionale repubblicana. Fra gli ex carabinieri che Disteso cerca di aggregare alla
sua iniziativa ce n' uno che lo denuncia al capitano Pilati. Armando Disteso viene tratto
in arresto.
9 maggio
Viene arrestato a Leguigno di Casina il diciottenne Natale Romagnoli4, trovato armato
ed accusato di furti ed estorsioni. Condotto a Reggio Emilia, venne messo nella medesima
cella nella quale era gi Disteso e dove sarebbe arrivato un altro prigioniero: un vecchio
antifascista che nel 1932 era stato condannato dal Tribunale speciale per la sua attivit
politica, il 19 maggio arrestato perch accusato di furto: Luigi LellP.
Nel frattempo continuano gli interrogatori di Brevini, Coluccio, e altri da parte del Pilati,
con la collaborazione dei militi Nello Zanichelli, Alfio Berti, Angiolino Manzini, Giovanni
Paterlini e del vice brigadiere Filippo Cocconi, unitamente al v. brigo Luigi Di Fusco.
15-30 maggio 1944
La ragazza di Armando Disteso, appreso del suo arresto si reca al carcere dei Servi
per avere un colloquio con lui; lo stesso Zanichelli, che ha conosciuto la ragazza a
Montefiorino, a riceverla, promettendole il suo interessamento in favore del fidanzato.
Questi invece la denuncia e la fa seguire, nella speranza che la donna porti la polizia
investigativa ad una base partigiana di Reggio Emilia.
30 maggio 1944, sera
Secondo il rapport0
6
del Comando provinciale GNR di Reggio Emilia i tre pnglOmen
Armando Disteso, Natale Romagnoli e Luigi Lelli sono uccisi durante un tentativo di fuga.
Nel rapporto viene precisato che il Disteso era stato ucciso in via Guasco a pochi metri dai
Servi, il Lelli fra Villa Cad e Villa Gaida e il Romagnoli a Vezzano sul Crostolo.
Considerazioni
Nel 1969 su "Ricerche storiche"? venne pubblicata la testimonianza di Oriele
Leodirpi che vide il mattino del 31 maggio 1944 la salma di Natale Romagnoli
in localit Braglie di Vezzano sul Crostolo. La signora Leodirpi affermava che
il corpo del giovane era stato barbaramente scempiato, constatando che era
stato evirato e sventrato e che non era stato ucciso da colpi di arma da fuoco,
smentendo la versione fascista della sua tentata fuga.
Perch una tale barbarie contro un diciottenne? Perch fu ucciso Disteso?
Perch il Lelli fu trucidato fra Gaida e Cad?
Armando Disteso, dopo il decreto di Renato Ricci, aveva manifestato,
come molti carabinieri, aperto dissenso a trasformare l'Arma da una forza di
polizia usata contro i criminali comuni ad una milizia di partito usata contro
la Resistenza, per la quale non pochi carabinieri simpatizzavano; i fascisti
volevano dare un esempio agli ex carabinieri per convincerli ad accettare la
forzata fusione con la Guardia nazionale, in caso . contrario, come avvenne,
sarebbe stata offerta loro l'alternativa di essere inviati in Germania come
polizia militare nelle divisioni italiane che col di addestravano.
Luigi Lelli, 47 anni ed una condanna del Tribunale speciale sulle spalle,
ufficialmente di professione pescatore, ma di fatto il suo girovagare per la
bassa reggiana era funzionale a tenere i contatti fra i resistenti delle campagne
e quelli di citt. Perch fu ucciso fra Gaida e Cad? Il capitano Pilati era stato
uno degli autori dell'arresto dei fratelli Cervi ed era consapevole dell'esistenza
di un vero e proprio corridoio clandestino che serviva a portare in montagna i
renitenti alla leva fascista e i rifornimenti per i distaccamenti partigiani. Questo
corridoio partiva da Poviglio e attraversava Castelnuovo Sotto, Campegine,
Cella (nei pressi di Cad e Gaida, sulla via Emilia), Cavriago e San Polo. In
zona agivano i sostenitori dei partigiani garibaldini, comandati da Ivano Curti
e quelli di estrazione cattolica, legati al parroco di Cella don Pallai. L'omicidio
del Lelli, ma soprattutto il luogo della sua esecuzione, possono far pensare
ad una sorta di monito alla popolazione delle ville a non collaborare coi
partigiani.
Come detto in precedenza fra i detenuti dei Servi vi erano in quel momento
gli arrestati di Vezzano e il capitano Pilati, nonostante la brutalit degli
interrogatori, non era riuscito a ricavare da loro tutte le informazioni desiderate.
Pochi giorni dopo la barbara uccisione di Natale Romagnoli, precisamente
il 7 giugno, Brevini, Coluccio e gli altri detenuti vennero trasferiti dai Servi
al carcere di San Tommaso. In un documento recante quella data, firmato
dal solito colonnello OnofaroB, si denunciano al Procuratore del Tribunale
straordinario Brevini, Coluccio ed altre diciotto persone in stato di arresto con
le accuse di insurrezione armata, propaganda clandestina, organizzazione di
scioperi, ecc.
Evidentemente la notizia della tragica fine del Romagnoli era giunta ai
prigionieri che, temendo giustamente di subire la stessa sorte, si erano decisi
a dare al capitano Pilati le informazioni richieste.
Chi furono gli esecutori dell'omicidio dei tre pretesi evasi?
Al processo contro l'ex federale Guglielmo Ferri e la sua banda
9
vennero
fatti i nomi di Angiolino Manzini e Giovanni Paterlini per l'uccisione del Lelli,
ma i due non potevano aver agito da soli, per di pi senza l'approvazione del
Pilati e del suo vice Filippo Cocconi. Per quanto riguarda Nello Zanichelli,
fu probabilmente il maggior responsabile dell'arresto di Armando Disteso,
41
42
essendo anch'egli un ex carabiniere che Armando probabilmente considerava
amico dai tempi del servizio prestato insieme a Montefiorino
lO

Appreso dell'arresto di Armando Disteso, il padre del carabiniere, ferroviere
sulla linea Bologna-Milano, si rec a Reggio Emilia ed ottenne dal comando
della GNR di poter incontrare il figlio. Questo accadde il 24 o il 25 maggio.
Probabilmente la GNR gli aveva accordato questo incontro con la speranza che
convincesse Armando a denunciare, per salvarsi, coloro che si erano dichiarati
disponibili a rivoltarsi contro i militi favorevoli alla Repubblica sociale. Ma
Armando ribad al padre il suo assoluto rifiuto a collaborare con i fascisti,
nonostante le percosse subite (era quasi irriconoscibile per le ferite subite al
volto) e il rischio di una tragica fine.
La sera del 30 maggio Disteso e i suoi compagni di cella furono uccisi e,
com' noto, la versione ufficiale dei fascisti parl di un fallito tentativo di
fuga.
Avvenuta la tragedia, il padre del carabiniere si rec nuovamente al comando
reggiano della Guardia nazionale repubblicana, chiedendo questa volta di
poter dare una sepoltura dignitosa al proprio figlio, ma venne dirottato presso
il parroco di Santo Stefano, don Torquato Jori che era ignaro dell'accaduto.
Da Santo Stefano al Vescovado dove per non riusc ad essere ricevuto dal
vescovo ma ebbe un breve colloquio con il professor Silvio Giuseppe Mercati,
fratello del cardinale Mercati, che, pur partecipando del suo dolore, non era
nelle condizioni di fornirgli alcun aiuto.
Terminata la guerra il padre di Armando torn ancora una volta a Reggio
Emilia, sempre con la speranza di rintracciare finalmente il luogo di sepoltura
del figlio, ma tutti gli sforzi risultarono vani. Un altro padre che non ha potuto
mettere un fiore sulla tomba del figlio.
A ricerca ormai conclusa stata acquisita una dichiarazione del 25 maggio
1945, rilasciata dal capitano Cesare Pilati al pubblico ministero Ernesto Dardani,
nel carcere dei Servi (dove Pilati era stato rinchiuso dopo la sua cattura a
Guastalla il 23 aprile 1945), in preparazione del suo processo, apertosi il
6 giugno e conclusosi con la sua condanna a morte (eseguita il 3 ottobre
successivo). Il Pilati confermava, nell'interrogatorio, il reale svolgimento dei
fatti:
Di Fusco era un milite della GNR di Reggio Emilia avente il grado di brigadiere. Egli era
in contatto diretto col comandante della GNR reggiana colonnello Onofaro. Di Fusco diceva
di me che ero troppo buono.
I verbali degli interrogatori di Disteso e Romagnoli furono redatti dai militi Angelo
Turchetti e dal gi citato Berti. Verbali che sono stati da me recapitati ad Onofaro alla sera. Il
colonnello mi rispose che dovevano essere passati per le armi. Ho obiettato che dovevano
essere inviati al Tribunale militare. Egli replic di no Bisogna fare alla svelta e mi incaric
di mandare il brigadiere Di Fusco ad uccidere i due facendo figurare che stavano per
evadere. lo risposi che, se mai si dovevano fucilare davanti al suo reparto il Disteso, e il
Romagnoli avrebbe dovuto essere fucilato appena preso.
Il colonnello disse ch'era inutile seguire la procedura "Le forme sono forme, ma il
risultato che conta".
lo portai l'ordine a Di Fusco dicendogli che il colonnello aveva dato il via all'esecuzione
dei tre (c'era anche il Lelli, accusato di aver ammazzato un milite e che era stato trovato con
armi). Il Di Fusco se ne and, non so con chi, ed esegu l'ordine di Onofaro. Poi redasse il
verbale del 30 maggio 1944 che vedo allegato agli atti. Mi pare di ricordare che fu redatto
in seguito ad un rilievo del Questore
ll
.
1 Da segnalare come, dall'autunno 2005, sulla vicenda sia stata aperta una inchiesta
dalla Procura della Repubblica di Reggio Emilia, condotta dal sostituto procuratore
dottoressa Maria Rita Pantani.
2 Nelia Serradimigni, di Giuseppe, nata a Montefiorino il 19 maggio 1924, defunta a
Livorno il 3/06/2000.
3 Per la vicenda legata all'arresto dei membri della cellula di Vezzano si veda: G.
FRANZINI, L'evasione dei detenuti politici dalle Carceri Giudiziarie di San Tommaso,
"Rs-Ricerche Storiche", 7-8/1969.
4 Natale Romagnoli, di Giuseppe, nato a Bessano (CR) , classe 1926, residente a
Firenze.
5 Luigi Lelli, nato a Modena il 17 luglio 1897 di NN e Lelli Adegonda, residente a Reggio
Emilia, vicolo del Mondo.
6 Comando Provinciale GNR, 30.5.1944, n. 2212/B3 in Archivio ISTORECO, B.14D, f.l.
7 FRANZINI, L'evasione dei detenuti, cit.
8 Comando provinciale GNR, 7.6.1944, in Archivio ISTORECO, b.14D, f.5-
9 La sentenza pubblicata in P. CALESTANI, Guglielmo Ferri fascista integrale, "Rs-
Ricerche Storiche", 89/1995, pp. 39-56.
10 Fra le accuse mosse allo Zanichelli ancora latitante dopo la Liberazione figurava
anche la sua diserzione dalle fila partigiane. Si veda il documento della Commissione
provinciale di Giustizia del 12 maggio 1945 in Archivio ISTORECO b.9I, f.3.
11 Interrogatorio di Cesare Pilati (25 maggio 1945), Atti Corte di Assise Straordinaria
Reggio Emilia, Archivio Tribunale Reggio Emilia.
43
Temistocle Testa
Ugo Pellini
La proposta di accordo e pacifcazione dell'Eccellenza Testa
Il 24 marzo del 1945 il Comando Unico dei partigiani reggiani rilascia un
lascia passare in bianco perch in atto una trattativa con i fascisti per uno
scambio di prigionieri. Scrive Guerrino Franzini nel suo Storia della Resistenza
Reggiana:
Si ebbe il sentore che uno di essi sarebbe stato un pezzo grosso. L'incontro fissato in
montagna, presso la canonica di Baiso; si presenta S.E. Testa, dirigente del servizio generale
dell'approvvigionamento per i tedeschi in Italia, accompagnato dall'interprete della SD di
Reggio Emilia, chiamato Franco. La presenza dell'autorevole inviato appare subito come
una conferma delle intenzioni nemiche di stipulare coi partigiani, non un semplice scambio,
ma un compromesso. Egli comincia vantando le proprie benemerenze quale salvatore
della capitale e dichiarando di nutrire propositi pacificatori. Dice pure di essersi offerto
di condurre personalmente le trattative coi "simpatici partigiani del Reggiano". Fa quindi
allontanare l'interprete per poter avvalorare con pi libert le sue affermazioni di simpatia;
si scuce la fodera della giacca e ne trae un pezzo di seta recante un timbro del CLN Alta
Italia e la scritta: "Il latore elemento conosciuto e collaboratore di questo comando. Si
pregano i comandi partigiani di dargli aiuto ed assistenza". Quindi, di fronte alla freddezza
dei rappresentanti partigiani, fa appello alloro sentimento patriottico, maledice lo straniero
e fa, a conclusione, la proposta di un accordo coi nazi-fascisti come unico modo per salvare
il resto dell'Italia '.
I due comandanti partigiani Aldo C Osvaldo Salvarani) e Franceschini
Si ringraziano per la collaborazione e i consigli Michele Bellelli, Mario Frigeri e Massimo
Storchi.
45
46
(Pasquale Marconi) propongono, come premessa ad un eventuale accordo,
lo scambio di prigionieri. Testa accetta e promette che ritorner al pi presto
di persona per concludere. Il giorno dopo per i tedeschi fanno una puntata
armata a Baiso e, continuando le operazioni militari, i contatti sono interrotti
per una decina di giorni.
Il 7 aprile, normalizzatasi la situazione, Testa ricompare a Baiso, sempre accompagnato
dall'interprete; dichiara di avere discusso con il Comando superiore della 5D di Parma, ma
di aver ottenuto il consenso a trattare solo lo scambio di qualche prigioniero; per di pi
a condizioni che per i partigiani sono considerate inaccettabili. L'Eccellenza si dichiara
desolato e si riserva di compiere un ultimo tentativo presso il generale delle 55, Karl Wolff. Il
secondo incontro si conclude con un nulla di fatto e Testa torna solo in citt perch Franco,
l'interprete, che salito con lui, approfitta dell'ottima occasione: chiede ed ottiene di
consegnarsi ai partigiani e viene inviato oltre le linee insieme ad altri prigionieri tedeschF.
Il 16 aprile monsignor Rabotti, il prelato che fa da intermediario tra fascisti
e partigiani, riferisce al Comando partigiano che Testa il giorno 9 andato
a Milano per incontrarsi con il generale Wolff per ottenere l'appoggio per
uno scambio totale" e che richiede quindi un nuovo incontro con Aldo e
FranceschinP. Il 20 aprile i partigiani Monti ed Eros rispondono a Testa che,
se ha veramente qualche proposta da avanzare, a netto vantaggio della nostra
Organizzazione", pu comunicarla in via amichevole attraverso il professor
Marconi o salire personalmente a Toano, usufruendo di un lasciapassare che
i due capi accludon0
4
.
Siamo alla vigilia della liberazione di Reggio: naturalmente non avverr pi
nessun incontro.
Il fascista della prima ora
Vediamo allora chi questo importante "eccellenza" fascista, che esibisce
un documento del CLN Alta Italia in cui si afferma che conosciuto e ha
collaborato con i partigiani, che chiama simpatici" i partigiani di Reggio e che
vuole trovare con loro un'intesa per la salvezza dell'Italia. Il suo passato non
dei pi esemplari.
Temistocle Testa nato a Grana Monferrato (AT) 1'11 novembre 1897; suo
padre un notaio molto conosciuto in tutta la zona. Combatte nella guerra
mondiale con il grado di sottotenente. Agli inizi degli anni Venti si trasferisce
a Modena per seguire il fratello Ulisse, libero docente presso la clinica di
Neuropatologia dell'Universit di Modena, e si laurea in Giurisprudenza
all'Universit di Modena. Squadrista della primissima ora, s'iscrive al Partito
fascista il lO febbraio 1921; un anno dopo, nel gennaio del '22, nel corso
dell'assemblea che designa i componenti del nuovo direttorio del Fascio
cittadino, viene eletto vicesegretario. In questo periodo non si contano le
aggressioni e i pestaggi a dirigenti e militanti socialisti e comunisti. A giudizio
del Questore, Ercole Schiavetti, queste aggressioni non sono frutto di scelte
individuali, ma la conseguenza di disposizioni impartite dai dirigenti del
Fascio. "Per questo, con una lettera al Procuratore del Re, Schiavetti denuncia
per istigazione a delinquere i componenti del direttorio del fascio cittadino, il
federale Zanni e il vicefederale Testa5.
Per tutta la primavera e l'estate del '22 si susseguono episodi di violenza
squadristica contro persone e cose; alcuni assumono l'aspetto di veri e propri
atti di barbarie, come a Quartirolo di Carpi, dove gli squadristi irrompono in
una casa colonica, dove si svolgeva una festa danzante di giovani minorenni,
uccidendone uno e ferendone gravemente un altro. A San Venanzio di
Maranello i fascisti uccidono nell'osteria del paese due inermi cittadini.
Comandante delle Legioni modenesi nella marcia su Roma, due mesi dopo
l'istituzione della MVSN (gennaio '23) assume il comando della 73
a
legione
"Boiardo" di Mirandola. Passa indenne da una tempesta che scuote la legione
in seguito alla barbara uccisione, ad opera di alcuni militi da lui dipendenti, di
un inerme barrocciaio di Medolla
6
.
Nel 1928 diventa segretario federale del Fascio di Modena: "Vanta una lunga
esperienza politica militare e grazie al suo carattere deciso ed autoritario
ritenuto capace di fare rispettare la disciplina di partito anche agli iscritti pi
irrequieti e litigiosi, scrive di lui Pietro Alberghi in Modena nel periodo Fascista.
Per le sue origini piemontesi e il suo tardivo inserimento nell'ambiente fascista
modenese, non risulta legato a nessun gruppo di potere e pu disporre di
piena libert d'azione. La sua prima mossa di rinnovo dei dirigenti federali e
sezionali. Il giovane e intraprendente Testa costituisce presto una Commissione
federale di disciplina che epura le file fasciste degli elementi ritenuti indegni e
inserisce nei punti chiave uomini di sua completa fiducia. Il federale acquista,
per la sede del partito, il palazzo Coccapani-D'Aragona, in Corso Vittorio
Emanuele e mette ordine tra le varie fazioni fasciste in lotta. Nel maggio 1929
convoca un'assemblea del Fascio nel capoluogo e davanti a mille fascisti
radunati, nella sua relazione, richiama i convenuti al fervore, agli slanci delle
origini, soffocati dai fascisti dell'ultima ora che, dopo aver occupato posizioni
nevralgiche del partito e dei vari settori dell'amministrazione statale, hanno
tentato di ridurre il fascismo ad un mero apparato burocratico ed ad uno
strumento per la salvaguardia dei ceti privilegiati. Il "ritorno alle origini"
per solo di facciata; anche Testa, dopo le accese critiche rivolte ai vecchi
dirigenti della segreteria federale, dirige la federazione ricorrendo pi o meno
ai metodi gi largamente applicati dai suoi predecessori e si circonda di uomini
disponibili ad assecondare in tutto e per tutto le sue direttive. Anche i fascisti
della prima ora, che hanno salutato con sollievo la sua nomina, non tardano
a rendersi conto che la situazione rimasta praticamente immutata, che, anzi,
i suoi metodi autoritari e il suo protagonismo hanno finito per soffocare ogni
residua forma di dibattito all'interno del partit07. All'Archivio di Stato di Modena
risulta che Testa stato denunciato, nel 1929, per truffa da Angelo Gozzi e
Francesco Malavasi.
47
48
Il Federale diventa Prefetto
Il 16 febbraio 1931 il Testa nominato prefetto a Perugia, dove rimane
fino al 16 ottobre del '32; in questa data viene trasferito ad Udine e, fino al 20
febbraio del '38, riveste la carica in questa citt. Viene a questo punto trasferito
a Fiume, dove rimarr fino al fino al 1 febbraio del '43
8
.
A Fiume si dimostra particolarmente ligio nell'applicare il Regio Decreto del
5 settembre 1938, quello delle leggi razziali. La comunit ebraica di questa citt
conta millecinquecento persone e si ingrossa man mano che passano i giorni
per l'arrivo in citt di profughi ebrei dalla Croazia e dalla Galizia, ove per loro
la vita ancora pi difficile
9
.
Pochi giorni dopo l'entrata i guerra dell'Italia al fianco dei tedeschi, nella
notte tra il 17 e 18 giugno 1940, Testa ordina una retata di tutti i residenti
ebrei, di sesso maschile e di et superiore ai 18 anni di Fiume ed Abbazia, che
vengono trasportati nella scuola elementare di Torretta
1o
. Questa retata sar
criticata dalla stesso Ministero dell'Interno
ll
.
Secondo diverse testimonianze di imprigionati i fermati sono circa
cinquecento, met sono rilasciati dopo due o tre settimane senza alcuna
formalit, l'altra met inviata nei campi di concentramento in varie localit
d'ltalia
I2
. Per disposizione di Testa, che funge pure da Commissario di Stato
per i territori jugoslavi aggregati alla provincia di Fiume, anche gli ebrei che
fuggono dalla Croazia devono essere arrestati, se presi in territorio italiano
l3
.
Temistocle Testa, un funzionario che dell'antisemitismo ha fatto una bandiera,
scrive al gabinetto del ministero dell'Interno il 21 ottobre 1940: "Fiume forse
l'unica provincia che non permette la chiusura al sabato e alle altre feste, oltre
ad aver chiuso definitivamente tutti i negozi ebraici di Abbazia, ma ha anche
il primato di 200 ebrei internatV
4
.
Proprio con questo prefetto di Fiume deve fare i conti il vice-commissario di
polizia Giovanni Palatucci, che pagher con la morte a Dachau il suo impegno
per salvare gli ebrei di tutta la zona. Palatucci, per il quale stata avviata la
causa di beatificazione, riesce ad inviare a Campagna, sotto la protezione
dello zio Vescovo, un consistente numero di ebrei istriani, che avrebbe dovuto
invece arrestare e deportare. I suoi interventi, indiretti e nascosti, sono volti
a rendere inoperanti le disposizioni che vengono dalla Questura e in modo
particolare dal prefetto Testa
l5
.
Le "imprese" in Jugoslavia
Anche con la popolazione slava Testa non si dimostra molto tenero; queste
le sue considerazioni sugli sloveni: "Sono un popolo che ogni giorno di pi
sta dimostrando di essere quello che sempre stato, cio una razza inferiore,
che deve essere trattata come tale e non da pari a pari16.
Nelle regioni della Croazia annesse all'Italia dopo il 6 aprile '41 si ripete
quanto avvenuto in Istria dopo la Grande guerra: si ricorre ad ogni mezzo per
la snazionalizzazione e l'assimilazione, provocando inevitabilmente l'ostilit
delle popolazioni. Nella toponomastica, per cominciare da questo aspetto non
cruento dell'occupazione, viene recitata una vera e propria tragicommedia,
avendo come regista il prefetto della provincia del Carnaro e dei Territori
aggregati del Fiumano e della Kupa Temistocle Testa. Con un suo decreto
dell'8 settembre 1941 viene ordinato di: adottare senza indugio i nomi italiani
di tutti quei luoghi (comuni, frazioni, localit) che erano da secoli italiani e
che la ventennale dominazione jugoslava ha trasformato in denominazioni
straniere". Cos localit del profondo territorio interno lungo il fiume Kupa
e nel Gorski Kotar diventano: Belica = Riobianco, Bogovic = Bogovi, Brtiic
= Brissi, Buzdohanj = Buso, Crni Lug = Bosconero, Cabar = Concanera,
Glavani = Testani, ]elenje = Cervi, Kacjak = Serpaio, Koziji Vrh= Montecarpino,
Medvedek = Orsano, Orehovica = Nocera Inferiore, Padovo = Padova, Pecine
= Grottamare e via traducendo o inventando. Trinajstici, presso Castua, diventa
Sassarino in onore della divisione Sassari" che vi tiene un reparto.
Ben presto per, dopo aver battezzato citt, comuni, villaggi e frazioni, si
passa a distruggere col fuoco quelli, fra di essi, che non tollerano l'italianizzazione
n l'occupazione.
Il 30 maggio 1942 il prefetto Testa rende noto, con pubblici manifesti, di
aver fatto eseguire l'internamento nei campi di concentramento in Italia di
un numero indeterminato di famiglie di ]elenje, dalle cui abitazioni si erano
allontanati giovani maggiorenni senza informarne le autorit. Ma non si limita
alle deportazioni. Sono state rase al suolo le loro case, confiscati i beni e
fucilati 20 componenti di dette famiglie estratti a sorte, per rappresaglia". La
rappresaglia continua; il 4 giugno gli uomini del II Battaglione squadristi di
Fiume incendiano le case dei villaggi: Bittigne di Sotto (Spodnje Bitinje),
Bittigne di Sopra (Gornje Bitnje), Monte Chilovi (Kilovce), Rattecevo in Monte
(Ratecevo). A Kilovce sono fucilate ventiquattro persone; non c' villaggio
sul territorio di quelli che sono chiamati Territori aggregati e/o annessi a
contatto con l'Istria e la regione del Quarnaro, che non abbia case bruciate o
sia interamente raso al suolo; non c' una sola famiglia che non abbia avuto
uno o pi membri deportati oppure fucilati.
. Ancora pi terribile la sorte toccata agli abitanti della zona di Grobnico,
a nord di Fiume. Per ordine del prefetto Temistocle Testa, dopo l'uccisione
in questo paese di due maestri italiani, reparti di camicie nere e di truppe
regolari, irrompono nel villaggio di Pothum all'alba del 13 luglio 1942. L'intera
popolazione, rastrellata, condotta in una cava di pietra presso il campo di
aviazione di Grobnico; il villaggio prima saccheggiato e poi incendiato. Oltre
mille capi di bestiame grosso e milletrecento di bestiame minuto sono portati
via; ottocentottantanove persone finiscono nei campi di internamento italiani:
pi di cento maschi sono fucilati nella cava: il pi anziano ha 64 anni, il pi
giovane 13 anni.
Con un telegramma spedito a Roma Testa informa:
49
50
Ieri sera tutto l'abitato di Pothum nessuna casa esclusa est raso al suolo et conniventi
et partecipi bande ribelli nel numero 108 sono stati passati per le armi et con cinismo si
sono presentati davanti ai reparti militari dell'armata operanti nella zona, reparti che solo
ultimi dieci giorni avevano avuto sedici soldati uccisi dai ribelli di Pothum stop Il resto della
popolazione e le donne e bambini sono stati internati stop.
Nel solo Comune di Castua subiscono spedizioni punitive diciassette villaggi;
sono passate per le armi cinquantanove persone, altre duemilatrecentoundici
deportate
17
.
sempre Testa a firmare, insieme al generale Coturni, il proclama del 15
luglio 1942, che riportiamo per intero:
COMANDO V
O
CORPO D'ARMATA
E R. PREFETTURA DEL CARNARO (PER I TERRITORI ANNESSI)
PROCLAMA ALLE POPOLAZIONI DEL GORSKI KOTAR (TERRITORI ANNESSI ALLA
PROVINCIA DEL CARNARO E TERRITORI CROATI COMPRESI ENTRO IL PERIMETRO
HRELJN-LIC FERROVIA LIC-DELNICE -BRODNA KUPIN).
(LOCALITA' COMPRESE).
Considerata la necessit di adottare provvedimenti di carattere eccezionale per il ripristino
ed il mantenimento dell'ordine pubblico nei territori predetti
DISPONIAMO
l) a partire da oggi, nei territori sopradetti: sono soppresse tutte le tessere di frontiera
e qualsiasi permesso di circolazione dei nuovi territori (territori annessi alla provincia del
Carnaro); sono soppresse tutte le autocorriere; vietato il movimento con qualsiasi mezzo
di locomozione, fra centro abitato e centro abitato; vietata la sosta ed il movimento,
tranne che nei centri abitati, nello spazio di un chilometro dai due lati delle linee ferroviarie.
(Sar aperto senz'altro il fuoco sui contravventori); - continueranno soltanto i movimenti
e i lavori in corso che si svolgano per conto e sotto la protezione dell'Autorit Militare o
degli organi di polizia (territori annessi alla provincia del Carnaro); sono soppresse tutte le
comunicazioni telefoniche e postali, urbane ed interurbane.
2) a partire da oggi nei territori sopradetti, saranno immediatamente passati per le
armi: coloro che faranno comunque atti di ostilit alle autorit e truppe italiane; coloro
che verranno trovati in possesso di armi, munizioni ed esplosivi, coloro che favoriranno
comunque i rivoltosi; coloro che verranno trovati in possesso di passaporti, carte di identit
e lasciapassare falsificati; i maschi validi che si troveranno in qualsiasi atteggiamento, senza
giustificato motivo, nelle zone di combattimento.
3) a partire da oggi nei territori sopradetti, saranno rasi al suolo: gli edifizii da cui
partiranno offese alle autorit e truppe italiane e croate; gli edifizii in cui verranno trovate
armi, munizioni, esplosivi e materiali bellici; le abitazioni in cui i proprietari abbiano dato
volontariamente ospitalit ai rivoltosi o si siano comunque allontanati (anche in parte) per
unirsi ai ribelli.
Sapendo che fra i rivoltosi si trovano individui che sono stati costretti a seguirli nei
boschi, ed altri che si pentono di aver abbandonato le loro case e le loro famiglie, il Prefetto
della Provincia del Camaro e il comandante del V Corpo d'armata garantiscono salva la
vita a coloro che, prima del combattimento, si presentino alle truppe italiane e consegnino
loro le armi.
Le popolazioni che si manterranno tranquille, e che avranno contegno corretto rispetto
alle autorit e alle truppe italiane e croate, non avranno nulla a temere, n per le persone,
n per i loro beni.
Add 15 luglio 1942 - XX
Per i territori annessi provincia del Camaro, Il prefetto, f.to Temistocle Testa
Per la rimante zona, Il comandante del V corpo d'armata, f.to Gen. Renato Coturri.
18
La guerra volge al peggio, la Repubblica di Sal
Il lO febbraio 1943 Testa sostituito come prefetto di Fiume e collocato a
disposizione; in seguito viene nominato Alto commissario in Sicilia: lo sar fino
all'arrivo degli Alleati. Scrive di lui Alfio Caruso: Nonostante la presenza di
un energico Alto Commissario, il prefetto Testa, fino al 9 luglio si registrarono
gelosie e ripicche tra autorit fasciste e autorit militari,,19.
Che Testa sia un alto gerarca del regime ormai in crisi testimoniato da
un altro importate personaggio della seconda guerra mondiale: il Colonnello
delle ss Eugen Dollmann, interprete degli incontri tra Hitler e Mussolini e
uomo di fiducia in Italia di Himmler. Scrive, infatti, Dollmann:
Ai primi di aprile del '43 alla stazione Tiburtina di Roma, il Duce che sta per partire per
un famoso incontro con Hitler, avvicinato dall'inatteso e nervoso ex prefetto di Fiume
Temistocle Testa armato di una borsa gonfia di documenti, che volle parlargli d'urgenza.
Quando il treno fu in moto, trapelarono dettagli, pi tardi integrati dallo stesso Testa,
secondo i quali la conversazione aveva avuto lo scopo di esortare il duce a non tornare
ancora una volta a mani vuote dall'incontro con Hitler, e ad insistere affinch si concludesse
con la Russia l'armistizio o la pace, altrimenti rientrando in Italia non avrebbe pi lasciato
da uomo libero, come lo zar Nicola, il treno speciale, non potendosi assumere garanzie
20

Con la caduta del fascismo del 25 luglio il "dinamico e intraprendente
Testa"21 non si perde d'animo: non passata mezz'ora dall'annuncio del
capovolgimento - scrive Silvio Bertoldi - e gi telegrafano Ricci, Bottai, ...
Temistocle Testa, pregando di poter restare ai loro posti,,22.
Solo quattro giorni dopo lo storico giorno, Testa avvicina Dollmann e gli
chiede di incontrarsi con il generale Giuseppe Castellano, uomo di fiducia
del Capo di stato maggiore, generale Vittorio Ambrosia. L'incontro si svolge
lo stesso pomeriggio all'albergo Ambasciatori: Castellano assicura Dollmann
che la caduta del fascismo una faccenda interna italiana e esorta i tedeschi
a non trarre da questo avvenimento deduzioni allarmanti. sempre Testa a
combinare un altro incontro tra i due: questa volta Castellano prende l'iniziativa
del colloquio e chiede conto degli scopi e della ragione dei movimenti delle
truppe tedesche in Italia. Il tedesco propone che si incontrino Keitel e Ambrosia
e conclude chiedendo se l'affermazione di Badoglio che la guerra continua ha
subito modifiche; l'italiano nega. Testa entra nelle grazie dei tedeschi; Dopo
51
52
l'incontro - Dollmann a raccontarlo - chiesi a Testa una garanzia esplicita
dell'attendibilit delle parole del generale e siccome il prefetto si disse pronto
a garantire con la propria vita, si rafforz in me la convinzione che quanto
aveva detto Castellano fosse vero,,23. Sar poi lo stesso Castellano, per conto
del Governo Badoglio, a firmare a Cassibile, il 3 settembre 1943, l'armistizio
dell'Italia con gli Alleati.
Dopo poche settimane ritornano i fascisti e, nella neonata Repubblica di
Sal, Testa diventa Capo dell'ufficio intendenza del ministero dell'Intrno; per
dirla ancora con le parole di Dollmann: "dittatore dei trasporti, con alle sue
dipendenze i convogli automobilistici vaticani,,24.
Nell'ambiente romano si muove benissimo, ha ottimi rapporti con i tedeschi,
in modo particolare con il colonnello Dollmann, in contatto con il Vaticano ed
l'uomo di fiducia del ministro dell'Interno, Guido Buffarini Guidi. Dollmann,
tramite il questore Pagnozzi chiede a Buffarini Guidi: "la nomina dell'ecc. Testa
a governatore di Roma, che sarebbe gradita alle autorit germaniche. Solo cos
a Roma potrebbe cambiare la situazione,,25. Testa viene subito nominato.
Da intercettazioni telefoniche effettuate dai tedeschi risulta anche una
conversazione di Testa con Mussolini, dopo l'attentato di via Rasella: "Testa:
qui risulta che per ogni tedesco morto devono essere giustiziati trenta italiani!
Vogliono applicare la legge del taglione!". Mussolini: far il possibile per evitare
un ulteriore spargimento di sangue, ma credo che sia molto difficile ottenere
qualcosa, dati i momenti attuali,,26.
Nella riunione del 12 febbraio 1944 del Consiglio dei ministri della RSI viene
decretato il collocamento a riposo del prefetto di la classe a disposizione
Temistocle Testa.
Che Testa sia un personaggio importante lo dice anche Elena Curti, figlia
naturale di Mussolini, che dice di lui:
Il Dr Testa, credo sottosegretario agli interni, uomo serio, poco cordiale, con un certo
sussiego professionale. Non mi aveva fatto alcuna impressione particolare, per qualche
tempo dopo a Gargnano, in visita a Mussolini, quando gli feci il nome di Testa il duce
sbott: non pronunciarlo neppure questo nome, solo a sentirlo mi prudono le mani come
avessi la scabbia". Non osai chiedere spiegazioni, commentai solo che potevo capirlo perch
succedeva anche a me con certe persone, che si rivelavano poi particolarmente false. Il
nome di Testa sarebbe comparso poco dopo fra quelli degli aspiranti successori del Duce,
in un momento critico per la RSI. Si trattava allora di una semplice questione di rivalit?27.
La guerra volge al peggio per i nazi-fascisti, Testa non pi l'uomo inflessibile
ed energico che tutti conoscono, ma diventa disponibile e ragionevole. Un
suo braccio destro il capitano Giuseppe Cancarini Ghisetti, specializzato,
scrive D ollmann , in salvataggi particolarmente delicati di prigionieri di origine
ebraica; Ghisetti un agente dell'oss, che diventer fondamentale per la sorte
di Testa e Dollmann. Testa ha dei problemi con un fanatico capitano delle
55, Wenner, che lo manda in via Tasso; anche il ministro Buffarini Guidi per
qualche ora imprigionat0
28
.
Con la Liberazione di Roma Testa segue Dollmann a Firenze; qui il tedesco
chiede a Buffarini Guidi, tornato in auge, di avere come "fiduciario", l'ex
prefetto di Fiume. Dollmann lo vuole al suo fianco affinch lo metta in contatto
con il cardinale di Bologna, Nasalli Rocca, e con il clero dell'Emilia Romagna.
"Certe sue amicizie agevolarono i miei interventi, evitando in numerosissimi
casi esecuzioni e crudelt,,29. Testa interviene a favore dell'impiego degli operai
italiani in lavori di fortificazione e di carattere militare e propone di reclutare
nella zona di Ferrara circa trentamila operai civili.
La sua nuova attivit a Reggio Emilia
Testa arriva a Reggio il 21 luglio 1944, sempre con Dollmann; i due si
insediano nella villa Brazz di Roncina. Le cose si stanno mettendo male per
i nazi-fascisti e Dollmann e il suo "fiduciario" cominciano a pensare al loro
futuro; il 14 ottobre 1944 Testa in persona a recapitare al colonnello delle 55
il documento del cardinale di Milano Ildebrando Schuster, considerato inizio
delle trattative di resa dei tedeschi agli alleati. A consegnarlo a Testa stato
il "suo" capitano Ghisetti, agente 055, che ha seguito i due in Alta Italia per
ordine dei servizi segreti; Ghisetti lo ha a sua volta ricevuto da monsignor
Bicchierai, segretario di Schuster. In questo documento si chiede ai tedeschi di
salvare le industrie del Nord, in cambio di una tregua da parte dei partigiani;
questo accordo non va in porto, ma la premessa per l'avvio dei rapporti che
porteranno Dollmann e il Generale Wolff a Zurigo a trattare direttamente a
Lugano, con Allen Dulles, la resa dell'esercito tedesco in Italia
30
.
Anche a Reggio Dollmann, sempre servendosi di Testa, cerca di acquisire
dei meriti nei confronti dei partigiani e degli alleati; evita la fucilazione dei
partigiani del Comando di Piazza di Reggio, catturati dai fascisti e condannati
a morte. Convoca, infatti, una riunione a Parma dove impone ai fascisti la
sospensione della pena per Calvi di Coenzo, Prandi e Ferrari; solo il comunista
Zanti sar fucilato. Questi saranno trasferiti prima a Parma, poi, grazie sempre
a Ghisetti, a Verona dove saranno rilasciati con tante scuse pochi giorni prima
della fine della guerra
31
. In questi giorni anche Testa cerca "benemerenze"
ed evita la fucilazione per un altro partigiano, Sergio Ghinolfi, che diventer
l'autista di Dollmann. Salva dalla brigata nera anche il capitano inglese Tuckler
e don Giovanni Barbareschi, che avevano in animo di coinvolgere il Maresciallo
Graziani nella resa degli italiani. Li fa ricevere da Wolff che far passare in
Svizzera l'emissario alleat0
32
.
Siamo nella primavera del '45 e Testa, come abbiamo visto all'inizio di
questo lavoro, si incontra a Baiso con i partigiani; in realt davvero in
contatto con il generale delle 55 Karl Wolff e con il cardinale Schuster e forse
ha in animo di ottenere qualche cosa per un eventuale accordo. L'incontro tra
i Wolff e il Cardinale, fissato per il 12 aprile, viene rinviato al 21, ma ormai
tardi perch la guerra in Italia finisce proprio in questi giorni.
53
54
L'arresto e la morte
Nei primi giorni dell'insurrezione Testa si costituisce spontaneamente
alla Questura di Milano; arrestato e consegnato alla camera dei detenuti
in seguito inviato alle carceri di San Vittore. Come si legge dalla cronaca del
giornale "L'Unit democratica" del 10 agosto 1945 i signori Malavasi e Vaccari
lo prelevano da San Vittore, ma non lo traducono alle carceri di Modena, citt
che invoca la sua presenza per i crimini commessi, lo trattengono invece in
un locale privato. Per questa violazione della legge si rende necessario un
accertamento: da questo il loro fermo e il conseguente rientro del Testa a San
Vittore.
Successivamente la questura provvede, con i suoi agenti, alla sua traduzione
a Modena e alla consegna alla Corte di Giustizia
33
.
A Modena per non verr processato; il 17 novembre 1945 il prefetto di
Modena, Zanetti, risponde alla Commissione dell'epurazione del ministero
dell'Interno che: "il dr Testa "a quanto risulta a questo ufficio sarebbe
attualmente rinchiuso nelle carceri di "Regina Coeli",,34.
Sicuramente anche il governo Jugoslavo ha richiesto la sua estradizione
per i crimini commessi in Istria; sappiamo per che nessuno dei circa
settecentocinquanta criminali di guerra italiani richiesti stato consegnato alle
autorit jugoslave.
Temistocle Testa nell'elenco dei nominativi sottoposti alla commissione
inchiesta per i presunti criminali di guerra italiani inserito tra i ventinove
deferiti (situazione al 23 marzo 1948); centotrentatr sono i discriminati, sei i
sospesi
35
.
Di Testa sappiamo che morto il 17 luglio 1949, suicida, come riferisce nel
suo libro Elena CurtP6.
l G. FRANZINI, Storia della Resistenza reggiana, ANPI RE, Reggio Emilia 1982, p. 707.
2 IVI, p. 708.
3 Lettera Mons. Rabotti del 16 aprile 1945 al Comando unico di zona, Archivio
ISTORECO.
4 Corpo Volontari della Libert, Comando unico di zona del 20 aprile 1945, Archivio
ISTORECO.
5 P. ALBERGHI, Modena nel periodo fascista 0919-1943), Mucchi e SIASS, Modena 1998,
pp. 23.
ALBERGHI, op. cit., p. 151.
7 IVI, P 155.
8 M. MISSORI, Governo, alte cariche dello Stato, alti magistrati e prefetti del Regno d Italia,
Istituto grafico tiberino, Roma 1989.
9 T. MARRONI, Meglio non sapere, Laterza, Bari 2003.
lO L. ROBUFFO, Giovanni Palatucci, Dipartimento polizia di Stato, Roma 2002.
II M. COSLOVICH, "Il Piccolo", giornale di Trieste, 20 novembre 2000.
12 P. V ANZAN, M. SCATENA, Giovanni Palatucci il Questore giusto, Pro Sanctitate, Roma
2004, p. 41.
13 A.L. lAMINI, Il salvataggio degli ebrei a Fiume, Il Movimento di Liberazione in Italia,
1955, p. 45.
14 A. MARzo MAGNO, Diario, WWW.ISTRIANET.ORG.
15 VANZAN, SCATENA, op. cit., p. 67.
16 As 1769. Collezione prigioni e campi di concentramento delle forze di occupazione,
scatola 1, Sezione II. Archivio di Stato repubblica Slovena.
17 G. SCOTTI, "Il Manifesto", 4 febbraio 2005.
18 Fondo Gasparotto b.10, f.38, presso archivio Fondazione ISEC (Istituto per la toria
dell'et contemporanea), Sesto San Giovanni (MI).
19 A. CARUSO, Arrivano i nostri, Longanesi, Milano 2004, p. 158.
20 E. DOLLMANN, Roma nazista, Milano, 1948, p. 118.
21 ALBERGHI, op. cit., p. 58.
22 S. BERTOLDI, Colpo di Stato, Rizzoli, Milano 1996, p.246.
23 DOLLMANN, op. cit., p. 150.
24 IV!, p. 194.
25 G. BOCCA, La Repubblica di Mussolini, Mondadori, Milano 1994, p. 149.
26 Acs, Fascicolo intercettazioni telefoniche ufficio informazioni tedesco. Trascrizione
nastro registrato 23-24 marzo 1944.
27 E. CURTI, Il chiodo a tre punte, Iuculano editore, Pavia 2002, p 118.
28 DOLLMANN, op.cit., p. 225.
29 IV!, p. 23l.
30 F. LANFRANCHI, La resa degli ottocentomila, Milano, 1948, p. 43.
31 DOLLMANN, op. cit., p. 237-238.
32 IV!, p. 339.
33 "L'Unit democratica", lO agosto 1945.
34 Archivio di Stato di Modena. Gabinetto della prefettura 1945 b.710.
35 Fondo Gasparotto b.10, f.38 presso Archivo Fondazione ISEC, Sesto San
GiovanniCMI) .
36 CURTI, op. cit., p. 118.
55
L'autonomia al lavoro:
comune e infanzia.
Intervista a Loretta Giaroni
su Scuole e nidi comunali
a cura di Ettore Borghi
Tu entri nella giunta comunale di Reggio nel gennaio 1967. Quali
esperienze formative avevi alle spalle? Che cosa, soprattutto, aveva prima
d'allora maggiormente contribuito ad orientare i tuoi interessi verso i servizi
sociali alla persona?
Prima di entrare nella giunta del Comune di Reggio sono stata coordinatrice
dell'Unione donne italiane provinciale per dieci anni e, prima ancora, delle
donne del Partito comunista italiano. Quindi le mie esperienze formative sono
soprattutto collegate alle teorie e alle politiche, alle lotte per l'emancipazione
femminile, essenziali per liberare un intero genere ancora discriminato e per
cambiare la societ.
Si pu dire che il momento in cui assumi questa responsabilit coincida
con una fase di svolta nella politica e italiana per quanto riguarda il ruolo
delle autonomie locali e/o nella specifica situazione politico/amministrativa
reggiana?
Nel 1967 il Partito socialista italiano al governo del Paese alleato con la
Democrazia cristiana per la prima volta dal '47, e a livello locale il PSI esce dalla
Giunta comunale, cui fa da contrappeso l'alleanza tra il PCI e il PSIUP per effetto
della scissione che aveva investito il PSI. Sono fatti rilevanti, specialmente se
considerati insieme al cambio del Sindaco nel 1962 che coincise con l'apertura
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di un dibattito in Emilia la cui prima conclusione fu quella "di considerare non
pi sostenibile, ed anzi dannoso l'obbligo di subordinare l'attivit del comune
al pareggio del bilancio e di rispettare la distinzione tra spese obbligatorie
e spese facoltative. Si decise che le funzioni e gli indirizzi dei poteri locali
dovevano essere ricostruiti in relazione alle esigenze e alle priorit che la
rapida e massiccia industrializzazione del Paese richiedeva e di contrastarne
alcuni indirizzi e correggerne le distorsioni. in questa "impresa" che mi sono
trovata fino al '75.
Gli anni del miracolo economico (1958-1963) e del dopo boom vedono una
crescente richiesta di scuole pubbliche per l'infanzia, sorretta anche da una
crescente consapevolezza psico-pedagogica sulla rilevanza dell 'et 3/6 anni
per lo sviluppo successivo della personalit. Reggio, come altre citt governate
dalla sinistra, punt sulle scuole comunali. Mi sembra di ricordare per che
voci anche di primo piano della stessa sinistra si espressero a favore di una
generalizzazione della scuola statale. Come puoi riassumere le ragioni che
vi SPinsero sulla vostra strada, fra l'altro dijjicile per le forti resistenze che
dovevate superare?
A Reggio, come in altri comuni reggiani, abbiamo scelto le scuole
comunali dell'infanzia innanzi tutto perch a rivendicarle nei confronti delle
Amministrazioni comunali erano le donne e l'um in nome del diritto al lavoro
per le donne quale fattore di arricchimento della personalit e per favorire la
conciliazione tra compiti familiari e lavoro extra domestico.
In seguito queste motivazioni generarono quella del bambino come soggetto
e fonte di diritto nella famiglia e nella societ. L'altra ragione fondamentale
che la Giunta si era data un deciso indirizzo autonomistico come prescrive la
Costituzione, allo scopo di rispondere alle esigenze della comunit.
vero che nel dibattito che ha preceduto l'uscita della legge 444 del '68
istitutiva della "scuola materna statale", c'era anche a sinistra chi sosteneva la
generalizzazione della scuola materna statale.
stato un confronto che qualcuno ha definito astratto, perch in Italia non
esisteva una struttura pubblica di scuole per bambini dai tre a sei anni, non
c'era la scuola statale e la comunale era molto limitata quantitativamente.
Esisteva, come esiste tuttora, una fitta rete di scuole private, ora paritarie, in
grande maggioranza gestite dalle parrocchie o da organizzazioni confessionali
sovvenzionate dal ministero dell'Interno. Quindi, era certamente positivo volere
una legge che avocasse direttamente allo Stato il dovere di provvedere ai bisogni
educativi dell'infanzia in termini di diritto e non soltanto di assistenza.
Ma il contenuto della legge si rivelato deluden.te.
Dopo cinque anni, non si era costruito nessun edificio di scuola materna
statale e quelle istituite sono state aperte in locali messi e disposizione dai
Comuni, sui quali sono cadute tutte le spese di gestione tranne quella per il
personale insegnante. Come contributi di gestione, per una lira che lo Stato
dava ai Comuni, tre lire dava ai privati. Positivo l'obbligo delle spese dei
Comuni per istituire e mantenere scuole proprie, (art. 25 l. 444)
Ricordo per, che quando abbiamo aperto la scuola "Diana" nel marzo
1970, erano gi passati due anni dalla legge 444 e la GPA (Giunta provinciale
amministrativa) non ci aveva ancora dato il benestare che non arriv mai.
Negli anni Settanta mai accaduto che sui temi delle politiche verso
l'infanzia si formasse in Consiglio comunale, in citt o in provincia, un sia
pur momentaneo schieramento trasversale fra donne di diverso orientamento
politico?
I temi delle politiche verso l'infanzia sono stati a lungo il vero punto di frizione
e di conflitto soprattutto nel Consiglio provinciale, per le ampie competenze
della amministrazioni provinciale in materia di assistenza all'infanzia.
Nel Comune capoluogo, malgrado l'inclinazione a preferire le scuole
materne statali e a richiedere finanziamenti comunali per le materne private,
il gruppo consiliare DC dopo osservazioni e proposte, ha votato in Consiglio
comunale a favore dei piani di sviluppo quantitativo delle scuole comunali
e del regolamento del '72, che riconosce la forza culturale dell'esperienza
fissandone le caratteristiche dell'organizzazione logistica e pedagogica.
Gli anni a cavallo fra i Sessanta e i Settanta vedono il movimento degli
studenti occupare le facolt e denunciare l'autoritarismo imperante nel mondo
universitario, nelle leggi vigenti (per lo Pi residuo dell'epoca fascista) e negli
apparati che ne imponevano l'applicazione.
Indubbiamente con le scuole comunali di Reggio volute dalla giunta
presieduta da Renzo Bonazzi e animate da Loris Malaguzzi sorge un 'esperienza
collettiva che agli antipodi dei metodi autoritari tanto nella gestione di
attivit scolastiche quanto nelle procedure educative adottate. Invero almeno
qui lo slogan dell'immaginazione al potere ha trovato un'effettiva attuazione!
Quello che avvenne ai due estremi della scala scolastica C'materne", come
si diceva allora, e atenei) correva su piani distinti e separati o, per come
lo ricordi, la consapevolezze dei fatti ((scandalosi" verifcatisi nelle scuole
secondarie superiori (il caso del processo ai redattori del giornalino scolastico
((La Zanzara", per esempio) e nelle universit (non solo italiane) contribuiva a
conferire senso e incoraggiamento alla vostra azione?
Direi piani distinti e autonomi ma tutt'altro che separati. In quegli anni di
grande fermento e partecipazione, la Giunta comunale ha sostenuto il diritto
allo studio contro la selezione soprattutto a livello della scuola per l'infanzia,
in quanto la possibilit di eliminare i dislivelli dovuti alle differenze sociali
molto maggiore quanto minore l'et del bambino.
Ha inoltre rivendicato il dovere per lo Stato di finanziare e generalizzare
la scuola pubblica dai tre ai sei anni gratuita e gestita dai Comuni insieme alle
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famiglie, agli insegnanti, ai lavoratori ausiliari e alle espressioni organizzate
della comunit. Contemporaneamente, la Giunta comunale molto unita ha
deciso di investire in proprio nelle scuole comunali.
Nel! 'esplosiva successione di aperture di nuove scuole o di municipalizzazione
di altre preesistenti, avvenuta fra la fine dei Sessanta e i primi anni Settanta, ci
fu indubbiamente un concorso di SPinte rivendicative "dal basso)) e di autonome
decisioni istituzionali. In un certo senso la tua storia personale ti faceva
partecipe di entrambi questi fattori, quindi ti pone nella posizione migliore per
valutarne sia il peso specifico, sia il reciproco rapporto. Puoi parlarne?
All'inizio del '67 esistevano solamente due scuole comunali che avevano
cominciato a farsi conoscere ed apprezzare in citt anche attraverso "uscite"
come la rassegna del disegno infantile realizzata sotto i portici del Teatro
Municipale. Loris Malaguzzi ne era l'animatore con impegno appassionato, suo,
delle insegnanti e del personale ausiliario. Ma la met dei bambini residenti
dai tre ai sei anni, circa duemila, non frequentavano alcuna scuola.
Il problema era di aprirne altre tanto pi che le cinque scuole materne
gestite dall'uDI (delle otto aperte nell'immediato dopoguerra) e alcune scuole
materne parrocchiali, rischiavano di chiudere per difficolt economiche.
Elaborammo un primo programma che prevedeva quattro scuole: "Diana",
"Crocetta", "PEEP" e "Via Veneri" e l'assunzione di tutte le scuole materne private
che lo chiedevano.
Presentammo il programma attraverso incontri con i genitori nei Quartieri e
nella Sala del Tricolore. Per accelerare, ci orientammo a cercare edifici costruiti
per altre destinazioni ma adattabili per scuole dell'infanzia.
Si formarono "Comitati di iniziativa per le scuole comunali" autorganizzati
che si rilevarono efficentissimi nel promuovere iniziative, raccogliere firme,
segnalare edifici, organizzare la manifestazione provinciale del "trenino" (nel
giugno 1969) che invi al Parlamento una delegazione di cinquantaquattro
persone. Quattordici su venti scuole comunali aperte al 1975 sono nate in
locali adattati dall'Amministrazione comunale di Reggio Emilia, con il lavoro
volontario ed entusiasta di tanti genitori.
L'idea e la scelta di puntare su edifici riciclabili, oltre a favorire l'accelerazione
quantitativa, ha avuto effetti positivi anche sul piano pedagogico, come tu
stesso hai rilevato in occasione di un recente corso di formazione organizzato
da Reggio Children svincolati dai parametri rigidi dell'edilizia scolastica il cui
modello isolava le aule rispetto gli altri spazi la ristrutturazione ha consentito
di lavorare di inventiva utilizzando l'esperienza maturata nelle prime scuole
. comunali. Per esempio, le modifiche allo spazio ambiente per l'aula atelier per
il lavoro di gruppo dei bambini, una delle conquiste pi originali delle scuole
comunali reggiane.
Quello che ha fatto la differenza del periodo 1967-1975, a mio parere,
oltre al contesto generale pi favorevole, sta nell'avere promosso come
Amministrazione comunale una politica per l'infanzia che ha tenuto insieme
idealit e concretezza, quantit e qualit.
Sta nel metodo adottato che ha funzionato da moltiplicatore di risorse d'idee
e forme di mobilitazione originali ed efficaci.
Sta nella concertazione tra le spinte rivendicative - prevalentemente di
genere ma non solo - e l'intervento istituzionale. Una pratica che ha esteso
e collegato il movimento su tutto il territorio comunale e oltre, che ha creato
rapporti di stima e solidariet tra le persone. "Tutto questo sta prima e costituisce
l'originale nutrimento del progetto pedagogico". Molti visitatori domandano,
perch proprio a Reggio queste scuole? La risposta pi facile : "Perch qui
c'era Malaguzzi".
Vero, com' vero che Malaguzzi era anche a Modena in qualit di coordinatore
e consulente pedagogico delle scuole dell'infanzia comunali dal 1968 al 1974.
A Modena Malaguzzi ha dato un contributo fondamentale per qualificare le
scuole, non senza momenti conflittuali. Non riusc, diversamente da Reggio,
a introdurre la figura dell'atelierista e a salvaguardare l'esperienza nevralgica
della cucina in ogni scuola. Sulla rivista "Zerosei" ha scritto: "Si taglia perch
c' la crisi, si industrializzano e si anonimizzano i pasti dei bambini ... ma qual
il giusto allorch si risparmia sui bambini?".
E quando l'Amministrazione comunale modenese decide nel 1974 di
eliminare le cucine per un servizio centralizzato, abbandona l'esperienza di
Modena, non potendo sopportare la rinuncia qualitativa all'identit del sistema
che difende e sta costruendo in quegli anni. La tesi "meno qualit per pi
quantit e in fretta" stata smentita dalla storia concreta delle scuole comunali
di Reggio, dove si sono tenute saldamente e consapevolmente unite quantit e
qualit. Qui a Reggio le amministratrici e gli amministratori hanno ritenuto che
il giusto sia investire sui bambini, anche in periodi di crisi, ossia sul futuro.
Tu eri in prima linea anche nel momento del varo di una legge nazionale
sui nidi, che fra altro comporto il superamento della limitata concezione
igenico-sanitaria delle istituzioni rivolte alla primissima infanzia, offrendo
nel nostro caso la possibilit di estendere al nido la visione educativa aperta,
sperimentale e collaborativa propria delle scuole dell'infanzia malaguzziane.
Come puoi rievocare la posta politica allora in gioco in questo campo, e le
difficolt del momento?
Fino all'approvazione della legge 1044 nel 1971, gli asili-nido in Italia erano
pochi e gestiti dall'oMNI, un Ente pubblico finanziato dallo Stato, istituito dal
regime fascista nel 1925 per la "proteZione della maternit e dell'infanzia".
L'OMNI aveva poteri di vigilanza e di controllo su tutte le istituzioni pubbliche
e private per l'infanzia e la maternit (collegi, istituti, orfanotrofi, colonie,
asili, ecc.). In realt questo Ente stato al centro di ignobili scandali ai danni
dell'infanzia.
Con la legge n. 860 del 1950 sulla tutela della lavoratrice madre, l'Italia
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ha la prima legge sociale che impone ai datori di lavoro con mano d'opera
femminile l'obbligo di istituire camere di allattamento o asili nido aziendali.
Significativo che nel dibattito parlamentare fin da allora sia emerso il problema
della liquidazione dell'oMNI e di un rapporto nuovo tra famiglia e societ.
A met degli anni Sessanta con un record di natalit il pi alto dal dopoguerra
(una delle conseguenze del miracolo economico) era tempo ormai di passare
dalla tutela delle madri, lavoratrici a carico dei datori di lavoro, alla tutela della
maternit per tutte le donne chiamando in causa l'intera societ.
La posta in gioco era dunque il riconoscimento della funzione sociale
della maternit da tradurre in precise norme di legge all'interno della riforma
sanitaria e della riforma dell'assistenza.
L'iniziativa legislativa dei sindacati CGIL., CISL, UIL tendeva a modificare il
vecchio rapporto lavoratrici-datori di lavoro sancito dalla legge n. 860 mentre
la proposta di legge d'iniziativa popolare presentata dalle deputate dell'uD!
andava oltre.
Da parte sua, il governo, nel programma di sviluppo economico per il
quinquennio 1965-1969 al titolo della sicurezza sociale aveva inserito l'obiettivo
di duemilaottocento asili nido residenziali affidandone la costruzione e la
gestione, con il contributo dello Stato, agli Enti locali.
A questo punto, per non restare fermi ad attendere una nuova legislazione,
ma anzi per sollecitarla anticipandola concretamente, l'Amministrazione
provinciale e otto Comuni compreso il Capoluogo istituiscono un consorzio
provinciale per nidi d'infanzia allo scopo di avviare la costruzione e gestione
di nidi residenziali gestiti dai Comuni, da finanziare con i contributi di tutti i
datori di lavoro, dello Stato e degli Enti locali.
L'area delle ceramiche diventa presto l'epicentro del movimento, i sindacati
e i lavoratori (a grande maggioranza donne) strappano accordi aziendali sino
a un punto percentuale sul monte salari e il comune di Scandiano nel febbraio
1969 apre il primo nido della provincia a gestione diretta finanziato da tutti i
datori di lavoro e dal Comune. In citt, l'obiettivo della Giunta di costruire un
nido ad un tempo aziendale e territoriale per affermare il diritto del Comune
di dare risposte non solo alle proprie dipendenti ma a tutte le madri.
L'iniziativa assunta immediatamente come obiettivo di lotta dalle
dipendenti comunali con il sostegno del Circolo UD! e dei sindacati aziendali.
Si sceglie un'area a edilizia economica e popolare comprendente lo spazio
per attrezzature collettive di carattere scolastico, gi approvata con decreto dal
ministero dei Lavori pubblici.
Viene cos superata la consueta opposizione della GPA. Cio l'avvio dei
lavori di costruzione dell'edificio cominciano nel 1969 e l'apertura del nido ai
bambini avviene il 13 dicembre 1971 a pochi giorni dall'approvazione della
legge nazionale sugli asili-nido. L'unit di indirizzo pedagogico con le scuole
comunali dell'infanzia esplicitata nel regolamento per la gestione dei nidi
comunali approvata dal Consiglio comunale nel luglio 1971, dopo il passaggio
nella Consulta e un intenso lavoro di consultazione e di pubblico confronto.
Lo scioglimento dell'oNMI, decretato dal Governo un mese prima, trova il
Comune preparato al trasferimento dei due nidi ONMI alla gestione comunale.
In questa fase la novit pi rilevante l'entrata in funzione dell'Ente regione,
in Emilia-Romagna particolarmente tempestivo ed efficace nel coordinare
Comuni e Province di fronte al trasferimento di nuovi poteri e compiti (ONMI,
beni ex GIL, riforma dell'assistenza ecc.).
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Claudio Truffi, un reggiano
trapiantato per l'Italia.
Un percorso di vita
Reggiani da non dimenticare
Teresa Vergalli*
Penso che Reggio Emilia abbia dato un bel contributo all'Italia in campo
politico, che quello in cui possiamo essere collocati sia io sia mio marito,
Claudio Truffi. lo molto di meno, perch ho lasciato la vita politica attiva
nel 1962. Claudio, invece, ha dedicato tutta la sua esistenza agli interessi dei
cittadini.
Mi viene spontaneo ricordare tanti nomi di reggiani, donne e uomini che ho
conosciuto e ai quali ho voluto bene, che hanno avuto destini simili al nostro.
Non voglio riferirmi ai grandi nomi conosciuti, cio Nilde lotti o Romano
Prodi, ma ad altri pi in ombra, addirittura modesti, come quello di Nadina
Azzarri, da Fabbrico, che era a Novara negli anni 1950-1953 a fare lavoro
sindacale tra le mondine.
Tra i pi noti c' Giannetta Magnanini, che le sue lotte e i suoi sacrifici in
giro per l'Italia li ha gi raccontati e che, a differenza di noi, poi ritornato nella
sua citt. Tra quelli che non sono tornati ricordo con commozione Carmen
* Ringrazio i miei figli Alberto e Corrado per alcune consulenze e ricordi. Grazie anche
a mio fratello Orio per i consigli.
Un ringraziamento va anche a Mirella Fiorini ed Andrea Gianfagna per notizie sul
sindacato degli alimentaristi; a Virginia Cristofari, Tonino Panucci e Carla Cantone
per la storia del sindacato dell'edilizia.
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Zanti e con affetto Carlo Pagliarini, col quale ho fatto in tempo a collaborare
qui a Roma in anni non lontani. Altro reggiano da ricordare Giacomo Tosi,
l'ex comandante partigiano Matteotti, di San Polo d'Enza, che stato per
lunghi anni alla direzione nazionale della CGIL con incarichi operativi speciali
e che, attorno e dopo gli anni Ottanta, stato Consigliere d'amministrazione
all'INPs quando mio marito Claudio ne era vice presidente. E ancora qui a Roma
voglio ricordare Leda Colombini, che non solo stata eletta al Parlamento, ma
diventata talmente romana che stata assessore alla Regione Lazio ove ha
diretto l'importante settore dei servizi sociali.
In missione per un ideale laico
Proposte a cui non si voleva dire di no. Ecco la nostra storia d'inviati
comunisti in missione
Mio marito, Claudio Truffi, nel 1948 stato destinato a Novara per volere
della direzione nazionale del Partito comunista,
su richiesta dei dirigenti locali di quel partito.
Questa decisione non era nata per caso.
Bisogna fare un passo indietro.
Claudio si era distinto a Reggio Emilia
subito dopo la liberazione come indipendente
nell'organizzazione giovanile del Fronte della
Giovent. Era poi entrato nel PCI e, nel 1947,
chiamato a dirigere la commissione stampa e
propaganda della federazione provinciale. In
questa veste, a suo merito ricordato il primo
grande Festival dell'Unit al Parco Terrachini,
dove venne anche Togliatti. Nell'autunno del '47,
fu inviato alla scuola nazionale del PCI, vicino a
Claudio Truffi nel 1971. Roma, alle Frattocchie. Era una scuola convitto
prestigiosa che doveva durare sei mesi. Secondo gli
orientamenti di allora, le scuole di partito intendevano creare una forte schiera
di dirigenti preparati, cio la nuova classe politica. Vi si studiava seriamente,
soprattutto vi si imparava a studiare.
Claudio in quella scuola si distinto,' tanto che ha avuto i giudizi pi
alti. Prima della scadenza dei sei mesi, vennero indette le elezioni politiche,
quelle del 18 aprile '48. Perci gli allievi di quella prestigiosa scuola furono
mandati in varie parti d'Italia a dare manforte agli attivisti del posto. Quella
battaglia era giustamente ritenuta importantissima ed ottimisticamente creduta
vincente. A Claudio venne assegnata Novara, una provincia veramente grande,
che andava dalle risaie alle Alpi. Comprendeva ancora l'attuale provincia del
Verbano Cusio Ossola, i laghi D'Orta e Maggiore e le valli fino alla Svizzera.
L'impegno di Claudio in quella battaglia stato grandissimo, e non solo
per quantit.
Quella campagna elettorale fu molto dura ed anche avventurosa. Mi stata
descritta da lui e da altri. Erano gli anni della guerra fredda. In Italia, dopo
l'esclusione dei comunisti dal governo nel 1947, sia la Democrazia cristiana che
la Chiesa conducevano una lotta durissima contro le sinistre. Era la stagione
del Fronte popolare, comunisti e socialisti uniti sotto il simbolo di Garibaldi.
In quella campagna elettorale Claudio aveva percorso in lungo e in largo
tutta la provincia, fino a Domodossola. Tutti i paesi, paesini e frazioni avevano
dovuto ascoltare i suoi appassionati comizi. Mi raccontava di quelli buoni, nei
grandi e bei paesi di fondovalle, quelli dove era stata vissuta l'epopea della
Resistenza, quelli delle grandi fabbriche metallurgiche o tessili, dove c'erano
tradizioni e persone di sinistra. L c'era folla, entusiasmo e attivismo. Altrove,
nei centri minori o nelle campagne, potevi trovare un grigiore depresso, poca
gente o addirittura nessuno. L ci andavi col camioncino e gli altoparlanti,
facevi gli annunci e attaccavi i manifesti, poi qualche ora dopo, mettevi un
tavolo nel punto migliore oppure salivi sul camioncino e facevi il comizio
alla piazza vuota, sperando che da dietro le finestre o le porte ti ascoltassero
ugualmente, a dispetto del prete, del signorotto e dei loro anatemi.
Claudio non soltanto era bravo a parlare, ma sapeva trascinare e
soprattutto sapeva organizzare, sfruttare tutte le opportunit e mobilitare
gli altri. Conseguenza logica, quindi, che i dirigenti del posto, dopo averlo
visto all'opera, facessero di tutto per tenerselo, per strapparlo via da Reggio,
specialmente dopo la batosta di quel 18 aprile. La direzione del partito accolse
la richiesta e iniziarono le trattative.
Trattative, accordi ed entusiasmi
Furono trattative, perch Claudio sollev il problema mio e nostro.
Avevamo gi deciso di sposarci, non prestissimo, ma entro l'anno. In quel
momento io insegnavo a Vaglie di Ligonchio, sull'alto Appennino reggiano. In
precedenza, dopo aver fatto la guerra partigiana con tutta la mia famiglia, ero
stata eletta negli organi dirigenti provinciali del partito e avevo organizzato e
diretto l'associazione delle ragazze, l'ARI, che a Reggio era la pi forte d'Italia.
Mi ero fatta conoscere anche in campo nazionale. Cos la richiesta di sradicare
Claudio da Reggio coinvolse anche me. Si disse che mi si recuperava alla
politica.
Mi fu fatta la proposta allettante, forse sollecitata da Claudio, di affidarmi
la redazione del giornale settimanale della federazione, "La Lotta". Fu cos
che nel giro di qualche mese, terminato l'anno scolastico, ci siamo sposati e il
giorno stesso ci siamo trapiantati in quella citt, che allora ci sembrava tanto
lontana.
Le inevitabili sofferenze del distacco e i disagi della realt nuova
Il nostro emigrare non stato privo di dolori. Non solo nostri, ma anche
delle famiglie d'origine. Il 12 giugno del 1948, dopo la cerimonia di matrimonio
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in Municipio a Bibbiano e dopo il pranzo in casa, il comandante Ciro e il
segretario "Wil1y" Schiapparelli, ci hanno portato a Novara con la macchina
della federazione comunista. Ciro, cio Eraldo Gastone, gi eroe della resistenza
in Valdossola, guidava un po' distrattamente, per strade statali interminabili
Posso dire che ero felice, piena di entusiasmo e di speranze per quel
percorso nuovo di vita che ci aspettava. Ma pensavo ai miei e a mia madre.
L'avevo lasciata in lacrime. Non era solo un pianto di commozione, tipico di
ogni madre, ma anche carico di preoccupazione per le inevitabili difficolt e
le incertezze del clima politico generale. Inoltre, quello era per la mia famiglia
un periodo di particolari difficolt economiche. Questo nuovo distacco era
l'ultimo per lei di una serie di dolori e tensioni. Dopo aver tanto sacrificato per
farmi studiare, dopo tutte le sofferenze della guerra, dopo essersi impegnata
lei stessa con tutti noi in famiglia nella Resistenza, mi vedeva andar via quando
avrei potuto restare avendo la prospettiva sicura dell'insegnamento. Invece,
sia lei che mio padre hanno condiviso da subito le nostre decisioni. Non
hanno sollevato obiezioni e tanto meno divieti, anche se avrebbero potuto, dal
momento che per la legge ero ancora minorenne.
Che a Novara ci aspettassero sacrifici lo sapevamo anche noi. Ma un conto
pensarlo, altro conto viverlo.
Accampati in due stanze in coabitazione con altre due famiglie, avevamo
solo i mobili della camera da letto, acquistata a rate da un artigiano di Novellara,
ancora da pagare. Per cucina un vecchio tavolo e due sedie traballanti, un
fornellino elettrico e un piccolo scaffale da ufficio. Il bagno assegnato a noi
era piccolissimo con un minuscolo lavabo e un water. Era il bagno destinato
alla donna di servizio in quel grande signorile appartamento.
Mangiavamo spesso alla mensa dell'UNRRA, che era una specie di mensa dei
poveri, da dopoguerra.
Dopo un po' di anni siamo passati alle stanze vicine, sempre due, ma una
era la cucina, con un vero lavandino, un fornello a gas e un armadio a muro.
Per, grande passo avanti, il bagno aveva la vasca, ma niente riscaldamento,
ne' acqua calda. Infatti, l'appartamento signorile, grandissimo, che andava
fino all'ala opposta, aveva una caldaia e un impianto autonomo, ma noi non
avevamo mezzi e permessi per metterlo in funzione. D'inverno si moriva di
freddo, quasi come a Bibbiano, col solo vantaggio di buoni muri e di piccole
stufe elettriche da usare con parsimonia.
Altrettanto di fortuna era il trattamento economico. Per lunghi periodi si
andava avanti ad acconti di cinquecento o mille lire, senza sapere quando se
ne poteva ricevere altri. Era festa grossa se l'acconto superava le cinquemila
lire. A questo quadro logistico assomigliavano molto anche le condizioni di
lavoro.
Subito al lavoro coi nuovi compagni
Eravamo arrivati a Novara di sabato. La domenica l'abbiamo trascorsa a
conoscere compagni e a regalare confetti. Il luned eravamo gi in federazione
a darci da fare col lavoro.
Il sabato e la domenica successivi siamo andati ad Omegna e Domodossola
in treno. C'era un convegno e siccome avevamo dormito in albergo, ho
scritto a casa che mi serviva un certificato di matrimonio, per evitare future
contestazioni.
Claudio stato nominato quasi subito vice segretario della Federazione.
Segretario era Stefano Schiapparelli, "Willy", personaggio notevole,
simpaticissimo, straripante e molto autoritario. "Willy" aveva un biografia
sorprendente, di cui per non si vantava. A otto anni era stato a lavorare in
Novara - 1949. In piedi da sinistra: Sergio Scarpa, Palmiro Togliatti, Stefano "Willy" Schiap-
parelli, Carlo Truffi; accosciati da sinistra: Eraldo Gastone, Fernando Zampieri.
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fornace, a tredici era operaio tessile a Biella, poi, dal '23, esule o fuoruscito in
Francia, in Belgio ed anche Olanda, ove collezionava lotte, arresti ed espulsioni,
fino ad approdare a Mosca nel '34 e '35 e infine a Marsiglia e Cannes nella
guerra nel Maqui.
Non era facile lavorare con questo dirigente, attivissimo, p1etorico, facile agli
attacchi di collera e dal linguaggio colorito e dissacrante. Claudio era riuscito
a conquistarlo, forse perch come carattere era tutto l'opposto. Claudio era
sempre calmo, riflessivo, corretto e molto determinato. Le sue intuizioni e le
sue iniziative avevano alla fine il consenso e il sopravvento sull'attivismo un
po' caotico e improvvisato di "Wi11y".
Devo dire che in quella citt Claudio era molto in sintonia con altri dirigenti
del posto. Direi che chi gli assomigliava di pi come personalit, era Eraldo
Gastone, Ciro. Anche Vincenzo Moscatelli, il comandante Cino, era una bella
persona. Entrambi erano al Parlamento, deputati o senatori. Poi c'era Sergio
Scarpa, detto "Geo", anche lui ex ufficiale partigiano e deputato.
Ci siamo affezionati ben presto non solo a questi personaggi di primo
piano, ma anche a persone umili, che costituivano l'apparato, come un certo
Paglino, che era portiere o custode, uomo molto modesto ma molto rispettato,
per i lunghi anni di carcere che si era fatto assieme a quasi tutti i capi del
partito, Pajetta, Terracini e non so chi altro. O anche il "vecchio" Filopanti,
molto male in arnese, che aveva una ugualmente gloriosa aureola di carcerato
politico di lungo corso, che sorrideva sempre e raccontava barzellette.
lo ero molto affezionata a Gisella F1oreanini, bellissima donna, valorosa
ministro della Repubblica partigiana di Domodossola, prima donna in Italia
a ricoprire tale carica, quando ancora il voto alle donne era di l da venire.
Gisella, partigiana, quando si sent proporre il ministero "della carit" si
arrabbi per quel termine avvilente e pretese che quel ministero fosse chiamato
ministero dell' Assistenza. Coerentemente impost l'opera di assistenza secondo
solidariet, cio coinvolgendo i Comuni e la popolazione, con le associazioni
dei Gruppi di difesa e anche con la Croce rossa, che riceveva dalla Svizzera
patate, medicinali e latte e organizzava l'invio di bambini oltre confine.
Tra le donne devo ricordare con affettuosa riconoscenza la dottoressa
Marcella Balconi, deputata a furor di popolo, e pediatra, che si occupata
anche dei miei figli. Da noi spesso veniva anche mamma Pajetta, Elvira, che
era zia di Marcella, donna di grande fascino personale e politico. Elvira aveva
incarichi di partito nella regione Piemonte e veniva a farci appassionanti
riunioni. I partigiani di Novara le volevano molto bene, anche in ricordo del
suo giovanissimo figlio Gaspare, morto in battaglia in quelle valli, compianto
e ammirato. Per tutti noi, Elvira aveva anche il prestigio di essere la madre di
Giancarlo e Giuliano, cos estrosi e amatissimi.
L'attivit politica in una provincia vasta e difficile
L'attentato a Togliatti
Appena un mese dopo il nostro arrivo, a met luglio, c' stato l'attentato a
Togliatti, che a Novara ha visto imponenti manifestazioni e l'occupazione di
tutte le principali fabbriche. lo sono stata poco in piazza, soltanto per dare
un'occhiata e poi correre a scrivere e mettere insieme i numeri straordinari del
giornale della Federazione, raccogliere notizie per telefono o con portanotizie
in bicicletta. In Federazione avevamo soltanto un telefono, perci si stava in
contatto con la Camera del Lavoro che aveva la sede nella stessa casa del
popolo e si utilizzavano i pochi telefoni di casa dei dirigenti. Poi mi aspettavano
le nottate in tipografia o alla macchina da scrivere e le telefonate all"'Unit".
Sono state giornate campali per Claudio che aveva la responsabilit
dell'organizzazione e si anche assunta la fatica di contenere certe esasperazioni
insurrezionali a imitazione di alcune vicende della vicina Milano. Questo
drammatico avvenimento stato per Claudio l'occasione per farsi conoscere
ed apprezzare anche al di fuori del partito, attraverso i contatti con le autorit
e con esponenti di campo avverso.
Togliatti ha poi scelto di passare la convalescenza a Toceno, in Val Vigezzo,
insieme a Nilde lotti. La federazione di Novara ha organizzato e assistito questo
soggiorno con molto affetto e molte visite. Nei tre anni seguenti Togliatti, con
Nilde e la piccola Marisa, ha scelto per le vacanze le valli del Monte Rosa,
chiedendo che i compagni della federazione novarese fossero sul posto per
compagnia e vigilanza. In quelle circostanze anche noi, sia io che Claudio,
abbiamo avuto la possibilit di una stimolante vicinanza e gite in comitiva.
I grandi Festival dell'Unit
Altro impegno importante per Claudio, stato il primo grande Festival
dell'Unit in settembre. Vi ha trasferito tutta la sua esperienza e la sua inventiva
per un avvenimento che non s'era ancora visto da quelle parti. Al Parco dei
Bambini e sui grandi viali detti dell'Allea sono sorti tutti gli stand possibili
immaginabili ad opera delle cosiddette "brigate di lavoro" inventate gi a Reggio
l'anno prima. Fu un avvenimento imponente durato un'intera settimana, che si
ripet in tutti gli anni successivi. Ne ricordiamo uno particolarmente riuscito,
un po' disturbato dalla pioggia, con un enorme concerto di Rita Pavone, allora
poco pi che adolescente ma gi molto popolare. Claudio ci disse che la
cosa fu possibile perch si ottenne un ingaggio particolarmente favorevole
per intercessione del padre della cantante, allora iscritto o simpatizzante del
partito. Le feste dell'Unit, che erano un vero avvenimento, si ripetevano negli
anni non solo a Novara, ma anche in provincia, perch, secondo le direttive,
tutto settembre era definito mese della stampa comunista.
Gli anni seguenti sono stati per Claudio, e per tutti i funzionari comunisti di
Novara, gli anni della costruzione del partito e dell'ampliamento del consenso
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politico. Il contributo di Claudio stato determinante proprio per il suo incarico
di organizzatore e per il suo impegno senza limiti. Aveva il dono di rasserenare
tutti e infondere fiducia, trascinare con l'esempio. Era infaticabile.
I risultati sono arrivati nel 1951, quando stato rotto il monopolio politico
della Democrazia Cristiana. Con le elezioni amministrative del 27 maggio le
sinistre hanno conquistato cinquantasei comuni della provincia mentre la DC
perdeva oltre quarantamila voti. Le citt di Novara e Domodossola sono andate
alle destre soltanto grazie alla legge degli apparentamenti, ma con il sorpasso
numerico dei voti di sinistra. .
Gli anni della guerra fredda e l'arrivo di Eisenhower
In quello stesso anno ci fu l'arrivo in Italia del generale Eisenhower che
veniva a comandare il patto Atlantico. A Novara e provincia ci furono scioperi
e grandi manifestazioni, non solo perch Ike era visto come messaggero di
guerra, ma anche per il concomitante arrivo nelle case di molti giovani di
centinaia di cartoline precetto, motivo di allarme e costernazione.
Si era acceso il conflitto in Corea e il Governo italiano aveva fatto questo
passo delle cartoline precetto preventive che oggi ci sembra assurdo. Si era nella
guerra fredda che rischiava di diventare calda. Il governo italiano, schierato
con l'America, voleva mostrare il polso di ferro contro l'opposizione.
Ci fu in Novara e in provincia un'ondata di arresti pretestuosi. Fu arrestato
anche Claudio, insieme a Schiapparelli e altri dirigenti. Li arrestarono
preventivamente la sera prima mentre erano intenti a preparare la manifestazione
di protesta. Arresti preventivi, proprio come si faceva negli anni del fascismo ai
danni dei noti antifascisti quando un maggiorente del regime veniva in visita
in una citt.
lo non ero accanto a lui in quel momento e non posso descrivere la scena.
Naturalmente noi rimasti liberi ci mobilitammo al massimo e la manifestazione
riusc grandissima. Solo il giorno dopo, a calma ristabilita, ottenemmo la
scarcerazione di tutti loro, che, quindi, dovettero rimanere in carcere senza
nessuna accusa plausibile fino a quasi notte.
Certo non fu una bella esperienza. La prigione era ancora nel vecchio
Castello sforzesco, al centro della citt, ora monumento archeologico. Con fatica
Claudio mi ha raccontato l'umiliante procedura dell"'accoglienza", completa
di esplorazioni corporali, nonch l'orrore di quelle celle, appunto degne del
termine archeologia. Rifuggiva, per per natura dal vittimismo e dalla vanteria
di presunti eroismi. Anni dopo, quando veniva rievocato quell'episodio, lo
volgeva in ironia, ricordando le donne del sindacato e del partito, anch'esse
arrestate, che avevano cantato per tutta la notte canzoni di lotta, impedendogli
di dormire.
In provincia gli arresti erano motivati come istigazione a respingere le
cartoline precetto" ma per lo pi avevano lo scopo di frenare non solo le
manifestazioni di piazza, ma soprattutto le lotte in fabbrica. C'era in atto,
infatti, un'offensiva padronale di massicci licenziamenti o chiusure totali. Alla
SIAI Marchetti di Sesto Calende erano in pericolo quattromilacinquecento posti
di lavoro. Se ne salvarono soltanto mille. L'anno seguente alla Valle Ticino di
Cerano si minacciavano trecentocinquanta licenziamenti. A Omegna furono
chiuse la De Angeli, la Cardini e la Piemontesi. Altra ondata di novecento
licenziamenti alla Sant'Andrea di Novara. Con vari pretesti vennero licenziati
dirigenti di commissioni interne, arrestati attivisti comunisti e sindacali,
collettori di firme per la pace oppure tutti quelli che diffondevano volantini
non autorizzati o stampa di opposizione.
In quegli stessi anni molti comunisti ex partigiani furono incriminati per
fatti di guerra definiti delitti o crimini. Per sfuggire al carcere dovettero riparare
all'estero Moranino e Angin, Fernando Zampieri, gi valorosi partigiani
e dirigenti comunisti. Due giovani compagni novaresi, Menghi e Galassi,
colpevoli di aver lottato per la pace, cio istigato a respingere e far respingere
quelle famigerate cartoline precetto, tornarono liberi dopo aver sofferto
ventotto mesi nel carcere di Gaeta.
Per le elezioni del 1953 il governo De Gasperi tent di introdurre un
premio di maggioranza per la coalizione vincitrice, la famosa legge truffa,
che non scatt grazie ai risultati ottenuti dall'opposizione. Probabilmente lo
scopo era soprattutto quello di consolidare la maggioranza e ridurre il potere
di interdizione al governo dei partiti minori. Il PCI temeva per che attraverso
questa modifica alla legge elettorale si tentasse un'ulteriore marginalizzazione
dei comunisti o addirittura, in prospettiva, la messa fuorilegge del partito
comunista, come era gi avvenuto nella Germania Ovest, dove per il locale
partito comunista aveva un seguito modestissimo.
Come nel resto dell'Italia, anche a Novara e provincia il Partito comunista
organizz una forte mobilitazione. In provincia il PCI tenne oltre milleseicento
comizi, pi di tutti gli altri partiti messi insieme. Dopo i risultati, ad Omegna
la polizia caric la popolazione festante e il Prefetto destitu il Sindaco di
Castelletto Ticino colpevole di aver fatto suonare le campane a festa.
Dalla parte delle donne
Il mio percorso di moglie impegnata
Anche a me i novaresi volevano bene, ma, essendo donna, sul piano
professionale ho dovuto soffrire numerosi spostamenti. Le dirigenti donne
erano sempre troppo poche per consentire che io, donna, facessi un lavoro
da uomo.
Ho cambiato lavoro non so quante volte.
Come promesso, all'inizio, ho avuto la redazione della "Lotta", il settimanale
della federazione comunista. Contemporaneamente mandavo tutte le sere le
notizie alI "'Unit" di Torino, tanto che avevo ottenuto il tesserino di giornalista.
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Novara - 1954. Claudio Truffi, al congresso CGIL del 1954, a fianco di Giuseppe Di Vitto-
rio.
Andavo regolarmente in Questura e alle conferenze stampa importanti.
Naturalmente ero la sola donna. I giornalisti anche avversari mi rispettavano
e qualcuno mi aiutava, forse commosso dalla mia poca esperienza e dalla mia
grande volont.
Poi, dopo un anno, al primo intoppo di salute, anche se passeggero, sono
stata sfrattata dal giornalismo, sostituita da un compagno maschio, poi mandata
alla stampa e propaganda con un piede nel lavoro femminile, quindi, a
seguire, ai partigiani della pace, al lavoro femminile del partito e per un po'
ancora a dirigere la commissione stampa propaganda.
Erano anche gli anni della caccia alle streghe e dell'esecuzione, negli Stati
Uniti, dei coniugi Rosenberg con l'accusa di spionaggio.
Il Partito comunista era impegnato intensamente nel movimento dei
partigiani della pace, nel quale mi furono affidate responsabilit provinciali.
Fu un impegno enorme e capillare. A Novara e provincia si raccolsero pi di
duecentomila firme. Le donne sono state bravissime e sempre in prima fila. In
quella occasione mi sono legata di stima e di affetto con molte di loro da un
capo all'altro della provincia.
Per quell'impegno sono stata mandata anch'io a Parigi al Congresso
Internazionale dei Partigiani della Pace, dove abbiamo incontrato Pablo
Picasso, Dolores Ibarruri, Paul Eluard, il fisico Joliot Curie e tanti altri.
Poco dopo, fine 1950, ho frequentato un prestigioso corso di formazione
politica, cio la scuola nazionale femminile di Partito a Milano, corso
residenziale, di studio intensissimo, durante il quale ho avuto tra gli insegnanti
Miriam Mafai e tra le compagne di studi la cara Anita Malavasi, Laila, di Reggio
Emilia.
Un anno a Roma
C' stato poi un fortunoso e importante anno a Roma all'uDI nazionale e a
"Noi Donne".
Nei primissimi tempi ho fatto parte della commissione stampa e propaganda
dell'uDI dove in concreto ho curato la realizzazione di un calendario illustrato,
molto apprezzato, che stato diffuso in tutta Italia a migliaia di copie. Inoltre
ho curato la realizzazione di una serie di diapositive che raccontava per
immagini la storia dell'uDI e quella di "Noi Donne", la rivista settimanale che,
dall'antico color seppia, stava per diventare rotocalco a colori. Era una specie
di video promozionale che i circoli UDI potevano usare nelle riunioni mediante
un proiettore. In quell'occasione ho avuto la fortuna di lavorare con Baldina
Berti, figlia di Di Vittorio, donna dolcissima e saggia, forse troppo modesta nel
gruppo agguerrito di quelle dirigenti che poi l'Italia non ha saputo abbastanza
apprezzare e valorizzare. Ho avuto vicina e in sintonia anche Luciana Viviani,
vivace e attivissima, con quel piglio napoletano tanto affascinante. Meno stretti
ma molto buoni sono stati i rapporti con le altre, come Maria Maddalena Rossi,
allora dirigente nazionale, o con le socialiste Giuliana Nenni e Rosetta Longo.
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Mi stata molto amica Adriana Garbrecht, che avevo conosciuto nei due mesi
di scuola femminile di partito a Milano. Ricordo bene anche Marisa Cinciari
Rodano, che in quegli anni era sempre tra una gravidanza e un allattamento e
tuttavia sempre presente.
All'inizio di novembre del 1951 ero a Vicenza per una serie di riunioni
e mi ci sono fermata fino a Natale per incarico dell'uDI Nazionale, a causa
della grande alluvione del Po. Avevo il compito di organizzare l'assistenza
in quella tragedia. Anche questa fu occasione di incontri preziosi, come con
Simona Mafai, dolce e preparata o Mirella Alloisio di Genova. A Padova in
quell'emergenza terribile sono stata accolta e inserita in un gruppo meraviglioso
di dirigenti sindacali veneti e di tutta Italia, che avevano preso la guida di
quella azione che era di assistenza ma anche di lotta contro le sderotiche
inadeguate strutture istituzionali.
Al ritorno a Roma sono stata inserita nella redazione di "Noi Donne", che
era diretta da Antonietta Macciocchi. La redazione era un punto d'incontro di
personaggi preziosi, uomini e donne. Primo fra tutti Gianni Rodari, ma anche
Aristarco critico cinematografico e Battaglia che era impaginatore, poi due
giovani fotografi, Pinna e Tano D'Amico, ora molto conosciuto e famoso. E
ancora: la scrittrice Fausta Terni Cialente, Miriam Mafai, Giuliana Dal Pozzo
e la poetessa Sibilla Aleramo che mi dimostr una particolare simpatia. Una
capo redattrice di Trieste che mi voleva bene era Carmen ]acchia. Segretaria
di redazione era la giovanissima Lietta Tornabuoni. Tra le redattrici c'era Carla
Barberis, - cos si firmava - cio Carla Voltolina, moglie di Sandro Pertini,
simpaticissima e intraprendente.
Ritorno a Novara e la nascita dei figli
Nella primavera successiva, nel '53, essendo sfumata la prospettiva per
mio marito di essere chiamato anche lui a Roma, ho scelto di ritornare a
Novara, dove mi stata data la responsabilit della stampa e propaganda
nella federazione comunista. Quell'incarico durato per tutta la campagna
elettorale contro la legge truffa, che ho affrontato in gravidanza, e dopo, fino
alla nascita del primo figlio Alberto e poi del secondo, Corrado.
Dalle difficolt familiari e dalle conseguenti inevitabili interruzioni di quegli
anni, 1954-1957, ne venuto altro cambio di lavoro. Coi bimbi e con un
marito cos intensamente impegnato nella dirigenza sindacale, con risorse
economiche limitate, nonostante la buona volont di entrambi, non mi era
possibile svolgere bene un lavoro politico che richiedeva pieno tempo, sere e
domeniche comprese. Ho rimediato lavorando da casa, per poche lire. Facevo
tre cose. La redazione del notiziario mensile del Comune, una raccolta di
pubblicit, e la correzione delle bozze di libri per la tipografia Stella Alpina,
che stampava per Einaudi e Feltrinelli.
Quando i bambini un po' cresciuti l'hanno reso possibile, ho ripreso
l'impegno politico, accettando di dirigere l'Unione donne italiane.
L'esperienza non stata negativa, ma particolarmente faticosa e fortunosa,
proprio per la difficolt di conciliare le esigenze e i tempi dei figli con quelle
dell'organizzazione. Non avevamo risorse economiche sufficienti per aiuti
esterni e nemmeno una famiglia di nonni o fratelli alle spalle che potesse
compensare le nostre assenze. Soltanto amici e compagne, a loro volta gravati
da problemi.
All'um ricordo tuttavia buoni risultati nell'aumento delle adesioni e della
presenza dei circoli in provincia, nelle lotte per la creazione di asili e per i
doposcuola, per l'appoggio alle rivendicazioni delle lavoratrici nelle fabbriche
tessili e alimentari sui turni notturni, ed anche molte belle manifestazioni e
iniziative culturali per 1'8 marzo e per i bambini. Sono abbastanza fiera di aver
raccolto e fatto lavorare attorno all'um diverse donne di ogni parte politica
ed anche di ceti sociali e professionali diversi. Tra queste voglio ricordare
Rosanna Lampugnani, socialista, Egle Cominoli del sindacato, Rosita Bruni,
Angela Corini Bighinzoli, Maria Bergamini, le mogli dei professori Razzano
e Muratori e dell'architetto Meneghetti, una professoressa di origini nobili
albanesi dal cognome famoso: Castriota Scandeberg. Erano molto impegnate
anche Laura Gastone, moglie di Ciro e le donne del Senatore Lazzarino; e tante
altre, operaie, infermiere, braccianti e mondine, delle quali non ricordo i nomi.
Della provincia voglio citare due belle figure di madri di partigiani caduti, fiere
e attivissime: a Verbania Amelia Maccarinelli, ad Omegna mamma Bariselli,
che di figli partigiani ne aveva perduti due.
Non bastavano per sforzi, fatiche e capriole organizzative a colmare
le esigenze dell'impegno, cos che alla fine ho deciso di lasciare il lavoro
politico. Senza dirlo a nessuno per non rischiare il prestigio che comunque
mi ero guadagnata, ho affrontato l'esame di concorso magistrale e, a risultato
ottenuto, ho chiesto la sostituzione.
Negli ultimi mesi, non ricordo quanti ma non molti, dall'um Nazionale mi
arrivava un assegno come stipendio. Mi sembra che fosse di quarantamila lire.
Per non lasciare debiti alle mie compagne, gli ultimi assegni li ho adoperati
per saldare tutti i conti con la tipografia, con le agenzie d'affissione, coi teatri
e col telefono.
Anni di penitenza e finalmente la scuola
Prima per di arrivare all'insegnamento come sognavo, ho dovuto fare
gavetta, anzi penitenza, perch arrivato quasi subito il trasferimento a Roma di
Claudio, che per me ha complicato le cose. Non avendo abbastanza punteggio
per ottenere una sede d'insegnamento a Roma, ho dovuto accettare di essere
assegnata agli uffici, e precisamente al ministero della Pubblica istruzione dove
per dodici anni sono stata nella segreteria dei tre direttori generali che si sono
succeduti all'Istruzione tecnica.
Per fortuna gli ultimi quindici anni della mia vita lavorativa li ho dedicati alla
scuola nel mio quartiere, Cinecitt, con grande impegno mio e soddisfazione
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professionale. In parte il mio lavoro riportato nel libro "Il giornalino scolastico
in Italia" dell'editore Giunti Lisciani, ma pi validamente gratificato dall'affetto
che i miei ex alunni, ora adulti, e le loro famiglie mi dimostrano tuttora con la
loro perdurante e solida frequentazione.
Vita di militanti
Gli spazi per il privato nella realt novarese .fino agli anni '60
Prima della nascita dei bimbi - e sono stati sei anni - io e Claudio non
abbiamo quasi avuto spazi per il privato. Il nostro ritmo di vita era a dir poco
caotico. Uno andava e l'altro veniva. Tutto il nostro tempo era destinato al
lavoro. Abbiamo vissuto come se fossimo fidanzati, senza orari e senza regole,
con molta fantasia e improvvisazione per ritagliarci piccoli spazi nostri.
Un ripiego per stare vicini era di tipo organizzativo. Cercavamo di convocare
le riunioni in provincia in modo di fare il viaggio insieme. Si andava con una
macchina carica di almeno cinque persone da seminare in luoghi diversi, da
raccogliere poi a notte fonda, con ritardi inevitabili tra una tappa e l'altra.
Nessun divertimento, all'infuori di qualche film. Niente feste o balli o musica.
La radio l'abbiamo comprata a rate nel '50, ma non potevamo attardarci ad
ascoltarla, anche perch dovevamo dare spazio alla lettura di giornali e libri,
essenziale al nostro lavoro.
Quando Claudio andava nei paesi, nelle attese e nei ritagli di tempo, qualche
volta riusciva a fare una partita a bocce. Era bravo in quel gioco. Succedeva
quando le riunioni erano convocate nei circoli, cio associazioni ricreative poi
divenuti ARCI, che avevano sempre i campi da bocce. Ricordo anche che in
quei circoli ci si poteva cimentare, tanto uomini che donne, nel gioco della
rana. Su una specie di tavolo erano fissate delle belle rane metalliche con
la bocca spalancata. Non ricordo le regole, ma bisognava lanciare un disco
dentro a quelle bocche. Per pochi minuti tornavamo bambini, in quelle sfide.
Altri momenti allegri erano le cene collettive, sempre promosse da "Wil1y",
attorno ai fornelli della bagna cauda o al vassoio dell'anitra alla grappa. Erano
grandi e festose tavolate, che spesso si concludevano con le partite a scopa o
a scopone scientifico, altra arte nella quale Claudio era molto bravo. Noi mogli
e donne, assistevamo ammirate e silenziose.
A Novara c'era una specie di tradizione per uomini soli. Ogni inverno
qualcuno organizzava la cena che ora io chiamo delle animelle. Era la cena
dove si gustavano le palle del toro, cio i testicoli di bovini. Claudio vi
partecipava un po' riluttante, e non mi riferiva granch, perch immagino che
la conversazione in quelle tavolate fosse piuttosto pesante e allusiva.
Quando aspettavo mio figlio Alberto eravamo in piena battaglia elettorale
contro la legge truffa. Ricordo che avevamo paura di un colpo di mano se
quella legge fosse passata. Temevamo la messa al bando del nostro partito
e di finire tutti in galera. Non so se il nostro timore fosse fondato, ma allora
l'abbiamo patito veramente.
In quello stesso anno Claudio prendeva su di s il gravoso compito di
dirigere il Sindacato CGIL. Un anno veramente rivoluzionario a casa nostra.
lo sono tornata al lavoro in Federazione che il bimbo aveva quaranta giorni.
Era il pi piccolo del nido ed andavo, di corsa, ad allattarlo. Pochi mesi dopo,
in quell'estate del '54, ho dovuto staccare per un po' ed approdare a Reggio
Emilia dai genitori di Claudio. stato il loro medico a risolvere la mia mastite
con un ricovero lampo alla clinica Villa delle Rose.
Poi di nuovo al lavoro, sempre con l'aiuto del nido. Claudio mi aiutava
sempre, nonostante l'accresciuto impegno del suo lavoro al sindacato. Era un
padre felice e affettuoso. Quando poi nato Corrado, se c'era da stare svegli,
ci dividevamo la notte, un primo turno e un secondo turno. Uno stava alzato
e sveglio, l'altro poteva dormire.
Roma - 1975. Truffi insieme a Luciano Lama alla manifestazione unitaria degli edili, detta
dei duecentomila, svoltasi a Roma nell'ottobre 1975.
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Al sindacato nella grande provincia di Novara
La complessa realt del mondo del lavoro
Il passaggio di Claudio alla direzione della Camera provinciale del Lavoro
ha significato un cambiamento e un avanzamento molto importante. Come ho
gi detto era il 1954.
La sua elezione stata la conseguenza naturale del prestigio c h ~ si era
guadagnato anche come consigliere alla Provincia, senza contare che nel partito
si era molto dedicato ai problemi dello sviluppo industriale ed agricolo di quel
vasto territorio. C' una bella foto con Giuseppe Di Vittorio alla presidenza del
congresso nel quale Claudio stato nominato a quell'incarico.
Per una provincia cos grande dirigere il sindacato era un'impresa enorme.
lo le ho viste da vicino le sue fatiche. Significava alzarsi prima delle quattro
per andare alle cinque davanti alle fabbriche se c'era uno sciopero o una
lotta in corso, magari in Valdossola. Questo succedeva spesso, ma la giornata
normale di lavoro era di almeno dodici ore. C'erano industrie a Domodossola,
Omegna, Villadossola, Intra, Crusinallo, Trecate, Romagnano Sesia, Prato Sesia,
Castelletto Ticino e Novara citt.
In quella provincia erano presenti i principali gruppi monopolistici italiani.
Il settore chimico contava la Montecatini, la Bemberg e la Rumianca con dieci
aziende e pi di quattromila occupati, pi le fibre tessili artificiali con tre aziende
di circa cinquemila occupati. Nel settore elettrico nella sola provincia di Novara
esistevano trenta quattro centrali idroelettriche e tre centrali termoelettriche
per una produzione totale 544.000 kilowattore. Il tessile contava centrotrenta
aziende con i gruppi Riva-Albergg, Furter, Rossari e Varzi, SNIA Viscosa, Crespi,
Cucirini Cantoni Coats, Cotonificio Wild, Filatura Cascami Seta, Cotonificio
Valle Ticino, Manifattura Rotondi, Filatura di Grignasco. In questo settore gli
addetti erano pi di cinquantamila, in maggioranza donne.
A questi gruppi vanno aggiunte anche le aziende medie con un totale di
circa venticinquemila dipendenti e quelle piccole con altri circa diecimila, pi
le piccolissime e le artigianali per altri venti duemila circa addetti.
Molto importante era poi il settore agricolo e agroalimentare, con la
risicoltura, il lattiero-caseario col tipico gorgonzola, il dolciario con la Pavesi.
L'Istituto geografico De Agostini e alcune cartiere. In montagna molte cave
di marmo e a Pestarena una miniera d'oro. Sui laghi e in alta montagna si
profilava lo sviluppo del turismo.
Questo lungo elenco credo renda l'idea del gravoso compito che Claudio
aveva sulle spalle con la responsabilit del sindacato CGIL, rimasto largamente
maggioritario nonostante le scissioni degli anni precedenti.
Gli anni '50 videro gli attacchi pi duri sia in campo politico che nei luoghi
di lavoro contro le sinistre. Si licenziavano o si declassavano i membri della
commissioni interne, i collettori delle quote sindacali e i diffusori della stampa
avversa. Nel '53 si inventavano alla Fiat i "reparti confino".
Proprio per garantire le libert previste dalla Costituzione, iniziava la lotta
per lo Statuto dei diritti e delle libert dei cittadini nelle aziende, lanciata dal
congresso CGIL a Napoli e affrontato in una specifica conferenza a Milano
nel giugno del '54. Si dovr aspettare e lottare fino al 1970 per vedere la
trasformazione in legge dello Statuto dei lavoratori.
La battaglia per la sede del sindacato in una vera Casa del Popolo
Contro il sindacato e i movimenti di sinistra, si inventavano in quegli anni
anche azioni persecutorie. Lo scontro si materializz a Novara con lo sfratto
dalla Casa del Popolo - ex casa del fascio - di tutte le organizzazioni che vi
avevano preso sede, in primo luogo la CGIL e il Partito comunista. Agli inizi del
'51 si era preteso il pagamento dei mobili, sopravvalutati vessatoriamente con
un sopraluogo-inventario dell'intendenza di finanza. Superato lo scoglio con
una sottoscrizione tra i lavoratori, arriv il vero e proprio sfratto, preceduto
e accompagnato da una campagna dei giornali locali di destra e governativi,
"Corriere di Novara" e "Gazzetta di Novara".
Il Partito trov in affitto dal dottor Achille Lampugnani una serie di stanze
in via Canobbio, dietro al tribunale.
La Camera del lavoro, invece, decise coraggiosamente di avere una sede
propria. Il merito, riconosciuto da tutti, fu proprio di Claudio, che diede fiducia
ed organizz le iniziative per la raccolta dei fondi necessari all'acquisto.
Enrico Sacchi, che dopo Claudio divenne segretario responsabile di quella
Camera del Lavoro, scrive (2 aprile 1987): "Con l'arrivo di Claudio Truffi alla
Camera del Lavoro, che, senza far torto a nessuno ritengo sia stato il dirigente
sindacale pi positivo che oper a Novara, cominci a prendere corpo l'idea
di acquistare il fabbricato di via Mameli 7, nel quale era alloggiato il circolo
Archimede ... .
Operativamente fu creata la Cooperativa Casa del Popolo, con il
coinvolgimento personale di Gianfranco Bighinzoli che dirigeva il movimento
delle cooperative. A furia di quote sottoscritte, si raggiunsero i primi quattordici
milioni necessari all'acquisto, concluso tra la fine anno 1956, inizio 1957.
Furono poi necessari altri interventi di restauro e ampliamento, poich nella
struttura, divenuta veramente Casa del Popolo, oltre alla Camera del Lavoro,
trov posto non solo il preesistente Circolo Archimede, ma anche l'INCA e
altre associazioni. Con una valanga di azioni da cinquecento lire e con un
opportuno mutuo, si arriv nel '63 alla costruzione di un nuovo corpo di
fabbricato su progetto dell'architetto Ludovico Meneghetti. Claudio Truffi
stato in prima linea in questa impresa ricoprendo anche il ruolo di presidente
della cooperativa stessa, dal '58 al '60.
Nel 1960 ci sono stati i grandi scioperi per i contratti, tra i quali quelli
dei metallurgici che, in ottobre, sfociarono in grandi manifestazioni cittadine
di piazza, una delle quali, particolarmente importante si svolse a Novara. E
ancora, alla fine dell'anno, contro l'offensiva padronale nel clima politico
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caratterizzato dal governo Tambroni, Novara si distinse con un grande sciopero
e la sospensione degli straordinari.
Alla Camera del Lavoro Claudio si era circondato di molti collaboratori che
lo stimavano, compresi quelli che operavano nel sindacato gi prima della sua
venuta. C'era molto affetto, anche sul piano personale, tanto che ne ricordo
molti, di questi amici e compagni. Oltre ad Enrico Sacchi che dirigeva il settore
Federterra, ricordo Rolando di Prato Sesia, Maulini di Omegna, il capitano
Bruno, cio Albino Calletti, poi Mario Caccia e Diego Fortina ed altri, anche
non comunisti, come Cornelio Masciadri ed Ernesto Licari. Alcuni di loro ci
facevano anche regali curiosi e preziosi, come un grosso pesce pescato nel
lago Maggiore, una lepre presa in riserva, un fagiano pieno di pallini.
Radici familiari tipicamente reggiane
I Vergalli e i Truffi
Nel mio libro Storie di una staffetta partigiana
1
ho raccontato ampiamente
della mia famiglia contadina, di mio padre Prospero perseguitato politico nel
ventennio, poi membro del primo CLN della nostra zona, quindi sindaco della
Liberazione a Bibbiano. E anche di noi tutti nella Resistenza compreso mio
fratello Orio, allora ragazzino e delle mie radici parentali ben inserite nell'Emilia
Rimini - 1973. Truffi insieme a Lama all'VIII Congresso fillea-cgil tenuto si a Rimini da121
al 24 maggio 1973.
agricola, con ideali progressisti risalenti al primo '900. Di mio padre e di noi
hanno scritto anche il professor Renzo Barazzoni e Cesarino Faietti nel libro
Bibbiano, la gente, le vicende e, sempre di Barazzoni, Val d'Enza in armi e
Bibbiano immagini e vicende sul filo della memoria.
Claudio invece, ha una storia e delle radici un po' pi complesse.
I suoi genitori avevano un negoziq di alimentari a Santa Croce, all'inizio
di Mancasale, quindi appena fuori di Reggio Emilia. Negli anni prima della
guerra e fino al '45-46, il negozio era sufficiente alle necessit della famiglia e
poco pi. Soltanto nel dopoguerra, negli anni '60, col contributo dei fratelli di
Claudio si svilupp e divent un piccolo supermercato. Nel libro La memoria
dei rossi
2
, Claudio racconta di loro e del padre, Alberto, fervente socialista
prampoliniano e convinto pacifista. Era stato lunghi anni nei bersaglieri
nella prima guerra mondiale. I figli raccontarono che, al ritorno, in un gesto
improvviso di ribellione, aveva buttato la pistola d'ordinanza nel canale,
avendone poi inevitabili guai.
lo aggiungo qui, perch mi sembra giusto, che nei lunghi mesi
dell'occupazione delle Reggiane il loro negozio ha venduto a credito ai clienti
operai, riempiendo libretti e libretti di note. Alla fine della lotta, abbiamo
saputo che quei libretti sono stati messi via e il saldo dei conti mai preteso.
stato il contributo concreto e silenzioso che la famiglia Truffi, certamente non
ricca, ha voluto dare a quella gloriosa e importante battaglia sociale.
La madre di Claudio, Giuseppina Gambarelli, figlia di contadini di Montericco
di Albinea (RE) aveva trovato lavoro giovanissima come governante presso una
ricca signora svizzera tedesca che viveva sola in una villa con podere a Santa
Croce. La villa c' ancora. Il podere ora zeppo di costruzioni.
La signora si affezion tanto a Giuseppina, che la tenne con s da sposata
col marito e poi da madre, cos che Claudio e i suoi fratelli - Guido e Davide
- sono nati e cresciuti l, quasi famiglia unica, fino alla morte della signora. Ci
ha raccontato dei giocattoli straordinari e antichi coi quali avevano il privilegio
di giocare, ma anche di una grande enciclopedia sulla quale lui passava giorni
e giorni in appassionate letture. Certo da quelle pagine che Claudio ha
tratto tantissime nozioni e conoscenze, ma anche alcuni termini ed espressioni
lessicali inconsuete ed efficaci di cui sorprendentemente si serviva anche dopo
molti anni. A questa fase, che per lui si protratta fino all'adolescenza, risale
l'educazione di stampo tedesco, orientata al migliore senso del dovere e ad un
forte rigore etico, che l'ha accompagnato in tutto il suo percorso di dirigente
sindacale e politico e, un poco, anche a casa.
Di quella signora svizzera a noi rimane un libro di favole educative tedesche
di fine '800, Pierino PorcosPino, che intendevano insegnare le buone maniere
ai ragazzi con metodi molto diretti e spicci. Un libro che poi passato ai miei
figli che lo leggevano gi con ironia e distacco, ma che abbiamo visto con
sorpresa ristampato in questi ultimi anni, divenuto ormai un classico.
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Le apprensioni ingigantite dalla distanza
Anche la famiglia Truffi, come la mia, era inserita negli ideali progressisti
e certo non contraria al nostro impegno. Entrambe accompagnarono con
aiuti morali e materiali il nostro percorso di vita, ma anche con qualche non
immotivata preoccupazione ed apprensione, soprattutto nei periodi pi duri
della guerra fredda.
Nel nostro mondo di oggi, nel quale le comunicazioni sono diventate
talmente facili che le distanze sembrano annullate, difficile pensare che un
tempo le comunicazioni possano essere state un problema. In quei primi anni
eravamo impiccati soprattutto a lettere e telegrammi. Eppure le distanze non
erano enormi. Molte volte mio fratello Orio venuto da Bibbiano a Novara in
bicicletta. Era un buon ciclista, ma in fondo si trattava di attraversare soltanto
tre regioni!
C'era anche il telefono, ma senza teleselezione si doveva chiamare al posto
pubblico, gestito da persone poco zelanti e poco riservate, delle quali mia
madre diffidava. Il gestore doveva andare a chiamarli a casa, loro andare
a quel telefono, quindi aspettare a lungo la linea libera e alla fine parlare
sapendo di essere ascoltati. Una pena, pi che una comodit. Fino a quando,
dopo molti sforzi e addirittura a met degli anni Sessanta, siamo riusciti a
ottenere l'installazione del telefono in casa loro.
Sotto le armi negli anni di guerra e la passione per gli aerei
Claudio era del 1922, quindi di leva all'inizio del conflitto, proprio come
era successo a mio padre e a suo padre nel 1914. andato sotto le armi
in zona dichiarata in stato di guerra all'inizio del '42, sette mesi prima di
compiere vent'anni. Era stato arruolato in aviazione, marconista, come si diceva
allora, sugli aerei cacciabombardieri, quindi addetto alle telecomunicazioni,
radiotelegrafia e radar, probabilmente grazie alla sua istruzione relativamente
elevata per l'epoca. Aveva, infatti, frequentato le scuole professionali a indirizzo
economico, acquisendo una buona preparazione di base ed anche una discreta
conoscenza della lingua francese, che gli sarebbe divenuta utile negli anni
degli scambi internazionali del sindacato ed anche dell'INPs, di cui parlo pi
avanti. In pi aveva una precoce passione per la tecnica, tanto che da ragazzo
era riuscito a costruire e far funzionare una radio insieme al suo amico Enzo
Della Scala, avventura di cui ci parlava con un certo orgoglio.
Nonostante la durezza della esperienza di guerra, in quegli anni Claudio
svilupp una vera passione per l'aeronautica. Parlava volentieri dei caccia
bombardieri Savoia-Marchetti sM-79, principali mezzi da combattimento
dell'aviazione italiana di quegli anni, della loro maneggevolezza ed affidabilit.
Rimase sempre un appassionato di aerei. Un suo divertimento negli anni di
Novara era portare la famiglia e soprattutto i bambini in gita all'aeroporto
di Malpensa, che non era lontano, a veder partire gli aerei per i voli
intercontinentali. Spiegava ai figli i vari modelli, che ancora erano ad elica, e
raccontava i particolari del volo.
Negli anni dell'impegno sindacale avrebbe poi avuto la possibilit di volare
fin troppo, con ogni tipo di aereo e di tempo, sino ad un imprevisto atterraggio
di fortuna in un aeroporto militare della Siberia durante un viaggio in URSS, in
mezzo ad una spianata enorme piena di caccia militari.
In guerra stato in Africa quattro mesi, dal dicembre '42 alla fine di aprile
'43, certamente i pi duri e cruciali. Sappiamo dal suo foglio matricolare che vi
andato in volo dall'aeroporto del Littorio e arrivato ad un certo scalo "Castel
Benito", poi rimpatriato in volo da Tunisi e giunto in volo a Castelvetrano.
La sconfitta delle armate tedesche e italiane l'ha colto proprio in quell'aprile
del '43, che segnava una delle prime battute d'arresto per l'Asse. La prospettiva
per i soldati italiani era di finire nei campi di prigionia inglesi in Africa centrale
o in India. Non so se temendo questo, o per orgoglio o sp'irito di avventura,
l'equipaggio di Claudio decise di tentare la fuga verso l'Italia con quel caccia
bombardiere sM-79 decollando sotto i bombardamenti dall'aeroporto africano.
Ci sembra che Claudio parlasse di Libia, ma nel foglio matricolare scritto
Tunisi. Ha ricordato per con emozione che, volando a pelo d'acqua, a non
pi di dieci, venti metri, l'aereo esponeva solo la parte superiore ai caccia
nemici, cos che il pilota riusc fortunosamente a riportare l'aereo in Sicilia.
L'armistizio lo trov in una caserma di Treviso, da dove, come fecero molti
giovani in quell'8 settembre '43, per sfuggire alla prigionia in Germania o
all'arruolamento coatto nella neonata Repubblica sociale italiana, scelse la
fuga avventurosa verso casa, in Emilia.
Gli importanti impegni a Roma. Alla guida del sindacato nazionale
degli alimentaristi
Da Novara siamo venuti a Roma con tutta la famiglia nel '64
Dall'anno prima Claudio era stato chiamato al sindacato degli alimentaristi,
che allora si chiamava FILZIAT (Federazione italiana lavoratori zuccherifici
industrie alimentari e tabacco) divenendone quasi subito segretario generale.
stato il primo reggiano a ricoprire un incarico sindacale a livello nazionale
di grande rilievo.
Come si intuisce dalla denominazione, la FILZIAT era uno dei sindacati pi
numerosi e importanti. Vi confluivano gruppi professionali differenziati, tanto
che nel '64 esistevano nel settore addirittura ventitr diversi contratti di lavoro.
Claudio ha portato il sindacato a lottare contro questa frammentazione fino
a giungere all'accorpamento dei ventitr contratti, conquistando cos le basi
per il contratto unico nazionale. Fu una grande intuizione, non solo perch in
tal modo si rafforzava il potere contrattuale del sindacato, ma anche perch
ha potuto essere intrapresa la lotta per annullare la disparit dei trattamenti
salariali, disparit che era addirittura del 30 percento tra il livello pi basso e
quello pi favorevole. Ci volle tempo, addirittura molti anni, ed altre lotte, ma
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alla fine si arriv al contratto nazionale portando tutti al livello salariale pi
alto.
Sotto la direzione di Claudio, nella FILZIAT si mette a fuoco fin dal 1968 il
problema del collegamento con i produttori agricoli, che doveva confluire in un
sistema agroalimentare pi avanzato. In quegli anni si intraprende l'intesa con
la Federterra, che in seguito, vent'anni dopo nel 1988, porter alla fusione dei
due sindacati nell'attuale FLAI (Federazione lavoratori agroalimentari italiani).
Pasquale Cascella sull"'Unit" del 30 marzo '86 scrive: Se gli alimentaristi
possono compiere il salto di qualit verso il sindacato dell'agro-industria, ci
dovuto al contributo di idee, di passione e di valori di uomini dalla tempra
di Claudio Truffi.
Undici anni alla FILLEA. Con i lavoratori delle costruzioni e del legno,
i contratti e le grandi manifestazioni
Nel settembre 1969, Claudio chiamato a dirigere la FILLEA (Lavoratori legno,
lapidei, edilizia e affini) con la qualifica di segretario generale.
Se il sindacato degli alimentaristi era particolarmente frammentato come
professionalit, questo degli edili, cio lavoratori delle costruzioni, del legno e
delle cave, era ancor pi frammentato come dislocazione dei posti di lavoro,
oltre che come variet di qualifiche professionali. Quindi maggiori difficolt
per il sindacato di raggiungere i lavoratori e di trovare le forme organizzative
per rappresentarli. Qui non c'erano luoghi di grande concentrazione produttiva
come ad esempio nell'industria metalmeccanica. Qui c'era da lavorare innanzi
tutto cantiere per cantiere, cava per cava, mobilificio per mobilificio, quasi tutti
medio-piccoli.
Tra il '69 e il '70 sotto la guida di Claudio stato siglato un vero contratto
nazionale fondato su diritti e salario, un secondo livello contrattuale, il
riconoscimento dei delegati come agenti contrattuali. Inoltre, per la prima
volta, si metteva fine alla divisione tra operai e impiegati. Ma la novit vera
fu, allora, l'eliminazione dei contratti di zona, cio delle gabbie salariali. Il
contratto, che entrava in vigore dallo gennaio 1970, fu siglato il 3 dicembre
1969 per gli operai e il 19 successivo per gli impiegati del settore, cio solo tre
mesi dopo l'arrivo di Claudio in FILLEA.
Con Claudio segretario generale il sindacato FILLEA non si limitato a
difendere i diritti della categoria, ma si giustamente aperto ai problemi
generali dell'Italia e della sua economia. In quegli anni il sindacato FILLEA
stato assoluto protagonista della battaglia per la legge sulla riforma della casa,
cio per il diritto alla casa, che culminato nello sciopero unitario e nella
grande manifestazione a Roma del 19 novembre 1970
3
.
Non solo. Nelle relazioni di Claudio ai congressi FILLEA e alle conferenze
a tema, hanno grande spazio argomenti ancor oggi tremendamente attuali.
Entrano i problemi della scuola, cio l'indicazione del necessario adeguamento
del patrimonio edilizio scolastico in funzione della formazione delle nuove
generazioni. In quelle relazioni Claudio d inoltre notevole spazio alla necessit
della tutela del territorio e dell'ambiente, del recupero e della ristrutturazione
dei centri storici, della pianificazione urbanistica, del riequilibrio tra citt e
campagna e tra nord e sud, nonch della conservazione dei beni architettonici
e culturali.
Altra grande tappa di lotta di cui Claudio era giustamente orgoglioso stata
l'imponente manifestazione del '72 a Reggio Calabria insieme ai metalmeccanici
e ai braccianti per le rivendicazioni salariali e lo sviluppo economico. Si era
scelta quella citt significativa per il mezzogiorno e in risposta democratica
ai disordini fascisti dei "boia chi molla. La manifestazione fu unitaria per i
sindacati degli edili e per quelli dei metalmeccanici. Per i braccianti ader
soltanto il sindacato CGIL.
A questo proposito debbo correggere quanto scritto a suo tempo circa
l'iniziativa di quella scelta. Si scritto e detto che l'idea partiva dai sindacati
metalmeccanici. Invece mi si confermato da coloro che erano a fianco di
Claudio nella FILLEA, e che ci risulta anche dai nostri ricordi, che l'idea iniziale
part proprio da Claudio, che coinvolse le organizzazioni parallele CISL e UIL,
conquistando poi subito l'adesione e mobilitazione delle strutture sindacali dei
metalmeccanici.
Un altro momento importante stato quello della manifestazione - che
abbiamo chiamato dei duecentomila - del 1975, quando, unitariamente, tutti
i sindacati edili d'Italia si riversarono a Roma con la loro variet di cartelli e
bandiere, in lotta per il rilancio dell'edilizia e per il contratto nazionale. Dopo
quella della casa, che aveva coinvolto i diversi settori produttivi, questa volta
una sola categoria riempiva e straripava oltre la grande Piazza di San Giovanni.
Il contratto poi, fu siglato nell'aprile del 1976.
Nel suo ultimo congresso in FILLEA, e siamo nel 1977, Truffi afferma che "per
gli edili il contratto di categoria insostituibile, mentre il contratto di secondo
livello - cio nel territorio e nei cantieri - indispensabile per affrontare i temi
degli orari, dell'organizzazione del lavoro e della sicurezza. E aggiunge che
bisogna impedire ai singoli costruttori di sfruttare i lavoratori attraverso offerte
di salario individuale peggiorative dei contratti che sono stati sottoscritti.
Inoltre dice che occorre definire regole precise sul mercato del lavoro e sul
collocamento pubblico per sconfiggere la piaga del caporalato e del ricorso al
sistema degli appalti e dei subappalti.
Come si vede, sono problemi tuttora pi che mai sul tappeto.
In quell'anno 1977, la CGIL superava i quattro milioni di iscritti e la FILLEA
rasentava il mezzo milione, era cio uno dei pi numerosi sindacati di
categoria.
Nella primavera del 1979 si stava lottando e trattando per il nuovo
contratto degli edili. Gli accordi erano abbastanza vicini, quando a fine marzo,
nell'imminenza della Pasqua, Claudio stato colto da infarto. Superata la fase
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critica, stava ancora in convalescenza quando finalmente gli altri dirigenti
raggiungevano l'accordo con la controparte.
Naturalmente, pur costretto al riposo, era sempre rimasto in contatto con gli
altri dirigenti e coinvolto nei problemi e nelle decisioni.
Si era arrivati all'estate, giugno, credo. Di solito, definito il testo del nuovo
contratto, anche se notte, i contraenti mettono la firma, cio siglano l'accordo
che diventa definitivo. Quella volta la consuetudine non fu rispettata. Quando
Valeriano Giorgi, insieme a Carlo Cerri, doveva siglare per la FILLEA, chiese di
sospendere, perch - disse - quella firma doveva essere messa da Claudio
Truffi. Prese le carte e il mattino seguente insieme agli altri dirigenti del
sindacato, si precipit a Fiuggi, dove Claudio riprendeva le forze lontano dalla
calura estiva della citt. Soltanto allora, con quella firma, il contratto divenne
definitivo.
lo ero presente e ricordo l'episodio come la prova del grande affetto e
della grande considerazione conquistata da Claudio nel suo ambiente. Un atto
non obbligato, perch Giorgi e gli altri avevano tutti i titoli per fare e decidere
senza di lui. Un atto che Claudio stesso non si aspettava e soprattutto non
pretendeva.
Un aiuto ai lavoratori spagnoli contro il regime di Franco
Un aspetto poco conosciuto dell'impegno di Claudio in quegli anm e
l'appoggio dato alla classe operaia spagnola per uscire dal regime franchista.
Sanchez Tranquillino, Maria Lorente e Manuel Burgos, al congresso dell'aprile
1977 affermano che non sar mai dimenticato dai lavoratori spagnoli l'appoggio
costante e la grandiosa solidariet dei lavoratori italiani e della FILLEA per uscire
dalla lunga notte del fascismo.
L'impegno in aiuto agli spagnoli risaliva in verit al periodo in cui Claudio
dirigeva il sindacato degli alimentaristi. Quando ancora il dittatore Franco era
al potere, la FILZIAT aveva rapporti frequenti col movimento operaio spagnolo,
rapporti tenuti anche attraverso numerosi viaggi a Barcellona di Andrea
Gianfagna, che in seguito ha preso il posto di Claudio alla guida di quel
sindacato.
Per l'unit sindacale
Tanto cammino insieme, dagli alimentaristi agli edili
Claudio rimasto alla guida della FILLEA dal settembre 1969 fino al dicembre
1980, cio per undici anni consecutivi, un record di permanenza a tutt'oggi,
per quel sindacato.
Questo record stato sottolineato in tempi recenti, quando, nell'ottobre
del 1999, la FILLEA, inaugurando la sua nuova sede nazionale a Roma in via
Morgagni, ha intitolato a Claudio Truffi una delle sale di riunione.
In quella occasione Sergio Cofferati ha affermato che Claudio stato un
segretario generale importante per tutta la CGIL, uno dei segretari che hanno
fatto la storia stessa del sindacato. Ne ha parlato con affetto ricordando il suo
impegno nel formare e valorizzare giovani dirigenti e soprattutto per il suo
contributo alla causa dell'unit sindacale.
Fin dal suo arrivo a Roma Claudio ha messo in primo piano l'obiettivo
dell'unit sindacale, tanto che nell'ottobre del '67 annunciava che al prossimo
congresso nazionale degli alimentaristi, FILZIAT-CGIL avrebbero partecipato
anche la CISL e la UIL non come osservatori ma come organizzazioni invitate.
Evidentemente si trattava di un passo avanti, di una novit.
Alla prima conferenza consultiva nazionale della CGIL tenuta da Ariccia dal
5 al 7 ottobre '67, nel suo intervento si soffermava a lungo sul tema dell'unit
sindacale da collegarsi, secondo lui, a quello dell'autonomia. "Autonomia dal
governo, dai partiti e dai padroni, autonomia che sinonimo, certamente
di unit. Non solo di unit di azione. qualche cosa di pi ... di molto pi
rilevante, di molto pi avanzato.
Si trattava di tagliare i legami ancora abbastanza stretti coi partiti, che
condizionavano le tre confederazioni sindacali e che ovviamente costituivano
un ostacolo all'unit sindacale. Erano gli anni in cui si tentava di arrivare non
soltanto all'unit di azione ma anche ad una unit organica, pi stretta.
Gli sforzi di Claudio in questo senso continuano e si intensificano alla FILLEA.
C' una foto che documenta un convegno unitario dei sindacati dell'edilizia
dal titolo "Unit, riforme, contratti" svolto a Montecatini Terme dal 3 al 5
marzo 1972, con Claudio accanto ai dirigenti nazionali della FENEAL (UIL), e della
FILCA (CISL).
Molti altri incontri e partecipazioni reciproche ai diversi congressi hanno
caratterizzato quegli anni. Nel maggio del 1975 la federazione unitaria dei
lavoratori delle costruzioni FLC, organizzava a Roma un convegno sui lavoratori
edili migranti con la partecipazione di tutti i corrispondenti sindacati europei,
aperto con un discorso di Claudio. In quella sede si partiva dai dati numerici
sugli emigranti. Per chi l'avesse dimenticato, i lavoratori italiani all'estero nel
'73 risultavano essere 5.247.261, cifra che nel '75 si stimava accresciuta di
500.000 unit. Pur con una possibile approssimazione, si calcolava che la
presenza italiana nel settore delle costruzioni fosse in Europa di 350.000 unit,
di cui 100.000 nella sola Svizzera.
A quel convegno faceva il discorso d'apertura Claudio Truffi, indicato con
la qualifica di Segretario Generale della FLC, a cui seguivano le relazioni di
Giancarlo Pelachini e di Enrico Kirschen, indicati con la qualifica di Segretari
Nazionali della FLC.
Nasce la FIe e si trasloca in una sede comune
Non solo i tre sindacati lavoravano insieme. La unitaria FLC, era stata fondata
subito dopo l'analoga Federazione FLM dei metalmeccanici. Ma i tre sindacati
edili, fecero un passo pi avanti di ogni altro. Per rendere materialmente
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pi vicina la collaborazione, scelsero di trasferirsi tutti in una sede comune,
e precisamente in un palazzo in via dei Mille, davanti alla filiale della Banca
d'Italia. Al primo piano erano collocati i servizi unitari, come l'ufficio stampa
e quello per la formazione. La FILLEA occupava due piani e la FENEAL e la FILCA
avevano un piano ciascuna.
Sicuramente di questo passaggio Claudio fu protagonista e - mi si dice
- promotore. Ricordo che anche tra gli stessi dirigenti si era creato un clima di
reciproca fiducia ed amicizia. Gli altri segretari nazionali edili di CISL e UIL erano
rispettivamente Stelvio Ravizza e Giovanni Mucciarelli.
Gli impegni in campo internazionale
Devo anche sottolineare gli impegni e gli incarichi che Claudio ha ricoperto
in campo internazionale.
Negli anni della FILZIAT faceva parte del Comitato direttivo del sindacato
internazionale dei lavoratori alimentaristi. Il comitato mondiale di
quell'organismo - la Federazione internazionale sindacati lavoratori industrie
alimentari - aveva sede a Sofia, in Bulgaria, dove Claudio si recava spesso per
le numerose riunioni. Presidente era un cubano, segretario era un italiano,
Alessandro Scuk, bolognese, dislocato in quella capitale con la famiglia. Molto
stretta in quegli anni stata la collaborazione col parallelo sindacato francese,
diretto da Julian Livi - fratello dell'attore Ives Montand - insieme al quale
stata appoggiata, tra l'altro, la lotta dei lavoratori spagnoli per la caduta del
franchismo.
Ancora pi impegnativo stato il contributo di Claudio in campo
internazionale per la categoria degli edili, la cui struttura era la UITBB (Unione
internazionale lavoratori costruzioni e legno) che aveva sede in Finlandia a
Helsinky.
Da notare che proprio su pressione di Claudio, la UITBB che in precedenza
come sede internazionale era collocata a Mosca, venne trasferita in quel paese
nordico. Questo passo era significativo di una volont di indipendenza dall'uRss,
poich la Finlandia, pur cos vicina all'Unione Sovietica, secondo gli accordi di
Yalta rimaneva pariteticamente sotto l'influenza dei due blocchi e quindi non
aderiva n alla NATO n al Patto di Varsavia e poteva godere di libere elezioni.
In questa organizzazione internazionale Claudio ha ricoperto per molti anni
il ruolo di vice presidente. Presidente era Lothar Lindner, un tedesco dell'Est.
La Finlandia un paese straordinario che Claudio ha molto amato. Aggiungo
un ricordo di quel paese. Nel 1977 quel sindacato delle costruzioni insieme
al suo governo impostava gi i nuovi insediamenti abitativi secondo criteri di
razionalit ecologica. In occasione di una nostra visita ci stato mostrato con
orgoglio un quartiere nuovo di Helsinky interamente dotato di pannelli solari
e di serre condominiali sui tetti. Loro affermavano che con i sei mesi di sole e
luminosit l'impianto risultava conveniente sui costi energetici. Gli appartamenti
peraltro erano minimi, ma con tutti gli spazi e gli arredi razionalmente godibili,
dotati anche di sauna individuale, di piccoli alloggiamenti per l'attrezzatura da
sci e da neve e di box per le auto.
Un sindacato straniero con cui Claudio stato molto in contatto era quello
giapponese. Molte volte stato invitato in Giappone, dove lo affascinava la
natura e lo emozionava la visita ad Hiroshima, straziante. Del Giappone l'aveva
impressionato la moltitudine alienata e muta nelle sale dei video giochi, ma
anche l'efficienza dei trasporti e la ordinata disciplina del traffico. I confronti
con quei sindacati si incentravano sulle innovazioni tecnologiche, come i
processi del prefabbricato in edilizia e il treno ultraveloce su monorotaia.
Altra stranezza giapponese era che le conquiste salariali, ottenute con le lotte,
avevano efficacia soltanto per gli iscritti al sindacato. Altra stranezza riguardava
la pensione, erogata dal datore di lavoro limitatamente agli ex dipendenti
dopo un certo numero di anni di fedelt lavorativa.
Un buon rapporto si era creato anche sul piano personale coi sindacati
polacchi e di paesi non europei, tra cui l'Egitto, Israele e del Centro Africa.
Queste relazioni internazionali nascevano dall'adesione della CGlL alla
Federazione sindacale mondiale (FSM), che raccoglieva, assieme ai sindacati
di ispirazione comunista dei paesi occidentali, le organizzazioni sindacali dei
paesi del campo non occidentale e non allineato, inclusi quindi i sindacati
di regime dei paesi del socialismo reale. Un retaggio quindi della scelta di
campo della sinistra italiana negli anni '50, che divenne progressivamente
ingombrante negli anni dell'unit sindacale (la ClSL e la UIL aderivano alla
ClSL internazionale, che federava le organizzazioni dei paesi occidentali non
comuniste), e che inevitabilmente venne superata alla fine del decennio con
la uscita della CGlL, durante la gestione di Luciano Lama, dalla FSM.
Claudio era un convinto assertore del distacco dall'Unione Sovietica e del
gradualismo, politicamente vicino a quella che allora era la cosiddetta "destra"
del PCl; i cui principali rappresentanti erano Napolitano ed Amendola, ma
in quella occasione ebbe qualche perplessit, che condivideva in famiglia.
Pur riconoscendo il passo come inevitabile nel nuovo scenario, riteneva una
perdita per il sindacato l'interrompersi dei contatti con tutti quei paesi non
allineati, soprattutto del terzo mondo ex-coloniale, e la limitazione del raggio
d'azione al campo occidentale. Probabilmente incideva nella sua valutazione
anche la grande passione che aveva sempre avuto per questa dimensione
internazionale del suo lavoro.
Infatti, questa attenzione ai problemi del mondo e agli scambi reciproci di
esperienza, Claudio l'ha conservata anche all'lNPs, con incontri in Inghilterra
e in Grecia. Dall'lNPs un viaggio negli USA gli saltato all'ultimo minuto per
una urgente pretesa dell'allora ministro del Lavoro Gianni De Michelis. Altri
importanti contatti erano gi previsti in Argentina e America del Sud per i mesi
successivi alla sua morte.
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Gli anni dell'/NPs
La lotta contro i ritardi nell'erogazione delle pensioni
Dal dicembre del 1980 Claudio Truffi, su proposta di Luciano Lama, viene
nominato all'INPs con l'incarico di Vice Presidente. Presidente era Ruggero
Ravenna, nominato dalla urL.
In base alla riforma degli anni '70, infatti, l'ente era co-gestito dalle parti
sociali, con una preminenza del sindacato ed una partecipazione della
CONFINDUSTRIA. Tra i tre sindacati vigeva un patto non scritto di rotazione e in
quel mandato la presidenza toccava alla urL, dalla quale proveniva Ravenna,
e la vice presidenza alla CGIL. Essendo per la CGIL il sindacato maggiore,
il peso della vice presidenza era evidentemente comparabile a quello della
presidenza.
L'Istituto di Previdenza era in quegli anni veramente nell'occhio del ciclone
delle polemiche.
Prima fra tutte quella sul ritardo nell'erogazione delle pensioni di vecchiaia,
ritardo che in certi casi raggiungeva addirittura i cinque anni. Ma gi a poco
pi di un anno dal suo arrivo all'INPs, Claudio affermava: "Il 50% delle sedi
liquida tutti i tipi di pensione entro due tre mesi. Il problema per nove sedi
di grandi citt nelle quali i tempi rimangono lunghi. In queste citt i ritardi si
sono ridotti da 1.500.000 casi agli attuali 700.000 ("Il Messaggero", Roma 25
gennaio 1982).
Seconda polemica era quella del disavanzo tra entrate e uscite, che veniva
imputato all'Istituto e alla supposta cattiva gestione, di cui erano corresponsabili
i sindacati chiamati ai massimi livelli dirigenziali.
Su questo disavanzo, che lo Stato doveva poi colmare, Claudio ha dovuto
in molte sedi, interviste, articoli e trasmissioni chiarirne la natura e le origini.
Con diverse leggi il governo e il parlamento avevano assegnato all'INPs precisi
obblighi che erano di natura assistenziale, pi che di natura previdenziale.
In un'intervista Claudio ricorda che "l'Ente, il cui bilancio di oltre 100.000
miliardi il secondo dopo quello dello Stato, regolato dalle leggi, sia sul
versante delle entrate, sia su quello delle uscite (Intervista di Giovanni Pavone
su "La Sicilia" (Catania 6 marzo 1985).
L'INPS in quegli anni aveva diciotto milioni di assicurati ed erogava tredici
milioni di pensioni, mentre doveva provvedere alla Cassa integrazione
guadagni, al sussidio di disoccupazione e all'indennit di malattia. Claudio
aggiungeva poi che "la riforma dell'Ente necessita di tre punti fondamentali:
l'unificazione dei fondi fatte salve le condizioni acquisite, l'unificazione delle
aliquote, il riordino dell'INPs ("Il Giornale d'Italia", 12 novembre 1981).
Fin dal suo arrivo a quell'incarico, Claudio ha sostenuto che occorreva
separare i due bilanci, quello delle prestazioni previdenziali e quello degli
obblighi assistenziali, separazione indispensabile per avere chiarezza e per
cercare soluzioni.
Le sedi decentrate e la informatizzazione
Per migliorare l'efficienza ed accorciare quei ritardi in quegli anni Claudio
stato l'artefice di uno sforzo di riorganizzazione radicale di quell'Ente. Si
trattato di una profonda riforma strutturale dell'INPs programmata per un arco
temporale di quattro anni. S'intraprendeva, da una parte la creazione delle sedi
decentrate di zona, e dall'altra, anzi in contemporanea, la riorganizzazione del
lavoro mediante l'estensione della informatizzazione.
Fu una vera battaglia, contro il tempo, le inevitabili resistenze interne,
intrecciata con gli interessi dell'industria informatica. L'INPS aveva gi avviato la
informatizzazione, iniziando ovviamente dagli archivi centrali, ed aveva scelto
di intraprendere questa strada avendo come partner la IBM, allora indiscusso
numero uno mondiale nei computer. Era cos diventata uno dei principali
clienti della multinazionale americana, probabilmente il primo cliente a livello
europeo.
Ora la sfida era portare la informatizzazione anche nelle sedi INPS della
periferia, al servizio dei processi di preparazione e distribuzione delle pensioni
e di assistenza agli utenti. Qui poteva avere ancora un ruolo la industria
nazionale, ormai uscita da tempo dai grandi calcolatori, e in particolare questo
ruolo poteva averlo la Olivetti, allora amministrata da Carlo De Benedetti.
Truffi fu uno degli sponsor di questa operazione, anche perch il settore
della automazione d'ufficio e della cosiddetta informatica dipartimentale
era quello dove la IBM era allora pi debole. La forte reazione di IBM, che
evidentemente voleva presidiare un cliente strategico, e una offerta non ancora
matura da parte di Olivetti, nonostante l'impegno personale nella iniziativa di
De Benedetti, non consentirono per di creare questa seconda partnership.
Quella dell'informatizzazione fu una battaglia difficile, con delle discrepanze
iniziali tra le sedi di zona e la struttura centrale, ma in seguito si dimostrato
che quella era la strada giusta. L'informatizzazione e il decentramento delle
sedi stata la condizione per il progressivo accorciamento dei ritardi nelle
corresponsioni delle pensioni.
Voglio ricordare due serie di problemi che Claudio ha incontrato in quella
fase. Appena costruite queste sedi decentrate si trattava di trasferirvi gli
impiegati. Per Roma, Claudio propose che vi si destinassero quei dipendenti
che abitavano nella zona di quelle sedi. Sembrava una scelta logica. Invece
ci fu una sollevazione ostile. Quasi nessuno voleva schiodarsi dalla nicchia
piccola o grande che si era creato nel grande palazzo dell'EuR in via Ciro il
Grande. Fu una lotta, alla fine mediata a lungo e infine vinta con l'impegno
personale di Claudio, che aveva la delega sul personale ..
Altra battaglia fu quella degli orologi.
All'INPS, come in molti ministeri e uffici pubblici, in quegli anni, i controlli
sull'entrata e sulle presenze erano quanto mai elastici. Nel Consiglio di
amministrazione fu approvata la scelta di un controllo pi serio, con orologi
per l'entrata e l'uscita. Tra l'altro questa era anche una battaglia contro il diffuso
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assenteismo, che imperversava non solo all'INPs. Anche qui contestazioni a
non finire, assieme a quelle contro una certa regolamentazione delle pause
e dell'accesso allo spaccio interno e bar. Per questi sacrosanti provvedimenti
Claudio ha subito addirittura delle minacce da parte di estremisti di sinistra,
comitati di base, probabilmente affini alle BR, cos come si diceva in una cassetta
registrata fattagli recapitare misteriosamente.
Le polemiche giornalistiche e le precisazioni
Altre contestazioni molto nette arrivavano alla gestione INPS da parte del
giornale della CONFINDUSTRIA "24 Ore", e di tutti i giornali della destra. Basta
trascrivere alcuni titoli: tutti del 5 febbraio '85. "Il Giornale": Le disastrose
previsioni per 1'85 - L'INPS verso un disavanzo di oltre 54.000 miliardi;
"L' Avvenire": Nel baratro INPS si sono persi 66. 000 miliardi; "Il Sole 24 Ore": L 'INPS
sfonda il deficit '84 di circa 4000 miliardi. Tutti allarmi che non prendevano
in considerazione la puntuale analisi di Truffi che gi dal 6 novembre '84
aveva scritto e spiegato che Il deficit dell'INPs si sana con la legge di riordino,
("l'Unit", 6 novembre '84) Sul "Manifesto" del 25 settembre '85, Truffi precisa
quali sono le voci che compongono il tanto sbandierato deficit dell'INPs,. Da
quei 31.000 miliardi bisogna sottrarre circa 10.000 miliardi di fiscalizzazione
degli oneri sociali, poi altri 2 o 3000 miliardi degli sgravi fiscali per le aziende
e altri 1500 miliardi per le indennit di disoccupazione. Infine ci sono 5000
miliardi per un solo anno di cassa integrazione guadagni. Tutti oneri che non
riguardano la previdenza. Aggiungeva poi che gli sgravi fiscali per le aziende
erano appunto a favore delle aziende e non dei lavoratori.
Ancora il 17 marzo '84, il "Sole 24 Ore" accusava Claudio Truffi di essere
responsabile di uno scandaloso contratto di lavoro flessibile riservato ai
dirigenti dell'Istituto. Si trattava in realt di un tetto orario settimanale che
aiutava anche a scavalcare le pretese inaccettabili degli avvocati che volevano
essere considerati liberi professionisti senza alcun controllo di orario, ma con
retribuzione da dirigenti pubblici. Entrava in questa vicenda anche l'ostilit dei
funzionari verso quei famosi orologi.
Oggi di orario flessibile e di contratti flessibili si soffre fin troppo, ma bisogna
riconoscere che, anche in questo, Claudio stato un innovatore.
Altra battaglia decisiva di quegli anni ancora pi che mai irrisolta, ha riguardato
la lotta all'evasione contributiva. C'era da ottenere un provvedimento di legge
per rendere efficace l'opera degli ispettori e da avviare adeguati controlli
incrociati. Il parziale risultato legislativo della legge 638, frenato da ritardi del
necessario decreto attuativo, stato affrontato direttamente dall'INPs con corsi
di aggiornamento professionale per novecentotrenta ispettori di vigilanza, ma
ne sarebbero serviti almeno duemila.
Per avere una idea delle dimensioni del fenomeno, nel settembre dell'85
l'INPs aveva un credito per contributi dalle aziende di dodicimilacinquecento
miliardi, senza contare il sommerso.
Claudio Truffi nel 1979.
Coraggiose proposte per strade troppo
nuove
Claudio Truffi ha affrontato anche i
problemi di prospettiva in modo innovativo.
Si evidenziava gi il problema del crescente
divario tra giovani lavoratori e pensionati,
a causa dell'andamento demografico e
dell'allungamento della vita. Incombeva poi il
problema dello sviluppo tecnologico portatore
di una progressiva riduzione della mano
d'opera.
In proposito su varie interviste e articoli
Claudio ha ripetutamente avanzato una
proposta che sembr provocatoria, ma sulla
quale si potrebbe ancora riflettere. In data 27
aprile 1985 cos scriveva su "Paese Sera": poich
. .. si andr sempre pm verso processi di concentrazione produttiva con
diminuzione dell'occupazione ma non sicuramente dei profitti, non forse
venuto il momento di affrontare il tema della trasformazione - inizialmente
parziale - del sistema contributivo, attualmente fondato sul numero degli
occupati, in sistema correlato al valore aggiunto? ... potr essere, tale scelta,
essenziale al risanamento dei bilanci previdenziali senza scalfire il problema
del costo del lavoro ... ".
1972. Manifestazione sindacale unitaria.
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Il 27 settembre dello stesso anno aggiungeva: Il sistema di contribuzione
pro-capite non regge pi. Tutti contestano il sistema: difficile scovare qualche
altro marchingegno. I fondi previdenziali potrebbero essere creati sulla base
del sistema fiscale... base del nuovo sistema contributivo non sarebbe pi
solo il lavoratore dipendente, ma il valore aggiunto creato. Vengono in mente
le socialdemocrazie europee, ma qui da noi ci sono troppe anomalie, come
l'evasione contributiva da parte delle aziende, che la regola quotidiana ("Il
Manifesto" 28 settembre 1985).
Si parlava allora assai poco di pensioni integrative, un fenomeno limitato
a pochi e ristretti settori, ma le compagnie private di assicurazione iniziavano
l'assalto a questo nuovo mercato, anche sull'onda di quella campagna che
metteva in dubbio la solvibilit futura dell'istituto pubblico di previdenza.
In proposito Claudio scriveva: Non sono d'accordo quando si sostiene che
bisognerebbe puntare su una generale privatizzazione e una non meglio
identificata legge di mercato. L'errore sta soltanto nel prevedere, come
qualcuno fa, che questo campo sia interamente appaltato alle compagnie
private. L'INPS ha tutti i numeri per essere concorrenziale ("La Sicilia", 8 marzo
1984).
Da queste citazioni traspare la posizione di Claudio, condivisa peraltro dalla
delegazione CGIL, sul tema pi grande, quello della riforma delle pensioni che
stava fin da allora drammaticamente sul tappeto.
L'INPS stesso in quegli anni aveva presentato alcuni progetti di legge, rimasti
non accolti, perch in quell'epoca definita come giungla pensionistica, non
si voleva affrontare il problema degli squilibri esistenti tra le varie categorie di
pensionati e nemmeno l'incongruenza dei vari fondi pensionistici di categoria
con i relativi diversi trattamenti e diverse norme sull'et del collocamento a
riposo. C'era poi l'anomalia delle integrazioni al minimo concesse giustamente
a molti lavoratori privi del numero sufficiente di contributi, spesso a causa
dell'evasione dei loro datori di lavoro ma che, come lui ricordava di frequente,
concorrevano in misura importante al disavanzo dell'INPs, essendo i trattamenti,
pur se bassi, molto superiori a quanto sarebbe stato dovuto in proporzione ai
versamenti. Altro problema era quello delle pensioni di invalidit, dilatate negli
anni da una politica governativa clientelare, e addirittura estese ad una sorta di
sussidio di disoccupazione con il concetto di inabilit al lavoro collegato alla
zona di origine, e poi corretta da migliori regole e con la novit dei controlli
periodici.
Claudio riaffermava con forza la difesa e l'ampliamento del welfare state
come principio irrinunciabile e concludeva: ,<Dobbiamo conservare il concetto
della pensione come salario differito, proiezione del contratto di lavoro.
Fino all'ultimo Claudio ha partecipato anche alla elaborazione della linea
politica del Partito comunista. Di questo impegno sorprende che pochi giorni
prima della sua morte sia comparso un suo articolo sulla rivista "Rinascita".
Nell'imminenza del 17 Congresso del Partito, Truffi affrontava con un articolo
dal titolo I contenuti dell'alternativa democratica i temi di prospettiva per il
Paese, sostenendo la necessit di un programma di azione e di lotta fondato
sulla alleanza delle forze che puntano realmente al progresso. La data il 16
marzo 1986.
Epilogo
Sulla strada verso Reggio
Siamo cos approdati al 1986. La direzione dell'INPs era passata a Giacinto
Militello, designato dalla CGIL, col ruolo di presidente. Claudio conservava
nell'Istituto tutti i precedenti incarichi relativi all'organizzazione e al
personale.
Stavamo per strada, diretti a Reggio dove ci aspettava mio padre che
quell'estate avrebbe compiuto i novant'anni. Ad urta sosta a Bologna, Claudio
ha avuto un malore. Ricoverato all'Ospedale Maggiore in osservazione,
sembrava non grave. Nonostante gli interventi sanitari di protezione, verso
sera c' stato un secondo collasso, tragico, che si concluso all'alba con
l'arresto cardiaco.
Era la vigilia di Pasqua, 29 marzo.
Stranamente era accaduto in un'altra Pasqua, sette anni prima, che un primo
infarto, poi superato, l'aveva messo a terra. Si era fermato soltanto lo stretto
necessario per la convalescenza. Anche allora era stanchissimo - era ancora
alla FILLEA - e aspettava quella festivit per riprendere fiato. Stavolta venivamo
per la Pasqua per stare un po' con mio padre, ma in calendario c'era anche
una riunione INPS a Modena per il marted successivo.
Dalla citt di Reggio e dai lavoratori venuti da tutta Italia, Claudio ha
avuto un saluto di addio grandioso. Molti ricorderanno i funerali che hanno
riempito la citt. Sono venute colonne di autobus da ogni regione, comprese
Sicilia e Sardegna. Partito dalla sede dell'INPs, dallo storico palazzo di Piazza
Del Monte, il corteo confluito a Piazza Prampolini, dove hanno parlato dal
loggiato del Municipio Giacinto Militello e Manlio Spandonaro, Presidente e
vice Presidente INPS, il segretario nazionale degli edili Roberto Tonini, Otello
Montanari e il sindaco di Reggio, il pi appassionato, che era Ugo Benassi,
l'attuale presidente dell'Istituto "Alcide Cervi".
Tutti i giornali, e non solo quelli locali, ma anche le radio e le televisioni
hanno dato notizia di quell'evento.
Ho sempre detto che Claudio caduto in piedi, in piena attivit, come lui
stesso si augurava. Sentiva di essere pieno di energie e di avere ancora tanto
da dare, niente affatto timoroso, anzi felice, di confrontarsi coi giovani.
Come era nei suoi desideri, abbiamo deciso di tumularlo al cimitero di
Mancasale, vicino alla casa della sua giovinezza, dove riposano i suoi genitori.
Per chi lo volesse salutare, ancora l, nella celletta a destra dell'entrata.
Anche dopo molti anni, sia al sindacato che all'INPs tutti coloro che l'hanno
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conosciuto lo ricordano con rispetto, ammirazione e rimpianto. Noi della
famiglia con dolore.
Ritorno ideale a Sant'Ilario
Nell'ottobre del 2001 stata intitolata a Claudio Truffi a Sant'Ilario la nuova
sede del sindacato CGIL della zona Val D'Enza, che comprende otto comuni e
che quell'anno contava 12.788 iscritti su una popolazione di oltre cinquantamila
abitanti.
Il valore di quella intitolazione stato sottolineato con una bella cerimonia-
festa di inaugurazione, durante la quale ha parlato Carla Cantone, gi segretaria
nazionale degli edili e ora segretaria nazionale della CGIL. In quella occasione
hanno parlato anche il segretario Provinciale della Camera del Lavoro Franco
Ferretti, il segretario nazionale degli edili Franco Martini, il sindaco di Sant'Ilario
Sveno Ferri. I lavori erano iniziati con una bella introduzione della "padrona di
casa", la responsabile CGIL di zona Marzia Dall'Aglio. .
Con quella intitolazione, si pu dire - come ha osservato Carla Cantone
- che Claudio Truffi tornato a casa, nella sua terra, a testimoniare anche il
sacrificio di tanti reggiani che hanno trasmigrato per un ideale
Piccolo ritratto
La figura di Claudio Truffi descritta esclusivamente nella qualit di dirigente
sindacale e di uomo politico come vista a met. Conoscere l'altra parte,
quella privata, pu far comprendere che non vi pu essere disarmonia tra i
due aspetti. Anzi l'una parte giustifica e completa l'altra.
Claudio ci mancato molto. Ci manca molto.
Cofferati nel parlare di lui all'inaugurazione della sede nazionale di via
Morgagni, ha ricordato che i dirigenti sindacali hanno ben poco tempo per se
stessi e per le famiglie. Ha aggiunto che le mogli e i figli portano sempre una
buona parte del peso di quell'impegno.
Ci stato certamente vero anche per noi. Eppure Claudio ha sempre
trovato margini di tempo e attenzione per i figli e per me. Non ha mai mancato
di ritagliarsi spazi per la famiglia, sia nei primi anni coi figli bambini, che dopo.
Riusciva a parlare di tutto, ad interessarsi ai loro studi, a mandare una lettera
di ringraziamento ad un maestro supplente particolarmente bravo, ed anche
a interessarsi del mio lavoro, discutere di politica, di scuola e di universit.
Esigeva il massimo da tutti noi. Ricordiamo ancora con un sorriso la sua frase
abituale quando uno dei figli tornava da un esame universitario e diceva di
aver preso trenta, lui, invece di complimentarsi, ribatteva: .. E la lode? E intanto
sorrideva.
Spesso era serio; sembrava severo. In realt era un timido ma sapeva anche
essere allegro. Scherzava volentieri, specialmente con Cinzia, la moglie di mio
figlio Alberto, che con la sua verve romana lo stuzzicava e ne era ricambiata.
Ne nascevano gustose botte e risposte, a suggello di un reciproco affetto e di
molta stima.
Quando c'era un po' di tempo le sue passioni erano - oltre alla lettura
- il cinema e le bellezze di Roma e dell'Italia: musei, monumenti, chiese.
Teneva in gran conto anche la musica. Dai viaggi nei paesi dell'Est portava
quasi esclusivamente dischi di musica classica. Probabilmente grazie a quella
assiduit e metodicit di acquisto, i ragazzi sono entrambi diventati in materia
attenti e appassionati cultori.
Devo a lui e alla sua segretaria e mia cara amica Virginia Cristofari, se ho
potuto realizzare i miei primi giornalini scolastici, quando non erano ancora
disponibili le attrezzature a scuola, raccolti poi nel volume dell'editore Giunti
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Virginia si fermava fuori orario alla fotocopiatrice e talvolta mi sistemava i
fascicoli. .
Non voglio far credere che tutto sia stato rose e fiori. Mi capitato di
dire che con Claudio non sono mai riuscita litigare. Infatti, i miei scatti, la
mia permalosit, la mia impazienza si scontravano con la sua calma e il
suo autocontrollo. Poi, a qualche distanza di tempo, a volte di giorni, mi
chiedeva se mi era passata, perch in quel caso si poteva affrontare seriamente
l'argomento.
Gli anni dell'INPs, cio dall'80 al 1986 credo siano stati i pi duri per lui.
L'atmosfera e i rapporti di lavoro, la struttura burocratica para-ministeriale
era certamente molto diversa dall'ambiente e dal tipo di rapporti che
caratterizzavano il sindacato. Credo che abbia lottato con tutte le sue forze per
smuovere quel pachiderma di incrostazioni funzionali e di ritardi, di confronti
coi ministri, di scontri nel consiglio di amministrazione e con la dirigenza.
Mi sento un po' responsabile per averlo incoraggiato ad accettare
quell'incarico. Quando Lama glielo propose, Claudio non ne era molto
convinto. Aveva avuto l'infarto l'anno prima, ma ne era uscito bene e si sentiva
nel pieno delle sue energie. La prospettiva di affrontare un terreno nuovo e
difficile, per, lo preoccupava molto. Avendo io passato dodici anni in un
ministero soffrendone ogni giorno le carenze e le inefficienze, mi sembrava
bellissimo e pieno di prospettive che qualcuno di sinistra passasse dall'altra
parte della scrivania, non pi dove si lotta, si contesta e si chiede, ma dove
si pu concretamente "fare". Nemmeno io pensavo che sarebbe stata una
passeggiata, ma conoscevo la cocciutaggine le capacit e le idee chiare di
Claudio. Non so se i miei argomenti siano stati determinanti nel portarlo ad
accettare. Credo che abbia deciso da solo, ma di questo mio parere mi sono
rammaricata in seguito, quando ho dovuto constatare la portata della fatica e
delle sofferenze vere e proprie che quell'incarico e quell'ambiente gli hanno
provocato Anche perch quella sofferenza non stata certo estranea alle cause
della sua morte.
Sono stata due volte soltanto nella sede dell'INPs nazionale di via Ciro il
Grande. Una volta con Claudio, una vigilia di Natale. L'ultima dopo la sua
scomparsa.
Era una vigilia di Natale e stavamo in giro per commissioni quando Claudio
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si accorto di aver dimenticato quella mattina in ufficio la busta dello stipendio.
Per la prima volta ho visto dove lavorava il vice presidente di un istituto che
aveva un bilancio appena inferiore a quello dello Stato. Lo studio era vasto,
con arredamento normalissimo, di legno chiaro. La busta la ritrovammo sul
bordo del lavandino nel bagno. Voglio ricordare, per chi non lo sapesse, che
lo stipendio glielo corrispondeva la CGIL in continuit con quanto percepiva
in precedenza al sindacato degli edili, mentre il compenso che gli spettava
dall'INPs andava al sindacato. Di queste staffette contabili era portatore Giacomo
Tosi, membro del consiglio d'amministrazione che in precedenza era stato
amministratore alla CGIL.
Una seconda volta sono andata all'INPs per le inevitabili pratiche, dopo
diversi mesi dalla sua scomparsa. All'entrata ho dovuto dire chi ero e da chi
andavo. Ho visto i visi cambiare e fu come se volessero mettermi un tappeto
su cui passare. Diverse persone mi avvicinarono rivolgendomi parole non
obbligate di apprezzamento e di rimpianto per Claudio. Tutto il mio percorso
- non breve - andata incontri e ritorno, stato avvolto da questa atmosfera di
cui sono ancora grata e commossa.
Qualche anno fa, forse cinque o sei, mio figlio Alberto andato alla sede INPS
di via Amba Aradam per una sua pratica e dopo aver detto all'impiegato il suo
nome si sentito chiedere se ci fosse relazione con l'ex vice presidente dell'INPs.
A conclusione del tutto, l'impiegato - o funzionario che fosse - tir fuori da
un cassetto una lettera nella quale Claudio lo elogiava personalmente per il
suo ruolo avuto nel processo di decentramento. Dice Alberto che quel signore
era commosso, felice di constatare che il figlio dell'ex vice presidente andava
normalmente allo sportello a chiedere informazioni. Aveva evidentemente
nostalgia di quel tempo e di quella gestione e teneva quella lettera come una
reliquia.
VuoI dire che anche all'INPS non tutto andato perduto, se dopo tanti anni
ci sono lettere nei cassetti conservate come conforto e incoraggiamento.
l T. VERGALLI, Storia di una stajjetta partigiana, Editori Riuniti, Roma 2005.
2 N. CAITI, R. GUARNIERI, La Memoria dei "rossi", Fascismo, Resistenza e ricostruzione a
Reggio Emilia, EDIESSE, Roma 1996.
3 "Il sindacato era dunque in quel momento un fronte granitico nei confronti delle
controparti pubbliche e private e lo sciopero generale del 19 novembre per la casa,
che registr una partecipazione notevolissima, ne fu la dimostrazione pi evidente;
mai, infatti, sciopero generale riusc con tanta efficacia e il paese tutto ebbe modo
di constatare come il movimento sindacale riuscisse a mobilitare e a interessare non
solo l'intera classe operaia ma anche a scuotere l'opinione pubblica. CA. BONIFAZI. G.
SALVARANI, in Dalla parte dei lavoratori, Storia del movimento sindacale italiano, Franco
Angeli, Milano 1983, voI. IV p. 61).
4 E. DETTI, M. DI RrENZO, T. VERGALLI, Il giornalino scolastico in Italia, Giunti e Lisciani
Editori, 1982. p. 1 di 27.
BIBLIOGRAFIA
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- G. VERMICELLI, Babeuj, Togliatti e gli altri, Edizioni TA.RA.R, Omegna, apro 2000.
- M. BEGOZZI Ca cura dO, Tre volte trent'anni. Albino Calletti il Capitano Bruno, Istituto
Storico "Piero Fornara" di Novara, ott. 1998.
- Prima conferenza consultiva nazionale della CGIL, atti, Ariccia 5, 6, 7 ottobre 1967,
Editrice Sindacale, Roma 1968.
- FILZIAT-CGIL, 1944-1984, Atti del Convegno 40 anniversario FILZIAT, Roma 10-11
dicembre 1984.
- Convegno Lavoratori edili migranti, FLC, Federazione Lavoratori Costruzioni, Roma,
7, 8, 9 maggio 1975, Nuove edizioni operaie, Roma 1978.
- A. BONIFAZI, G. SALVARANI, Dalla parte dei lavoratori, VolI III e IV, Franco Angeli,
Milano 1976.
- L. BORTOLOTTI, Storia della politica edilizia in Italia, Editori Riuniti, Roma 1978.
- B. BEZZA, Lavoratori e movimento sindacale in Italia, - Morano editore, Napoli
1972.
- FILLEA CGIL, VIII Congresso Nazionale, Rimini 21-24 maggio 1973, Edizioni Sindacali,
Roma 1973 .
. - S. OLEZZANTE, G. MOSER, Costruzione di un sindacato. Le organizzazioni dei lavoratori
delle costruzioni dalle societ di mutuo soccorso alla FILIEA-CGIL, EDIESSE, Roma 1998 .
....: IX Congresso nazionale FILIEA-CGIL, Roma EUR Palazzo dei Congressi 26, 27, 28, 29
aprile 1977, Edizioni Sindacali. Roma 1977.
- Previdenza integrativa, Arnoldo Mondatori editore, Milano 1983.
- "Sistema Previdenza" 1982, Raccolta della rivista mensile dell'INPS dal n. 1 al n. Il.
- "Sistema Previdenza", 1983, Raccolta della rivista mensile dell'INPs dal n. 1 al n. 11,
pi numero monografico.
- Registrazione dell'inaugurazione della sede di zona CGIL di Sant'Ilario d'Enza, in via
Coventry, del 20 ottobre 2001.
- Pagine di Rassegna Stampa dell'INPs, anni 1980, 1986.
- "La Stella Alpina" settimanale dell'ANPI provinciale, Novara, a. 1946.
- "La Repubblica dell'Ossola", Edito dal Comune di Domodossola nel 40 anniversario,
ottobre 1984.
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Un tempo nel tempo.
Sassuolo e le trasformazioni del '900.
Giornata di studi - Sassuolo 29 maggio 2005*
Lorena Mussini
Presentiamo in questa sede, anche se un po' di tempo trascorso, la rassegna
di un interessante seminario che si svolto a Sassuolo nell'Aprile dello scorso
anno, sia per la sostanziale novit e l'estremo interesse delle tematiche trattate,
(la storia locale vista da una prospettiva geo-storica cio di analisi urbanistica
e socio-economica del territorio) sia per le forti implicazioni che riteniamo
possa avere anche per la storia di diverse zone del reggiano ormai inglobate
nel distretto industriale delle ceramiche.
Questa Giornata di Studi, collocata non a caso fra le iniziative previste per
il 25 aprile dal comune di Sassuolo, dal Laboratorio di didattica della storia
degli Istituti superiori sassolesi, dall'Istituto storico di Modena e dall'Istituto
Gramsci di Sassuolo ha visto numerosi relatori avvicendarsi ed offrire, coi loro
interventi, un panorama molto ricco di spunti e sollecitazioni sia sul piano
storiografico o di ricerca storica vera e propria, sia sul piano di una lettura
pluridisciplinare delle problematiche che un territorio pu presentare, in
un'analisi che ha saputo incrociare sguardi diversi e contributi provenienti da
vari ambiti di ricerche e di studio.
E d'altra parte la forte presenza fra gli Enti promotori ed organizzatori del
Convegno di tutte le Istituzioni impegnate a promuovere memoria, ricerca
* Organizzato da: Comune di Sassuolo- Laboratorio di didattica della storia di Sassuolo
- Istituto storico della Resistenza di Modena -Istituto Gramsci di Sassuolo.
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storica ed innovazione didattica a Modena e Provincia
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sta ad indicare una
volont precisa e concorde di farei costruire memoria percorrendo anche strade
"altre" rispetto all'approfondimento di temi inerenti i totalitarismi del '900 e
l'esperienza resistenziale delle passate generazioni, di cui chiaramente qui non
si vuole porre in discussione la rilevanza educativa rispetto ai giovani per la
formazione di una coscienza civile, ma relativamente alla quale va detto che
da molti, nel pi recente dibattito storiografico e didattico, stato evidenziato
il rischio di un eccesso di memoria provocato da una ridondanza di espressioni
celebrative e di operazioni di rielaborazione rituale rispetto a periodi o eventi
del nostro passato che, per quanto cruciali e fondanti siano stati, rischiano, per
effetto di queste forme di monumentalizzazione, di suscitare soprattutto nei
giovani pi un senso di rifiuto che non un'efficace trasmissione di memoria.
La memoria sembra invadere oggi lo spazio pubblico delle societ occidentali. Il passato
accompagna il nostro presente e si radica nell'immaginario collettivo, fino a suscitare quella
che alcuni commentatori hanno definito "un'ossessione commemorativa" amplificata con
forza dai media ... La sacralizzazione dei .. luoghi della memoria" d luogo ad una vera
"topolatria" e la rivisitazione permanente del passato recente produce inevitabilmente un
effetto di "saturazione della memoria"2.
Dunque, la scelta di fare geo-storia per costruire memoria scaturita anche
da queste considerazioni e si concretizzata in questa giornata di studi che si
voluta proporre anche come un invito a percorrere strade nuove di ricerca
storiografica e progettazione didattica, nella consapevolezza che esiste una
forte necessit di dare risposte adeguate a bisogni formativi e di orientamento
molto diffusi nei giovani, anche se latenti o a volte espressi in modo confuso o
improprio. Bisogni di un sapere storico che riesca ad incrociare le domande di
senso che ciascuno di loro formula rispetto al tempo presente ma anche (forse
soprattutto) rispetto al territorio di appartenenza, al suo passato e ai processi
che lo hanno caratterizzato e modificato.
Un territorio che _ spesso risulta ai loro occhi sconosciuto nelle sue
stratificazioni storiche o peggio che si configura come un non-luogo, cio come
orizzonte geografico privo di rilevanze storiche, indifferenziato nel suo tessuto
sociale ed economico, semplice sfondo di itinerari e spostamenti abituali, una
sorta di terra di nessuno che l'anomia dei dettagli e l'incomprensibilit delle
trasformazioni socio-ambientali rendono estranea e non riconoscibile come
luogo di appartenenza.
Ed ecco che l'intersezione dello spazio con il tempo agisce a livello
didattico come potente snodo tematico per una serie di percorsi decisamente
innovativi sia per l'intreccio pluridisciplinare che li caratterizza sia per l'elevata
possibilit di utilizzare linguaggi diversi, creando zone molto interessanti di
contaminazione fra saperi affini e contigui o, a volte, molto diversi.
Ma soprattutto a livello storiografico e metodologico che la storia ha molto
da guadagnare dall'incrocio con la geografia, perch - per usare le parole di
Teresa Insenburg - porta ad una maggiore attenzione agli aspetti spaziali,
cio al significato relazionale dello spazio sociale, alla valenza qualitativa della
diversit di scale, al vincolo temporale che le strutture orizzontali introducono
come elemento di inerzia e di condizionamento,,3.
E non si tratta ovviamente di giustapporre uno all'altro i vari aspetti studiati
dalle singole analisi parziali: la loro somma non pu restituire l'intero oggetto
d'indagine o la complessit del quadro.
Il problema rimane quello di porre questo filone di ricerca alla confluenza
di diversi intrecci disciplinari, intersecando non solo lo spazio e il tempo ma
anche metodologie di lavoro diverse e complementari: ad esempio, da un
lato l'uso di scale temporali e spaziali diverse per creare legami significativi
fra macrostoria e microstoria e il ricorso all'analisi critica delle fonti e dei
documenti in un approccio storiografico o di contestualizzazione dell'ipotesi
interpretativa che sono propri dell'indagine storica; dall'altro l'attenzione ai fatti
spaziali considerati come reti relazionali, l'insistenza sulle interconnessioni fra
quadri ambientali e le loro trasformazioni antropiche, basata sull'osservazione
di comportamenti concreti dei gruppi umani in un territorio, ed infine il dato
essenziale che un territorio non esprima nelle sue caratteristiche naturali un
"mondo chiuso" o "a s stante", tutti elementi questi propri della geografia
storica.
Sul ritardo che la geografia storica ha fatto registrare in Italia come ambito
di ricerca con uno status disciplinare riconosciuto, molto ci sarebbe da dire,
come sul perch in Italia questa disciplina abbia patito il pregiudizio culturale
di disciplina scomoda" o peggio relegata quasi a un esercizio di erudizione,
al contrario della Francia che ha avuto la "lezione storica" di Fernand Braudel
e di altri dopo e prima di lui, come Lucien Febvre, ma non possiamo qui
dilungarci sulla questione. Cos come non possiamo discutere le ragioni che
hanno determinato o determinano una certa marginalit del filone di ricerca
geo-storica nelle linee di sviluppo della storiografia italiana e della progettualit
didattica, per la quale rimandiamo ai contributi di Lucio Gambi riuniti nel
testo Una geografia per la storia, testo forse un po' datato che per racchiude
considerazioni ancora molto attuali sullo status della disciplina, a partire dalla
distinzione fondamentale fra "paesaggio" e "territorio" e ancora fra paesaggio
naturale (cio non modificato dall'uomo, dunque estremamente limitato) e
paesaggio agrario (quasi tutto il paesaggio conosciuto, in quanto modificato)4.
Una bella sintesi efficace, pi recente, delle questioni epistemologiche,
metodologiche e culturali legate alla disciplina si pu ritrovare nel bel saggio
di David Bidussa La geografia storica come antimito
5
.
Cos come vale la pena qui solo di accennare alla questione della scarsa
permeabilit della scuola italiana e dei programmi alla definizione, nei vari
assetti curricolari di studio, di un'area geo-storico-sociale che permetterebbe di
superare (forse) la separatezza che dalle elementari alle superiori, nell'ordine,
105
106
esiste fra storia, geografia, studi sociali, educazione civica, economia, diritto,
caratterizzando le diverse materie "di separatezze, divergenze, identit
confuse, sovrapposizioni, interferenze selvagge, gerarchie rigide fra i vari
insegnamenti che alimentano negli allievi forme di confusione, gerarchizzazione
opportunistica, dispersione. Nel caso particolare gli insegnamenti geo-storico-
sociali sembrano spesso ridotti al ruolo di materie di "serie B", aggiogate al
carro delle materie di "serie A" (italiano, latino, greco, filosofia, scienze naturali)>>
come bene ha sottolineato Maurizio Gusso in un suo saggi0
6
che risulta ancora
fondamentale per chi voglia progettare sul piano didattico-educativo percorsi
di geo-storia, grazie al significativo contributo dato dall'autore alla definizione,
all'interno del curricolo, di questa area di innovazione non solo didattica ma
anche di ricerca storiografica. Gusso ha discusso ed evidenziato con efficacia
anche alcuni aspetti culturali ed educativi in senso lato strettamente connessi
all'area geo storico-sociale , come l'educazione socioambientale ed ecostorica,
l'educazione interculturale, l'educazione ai diritti,civica e politica; aspetti che
la pratica didattica, la progettualit e le esperienze di molti insegnanti e la
ricerca successiva hanno ampiamente confermato.
Si tratta dell'indiscutibile valenza che riveste la conoscenza del territorio
per un'educazione interculturale o in senso pi ampio per la costruzione di
una cittadinanza attiva e consapevole, poich contribuisce potentemente a
destrutturare stereotipi e pregiudizi e, grazie alla lettura della complessit di
memorie e culture di cui portatore un territorio o tramite le domande poste
ai saperi territoriali che lo compongono,interviene a perseguire quelle finalit
formative fondamentali, come l'educazione alla pace, alla cittadinanza, alla
solidariet, allo sviluppo, al rispetto dell'ambiente e del patrimonio paesaggistico,
che spesso ritroviamo declinate nelle varie aree di progettazione educativa e
ricerca-azione didattica oppure diffusamente riportate in quei lunghi elenchi
di obiettivi educativi che, puntualmente, corredano i programmi ministeriali.
Dunque questa Giornata di Studio dedicata all'analisi del territorio di
Sassuolo ed alla sue trasformazioni ha risposto ad esigenze culturali, educative
e didattiche molto forti e dopo una prima parte della mattinata, coordinata in
rappresentanza del Laboratorio di storia di Sassuolo dalla preside Rosanna
Rossi, IPSSCT "E. Morante", interamente dedicata alla presentazione del volume
Comprendere la Contemporaneit-Itinerari di storia dal '900 ad oggi, frutto
di un interessante Corso di Aggiornamento sulla storia del Novecento per
insegnanti ed alunni, promosso qualche tempo prima dal Laboratorio di
Didattica della Storia di Sassuolo, in collaborazione cogli Enti sopra ricordati, i
lavori sono decisamente entrati nelle tematiche principali del seminario.
Moderatore e coordinatore delle due relazioni centrali della mattina stato
Fausto Ciuffi - Fondazione Villa Emma di Nonantola - che non ha mancato
di ricordare l'impegno degli enti organizzatori nel promuovere aggiornamento
ed innovazione didattica, sottolineando sia l'importanza di fare formazione
misurandosi con aspetti non marginali della storia del '900, ma con i nodi
fondativi di quella storia e soprattutto con le ricognizioni storiografiche che
l'hanno interpretata; sia anche, come nel caso specifico, sostenendo fortemente
lo studio della storia locale e pi in generale di un'analisi geo-storica del
territorio come piattaforma operativa per concrete sperimentazione didattiche
e per ulteriori momenti di formazione simultanea per insegnanti e studenti.
Egli ha richiamato la necessit di intrecciare sempre di pi il discorso
nazionale o mondiale dei processi storici con la dimensione locale che pu
diventare cos lo studio di un caso rispetto a fenomeni pi ampi o globali
ed ha insistito sui contributi fondamentali che discipline come l'architettura,
l'urbanistica, la geografia, storica ed economica, possono dare ad un
ragionamento complesso e capace di restituire le potenti trasformazioni in atto.
Ciuffi ha ricordato anche che, a suo tempo, studiosi di geografia importanti
come Lucio Gambi invitassero a non utilizzare mai come sinonimi termini
come territorio e paesaggio, perch solo nel paesaggio che agisce la storia
ed agiscono le presenze umane e lo sguardo che noi gettiamo sul paesaggio
non pura immagine o un dato naturale ma un dato che restituisce il portato
complesso di un processo storico, a volte anche di lunga durata.
I lavori si sono aperti con l'intervento di Vincenzo Vandelli, architetto con
una particolare vocazione per l'urbanistica, che nella sua relazione dal titolo
Sassuolo: "centro di discreta industria. Le trasformazioni urbanistiche ed edilizie
ha ripercorso appunto le modificazioni intervenute a Sassuolo, nell'ambiente
urbano e nel paesaggio circostante, a partire dalla fase ottocentesca del
proto-capitalismo dell'industria ceramica fino al secondo conflitto mondiale,
individuando in particolare tre momenti cruciali: 1) il periodo post -unitario di
fine ottocento, quando per c' gi un assetto industriale che si sta muovendo;
2) il momento della grande pianificazione nel primo decennio del '900,
quando lo sviluppo economico interviene a modificare gli spazi,definendo
gli agglomerati industriali e i connessi quartieri abitativi,delineando itinerari e
traiettorie di un'espansione che porter, anche nel periodo seguente, alcuni
tratti costanti e ben riconoscibili nell'impronta determinata dall'uomo sul
paesaggio circostante; 3) il piano del 1935 che alla base di quanto a livello
urbanistico a Sassuolo si vissuto fino agli anni '60 e '70.
Questo excursus, iniziato con una bella citazione di Antonio Gramsci che
recita cos "La toponomastica l'ultimo baluardo dell'ideologia, si avvalso,
oltrech di un ricco repertorio di foto, di cartoline d'epoca e di filmati, anche
del racconto di aneddoti ed episodi curiosi, come il primo consiglio comunale
di una Sassuolo post-unitaria, del 1862, in cui si d l'incarico ad uno storico
locale di redigere un elenco di nomi locali per conferire, attraverso i nomi, una
nuova veste al centro urbano e insieme rievocare identit storiche o personaggi
ritenuti fondamentali, in quel fervore di patriottismo post -unitario in cui si
riecheggiano ancora i fermenti di un Risorgimento locale. Oppure, quando
si avvia nel 1865 la ricostruzione del castello di Montegibbio e si sceglie lo
stile matildico,anzich bolognese, con l'intento di riconfigurarsi in un territorio
107
108
con la stessa identit storica e a questo scopo Matilde percepita come un
emblema importante non solo a livello locale, come colei che dato un' impronta
fondamentale a queste zone, ma anche a livello nazionale come colei che ha
raffigurato un baluardo contro l'invasore germanico ed stata sostenitrice della
Chiesa di Roma. Cos come risultato estremamente interessante sapere che uno
dei primi provvedimenti della nuova amministrazione post-unitaria sassolese,
liberale, composta dai maggiori possidenti locali e dai tre rappresentanti delle
tre industrie ceramiche presenti, fu quello di costruire il ponte sul fiume Secchia,
riunendo forze economiche del versante sassolese e reggiano, perch il ponte
era ritenuto fondamentale per lo sviluppo del territorio. Vandelli precisa anche
un aspetto forse inedito ma molto importante: i proprietari delle ceramiche
di questo periodo sono attenti a quello che succede all'estero,conoscono le
lingue, hanno un'ottima biblioteca in casa e posseggono un Museo nella loro
fabbrica. Questa attenzione per la tecnologia, questa curiosit per ci che
succede fuori, fa s che Sassuolo abbia in questi anni, tecnicamente parlando,
una produzione ceramica avanzata e diventi effettivamente il centro ceramico
pi importante in Italia, con un passaggio di produzione fondamentle: dalla
ceramica ornamentale e di stoviglieria alla ceramica di maiolica o piastrella a
pressatura a secco.
Il relatore riporta anche alcune notazioni in merito alla popolazione sassolese,
per far comprendere di che cosa si parla quando si parla della realt post-
unitaria e del grado di partecipazione alle decisioni amministrative o politiche,
precisando un particolare illuminante: a Sassuolo alle prime votazioni che ci
furono, su cinquemila abitanti, il dato comprende anche i borghi circostanti,
votarono in cinquanta.
Per lo sviluppo urbano della citt c' per un provvedimento importante
dell'amministrazione locale del 1902, quando una coalizione, detta progressista,
radicale e democratica, con un programma molto preciso che punta su alcuni
aspetti, attua la prima divisione della citt in poli: le strutture amministrative, le
zone annonarie,gli apparati industriali e i nuovi borghi residenziali. Infine, va
ricordato che l'immagine prevalente di Sassuolo dagli anni '20 fino al piano del
1935, e forse oltre, quella di Centro termale. Anche Modena, come Bologna
e Parma, vuole le sue terme, quindi c' una forte promozione delle terme della
Salvarola, con un deciso sviluppo residenziale sulle zone collinari. Le cartoline
e le litografie del tempo ci restituiscono un'immagine patinata di Sassuolo,
proprio in quegli anni drammatici del primo dopoguerra e dell'affermazione
del fascismo, viene cos propagandata da queste propagandata l'immagine di
un luogo ameno, di benessere, in deciso contrasto con il resto del paese.
Dal 1935 in poi fino agli anni '60 due fenomeni risultano essenziali nelle
trasformazioni del territorio:
a) il forte legame fra lo sviluppo industriale ed economico di alcune zone
e la configurazione complessiva del territorio, con una forte modificazione del
paesaggio e con conseguenze a vari livelli: socio-ambientale, paesaggistico,
viario,urbanistico ecc.;
b) alcune caratteristiche del territorio sassolese, cio variabili e costanti
delle trasformazioni territoriali, sono estendibili al versante reggiano, sia per
contiguit geofisica sia per gli stretti legami socio-economici fra le due sponde
del fiume Secchia che assumono via via una fisionomia simile e tratti distintivi
omogenei. Soprattutto quando si configura il distretto industriale vero e proprio
che inglober anche le zone limitrofe, creando quella sorta di "nebulosa"
che caratterizza quel territorio in un susseguirsi indifferenziato ed altamente
concentrato di industrie- abitazioni-infrastrutture.
La seconda relazione della mattina, dal titolo "Identit, memoria e
modernit nella transizione post-nazionale della citt italiana contemporanea"
stata tenuta da Mario Neve (Universit di Bologna, sede di Ravenna) che ha
analizzato il quadro generale delle trasformazioni della realt urbana come
sfondo dell'identit, della memoria e della modernit, allargando il discorso
alla scala nazionale, evidenziando per un approccio particolare e un po'
inusuale, in quanto non urbanistico, n architettonico, n artistico ma attento
alle strutture fondamentali della citt italiana che possono (o riescono) ad
incidere sulla sensibilit delle persone nel lungo periodo, cio formano intere
generazioni. In questa prospettiva il relatore ha sottolineato una qualit dello
spazio urbano, dimostrabile nel lungo periodo, che di tipo estetico, nel
senso pi lato del termine, cio in grado di determinare una particolare
sensibilit nei cittadini che, di fatto, usano lo spazio della citt ma lo usano
in modo abitudinario, riconoscendone percorsi e itinerari che interiorizzano.
Ed proprio questa abitualit, questa interazione con gli spazi e i percorsi a
creare quella coscienza urbana, quella sensibilit urbana di cui si parlava poco
fa e che ancora poco indagata perch poco appariscente.
Negli anni '60 lo studioso ricorda che a Sassuolo circolava un detto
popolare che recitava cos: Quando i sassolesi si trovano ad un bar, se sono in
quattro fanno una partita a poker, se sono in tre fanno un'impresa ceramica.
Egli osserva che, a parte il fatto che si parla di poker e non di briscola o
tressette e cio siamo gi nella fase di "americanizzazione" della societ del
secondo dopoguerra, c' un altro elemento importante che quello del gioco
e dei luoghi di aggregazione. Si sa che il gioco , ad esempio, per i bambini
un fattore importante di apprendimento dello spazio urbano. Cos come lo
sono tutti i luoghi di aggregazione nella citt. Ma il fatto davvero rilevante
per la storia urbana della citt italiana il grosso ritardo con cui si compie
questa urbanizzazione, conseguente al ritardo dell'industrializzazione. Perch
l'industrializzazione comporta la gestione di grosse masse di popolazione e la
gestione di problemi su scala urbana mai visti in precedenza. C' un fenomeno
in particolare cui dedica una certa attenzione Neve ed quello dell'adozione
di un passato non vissuto. Chi entra a far parte di una comunit, scuola o
citt - secondo Neve - adotta un passato di cui non ha esperienza diretta.
Ad esempio, chi studia storia, studia che il pap del suo passato nazionale
109
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Mazzini. Ma chi ha mai conosciuto Mazzini? Si potrebbe obiettare che ci
banale, ma in realt di tratta di un fenomeno importante cio del fatto
che ognuno di noi deve educarsi all'idea che quel passato Ca livello locale,
nazionale) tutto il proprio passato, compreso quello individuale e la propria
storia biografica.
La citt resta ed il principale elemento di costruzione di questo passato
non vissuto, perch esso si trova dentro lo spazio urbano come elemento
imprescindibile e lo determina a tal punto da farlo diventare il principale
e pi forte veicolo di trasmissione di ci che appunto si definisce "passato
non vissuto. Questo elemento determinante entra anche nel processo di
costruzione di un'identit individuale e collettiva che, storicamente parlando,
si definisce come risultato di un processo storico e sociale e non come fatto
naturale o spontaneo, ed entra comunque a far parte del vissuto individuale e
biografico, interagendo a tratti potentemente col processo identitario che resta
sempre il frutto di un'operazione culturale e sociale.
Neve prosegue osservando che la storia della citt italiana comunque
parte tutta quanta dall'opera degli ingegneri, prima idraulici, poi degli altri.
Infatti, nella fase ottocentesca di sviluppo urbano, quando lo spazio urbano
si definisce in contrapposizione alla campagna, la citt si sviluppa a partire
dall'ambito di gestione delle acque e poi si estende agli altri servizi. Poi viene
importata l'idea della Parigi del secondo impero, per cui l'ambiente urbano
deve essere essenzialmente un ambiente di mobilit, cio un ambiente che
favorisca la circolazione delle persone e delle merci e che si dovr adattare al
traffico destinato ad aumentare e ad incrementarsi. Un altro aspetto importante
che la citt comincia ad avere il problema dell'espansione urbana e questa
risulta sempre pi connessa alla rete ferroviaria e ai servizi. Le aree cominciano
ad avere valore per la vicinanza a questi servizi o a determinate infrastrutture.
Nascono anche i servizi di sottosuolo che poi condizioneranno il soprasuolo,
perch buona parte dei servizi fondamentali sono sotterranei ed questa rete
di servizi e di infrastrutture che condizioner l'espansione dell'agglomerato
urbano. Nascono nuovi luoghi di aggregazione: i parchi pubblici, i giardini,
il grande magazzino. Si profila anche un contrasto insanabile fra architetti ed
ingegneri. E nonostante l'archeologia come scienza risalga al '400-500 fino
all'800 non ci si mai posti il problema della conservazione dei centri storici.
Infatti, solo alla fine dell'800 nascono le Soprintendenze. Ma nella diatriba fra
abbattimento e conservazione dei centri storici, nelle citt italiane prevarr in
generale la conservazione di quegli scorci che richiamano vedute paesaggistiche
o di pittori o di artisti, cio prevarr il "bello" secondo lo sguardo dei vedutisti
del '600 e '700.
Il pomeriggio ha visto, dopo l'introduzione da parte del moderatore Paolo
Pantoni (Istituto Gramsci di Sassuolo) due interventi estremamente interessanti
di storia locale ed analisi del territorio sassolese. Il primo, tenuto da Tullio
Sorrentino CITCG "A. Baggi"), ha affrontato aspetti della storia economica
di Sassuolo e dello sviluppo industriale, con particolare riguardo per la
formazione del distretto industriale ceramico. Il secondo, curato da Antonio
Canovi (Universit di Modena e Reggio) ha trattato la questione dell'identit
distrettuale, con particolare attenzione per le trasformazioni sociali e la mobilit
migratoria della popolazione.
Pantoni, nel presentare i due relatori, ha richiamato l'importanza di questa
dialettica fra macrostoria e microstoria e la necessit di operare, sia a livello
di ricerca sia a livello di insegnamento, soprattutto nell'ottica di un confronto
sistematico fra storia locale e storia nazionale o storie pi ampie o diverse,
perch solo una cultura ed una conoscenza storica seria e rigorosa possono dare
una base concreta e fondata alla coscienza civile e alla partecipazione politica,
non solo dei giovani, ma anche degli adulti. La motivazione fondamentale
che - come ha osservato Pantoni - la storia locale crea uno spazio del
vissuto e permette un significativo dialogo fra generazioni e, pur sollevando
il problema dell'uso corretto delle fonti e delle metodologie investigative,
risulta estremamente importante nella costruzione di memorie e di identit
collettive.
Tullio Sorrentino ha iniziato la sua relazione sulla storia economica di
Sassuolo, dal titolo Il distretto industriale ceramico verso la globalizzazione,
partendo dall'analisi del fenomeno del proto-capitalismo italiano, quello di
manzoniana memoria per interderci, parlando delle prime industrie tessili o
setifici della Lombardia o comunque nella zona alto-padana e riprendendo dati
e riferimenti relativi a questo processo dal testo di R. Nazario, Il capitalismo
nelle montagne, di cui non ha mancato di sottolineare l'importanza.
Il relatore ha ribadito che anche a Sassuolo si ha questa fase di proto-
capitalismo seicentesco e settecentesco perch, mentre la corte trasferisce la
sue "delizie" nel palazzo ducale, compare un diploma di nobilitazione, una
certificazione della qualit della ceramica, che insieme una concessione
esclusiva dell'area per questo tipo di produzione ed anche una liberalizzazione
delle dogane al flusso di queste merci (ius privativo dell'area con annessi
e connessi delle stoviglierie ducali). La nascita della ceramica a Sassuolo,
collocabile fra il 1600 e 1700, legata a questo diploma di abilitazione, di
liberalizzazione, di qualit.
Dunque Sassuolo non "giovane" all'industria e se nell'area padana gi
lavorano migliaia di addetti fissi nei setifici o in altre industrie (a Bologna,
Venezia, Mantova, Modena) anche nelle stesse industrie ceramiche sassolesi
sono molti gli addetti alla produzione e i meccanici revisiona tori dei macchinari
che in quel periodo sono molto complicati e richiedono una particolare
manutenzione. La meccanica era complementare alla ceramica e la costruzione
dei macchinari per la produzione ceramica andava di pari passo con il resto.
Dopo il lungo "incunabolo" del '600 e '700, si ha un incremento decisivo
dell'industria ceramica dopo l'unit d'Italia, con uno sviluppo complementare
dell'industria meccanica per la ceramica. del 1903 un'importante Officina di
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meccanica ceramica a Sassuolo, nota con il nome del suo impresario, certo
Ceppelli.
Per i primi quarant'anni del '900 ci si sviluppa in questo modo, cio ci si
specializza in due settori essenziali per la produzione ceramica: quello chimico
e quello meccanico. Nel Censimento del 1938 il numero dei lavoratori addetti
all'industria supera di poco il numero degli addetti all'agricoltura e questo ci
fa dire che l'industrializzazione italiana non tutta concentrata nel secondo
dopoguerra. Sorrentino utilizza, a questo punto, una foto per visualizzare lo
sviluppo industriale di Sassuolo e l'impatto sul territorio, una foto scattata
nel 1944 da un ricognitore della Royal air farce che mostra un agglomerato
industriale fortemente concentrato nella zona intorno al ponte sul fiume
Secchia, snodo fondamentale al punto che in questo periodo bellico, subir
dodici incursioni ufficiali e decine di mitragliamenti e puntualmente verr
ricostruito dai tedeschi. C' ancora molta campagna intorno a Sassuolo, ma il
nucleo generativo industriale sassolese ben visibile. Sempre nella medesima
foto si vede che Sassuolo gi uno dei centri industriali di punta nella pianura
padana (la foto in scala 1 a 500). C' un centro urbano ben fatto e il centro
storico risulta ancora pi o meno coincidente con quello dei primi del '900,
che non era di molto pi grande dell'area di decastellamento dell'et moderna.
Ci sono gi industrie a ciclo completo di produzione, cio sotto lo stesso tetto
di una fabbrica si fa tutto il prodotto.
Un'altra foto del 1976, scattata con una scala tre volte pi alta, ci mostra
la campagna intorno a Sassuolo ormai invasa, assediata dall'espansione
industriale e abitativa: l'abitato raggiunge e satura gli spazi intorno al fiume;
l'industria sta mangiando il fiume. Gli urbanisti chiamano questo tipo di
espansione a macchia d'olio. Avevamo cio una rete urbana chiusa, ricalcata
di fatto sul centro urbano pi antico o poco pi. Ora invece abbiamo una
nebulosa urbana e verso Reggio Emilia, cio nel territorio limitrofo verso
Ovest, abbiamo lo stesso fenomeno, senza soluzione i continuit. Siamo
davanti al processo di formazione del distretto industriale ceramico. Le
imprese che sono presenti nel territorio sono oramai stabilimenti molto
grandi, per una grande produzione di massa. C' gi la monocottura e queste
ceramiche sono qualcosa di assolutamente diverso rispetto alle ceramiche
precedenti che erano molto pi simili alle smalterie o alle vecchie ceramiche
tradizionali dell'800 o alle mattoniere, anche se c'erano macchinari complessi.
Sono ceramiche in rete, sono le piccole corazzate di cui parla Aldo Bonomi,
cio le imprese distrettuali, de-territorializzate, <<multinazionali tascabili che
possono competere con colossi internazionali. Nascono legami economici fra
le ceramiche sassolesi ed altre industrie straniere. Questa crescita gigantesca,
che ha portato alla creazione del distretto industriale, si registra soprattutto
a partire dagli anni '60 ed in gran parte determinata dall'incontro fra la
tradizione produttiva della ceramica con un alto livello di maturit tecnologica,
dovuto al fatto che a partire da quegli anni fino ad oggi ci sono in questo
settore industriale forti investimenti tecnologici. Qualche dato per capire
questa incremento vertiginoso: nel 1946 ci sono quattro imprese ceramiche
a Sassuolo; nel 1957 ce ne sono sessantacinque. Si tratta, il riferimento
ad un master del 1966 di Romano Prodi, di un modello di sviluppo di un
settore in rapida crescita, in un territorio e un tempo piuttosto concentrato. Un
settore che resta complessivamente omogeneo, pur con la forte immigrazione
che richiama, perch c' anche un capitale-lavoro molto importante, cio c'
un'umanit molto competente o per usare altri termini, gli addetti al settore
sviluppano e portano competenze professionali molto elevate.
L'intervento dello storico Antonio Canovi conclude i lavori del pomeriggio
con una relazione dal titolo Sassuolo nel '900: riflessioni su identit
distrettuale, trasformazioni sociali, mobilit migratoria e prende le mosse
da un'affermazione di Edmondo Berselli curiosa ed interessante: "Sassuolo
- dice Berselli - in realt un frammento di Emilia, in una situazione
strana, n pianura n montagna, citt e terra di confine, di vita e di soglia
perch appunto, riprende Canovi, ci che colpisce di questa citt la sua
collocazione geografica e la sua conformazione come distretto industriale.
Come collocazione geografica in realt, come osserva il relatore, Sassuolo ha
in effetti questa posizione strana, quasi una sentinella nella vallata del Secchia;
n sopra, rispetto alla montagna, n sotto rispetto alla via Emilia, considerando
l'Appennino e la via Emilia come due posizioni geografiche ben precise. In-
realt Sassuolo sta anche al di l e al di qua del Secchia e questo forte legame
che ha con Reggio Emilia lo si vede anche soltanto ripercorrendo la storia del
ponte sul Secchia o la storia della ferrovia. La prima ferrovia nel reggiano
quella che va verso Sassuolo, prima che verso altri luoghi della provincia; la
rete ferroviaria che si determina alla fine dell'800 nei dintorni di Sassuolo
gi molto ricca ed articolata, e la vede al centro di una fitta rete di percorsi,
ma la prima tratta quella che va verso Reggio. Quindi, Sassuolo ha gi e
conserver un legame forte con Reggio Emilia. Anche nello sviluppo e nella
formazione del distretto ceramico, il ponte fondamentale, perch serve a
fare le stesse cose, sia di qua che di l. Una percezione chiara dell'espansione
della realt distrettuale di Sassuolo si ha anche dall'excursus demografico,
il cui andamento colpisce perch, se ancora nel 1861 Sassuolo risulta pi
piccolo di Formigine, poi diventa "polo di attrazione" per lo spostamento
della popolazione e lo diventa senz'altro gi negli anni '20 e '30 del '900.
Infatti, durante il periodo del fascismo si assiste ad un consistente sviluppo
della produzione ceramica, tanto che nel 1936 a Sassuolo l'industria al primo
posto fra le attivit produttive; mentre tutti gli altri paesi intorno, che non sono
percepiti ancora come distretto e neanche come comprensorio, sono totalmente
diversi nelle loro attivit economiche prevalenti. Anche l'Emilia Romagna
stessa non una regione che negli anni '20 e '30 ha questo passaggio di forte
industrializzazione, perch lo avr, in maniera visibile e diffusa, negli anni '50
o meglio a met degli anni '50. Sassuolo, quindi, ha una sua eccentricit, non
113
114
solo geografica, ma anche rispetto ad una lettura macroregionale dell'industria
lizzazione. anche evidente, come ha osservato Canovi, che non si tratta solo
di un problema di pionierismo industriale ma che si tratta anche del problema
di come si fa, a Sassuolo, a mantenere e conservare questa fisionomia, questa
identit distrettuale di industria delle ceramiche, per quel forte intreccio che
esiste fra capitale umano, investimenti tecnologici e specializzazione di un
filone produttivo "tradizionale" (come vocazione di un territorio) di cui si
gi ampiamente discusso.
Sassuolo, dunque, ha questa fase industriale precoce rispetto a quello che
sta intorno. E la prima immigrazione a Sassuolo si ha, negli anni '20 e'30,
dalla vallata del Secchia e dalla montagna. Si scende a valle e poi si riparte per
altri paesi. Infatti, molte persone sono di Sassuolo, ma sono nate in Francia,in
Svizzera, in Belgio: c' un consistente flusso migratorio fra Sassuolo e questi
paesi ed anche verso l'Argentina, per motivi economici, di lavoro o motivi
politici. Quindi, dentro a questa identit c' anche l'esperienza di un viaggio,
l'esperienza di vita e culturale di uno spostamento che ti porta o riporta a
casa. Non si d, infatti, storia del tempo presente che non scambi qualcosa di
importante con l'identit, con la storia delle memorie con le storie individuali
e con le storie dei luoghi.
I dati del secondo dopoguerra mostrano una Sassuolo in forte crescita
demografica. Ci sono tassi molto elevati di crescita di popolazione, specie
immigrata dal Sud, negli anni che vanno dal '51 al '61 e Sassuolo mostra di
possedere gi una scarsa vocazione emigratoria rispetto ai Comuni circostanti,
perch a Sassuolo, in quegli anni, la gente arriva pi che andarsene; invece
negli altri comuni la popolazione emigra anche, oltre che immigrare.
Questo respiro distrettuale molto evidente negli anni '60, quando ormai
la formazione ed anche la configurazione geografica del distretto industriale
delle ceramiche si accentuata ed diventata molto chiara. Canovi ha anche
precisato che negli anni '73-75, gli anni della crisi energetica, la prima vera
grande crisi industriale che abbiamo conosciuto, c' un mutamento dei
comportamenti nella realt demografica e migratoria, perch a Sassuolo si
assiste ad un rientro di emigranti meridionali che dalla Germania o dal Nord
Europa ritornano in Italia a e non tornano a Taranto o alloro paese di origine,
ma si fermano in Emilia, a Sassuolo che diventa cos un grossa bacino di
manodopera.
Stiamo parlando anche di memoria e di identit. Come riconoscere, dunque,
le memorie e le culture che abitano un territorio? evidente che la storia ha a
che fare con i confini, qualunque storia, a qualunque livello, anche nazionale.
La storia ha bisogno di confini, ha bisogno della geografia, ha bisogno di un
mondo in cui fissarsi. La storia delle memorie e delle culture che stanno in
un territorio qualcosa di importante. Altrettanto importante un racconto di
questo processo, anche pubblico.
Il relatore ha sostenuto che facciamo fatica a rappresentare la complessit.
Che non vuoI dire chiedersi che cosa succede in Cina, ma che significa
chiedersi che cosa succede a chi fa parte di una realt locale e ha una storia
che non sta dentro ad un certa tradizione. Cercare delle risposte in questa
direzione - ha aggiunto Canovi - sarebbe un obiettivo importante. Cos come
sarebbe interessante recuperare un discorso di geo-storia fra le due sponde
del Secchia, risalire alle forme di relazione che hanno intessuto legami molto
forti fra le due sponde dal punto di vista dei saperi territoriali, delle forme
di relazione, delle reti, della costruzione di un'identit che va al di l delle
divisioni amministrative e territoriali.
La fine dei lavori ha visto alcuni interventi conclusivi di docenti che
hanno fatto parte per diverso tempo del Laboratorio di didattica della storia
di Sassuolo, per la condivisione di riflessioni a vari livelli, storiografico,
didattico, progettuale ed anche di memoria o testimonianza rispetto alla storia
del territorio sassolese oltre ad alcune richieste di precisazioni da parte dei
presenti in merito alle relazioni pomeridiane.
Qualche rapida considerazione in conclusione solo per sottolineare che
la buona riuscita dell'iniziativa dipesa certamente dalla ricchezza delle
tematiche e dalla capacit dei relatori di affrontare discorsi complessi,
ricorrendo anche all' ausilio di supporti multimediali, ma probabilmente l'esito
positivo del seminario dovuto al fatto che le problematiche trattate sono
risultate estremamente attuali, non soltanto sul piano della ricerca storiografica
o dell'insegnamento del '900 e, pi in generale, della disciplina storia, ma
proprio sul piano della nostra esperienza di appartenenza ad un territorio, del
nostro senso di sentirci o meno cittadini del territorio in cui viviamo e rispetto
al quale poco importa che sia quello che ha visto la nostra nascita o quella
dei nostri nonni, perch questo territorio si gi profondamente trasformato
e continua a farlo ad una velocit piuttosto elevata, al punto che rischiamo
di non saperlo pi comprendere o leggere. Cos come evidente che la geo-
storia risulta, allo stessO tempo, importante e "problematica" perch ha a che
fare con una delle questioni pi spinose ed irrisolte che il '900 ci abbia lasciato
in eredit: quella dell'appartenenza e dell'identit. il caso di riprendere le
parole di Bidussa che, qualche anno fa, scriveva preoccupato di una carta
geografica che sembra essersi rimessa pericolosamente in movimento negli
ultimi anni, nuovamente carica di simboli, in cui le coordinate di ci che
abbiamo storicamente assimilato come confine si presentano come territorio
di contesa,,7.
Per questo il discorso geo-storico pu diventare fondamentale per una
storia che sappia instaurare un rapporto, il meno ideologico e il pi aperto
possibile, con la storia dei gruppi umani in relazione agli spazi da essi abitati.
In altri termini, la grande valenza storiografica e formativa della geo-storia
risiede proprio nel fatto di essere un potente antidoto ad una geografia politica
intesa come etnicizzazione dello spazio e antropizzazione del paesaggio. Ed
essere altres un potente correttivo metodologico per usi falsificanti sul piano
115
116
ideologico della storia locale. Rispetto alla quale va detto, sia pure brevemente,
che non solo permane una sorta di ambiguit educativa e disciplinare in
senso stretto nei nostri programmi scolastici e piani di studio individuali o di
istituto, ma anche che questa, come la geo-storia, ha patito spesso gli effetti
di una dichiarata diffidenza da parte di certa storiografia ufficiale che l'ha
relegata spesso alle cronache o alle ricerche degli eruditi. Della storia locale
invece ribadiamo che va recuperato e potenziato il contributo fortemente
educativo e formativo perch favorisce una visione problematica e critica dei
fenomeni storici e perch, paradossalmente ma non tanto, la delimitazione
geografica e spaziale che la caratterizza, cio la scala locale, favorisce e facilita
la comprensione di fenomeni pi ampi, cio di processi storici in atto a livello
mondiale.
Infine risulta chiaro, anche alla luce di quanto emerso sia dalle relazioni che
dalle riflessioni qui prodotte, che va depotenziata una storia locale fortemente
intrecciata all'identit, quasi ne fosse il "cemento" o fosse assunta come unico
collante per un'identit avvertita come debole o che si sta sfaldando. Va invece
incentivata una storia locale che contribuisca in senso critico e problematico
alla riedificazione di un'identit consapevole della complessit e delle questioni
che si stanno muovendo.
Vorremmo concludere queste osservazioni utilizzando ancora le parole di
Bidussa perch molto illuminanti e significative, anche a proposito delle realt
che stiamo vivendo, quando egli afferma, ricordando lo scarso seguito della
lezione di Lucien Fevbre e parafrasando Hannah Arendt, che:
La carta geografica in questa fine secolo si messa rapidamente in moto, spesso secondo
un criterio che tende a sacralizzare lo spazio in nome di una ritrovata o rifondata identit
collettiva.
Lo spazio, allora, divenuto sacro, sembra non sopportare vincoli o ibridazioni in quanto
supposto specchio e luogo depositario dell'anima. Lo spazio sintetizza cos individui
associati, anzi meglio, li rappresenta e li sostanzia nella loro identit. Parla per loro, al
posto loro. Cos a uno spazio omogeneo si chiede che corrisponda uno omogeneo. Non
la paura dell'altro, o almeno non solo. la trasformazione della societ in gruppi di identici.
La geografia diviene cos il segno di una rinnovata ansia di tribalismo. [, .. 1
Ma chiediamoci: la geografia solo fondamento territoriale? Oppure l'ambiente ha una
storia? E questa storia solo di tipo tribale o anche il risultato di scambi?8.
Crediamo che una delle sfide culturali pi impegnative e difficili del
tempo presente sia proprio questa: quella di depauperare, destrutturare la
presunta, spesso mitizzata, identit fra individuo e suolo, fra etnia e territorio,
problematizzando la relazione fra cultura e spazio. Una sfida ancora tutta
da giocarsi sia sul piano didattico-educativo sia sul piano della ricerca
storiografica.
l Fra i promotori della Giornata di studio ricordiamo: il comune di Sassuolo-Servizio
attivit culturali; il Laboratorio di Didattica della storia-Rete degli Istituti superiori
di Sassuolo; l'Istituto storico di Modena, l'Istituto Gramsci di Sassuolo e il CSA di
Modena.
2 E. TRAVERSO, Storia e memoria. Gli usi politici del passato, "Novecento", rivista
dell'Istituto storico della Resistenza di Modena, 2004/10, p. 9, cui rimando per l'estrema
ricchezza delle questioni, anche metodologiche, trattate. Sulle problematiche inerenti
la trasmissione della memoria e l'uso delle testimonianze ricordo che anche ISTORECO e
l'Istituto storico di Modena hanno dato, nel corso degli ultimi anni, numerosi contributi
importanti attraverso convegni, seminari e pubblicazioni, anche accolte nelle proprie
riviste. Per brevit qui richiamo due iniziative davvero interessanti: il Convegno
promosso da ISTORECO ed altri soggetti nell'ottobre 1999 col titolo Sulle tracce di Anna
Frank: persecuzioni, giovani, memoria e, pi recentemente, il Convegno svoltosi a
Carpi nel dicembre 2005, a cura dell'Istituto storico di Modena, della Fondazione
Fossoli e Fondazione Villa Emma, dal titolo "Il racconto del testimone dopo il '900:
parole della memoria e discorso storico".
3 Presentazione di T. ISENBURG in M. RONCAYOLO, Storia e Geografia. 1 Fondamenti di una
complementarit, "I Viaggi di Erodoto", 1999/37, p. 33.
4 L. GAMBI, Una geografia per la storia, Einaudi, Torino 1973.
5 D. BIDUSSA, La geografia storica come antimito, "I Viaggi di Erodoto", 1996/30, p.
98.
6 M. Gusso, Area Geostorico-sociale, Quaderno n. 8, supplemento a "I Viaggi di
Erodoto", 1994/24. Riedito nel testo pubblicato dall'Associazione Clio 92 "Oltre la
Storia", Edizioni Polaris, Ravenna 2000.
7 BIDUSSA, La geografia storica come antimito, cit., p. 98.
8 Ivi, p.105; cfr. H. ARENDT, Le origini del totalitarismo, Comunit, Milano 1989, p. 317
e sgg.
117
Gli Albi della Memoria:
le tecnologie informatiche,
supporto essenziale per la ricerca storica
e perla conservazione attiva della memoria
Amos Conti*
Introduzione
Il progetto di realizzazione e messa in rete degli Albi della Memoria stato
attuato presso ISTORECO come naturale prosecuzione e completamento di una pi
ampia attivit svolta negli anni 2003-04 per la formazione e l'informatizzazione
degli Albi relativi ai Caduti e Decorati delle due guerre mondiali, sia militari
sia civili.
Si riscontrava ancora, infatti, una certa carenza di quadri d'insieme, che
offrissero al tempo stesso un'evidenza nominativa e numerica complessiva
del "tributo" di vite umane pagato dalla collettivit della provincia reggiana
nei due grandi conflitti. Ci nonostante che, in pratica, ogni Comune, frazione
o piccola localit abbia nel tempo fatto la conta dei concittadini caduti,
fissandone la "contabilit" e la "memoria" su pubblicazioni di carattere locale
e sui monumenti, lapidi e cippi sparsi nel territorio
1
.
L'attivit svolta nel periodo indicato ha rappresentato una ricerca di fonti
dettagliate idonee a costruire dei quadri d'insieme, ricerca pertanto mirata
* Un ringraziamento particolare per la collaborazione all'iniziativa a: Massimo Storchi,
Michele e Marcello Bellelli, Nazzaro Benati, Giovanni Fontanesi, Eva Lucenti, Lella
Vinsani. Flavio Iori, Anna Fava.
119
120
alla raccolta di archivi od elenchi nominativi di chiara attendibilit gi
formati presso sedi ed organismi istituzionali od associazioni riconosciute per
legge. L'opportunit di avvio di questa particolare ricerca stata offerta dal
capitolo relativo alle Vittime civili della guerra 1940-45. Una realt poco nota
nella sua ingente consistenza, seppure oggetto di alcuni approcci di prima
approssimazione in passato
2

Sulla scorta della promettente acquisizione intervenuta in tale campo, meglio
descritta oltre, si poi delineata una serie di archivi di possibile acquisizione
ed informatizzazione, cos definita:
- Vittime civili guerra 1940-45
- Caduti militari guerra 1940-45
- Caduti partigiani guerra 1940-45
- Caduti militari guerra 1915-18
- Caduti nelle guerre d'Indipendenza, Africa orientale, Libia, Spagna
- Decorati di tutte le guerre
- I Civili deportati della guerra 1940-45
- I Militari internati della guerra 1940-45.
Le Vittime Civili 1940-45
La fonte fondamentale stata rinvenuta con una ricerca presso l'Associazione
vittime civili di guerra di Reggio Emilia, che ha collaborato attivamente alla
stessa. Il risultato stato il reperimento, fra materiale d'archivio d'incerta
destinazione, di una serie completa di elenchi manoscritti, con numerosi dettagli
personali e distinti per lettera alfabetica, formati nel ravvicinato dopoguerra.
Gli elenchi contengono i nominativi sia dei Caduti che dei Feriti vittime di
eventi bellici diretti o riconducibili alla guerra (esempio scoppio di ordigni in
tempi successivi). In accordo con l'Associazione si prodotta copia di tutti gli
elenchi, avviando quindi il lavoro di archiviazione informatizzata, conclusa a
fine 2003.
Nella sostanza la fonte pu essere considerata ampiamente attendibile ed
esaustiva poich l'Associazione costituiva per i famigliari delle vittime il canale
di assistenza quasi obbligato per dar corso alle pratiche di risarcimento o di
pensione presso gli enti preposti, agli eventuali ricorsi e cos via. Ci non
esclude che qualche nominativo non sia compreso negli elenchi, o che alcune
delle informazioni riportate siano imprecise od incomplete. Ovviamente
la rilevazione di errori, o l'omissione di nominativi o di dati, da parte di
chiunque vi abbia interesse, dar luogo a conformi aggiornamenti dell'archivio
informatizzato, mentre per parte propria Istoreco terr conto di eventuali
elementi di riscontro ed integrazione emergenti da ogni altra attendibile ricerca
o fonte.
Un cenno particolare si rende opportuno per la suddetta Associazione,
oltre che per la sua meritoria attivit, anche per la sua storia. Essa venne
costituita con Foglio disposizioni, per ordine del duce (Benito MussolinO,
NAZIONALE FA'SCISTA
PARTITO
A N N O
XXI
ROMA. SEDE LITT0R1A(Eoro,Mussolini) -,Ro.IVI A
19 4 :3
FlILIDBI
POSlltoNI 1i9

A.SSOCIAZIONE NAZIONALE 'f\MIGUE CADUTi! MUTiLATI'
E. INVALIDI CIVIU PER, NEMICI
,\. appl!ovato il ilaguente dell'i. Caduti, mmi
e in\"alidi civili !?er r '" .
DENOMlNAZ:1GN$ .;";SEDE ,SCOPI
AH;:,(:t,'
Peio ol'iue !.faI DUCE costituita.l'A$$POI.:\.ZIONE lt.\MIGLIT.
CADUTI. 1!UTILATI E ThvAL!D! T BOM:l3.Uitt\,\IE:\'TI NE1ITOL
, " -j'>;'''. '
Art.
L' .\:>''lo(,iu.ziolle ha' !ielle iu. H,cJUUl. C si. prOlJime i alli:
',:tt", ballare vivo Il egl I italiani il seutimen!,cl l'icotlof:!(:elll!.ll. ... le verlSO
culo1'O Italla tJ:l,m:eE.l del fronte Hlemo, l:iol'[rollo le delle 1;'\.1'b'\.l: Rggl"e.'i
5oni COl!l.I'O h.\-. vita. el! i 1.10111 delle P\lflUhll1iulli I"h"m, in e!-lso, 11ft! tamplI
l'oLlIO' e il, ditlvrezzo l'l.UUInl:1.11U nemko;
Decreto istitutivo Associazione vittime civili (parte).
con la denominazione di "Associazione nazionale famiglie caduti, mutilati e
invalidi civili per i bombardamenti nemici". La data istitutiva, 26 marzo 1943,
seguiva alle prime devastanti incursioni aeree alleate sulle citt italiane, forse
nel tentativo di attenuare la rabbia popolare per le immani conseguenze
portate dalla guerra anche sulle popolazioni inermi.
A fine conflitto, con vari provvedimenti normativi, l'Associazione assumer
l'attuale denominazione (da ultimo con Decreto CPS. 19 gennaio 1947), con la
parallela estensione delle competenze a favore delle Vittime civili di guerra in
dipendenza di qualunque tipo di evento bellico.
121
122
Figura 1
La sintesi numerica dei soggetti memorizzati per la provincia di Reggio
Emilia riportata alla Figura 1. Il dato di 1594 Caduti civili in pratica conferma
quello di 1220, che Guerrino Franzini, nell'opera citata in nota, stimava pari
all'80 percento circa del reale.
I Caduti militari della guerra 1940-45
Allo stato attuale, pur trascorsi oltre sessant'anni dalla fine del conflitto, non
risulta effettuata alcuna pubblicazione nominativa ufficiale per l'intero territorio
nazionale. In tema di puri dati numerici la pubblicazione pi accreditata
quella del 1957 edita dall'rsTAT
3
, costruita tramite una raccolta dati effettuata
presso i comuni italiani. A confronto con la fonte successiva i dati complessivi
rSTAT per la provincia di Reggio Emilia risultano comunque sottostimati (2900
Caduti contro oltre 3100).
La sede istituzionale competente in materia di Albi dei Caduti militari
esclusivamente il ministero della Difesa, tramite la Divisione dell'Albo d'oro.
Come accennato nessuna pubblicazione stata sin qui effettuata, per ragioni
non tutte intuibili ma da ritenere in maggior parte riconducibili alla controversa
questione della qualificazione combattentistica dei Caduti nelle file della
Repubblica sociale italiana (Rsr altrimenti detta Repubblica di Sal).
A fronte di una formale richiesta il suddetto dipartimento ministeriale ha
comunque fornito ad rSTORECO un elenco nominativo dei Caduti militari della
provincia contenente numero 3130 soggetti con i relativi dati segnaletici, ivi
compresi numero 435 Partigiani in quanto equiparati ai combattenti inquadrati
per effetto del D. LGS. LGT. n. 518/1945 eD. LGS. CPS n. 93/1946.
Tale elenco stato integralmente ripreso, creando uno specifico Albo
informatizzato. Considerata la funzione e l'ufficialit della fonte legittimo
ritenere che l'elencazione fornita sia sostanzialmente completa e corretta nelle
singole informazioni. Tuttavia anche in questo caso valgono le riserve di
aggiornamento dei dati che risultassero carenti od errati a seguito di ricerche o
confronti su eventuali fonti locali, nonch per effetto di eventuali provvedimenti
di legge che dovessero estendere le categorie di soggetti riconoscibili come
belligeranti.
I caduti partigiani 1943-45
Per questo capitolo la Fonte assunta costituita dall'Albo d'Oro dei Partigiani
della Provincia di Reggio Emilia
4
. Esso comprende numero 616 caduti, con
relativa foto ed un breve profilo biografico. Al fine di assicurare l'integrale
trasposizione della fonte, nonch i confronti con essa nel tempo, tutti i relativi
dati sono stati memorizzati in apposito Albo, evidenziando con specifiche
annotazioni le reciproche compresenze in quello ministeriale precedente.
All'elenco ripreso sono poi stati aggiunti ulteriori 54 nominativi di Caduti
combattenti con le forze partigiane reggiane, ma originari di altre province e
di altri stati (in particolare russi ed inglesi), reperiti da annotazioni in calce
all'Albo d'oro suddetto, raggiungendo cos una consistenza di 669 soggetti.
I caduti militari della guerra 1915-18
Rappresentano il capitolo di pi imponente consistenza fra tutti i conflitti.
La formazione del relativo Albo provinciale avvenuta recuperando tutti i
nominativi, con tutti i relativi dati presenti, dall'Albo d'oro edito dal ministero
della Guerra nel 1926
5
.
In materia sono stati pure reperiti elenchi redatti dai Comuni nel 1937,
su richiesta dell'autorit militare, elenchi di cui si dir oltre e che, ad un
primo sommario esame, evidenziano qualche discrepanza con i dati
emergenti dall'albo ministeriale, opportunamente raggruppati. Non essendo
nell'immediato possibile individuare tutte le discordanze e le relative ragioni,
con ogni probabilit dipendenti anche da criteri diversi seguiti dalle due
sedi nella formazione dei rispettivi elenchi, si scelto di utilizzare la fonte
ministeriale, richiedendo anche la collaborazione dei Comuni reggiani per
un'operazione di confronto capillare tramite il quale effettuare gli eventuali
aggiornamenti necessari. Analoga collaborazione stata richiesta relativamente
agli altri Albi qui descritti.
Nel complesso sono stati memorizzati numero 6032 Caduti. Un numero
davvero imponente, a testimonianza delle caratteristiche di vero e proprio
massacro assunto dalla forma di guerra allora dominante, la cosiddetta "guerra
di posizione". La "contribuzione" dei civili alla contabilit di morte risult allora
nel complesso modesta, a confronto del secondo conflitto mondiale 1940-
45, che, "grazie" alla "guerra di movimento" ed all'uso massiccio dell'offesa
aerea, ha registrato una crescita ingente con numeri finali di Vittime civili
paragonabili a quelli dei caduti militari.
Il dato numerico reggiano dei caduti della grande guerra evidenzia a prima
vista un rapporto di circa 1 a 100 con quello complessivo nazionale, pari a circa
600.000 caduti. Tale rapporto risulta proporzionale ai dati di popolazione, con
una "equit" di carico attribuibile anche al fattore della coscrizione obbligatoria
allora vigente.
123
124
Su base locale il dato complessivo appare in tutta la sua sconvolgente atrocit.
I 6000 caduti reggiani costituivano quasi il2 percento della popolazione di allora.
Considerando per che essi erano tutti maschi e per oltre 1'80 percento giovani
di et comprese fra i 19 ed i 33 anni, ben- si evidenzia come la percentuale
della popolazione di quella giovane fascia di et sacrificata sia valutabile nel
16 percento. In pratica 3 giovani su 20 morirono ed una famiglia reggiana su
lO sub delle perdite, a cui si devono aggiungere le migliaia di feriti ed invalidi
permanenti. Un tributo umano, ed evidentemente anche economico, destinato
a pesare in seguito su intere generazioni di cittadini.
I Caduti nelle guerre d1ndipendenza, Africa orientale, Libia,
Spagna
Alla formazione di questo Albo si pervenuti recuperando un fondo
documentale di rilevante valore per la memoria locale, fondo praticamente
trascurato se non quasi dimenticato, oltre che molto esposto a rischio di
deterioramento. Trattasi del materiale conservato presso il Sacrario militare
di Reggio Emilia, costituito da elenchi di caduti e decorati per ciascun
Comune della provincia e da fotografie di gran parte dei medesimi (circa 3000
complessivamente). L'operazione di recupero dei dati e del materiale si resa
possibile grazie alla fattiva collaborazione delle Associazioni d'arma reggiane,
che hanno in custodia i predetti locali e la documentazione (locali ora inagibili
e materiale trasferito in sede provvisoria).
La storia relativa merita di essere brevemente descritta. La realizzazione
del Sacrario, avvenuta nel 1937 ad iniziativa delle autorit politiche e militari
cittadine, si proponeva di consacrare e onorare le glorie militari reggiane"
in ossequio ad una concezione politica tendente a suscitare "ardente fede
ed entusiasmo guerriero" [vedi foto 1 e 2], ... i cui nefasti risultati sarebbero
purtroppo ricaduti sulle spalle delle popolazioni di li a poco tempo.
Il complesso sacrale fu ricavato all'interno della caserma "Rainero Taddei,,6
(Via Emilia San Pietro, Reggio Emilia), allora sede anche del Distretto militare
e raccoglieva cimeli bellici, gli elenchi dei caduti e decorati delle guerre
d'Indipendenza, di Africa orientale, Libia e Spagna, oltre ad un ragguardevole
corredo di ritratti fotografici. Giova ricordare come in effetti la formazione
degli elenchi e la raccolta delle fotografie personali sia stata opera esclusiva
dei Comuni. L'inaugurazione avvenne il 24 maggio 1937, in coincidenza con
la celebrazione del 22 anniversario dell'entrata dell'Italia nella grande guerra
1914-18, con ampio sforzo di propaganda e di iniziative collaterali, oltre alla
dedica di tre vie a caduti in Africa orientale: Calderini, Franzoni e FranchettF.
L'iniziativa sembra sia stata di tipo esclusivamente locale, non risultando
reperite in materia norme od istruzioni su scala nazionale.
Su questo materiale di documentazione ISTORECO ha potuto attuare alcuni
importanti interventi conservativi, quali:
- la duplicazione degli elenchi mediante fotocopiatura;
Foto 1. Pagina giornale "Il Solco Fascista" 25 maggio 1937 (parte).
- la memorizzazione di tutti i dati
ivi contenuti, mediante creazione
degli Albi informatizzati dei caduti
guerre diverse e dei decorati;
- la riproduzione in fotografia
digitale del materiale fotografico
(riproduzione effettuata a blocchi
e richiedente ulteriori passaggi di
elaborazione e di abbinamento
ai nominativi - attivit in pratica
conclusa).
Le risultanze numeriche si
riassumono in numero 290 soggetti
per i caduti guerre diverse, 409 per
i decorati, oltre 6000 per i caduti
della guerra 1915-18, tenendo per
presente che per la costruzione
dell'Albo informatizzato di questi
ultimi si preferito utilizzare l'Albo
Foto 2. Il Sacrario militare nel
1937 (ingresso - porta a destra)
125
126
d'oro ministeriale come gi detto. Da notare anche che la documentazione
predetta comprende le rilevazioni fino alla primavera del 1937, guerra di
Spagna ancora in corso, senza alcun seguito di aggiornamenti od integrazioni,
anche dopo la guerra 1940-45. Sono state quindi attivate ulteriori ricerche che
hanno sin qui permesso di portare a 316 il numero dei caduti guerre diverse
ed a 601 quello dei decorati.
I Decorati di tutte le guerre (al v.M.)
Anche questo Albo stato costruito memorizzando le informazioni tratte
dai relativi elenchi custoditi presso il Sacrario militare, di cui si detto al
precedente paragrafo. La fonte contiene un elemento di straordinario interesse,
ossia le motivazioni per la maggior parte dei decorati in elenco. La lettura di
questi testi offre un coinvolgente spaccato del contesto di svolgimento dei fatti
d'arme in cui furono compiuti gli atti di valore oggetto di decorazione.
Va ricordato che il criterio di base per la concessione delle decorazioni
al valor militare costituito dalla volontariet degli atti, che il militare (o
un civile) potrebbe non compiere senza perci ledere la sua onorabilit o
trasgredire ordini. Ovviamente, spesso e particolarmente in certi periodici
storici, le motivazioni sono cariche di notevole enfasi e di richiami a ideali di
abnegazione, altruismo, patriottismo, spirito di conquista particolarmente cari
ai regimi dittatoriali e tendenti a suscitare ammirazione, spirito combattivo e ...
bellicoso. Ci tuttavia nulla toglie alla sostanza degli atti compiuti e gratificati
con decorazione.
Il progetto prevedeva l'inserimento in Albo del testo integrale di tutte le
motivazioni disponibili. Nella prima fase del lavoro si comunque optato
per l'inserimento del solo incipit dei testi, trattandosi di un'operazione
molto laboriosa e pesante, in quanto implicante la completa trascrizione
delle motivazioni stesse, in massima parte manoscritte. Questa attivit
stata completata a fine 2005, verificando che per circa 200 decorati non era
disponibile il testo integrale delle motivazioni. Si quindi avviata una ricerca
presso l'Istituto del Nastro azzurro di Torino (Associazione dei decoratO, che
dispone delle motivazioni relative a tutta l'Italia.
Da notare infine che in corso un'ulteriore ricerca che dovrebbe permettere
di completare il relativo Albo con tutte le decorazioni relative alla guerra 1940-
45 ancora mancanti.
I Civili deportati della guerra 1940-45
L'Albo mette in risalto la consistenza del capitolo relativo alla deportazione di
civili attuata dalle truppe di occupazione tedesche in Italia, con la collaborazione
attiva della RSI, capitolo che ha visto coinvolti pi di 1000 cittadini della provincia
di Reggio. Scopo essenziale di questa massiccia operazione era l'acquisizione
di mano d'opera a costo zero, per sopperire alle esigenze della produzione
agricola ed industriale della Germania. Non secondari certamente anche degli
intenti punitivi per taluni soggetti ritenuti pericolosi per gli occupanti, oltre allo
scopo di affievolire il supporto della popolazione alle attivit di resistenza.
L'entit del dato reggiano mette in evidenza un triste primato, se si considera
che rappresenta quasi il 12 percento sul complesso dei circa 10.000 civili
italiani deportati
8
. Il trattamento riservato ad essi fu in generale caratterizzato
dalla completa privazione della libert personale, da denutrizione e condizioni
di "lavoro" disumane, al punto di causare la morte di alcuni e l'invalidit di
altri.
La creazione dell'Albo, comprendente 1169 soggetti, avvenuta utilizzando
integralmente il "prodotto" del lavoro di Egidio Baraldi ed Antonio Zambonelli
sull'argomento e pubblicato sul n. 94 della rivista "Ricerche Storiche"9.
I Militari internati della guerra 1940-45
Questo Albo raccoglie le schede di oltre 7300 militari reggiani che dopo
l'armistizio dell'8 settembre 1943 furono internati in campi di concentramento
in Germania, o territori occupati, avendo essi rifiutato l'arruolamento nella
RSI a fianco dell'esercito germanico. La consistenza evidenziata rilevante e
proporzionale al dato nazionale di oltre 600.000 internati. Anch'essi subirono
condizioni di internamento identiche a quelle dei civili.
La formazione dell'Albo avvenuta utilizzando schedari ed elenchi messi
a disposizione e custodia di ISTORECO da parte dell'Associazione nazionale
combattenti e reduci di Reggio Emilia.
Gli Albi informatizzati, efficace supporto per la ricerca storica
La creazione degli otto Albi informatizzati descritti nei paragrafi precedenti,
frutto essi stessi di un'attivit di ricerca, ha in realt permesso di configurare un
vero e proprio sistema di database di notevole utilit per ricercatori, storici o
studiosi che intendano sviluppare temi di ricerca e di analisi storica sui conflitti
avvenuti dagli inizi del 1800 fino al 1945 in rapporto alla popolazione della
provincia di Reggio Emilia.
In generale i "prodotti" che un sistema informatizzato pu fornire al
ricercatore ed allo storico sono a prima vista essenzialmente di tipo numerico
e statistico. Appare del resto innegabile che anche tali elementi sono quasi
sempre di notevole importanza per l'approfondimento dei temi oggetto di
analisi, essendo impensabile prescindere dalle "consistenze" che, pur esprimibili
con dati numerici, contribuiscono ad esplorare in tutti i risvolti il tema trattato,
quali ad esempio gli effetti indotti da un evento sul tessuto umano, sociale ed
economico delle collettivit coinvolte.
L'utilizzo dei sistemi automatizzati, come strumento ed ausilio di lavoro,
offre ormai in effetti un'impressionante capacit di gestione e trattamento di
informazioni, non necessariamente espresse in dati numerici, in particolare nelle
situazioni di ingenti masse di informazioni, in pratica ingestibili e difficilmente
esplorabili con mezzi tradizionali. Questa capacit stata ampiamente descritta
127
128
nel saggio di Davide Leoni, pubblicato sul numero 99 della rivista "Ricerche
Storiche" 10.
Nello specifico degli Albi in esame risultano enfatizzati due principali
aspetti. Un primo concerne la funzione assolta in tema di conservazione e
riproducibilit delle fonti e delle relative informazioni, a fronte della ben nota
vulnerabilit del mezzo cartaceo nel tempo. Un secondo riguardante le attivit
di ricerca selettiva, aggregazione, estrapolazione e condivisione nell'ambito
delle informazioni "immagazzinate", con il risultato di "produrre conoscenza",
che in definitiva costituisce il valore aggiunto di un sistema informatizzato.
Alcuni significativi elementi di conoscenza ottenibili operando sul Sistema,
con strumenti standard di filtro e ricerca parametrica (c.d. query) , offrono un
quadro nutrito seppur non esauriente di risultanze di ricerca, che possono
poi essere mirate in base ai quesiti conoscitivi dell'utente. Per gli esempi si
fa riferimento ai database/Albi dei caduti di guerra, ove, con immediatezza
ed in tempi trascurabili, possibile produrre in forma tabulare o di grafico le
evidenze indicative che seguono:
- Caduti per Classe;
- Caduti per Anno di morte;
- Caduti per Et alla morte;
- Caduti per Grado;
- Caduti per Arma;
- Caduti per Localit morte (pi significative o note, esempi: Custoza, Adua,
Carso, fronte russo);
- Caduti per Causa di morte;
- Caduti per Comune;
- Ricerca per singoli nominativi, per decorazioni od altre annotazioni, ecc.
Altri ennesimi filtri di ricerca possono essere proposti sulla base delle
esigenze conoscitive dei ricercatori e studiosi per supportare od affinare
ricerche particolari. A questo scopo, eventuali elaborazioni finalizzate possono
essere svolte con la collaborazione di ISTORECO.
La prosecuzione del lavoro implicher ovviamente un'attivit di
aggiornamento continuo dei dati eventualmente carenti od errati, attraverso
una forma di ricerca permanente, attingendo a pubblicazioni, saggistica,
documenti d'archivio reperibili o forniti da terzi.
Il Sito INTERNET "Albi della Memoria"
Il progetto di creazione di un sito INTERNET, nel quale installare gli Albi
realizzati, stato sviluppato nel corso dell'attivit di creazione degli stessi, in
origine pensati ad uso essenzialmente interno. La collocazione di archivi su
Internet, con accessibilit incondizionata, in gergo messa on line, costituisce
una forma di vera e propria pubblicazione del materiale, che diventa cos di
pubblico dominio.
Gli obiettivi principali di questa iniziativa possono essere riassunti come
segue:
- onorare la Memoria dei Caduti di tutte le guerre, proprio nel 2005 in
occasione del 60 anniversario della fine della seconda guerra mondiale;
- creare un "Libro della Memoria" aperto;
- rendere la Memoria dei Caduti pi viva e pi forte, sia come onoranza
che come monito per le nuove generazioni.
Con la definizione di libro aperto si voluto identificare un luogo di
memoria, un luogo di incontro tra famigliari, discendenti e cittadini tutti con i
propri caduti negli eventi bellici che hanno segnato la storia nazionale, quanto
quella locale. Ci non va quindi inteso come un semplice cimitero virtuale o
una lapide digitale, poich in questo luogo si realizza in pratica uno scambio
attivo:
- da un lato il sito offre un "servizio" di divulgazione relativamente ai
Caduti, servizio che gratifica famigliari e discendenti in funzione della maggiore
visibilit data ad essi, in pratica universale;
- dall'altro la possibilit di arricchire la "pagina" del caduto o decorato da
parte dei famigliari o di chiunque vi abbia interesse, con fotografie, copia
di documenti personali, lettere, testimonianze od altro, cos contribuendo a
perpetuare e condividere la memoria fra le generazioni, cos come il monito.
Su questo piano il sito gi realizza un importante recupero consentendo di
abbinare in modo diretto alle schede dei singoli caduti e decorati l'imponente
blocco di fotografie (circa 3000) conservate presso il Sacrario militare su
pannelli, separatamente dagli elenchi, oltre alle foto reperite su pubblicazioni
e presso i Musei civici. Una valorizzazione concreta quindi dello stesso
patrimonio documentale li conservato, grazie ad un'attivit tuttora in corso
e che comunque ha gi permesso di avere on line e di poter visualizzare
circa 3000 abbinamenti. Anche numerosi famigliari dei caduti gi si sono
attivati inviando materiale, che viene immediatamente inserito, e cercando
informazioni sui propri cari ancora sconosciute. Questo riscontro di sensibilit
enfatizza l'esigenza di iniziative di pi vasta e mirata informazione, ad esempio
verso la popolazione studentesca, cos come l'esigenza di offrire ai richiedenti
una certa assistenza nelle ricerche presso gli organismi pubblici competenti
(Difesa, Archivi di Stato).
Per sua stessa natura, la creazione ed apertura di un sito INTERNET in generale
non rappresenta un prodotto finito e chiuso, bens un "lavori in corso" in
continuo aggiornamento, integrazione e crescita, che si adegua anche alla
domanda dell'utenza. Utenza qui costituita da privati cittadini che ricercano
tracce o notizie relative a caduti o decorati di propria famigliarit o conoscenza,
che desiderano arricchire il "corredo" iconografico degli stessi od ottenere
a distanza, mediante ricerche in piena autonomia, informazioni aggregate,
statistiche o soddisfare semplici curiosit; cos dicasi per ricercatori e studiosi.
Un esempio: quanti reggiani morirono in combattimento sul Carso nella guerra
1915-18? la risposta immediata sar di 596 con relativo elenco (ilIO percento
di tutti i 6032 reggiani caduti in quella guerra!). E potrebbero essere molti
129
in pi, potendo considerare quelli che risultano deceduti per "malattie", in
generale contratte a causa delle ferite riportate nei combattimenti.
Le caratteristiche di questo sito sono ovviamente di tipo "contabile" e
non "tematico". Ci d'altra parte evidenzia un obiettivo non secondario che
. con esso si persegue, ossia quello di suscitare curiosit ed interessi culturali
e didattici sui temi e sulla storia delle guerre. Un effetto indotto quindi di
notevole valore che si cerca di trainare offrendo indicazioni per accedere ad
idonee fonti con semplici collegamenti (c.d. links) , quali: siti INTERNET tematici,
bibliografie, editori specializzati e fonti similari.
130
La configurazione del sito (www.albimemoria-istoreco.re.itJ
La configurazione attuale, come da prima apertura ad inizio aprile 2005,
stata realizzata con l'obiettivo di facilitare accesso e ricerca, in particolare per
l'utenza meno esperta. I dati contenuti ed accessibili sono quelli riportati in
tutti gli otto Albi descritti nei paragrafi precedenti, con un numero complessivo
di 20.847 soggetti memorizzati con le relative informazioni, costituite da circa
250.000 dati (vuoto per pieno - posto che nelle fonti alcuni dati elementari
talora non sono presenti). Il quadro complessivo delle Schede inserite
riportato in Figura 2. Lo schema funzionale del Sito in Figura 3.
Stabilita la connessione al Sito, viene presentata all'Utente una pagina di
accesso (homepage) contenente un "Men" con le diverse opzioni praticabili,
oltre ad una serie di informazioni generali riguardanti le fonti dei dati, le
finalit ed i criteri di costruzione della banca dati, privacy e criteri di ricerca
on line.
Figura 2
SChema funzionale del SlTO IfttemetALBI. MIiiMQRIA
Figura 3
Ricerca e stampa delle evidenze
L'effettuazione della ricerca da parte dell'Utente avviene tramite l'accesso alla
pagina "Cerca negli Albi" entro cui scegliere l'Albo al quale accedere. Questa
operazione determina la presentazione di una griglia di ricerca contenente
delle caselle vuote relative a tutti i singoli dati caratteristici d'archivio. Per
attuare la ricerca l'utente deve semplicemente impostare anche uno solo dei
dati previsti (o parte di un dato) in relazione al proprio obiettivo. E cos se la
ricerca su di un nominativo sufficiente inserire il cognome (o cognome e
nome), mentre per una ricerca per luoghi - esempio Comune di residenza -
necessario inserire il nome del Comune su cui operare.
L'invio della Richiesta, ottenuto agendo sul comando Cerca, determina
la presentazione all'utente di un elenco di schede trovate, nell'ambito del
quale, agendo su Scheda, viene visualizzata la scheda di dettaglio relativa al
nominativo desiderato. In calce alla scheda presentata riportato il corredo di
eventuali fotografie od altri documenti relativi al soggetto, che potranno essere
visualizzati con semplice azione sulle singole descrizioni (c.d. click). Per le
ricerche tendenti ad ottenere un aggregato, esempio nominativi di un Comune,
viene presentato l'elenco di tutti i nominativi trovati. Tutti i risultati di ricerca,
quali elenchi o singole schede o foto possono essere stampati utilizzando le
funzioni di sistema.
L'utilizzo contemporaneo di diversi termini di ricerca consente poi di
effettuare indagini pi complesse e mirate, esempio: la ricerca dei nominativi
dei caduti in un determinato evento potr essere attuata impostando la data
dell'evento ed il comune relativo, e cos via. L'invio della ricerca senza alcun
131
132
GLI ALBI DELLA
CtztI#t1ltilitantfl14gum 1915-18

.

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.......,,""'. .'. .' '. .. ...,#.IfITlI." .. . ... , fJ

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Pagina attivazione ricerche INTERNET su Albi.
parametro ottiene in risposta l'elenco completo dei soggetti presenti nell'Albo
indagato.
Da notare altres la possibilit di una ricerca generica sui nominativi.
Avviando la ricerca dalla voce "Albo generale", che di fatto virtuale e costituito
dall'insieme di tutti gli Albi, si otterranno elenchi di schede corrispondenti ai
nominativi cercati, con l'indicazione del singolo Albo di riferimento e con
la possibilit di accedere direttamente alla relativa scheda senza ulteriori
passaggi.
lII!III!!liWi:III

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.......
... '


Pagina ricerca di un caduto.
Gli Albums fotografici
GLI ALBI DELlA MEMORIA
I
11_
-. oIl_
.",-
';';'111
Sono costituiti da aggregati di fotografie di caduti e decorati che offrono
la possibilit di scorrere e visualizzare vere e proprie gallerie di ritratti, in
gran numero risalenti a quasi un secolo fa (es.: i Caduti della grande guerra).
Questi albums riprendono tutte le foto associate alle schede individuali, con
aggregazione per eventi bellici, o categorie, o singoli soggetti che dispongono
di un corredo fotografico numeroso o che pu risultare di generale interesse.
Sono gi presenti albums personali messi a disposizione da discendenti, da
associazioni d'arma ed altri.
Statistiche, contatti e collegamenti
Gli Utenti del Sito possono inoltre consultare una serie di quadri e grafici
statistici ritenuti significativi e pertanto gi "confezionati" dalla Redazione
del Sito sulla base della consistenza numerica degli archivi nel tempo. Ad
essi si accede tramite le pagine Cerca negli Albi - "Statistiche". Qualsiasi
"Utente" peraltro potr ottenere evidenze statistiche in base a propri obiettivi,
impostando congrui parametri di ricerca. In ogni caso, come detto, privati o
ricercatori che abbiano necessit di effettuare od affinare ricerche particolari,
non ottenibili direttamente online, possono visionare direttamente le fonti ed
effettuare eventuali elaborazioni finalizzate presso ISTORECO.
133
134
GU ALBI DELLA MEMORIA
i : ~ : : : ; ~ ~ ~ ..
Esito ricerca: Scheda caduto.
La pagina Contatti mette a disposizione dell'utente gli indirizzi della
Redazione del Sito e di alcune sedi istituzionali presso cui ottenere informazioni
relativamente ai propri caduti, quali, ad esempio: luoghi di sepoltura in Italia
e all'estero, integrazione di dati mancanti o correzione di errori. A questi scopi
ISTORECO assicura la propria collaborazione per i contatti con dette sedi.
Una serie di collegamenti Clinks) consente infine all'utente di accedere
automaticamente ad altri siti, in particolare alcuni di carattere tematico idonei
a soddisfare interessi culturali e didattici sui temi e sulla storia delle guerre.
Attivit in corso e sviluPPi
Oltre alla continua attivit di aggiornamento ed integrazione dei dati degli
Albi, frutto di una ricerca di fatto continua, ormai in fase di completamento
il recupero e l'abbinamento dell'intero patrimonio fotografico raccolto accanto
agli elenchi presso il sacrario militare, realizzando l'obiettivo della concreta
valorizzazione di tutto quel patrimonio documentale gi accennata.
Inoltre viene assicurata in tempi rapidi l'acquisizione e la messa on line, su
richiesta di famigliari ed associazioni d'arma, di tutte le fotografie e documenti
inviati, quali decorazioni e simili.
A conclusione delle prime fasi di lavoro si effettuata un'analisi di risultato
e di riscontro delle eventuali carenze, ritenendo complessivamente positivo il
Quadro statistico on line.
135
136
giudizio sulla valenza dell'iniziativa, che non pare avere riscontri della specie
numerosi, almeno nel panorama nazionale. Al tempo stesso, oltre allo studio
di iniziative divulgative, si sono ipotizzati alcuni importanti sviluppi del sistema
Albi/sito INTERNET e poste le basi per realizzare tali sviluppi, costituiti in sintesi
dai seguenti:
- ricerca dei decorati della guerra 1940-45 non ancora rilevati;
- ricerca ed acquisizione delle motivazioni di decorazione non ancora
reperite;
- associazione ai caduti e decorati delle fotografie dei monumenti o lapidi
sui quali essi sono ricordati, ubicati in territorio provinciale, attingendo in
particolare dal volume Le Pietre dolenti
l1
;
- associazione analoga delle intitolazioni individuali e collettive nella
toponomastica urbana;
- individuazione e attivazione di nuovi collegamenti a siti tematici in materia
di guerre.
Sono infine in fase di preparazione due nuovi Albi, che potranno
conseguentemente essere inseriti in rete in tempi relativamente brevi, ossia
quelli relativi alle seguenti categorie:
- Albo dei Perseguitati politici italiani antifascisti (circa 900)12;
- Albo dei Benemeriti reggiani del Risorgimento.
L'Albo dei perseguitati risulta ormai completato e potr essere messo in
rete a breve, corredando le schede individuali con le immagini dei decreti di
riconoscimento ministeriale.
Infine, il lavoro di creazione del database relativo ai benemeriti del
Risorgimento gi in corso, attingendo i dati da una serie di pubblicazioni
locali edite nella seconda met del 1800. I soggetti rilevati sono i cittadini
reggiani distintisi per la loro partecipazione agli eventi risorgimentali, perch
perseguitati e condannati, volontari garibaldini.
Il perfezionamento dell'inserimento di questi ulteriori Albi porter ad oltre
25.000 le schede individuali on line, per un complesso di circa 300.000 dati
memorizzati ed accessibili.
Conclusioni
La fase di lavoro sinora attuata evidenzia un primo risultato consistente nel
fatto di aver messo a disposizione dei ricercatori e dei cittadini uno strumento
ritenuto utile tanto per lo sviluppo di ulteriori ricerche, su singoli soggetti o
categorie, quanto per la conservazione e l'arricchimento della Memoria dei
Caduti di tutte le guerre, preservandola dall'oblio. Ogni giudizio sulla qualit
del lavoro e sulla sua concreta utilit viene ovviamente rimesso all'Utenza
del "servizio", giudizio che rappresenter anche una linea guida ai fini dello
sviluppo del Sistema.
Glossario:
Dato = ogni singolo elemento informativo relativo ad una persona od oggetto.
Informazione = in questa sede, sinonimo di Dato.
PC - Personal Computer = strumento automatico di calcolo, elaborazione, trattamento
e conservazione di Dati.
Digitalizzazione = (dall'inglese digit = cifra) conversione Dati a formato numerico
idoneo al trattamento con computers.
Database = base di dati, archivio, insieme di Dati organizzato in formato numerico
trattabile su pc.
Memorizzazione = salvataggio di dati in formato numerico su Database.
Record = (registrazione) insieme di Dati relativi ad un soggetto, costituente un elemento
di un Database.
Software = programmi e funzioni di lavoro su personal computer.
Internet = sistema automatico di Archivi accessibili in rete, via computer e telefonia.
Sito internet = sistema di Dati od Archivi, da chiunque messi in rete INTERNET ed
accessibili da terzi utenti.
On-line = connessione diretta ad archivi tramite computer e telecomunicazione.
Link = collegamento o connessione a Database e Siti INTERNET.
Query = interrogazione, quesito o ricerca automatica su Archivi tramite Parametri (o
filtri) scelti dall'utente.
Parametri di ricerca = termini per l'attivazione di una ricerca automatica (parola intera,
parte o gruppo di parole).
Privacy = complesso di criteri e norme di legge da osservare per la protezione dei
dati personali.
1 N. BRUGNOLI, A. CANOVI, Le Pietre dolenti, Rs-Libri, Reggio Emilia 2000.
2 G. FRANZINI, Storia della Resistenza reggiana, ANPI Reggio Emilia, p. 883.
3 Morti e Dispersi per cause belliche negli anni 1940-45, Edizioni ISTAT (Istituto centrale
statistica), Roma 1957.
4 Albo d'oro dei partigiani della provincia di Reggio Emilia caduti nella guerra di
liberazione 1943-1945, ANPI, Reggio Emilia 1951.
5 Albo d'oro dei Militari Caduti nella Guerra nazionale 1915-18, voI VIII Emilia
(province di MO, PR, pc e RE), Edizione ministero della Guerra, 1926.
6 Rainero Taddei, volontario garibaldino, Spedizione dei Mille. Caduto e decorato di
medaglia d'argento battaglia di Custoza (24-6-1866 III guerra d'indipendenza).
7 Delibera del Podest 24 maggio 1937 n. 346, "Il Solco Fascista" - edizione 25 maggio
1937.
8 L. KLINKHAMMER, L'occupazione tedesca in Italia, Bollati Boringhieri, Torino 1993. Vedi
anche "Rs-Ricerche Storiche", 2002/94, p. 93.
9 E. BARALDI, A. ZAMBONELLI, I 1170 Civili deportati in Germania dalla provincia di
Reggio Emilia, "Rs-Ricerche Storiche", 2002/94.
lO Davide Leoni, I quadri del Partito nazionale fascista, federazione di Reggio Emilia,
"Rs-Ricerche Storiche", 2005/99.
11 Le Pietre dolenti, op. cito
12 Fonte: Antifascisti nel Casellario politico centrale, Quaderni dell'Associazione
Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti (ANPPIA).
137
La Memoria della citt-Polo Archivistico
Un progetto per la comunit reggiana
del XXI secolo
Massimo Storchi
L'idea
Nel novembre 2000, il Comune - riorganizzando il Servizio istituzioni
culturali, con l'obiettivo di adeguarne l'assetto organizzativo al mutato quadro
di riferimento generale - prevedeva che, accanto agli ambiti pi consolidati
d'intervento culturale, si affiancasse un nuovo filone di attivit da ricondurre alla
creazione di un Istituto culturale, La Memoria della citt-Polo archivistico, che
consentisse di dotare Reggio di uno strumento essenziale per la conservazione
e la valorizzazione della memoria storica della nostra comunit.
La Memoria della citt-Polo Archivistico si pone come un unico centro
archivistico sulla storia reggiana in cui stanno confluendo i materiali storicamente
significativi di propriet pubblica e privata.
Un Istituto culturale che risponda all'esigenza di preservare e promuovere la
memoria storica della citt nel Novecento deve essere in grado di rappresentare,
con le diverse componenti, la pluralit delle istituzioni, delle forze sociali e
delle tradizioni politiche che hanno segnato la dinamica storica del territorio:
presso La Memoria della citt-Polo Archivistico sono depositati, solo per
citarne alcuni, i fondi storici del comune di Reggio Emilia, della Camera del
Lavoro territoriale, della CISL, del Comitato provinciale dell'um, del CIF, della
Federazione provinciale del PCI, della FEDERCOOP-LEGA, di ISTORECO.
L'attivazione de La Memoria della citt-Polo Archivistico si pone anche
come strumento nuovo e scientificamente avanzato per ricordare le origini
139
140
della democrazia nel paese, e il contributo che gli uomini e le donne reggiani
hanno portato alla sua costruzione ed al suo sviluppo.
Questa pluralit di memorie e di documenti il valore aggiunto del
progetto, che non si limita alla conservazione, al salvataggio, alla tutela (azioni
fondamentali per proteggere i documenti e tramandarli ai posteri) ma con la
sua stessa struttura spinge il ricercatore di storia (che sia un professionista,
uno studente o un semplice curioso) al confronto tra angoli visuali diversi dei
diversi problemi.
La Memoria della Citt-Polo Archivistico vuole essere un Istituto culturale
in grado di rappresentare, con le diverse componenti, la pluralit delle
istituzioni, delle forze sociali ed economiche e delle tradizioni politiche che
hanno segnato la dinamica storica del territorio e di chi lo ha costruito, vissuto
e amministrato nel corso del secolo XX.
La Memoria della Citt-Polo Archivistico un progetto che costituisce un
osservatorio di primo piano a livello nazionale ed europeo sul tema della
trasmissione della memoria e della sua fruizione pubblica, determinando le
condizioni per l'assunzione della citt e del territorio di Reggio Emilia come
caso altamente esemplificativo della nostra storia nazionale.
l/percorso
Il percorso che ha condotto all'apertura al pubblico il 2 maggio 2002 del
Polo Archivistico ha origine nella riflessione condotta dal gruppo di lavoro
e ricerca creato all'epoca fra assessorato Cultura del Comune di Reggio
Emilia e ISTORECO in occasione delle celebrazioni del 50 della Resistenza e
coordinato dall'indimenticabile Marco Paterlini. Tale riflessione port nel 1996
alla prima bozza di progetto Comune-IsToRECO, discusso l'anno seguente con
la SovraIntendenza archivistica regionale per l'erogazione di finanziamenti.
Il tutto mentre proseguivano i lavori di ristrutturazione della possibile sede
della nuova istituzione identificata all'interno dei Chiostri di San Domenico.
Nel 2000 ISTORECO presentava i proprio progetto operativo e scientifico in
coincidenza con la decisione del Comune di Reggio Emilia di istituire il Polo
archivistico come Istituto culturale (Del. n.25353/294 del 20/11/2000). Nella
primavera 2002 ISTORECO si aggiudicava l'appalto-contratto per la gestione del
Polo Archivistico che veniva ufficialmente inaugurato dal sindaco Antonella
Spaggiari e dall'ono Antonio Bassolino il 25 aprile 2002.
Il patrimonio documentario
Alla data del 31 dicembre 2005 il patrimonio documentario depositato
presso il Polo Archivistico era cos articolato:
Archivi ordinati e dotati di strumenti di consultazione:
- Archivio Storico Comune di Reggio Emilia
- Archivio Camera del Lavoro Territoriale di Reggio Emilia
- Archivio Unione Donne Italiane di Reggio Emilia
- Archivi di ISTORECO e ANPI
- Archivio Lega-Federazione delle Cooperative di Reggio Emilia
- Archivio arch. Antonio Pastorini
- Archivio Fabbrica Agazzani
- Archivio CIF (Centro italiano femminile)
Archivi in via di riordinamento:
- Partito comunista italiano-Federazione provo di Reggio Emilia
- Archivio Latterie coop. "Giglio"
Archivi da riordinare:
- OSL (con Archivio Pippo Morelli)
- Archivio Corrado Corghi
- Fondi documentari personali
L'attivit
Raccolta e salvaguardia
Obiettivo preliminare de La Memoria della citt-Polo Archivistico quello
della salvaguardia e tutela di ogni materiale pubblico o privato afferente alla
storia del territorio reggiano nel corso del Novecento.
Consultazione
Il Polo archivistico svolge attivit di apertura al pubblico per 30 ore
settimanali. I materiali in consultazione (ex d.p.r. 30 settembre 1963, n. 1409,
in parte modificate dal d.p.r. 3 dicembre 1975, n. 805 e recentemente dal
Codice per i beni culturali e il paesaggio, D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) sono
a disposizione nella sala di studio con la consulenza di uno specialista storico-
archivista e di un documentarista. Si svolgono attivit interne di riordinamento
di materiali archivistici e di redazione di strumenti di consultazione.
Servizio Archivio Storico Comune
Il Polo Archivistico mantiene un rapporto operativo e di coordinamento
con l'Archivio corrente e di deposito del Comune di Reggio Emilia (via
Mazzacurati), sia sul piano di ricerche di atti che di passaggio e archiviazione
di documenti afferenti all'archivio storico.
Documentazione e tutoraggio
Viene svolto servizio gratuito di consulenza per la ricerca, in cui uno
storico/documentalista assiste l'utente nella progettazione di un percorso di
ricerca attraverso i diversi fondi archivistici con funzione di tutor nel corso
della ricerca. Si compie anche funzione di tutoraggio per tesi di laurea (in
collaborazione col docente)
141
142
Riproduzione
I documenti sono riproducibili (riproduzione fotostatica, fotografica,
digitale) secondo i vincoli di legge dei documenti per finalit di studio, dietro
la corresponsione del costo: i documenti riprodotti possono essere ritirati,
inviati per posta o per via elettronica.
Valorizzazione
Sono progettate mostre per la valorizzazione dei materiali documentari,
secondo percorsi tematici e didattici. Sono possibili visite guidate, pubblicazioni
e iniziative di promozione della conoscenza storica della citt, anche in
rapporto con i proprietari degli archivi depositati.
Informazione e consulenza
La Memoria della citt-Polo Archivistico svolge anche un ruolo di consulenza
e informazione nei confronti di privati ed enti nei settori della ricerca storica
e della promozione didattica attraverso la messa a disposizione di materiali
documentari contenuti negli archivi depositati.
Bilancio di attivit
Polo Archivistico-utenti 2002-2005
2002 (mag-dic) 2003 2004 2005
Anni
Totale utenti 2002-2005: n. 1301
60
50
40
30
20
10
Il
III
o
Utenti/mese 2002-2005
I
I
mese
Tesi di laurea 2002-2005 (35)
3
11
Iii) Bologna
Parma
D Ma_Re
Daltre
143
144
Le prospettive
Il progetto La Memoria della Citt-Polo Archivistico all'approssimarsi del
quarto anno di attivit pu riflettere sul percorso fin qui realizzato e pu
riconoscere i punti fermi consolidati. Una utenza in continuo aumento (al
31 dicembre 2005 oltre 1230 unit), una collaborazione con le Universit per
la collaborazione/tutoraggio di tesi di laurea che ha superato le 40 unit,
un aumento ancora pi sostenuto nell'utenza che richiede consulenze ed
informazione sulla storia contemporanea locale e nazionale (nel solo 2005 346
presenze). Al momento di stesura di queste brevi note (febbraio 2006) stato
consegnato l'Archivio delle carte relative all'attivit parlamentare dell'ono Elena
Montecchi (1983-2006), mentre sono in programma per il corrente anno nuovi
versamenti di fonti documentarie di grande rilevanza.
Si pu dire quindi che il progetto La Memoria della Citt-Polo Archivistico
sia uscito dalla fase di avvio e collaudo e si ponga ora la necessit di una
riflessione ampia e condivisa sulle linee programmatiche per il suo futuro.
Considerata la conferma della validit dell'idea fondante, la concentrazione
delle fonti documentarie relative alla storia del Novecento in terra reggiana,
uno dei punti di massimo interesse per il futuro si pone nella effettiva
apertura a tutti gli attori della vicenda storica del novecento reggiano, in
campo sociale, economico e politico disponibili a mettere a risorsa i propri
patrimoni documentari sia con la consegna fisica a La Memoria della Citt-Polo
Archivistico sia attraverso una messa in rete degli strumenti di consultazione
dei medesimi fondi documentari.
Per la gestione di questa mole in continua crescita si pone quindi la necessit
di dotare La Memoria della Citt-Polo Archivistico di un organismo di gestione
e progetto (nelle forme che saranno individuate dagli attori coinvolti) in grado
di indirizzare e promuovere, con prospettive pluriennali, l'attivit futura che
dovrebbe essere volta verso alcuni obiettivi prioritari:
Conservazione
a - Pianificazione acqUlslzlone nuovi fondi documentari, attraverso un
censimento-ricognizione relativo ai materiali esistenti;
b - Pianificazione programmi di inventariazione e catalogazione nuovi
materiali;
c - Interventi tecnici sulla struttura per migliorare le condizioni di
conservazione;
d-Reperimento nuovi spazi per depositi e strutture di servizio.
Promozione
a. Promozione attivit La Memoria della Citt-Polo Archivistico con il
coinvolgimento enti proprietari dei fondi documentari;
b. Realizzazione di un piano di comunicazione integrato per divulgazione
attivit La Memoria della Citt-Polo Archivistico;
c. Incentivazione rapporto con istituzioni scolastiche con realizzazione di
percorsi didattici;
d. Proseguire il rapporto con Istituzioni Universitarie con realizzazione di
corsi di formazione e stage.
Progettazione
a. Avvio della progettazione coordinata fra La Memoria della Citt-Polo
Archivistico e la istituzione di un Museo della citt che possa colmare l'attuale
mancanza di una riflessione museografica e comunicativa sulla vicenda
reggiana nel XX secolo.
145
Immigrazione, flessibilit del lavoro e
lavoro nero. Il nuovo profilo sociale di
Reggio Emilia*
Enzo Grappi
Il mio compito quello di esaminare i mutamenti avvenuti nel mercato del
lavoro. Partir da quando ho cominciato a lavorare, dal 1974. In quell'anno,
girando, si vede un fenomeno nuovo: dappertutto a Reggio, a Mancasale, nelle
ceramiche, anche nella Bassa (che era negli anni Sessanta inserita per legge tra
le "aree depresse") si vedono cartelli con la scritta: "cercasi operai".
Per la prima volta nella storia di Reggio, a Reggio c' la piena occupazione.
Ricordiamo che fino al 1966 da Reggio si emigrava: non solo la montagna
aveva perso ventimila abitanti, ma il bilancio demografico di Reggio era
negativo perch da Reggio la gente andava via. Ce lo dimentichiamo troppo
facilmente, magari con atteggiamenti di chiusura verso coloro che a Reggio
arrivano cercando lavoro.
Comincia anche, alla fine degli anni Settanta, la prima immigrazione
extracomunitaria che stata quella degli egiziani nelle fonderie. C'erano a
Reggio pi fonderie di quante ce ne siano oggi, per la verit, per non si
trovavano pi reggiani disponibili a fare questo lavoro, neanche meridionali.
E comincia questa immigrazione di extracomunitari, che erano circa mille, e
due giovani fecero uno studio su questa presenza, sulla prima presenza di
egiziani a Reggio!.
Era una delle prime ricerche in Italia e questo studio venuto a presentarlo
l'allora presidente dell'IRI, professor Prodi. La presenza di extracomunitari
poi enormemente cresciuta, basti dire che oggi abbiamo ventiseimila stranieri
*Relazione tenuta il 29 aprile 2004 a Casalgrande nell'ambito del ciclo di seminari sul
modello emiliano organizzato dall'Associazione ''Aprile per la sinistra" Reggio Emilia.
147
148
presenti a Reggio, che corrispondono al 5,4 percento della popolazione,
con una crescita, l'anno scorso, del 12 percento. Se pensiamo che a Reggio
abbiamo avuto, l'anno scorso, un saldo migratorio - cio un dato positivo - tra
coloro che sono andati ad abitare fuori provincia e coloro che sono venuti ad
abitare a Reggio di 7500 persone, di cui 2600 extracomunitari, abbiamo l'idea
del cambiamento che intervenuto nonch della presenza e crescita massiccia
della popolazione che abbiam0
2
Che si riflette anche in buona parte, poi, sulla
crescita dell'edilizia e sui cambiamenti territoriali.
Si comincia in quegli anni a parlare e a scrivere di "sviluppo zero". Si dice
che c' la piena occupazione e che bisogna arrestare questo tipo di sviluppo
quantitativo. Si parla di blocco degli insediamenti sulla via Emilia. lo ricordo di
avere partecipato ad un convegno concluso dall'allora presidente della Regione
Guido Fanti, a cui partecipavano tutti i sindaci del reggiano e soprattutto quelli
della zona delle ceramiche e quelli che stanno sulla via Emilia, e lui li redargu
severamente dicendo: "Sono venuto apposta in auto lungo la via Emilia e non
lungo l'autostrada e ho visto dappertutto cantieri e io avevo detto blocco degli
insediamenti sulla via Emilia!".
Vedendo lo sviluppo urbanistico di adesso ci rendiamo conto dei
cambiamenti che sono intervenuti, rispetto al dibattito di allora.
A Reggio la situazione di pieno impiego, al di l delle singole crisi aziendali
anche gravi, come quella della Bloch che ha portato alla chiusura della fabbrica
e che stata senza dubbio la pi grave - c' stato anche un periodo di crisi nel
1982-83 - sostanzialmente dura fino ad oggi.
Per negli anni Novanta c' un cambiamento profondo nel mercato del
lavoro: sono gli anni della flessibilizzazione del mercato del lavoro, uno dei
titoli del dibattito di questa sera.
Prima della flessibilizzazione come funzionava? Funzionava, sostanzialmente,
che c'erano i contratti, c'era il periodo di prova e dopo il periodo di prova uno
o veniva assunto o restava a casa.
C'erano anche delle assunzioni a termine in agricoltura e in pochi altri casi.
Nel 1992 gli assunti a tempo determinato erano il 21 percento del totale degli
assunti in quell'anno. Vorrei spiegare che quando uno viene assunto ci deve
essere una comunicazione presso quelli che erano allora gli Uffici del lavoro e
che adesso si chiamano Centri per l'impiego. E gli uffici del lavoro rilevavano
tutti gli anni il numero di contratti che venivano fatti; il che non vuole dire
soltanto nuovi posti di lavoro, ma anche gente che aveva un lavoro e che lo
cambiava o che cambiava lavoro due o tre volte nell'anno.
Nel 1992, comunque, gli assunti a tempo determinato sul totale erano il
21 percento. Poi un po' nella contrattazione fra le parti sociali, e molto con
l'approvazione nel '97 del cosiddetto "pacchetto Treu", vengono introdotte in
Italia tutte queste misure di flessibilit che erano gi presenti in buona parte
non solo negli Stati Uniti e in Inghilterra, ma anche in altri Paesi europei.
Vengono introdotti cos il part-time, i contratti di formaZione/lavoro; si
amplia notevolmente la possibilit di assunzione con i contratti a termine e
quell'anno la percentuale di assunti a tempo determinato sale al 60 percento e
non si ferma pi. Oggi, nel 2003, le assunzioni rilevate per il 71 percento sono
a termine
3
. Anche se, come vedremo, questo non vuole dire che rimarranno a
termine per sempre.
E qui bisogna fare qualche considerazione. La prima che la flessibilit
non stata introdotta dal governo Berlusconi: questo bisogna dirlo. Il governo
Berlusconi ha aggravato molto le cose, per non stato lui a introdurre la
flessibilit.
Secondo: il "pacchetto Treu" fu fatto, vero, come frutto di una intesa
con le parti sociali, tutte, compresa la CGIL, al contrario di quanto far poi il
centrodestra sia con l'attacco sull'articolo 18, che con la cosiddetta "Legge
Biagi" che sta entrando in pratica attuazione in queste settimane.
Nel 2000 l'Ulivo cerca un po' di correggere qualche impostazione
eccessivamente flessibile. Diventa ministro del Lavoro Salvi che tenta di
mitigare alcune norme sulla flessibilit in ingresso introducendo un bonus
consistente di 800.000 lire al mese per chi trasforma i contratti di lavoro da
tempo determinato a tempo indeterminato. Ad un certo punto questo bonus
viene usufruito per 230.000 occupati; una cifra consistente, quindi; bonus che
stato completamente cancellato dal successivo governo Berlusconi.
La flessibilit, quindi, il lavoro a termine diviene la modalit normale di
ingresso dei giovani nel mercato del lavoro.
Nel 1998 il presidente della Lombardini, il proprietario, che era allora
Guidalberto Guidi - che poi stato successivamente, per tanti anni,
vicepresidente di CONFINDUSTRIA - viene invitato al liceo Moro per parlare agli
studenti all'interno di quelle conferenze di orientamento in cui si dovrebbe
consigliare ai giovani quale indirizzo scegliere per entrare nel mondo del
lavoro, eccetera.
Quando mi capita di parlare di questi argomenti mi porto sempre dietro
questo resoconto apparso sulla "Gazzetta" il 28 novembre del '98 dove
Guidalberto Guidi spiega bene ai giovani qual la situazione:
La realt che avrete di fronte vi dar zero certezze, ma pi opportunit. Il cambiamento
sar il nostro pane quotidiano. Il modello l'America dove altrettanto facile essere
licenziati quanto trovare una nuova occupazione nel giro di una settimana. Dove un neo
assunto, se vuole evitare di essere scavalcato dai colleghi ed espulso, deve farsi vedere in
ufficio anche il sabato e la domenica e prolungare sistematicamente di qualche ora il tempo
di lavoro quotidiano.
Per fortuna l'allora Preside del Moro, Gino Molini, commenta: La via degli
Stati Uniti mi fa venire qualche brivido. Spero che si arrivi ad una soluzione
europea che non subordini tutto alle esigenze del capitale.
Questa, diciamo, in modo un po' brutale era la situazione spiegata ai
149
150
giovani, senza tante reazioni perch non ho visto nei giorni successivi alcuna
reazione. Questo quella che veniva indicata come la via al lavoro.
La flessibilit quindi stata introdotta negli anni Novanta. Ad un certo
punto si sono contati pi di trenta tipi di contratto di ingresso nel mondo del
lavoro, per la flessibilit nell'economia italiana come anche nell'economia
reggiana c'era gi prima.
Vorrei fare solo due accenni. Intanto, sotto i quindici dipendenti, la libert di
licenziamento c'era e c'. Poi noi abbiamo una struttura di piccole, piccolissime
imprese: a Reggio abbiamo 55.000 imprese, iscritte alla Camera di commercio,
di cui 32.000 individuali e quindi non c' solo la flessibilit produttiva, cio
una capacit di adattamento della nostra impresa al mercato e alla richiesta di
prodotti, ma c' anche una flessibilit occupazionale: queste imprese nascono,
crescono, muoiono, chiudono.
Una presenza di piccole imprese cos non ha paragoni n in Europa n
negli Stati Uniti. Come sappiamo, noi siamo il regno della piccola e media
impresa. In certi casi, per la verit, questa presenza di imprese anche un po'
patologica, come vedremo poi nell'edilizia.
E poi c' da dire che c'era - e c' ancora - un forte turn aver nel senso
che anche prima di questa flessibilit i lavoratori, come libera scelta, come
occasione per migliorare la propria condizione lavorativa, per ottenere un
salario superiore, cambiavano lavoro.
Tra il 1983 ed il '94 sostanzialmente, secondo i dati che ci comunica la CNA e
che noi pubblichiamo regolarmente sull'''Osservatorio Economico", il turn aver
dei dipendenti artigiani raggiunge circa il 40 percento all'anno! Il 40 percento
dei dipendenti, compresi quelli a termine eccetera, cambia cio lavoro.
La flessibilit c'era dunque gi prima ma aveva queste caratteristiche.
Nello stesso tempo in questi anni aumentano di molto le esigenze di
manodopera dell'economia locale che non sono soddisfatte dai reggiani, sia
per carenze demografiche, perch cominciano ad andare in pensione delle
classi di et che sono pi numerose delle classi di giovani che prendono il
loro posto, sia per orientamenti di studio e di rifiuto a svolgere certe mansioni.
Quindi cresce l'afflusso di manodopera dal sud e dall'estero.
Gli assunti non residenti, quelli cio che stipulano un contratto di lavoro
nel reggiano ma che non risiedono qui, vengono da fuori, nel 1992 erano
il 20 percento. Nel 2003 sono il 42 percento: cio su ogni cento contratti
stipulati il 17 percento viene dal sud ed il 21 percento viene dall'estero. E gli
altri, per arrivare a 42, sono coloro che risiedono in altre province in Emilia-
Romagna
4
.
Questi a me sembrano dati eclatanti e io cerco di sottolinearlo ogni volta
che mi capita o quando facciamo le conferenze stampa di presentazione
dell"'Osservatorio Economico". Per mi sembra che a livello politico il dato
non sia molto colto e credo che qui - ma lancio solo un messaggio - ci sia
da fare una riflessione sul modello di sviluppo cos come sulle problematiche
della delocalizzazione.
Noi, cio, a Reggio abbiamo dei settori dove esportiamo moltissimo: la
meccanica agricola, ad esempio, o ceramica. Esportiamo il 70 percento del
prodotto. E quindi credo che il tema di non continuare a Reggio un modello di
sviluppo in parte quantitativo, che attira flussi di manodopera non qualificata,
creando anche un certo tipo di problematiche, credo che questo problema
vada posto.
Ad esempio, anche se al proposito ci sarebbe da discutere, la provincia di
Treviso, l'industria di Treviso ha praticamente creato un distretto trevigiano a
Timisoara, in Romania. L'assemblea della CONFINDUSTRIA di Treviso di due anni
fa si tenuta a Timisoara; hanno preso l'aereo e sono andati l, in Romania,
perch l hanno un distretto con centinaia di imprese.
Non dico che si debba andare nei Paesi solo dove il costo della manodopera
inferiore eccetera, per il tema della delocalizzazione, secondo me, per
l'economia reggiana si pone in termini consistenti.
E vorrei anche dire, dato che siamo sull'argomento, che l'anno scorso le
esportazioni sono andate male e ci si lamenta della perdita di competitivit
per il rafforzamento dell'euro, per c' anche il rovescio della medaglia: se si
vuole investire all'estero in investimenti produttivi, acquisizione di impianti e
reti commerciali, negli Stati Uniti e in Cina costa oggi il 30 percento in meno
di due anni fa.
Allora, abbiamo visto che l'afflusso di extracomunitari negli ultimi anni
consistente, per naturalmente questo s'inserisce sullo stock manodopera
presente, accumulata in tutti gli anni precedenti.
L"'Osservatorio Economico" conduce tutti gli anni un'indagine, insieme
all'Associazione piccole e medie imprese, sulla presenza di extracomunitari.
Negli addetti all'industria gli extracomunitari sono il 7,6 percento degli addetti.
Per se guardiamo alla presenza, ad esempio, nelle scuole vediamo che i figli
di extracomunitari sono il lO percento nelle scuole medie, il 5 percento nelle
superiori. E in alcuni istituti professionali, come la Lombardini, sono il 16
percento e alla Filippo Re sono il 22,4 percent0
5
.
Una presenza quindi che comincia ad essere notevole.
Nel 2001 la CGIL ha commissionato ad un professore dell'Universit di
Parma, il professor Serravalli, uno studio sui mutamenti e l'evoluzione del
mercato del lavoro nella provincia di Reggio Emilia
6
. Il professor Serravalli ha,
sostanzialmente, detto questo: vero che c' una forte flessibilit in entrata,
e che le imprese utilizzano questa flessibilit come elemento di selezione;
per nel giro di tre o cinque anni vi sono buone probabilit che questo tipo
di lavoro si stabilizzi e cio che questi contratti, che siano formazione lavoro,
apprendistato o interinale, che servono all'azienda per prendere una persona
a prova, siano trasformati in contratti a tempo indeterminato. Serravalli ha
chiamato questo percorso con il nome di "carriera esterna" al lavoro stabile.
151
152
lo sono d'accordo con il professar Serravalli, per faccio alcune osservazioni
che gli ho gi rivolto anche in occasione della presentazione della ricerca, alla
CGIL.
Intanto, tre o cinque anni sono molti. Adesso i contratti di formazione/
lavoro sono stati cancellati dalla Legge Biagi eccetera, per in pratica sono
ancora in vigore quelli che erano in atto.
Intanto si pu essere assunti con un contratto di formazione/lavoro fino a
trentadue anni. A trentadue anni io lavoravo con lavoro stabile da otto anni,
ero sposato da sei anni e avevo gi un figlio, eccetera. Magari ci sono poi altri
tre-cinque anni di carriera esterna e cominciamo ad andare un pachino in l
con gli anni.
Per un laureato ci si laurea - ci sono i dati ufficiali - a ventisei/ventisette
anni. stato fatto uno studio, per la prima volta, anche a Reggio quest'anno da
parte di un consorzio universitario che si chiama Alma Laurea su che tipo di
lavoro fanno i diplomati e laureati dopo tre anni dal diploma o dalla laurea
7
.
Ed saltato fuori che i dati di Reggio sono buoni, sono molto buoni nel
panorama nazionale, per il 37 percento dei laureati a tre anni dalla laurea,
quindi dai trent'anni in su, fa ancora un cosiddetto "lavoro atipico". Poi mi
si dir che una parte di questi fa questo lavoro per scelta perch fa il libero
professionista eccetera, per il 37 percento a Reggio non una percentuale
bassa.
Tra l'altro, en passant, questa indagine ha rilevato in modo molto interessante
anche le retribuzioni: il reddito medio mensile netto di un diplomato, a tre
anni dal diploma, di 847 euro per le femmine e di 982 euro per i maschi, con
una differenza quindi di genere di 135 euro, il che non poco.
Quella di Reggio la prima indagine che stata fatta e quindi non ci sono
termini di paragone.
A livello nazionale, dove invece l'indagine veniva fatta anche in anni
precedenti, si visto che le retribuzioni medie dei diplomati e dei laureati nel
2003 rispetto al 2002, sono diminuite del 7 percento. Abbiamo dunque visto
che in questi anni la modalit d'ingresso nel mercato del lavoro per i giovani
di gran lunga prevalente il lavoro cosiddetto flessibile, quindi a termine. Per
questi che vengono assunti con questo lavoro flessibile, vanno a lavorare in
azienda accanto a tutto il personale che stato assunto negli anni precedenti.
Diciamo per semplificare che il turn aver completo del personale interno ad
un'azienda avviene in trentacinque anni, cio uno viene assunto da giovane e
se lavora sempre l va in pensione dopo trentacinque anni. Quindi si inserisce
su uno stock di manodopera precedente.
Allora, sullo stock di manodopera e quindi sulla presenza totale di coloro
che lavorano, il lavoro atipico oggi pesa per circa il 13 percento. Quindi: 70
percento al momento dell'assunzione, poi pian piano si trasforma in lavoro
stabile e sul totale pesa per il 13 percento.
Oggi possiamo stimare, a Reggio, circa ventottomila persone che fanno
lavoro atipico, di cui dodicimila collaboratori coordinati continuativi. Circa
settemila sono a tempo determinato; circa tremila con contratto di formazione/
lavoro e circa seimila apprendisti.
A questi il professor Serravalli aggiunge un 8 percento di lavoro nero, che
sono circa diciottomila persone. Non un dato particolarmente elevato se
teniamo conto che il Fondo monetario stima per l'Italia un peso dell'economia
sommersa del 27 percento, naturalmente molto nel Sud, per anche da noi in
taluni settori il peso del lavoro nero e dell'economia sommersa notevole.
Diciamo quindi che tra il lavoro atipico - 13 percento - e il lavoro nero
- 8 percento - abbiamo il 21 percento degli occupati, che sono pari a
quarantaseimila persone, che sono una cifra notevole.
La flessibilit indebolisce e segmenta il mondo del lavoro, questo basta
vederlo quando ci sono, ad esempio, gli scioperi. lo lavoro all'Amministrazione
provinciale e quando ci sono gli scioperi nel mio corridoio ci sono cinque e
sei tipologie di dipendenti e collaboratori. In genere, fanno sciopero soltanto
quelli che hanno il lavoro regolare, perch gli altri: co.co.co, quelli che hanno
la partita Iva e quant'altro, gli assunti a termine non fanno sciopero.
La flessibilit e la segmentazione del mercato del lavoro rischiano di mettere
in crisi uno dei capisaldi del modello reggiano: la coesione sociale.
Anche a sinistra, la fine del posto fisso, la flessibilit stata esaltata un po'
come un valore, come uno spazio di libert nel quale la gente, soprattutto
i giovani, preferiscono vivere, con periodi di lavoro alternati a periodi di
formazione, di svago, a viaggi, eccetera.
lo credo che la sinistra di governo abbia avuto una subalternit culturale al
pensiero unico neoliberista. Basti ricordare, ad esempio, il documento firmato
da Blair e D'Alema quando D'Alema era presidente del Consiglio sul tema
delle politiche del lavoro.
In realt rispetto alle attivit lavorative pi tradizionali, pi lineari e
prevedibili, vi - per dirla con Ulrich Beck - un processo di individualizzazione
e precarizzazione del rischio che la gente vive con ansia. E giustamente, con
ansia.
Non parliamo poi della situazione degli immigrati per i quali l'instabilit
esistenziale perch con la Legge Bossi-Fini se una persona, per un qualche
motivo, perde il lavoro o ne trova uno entro sei mesi oppure c' l'espulsione
dal nostro Paese.
In questo decennio di applicazione, in quasi tutti i Paesi occidentali,
del pensiero unico neoliberista secondo le direttive del Fondo monetario
internazionale, sono anche cresciute le ingiustizie sociali e la polarizzazione
della ricchezza. lo vorrei attirare la vostra attenzione su questo punto.
Nello sviluppo economico del dopoguerra, del miracolo economico
eccetera, non che non ci fossero i ricchi e i molto ricchi, per il reddito
nazionale cresceva a dei ritmi notevoli e una parte di questa ricchezza prodotta
andava a vantaggio di tutte le categorie, anche delle categorie pi basse, anche
153
154
per gli operai e per coloro che facevano lavoro manuale.
Oggi non pi cos. Secondo i dati dell'Ufficio delle statistiche americano,
come il nostro ISTAT, nel 1980 il 20 percento pi povero possedeva il 4,3
percento del reddito; nel 2001 possiede il 3,5 percento del reddito; quindi
sempre il 20 percento, ma possiede meno reddito mentre un 5 percento pi
ricco, che possedeva il 15,8 percento del reddito, ora possiede il 22,4 percento
del reddito. Un enorme spostamento di reddito, quindi, dai ceti pi poveri a
vantaggio dei ceti pi ricchi!
Molti di voi conosceranno il sindaco di New York, Mario Cuomo, che stato
il governatore di New York ed in predicato per essere candidato democratico
alle Presidenziali americane. Ebbene, Mario Cuomo ha dichiarato di recente:
Siamo polarizzati come non lo siamo mai stati; sono stati i Repubblicani
a cominciare la guerra di classe che ha diviso il Paese". L'intervistatore gli
chiede: Guerra di classe?, parola un po' forte". Cuomo gli dice: Come
altro si pu chiamare un taglio alle tasse di tremila miliardi di dollari di cui
mille miliardi a favore dei due milioni e mezzo di americani pi ricchi? Oggi i
capi di azienda hanno un reddito che cinquecentotrentadue volte quello di
lavoratori che , in media, di quarantaduemila dollari l'anno. una differenza
quasi impensabile. Quando ero giovane, questo rapporto era uno a dodici.
Che cosa questa se non guerra di classe?".
lo ho citato Cuomo perch in Italia se qualcuno si azzarda a dire che
c' una guerra di classe nel senso che i ricchi fanno la guerra ai poveri. ..
nemmeno Bertinotti si attenta a dirlo, per la sostanza questa. In America
questi processi sono esasperati, per io credo che - lo diceva anche Aristotele
-la democrazia, senza un certo livellamento delle fortune, vuota. Non dico
di andare ad un livellamento totale, nessuno lo vuole, per effettivamente a
questo punto - e anche su questo vorrei chiamare la vostra attenzione - la
percentuale di aumento del reddito nazionale assume un significato relativo:
che cosa pu interessare ai lavoratori che il reddito in Italia l'anno scorso
aumentato dello 0,3 percento?
Certamente, se aumenta il reddito di un Paese in teoria tutti quanti sono
interessati e poi dovrebbero anche beneficiarne, pure se in modo diverso. I
dati della Banca d'Italia - della Banca d'Italia, che non un organismo tanto
di sinistra! - dicono che tra il 2000 e il 2002 il reddito reale degli operai e degli
impiegati calato dell'1,8 percento e il reddito reale dei lavoratori autonomi
cresciuto del 4,4 percentd.
lo ricordo che a Reggio Emilia, ad esempio, i lavoratori dipendenti sono il
74 percento degli occupati! vero che il mondo del lavoro si frammentato,
per la percentuale di occupati dipendenti cresciuta, non diminuita.
E cito sempre la Banca d'Italia: La fascia dei pi poveri ha subto in due
anni una decurtazione del reddito del 4,4%,. Quindi io credo anche che
bisogna cominciare a riflettere sul fatto che l'aumento del reddito, l'aumento
del cosiddetto PIL non pi un indicatore cos importante come era prima; e,
ad esempio, un grande economista premio Nobel come Amartya Sen, rettore
del Trinity college di Cambridge, propone di assumere, come indicatore di
giustizia sociale, di quanto aumenta il reddito reale del 20 percento pi povero
della popolazione.
In sostanza questo decennio ha messo in discussione la stratificazione
sociale poco polarizzata e la coesione sociale che sono tratti essenziali del
modello emiliano.
E questo ce lo ha detto anche uno studioso americano che si chiama Putnam
che ha scritto nel 1993 un libro; dall'Universit di Princeton venuto in Emilia
dove ha studiato il modello emiliano. Ed ha detto che una delle caratteristiche
di questo modello la stratificazione sociale poco polarizzata e la coesione
sociale
9
.
La coesione sociale ha voluto dire, nel modello emiliano, lotte anche aspre,
ma anche un reciproco riconoscimento di ruolo: una composizione dei conflitti
ai fini dello sviluppo.
E qui lasciatemi dire che non possiamo dimenticare quanto avvenuto con
il governo Berlusconi e con la presidenza D'Amato della CONFINDUSTRIA. Prima
con la presidenza D'Amato della CONFINDUSTRIA, che venuta prima, e poi con
il governo Berlusconi.
Forse qualcuno ricorder che quando D'Amato fu eletto presidente della
CONFINDUSTRIA, uscendo dall'assemblea che lo aveva eletto, Agnelli comment:
Hanno vinto i berluschini. E fu veramente profeta in questo. Tra l'altro era
stato sconfitto il candidato che lui sosteneva, che era Carlo Callieri, un uomo
della FIAT.
La Presidenza D'Amato e il governo Berlusconi hanno portato avanti
un gigantesco tentativo di emarginazione e sconfitta frontale del maggiore
sindacato italiano. Hanno puntato alla individualizzazione del rapporto del
lavoro e in buona parte, poi, ci sono riusciti con l'approvazione della cosiddetta
Legge Biagi di cui ancora non abbiamo percepito le conseguenze, ma che si
sta sviluppando in questo periodo.
E non possiamo neanche evitare di fare una riflessione sul ruolo della
CONFINDUSTRIA a Reggio. La CONFINDUSTRIA di Reggio ha sostenuto, fin dall'inizio,
D'Amato e si legata alla cordata di Tognana, che questo industriale del nord-
est. Ha continuato a sostenere la candidatura di Tognana contro Montezemolo
anche in occasione dell'ultima elezione del presidente di CONFINDUSTRIA, unica
CONFINDUSTRIA in Emilia-Romagna.
Credo che questo elemento debba essere tenuto presente perch poi
questa Confindustria ha avuto un rapporto per molti versi privilegiato con le
forze che governano l'Ulivo a Reggio. La CONFINDUSTRIA ha avuto ad esempio
un ruolo molto importante che a volte e parso egemone nella impostazione e
nella gestione della cosiddetta "Cabina di regia" e della Conferenza economica
e sociale lO mentre la CGIL fin dall'inizio si rifiutata di entrare in questa Cabina
di regia.
155
156
lo non dico che la CGIL abbia ragione in tutto, me ne guardo bene dal dirlo
anche perch negli anni scorsi ho avuto pi di un motivo di critica, per credo
che questo fatto sia molto significativo, che ci spiega bene la rottura del blocco
sociale di consenso che costituiva invece uno degli elementi fondamentali del
modello emiliano. Una cosa, questa, che sarebbe stata del tutto inconcepibile
negli anni Settanta.
lo non ho voluto dare una rappresentazione troppo negativa. chiaro
che a Reggio nessuno vuole negare l'alto livello di vita e di sviluppo: siamo
la nona provincia in Italia come reddito medio; abbiamo un reddito che
superiore del 22 percento alla media italiana; il tasso di disoccupazione, il 2,6
percento, tra i pi bassi in Italia; il tasso di occupazione forse il pi alto
del Paese. Quindi alto livello di vita, alto livello di sviluppo: ci troviamo in una
situazione di privilegio. Per occorre, secondo me, riflettere ancora seriamente
sui segnali di pericolo. Siccome questo seminario riflette sul modello emiliano,
sulle sue caratteristiche e la sua evoluzione, ecco noi abbiamo degli elementi
di pericolo: aumentato, anche in Emilia-Romagna, nell'ultimo decennio il
tasso di povert. L'ISTAT stima nel 2002 in Emilia-Romagna un 4,5 percento di
famiglie povere e un 5 percento della popolazione povera: sono duecentomila
persone!
Anche da noi ci sono i poveri che lavorano: i cosiddetti working poors,
parola inventata in America per definire quelli che lavorano e che fanno
magari un lavoro interinale, con un periodo medio di lavoro che va sui dieci-
quindici giorni. E quando L'ISTAT gli va a chiedere: "Ma voi avete fatto un'ora
di lavoro retribuito nella settimana precedente?, rispondono di s e quindi
risultano come occupati. Per, alla fine dell'anno, il reddito che portano a casa
molto scarso.
Si amplia una fascia di destrutturazione e di degrado del mercato del
lavoro, favorita anche dalle politiche di esasperazione della flessibilit,
a partire dall'edilizia. A Reggio le nostre piccole e medie imprese sono un
orgoglio, molte esportano ed hanno capacit imprenditoriali. Non discuto
questo, per undicimila imprese nell'edilizia - undicimila imprese nell'edilizia!
- gran parte delle quali individuali, non mi sembrano un esempio di qualit e
di tecnologia.
Magari, poi, si esalta il fatto che a Reggio c' un alto tasso di crescita
imprenditoriale, per nel 2003 su mille nuove imprese, ottocento settanta
sono state edili! Quindi ci sono degli elementi di riflessione nel senso che
effettivamente il modello precedente in crisi, ci sono elementi anche di
destrutturazione. Non voglio neanche dare un giudizio completamente
negativo della flessibilit perch ci sono anche tanti accordi aziendali e
tanti contratti in cui si sono conciliate le esigenze produttive delle imprese
con le esigenze, anche individuali, dei lavoratori per il part-time, eccetera.
Per, nel complesso, le politiche della flessibilit hanno avuto un segno di
precarizzazione e compressione dei diritti.
E questi segni negativi vi sono anche a Reggio. Vorrei fare due citazioni.
Non citer nessun pericoloso sovversivo italiano, come Cofferati o Bertinotti,
eccetera.
Vorrei citare Robert Reich che stato ministro del Lavoro di Clinton, il
quale dice: "La massima flessibilit del mercato del lavoro ha avuto un effetto
perverso, ha creato i working poors, cio i poveri con impiego, una sorta di
nuovo sottoproletariato. I salari fluttuano troppo, la gente viene licenziata
troppo facilmente. Non c' redistribuzione del reddito. L'Unione europea lo
deve evitare"l1.
E l'altro ]oseph Stiglitz, premio Nobel nel 2001, che stato vice-presidente
della Banca mondiale, che dice, con la franchezza con la quale si esprimono
gli americani che sono molto diretti quando parlano e quando scrivono: "Il
Fondo monetario ha lottato per quella che eufemisticamente viene definita la
flessibilit del mercato del lavoro. Che detta cos sembra una espressione che
indica un migliore funzionamento del mercato del lavoro, ma in parole povere
significa stipendi pi bassi e minori tutele per i lavoratori12.
Ora, io non so se abbia ragione un altro studioso inglese, Colin Crouch,
che ha di recente scritto un libro, molto bello, che si chiama Postdemocrazia
13
,
nel quale sostiene che attualmente sono rimesse in discussione non solo la
democrazia - da qui il titolo del suo libro - ma le conquiste dello stato sociale
che sono venute prima della democrazia, sono cominciate centoquaranta
anni fa, con Bismark. Certo, il pensiero unico neoliberista, dalla Tatcher fino
ai neoconservatori americani, ha condotto un attacco senza precedenti alle
condizioni dei lavoratori.
E qui faccio alcuni esempi. Uno questo recentissimo della Fiat di Melfi.
Francamente, pur essendo un attento studioso dell'economia, non sapevo che
ci fossero dei lavoratori che facevano dodici notti dietro fila! Non lo sapevo.
E non credo neanche che fosse possibile negli anni Settanta fare dodici notti
di fila.
E l'altro una dichiarazione del presidente della Siemens, Von Pierer, che
una grande azienda elettronica, una delle pi grandi aziende multinazionali
tedesche, il quale commentando un accordo fatto nella fabbrica di Bokolt, in
Germania, dove molte aziende hanno ancora un accordo per trentacinque
ore di lavoro, in questa fabbrica della Siemens hanno contrattato di riportare
l'orario a quaranta ore di lavoro. E lui ha commentato: il mio motto: "Pi
lavoro per lo stesso stipendio realizzabile. Lo ha dichiarato apertamente.
Credo che sia ora, dato che ci chiamiamo Aprile per la sinistra, di dire
che ora di smettere di parlare di mercato del lavoro rigido per cui ci vuole
pi flessibilit. E deve smetterla anche la Commissione europea, guidata da
Romano Prodi. Certamente la Commissione europea non fa solo quello che
dice Prodi, per ora di smetterla di scrivere anche nei documenti della
Comunit europea che ci vuole maggiore flessibilit.
Perch a questo punto invocare una maggiore flessibilit vuole dire solo
157
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una cosa: invocare la libert di licenziamento nel senso che, in effetti, poi
questo tentativo di attacco sull'articolo 18 ha voluto dire questa cosa. E bisogna
cominciare a parlare dei problemi veri dell'Italia.
Faccio solo due brevi accenni su quali sono, secondo me, i problemi veri
dell'Italia.
Primo: esiste un Ufficio europeo dei brevetti che si chiama European
patent office. Questo Ufficio nel 2001, l'ultimo dato che ho questo, ci dice
che la Finlandia ha registrato 337 brevetti per milione di abitanti; la Svezia
366, la Germania 309 e l'Italia 74! Dodicesimo Paese su quindici, dell'Unione
europea!
La seconda cosa questa: va bene che siamo il Paese - e la provincia
soprattutto - delle piccole e medie imprese che tante volte fanno dei miracoli,
vero, sui mercati esteri. Ci sono artigiani con quindici dipendenti che vendono
all'estero. Conosco uno che si chiama Bronzoni e che produce a Ramiseto dei
motori elettrici che vende in Australia, tanto per dire. Per, un Paese che vuole
essere la settima potenza industriale del mondo, non pu stare senza grandi
imprese perch sono le grandi imprese che fanno la ricerca e l'innovazione.
Non pu. Noi abbiamo una bella industria della meccanica agricola, per
tutte le nostre macchine agricole l'accensione Bosch la vanno a prendere in
Germania, magari il pezzo che costa di pi e che quello su cui la Bosch
guadagna anche di pi.
C' una rivista americana, "Fortune", che tutti gli anni compila l'elenco delle
prime cinquecento aziende industriali del mondo, e l'Italia ne ha una sola ed
la FIAT.
Credo che anche per Reggio non dobbiamo quindi perseguire la strada
della ulteriore flessibilit, che una di quelle parole malate di cui ha parlato
Cofferati, e di ulteriore precariet e compressione dei salari, ma la strada volta
alla ricerca, volta all'innovazione, ad una qualit sociale ed ambientale, alla
solidariet.
1 Amministrazione Provinciale di Reggio Emilia, Gli stranieri a Reggio Emilia, a cura
di E. GRAPPI e P. SPAGNI, 1981.
2 Amministrazione Provinciale di Reggio Emilia, La popolazione reggiana nel 2003, a
cura di L. MELLONI e C. TAGLIA VINI, 2004.
3 Provincia di Reggio Emilia, "Osservatorio Economico", 2004/82.
4 Provincia di Reggio Emilia, "Osservatorio Economico", 2004/82.
5 Centro Studi Amministrativi di Reggio Emilia-Provincia di Reggio Emilia, Annuario
della scuola reggiana, a cura di L. BONACINI, dicembre 2002.
6 CGIL, Sviluppo Economico e mercato del lavoro a Reggio Emilia, a cura del prof. G.
SERRAVALLI, Dipartimento di Economia dell'Universit di Parma.
7 Provincia di Reggio Emilia, Osservatorio sugli sbocchi occupazionali della scuola
secondaria, dell'Universit e dI sistema della formazione professionale in provincia di
Reggio Emilia, 2004.
8 Banca d'Italia, I bilanci delle famiglie italiane nel 2002.
9 R.D. PUTNAM, La tradizione civica nelle regioni italiane, Mondatori, Milano 1996.
lO RE Regia, Conferenza sull'Economia e la Societ nella Comunit di Reggio Emilia,
5-6 marzo 2004.
II Cito da C. SALVI, La rosa rossa, Mondadori, Milano 2000, p. 88.
12 ].E. STIGLlZ, La globalizzazione e i suoi oppositori, Einaudi, Torino 2002, p. 83.
13 C. CROUCH, Postdemocrazia, Laterza, Roma-Bari 2003.
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"Modello emiliano": lavoro e coesione
sociale a Reggio Emilia
Gian Franco Ricc
Per molti anni la classe dirigente di Reggio Emilia ha vantato la coesione
sociale della sua popolazione, giudicando le relazioni sociali un punto di
forza assoluto assieme alla fiducia espressa verso quelle stesse classi dirigenti.
Oggi la minor enfasi di questi discorsi sembra tener conto che la societ
diventata instabile, pi fragile di quanto pensavamo. Del resto la caduta della
rappresentativit politica dei cittadini ha reso pi visibile in questi ultimi
anni quei cambiamenti in corso da circa un quarto di secolo. Nel saggio di
Enzo Grappi vengono individuate alcune importanti variazioni del lavoro
e nell'occupazione, le quali si riflettono anche nella convinzioni politiche.
lo mi propongo di approfondire la conoscenza della parte meno visibile
dell'occupazione, quella del lavoro nero e irregolare, per vederne i riflessi
nella societ reggiana.
La maggior fragilit della coesione sociale a Reggio Emilia deriva dai
cambiamenti della popolazione, immigrata ed autoctona, che vive e lavora
con pochi diritti, sprovvista di una prospettiva economica a cui guardare
con sicurezza, non ha nemmeno organizzazioni di tutela alla sua portata. Chi
lavora al nero non si fa tutelare dal sindacato se non quando finisce il rapporto
di lavoro, prima si tutela da s come pu, cio adeguandosi alla legge del pi
forte, a volte non conosce neppure la lingua italiana. Sono lavoratori che in
larga parte non hanno nessun peso politico, anzi in certi casi si nascondono
perch sono clandestini. Negli Stati Uniti d'America ed in Inghilterra queste
persone sono chiamate "lavoratori invisibili". Esistono, ma non si vedono.
E sono anche quelli che in genere fanno le attivit pi neglette, faticose e
sovente mal pagate, sostanzialmente povere. personale che fa le pulizie
di notte, quando gli uffici sono chiusi, lavora nelle case per l'assistenza agli
anziani, occupato nei servizi, nella logistica, in agricoltura, nei laboratori e
sui cantieri edili. Tutte cose che permettono di affermare che nel territorio di
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Reggio, come nel resto del paese, insediato un pezzo di "terzo mondo".
Non v' dubbio che questa presenza gradualmente sia diventata importante
in molti settori dell'economia e dei servizi pubblici attraverso le pratiche
dei subappalti, delle esternalizzazioni decise da imprenditori privati e dalle
amministrazioni pubbliche, dando un rilievo nuovo alla storia del modello
emiliano. Locuzione che uso per riferirmi alla organizzazione del potere della
sinistra, la quale ha governato gran parte dei comuni reggiani dall'inizio del
1900 e, dopo l'interruzione del ventennio fascista, dal 1945 ai giorni nostri.
Un potere molto ramificato nato dalle coalizioni dei lavoratori per esercitare
la solidariet con le amministrazioni municipali, le camere del lavoro, le
cooperative, le associazioni contadine, artigiane, delle piccole imprese, delle
donne ecc. Un sistema in larga parte superato e che vive alle prese con i forti
cambiamenti della globalizzazione economica, la quale significa competizione
con la riduzione di salari, stipendi, pensioni, notevole evasione fiscale e degli
oneri sociali, impoverimento del tesoro pubblico e crisi del welfare. Questo
il contesto in cui diventa fragile la coesione sociale di Reggio Emilia, da l si
vede nitidamente come i fatti planetari rincorrono quelli locali e viceversa.
Quanto lavoro nero ed irregolare c' a Reggio Emilia? Alcuni anni fa il
professor Gilberto Serravalli dell'Universit di Parma ipotizz 1'8 percento di
tutti gli occupati. Avendone centocinquantacinquemila di occupati l'operazione
aritmetica d la cifra di dodicimilacinquecento. Una stima che oggi appare
distante dalla realt. Ovviamente trattandosi di lavoro nero, cio sconosciuto
dalle istituzioni pubbliche, non permette a nessuno di sostenere con certezza
quanto sia, tanto pi che sono molteplici le tipologie di lavoro irregolare (dalle
irregolarit retributive alle mancate assunzioni e fino al doppio lavoro non
regolarizzato). A quanto dato sapere per Reggio Emilia non esistono delle
stime locali fatte dalla Direzione provinciale del lavoro. possibile prendere
come riferimento alcune cifre elaborate da istituti nazionali sull'Italia, per avere
poi un raffronto con la provincia e con la regione Emilia-Romagna. I dati ISTAT
per il 2003 valutano che in Italia ci fossero tremilionicinquecentomila lavoratori
in nero su ventitremilioni di unit di lavoro (pari al 15 percento circa). I dati
ISTAT per non sono considerati del tutto attendibili perch ricavati da interviste
e non ragionevole presumere che qualcuno dicesse che lavorava in nero.
I rapporti INPS sono pi accreditati perch elaborati sulla base delle verifiche
che l'istituto ha compiuto sui luoghi di lavoro, anche se non sono attendibili
per la loro disomogeneit e casualit. Non si possono confrontare di anno in
anno. L'INPS ipotizzava che in Italia nel 2003 vi fossero pi di sei milioni di
lavoratori irregolari, il che corrispondeva a quasi il 20 percento degli occupati
regolari. Per quanto riguarda la provincia di Reggio Emilia possibile fare
riferimento ad una ispezione della task force del ministero del Lavoro che
nel 1999 visit cento aziende. Venne invitata dalle organizzazioni sindacali,
particolarmente scandalizzate da ci che accadeva nel settore dell'edilizia,
e non solo. Su centonove aziende ispezionate 1'86 percento era irregolare.
Irregolare non significa al nero, ma considera un insieme di cose che vanno
dalle inadempienze amministrative, contributive, salariali, della sicurezza, fino
al lavoro nero. Irregolari erano centossessantaquattro lavoratori: il 42 percento
di loro, quelli completamente al nero una trentina, cio 1'8 percento dei
dipendenti. Altre indicazioni provengono dalla Vigilanza regionale dell'Inps.
Nel loro elaborato purtroppo non compaiono molti dati disaggregati per
provincia e non sempre agevole capirli. E poi anche questo documento non
si trova facilmente. Le persone non regolari a Reggio Emilia, dalle ispezioni
INPS del 2003, sono state il 14 percento, che tradotto in unit corrisponde a
circa ventiduemilioni di lavoratori dipendenti. Si tratta di vedere se fossero
completamente al nero o solo parzialmente. I dati aggregati del rapporto INPS
per tutta l'Emilia-Romagna riferiscono che delle aziende ispezionate pi del 66
percento irregolare. Hanno pescato 10.569 lavoratori con irregolarit, per
non dato sapere il numero dei lavoratori dipendenti delle aziende ispezionate.
Di questi ne hanno trovati 8346 in nero. Aziende totalmente al nero, cio non
conosciute, sono state milleseicentosedici. Di queste millecentodiciannove
erano costituite da lavoratori autonomi non iscritti.
Il settore dell'edilizia a Reggio Emilia per l'anno 2003 contava 19.250 occupati;
di questi circa novemila erano dipendenti e pi di novemila artigiani. La parte
maggiore degli artigiani, come hanno messo in rilievo diverse ispezioni, la
task force del ministero del Lavoro, forniva esclusivamente manodopera. I
sindacati denunciarono l'esistenza dei finti artigiani senza professionalit,
senza organizzazione da consentirgli l'acquisizione di ordini dal mercato.
Lavoratori dipendenti con partita IVA perch cos volevano e ancora vogliono
i padroni delle imprese per le quali lavorano. In realt sono dipendenti
impiegati in lavorazioni guidate da un impresario che li ingaggia per lavorare
nelle squadre di cottimisti. Un fenomeno tipicamente meridionale, del tutto
simile al caporalato, e che si ben insediato nel territorio reggiano. Fenomeno
interessante per le imprese che acquisiscono appalti pubblici o promuovono in
proprio delle attivit immobiliari perch si tengono distanti dalle irregolarit da
cui traggono vantaggio, e delegando ad altri il lavoro "sporco". Larga evasione
contributiva, evasione fiscale, norme disattese nella sicurezza, completa
flessibilit, pochissimi dipendenti nelle aziende maggiori. Le imprese artigiane
vere e proprie esistono senz'altro, con molte probabilit oscilleranno dallO al
20 percento del totale delle imprese edili registrate dalla Camera di commercio.
Un fenomeno unico e che non ha eguali in altre province.
Altro settore esposto al lavoro nero quello tessile-abbigliamento. La
diffusione di laboratori gestiti da cinesi, descritta sovente dalle cronache
giornalistiche, l'abbiamo scoperta con le incursioni dei carabinieri dentro le
fabbrichette tessili situate nelle campagne reggiane. Le cose cominciarono
a venire a galla dal 1990. Nel 1990 ci fu la prima sanatoria dei clandestini
immigrati dalla Repubblica popolare cinese. Da allora si hanno le prime
presenze conosciute dalle istituzioni perch i lavoratori della Repubblica
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popolare cinese cominciano a regolarizzare la loro posizione. Un libro del
1994, scritto da Francesco Sisci con Patrizia Dionisio (Piovra gialla, casa
editrice Liber internzionale) esordiva con l'inizio fulminante della irruzione
dei carabinieri in un laboratorio tessile nella campagna di Reggio Emilia. Erano
cose sorprendenti, oggi non pi, l'abitudine ha fatto la sua strada. La met dei
cinesi immigrati, scritto nel libro, aveva passaporti e permessi di soggiorno
falsi. Li pagano molto cari con un anticipo, poi fanno il viaggio, di solito
terribile. Infine sono inseriti al lavoro qui in Italia fino alla estinzione del
debito. Lavorano come schiavi perch nella condizione in cui si trovano non
hanno la libert di potersi licenziare n reclamare diritti. Quelli che prendono
i soldi da questi cinesi non stanno in Italia, stanno in Cina. L'organizzazione
della emigrazione cinese piuttosto complessa, riesce a coprire grandi distanze
geografiche e riesce a disporre di molto danaro. Oggi si nota anche la presenza
della prostituzione di ragazze cinesi, segno che l'economia della criminalit si
va estendendo di pari passo al denaro acquisito.
Per il settore alimentare non ci sono stime sul lavoro nero, per nel 2002
venne alla ribalta con in fatto di cronaca nera, l'omicidio di un operaio albanese.
La vicenda di una cooperativa, la Dimac, port alla luce una situazione molto
allarmante, quella dei piccoli macelli. Qualche anno prima un dirigente al
personale confidava che "la spinta verso il lavoro nero enorme a tal punto
che se a Carpi non arrivi con tre milioni al mese non li tieni, ci portano via
la gente. Si trattava dei macellai che non volevano guadagnare di meno dato
che c'era chi era disponibile a darne di pi. Aggiunse che "il bisogno di soldi
dei lavoratori aiuta le imprese ad ottenere quello che vogliono. Li pagano
per trattenerli. In questo contesto, confermava l'interlocutore, "le cooperative
spurie sono il festival del lavoro nero. Eravamo nel 1999. La Dimac era una
cooperativa di facchinaggio e la sede non era a Poviglio ma a Castelnovo
Rangone, essa formava una o pi squadre di facchini che si spostavano sul
territorio, era una cooperativa spuria che raschiava prosciutti di importazione
illecita, li marchiava nuovamente per metterli in commercio con altro vestito
ed il prezzo gonfiato. In molti macelli coloro che lavoravano regolarmente
dichiaravano salari netti bassissimi mentre quelli reali erano molto pi alti. Per
questo l'appalto una pratica diffusa. Appaltando la lavorazione concordano
il costo del servizio con un'altra impresa. L'irregolarit formale viene messa
fuori dalla responsabilit della impresa titolare.
Logistica facchinaggio e trasporti non costituiscono una filiera unica, non
sono un settore la cui omogeneit sia confrontabile perch sono quasi sempre
al servizio per spostare produzioni di altri. In molti casi sono talmente integrati
con le imprese che servono da essere in simbiosi. Per dare l'idea basterebbe
ricordare che le produzioni flessibili sono state un fattore di alta competizione
commerciale perch sono evolute con il just in time col quale si raccordata
la produzione con i tempi reali della vendita. A questo ha provveduto la
logistica arrivata dal 1960 al 2000 attraverso la generazione di tre modelli.
La logistica, facchinaggio movimentazione merci non dispone di statistiche
del tutto aderenti alla evoluzione del comparto, comunque dirigenti della
Camera del Lavoro valutano che a Reggio, nel 2003, vi fossero occupati dai
tremila ai quattromila addetti. Nel facchinaggio il futuro previdenziale dei
lavoratori legato a contributi calcolati su salari convenzionali di ottocento
euro, vale a dire piuttosto bassi. Questo incentiva accordi tra le parti per
denunciare il minimo del salario ed elevare la quantit delle trasferte esenti
dalla contribuzione. I salari convenzionali sono una modalit che trae origine
dal lavoro avventizio dell'agricoltura di altre epoche. Il lavoro irregolare lo
si riscontra pi facilmente nelle duecento piccole cooperative con meno di
nove lavoratori, tanto la nuova legislazione sulla cooperazione ne consente la
costituzione con almeno tre soci.
Il settore dell'autotrasporto composto soprattutto da artigiani. Nella
provincia di Reggio Emilia nel 2004 erano milleottantotto quelli adibiti alle
merci, ottanta quelli del trasporto persone. Con la esternalizzazione dell'attivit
fatta dalle imprese pi strutturate verso il lavoro autonomo, tutti questi
artigiani hanno dovuto caricarsi sulle spalle l'immobilizzo del capitale. Questo
popolo dell'autotrasporto denuncia le difficolt che incontra ogni giorno per
la inefficienza della viabilit, per la concorrenza sleale di altri autotrasportatori,
per il prezzo delle assicurazioni e dei carburanti. Il Presidente regionale della
FITA-CNA (28 marzo 2004) ha sostenuto che non siamo competitivi ... abbiamo
dal 20 percento al 50 percento di spese in pi rispetto al resto d'Europa, e il
risultato che da noi otto aziende su dieci lavorano illegalmente, con gravi
danni sulla sicurezza. La CNA nel maggio 2002, attraverso il suo Presidente
provinciale, sottolineava la situazione di crescente irregolarit nell'autotrasporto.
Citava, ad esempio, che la Polizia stradale su trentadue mezzi controllati
ne trov quindici sovraccarichi ma non solo, nove conducenti lavoravano
completamento in nero.
I comparti dei servizi sono per eccellenza quelli in cui alberga lavoro nero e
clandestino: ristoranti, pizzerie, bar, imprese di pulizia dove esercitano diverse
cooperative spurie, lavoro domestico e servizi alla persona. Tra questi da
segnalare il fenomeno del "badantato", il pi rilevante di questi ultimi anni. La
definizione di badantato deriva dall'assistenza notturna, dietro pagamento al
nero, fatta negli ospedali da tantissimo tempo. La novit sta nella esplosione vera
e propria della immigrazione di donne provenienti dai paesi dell'est europeo,
le quali assicurano l'assistenza tra le mura di casa alle persone parzialmente
o totalmente disabili, solitamente anziani. Questi i numeri dell'INPs per Reggio
Emilia: mille quattrocento lavoratrici di cui oltre ottocento assunte regolarmente
alle quali sono da aggiungere altre che possiedono i requisiti per l'assunzione
ed il permesso di soggiorno. Il numero di queste lavoratrici indicato dalla
Camera del lavoro di Reggio Emilia per il 2005 di circa diecimila persone. Se
le stime del sindacato sono veritiere il volume del lavoro nero nell'assistenza
familiare alla persona superiore alle ottomila unit.
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La descrizione dei settori al nero non sarebbe compiuta se trascurassi il
sommerso economico, vale a dire tutto quello che viene prodotto, scambiato
e guadagnato in modo tale da evitare gli obblighi derivanti dalla imposte.
Lavoro irregolare e sommerso economico sono solidali nella competizione
con la legalit. Se i servizi pubblici sono strumenti di reciprocit tra i cittadini
in quanto tutti contribuiscono secondo le e tutti fruiscono secondo i
loro bisogni, si pensi a servizi fondamentali che garantiscono la soglia minima
di benessere a tutti i cittadini nei campi dell'istruzione, sanit, previdenza e
assistenza, il sommerso economico sovverte questo ordine. Sottrae al bene
comune una parte della ricchezza prodotta impoverendo le disponibilit
collettive, il tesoro pubblico diventa pi povero. Immaginare da questo punto
la spirale che crea non difficile. Minori risorse conducono a tagli della spesa
pubblica, con minori prestazioni pubbliche aumenta anche la tendenza a pagare
il meno possibile le tasse. Il sommerso economico costituisce quindi un danno
ingente al sistema di sicurezza sociale basato sulla mutualit collettiva garantita
nel tempo e per il suo funzionamento dalla Stato. Il sommerso economico
pertanto un fattore importante di indebolimento della coesione sociale.
Nel rapporto annuale 2003 della Guardia di finanza si evincono due
cifre sugli evasori totali (sommerso d'azienda) che si commentano da sole.
Scoperti seimilacinquecentodue casi nel 2003, l'anno prima (2002) erano
stati seimilaottocentoventotto. Questo per quanto riguarda tutto il territorio
nazionale, ma per farsi una idea sulla pervasivit del fenomeno dovrebbero
bastare le parole del comandante della GDF di Reggio Emilia: Nonostante
il condono, che pure alle aziende costato molti soldi, abbiamo accertato
numerose violazioni. La GDF di Reggio Emilia ha accertato nel 2003 che la.
propensione a comportamenti illegali si fatta pi elevata nelle imprese di
medie e grandi dimensioni, cosa che non pu meravigliare pi di tanto perch
nella realt sempre esistita. Si prendano tre aspetti rilevanti nella vita nazionale
delle medie e grandi imprese: la loro finanziarizzazione, che significa gestione
finanziaria non pi come supporto alla produzione materiale ma destinata ad
attivit speculative; il ricorso normale al segreto bancario dei paradisi fiscali; la
contabilit al nero. La propensione era gi stata notata nei primi quattro mesi
del 2002, il 95 percento dei controlli su grandi imprese aveva accertato evasione
fiscale nelle classi di impresa medie e grandi. Lo dichiarava l'Agenzia delle
entrate. La CGIL ha denunciato per il 2002 un sommerso economico oscillante
fra il 15,6 percento ed il 17,1 percento del Prodotto interno lordo. EURISPES nel
2000 sostenne che l'economia nera produceva cinquecentotrentamila miliardi
di lire. Sempre per l'anno 2000 l'INPS ha calcolato che su millecinquecento
miliardi (in lire) evasi in contributi millecentodue erano da ricondurre al lavoro
nero.
Con il lavoro nero e il sommerso economico si coprono attivit illegali
e criminali che sfruttano il flusso degli immigrati in arrivo. Fatti che non
permettono alle istituzioni ed a tutta la societ civile nessuna superficialit.
La mafia cinese conduce il traffico di clandestini ed ben presente anche
a Reggio come uno dei nodi della fitta rete costruita in Italia, lo dimostrano
le indagini della Questura reggiana. Indagini fatte tra il 2001 ed il 2002 hanno
scoperto ad esempio che la mafia voleva obbligare un artigiano cinese a
prendere lavoratori cinesi clandestini. Lui si rivolto alla polizia e questa ha
scoperto una grande organizzazione, ovviamente cinese, con il negozio di
rappresentanza a Bari con la missione di collocare i lavoratori importati come
la merce. I clandestini cinesi li formavano a blocchi, venduti e ricomprati
da altre organizzazioni. Col viaggio la propriet passava di banda in banda,
da mafia a mafia. Ci sono stati arresti di boss a Trieste collegati a Reggio.
Mafia cinese presente nel campo della prostituzione, dei laboratori tessili e
del racket. Il riferimento indistinto all'etnia cinese non permette di distinguere
come si dovrebbe tra le vittime ed i carnefici. Si narra comunque che cinesi
acquistano interi quartieri, si inseriscono gradualmente e poi colonizzano i
luoghi. gi un gran dire fra la gente del mercato coperto di Reggio: rischia
di cadere in mani cinesi! Stanno acquistando tutto! Questo si dice tra i
commercianti, stanno rilevando le licenze degli ambulanti, gradualmente, non
un fenomeno che si vede da una settimana all'altra, ma piano piano vedrete
che avranno una presenza cospicua nei mercati. A Roma hanno comperato
gran parte del quartiere Esquilino. Gli investimenti di denaro sono dettati dalla
necessit di investire il denaro ricavato dall'attivit illecita. Il libro di Sisci e
Dioniso portava, e non a caso, un sottotitolo inquietante: La mafia cinese alla
conquista del mondo.
La criminalit organizzata a Reggio anche criminalit calabrese, la
'ndrangheta e si muove nella palude dell'edilizia. I Procuratori della Repubblica
hanno pi volte citato nelle loro relazioni che a Reggio esiste una cosca di
Cutro che fa attivit di usura, di spaccio di droga, di riciclaggio di denaro di
provenienza illecita, di false fatturazioni, di racket, di estorsione ad imprenditori
edili. Da tutto questo ha preso vita il processo "Edilpiovra" che ancora non
si concluso. La presenza di una folta popolazione proveniente da Cutro,
la predominanza di imprenditori cutresi in un segmento del ricco mercato
immobiliare reggiano, cantieri nei quali normale la diffusione del lavoro
irregolare, una 'ndrina cutrese come filiale in territorio reggiano, l'omert
come forma di autodifesa popolare dalla violenza mafiosa, una frattura nella
societ civile reggiana.
Esiste il sospetto che l'autotrasporto sia stato penetrato dalla criminalit
organizzata, la CNA ha denunciato l'esistenza di una concorrenza sleale di
autotrasportatori che viaggiano con carichi eccedenti la possibilit normativa,
elusione dei riposi obbligatori, offerta generosa di tariffe sottocosto. Concorrenza
che avrebbe origine dall'ingresso nel settore di denaro riciclato e mostrerebbe
una notevole disponibilit di mezzi.
La presenza di pratiche illegali potrebbe portare nel tempo alla frattura
delle normali relazioni civili. In discussione ci sarebbero anche la libert delle
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persone, e il rispetto dei loro diritti e il rischio di una democrazia vuota perch
apparente, e come tale distante dai cittadini. Guai per ad indulgere a posizioni
e manifestazioni ostili agli immigrati, e non solo per un doveroso sentimento
di solidariet umana, ma perch molti di questi, soprattutto i loro figli, sono i
reggiani di oggi e quelli di domani. Il campo della coesione sociale si estende
con tutti i suoi problemi davanti ai nostri occhi.
Tra i fattori che mettono a rischio la coesione sociale a Reggio Emilia il pi
importante la diversa struttura dell'occupazione che risulta dal confronto
con il passato. Fatto 100 con 156.520 lavoratori dipendenti per l'anno 2003, la
rilevazione NIDIL-CGIL ha indicato (anno 2004) 33.187 co.co.co, 10.000 lavoratori
interinali circa, professionisti con partita IVA 1851. Si aggiungano a questi circa
9000 falsi artigiani dell'edilizia. La stima porta ad una platea di 50.000 lavoratori
con rapporti di lavoro instabili o se si vuole precari.
L'occupazione ed il lavoro sono state una componente importante nel
determinare la fragilit della coesione sociale, in essa troviamo l'enorme
fenomeno della immigrazione, l'attacco al sistema di mutualit fra le diverse
generazioni che si prefiggeva la protezione degli individui nell'et della
vecchiaia. Si aggiungano la carenza di abitazioni per le famiglie pi povere,
i risparmiatori traditi dal comportamento BIBOP-CARIRE ed il distacco crescente
tra vita politica istituzionale e tanta parte della popolazione, e si avr la
percezione che nella nostra provincia notevolmente aumentato il carico
della sofferenza sociale. Questo aspetto sembra congiunto con la mancanza
di fiducia nel futuro. Molti cittadini si aspettano sgradite sorprese nei prossimi
anni. Un fatto universale, accade in Europa e negli Stati Uniti. A Reggio Emilia
si cominciato un lavoro di integrazione che ha riguardato l'accoglienza degli
immigrati stranieri, l'alfabetizzazione, la presenza nelle scuole dei bambini,
la presenza nei sindacati, ma questi sono processi che hanno richiesto molti
anni e possono entrare in difficolt ad ogni ondata immigratoria. Difficile la
soluzione di altri problemi quali l'elevato costo della vita, le abitazioni troppo
costose, il lavoro scarsamente tutelato. Problemi analoghi a quelli che vivono
molti reggiani e connazionali immigrati dal sud. Da quasi dieci anni stato
fatto un patto per il controllo sul lavoro negli appalti pubblici senza risultati.
Probabilmente le questioni del lavoro sono state dimenticati per troppi anni
dalla politica fatta a Reggio Emilia.
Ecolinguistica dell'italiano
negli Stati Uniti.
Dinamiche del processo di perdita linguistica
tra gli emigrati italiani
nel territorio statunitense
Francesca Bell
Introduzione
Perch su quasi sedici milioni di itala-americani residenti negli Stati Uniti
solo il 2 percento parla italiano? Come mai la maggioranza degli italiani e
dei loro discendenti emigrati in Australia, in Canada e in Gran Bretagna ha
conservato meglio e pi a lungo la lingua etnica? Lo scopo principale di questo
studio, condotto negli Stati Uniti nell'arco di tre anni, quello di tentare di
fornire possibili risposte a tali domande. A partire da una ricerca sul campo
svolta nella contea di Schenectady, NY, e attraverso lo studio approfondito dello
scenario economico, socio-storico, politico e culturale del contatto linguistico
tra italiano e inglese, cerco di spiegare perch gli Stati Uniti, meta storica
dell'emigrazione italiana, sono il paese anglofono in cui la lingua italiana
stata abbandonata pi rapidamente dagli emigrati.
L'approccio secondo il quale ho inteso impostare l'indagine noto nella
letteratura linguistica come ecologia della lingua o ecolinguistica. Secondo
questo indirizzo di ricerca il comportamento linguistico non pu essere
compreso pienamente senza l'esame della totalit delle relazioni tra la lingua
e il suo ambiente, l'ecologia appunto. Lo studio dell'ecologia di una lingua
dunque lo studio delle caratteristiche del contesto storico, economico, sociale,
culturale, politico, psicologico e religioso dei suoi parlanti, nonch l'indagine
degli effetti che l'interrelazione tra questi aspetti produce sulle loro scelte
linguistiche. Solo alla luce di queste osservazioni possibile formulare delle
ipotesi sul come e il perch le persone usano le lingue in un dato modo.
L'ancoraggio di una lingua alla sua particolare ecologia fondamentale
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proprio quando necessario spiegare la perdita di una lingua in un determinato
contesto, e il mantenimento della medesima in un altro contesto. tramite
il confronto delle differenti ecologie che infatti possibile individuare quei
fattori che accelerano o rallentano, nell'uno o nell'altro caso, un fenomeno
come la perdita linguistica.
L'esame della peculiare ecologia della lingua italiana nel territorio
statunitense ha permesso di rilevare una situazione particolarmente sfavorevole
al mantenimento della lingua etnica da parte degli emigrati. Confrontando i
differenti contesti dell'emigrazione italiana nei paesi anglofoni, stato infatti
possibile individuare due fattori ecologici che, negli Stati Uniti, sembrano
aver contribuito in modo significativo alla rapidit ed estensione della perdita
linguistica: la discriminazione razziale subita dagli emigrati e la forte pressione
assimilante imposta dalla societ statunitense.
Discriminazione razziale
Dei fenomeni discriminatori subiti dagli emigrati negli Stati Uniti poco si
scritto e ancor meno si discusso, in Italia. Anche negli USA, forse per il
generale sentimento di benevolenza di cui sono attualmente oggetto gli italiani
e il diffuso apprezzamento per le loro tradizioni (specie quelle culinarie),
si dimentica spesso che, almeno per tutta la prima met del ventesimo
secolo, gli italiani hanno subito una severa ed estensiva discriminazione
razziale. Per comprendere l'impatto che la discriminazione pu aver avuto
sul comportamento linguistico degli emigrati, ho ritenuto importante illustrare
il fenomeno in modo approfondito, portando alla luce alcuni degli aspetti
pi dolenti, e forse per questo maggiormente taciuti, della storia degli italiani
emigrati nel "Nuovo mondo".
Non molti sanno che il processo di "razializzazione" cui sono stati sottoposti
gli italiani - soprattutto i meridionali - negli Stati Uniti, ha avuto in realt inizio
in Italia, prima dell'emigrazione. Verso la fine dell'Ottocento, i primi scritti
degli antropologi positivisti avevano infatti diffuso la convinzione, fondata
su "prove scientifiche", che l'arretratezza socio-economica del Meridione
fosse radicata nell'irrimediabile inferiorit razziale dei suoi abitanti. Sulla
base dell'analisi dei crani umani, gli antropologi Giuseppe Sergi e Alfredo
Niceforo cercarono di dimostrare di avere scoperto prove dell'esistenza di
una razza "mediterranea" di origine africana, preponderante nel Sud del
paese, e di una razza "germanica" o "celtica" dominante al nord. Secondo
Sergi e Niceforo le due "variet" di popolazioni, oltre che per le differenze
nella costituzione fisica, si distinguevano anche per alcuni tratti psicologici
"congeniti". Mentre i "germanici" mostravano una naturale disposizione
all'ordine e all'organizzazione, e uno spiccato senso di coscienza sociale", i
"mediterranei" manifestavano invece una tendenza selvaggia nell'individualit
che portava a delitti di sangue e all'associazione a delinquere"l. In pratica,
Sergi e Niceforo attribuivano tale presunta diversit nei tratti comportamentali
delle due popolazioni alla loro natura antropologica, cio alla loro razza, come
fatto essenziale, e ad essa attribuivano l'''antagonismo'' delle condizioni sociali
ed economiche tra il nord e il sud del paese. Queste credenze, che godevano
all'epoca di ampia considerazione in ambito scientifico, vennero rapidamente
diffuse anche da una larga parte della produzione culturale di massa italiana,
e rapidamente, l'Italia meridionale divenne metafora di anarchia, ignoranza e
barbarie ben al di l del mondo accademico. Proprio a quell'epoca, all'acme
dell'assalto popolare e scientifico contro gli italiani del sud, centinaia di migliaia
dei tanto denigrati meridionali sbarcavano sulle coste americane.
Gli Stati Uniti in cui arrivarono gli emigranti erano una nazione profondamente
fratturata da gerarchie di disuguaglianza basate sulla razza. Le ideologie razziali
sui meridionali vennero dunque prontamente assorbite dagli americani,
soprattutto dai bianchi di origine anglosassone. Allarmati dall'eccezionale
flusso migratorio proveniente dall'Italia, le istituzioni e i cittadini americani
fecero ampio uso delle credenze sulla razza diffuse dai positivisti italiani. Nel
1911, la Commissione Dillingham sull'Immigrazione pubblic un rapporto
in quarantadue volumi che alcuni anni pi tardi divenne il fulcro delle
nuove leggi sull'immigrazione negli Stati UnitF. Il rapporto sostanziava una
categorizzazione gi introdotta 1899 dal United States Bureau of Immigration,
che classificava tutti gli immigranti come appartenenti a quarantacinque
razze diverse, incluse le due razze degli Italiani del Nord e del Sud. Citando
direttamente gli scritti di Giuseppe Sergi e Alfredo Niceforo, la Commissione
asseriva che gli italiani del Nord e del Sud differivano materialmente gli uni
dagli altri nella lingua, nella costituzione fisica e nel carattere e che mentre
i settentrionali erano freddi, riflessivi, pazienti e in grado di ottenere grandi
progressi nelle organizzazioni sociali e politiche delle moderne civilt, i
meridionali erano eccitabili, impulsivi, privi di senso pratico e scarsamente
adattabili alle societ altamente organizzate,,3. Il Dizionario delle Razze o
dei Popoli, allegato al rapporto, aveva inoltre sollevato la congettura che gli
immigranti provenienti dall'Europa meridionale potessero introdurre invisibili
gocce di sangue africano nella nazione americana. Gli italiani del Sud erano
particolarmente sospetti, giacch, stando alle osservazioni di Sergi e Niceforo
riportate dalla Commissione, potevano discendere da una stirpe negroide".
In un paese gi ossessionato dal colore della pelle, la pubblica ruminazione
di studiosi circa la possibilit che i mediterranei" fossero portatori di sangue
nero, provoc intensi ed allarmati dibattiti. La Commissione per l'Immigrazione
mise apertamente in questione l'appartenenza degli italiani del Sud alla razza
"caucasica" (la razza bianca) e i meridionali scontarono pesantemente le
ripercussioni del dibattito circa il loro status di less than white (bianchi "non
puri"); subirono infatti quel tipo di discriminazione generalmente "riservato"
agli africani-americani, come il linciaggio, la ghettizzazione, l'esclusione da
determinate scuole, teatri e ristoranti, la pubblica avversione e derisione
4
.
Che agli italiani non fosse automaticamente garantito lo status di bianchi viene
171
172
mostrato in modo esemplare nel caso giuridico di <:Jim Rollins contro lo Stato
dell'Alabama riportato da Matthew Jacobson nel libro Whiteness oJ a Different
Color(1998)5. Nel 1922, una Corte d'Appello del Circuito dell'Alabama capovolse
la sentenza di colpevolezza inflitta a Jim Rollins, un africano-americano reo
del crimine di commistione tra razze (miscegenation) sulla base del fatto che
lo Stato non aveva prodotto elementi sufficienti a dimostrare che la donna in
questione, Edith Labue, fosse bianca. Edith Labue era un'immigrata siciliana,
un fatto che, secondo la Corte, non poteva dimostrare in modo conclusivo
che fosse bianca, O escludere che fosse nera, o di origine negroide. Sebbene
sia importante segnalare che la Corte non stabil che un siciliano fosse a priori
un non-bianco, essa decret che non era parimenti possibile definire in modo
conclusivo che un siciliano fosse necessariamente bianco. Se dunque la Corte
lasci l'aula ventilando l'ipotesi che Edith Labue potesse essere bianca, stabil
anche chiaramente che non era quel tipo di donna bianca la cui "purezza"
doveva essere protetta tramite quel baluardo della supremazia bianca, lo
statuto che proibiva la commistione delle due razz
Anche il vocabolario razziale americano rifletteva le condizioni materiali
e le relazioni di potere che si stabilivano su base quotidiana nei posti di
lavoro e nelle comunit. Le espressioni discriminatorie non erano solamente
il mezzo attraverso il quale i nativi bianchi marchiavano i nuovi immigrati
come inferiori, ma anche il mezzo attraverso il quale gli emigrati imparavano
a collocare se stessi e quelli simili a loro nella gerarchia razziale della nazione.
Gli italiani venivano chiamati guinea, un termine che venne lungamente usato
dai bianchi per riferirsi agli africani e ai loro discendenti, o dago, una variante
di white nigger. Questi termini suggerivano una connessione tra gli africani e
gli italiani, in modo che quest'ultimi potessero posizionarsi correttamente nella
scala gerarchica delle razze degli Stati Uniti.
A sottolineare lo status anomalo degli italiani tra i bianchi e i neri, provvedeva
la stessa documentazione necessaria ad acquisire la cittadinanza americana.
Coloro che presentavano istanza di naturalizzazione dovevano sottoscrivere
una descrizione delle proprie caratteristiche fisiche che veniva redatta dagli
addetti dell'ufficio di immigrazione. Se per entrambe le "razze" degli italiani
del Nord e del Sud l'appartenenza alla variet "caucasica" veniva stabilita in
modo automatico, una specificazione differente veniva riservata al colore della
pelle (significativamente, anch'esso richiesto nella descrizione). I meridionali
erano costretti a certificare che il colore della loro pelle era scuro (complexion
dark). In questo modo, paradossalmente, sottoscrivevano di divenire cittadini
statunitensi bianchi, ma dalla pelle scura.
I supposti fondamenti scientifici della discriminazione razziale negli Stati
Uniti si dissolsero lentamente nella seconda parte del secolo, e sebbene le
convinzioni popolari circa la diversit razziale perdurino fino ai nostri giorni,
la razza cess di essere considerata come una categoria scientifica solo intorno
agli anni Cinquanta.
La severa discriminazione razziale subita dagli italiani pu essere considerata
come un fattore che ha contribuito ad accelerare l'abbandono. della lingua
etnica negli Stati Uniti perch l'identificazione con il "Nuovo mondo", la sua
lingua e la sua cultura, costituiva, per gli italiani emigrati all'epoca di massima
intensit dei fenomeni discriminatori, l'unico strumento di emancipazione
dallo stato di inferiorit in cui li aveva collocati la societ americana. Gli
italiani erano infatti pienamente consapevoli che, tra i diversi individui della
loro origine, quelli che venivano considerati come pi simili agli americani
erano avvantaggiati sugli altri nel conseguimento delle posizioni lavorative
pi desiderabili e quindi, delle maggiori gratificazioni economiche. La lingua,
evidente marchio etnico per gli italiani, era uno dei tratti che potevano Ce
dovevano) essere eliminati con maggiore rapidit nella seconda generazione.
L'atteggiamento degli emigrati nei confronti della propria lingua non tuttavia
stato modellato da particolari sentimenti di rifiuto della propria identit, o
di slealt nei confronti del proprio paese, ma dalla necessit di migliorare
le proprie condizioni economiche e sociali, un'esigenza che, va ricordato,
costituiva la ragione fondamentale dell'emigrazione. Il rapido abbandono del
dialetto per l'inglese sembra pertanto configurarsi come il risultato di una
scelta obbligata da parte degli italiani: essa offriva contemporaneamente il
beneficio di migliorare le loro condizioni economiche e di cancellare uno
degli indicatori pi espliciti della loro stigmatizzata identit.
La pressione uniformante imposta dalla societ statunitense
L'altro fattore che sembra aver maggiormente contribuito al rapido
abbandono dell'italiano da parte degli emigrati la pressione assimilante e
uniformante imposta su di essi dalle istituzioni e dalla societ statunitense. Il
supporto che la lingua originaria di un gruppo emigrato ottiene nel contesto
di un'altra lingua, un importante fattore da considerare in relazione agli esiti
del loro contatto. L'attuazione di politiche che preservino la cultura etnica
pu infatti favorire tassi pi alti di mantenimento linguistico, mentre politiche
di tipo assimilante promuovono pi frequentemente la perdita linguistica.
Quest'ultime sono senza dubbio le politiche che le istituzioni statunitensi
hanno esercitato nei confronti delle lingue e delle culture degli emigrati per
la maggior parte del ventesimo secolo. Il sistema scolastico stato individuato
come uno dei pi potenti agenti dell'anglicizzazione e del monoculturalismo
tra i gruppi immigrati.
Negli anni compresi tra la fine del diciannovesimo e la prima decade
del ventesimo secolo, i programmi scolastici e gli educatori assegnati alle
scuole pubbliche statunitensi maggiormente frequentate dagli immigrati, non
forniscono elementi che indichino che i dirigenti scolastici giudicassero le
esigenze culturali dei nuovi venuti, o dei loro figli, diverse da quelle degli altri
studenti. Al contrario, l'eredit culturale degli immigrati veniva considerata,
nel migliore dei casi, come un fardello quotidiano da parte degli educatori,
173
174
che si adoperavano energicamente per sopprimerla il prima possibile. La
scuola veniva concepita come il mezzo principale tramite il quale insegnare
ai figli degli immigrati le virt americane e gli standard americani in fatto di
maniere, igiene e dieta. Ogni bambino veniva educato a pensare in una sola
lingua, e ad apprendere gli stili di vita e i valori morali americani. Secondo le
istituzioni americane tale processo di "americanizzazione" doveva considerarsi
come un fatto del tutto desiderabile da parte degli immigrati, poich era nel
loro interesse assimilare quanto pi e meglio possibile, la lingua, la cultura e i
principi del loro nuovo paese.
Con l'inizio della prima guerra mondiale, la classe media americana si
trov tuttavia ad affrontare una dimensione del problema immigrati che in
precedenza non aveva destato grandi preoccupazioni. Uno degli effetti shock
della guerra fu di portare alla luce l'esistenza di sentimenti nazionalistici
diversi tra la grande popolazione "straniera" degli Stati Uniti. Se infatti i "veri"
americani erano gi da lungo tempo consapevoli della minaccia rappresentata
dagli immigrati, essa era sempre stata contemplata in termini razziali, religiosi
e sociali, ma non in termini politici. Gli stessi Reports della Commissione per
l'Immigrazione del 1911, che consideravano i nuovi immigrati come un pericolo
per la purezza razziale dello "stock" americano, non avevano espresso alcun
particolare timore a proposito di una loro significativa resistenza al processo
di americanizzazione.
Il fatto che la nuova percezione degli immigrati come alieni anche dal
punto di vista della lealt nazionale fosse emersa soprattutto nel contesto della
guerra in Europa, spiega molto del movimento che si svilupp in seguito. La
guerra confer all'americanizzazione un carattere febbrile. La diversit divenne
sinonimo di slealt e l'americanizzazione divenne una parte integrante della
cultura politica di quegli anni. Dal 1916la diversit culturale inizi a configurarsi
come una crisi nazionale.
Il fondamentalismo nel campo dell'educazione raggiunse l'apice durante
il decennio successivo allo scoppio della prima guerra mondiale, quando
numerosi gruppi politici si mobilitarono per richiedere leggi a sostegno della
cosiddetta americanizzazione dell'America. La Commissione Nazionale per
l'Americanizzazione esort ad eliminare tutte le forme di slealt, a sopprimere
le condizioni che favorivano lo sviluppo di influenze anti-americane e a
dissolvere le culture minoritarie. La Commissione chiese l'internamento degli
immigrati laddove si potesse provare l'esistenza di sentimenti di simpatia
anti-americana, e propose che tutti gli stranieri fossero obbligati ad imparare
l'inglese e richiedere la cittadinanza entro un massimo di tre annF.
Nel 1921, trentacinque stati e centinaia di citt avevano emanato leggi
per l'americanizzazione. Le leggi per l'istruzione patriottica assunsero varie
forme; dall'istituzione di corsi obbligatori di storia americana, cittadinanza e
patriottismo, all'imposizione di esercizi con la bandiera degli Stati Uniti. Un
numero crescente di stati decret che tutta l'istruzione fosse impartita in inglese,
sovvertendo le leggi e le usanze precedenti che consentivano ai gruppi etnici
di insegnare la propria lingua originaria nelle scuole pubbliche e private, e
avviando una propaganda contro l'uso delle lingue straniere che venne ripresa
con vigore durante la seconda guerra mondiale e che si attenu in modo
significativo solo dopo la met degli anni sessanta
8
.
La campagna condotta dalla "Lega per la Sicurezza Nazionale" per vietare
l'insegnamento del tedesco consegu un successo straordinario: il numero di
studenti che studiava il tedesco alle scuole superiori scese dal 24 percento nel
1915 a meno dell'l percento nel 1922. L'uso pubblico del tedesco venne vietato
con un decreto d'emergenza in molti stati del Midwest, e le pubblicazioni e le
associazioni culturali tedesche vennero attaccate dalle istituzioni e dall'opinione
pubblica americana.
Durante la convention dei sovrintendenti scolastici del 1916, Raymond
Fowler Crist, alto funzionario del United States Bureau of Naturalization dal
1919 al 1933, e compilatore del libro di testo federale per la preparazione
degli immigrati al conseguimento della cittadinanza, dichiar che l'elemento
straniero" era una minaccia soprattutto nelle grandi citt", dove l'influenza
delle sovranit, delle istituzioni, delle idee e degli ideali stranieri sono pi
forti,,9. L'invasione" degli immigrati nelle metropoli del nord-est rappresentava
effettivamente un'autentica sfida per le forze assimilatrici statunitensi, e in
particolare per le scuole pubbliche. Nel 1909, a New York il settantuno
percento degli studenti aveva almeno un genitore nato all'estero, a Chicago il
sessantasette percento e a Boston il 64 percento. Questa situazione contribuiva
a rafforzare l'idea che il compito della scuola non fosse solo quello di preparare
i giovani ad affrontare la vita nella nuova societ industriale, ma anche quello,
altrettanto indispensabile, di infondere loro la devozione per le istituzioni e
gli ideali americani. La spoliazione dei caratteri etnici dei figli degli immigrati
veniva considerata come una parte integrante del processo di ammaestramento
ai principi della cultura patriottica che doveva realizzarsi nelle scuole.
Per quanto riguarda l'educazione degli adulti, i programmi di
americanizzazione conferivano particolare importanza a specifici modi
americani" di svolgere incombenze quotidiane, come cucinare o pulire. Nei
libri di testo sull'americanizzazione si enfatizzavano la pulizia e l'igiene in
modo ossessivo, e gli immigrati appresero che c'era un modo americano di
lavarsi i denti, un modo americano di pulirsi le unghie, un modo americano
di fare illetto
1o
. Se ci oggi pu apparire grottesco, all'epoca non lo era per
nulla. Il legame tra il patriottismo e lo spazzolino da denti convogliava infatti
in modo efficacissimo il messaggio cruciale degli americanizzatori, ossia, che
l'essere americani al cento per cento comportava l'adozione di uno stile di
vita totalmente nuovo. Agli emigrati veniva insegnato che diventare americani
significava, in un certo senso, tornare ad essere bambini per apprendere l'abc
della cultura.
175
176
Nei programmi di assimilazione degli stranieri predisposti dalle istituzioni
americane, l'enfasi maggiore venne in ogni caso conferita all'apprendimento
dell'inglese. La lingua divenne il fulcro del movimento di americanizzazione in
quanto si riteneva che il grado di integrazione degli emigrati - e quindi della
loro comprensione e acquisizione dei costumi e degli ideali americani - fosse
direttamente legato alla loro competenza nella lingua inglese. Si instaur presto
un collegamento ideologico tra parlare un buon inglese ed essere un buon
americano. La lingua venne tuttavia sostanzialmente usata come strumento per
colpire dei bersagli non-linguistici nascosti. L'apparente urgenza di salvaguardare
la lingua nazionale mostrata da molti americanizzatori, mascherava infatti
un'ostilit essenzialmente razziale e politica nei confronti dei parlanti delle altre
lingue. Dato che le questioni linguistiche potevano essere caricate di elementi
che da un punto di vista prettamente politico sarebbero apparsi "scorretti", il
movimento di americanizzazione riusc a trasformare l'inglese da scudo contro
il caos linguistico a spada contro differenze sostanzialmente non linguistiche.
La scomparsa delle lingue etniche dai programmi scolastici e la propaganda
politica (soprattutto durante le due guerre mondiali) che associava l'uso delle
lingue straniere al tradimento della nazione, sono i fattori che, nell'ambito del
grande movimento di americanizzazione, sembrano aver contribuito in misura
decisiva alla perdita linguistica tra gli emigrati. Le comunit non-anglofone
iniziarono a svilupparsi nuovamente solo dopo la fine della seconda guerra
mondiale e soprattutto dopo il 1965, in seguito all'abolizione delle restrizioni
razziali sull'immigrazione.
1 A. NICEFORO, L'Italia Barbara Contemporanea, Remo Sandron Editore, Palermo 1898,
pp. 123-25, 238-43.
2 Le leggi del 1917, 1921 e 1924 stabilirono l'esclusione di alcune categorie di immigranti,
regolarono le nuove funzioni dell'Immigration Service ed istituirono i test di lettura.
In particolare, l'Immigration Restriction Act del 1924 fu intenzionalmente disegnato
per arrestare l'immigrazione degli italiani e degli ebrei, considerate come popolazioni
disgeniche, ossia portatrici di degenerazioni. Le leggi stabilirono che le quote di
immigranti assegnate a ciascun paese fossero proporzionali alla composizione etnica
della popolazione americana rispetto al censimento del 1890 - quando la maggioranza
degli emigrati proveniva dall'Europa del nord e dell'ovest (www.eugenicsarchive.org/
html/ eugenics/ essay9text.htmD.
3 United States, Reports oj the Immigration Commission, Dictionary oj Races or Peoples,
61" Congress, no. 662, Government Printing Office, Washington, 1911, pp. 81-82
(Ristampato da: Gale Research Company, Detroit 1969).
4 Cfr. S.M. TOMASI, M.H. ENGEL (a cura di), Tbe Italian Experience in the United States,
Center for Migration Study, New York 1970, p. 50.
5 M.F., ]ACOBSON, Whiteness oj a Different Color: European Immigrants and the Alchemy
oj Race, Harvard University Press, Cambridge 1999, p. 4.
6 Alla fine della guerra civile, dopo la revisione dello statuto giuridico dei neri, la
legislatura dello stato dell'Alabama e di molti altri stati del Sud, si mosse velocemente per
ripristinare la penalizzazione della cosiddetta commistione tra razze (miscegenation),
mettendo a punto la forma basilare dello statuto che sarebbe rimasto in vigore fino al
1970. Se qualunque persona bianca e qualunque nera, o discendente da neri, contraeva
matrimonio, o viveva in adulterio o in fornicazione l'una con l'altra, ciascuna delle
due parti veniva arrestata o costretta ai lavori forzati per non meno di due anni e non
pi di sette. La natura dello status di un bianco non veniva specificata, ma lo statuto
stabiliva che una persona con sette antenati bianchi per linea diretta (nonni, bisnonni,
bisavoli, ecc.) doveva definirsi nera se l'ottavo avo fosse stato nero (cfr. J. NOVJwv,
RaGial Construction: 1be LegaI Regulation oJ Miscegenation in Alabama 1890-1934,
Law and History Review, 20, Summer 2002, pp. 225-277).
7 J. HIGHAM, Strangers in the Land: Patterns oJ American Nativism, 1860-1925, Rutgers
University Press, New Brunswick 1955, p. 249.
8 B.J. WEISS (a cura di), American Education and the European Immigrant, 1840-
1940, University of Illinois Press, Urbana 1982, p. 98.
9 Ivi, p. 99.
lO W. SHARLIP, A.A. OWENS, Adult Immigrant Education: Its Scope, Content, and Methods,
McMillan Co., New York 1925.
177
Il problema delle fonti nella ricerca sulla
deportazione dall'Italia, 1943-1945.
Museo della Deportazione di Prato,
7-8 dicembre 2005
Francesco Paolella
A pochi chilometri da Prato, nato da qualche tempo il museo della
Deportazione. L'esposizione permanente pone in primo piano le condizioni
di vita dei deportati nei campi della galassia concentrazionaria. Diversi fra gli
oggetti esposti (indumenti, attrezzi da lavoro, effetti personali), sono stati donati
alla struttura museale da parte di deportati pratesi a Mauthausen (Austria), e,
in particolare, al sottocampo di Ebensee.
Nel settembre 1987, grazie al contributo degli ex-deportati dell'ANED
provinciale, guidati da Roberto Castellani, fu siglato un gemellaggio fra le
municipalit di Prato e di Ebensee. La collaborazione fra i due comuni fu
determinante per la creazione del museo. Proprio sopra il museo, si trova il
Centro di Documentazione della Deportazione e della Resistenza, una struttura
curata da Camilla Brunelli e dedicata soprattutto alla didattica degli studenti.
Alla progettazione delle attivit del Centro contribuiscono studiosi come Enzo
Collotti.
Il Centro ha ospitato, il7 e 1'8 dicembre 2005, un seminario sulle deportazioni
dall'Italia, nell'ambito del progetto, diretto da Nicola Tranfaglia e Bruno Mantelli,
dell'universit di Torino. L'incontro di Prato stato il quarto della serie, dopo
i due di Torino e quello di Asti. Tre ricercatori, Francesco Cassata, Giovanna
D'Amico e Giovanni Villari, sono impegnati da ormai tre anni nell'elaborazione
di una banca dati (o database), che conterr gli elenchi e le biografie dei
deportati dall'Italia. Lo stesso Mantelli, inquadrando, in apertura dei lavori, il
contesto in cui il seminario di Prato doveva essere inserito, ha cos sintetizzato
il progetto: Vogliamo rappresentare un quadro, il pi ragionevolmente
179
180
fondato, delle deportazioni dall'Italia (non sono degli italiani) e dai territori
occupati. Il nostro obiettivo di permettere ad ogni comune d'Italia di avere a
disposizione, entro il 2006, i nomi e le biografie dei propri cittadini deportati.
La ricerca del gruppo torinese, il cui lavoro si avvia ormai alla conclusione,
stata resa possibile dai contributi dell'ANED e della Compagnia di San Paolo.
E' prevista la pubblicazione completa del database, ma anche di pi volumi
contenenti saggi dedicati sia alla metodologia della ricerca, sia allo studio delle
diverse realt locali.
Assieme ai ricercatori torinesi, gli organizzatori del seminario hanno invitato
i responsabili delle Gedenkstdtten, i memoriali presso i campi nazisti, le cui
banche dati risultano essere pi importanti per la ricerca (mancava solo un
rappresentante di Auschwitz).
Le fonti, dunque. I lavori sono stati aperti dalla relazione di Francesco
Cassata, che ha parlato a nome del gruppo di Torino. La nuova banca dati
stata creata a partire dall'elenco di deportati creato da Italo Tibaldi, elenco
che contiene quarantaquattromila nominativi, di cui, per, circa seimila
ripetuti. Primo obiettivo stato quello di accumulare pi elementi possibili, in
modo da integrare, ripulendoli e validandoli, gli elenchi parziali gi esistenti:
oltre al Tibaldi, l'elenco contenuto, con circa quindicimila nomi, nel libro di
Valeria Morelli, I deportati italiani in campi di sterminio: 1943-1945 (Milano
1965), o ancora le serie di nominativi pubblicati sulla "Gazzetta Ufficiale" (per
disciplinare gli indennizzi).
Sono soprattutto tre i campi dove giunsero i deportati dall'Italia: nell'ordine,
Dachau, Mauthausen, Auschwitz. Le fonti principali sono due: da una parte,
i database prodotti dai Gedenkstdtten; dall'altra, il supporto proveniente dal
Centro di documentazione della Croce rossa internazionale (CRI), sito ad
Arolsen, nei pressi di Francoforte sul Meno, in locali che, durante il regime
nazista, ospitavano uffici SS.
Il Centro di Arolsen accoglie la maggior banca dati al mondo sulla galassia
concentrazionaria. Il servizio di ricerca per le DP (Displaced persons = persone
scomparse) fu istituito nel 1947 dalle Nazioni Unite e fu affidato all'uNRRA
(United nations relief and rehabilitation administration). Nel 1951 l'Istituto
pass sotto la responsabilit dell'Alta commissione alleata di controllo della
Germania occupata. Fu nel 1955 che un accordo fra dieci paesi (fra cui Stati
Uniti, Gran Bretagna, Germania occidentale, Francia, Italia, Israele, ma senza
l'URss) affid alla CRI l'incarico di stabilire l'identit dei sopravissuti, ma anche di
comprendere come, dove, perch i dispersi erano diventati tali. Risultato: un
patrimonio di quarantacinque milioni di schede personali, una ricchezza infinita,
ma anche - inevitabilmente - colpita da errori, alterazioni, refusi, oppure da
informazioni volutamente sbagliate (si pensi alle identit di copertura), tutti
"danni" ben noti ai filologi e agli storici.
Cassata ha poi riassunto i principali problemi interpretativi. Al primo posto,
emerso il bisogno di conoscere quali fonti sono confluite negli elenchi
prodotti dalle Gedenkstatten. Ogni Gedenkstatte ha una banca dati diversa.
Ci si chiesti anzitutto perch esistono (come nel caso di Mauthausen) pi
versioni del database. Perch, ancora, la professione dei deportati stata
riportata solo in alcuni casi? Perch, in moltissimi casi, non riportata la data
di morte? Perch, nei database prevalgono gli elenchi di uomini rispetto a
quelli di donne?
Cassata ha voluto riferire anche di questioni pi specifiche, ma non
meno interessati per una fenomenologia delle fonti. Perch esistono casi di
sostituzione di nazionalit? Perch capita che di deportati sono segnate pi
residenze? Cosa si deve pensare, quando si legge solo la data di morte, ma non
specificato il luogo? Si tratta, ovviamente, di questioni legate direttamente
alla gestione e all'interpretazione dei dati, ma anche alla ricostruzione della
realt nei singoli campi.
I dati, provenienti dai database dei campi principali, sono stati inseriti nel
nuovo database e poi controllati con verifiche incrociate (un ricercatore ha
riletto i dati inseriti da un altro e reciprocamente), per eliminare errori di lettura,
di battitura, ecc. Si poi passati ai campi numericamente meno significativi ed
ancora si svolta una prima verifica. In seguito, sono state inserite le schede
contenute negli elenchi della "Gazzetta Ufficiale" ed i quindicimila nominativi
contenuti nel libro della Morelli. La vera crux di questa fase del lavoro
risultata l'individuazione dell'esatta dicitura dei comuni di appartenenza. Per
ottenere ci, ci si affidati (specie per le localit dell'lstria e della Dalmazia)
a siti internet e a motori di ricerca geografici. Giunti a questo punto, e dopo
la ripulitura dai doppioni, stata la volta dell'inserimento delle informazioni
di Arolsen. Il centro tedesco sta attualmente verificando circa quarantamila
nominativi inviati da Torino.
L'ultimo punto toccato da Cassata ha riguardato il problema della gerarchia
fra le fonti. La fonte iniziale, il database Tibaldi, non stato mai cancellato. Il
gruppo torinese ha attribuito ad ogni fonte un numero cardinale identificativo
(nO 1 il ministero dell'Interno dell'Austria). Altra decisione presa quella
di non cancellare i refusi, gli errori, anche se macroscopici, rintracciati negli
elenchi (il nome Francesko rimasto tale).
Passando, infine, dalla descrizione del metodo adottato ad un giudizio
di merito, Cassata ha definito migliore la fonte Arolsen, perch "dinamica".
Essa si , in altri termini, mostrata l'unica in grado di seguire i movimenti, i
trasferimenti dei deportati fra i campi di concentramento. anche vero, per,
che le banche dati delle singole Gedenkstatten, anche se pi "statiche", sono
pi precise sul luogo e sulla data di nascita dei deportati, nonch sul loro
numero di matricola. La "Gazzetta Ufficiale" si rivelata efficace soprattutto per
l'accertamento del nome e del cognome. Le informazioni ricavate dalle realt
locali (istituti storici, singoli ricercatori) servono massimamente per chiarire le
condizioni di vita al momento della cattura. Il libro della Morelli, infine, si
mostrato utile per la conferma della data e del luogo di morte. Tutte queste
181
182
fonti daranno quindi origine alle biografie individuali. In caso di difformit,
saranno comunque mantenute le diverse versioni.
Sempre a proposito del database torinese, emerso un altro, annoso,
problema: come considerare gli ebrei nel complesso della deportazione?
Bruno Mantelli ha insistito sulla necessit di rifiutare sia la logica assimilatoria
(per la quale ogni deportato solo un deportato), sia quella opposta,
discriminatoria (con elenchi separati fra ebrei e politici). Il gruppo torinese,
in questo affiancato da Liliana Picciotto del CDEC (Centro di documentazione
ebraica contemporanea) di Milano, ha deciso per una soluzione innovativa:
costruendo un doppio elenco parallelo, evidenziare i legami, i rimandi, ma
anche le peculiarit, degli ebrei deportati, in quanto ebrei o in quanto politici
(pensiamo ai partigiani, come Primo Levi).
Sono seguiti gli interventi di due ricercatrici toscane, che si sono occupate
delle fonti per la storia delle persecuzioni antisemite durante l'occupazione
tedesca a Firenze e in tutta la regione. La prima, Francesca Cavarocchi, ha
parlato di Soccorso agli ebrei e fonti diocesane: le relazioni dei parroci. Anche
dopo l'armistizio del settembre 1943, fra i sacerdoti toscani rest una minoranza
chiaramente filofascista, ed altrettanto minoritaria era la parte dei sacerdoti che
avevano preso decisamente la strada dell'antifascismo, partecipando ad una
forma "passiva" di Resistenza o, ancor pi raramente, entrando nella lotta
armata. La maggioranza prese una "terza via", mantenendosi in una posizione
di attesa e di autodifesa.
Questo tipo di ricerche complementare rispetto a quella del gruppo di
Torino. Si ha, con tutta evidenza, a che fare con un tipo diverso di fonti. Le
fonti parrocchiali sono importanti anzitutto per il loro carattere capillare. Nei
documenti diocesani non pu, ovviamente, che prevalere il punto di vista
ecclesiastico, che pone al centro le attivit pastorali e il ruolo del parroco
rispetto alla comunit.
Con quali fonti, dunque, si ha a che fare? Anzitutto va detto che ci si imbatte
in alcune, gravi, lacune geografiche, a causa di archivi distrutti o ancora
inaccessibili. Si pu accostare, invece, un folto repertorio di lettere di parroci
ai propri vescovi (su richiesta di questi ultimi o spontanee).In particolare, la
Cavarocchi ha ricordato un questionario, inviato nel luglio 1944 a tutti i parroci
della diocesi di Firenze dal vescovo Dalla Costa. Le domande riguardavano la
presenza di sfollati, i danni causati dai bombardamenti, ecc. Altro questionario
fu quello voluto dalla Santa sede, dopo il passaggio del fronte. Si trattava in
totale di diciotto domande: le prime tredici erano dedicate ai danni materiali
di chiese e canoniche. Pi interessanti risultano essere le ultime domande,
in particolare la quindicesima, in cui si chiedeva del numero di vittime nella
parrocchia e del comportamento dei sacerdoti durante lo svolgimento delle
operazioni belliche. Gli ultimi tre quesiti erano riservati al periodo successivo
alla Liberazione, e riguardavano specialmente i problemi di ordine "morale"
(gi in chiave anticomunista). La Cavarocchi ha citato, infine, le memorie,
raccolte fra i parroci, in occasione del convegno toscano del 1975 su Clero e
Resistenza.
Venendo alle persecuzioni antiebraiche ed ai casi di aiuto da parte dei
parroci, emerso che solo in rarissimi casi si ebbero delle esplicite direttive
ves covili sul tema (fu ancora il caso del Dalla Costa a Firenze). Di norma, i
vescovi si limitavano ad appoggiare e a finanziare iniziative nate da singoli
preti. Inutile dire che le ricerche fanno emergere non pochi casi in cui le
fonti memorialistiche trascendono nell'esaltazione dei sacerdoti, in una vera
mitizzazione del loro operato.
Marta Baiardi si occupata proprio di Fonti memorialistiche e persecuzioni
antiebraiche a Firenze. Le sue ricerche hanno portato a rastrellare ventiquattro
scritti editi su Firenze, anche se non possibile escludere che ve ne possano
essere degli altri (semmai pubblicati in anni lontani e su bollettini sperduti).
La Baiardi, volendo fornire qualche coordinata metodologica, ha insistito
sulla nozione di survivor, secondo l'uso della Shoah Foundation, nozione che
sarebbe da preferire a quella, pi angusta, di ex-deportato. I sopravvissuti sono
stati allora suddivisi (riprendendo gli studi di Guri Schwarz) per generazione,
individuandone quattro: coloro che nel 1939 erano gi anziani, coloro che
avevano fra i trenta e cinquanta anni,i nati negli anni Venti e coloro che erano
solo bambini. Di quei ventiquattro memorialisti fiorentini, l'esatta met era nata
negli anni Venti. Tre, invece, i testi di coloro che all'epoca delle persecuzioni
erano bambini. Va poi anche considerato il caso della scrittura da parte di
figli dei deportati: si tratta spesso di testi letterari che mettono al centro le
vicende della deportazione e che segnano in molti casi il ritorno degli autori
all'ebraismo, in una riconciliazione postuma con le generazioni precedenti.
Ritornando alla memorialistica fiorentina, un altro dato interessante ci dice
che diciannove di quei ventiquattro testi sono autobiografie ebraiche pubblicate
nell'ultimo ventennio. Questo un segno evidente della nuova attenzione
rivolta alla memoria ebraica delle persecuzioni e, pi latamente, alla vita degli
ebrei (non solo in Italia). La memorialistica prosperata perch ha perso lo
status di "minorit" nel racconto dello sterminio. Gli ebrei stessi hanno iniziato
a leggere la propria biografia attraverso il prisma della Shoah. Si tratta spesso
di un vero e proprio kaddish laico. Per la Baiardi, la memorialistica non deve
essere pensata come "fonte succedanea". Essa va vagliata e criticata come un
qualsiasi documento, ma senza dimenticare che qualsiasi fonte gi di per
s un'interpretazione. In conclusione, bisogna sfatare il luogo comune che
i ricordi "a caldo" siano i migliori. Se questo pu esser vero nelle aule dei
processi, non cos per la memorialistica.
Johannes Ibel lavora presso la Gedenkstiitte di Flossenburg, il secondo
campo della Baviera, dopo Dachau, con oltre cento sottocampi e con circa
centomila prigionieri tra il 1938 e il 1945. Flossenburg stato destinazione di
prigionieri di guerra, soprattutto polacchi (il 30 percento della popolazione del
campo), sovietici (20 percento), ungheresi (11 percento).
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La Gedenkstatte nata nel 1997 e gi nel 2000 si iniziato a metter mano
al database, grazie al lavoro di circa cinquanta studenti-praticanti, fatti venire
dagli stessi paesi di provenienza dei deportati, per facilitare l'interpretazione
delle carte. Per il sessantesimo della Liberazione, stato prodotto un libro con i
nomi dei prigionieri. Il progetto del database terminato. Attualmente, quattro
operatori si stanno occupando della creazione di un'esposizione permanente.
La pubblicazione del database un volume di millecinquecento pagine, con
dati puntuali: nome, cognome, matricola, data di nascita, data di morte.
Ibel ha spiegato i problemi di carattere contenutistico incontrati
nell'elaborazione degli elenchi: come indicare, ad esempio, la nazionalit
dei deportati, rimanendo fuori dall'ideologia nazista che considerava
l'identit nazional-razziale? Il gruppo tedesco ha dovuto distinguere allora fra
l'appartenenza attribuita dai nazisti, la nazione reale di allora, e il nome dei
territori oggi.
Altra questione , come sempre, la possibilit di accesso alle fonti. Nel
2001, le fonti principali sono state ricuperate sotto forma di microfilm ed
oggi sono disponibili su supporti diversi. Molti errori "smascherati" durante le
verifiche, sono stati causati dalla cattiva leggibilit dei documenti. Le ss, alla
fine della guerra, poterono distruggere soltanto una piccola parte degli archivi.
Il resto fu recuperato dall'esercito americano ed oggi si trova negli Stati Uniti.
Fra le fonti primarie, Ibel ha anzitutto ricordato gli otto libri contenenti i
numeri di matricola (anche se un problema sorto per il fatto che fino al
marzo 1944, i numeri di matricola erano attribuiti pi volte, anche dieci o
dodici), volumi che oggi si trovano ai National Archives di Washington e, dagli
anni Sessanta, al Bundesarchiv di Berlino.
Ha ricordato inoltre gli elenchi, in ordine alfabetico, del vestiario e degli
effetti personali dei prigionieri (in questo elenco si trovano i nomi di coloro che
non compaiono - circa quattordicimila persone - nei volumi delle matricole).
Vi sono anche documenti (anche personali) appartenuti a deportati poi
deceduti. Abbiamo poi liste di trasporto (almeno cinquemila pagine) da Gro13-
Rosen, i negativi delle fotografie di prigionieri, pi documenti di ss (soprattutto
corrispondenza burocratica).
Dove sono rimaste le altre fonti? Per Ibel si tratta di una vera tomba dei
dati, un occultamento contro la ricerca storica. Risultato paradossale di questa
situazione che gli storici tedeschi sono costretti ad andare all'estero per fare
delle copie di documenti inaccessibili in Germania.
Il database di Flossenburg contiene 76.035 voci, comprese le righe cancellate
o incomplete. Ve ne sono poi 89.065 (anche se ci sono doppioni), provenienti
dalla documentazione americana. Sono conservati anche gli atti personali dei
deportati, pi le richieste di informazioni da parte di loro familiari (risalenti
soprattutto al periodo in cui si accordavano rimborsi) o di ricercatori. In sintesi,
esistono oggi schede biografiche di circa novantamila persone, al netto delle
revisioni; soltanto di pochi deportati si ha l'intero percorso. Tra tutti i deportati,
4544 sono risultati essere italiani: tremilacento furono deportati a Flossenburg,
mentre gli altri giunsero l in seguito alle "marce della morte". Vi compreso
anche il numero di italiani trovati nel cimitero di Flossenburg.
La seconda giornata si aperta con l'intervento di Gabriele Hammermann,
Vice-direttrice della Gedenkstatte di Dachau. Il memoriale di questo campo,
dove furono deportati circa novemilacinquecento italiani, non in possesso
dei dati originali, cos come a Flossenburg. Esiste un registro alfabetico dei
deportati a Dachau, registro completato negli anni Cinquanta dall'Ufficio
riparazioni di Monaco e che per ogni deportato comprende la data di nascita,
l'ultimo indirizzo, la matricola, la data d'ingresso. Non se ne conoscono, per,
le fonti.
Esistono diversi libri delle baracche, scritti dai rispettivi capi, con la
descrizione dei trasferimenti fra blocchi, dei turni di lavoro o delle malattie
dei deportati. Il memoriale anche in possesso di una lista, composta da un
ex-deportato, di quei prigionieri sottoposti a esperimenti medici (ad esempio,
esposti alla malaria). Vi figurano sei italiani. Si trovano nomi di italiani anche
nelle liste del lazzaretto e nella lista di quei prigionieri che tentarono la fuga.
Dei quasi diecimila internati italiani, solo centotrentaquattro furono donne.
L'87 percento degli italiani erano deportati politici, la massima parte partigiani.
Negli ultimi mesi di guerra ci fu un trasporto di circa centosessanta italiani (in
questo gruppo era la maggioranza delle donne italiane deportate a Dachau).
Disponiamo inoltre di molte fotografie di nostri connazionali, prese subito
dopo maltrattamenti da parte della Gestapo e poi deportati.
La maggioranza degli italiani a Dachau proveniva dalla citt centro-
settentrionali (Trieste la citt di provenienza pi frequente). Molti erano prima
transitati dai campi di Bolzano, o di Fossoli, o dalla Risiera triestina. L'et media
degli italiani era fra i venti e i trenta anni. Il lO percento dei deportati aveva
un'et compresa fra i quindici e i diciannove anni. Pi della met proveniva
da altri campi. Gli italiani erano il sesto gruppo pi numeroso a Dachau.
Quasi mille ottocento giunsero nel settembre 1943. Circa seicento arrivarono
il mese successivo. Ci furono trasporti significativi anche nei mesi di gennaio,
giugno e ottobre 1944. Nella terribile gerarchia degli internati, gli italiani erano
subito sopra i sovietici e gli ebrei. Con i russi condividevano il disprezzo
(e la violenza) da parte delle ss. Gli italiani, Badoglio, voltagabbana, non
ricevano alcuna assistenza della Croce rossa e non avevano diritto ad alcuna
comunicazione postale con l'Italia.
Gli italiani erano i pi insubordinati nel Lager. Dovevano subire la ferocia
degli stessi compagni: per i sovietici erano sospetti, perch gi alleati con
la Germania, mentre ai francesi non potevano che ricordare il giugno 1940.
Bisogna anche ricordare che raramente gli italiani comprendevano il tedesco
(e quindi gli ordini). Si trovavano meno peggio gli italiani provenenti dalle
regioni nordordientali: essi conoscevano spesso una lingua slava e potevano
cos entrare in contatto con i deportati dei paesi dell'est, meglio organizzati.
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Non era raro che italiani si spacciassero per jugoslavi. Fra gli italiani, la mortalit
fu del 25 percento circa (morirono circa milleseicento persone).
stata quindi la volta di Christian Diirr, collaboratore del ministero austriaco
degli Interni e che lavora presso l'archivio della Gedenkstatte di Mauthausen.
Il campo di Mauthausen fu liberato dagli americani il 5 maggio 1945 e venne
consegnato ai sovietici nel luglio dello stesso anno. Due anni pi tardi il
campo pass sotto il controllo del ministero degli Interni della repubblica
austriaca. A Mauthausen e nei suoi sottocampi, furono internati tra il 1938 e
il 1945 circa duecentomila prigionieri e ci furono tra il novantacinquemila e i
centomila morti.
Al memoriale si lavora da molti anni alla creazione di un database che
comprenda tutti i deportati, anche se i risultati, ad oggi, non possono - ha
sottolineato lo stesso Diirr - essere parificati a quelli raggiunti a Flossenburg.
I primi passi verso un database di Mauthausen si sono fatti una decina di anni
fa, ma si iniziato a lavorare solo sulle donne e su qualche lista di trasferimento.
I lavori per il database generale sono iniziati alla fine degli anni Novanta. Le
schede del database sono divise in tre parti: la prima riservata all'identit
del deportato, la seconda alle attribuzioni (tipo di lavoro, trasferimenti, ecc.),
mentre la terza si occupa del destino (morte, liberazione). Per ogni parte della
scheda esiste una gerarchia ad hoc delle fonti. Per alcuni deportati, esistono
ben dodici o anche quattordici fonti.
Il sistema di Mauthausen era fortemente centralizzato, pur con quasi cinquanta
sottocampi. Quello di Gusen era il solo ad avere un sistema autonomo Ci
deportati vi giungevano direttamente e c'era un "libro dei morti staccato).
Come in altri campi, anche qui i numeri venivano attributi pi volte: il numero
pi alto attribuito a Mauthausen il 139.317. Come si giunti allora a stabilire
in duecentomila il numero complessivo dei deportati? Si tenuto conto di altri
fattori e di altre fonti: oltre al gi citato caso di Gusen, bisogna considerare
i prigionieri di guerra sovietici, che continuarono ad avere il numero avuto
come prigionieri di guerra, cos come quei sovietici trasferiti a Mauthausen
solo per essere uccisi e che non furono registrati. Diirr ha parlato anche di
altri gruppi l trasferiti solo per l'eliminazione (come la resistenza ceca nel
1942, con quasi mille persone). Il gruppo pi numeroso fra i non registrati
sicuramente quello degli ebrei ungheresi: si tratta di circa ventimila persone
dalla zona di Budapest.
Bisogna anche considerare la fonte delle schede personali, che, per, sono
state portate via subito dopo la guerra ed oggi si trovano in Francia e ad
Auschwitz. L si trovano pressoch tutte le schede di chi venne liberato. Il
"libro dei morti di Mauthausen, ottenuto dagli americani, stato impiegato in
molti processi. Per il sottocamp0 di Gusen, esistono il "libro dei morti, delle
liste di strasporto, gli elenchi (per nazione) fatti dagli americani, dai quali
risultano tremilanovecentoventi italiani. Per quanto riguarda Mauthausen, gli
italiani noti ad oggi sono seimilasettecentottantuno, di cui centoventisette
donne.
L'ultimo intervento stato quello di Wolfgang Quatember, direttore del
memoriale di Ebensee. Come si accennava, il campo di Ebensee era uno dei pi
importanti fra i sottocampi di Mauthausen, al pari di quelli, pi noti, di Gusen
e di Melk. Il progetto iniziale per Ebensee prevedeva la costruzione, in gallerie
dentro la montagna, di un centro di ricerca e di collaudo per la produzione
di missili, al riparo dai bombardamenti aerei. In realt, nelle gallerie inizi la
produzione di componenti per carri armati e per una raffineria petrolifera.
I morti a Ebensee furono pi di ottomilacinquecento, provenienti da venti
nazioni. Molti deportati furono selezionati, perch stremati e ormai inservibili,
e furono inviati a Mauthausen o direttamente al castello di Hartheim, centro di
eutanasia. Ebensee fu liberato dall'esercito americano, il 6 maggio 1945.
Tra le fonti a disposizioni per la ricerca, Quatember ha ricordato sia il .. libro
dei morti", sia il Lagerstandbuch, un registro garantito dallo scrivano del campo.
La fonte fondamentale resta, per, il Zugangsbuch di Mauthausen. Gli elenchi
delle persone morte erano inviati a Mauthausen. Gli originali si trovano oggi a
Zagabria, perch furono portati via da un ex-deportato croato.
Particolarmente interessanti sono le richieste, compilate da parte di industrie
private, per ottenere manodopera schiava. Vi si trova scritta anche la somma
pattuita da pagare alle ss. Nel Gedenkstatte si trovano anche serie di documenti
sui premi attribuiti ai Kapos: essi sono importanti soprattutto perch vi troviamo
segnato il numero degli internati presenti ad una certa data. Ci sono elenchi
del personale ss e molti fascicoli di processi, intentati negli anni anche contro
Kapos ebrei.
Il database di Ebensee nato fra il 1998 e il 1999. Ad oggi esso contiene
23.694 nomi, di cui 1131 di ebrei. Il numero complessivo dei deportati dovrebbe
attestarsi sui 26.000. Il 5 percento erano italiani. Il tasso di mortalit fra gli
italiani si attesta al 53 percento, ma se consideriamo gli italiani che lavorarono
ad Ebensee ma che morirono altrove (Hartheim, Gusen, Melk) si sale al 64
percento. Furono due i trasporti pi importanti di italiani, entrambi nel 1944.
Ad Ebensee finirono centouno ebrei italiani: fra loro, la mortalit fu altissima
(circa il 70 percento). Ci si spiega anche con il fatto che molti di questi ebrei
italiani erano stati nei Sonderkommandos di Auschwitz.
Il numero dei morti italiani cal molto nel giugno 1944, quando giunsero
gli ebrei trasportati da Auschwitz: questi arrivi comportarono che gli italiani
non rappresentassero pi, specie agli occhi delle ss, il punto pi basso nella
gerarchia del campo. Quatember ha voluto anche riconoscere il contributo
degli italiani (specie degli ex-deportati pratesi) nella stessa realizzazione della
Gedenkstatte di Ebensee.
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La Grande guerra raccontata in tre libri
Alberto Ferraboschi
- G.E. RUSCONI, L'azzardo del 1915. Come 11talia decide la sua guerra, Il
Mulino, Bologna 2005, pp. 199, 12 euro;
- A. VENTRONE, Piccola storia della grande guerra, Donzelli, Roma 2005,
pp. 210, 13,90 euro;
- M. ERMACORA, Cantieri di guerra. Il lavoro dei civili nelle retrovie del
fronte italiano (1915-1918), Il Mulino, Bologna 2005, pp. 211, 18,50 euro.
All'interno della storiografia italiana novecentesca, la vicenda della prima
guerra mondiale rimasta a lungo ancorata all'immagine oleografica della
quarta guerra di indipendenza, riconducibile principalmente alle mitizzazioni
nazional-fasciste e nazional-democratiche. Solo a partire dagli anni Settanta del
'900 grazie all'operato di studiosi come Mario Isnenghi e Giorgio Rochat (che
nel 2000 hanno portato a sintesi la loro pi che trentennale attivit di studio
nel fondamentale volume La Grande Guerra. 1914-1918, Milano, La Nuova
Italia) le chiavi d'accesso alla Grande guerra hanno superato il tradizionale
approccio etico-politico, per lasciare spazio ad una prospettiva innovativa
capace di recepire i metodi di ricerca della storiografia internazionale pi
accreditata. Ciononostante, all'interno del panorama italiano, al di l di alcuni
luoghi comuni (dalla rotta di Caporetto all'epopea della resistenza sul Piave)
le vicende della Grande guerra stentano ancor oggi a far parte del patrimonio
comune delle conoscenze, diversamente dall'esperienza della guerra civile
1943-45, la cui memoria continua a rappresentare il nucleo di un partecipato
e animato dibattito pubblico.
In questo contesto, la recente ricorrenza del novantesimo anniversario
dell'ingresso dell'Italia nella prima guerra mondiale ha consentito di riportare
l'attenzione sulla Grande guerra, incentivando una ripresa di studi e ricerche
189
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su questo fondamentale capitolo del novecento. Peraltro, il "risveglio" degli
studi non ha prodotto soltanto pubblicazioni celebrative o d'occasione ma ha
portato alla luce anche significativi lavori di ricerca in grado di documentare
ancora una volta come il conflitto del 1915-1918 si incastoni nel cuore
dell'identit italiana e della sua riflessione storiografica. Tra questi studi da
segnalare per la sua rilevanza il lavoro di Gian Enrico Rusconi, L'azzardo del
1915. Come l'Italia decide la sua guerra con il quale l'autore ha affrontato
il cruciale problema dei meccanismi e delle dinamiche che determinarono
l'ingresso dell'Italia nel conflitto mondiale. Allungo, tormentato, imbarazzato
e insieme spregiudicato processo decisionale che segn la partecipazione
italiana al conflitto europeo, dieci mesi dopo che era scoppiato, nel maggio del
1915 , infatti, dedicato 10 studio del docente torinese, gi autore diversi anni
fa di Un bel volume dedicato alla congiuntura internazionale dell'estate del
1914 (Rischio 1914, Bologna, Il Mulino, 1987). Nei sei densi capitoli del libro,
incentrati sulla dinamica politica e diplomatica nonch sul nesso tra la politica
interna italiana e la politica internazionale, viene ricostruito 10 sperico1ato
negoziato diplomatico destinato a sfociare nell'azzardo dell'ingresso dell'Italia
nella prima guerra mondiale. In effetti, l'autore evidenzia come la crisi del
1915 mise allo scoperto alcuni nodi prob1ematici, dei veri e propri dilemmi,
dell'Italia liberale: dall'insicurezza nell'identificare i grandi interessi geopolitici
internazionali all'opportunit o necessit di rompere precedenti alleanze,
dalla forzatura dall'alto per vincere contrasti interni fino all'inadeguatezza
strategico-militare di fronte alla guerra. Inoltre, secondo Rusconi come riflesso
a questa condizione si venne a creare nella psicologia italiana la "sindrome
1915" destinata a ripresentarsi nuovamente in modo drammatico nella
congiuntura 1939-1940: L'angoscia d'essere tagliati fuori dalla grande politica
internazionale, la rimessa in discussione delle alleanze con la prospettiva
dell'accusa infamante di "tradimento" e la consapevolezza della conflittualit
interna sono gli ingredienti della "sindrome del 1915" che investe il gruppo
dirigente italiano. In tutto questo la questione dell'irredentismo gioca un ruolo
relativamente subordinato. L'irredentismo tanto essenziale sul piano della
giustificazione ideale quanto poco determinante nella dinamica decisionale.
La funzione primaria dell'irredentismo la 1egittimazione popolare di una
scelta governativa che risponde ad altri criteri" (p. 185).
Se il lavoro di Gian Enrico Rusconi riprende e rivisita i paradigmi classici
della storia politica e diplomatica per ripercorrere il processo decisionale
che port l'Italia dentro la "catastrofe originaria" del secolo passato, il lavoro
di Angelo Ventrone, Piccola storia della grande guerra, allarga 10 sguardo
alla dimensione soggettiva ed esistenziale dell'esperienza dell'orrore e del
non-senso della guerra. Pur trattandosi di un lavoro di sintesi, il saggio di
Ventrone mantiene un notevole spessore interpretativo offrendo un suggestivo
affresco "a tutto tondo" del primo conflitto mondiale; saldando la tradizionale
dimensione politico-diplomatica con quella socio-economica ed intellettuale,
senza trascurare i caratteri innovativi della "guerra totale" derivanti dal
rapporto tra guerra e societ della tecnica, nei cinque capitoli del libro l'autore
fornisce un quadro complessivo del primo conflitto mondiale con particolare
attenzione alle vicende italiane: dopo aver illustrato le origini strutturali del
conflitto connesse all'avvento della societ di massa (dalla crisi dell'egemonia
europea all'impatto della tecnologia sulla vita quotidiana, dalle trasformazioni
sociali al processo di secolarizzazione) Ventrone nel secondo capitolo
ricostruisce il fallimento del "concerto europeo" che port nell'estate del 1914
allo scoppio di un conflitto generalizzato; a questo proposito particolarmente
innovative sono le osservazioni sul ruolo decisivo assunto dalla comunicazione
tecnologica (telegrafo e telefono) nel condizionare ed imporre i ritmi della
crisi fino a farla precipitare nella spirale del conflitto mondiale. Lo scenario
della "guerra combattuta" dominato dalla "morte anonima" di massa e seriale
prodotta dall'impatto devastante della tecnologia invece efficacemente
descritto nelle pagine centrali del volume: il logoramento della vita di trincea,
l'uscita per l'assalto, le potenzialit distruttive della tecnologia bellica, la
repressione nell'esercito, i rapporti con la societ civile e la vita nelle retrovie
presentano efficacemente nel loro insieme i tratti fondamentali della prima
"guerra totale" del XX secolo. Questo aspetto viene ripreso e sviluppato nel
capitolo dedicato al cosiddetto "fronte interno", la parte probabilmente pi
riuscita ed originale del libro, nel quale l'autore evidenzia con lucidit la
valenza totalizzante del conflitto in termini di mobilitazione di risorse militari,
politiche, economiche, sociali ed ideologiche; in particolare, nel ricostruire il
noto processo di militarizzazione e nazionalizzazione della societ innescato
dallo sforzo bellico, l'autore documenta la molteplicit di esperienze, progetti
ed iniziative a sfondo nazional-patriottico fiorite nel corso della prima guerra
mondiale le quali non solo resero possibile immaginare la costruzione di un
sistema che anticipava alcuni caratteri fondamentali dei futuri regimi totalitari,
ma costituirono anche una ricchissima riserva a cui il regime fascista avrebbe
con facilit attinto per cercare di rendere permanente, definitiva, l'unit morale
della nazione raggiunta con la resistenza del Piave e il trionfo di Vittorio
Veneto (p. 172). Altrettanto pregnanti risultano le riflessioni e gli stimoli che
Ventrone offre nel capitolo conclusivo dedicato alle conseguenze di lunga
durata prodotte dalla Grande guerra sulla cultura e la psicologia delle masse;
riprendendo temi e motivi di un fecondo filone di ricerca rivisitato di recente
dallo stesso Ventrone (La seduzione totalitaria. Guerra, modernit, violenza
politica, Donzelli, Roma, 2003) lo studioso infatti individua proprio nella prima
guerra mondiale il fattore scatenante di profonde trasformazioni nel rapporto
tra stato e societ (dalla demonizzazione del nemico alla visione manichea della
lotta politica fino all'ampliamento del controllo repressivo dello stato), che
avrebbero finito per favorire la comparsa e poi l'arrivo al potere di movimenti
politici totalitari.
Il carattere totalizzante del primo conflitto mondiale trova una significativa
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conferma anche in una recente monografia di Matteo Ermacora, Cantieri di
guerra. Il lavoro dei civili nelle retrovie del fronte italiano (1915-1918), il
primo studio organico dedicato ai circa seicentocinquantamila operai civili
reclutati dall'esercito italiano nel corso della Grande guerra per lavorare nelle
retrovie del fronte e sottoposti al regime di militarizzazione. In effetti, l'intera
"zona di guerra" divent un enorme cantiere e le necessit belliche imposero
una fortissima accelerazione delle costruzioni infrastruttura li non solo verso
le prime linee ma anche nelle retrovie determinando una delle pi rilevanti
ridislocazioni di risorse umane innescate dall'evento bellico. Nonostante le
notevoli dimensioni, il fenomeno di migliaia di operai impegnati durante
la guerra nella costruzione di linee difensive, strade, ponti, baraccamenti e
magazzini rappresenta una pagina di storia rimasta fino ad oggi sostanzialmente
ignorata che la pregevole ricerca di Ermacora contribuisce finalmente ad
illuminare. Nei sette capitoli in cui si articola la ricerca tornano alcuni dei
nodi centrali riguardanti il pervasivo sistema di irregimentazione che invest la
societ italiana durante il conflitto; dalla mobilitazione e pianificazione dello
sforzo bellico (in virt della creazione dell'apposito organismo preposto al
reclutamento degli "operai borghesi", il Segretariato generale per gli Affari
civili) passando attraverso il disciplinamento sociale degli operai e la deriva
autoritaria del mondo del lavoro, fino all'impiego di manodopera femminile
e minorile nei cantieri operai, il lavoro dello studioso friulano contribuisce ad
offrire uno spaccato significativo della societ italiana nei quattro lunghi anni di
guerra: Giovani e donne sostennero un importante ruolo tra fronte e retrovie;
la loro presenza evidenzia come la Grande guerra possa essere definita a
pieno titolo "guerra totale", caratterizzata da una mobilitazione in grado di
rimodellare profondamente la struttura economica del paese, i ruoli sociali,
la stessa mentalit collettiva Cp. 195), Ma la vicenda degli "operai borghesi"
appare particolarmente significativa anche alla luce dei mutamenti introdotti
dal conflitto nelle modalit migratorie dei lavoratori, aprendo nuove frontiere
nella storiografia relativa al fenomeno migratorio; se da un lato infatti l'arresto
dei tradizionali flussi migratori verso l'estero e la creazione del fronte come
nuovo "orizzonte migratorio" per i lavoratori delle regioni meridionali innesc
una fortissima mobilit interna, dall'altro lato il tentativo di disciplinare i flussi
migratori e di gestire le problematiche dell'impiego degli operai al fronte
da parte del Segretariato generale contribu alla trasformazione dell'opzione
migratoria da evento individuale a movimento organizzato.
In conclusione, la vicenda delle "maestranze borghesi" ricostruita da Matteo
Ermacora, insieme ai saggi di Gian Enrico Rusconi ed Angelo Ventrone, offrono
nel loro insieme un nuovo e stimolante contributo all'interno del dibattito sul
carattere "moderno" e di rifondazione nazionale della Grande Guerra destinata
a creare, con il suo altissimo prezzo di sangue, un enorme potenziale di
identificazione nazionale.
Recensioni
G. MAGNANINI, Un borghese socialista. FrancescoLolli 1885-1925, Tecnograf,
Reggio Emilia 2005, pp. 160, 12 euro
Negli ultimi anni sono venuti dalla storiografia locale diversi segnali di un rinnovato
interesse per figure non di primo piano del socialismo reggiano d'inizio novecento la
cui memoria, spesso trascurata dalla storiografia maggiore del movimento socialista,
era rimasta relegata entro i ristretti confini della comunit di appartenenza. Il volume di
Giannetto Magnanini dedicato a Francesco Lolli, dunque, aggiunge un nuovo tassello
ad un filone storiografico che, rifuggendo da uno sterile agiografismo, contribuisce
ad illuminare di nuova luce la galleria dei personaggi artefici del socialismo
prampoliniano.
Nato a Vezzano sul Crostolo nel 1885 da un'antica famiglia della borghesia della
montagna reggiana e formatosi nell'ambiente culturale del tardo positivismo, Francesco
Lolli si presenta come un uomo principalmente d'azione, orientato alla realizzazione
del processo emancipatorio di classe e della comunit di appartenenza; aderente
giovanissimo al partito socialista, rivest un ruolo pubblico di rilievo nelle vicende
politico-amministrative locali contribuendo al consolidamento del "modello reggiano"
nei primi lustri del novecento. Peraltro, se nelle sue prese di posizione poteva
sembrare prevalentemente un tecnico, una figura di rincalzo, - come ha scritto Franco
Bojardi nell'introduzione - dalla biografia emerge il ruolo fermamente prampoliniano
di Lolli nei settori della politica, della casa e della previdenza sociale, della sanit e del
lavoro; in effetti, tenendo insieme il piano della rievocazione biografica con quello
delle principali vicende politico-amministrative reggiane, Magnanini ricostruisce la
personalit e l'attivit politica di una figura destinata ad attuare nella prassi del governo
locale l'approccio gradualistico e pragmatico del riformismo reggiano.
Avvocato, appartenente all'entourage dei massimi dirigenti del socialismo reggiano,
Lolli fu iniziato alla carriera politica in occasione delle elezioni del luglio 1910 quando
venne eletto consigliere provinciale nelle fila del partito socialista; l'anno successivo
entr nella giunta degli avvocati del sindaco di Reggio, Luigi Roversi, ed a seguito
della rielezione del 1914 fu riconfermato assessore. Mentre si delineava la rottura
all'interno del PS! tra massimalisti e riformisti, nel corso della Grande guerra il giovane
avvocato vezzanese fu richiamato alle armi, venendo impegnato in zona di guerra
dapprima in Trentino (in Val di Ledro) e quindi, nella primavera del 1918, sul fronte
francese nell'area della Marna. Rientrato a Reggio dopo la conclusione del conflitto,
Francesco Lolli continu un'intensa attivit amministrativa nel capoluogo rivestendo
diversi incarichi (membro della commissione per i ricorsi contro le tasse sugli esercizi,
segretario della deputazione provinciale e di membro del comitato provinciale
per le case popolari); nel contempo, reinterpretando nell-a prassi politica socialista
l'archetipo liberaI-borghese dell'investitura pubblica del proprietario nella comunit
di appartenenza, Lolli fu eletto sindaco a Vezzano in occasione della consultazione
elettorale dell'ottobre del 1920, allorch i socialisti conquistarono per la prima volta il
comune. Tuttavia, la parabola del borghese socialista conobbe una svolta nel clima
di violenze e di attacco alle amministrazioni socialiste del convulso primo dopoguerra:
aggredito e bastonato da una squadra fascista nel giugno del 1921, Lolli continu a
svolgere la sua funzione di sindaco fino all'estate del 1922 quando, nel quadro di
decomposizione delle organizzazioni socialiste e di appoggio (o di benevola neutralit)
delle forze dell'ordine alla violenza fascista, fu costretto a rassegnare le dimissioni. Era
l'epilogo della vicenda politica del giovane avvocato socialista il quale, minato nella
salute dall'aggressione subita, dopo aver assunto la direzione dell'Istituto di Previdenza
sociale a Reggio, Modena e Parma, mor repentinamente nel luglio del 1925.
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Nel ripercorrere le tappe principali del percorso biografico dell'esponente socialista,
Magnanini si sofferma in particolare sulla partecipazione di Lolli alla Grande guerra.
In effetti, l'indagine ha trovato un punto di partenza privilegiato nella possibilit di
utilizzare le lettere inviate dal fronte alla famiglia nel biennio 1917-1918, circostanza che
ha permesso di restituire la posizione di Lolli nel suo peculiare contesto di borghese
socialista. Fedele interprete della linea socialista del non aderire e non sabotare, nel
suo carteggio Lolli non palesa tracce di quell'acceso nazionalismo diffuso presso larga
parte degli ufficiali, evidenziando invece una prevalente attenzione alla sfera privata
ed in particolare alla cura del patrimonio familiare di Montalto, gestito tramite una fitta
corrispondenza con le donne della famiglia; dalla documentazione emerge lo spaccato
di un immaginario familiare dominato da una concezione mezzadrile segnata da un
radicato senso di responsabilit sociale e fortemente permeata dell'umanitarismo
socialista.
Ma l'episodio pi noto Ce drammaticamente decisivo) della biografia di Francesco
Lolli rimane l'aggressione subita nell'estate del 1921 ad opera di una squadra
fascista e sulla cui vicenda Magnanini si sofferma nelle ultime pagine del volume; in
particolare, l'autore ricostruisce l'ambiente ed il contesto politico-amministrativo in
cui matur l'aggressione al borghese socialista, preceduta da intimidazioni e da una
torbida campagna di stampa volta ad attaccare il sindaco per alcune discusse scelte
amministrative (l'aumento delle tasse sulla propriet e l'affidamento del servizio
annonario ad una cooperativa socialista). Ricostruendo la vicenda Magnanini, oltre
a suggerire analogie e punti di contatto con il delitto Matteotti, evidenzia l'onest
intellettuale e la ferma coerenza di Lolli con le posizioni socialiste, distinguendolo cos
da altre figure del socialismo reggiano d'estrazione borghese, come Alberto Borciani
e Adelmo Borettini, destinate ad essere attratte nell'orbita nazional-fascista nel corso
del primo dopoguerra.
Suggestivi infine l'apparato fotografico e l'appendice con l'analisi grafologica della
scrittura di Lolli che narrano con immediatezza gli aspetti privati e pubblici di una figura
per diversi aspetti emblematica del socialismo riformista reggiano d'inizio secolo.
Alberto Ferraboschi
M. STORCHI Ca cura di), Venti mesi per la libert. La guerra di Liberazione dal
Cusna al Po, Bertani editore, Cavriago 2005, 25 euro
Non vi periodo della nostra vicenda di popolo e di nazione che sia stato percorso,
esplorato e descritto come e quanto quel terribile quinquennio della seconda guerra
mondiale che va dal 1940 al 1945 e che coincide con la fase pi eroica della Resistenza
antifascista.
Prima in chiave celebrativa e poi con pi smagata riflessione critica, storiografi
di vaglia o scrittori comandanti o fanti di quel singolare esercito alla
macchia che fu il Corpo Volontari della Libert, hanno consegnato a futura memoria
un'enorme mole di testimonianze, di documenti, di volumi e di diari che da soli
formano una ricca biblioteca. A riempirne gli scaffali hanno concorso, in notevole
misura, le estese ricerche sulla Resistenza reggiana, tra le quali spicca ed eccelle la
ponderosa opera di Guerrino Franzini. In essa sembra narrato ed esaurito ogni pi
minuto dettaglio sulla lotta di liberazione. Eppure, suolo e sottosuolo di quel periodo
non stato ancor tutto scavato. Nel corso del sessantennio nuovi studi, altri saggi,
altri interventi hanno proposto nuovi aspetti e nuove fasi del pianeta Resistenza:
valga a conferma il prezioso contributo di Teresa Vergalli Annuska con le sue Storie
di una staffetta partigiana e valga soprattutto la pi importante impresa editoriale
del 2005 che va sotto il titolo Venti mesi per la Libert. Si tratta di un volume di 430
pagine che si impone a prima vista per il pregevole impianto tipografico, per la ricca
documentazione fotografica, per l'originale impaginazione, merito dell'editore Bertani
di Cavriago.
Se poi si considera il contenuto, non certo con una modesta recensione che se ne
pu rendere l'ampiezza dei temi e delle informazioni. Basti dire che all'elaborazione
dei testi hanno concorso, nell'ordine: Antonio Zambonelli, Michele Bellelli, Glauco
Bertani, Giuseppe Giovanelli, Lella Vinsani ed Enrico Galavotti.
Questa serie di autori e la successiva appendice che comprende memorie inedite e
le vicende resistenziali riassunte in ordine cronologico, sono gi in grado di anticipare
il disegno di vasto respiro che costituisce una nuova e pi aggiornata "Summa della
storiografia reggiana su quei venti mesi di fame, di dolore e di sangue. In essa si
rivelano "le basi della nostra identit nazionale e democratica come afferma Giannetto
Magnanini nella sua illuminante prefazione; basi costruite non solo con le armi in
pugno ma fin dai lontani primordi della Resistenza antifascista, nella clandestinit,
nelle carceri, nell'esilio. Inoltre, nuova luce viene proiettata sulla deportazione di
militari e civili italiani nei lager nazisti; sulle leggi razziali e sul calvario degli Ebrei;
sui feroci eccidi perpetrati dai nazifascisti, tanto pi estesi e feroci, quanto pi andava
crescendo la presenza di comunisti, socialisti e cattolici nelle file della resistenza, ivi
compresa la partecipazione oscura ed eroica delle donne in prima linea o nelle retrovie.
Vi sono capitoli che rimandano a vicende e protagonisti in parte noti. Altri, invece,
descrivono ambienti e situazioni inedite, come i crudeli "retro scena della occupazione
nazista dei centri di potere a Reggio, con la sanguinosa complicit delle Brigate nere a
partire dalla strage dei Fratelli Cervi ... C' infine una sezione del volume che in modo
spregiudicato e veritiero affronta "Memorie dolore e vendette che hanno fatto seguito
al 25 aprile 1945. Con quella assenza di rettorica celebrativa, con quel rigoroso
distacco che costituisce la novit pi esemplare del discorso storico sui venti mesi per
la libert, l'rsToREco non ha esitato ad affrontare la vessata questione delle vendette
consumate nell'immediato dopoguerra, ancora rovente di furore, di disperazione, di
memorie disumane che hanno indotto alcuni irriducibili e isolati partigiani a sparare
ancora, a far giustizia sommaria nei casi in cui la criminalit nemica sembrava rimanere
impunita. Vedi in proposito quante stragi di civili rimasero segrete per decenni, nel
famigerato armadio della vergogna. E per concludere queste nostre note a margine,
riportiamo una frase di Massimo Storchi che con efficacia riassume il senso e lo scopo
della nuova impresa storiografica sulla Resistenza nel Reggiano: un'opera a pi voci
"che entri finalmente a far parte di quella storia condivisa di cui abbiamo bisogno
come comunit e come cittadini perch nessuno, per misero calcolo politico o per
desiderio di rivalsa, possa negare o ridiscutere un percorso storico che ha costruito
la democrazia del nostro Paese. Il volume dell'rsToREco pu degnamente adempiere
questo mandato se verr accolto e letto soprattutto da giovani e meno giovani che di
Resistenza hanno udito parlare in modo reticente o fazioso o che addirittura hanno
rimosso la cognizione stessa di quel nostro secondo Risorgimento.
Renzo Barazzoni
M. DEL BUE, L'apostolo e il ferroviere. Vite parallele di Camillo Prampolini e
Giuseppe Menada, Aliberti, Reggio Emilia 2005, pp. 320, 16 euro
Quello delle "vite parallele" costituisce un luogo classico della storiografia, con
illustri ascendenze letterarie fin dai tempi di Plutarco. Anche e soprattutto quando
ci troviamo di fronte a personalit molto diverse tra loro, come nel caso di Camillo
Prampolini e di Giuseppe Menada, due figure destinate a segnare in profondit la
vicenda storica reggiana dell'et contemporanea. Proprio a questi protagonisti della
nascita del "mondo nuovo" a Reggio Emilia, autentiche incarnazioni del socialismo
riformista e del moderno capitalismo industriale, Mauro Del Bue ha dedicato il suo
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ultimo volume, individuando nei due percorsi biografici Ce nel loro controverso
rapporto) un filo conduttore per rileggere la vicenda storica reggiana tra la fine
dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento.
A partire da un comune background borghese, il tracciato di vita di Menada e
Prampolini prese precocemente direttrici differenti. Camillo Prampolini 0859-1930),
nato da una famiglia della buona borghesia reggiana, frequentando le aule della facolt
di Giurisprudenza dell'Universit di Bologna e le lezioni di Enrico Ferri sotto l'influsso
positivista approd al socialismo evoluzionista e riformista. Giuseppe Menada 0858-
1931), di origini piemontesi e borghesi, si presenta invece come un outsider impegnato
in societ di gestioni ferroviarie nell'Italia ottocentesca che muoveva i primi incerti
passi verso l'industrializzazione. Nonostante la diversit degli itinerari biografici,
Prampolini e Menada avrebbero incrociato i loro destini a Reggio Emilia nel tardo
Ottocento quando parteciparono attivamente, sia pure con compiti e ruoli diversi, al
processo di modernizzazione politica e socio-economica della comunit locale. Se,
infatti, Prampolini fin dagli anni '80 attraverso l'imponente processo di acculturazione
politica dei ceti subalterni delle campagne reggiane si impose come leader carismatico
dell'emergente partito socialista e del movimento cooperativo, Menada, ben inserito
nelle reti creditizie che sorreggevano le iniziative industriali, gi sul finire del secolo
si distinse per il sicuro intuito imprenditoriale che lo avrebbe portato nel 1901 a
impiantare nel cuore della "provincia contadina" il primo moderno stabilimento
industriale: la fonderia Righi, trasformatasi nel 1904 in Officine meccaniche reggiane.
Nel frattempo, con l'avvento del nuovo secolo e la conquista da parte delle forze
socialiste del Comune di Reggio, Menada aveva iniziato un'altra "carriera", impegnandosi
nelle vicende politico-amministrative locali come grande sponsor della "Grande
armata", l'associazione clerico-moderata che sconfisse i socialisti nei confronti elettorali
del biennio 1904-1905; si apre cos la stagione della dura sfida politica e ideologica
0900-1909) durante la quale Prampolini e Menada si fronteggiarono non solo per
il controllo del governo locale ma anche per la costruzione della linea ferroviaria
Reggio-Ciano, la prima ferrovia costruita da una cooperativa. Con la sconfitta della
coalizione antisocialista e l'abbandono della vita politica attiva di Menada si schiude il
periodo 1909-1920 durante il quale si instaur una sorta di concordia discors tra i due
che port l'imprenditore piemontese a collaborare attivamente con Prampolini nella
creazione di importanti e innovative attivit socio-assistenziali, tra le quali la Croce
verde e l'Istituto Autonomo delle case popolari. La terza e ultima fase la stagione
della "discordia", segnata dall'eredit politica del turbolento primo dopoguerra e dal
diverso epilogo politico dei due protagonisti, accomunati tuttavia negli ultimi anni
di vita da un calvario che li vedr morire a soli sette mesi di distanza l'uno dall'altro
Cp. 296); infatti, il caos politico del dopoguerra e l'eclissi del socialismo riformista
coincisero con l'abbandono di Reggio da parte del leader socialista il quale, pur escluso
oramai dall'attivit politica, negli anni del tramonto dell'esilio milanese mantenne viva
la sua fede nella religiosit laica incarnata dagli ideali dell'umanitarismo socialista;
per contro, con l'ascesa al potere del fascismo Menada trov la propria legittimazione
alla guida del governo locale, assurgendo agli onori della vita politico-amministrativa
reggiana nelle vesti di sindaco Ce poi di podest) dal 1925 fino al 1929, quando si
dimise per motivi di salute.
Scritto con scorrevolezza e con sostenuto ritmo narrativo, il volume di Mauro Del
Bue nel ricostruire le traiettorie di vita dell'''apostolo'' e del "ferroviere", in dieci densi
capitoli intreccia il vissuto quotidiano e il ruolo pubblico di due personalit che, al
di l delle divergenze ideologiche, politiche e professionali, appaiono accomunate
da significative affinit. In effetti, l'autore rileva come sia possibile individuare in
entrambi i protagonisti la capacit d'intuire con grande anticipo orientamenti e
sviluppi successivi, mobilitando le energie modernizzanti della societ reggiana di
fine Ottocento: La particolare intelligenza dei due stava proprio nella loro capacit
di prevedere il futuro: Prampolini aveva individuato nella cooperazione un'occasione
concreta per la costruzione di una nuova societ senza la violenza e col riformismo,
Menada sapeva che la ferrovia sarebbe stata fondamentale per pervenire ad una societ
industriale moderna Cp. 131). In effetti, al di l di questa lungimiranza, l'essenza
profonda che unisce le figure di Prampolini e Menada rinvenibile nella sostanziale
estraneit dei due uomini all'universo ideologico e culturale delle classi dirigenti della
Reggio di fine Ottocento, fondato sulla conservazione dell'assetto politico e socio-
economico ed ascrivibile essenzialmente al patrimonio culturale liberaI-moderato della
borghesia agraria e professionale locale. Se, infatti, il giovane Prampolini dei primi anni
Ottanta entr a far parte di "quell'ambiente da bohmien [, .. 1 di giovani scapestrati dai
quali la borghesia reggiana si teneva alla lontana, temendoli come fossero banditi" Cp.
32), l'imprenditore Menada, di origine "forestiera e con un passato sui generis lontano
dalle lites dirigenti tradizionali, non manc di suscitare diffidenze e cauti sospetti
all'interno del mondo nobiliar-borghese reggiano, egemonizzato dal notabilato della
terra e delle professioni. Nel contempo, il rapporto tra Prampolini e Menada, al di l
delle diverse opzioni politiche, affondava le sue radici nel comune richiamo ad una
cultura del progresso e ad una concezione modernizzante basata su un pragmatismo
alieno da astrazioni dottrinarie, destinato a tradursi in un'innovativa progettualit sul
terreno politico e socio-economico. In questo senso, la cifra identitaria che accomuna
un "imprenditore della politica del primo socialismo ed un "imprenditore prestato
alla politica del nascente capitalismo industriale appare identificabile in un comune
habitus mentale modernizzante destinato a trasfigurare Camillo Prampolini e Giuseppe
Menada in due vere e proprie icone della trasformazione politica e socio-economica
dell'Italia d'inizio Novecento.
Alberto Ferraboschi
E. CAPPELLINI, Memorie di storia e di vita, Guiglia Editore, Modena 2004, pp.
148, 16,00 euro
" ... senza la memoria e il riflesso del passato sarebbe come camminare al buio".
Inizia con questa riflessione il libro di Emidia Cappellini Memorie di storia e di vita: un
viaggio difficile e faticoso nella memoria della sua storia e di quanti le sono stati vicini
nell'attraversare il '900, secolo segnato dalla violenza del fascismo, dalla guerra e dalle
speranze di pace, dall'impegno nella resistenza e dai lutti, dal dopoguerra con "il libro
dei conti del fornaio sempre gonfio fino ai giorni nostri. Ricordare comporta sempre
un grande sforzo, l'autrice si rammarica di non aver tenuto un diario, come le aveva
spesso, suggerito la madre: allora lo riteneva inutile, ora le sarebbe stato di grande
aiuto. E comunque fortunata, Emidia, ha ancora una buona memoria e ha voglia di
raccontare, per non dimenticare e perch non si dimentichi ci che successo nella
sua Bagnolo e nelle campagne emiliane, casa per casa. E poi, alcuni avvenimenti
segnano indelebilmente l'esistenza ed impossibile dimenticarli.
Comincia cos a raccontare il viaggio della sua vita in una famiglia di antifascisti in
un'Italia dove invece il fascismo cominciava a fare la voce grossa.
" ... quando sarai Pi grande ... capirai" le disse un giorno il padre dopo aver gettato
via il ritratto del duce che Emidia, bambina, aveva vinto a scuola componendo un
bel tema. Era una bambina, non capiva, il suo mondo erano i compiti, i giochi con le
amiche, ma anche il lavoro fatto nei campi con la madre ed i fratelli, che non le pesava
per pi di tanto.
Poi la guerra, i fratelli lontani, la presa di coscienza e la scelta di collaborare con
la resistenza, il coraggio di sfidare la paura e la paura che il suo coraggio venisse
scoperto, anche dai propri familiari. L'incontro con l'amore, quello bello, quello che
sconvolge il cuore per la prima volta. La guerra per crudele e questo amore non
glielo lascia vivere, perch a San Valentino pu esserci una rappresaglia e possono
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morire tanti giovani e fra di loro anche colui che le fa battere il cuore. In guerra
succede.
Arriva il 25 aprile, la "Resurrezione" come la chiama lei. felice, Emidia, ma sa che
non finita, c' la ricostruzione, c' ancora molto da lavorare. E non si tira di certo
indietro, continua la sua attivit nell'uD! e nel partito comunista. Si riunisce la famiglia,
ma la vita ancora molto dura e qualcuno vive disperatamente certe situazioni
d'incertezza. Altri lutti, stavolta che ti strappano il cuore perch si fatica ad accettare
la morte di un fratello stanco di vivere. Ma si ricomincia ancora. Fino i giorni nostri,
quando scopre che lo stesso partito a cui lei ha dedicato la sua vita aveva espulso la
sua famiglia dopo che essa gli aveva rivolto accuse, giuste o sbagliate che fossero,
per non aver saputo evitare la morte del giovane fratello. Forse delusa, Emidia,
forse anche arrabbiata, ma non lo trasmette nel suo racconto. lo la immagino,
questa signora emiliana, bella, sicura, determinata, una di quelle donne che hanno
uno spiccato senso del dovere. Nonostante la vita non sia stata gentile con lei e non
le sia nemmeno stato riconosciuto il suo impegno nella Resistenza, nelle sue memorie
non c' una sola parola di rimpianto per quello che ha fatto.
La lettura scivola via ed il racconto cos preciso nei passaggi cronologici e cos ricco
di particolari non trasmette angoscia e amarezza per tutto ci che in esso descritto,
ma il coraggio, la fermezza e la capacit di affrontare consapevolmente gli eventi che
hanno scritto le pagine pi nere della storia d'Italia degli ultimi anni.
Anna Fava
G. AMAINI, La battaglia di Fabbrico: 26-27 febbraio 1945, La Rapida, Verona
2006, pp. 131, 15,00 euro
Molti libri, articoli, saggi e anche polemiche hanno da sempre accompagnato i
ricordi e le ricostruzioni della battaglia di Fabbrico e, nonostante l'interesse suscitato,
alcuni avvenimenti di quei giorni erano rimasti fino ad oggi poco conosciuti, se non
inediti.
Arnaini chiarisce in questo libro che, strano a dirsi, il primo mai scritto dedicato
esclusivamente ed espressamente alla battaglia di Fabbrico, alcuni di questi punti
valendosi dei risultati di un'ampia ricerca svolta sia in loea, negli archivi comunali e di
ISTORECO, sia in Germania dove ha potuto consultare gli archivi militari tedeschi. Cos
oltre agli eventi, sostanzialmente noti, del pomeriggio del 27 febbraio con lo scontro in
campo aperto fra fascisti e partigiani, emergono anche le trattative condotte da Gianni
Landini e da don Igino Artoni il giorno successivo, nella sede del Platzkommandantur,
per convincere il maggiore Frase a non ordinare a sua volta una rappresaglia per
vendicare i tre soldati tedeschi uccisi in due giorni. Altro inedito portato alla luce
dall'autore sono proprio i nomi e le mansioni dei militari della Wehrmacht.
Viene fatta chiarezza anche sul numero esatto dei morti, fonte in passato di vivaci
polemiche. Diciotto in totale, fra i quali un civile, tre partigiani, tre tedeschi e undici
fascisti. Di questi ultimi, soprattutto per il giorno 27, si evidenzia la giovanissima et e
la conseguente inesperienza militare.
ArIche gli antefatti che portarono all'imboscata del giorno 26 e al combattimento
del 27 sono ampiamente descritti; ed anzi l'autore li ritiene quasi parte integrante degli
eventi di quei due giorni.
N sono stati dimenticati i testimoni oculari della "giornata pi lunga di Fabbrico":
l'introduzione al volume di Agostino Nasi Cesare che il 27 febbraio comand il
distaccamento sappista di Rolo che sostenne l'urto principale dell'azione partigiana.
In appendice al volume poi viene riproposta la ricerca promossa dalla scuola
elementare di Fabbrico nell'anno scolastico 1979/80 avente come obiettivo non solo
la famosa battaglia, ma Resistenza di un paese intero.
Michele Bellelli
R. ROBIN, IJantasmi della storia. Il passato europeo e le trappole della memoria,
Ombre corte, Verona 2005, pp. 175 pagine, 16,50 euro
Questo libro offre una pluralit ben composta di idee a proposito del vero sancta
sanctomm della societ contemporanea: la memoria. Robin, Autrice canadese sconosciuta
in Italia, avvicina questo tema, declinandolo attraverso la giustapposizione di diverse
discipline (storiografia, scienze sociali, estetica, critica letteraria), evidenziandone
anzitutto le difficolt e i rischi: lungi dal voler mettere in discussione la legittimit del
nostro rapporto con il passato, giunto tuttavia il momento di mostrare le ambiguit
e le trappole della memoria nell'epoca in cui essa assunta a moda, prendendo in
considerazione il difficile rapporto che le nostre societ intrattengono con il proprio
passato e i pericoli di [una] memoria satura, una memoria strumentalizzata, rivista in
funzione delle necessit del momento, che ha i tratti di una forma distorta dell'oblio"
(11, corsivo nel testo).
Ecco il pericolo di annegare nel mare di troppe informazioni, impressioni superficiali,
che segnano questa era del testimone". Proprio mentre la memoria si apprestava a
divenire di moda, gli ultimi decenni sono stati quelli del revisionismo montante, in
un'Europa con sempre meno risorse per resistergli. Robin, oltre a citare la parit pretesa
per i ragazzi di Sal o il passato sconveniente del colonialismo francese, si concentra
soprattutto sul caso tedesco, vero paradigma della progressiva vittimizzazione" che
quella societ (gi nazista) si scelta. Dopo lunghi anni di silenzio, quando il passato
si presenta di nuovo, esso viene riletto e travolto dal presente. Si tenga anche conto
che, ormai gi da diverso tempo, gli storici di professione hanno perduto il monopolio
della parola sul passato, anche di quella specialistica. Quello dello storico non che
uno dei discorsi che si mescolano nel vortice del discorso sociale sul passato" (24-25).
Le societ investite dal loro passato, con tutte le debite questioni della colpa che vanno
ad esso connesse, tendono a rielaborare (collettivamente, cos come capita al singolo)
gli eventi "sgradevoli", in modo da uscirne con un'immagine inigliore, annacquando
le responsabilit, innalzando a dovere universale e primario la pratica della piet
tout court. Cos, ad esempio, tutti sono stati egualmente vittime delle "sofferenze"
causate dalla guerra. A loro volta la memoria delle guerre, in primis quella delle guerre
civili, conosce il fenomeno catastrofico dell'equiparazione forzata degli opposti. Ad
esempio, la guerra di Spagna perde cos la sua caratteristica di guerra fra fascismo e
antifascismo, per diventare una guerra fra fascismo e comunismo, e Franco appare pi
come il visionario che aveva previsto, ben prima di ogni altro, la vera sfida dell'epoca"
(15).
La Germania ha visto l'istituzione di un unicum astorico, senza pi poter sostenere
il peso di un discrimine fra le responsabilit. Sulla storia della memoria tedesca" hanno
senza dubbio pesato le politiche ed i gesti di Adenauer, di Brandt e di Schroeder, cos
come la via giudiziaria alla memoria (il processo Eichmann, i processi di Francoforte
negli anni Sessanta), ma non vanno dimenticati anche il movimento studentesco,
nonch la produzioni culturali (si pensi ad Heimat, del 1984, vero manifesto contro
l'onnipresenza hollywoodiana nella memoria collettiva e difesa un po' nostalgica della
vita premoderna). Volendo sintetizzare: quale la via tedesca per divenire un "paese
normale"? Bisogna assumere il passato o buttarlo via del tutto? La caduta del Muro,
poi, ha rimescolato tutte le carte. Ecco raccontare (tributo postumo alla propaganda di
Goebbels) i crimini dei liberatori: gli stupri dell'Armata Rossa a Berlino, i 400.000 raid
aerei, simbolo dell'indifferenza alleata. Non pi solo Auschwitz come nome-simbolo,
ma anche, e in sostanza alla pari, Stalingrado e Dresda.
Molto opportuni i riferimenti assunti dalla Robin: noi qui vogliamo ricordarne
almeno due. Anzitutto, I. Kertsz, nobel e sopravissuto alla Shoah, che si chiesto:
a chi appartiene Auschwitz? Lo scrittore ungherese sferza il conformismo ed il
sentimentalismo di una memoria ormai apertamente kitsch (La vita bella). Egli stesso,
per, non si nasconde le complicazioni proprie al passare del tempo: per il futuro
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possiamo aspettarci ad un tempo rappresentazioni innovatrici e rappresentazioni di
semplice cattivo gusto. gi postmemoria.
Il secondo esempio che vogliamo ricordare il recente romanzo di G. Grass, Il
passo del gambero (2002), nel quale si racconta di una nave, carica di 7000 profughi
dai territori orientali del Reich, in fuga dall'Armata Rossa, e colpita da un sottomarino
sovietico. Grass riesce a mostrare la stratificazione progressiva delle mentalit delle
diverse generazioni, esprimendo - almeno a detta di Robin - questa "morale": .. la
memoria un fenomeno complesso e occorre diverso tempo prima che si possa
scrivere "la vera storia" del passato L .. ] e proprio per questo necessario dar voce ai
diversi punti di vista (70).
La seconda parte del libro dedicata alla controversia estetica sulla .. rappresentabilit
dell'evento passato. Come ovvio, ci riferiamo (ma non solo) alla Shoah. Robin
dedica un saggio a Berlino, vero cantiere della rammemorazione (con Benjamin).
Essendo che la memoria naturalmente legata ad uno spazio, ed essendo che i nazisti
hanno cercato e sono, almeno in parte, riusciti a sottrarre alla memoria i luoghi dello
sterminio, aprendo all'alternativa terribile fra le rovine ed il vuoto (ossia, la morte
della stessa memoria), la questione , allora, quella .. di dar corpo all'assenza, pi che
di rendere presente ci che dovrebbe sostituire quell'assenza (89). In altri termini,
in un'epoca di memoria satura, ma che dice poco o nulla, il problema capire .. se vi
siano, per tentare di trasmettere la memoria dolorosa, dei modi di rappresentazione
alternativi, un fare altro rispetto ai pieni della rappresentazione, della fotografia, del
simulacro, del percorso pedagogico (90). L'obiettivo far emergere la parte d'ombra,
sempre ricordandosi che l'indicibile non coincide di per s con l'inesplicabile o
l'inintelleggibile.
Robin si dedica ad illustrare i contro-monumenti, sorti a Berlino soprattutto, ma
anche altrove in Germania (ad esempio, il Memoriale contro il fascismo di Jochen
Gerz ad Amburgo). Si tratta di installazioni, spesso temporanee, che non sono state
dedicate all'evento in s, ma al rapporto fra l'evento e la sua memoria. Si punta allora
sull'invisibilit, proprio per poter rendere visibile l'assenza. Altrimenti, ci si dedica
ad esaltare una memoria di prossimit, come, ad esempio, nel voler ripercorrere le
persecuzioni antiebraiche quartiere per quartiere, vittima per vittima. Ci nonostante,
resta, alla fine, insoluta una questione di non poco conto: .. Un rapido giro d'orizzonte
dovrebbe essere sufficiente per convincerci di quanto sia difficile trovare un luogo
dove si stia costruendo realmente una "giusta memoria" (147).
Francesco Paolella
R. ROSSANDA, La ragazza del secolo scorso, Einaudi, Torino 2005, pp. 386,
18 euro
Il libro di Rossana Rossanda: un libro complesso, con pi chiavi di lettura e offre
innumerevoli spunti di riflessione. Qui si potranno cogliere solo alcuni aspetti di un
racconto di vita e di un percorso intellettuale e politico che si snoda nell'arco di oltre
ottant'anni.
L'autrice riesce a rendere in modo sapiente, coinvolgente, appassionante l'intreccio
inscindibile che lega la sua vicenda personale e le sue scelte di vita con l'esperienza
collettiva del PCI e con le tragedie, le contraddizioni, le passioni, gli ideali che hanno
caratterizzato e resa irripetibile la storia del '900.
Rossana Rossanda pone nell'introduzione la domanda cruciale cui il libro vuole
rispondere: .. Perch sei stata comunista, perch dici di esserlo, che intendi?
La risposta arriva, via via che il racconto si dipana, nel suo percorso di vita, nella
sua formazione, nelle vicende che la portano, nel dramma della guerra, da giovane
studentessa erroneamente convinta di essere al riparo dagli eventi rinchiusa nelle
biblioteche di Milano e di Padova, a dover, nel '43, compiere una scelta, a entrare nella
Resistenza, a scoprire il PCI. (<<Era allora la forza pi decisa,.).
I capitoli dedicati all'infanzia e all'adolescenza, alla formazione culturale ed umana,
agli studi universitari di Milano e di Padova, sino all'invevitabile incontro con la
Resistenza ed i comunisti, sono, ad avviso di chi scrive, tra i migliori del libro ed
offrono una prima chiave per comprendere molte delle scelte future della Rossanda e
del suo particolare stare negli eventi.
L'autrice nasce e passa i primi anni della vita in Istria, a Pola, in una famiglia della
media borghesia colta, aperta e tollerante. Il padre, notaio, tolstoiano ed anticlericale
le ricorder presto Si pu fare quello che si vuole, ma bisogna pagarne il prezzo.
Viene educata all'amore per lo studio, la lettura, l'arte, in una citt di frontiera ove
culture, usi, costumi, si mischiano, oscillando tra il perbenismo e la rigidit piccolo
borghese e l'apertura e l'inquietudine intellettuale della gente di confine.
Nel '39, a causa della rovina della famiglia, Rossanda dovr andare a vivere a Venezia,
ospite degli zii, poi a Milano, ove coi genitori e la sorella conoscer una dignitosa
povert, che non le peser pi di tanto: Eravamo intellettuali e frequentavamo i libri.
Questo bastava: la febbre di sapere, sapere davvero. All'Universit di Milano studia
con docenti prestigiosi: con il suo amato maestro Banfi (,l'apritore delle porte,.), con
Marangoni, Manaresi, all'Universit di Padova, vera comunit di studenti e docenti,
gi politica, dei colti contro gli incolti. Incontra Concetto Marchesi, Valgimigli, Valeri.
Di quegli anni, gli anni della guerra e quelli che la preparano, dice che era presa
pi dal fragore della mente che della guerra, che tuttavia incombe ed arriver, con i
bombardamenti, i morti, lo sconvolgimento della vita quotidiana.
Leggere, conoscere, chiusa nelle biblioteche di Brera, del fondo Beltrami anche
una difesa, un riparo dalla tragedia e dalle scelte che ormai incombono.
E, comunque, prima e durante la guerra, troppo grande la "zona grigia" degli
indifferenti, di chi non sa e non vuole sapere, di chi bisogna che abbia l'acqua alla
gola per ammettere l'irreparabile. Eppure non erano fascisti.
Ma nel '39 non si chiederanno, lei e neppure le sue compagne e gli insegnanti,
perch una loro compagna ebrea non potr tornare a scuola. Sono le omissioni
i veri peccati mortali, scriver in pagine importanti di riflessione sul contesto di
inconsapevolezza, indifferenza, rifiuto della realt, in cui ha potuto vivere, proliferare
il fascismo, il nazismo sino all'immane tragedia della guerra mondiale.
Il crollo del regime (<<un afflosciarsi senza decenza,.) la coglie cos quasi di sorpresa,
furente, come tradita dai silenzi altrui e dall'opacit mia. Le arrivano allora le prime
voci non badogliane di Giustizia e Libert, s'interroga su una frase sibillina del professor
Vincenzo Errante Non giova l'ala a chi non abbia artigli; poi arriver 1'8 settembre, la
necessit di scegliere.
a quel punto che scopre i comunisti, i pi sicuri di quello che facevano, andr
da Banfi, il suo maestro, anche lui comunista, a chiedere che fare. Banfi le far leggere
Marx, altri autori. Sar una lettura febbrile. Era una presa d'atto senza rinvii possibili,
era l'addio all'innocenza.
Cos entrer nella Resistenza, col nome di Miranda e agir con vari incarichi tra
Milano e Como.
Di quella scelta dir, senza enfasi: Non me ne pento, non me ne vanto. lo mi ci
sono trovata. Se non ti tirano per i capelli, non vedi, non senti, non dici.
Dalla presa di coscienza della Resistenza inizier un percorso che la porter, nel
fervore del dopoguerra e della ricostruzione, ad accettare per conto del PCI varie
responsabilit, e ad accettare di entrare come funzionaria nella federazione comunista
milanese, esperienza che le far "scoprire" la classe operaia, le grandi fabbriche, la
lotta di classe sino ad allora studiata sui libri di Marx.
Rossanda racconta con pagine appassionanti la frenesia e l'allegria bellissima del
primo dopoguerra a Milano, la vivacit della vita culturale, la scoperta della letteratura
europea, americana, russa, la sua passione per l'arte, i primi confronti e,scontri tra
diverse idee della cultura e della politica: quella milanese e quella romana. E la Milano
201
202
di Banfi e della Statale, di La Malfa, Scalfari, Vittorini e il "Politecnico" di Einaudi,
Pavese, Calvino.
Sono gli anni in cui inizia la costruzione del Partito comunista nella democrazia
appena conquistata, una rete faticosa ma vivente, nascono le sezioni, le cellule,
il lavoro verso le fabbriche, tra gli operai e le donne operaie dal volto grigio, la
permanente ferrosa, i lineamenti tirati, sempre di corsa. E una grande acculturazione
collettiva, un vero processo democratico e partecipato, che in tanti abbiamo vissuto
ci che ha fatto grande e diverso il pei
Ma arriveranno presto tempi pi difficili, la rottura dell'unit antifascista, la
sconfitta del fronte Popolare del '48, l'isolamento del PCI, l'inizio della discriminazione
anticomunista. A Rossana Rossanda viene chiesto di tirare la mitica Casa della Cultura
fuori dalle rovine del '48, di ricucire il rapporto con gli intellettuali, con i socialisti,
con le diverse correnti culturali. La federazione le d carta bianca e riuscir, con l'aiuto
di Musatti, Fortini, Banfi, Vittorini, Antonicelli, Calamandrei, e tanti altri a rifarne un
centro vivo e prestigioso di dibattito e produzione di idee, aperto alla cultura europea
e internazionale.
Sono gli anni che preludono alla vittoria contro la legge truffa nelle elezioni del '53,
gli anni in cui escono anche, dopo Le lettere dal carcere, i Quaderni dal Carcere di
Gramsci, che tanto peseranno nel determinare l'influenza del PCI sulla cultura italiana.
E chi era giovane in quegli anni sa quanto Gramsci, le Lezioni sul fascismo abbiano
contato nella formazione culturale e politica di quella generazione.
Ma sono anche gli anni dello zdanovismo e del realismo socialista in URSS, che
influenza anche il gruppo dirigente nazionale del PCI, ne rivela le contraddizioni e le
ambiguit.
E arriva il '56, il XX Congresso, il rapporto di Kruscev, la destalinizzazione, l'Ungheria,
la bufera che si scatena nel movimento comunista e nel PCI.
Qualcosa si spezza definitivamente nel rapporto di fiducia con l'uRss, con il gruppo
dirigente del PCI, per le cose non dette, le reticenze. Scrive Rossanda: "Il non dire fu
l'errore pi grande e, a proposito dell'Ungheria: "l'et dell'innocenza era finita; quel
giorno a 32 anni mi vennero i capelli bianchi.
Dopo il '56 nascono anche le tante domande sul che fare. Andarsene? "Nessun
disastro dell'uRss cancellava le iniquit del capitalismo e Rossanda sceglie di restare
nel PCI e di battersi, nell'VIII Congresso e nei successivi, per il rinnovamento della sua
linea politica, nel solco della via italiana al socialismo.
Nel '65 il severo Longo la convincer, seppur recalcitrante, a trasferirsi a Roma per
dirigere la Commissione Culturale nazionale e sar anche deputata al Parlamento.
A Botteghe Oscure, sulle degenerazioni del socialismo reale, sull'invasione della
Cecoslovacchia, sul movimento studentesco del '68 e le lotte operaie nel '69, e nel
tentativo contrastato di rinnovare profondamente il lavoro culturale, matureranno
i primi profondi contrasti e l'inevitabile scontro politico e culturale con il gruppo
dirigente nazionale, che porter lei e Lucio Magri, Aldo Natoli, Luigi Pintor, Luciana
Castellina ad assumere posizioni radicalmente alternative, alla decisione di fondare il
"Manifesto" e alla conseguente radiazione dal partito.
Alla commissione culturale Rossanda prepara due importanti Convegni. Uno sul
capitalismo italiano, e l'altro su "Famiglia e societ nell'analisi marxista" che fanno
molto discutere, non sono apprezzati dal gruppo dirigente, ma rappresentano
indubbiamente uno sforzo di aggiornare svecchiare l'elaborazione culturale del PCI.
Personalmente ricordo che Luciana Castellina venne a presentare quello sulla famiglia
alla Sezione Togliatti di via Guido da Castello in una sala affollata di giovani.
Nella ricostruzione, appassionante e dolorosa, del suo travagliato stare nel partito
sino al triste distacco, molti sono gli episodi inediti ed i dirigenti del PCI che Rossanda
ci racconta spesso in una luce nuova (da Togliatti a Longo,da Ingrao ad Amendola,da
Paietta a Napolitano, a Berlinguer).
Rivaluta, ad esempio Togliatti (<<cortese, conversevole e lontano) per la scelta
di restare in Italia e di rifiutare la richiesta di Stalin di dirigere l'internazionale; lo
riaccredita una volta accertato che il suo obiettivo non fu di rovesciare lo stato delle
cose, ma di garantire la legittimit del conflitto.
Rossanda ripercorre il '900, la sua vita, il suo tormentato rapporto col PCI ricostruendo
situazioni, eventi, contesti, personaggi in modo lucido e laico, con indubbia capacit
di analisi critica e di autoanalisi, riconoscendo onestamente le proprie ed altrui
contraddizioni ed errori, ma anche con l'orgogliosa rivendicazione delle sue posizioni
e delle ragioni che l'hanno portata ad essere comunista e che la portano a confermare
anche oggi quella scelta.
Nel suo eccezionale percorso politico-culturale e nei suoi tanti viaggi nelle capitali
europee, nei paesi dell'Est, in URSS, a Cuba (ove incontra pi volte Castro), Rossanda
conosce i nomi pi prestigiosi della politica e della cultura del '900, con loro discute e
si confronta: Sartre e Althusser, J.S. Karol (suo compagno di vita dopo Rodolfo Banfi) ,
Anna Akmatova, Semprun, Jorge Amado, Aragon, Colette, Marguerite Duras, Calvino,
Pasolini, Einaudi, e tanti altri ancora.
Con alcuni intellettuali italiani costruir legami e affinit intellettuali profonde, in
particolare con Foa, Trentin, Garavini, Reichlin, nelle interminabili discussioni delle
notti romane.
Il libro denso di riflessioni anche su aspetti esistenziali (ad esempio, sul rapporto
con il sentimento di maternit, sul modo di essere donna nella politica; confessa di non
avere mai capito il separatismo delle Commissioni femminili, di avere scoperto troppo
tardi le ragioni del femminismo): L'essere donna non era l'essenziale ... Bisognava
ridurre il danno. L'emancipazione allora era questo.
Ma gran parte del libro dedicata all'evoluzione del contrastato rapporto, suo e del
gruppo a lei vicino, con il PCI, sino alla radiazione. Una dolorosa amputazione, bisogna
riconoscerlo, perch sui temi della democrazia interna e della legittimit del dissenso
e sul giudizio dell'irriformabilit dei regimi dell'est europeo Rossanda ed i compagni
del Manifesto sostennero allora posizioni giuste che si rivelano oggi lungimiranti ed
anticipatrici.
Molti di noi che allora eravamo giovani e affascinati dalle loro idee e dalle loro
personalit, soffrimmo e subimmo la decisione di radiarli, ma, in nome di una malintesa
difesa dell'unit del partito, non abbiamo avuto il coraggio, la capacit e la forza di
contrastarla.
Era e resta una nostra responsabilit e il PCI ha pagato con la sua fine i ritardi e le
contraddizioni su questi punti nodali.
Pi complesso il giudizio da dare sulle posizioni di Rossanda riguardo alla strategia
da seguire in Italia.
Emerge dal suo racconto, in particolare sul '68-69, una visione nettamente alternativa
alla linea del gruppo dirigente del PCI, di formazione storicistico-crociana da lei ritenuta
arretrata ed incapace di capire ci che stava cambiando nella societ italiana.
Contesta l'analisi, giudicata arretrata, sul capitalismo italiano, l'incapacit di cogliere
le istanze rivoluzionarie che nascono dai movimenti sociali, la scelta di "frenare" le
lotte studentesche ed operaie, di privilegiare i rapporti politici e il parlamento, la
"subalternit" di fatto alle classi dominanti. Prevale, in sostanza, una scelta nettamente
anticapitalistica, non chiara nei suoi passaggi e nei suoi possibili sbocchi, basata sulla
centralit del ruolo della classe operaia e dei movimenti antisistema e sulla democrazia
dal basso.
E, come ha acutamente ossservato Angelo Guglielmi nella sua recensione ("l'Unit"
del 28 febbraio 2006), Rossanda non riesce a spiegare, dando quel giudizio drastico,
come sia stata possibile la grande influenza politica del PCI degli anni '70, la grande
avanzata nelle elezioni del '76, che segue proprio l'esplodere di quei movimenti e le
grandi conquiste sociali e civili di quel decennio. Dice Guglielmi L'adesione al PCI o il
semplice votarlo esprimeva un bisogno di modernit, di liberazione da costumi e stili
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di vita invecchiati. .. i pi avvertivano il PCI come l'avamposto, seppure troppo cauto,
verso il nuovo.
Sono e restano, questi, punti controversi, su cui si continua e si continuer a
discutere, come del resto sul giudizio tranciante della "svolta" di Occhetto dell'89 e
sulla decisione di "liquidare" il pC! e di dare vita ad un nuovo partito.
Ma al di l di ci, il valore e il messaggio del libro di Rossanda sta nell'essenza della
risposta che ella d alla domanda: perch sei stata e resti comunista?
Una risposta onesta ed orgogliosa. Rossanda del PCI riconosce la grande funzione nella
Resistenza e nella conquista della democrazia e della Costituzione, nell'acculturazione
e nell'educazione alla democrazia delle grandi masse sino ad allora escluse, il rigore
morale ed il disinteresse personale che caratterizzavano la militanza, la severa selezione
dei dirigenti: Era come a scuola, dovevi aver passato gli esami.
Dice ancora dei comunisti e del suo essere comunista: I comunisti sono stati il sale
del '900; erano i soli a negare l'inevitabilit del non umano, il fare per e con gli altri
stata ed per me la pi grande gratificazione.
Per concludere: se certo nel libro si respira l'amaro sapore delle tante sconfitte e
della fine di una grande esperienza politica ed umana, ne sono tuttavia riconosciuti e
rivalutati da Rossanda le ragioni ed i valori di fondo.
Dal suo libro viene dunque una sollecitazione in pi ad uscire dal silenzio dei
comunisti, a ripensare criticamente e a ricollocare storicamente l'esperienza del PCI,
aldil delle facili liquidazioni e delle "abiure" dettate dalla contingenza plitica o
dalla tentazione nostalgica di coloro che hanno condiviso nel bene e nel male quella
esperienza intensamente vissuta, ma irripetibile.
Chi, come auspicabile, legger questo libro, potr condividere o no le posizioni e
le scelte compiute dall'autrice, ma non potr non avvertire il fascino di una personalit
straordinaria, coraggiosa e coerente, e il messaggio etico e politico di una vita
interamente spesa per un ideale di autentico riscatto umano.
Eletta Bertani
A. D'ORSI, I chierici alla guerra, Bollati Boringhieri, Torino 2005, pp. 331, 18
euro
L'idea di dedicare una ricerca alla seduzione bellica sugli intellettuali da Adua
a Bagdad ha il suo primo humus - per confessione dell'autore - nell'esperienza
privata delle due guerre mondiali: membri della grande famiglia patriarcale rimasti
sui campi di battaglia, o ritornati a casa offesi nel corpo e nella mente. Ma altre, e pi
complesse ragioni di questa approfondita rassegna della trahison des clercs, ricorrente
per tutta la durata del (lungo?) Novecento, risiedono nella qualit etica che D'Orsi esige
dal mestiere di storico, e in genere dalla professione intellettuale: essere voce della
ragione, portatore del compito inderogabile di fornire un'informazione documentata,
non facendo certo mistero delle proprie categorie interpretative, ma senza far s che
il diritto ad un punto di vista si confonda con la disinvolta, o addirittura entusiastica
partecipazione ad operazioni di propaganda, allo stesso tempo conseguenza ed esca
di funeste accensioni emotive di massa.
Se gli anni pi recenti (dalla prima guerra del Golfo ad oggi) hanno messo in
particolare evidenza la propensione dei gruppi dirigenti delle nazioni belligeranti
ad essere disonesti e bugiardi, e dei popoli da loro governati ad essere ciecamente
ingannati, chi, se non i filosofi, gli storici, i giornalisti, aveva il compito di salvare i
concittadini dalle tenebre dell'ignoranza, e di guidarli a districarsi nei meccanismi di
un'impietosa e gigantesca macchina tritatutto, in cui corpi e anime, speranze e idee,
informazione e deformazione vengono mescolati, incessantemente?
Non si pensi, tuttavia, di trovarsi di fronte ad una lunga invettiva, contingentemente
legata alla situazione attuale, di cui l'Autore mette in evidenza la natura catastrofica
(e dall'ultimo capitolo, "Guerra e Catastrofe" appunto, sarebbe bene partisse la lettura
del libro). L'opera frutto, al contrario, di una prolungata meditazione, arricchita da
precedenti confronti pubblici. Piuttosto, siamo ancora una volta a comprovare la validit
del vecchio adagio, secondo cui l'anatomia dell'uomo spiega l'anatomia della scimmia:
gli esiti estremi di oggi (iniziativa monopolare, neo-lingua, gravi compromissioni della
democrazia e negazione di fatto del diritto internazionale ... ) rendono ragione delle
idee e delle pratiche avviate nel primo Novecento, le definiscono come inizi di un
lungo processo, che D'Orsi ricostruisce con una fortissima capacit di individuarne
gli snodi principali, di chiamare in causa gli attori, di scoprire insospettabili affinit
fra posizioni apparentemente diverse o, secondo collaudati schemi storiografici,
addirittura opposte.
Lungo tappe che culminano di volta in volta nella Grande guerra, in Hiroshima,
nel Vietnam e poi in Iraq, Kossovo, Afganistan, ancora Iraq, s'intensifica il carattere
terroristico ed allo stesso tempo interminabile della guerra. Sempre pi connotata
come guerra ai civili e al territorio, guerra, dunque, "alla civilt", in quanto realizza
danni permanenti ad un paese, alla sua flora, alla sua fauna e permane nei corpi della
sua popolazione, anche in quella non ancora nata.
A dispetto del vertiginoso variare dei contenuti concreti (sproporzione nei mezzi
d'offesa, "bersagli" indiscriminati, irreversibilit ed enormit dei danni, pacificazioni
senza pace effettiva, guerra agli stati come reazione ad attacchi non da loro nemmeno
indirettamente derivanti. .. ) il dispiegamento propagandistico a favore della guerra
(svolto alla luce di una sua nozione astratta fuori dal tempo, valutabile in altrettanto
astratti termini "etici", politici, giuridici) mantiene nel corso del secolo una sua sostanziale
ripetitivit. Si confronti, solo uno dei tanti esempi, il legame, nel Manifesto futurista,
fra guerra "sola igiene del mondo" e disprezzo della donna, con la recente metafora
della maschia America ("Marte") contrapposta sprezzantemente alla femminea Europa
("Venere").
L'analisi di D'Orsi si rivolge alla cultura europea e, solo in parte, americana. Accademia,
giornalismo, lettere e arti sono tutte realt attentamente scandagliate. E quanto pochi
i riluttanti, le teste che mantengono freddezza e continuano a ragionare, le volont
capaci di dichiararsi al di sopra della mischia! Quanto pochi, e vituperatissimi, ieri
come oggi, i R. Rolland, i B. Russell!
invece imponente la schiera dei fautori, siano essi di stile che potremmo definire
realistico o invece d'impronta prevalentemente retorica. Vi sono i retorici esaltatori
del valore in s della guerra (principale artificio: si enfatizza l'eroismo di chi pronto
a morire, si occulta la sgradevole verit che si in guerra per uccidere). Guerra,
dunque, come momento della verit, per i singoli come per i popoli; rimedio contro
la decadenza e contro il piatto materialismo "borghese" (termine opposto ovviamente
non a "proletario", ma a "guerriero"), soprattutto contro i patteggiamenti "mercantili"
della politica e del parlamentarismo. Una guerra, suggerisce D'Orsi, come antipolitica,
non gi come prosecuzione della politica con altri mezzi.
Vi poi l'insidiosa retorica della guerra "giusta", che la pretende necessaria
nella lotta contro il Male o a favore di altrettanto astratte categorie (tale la stessa
Democrazia, merce invero non esportabile con atti di imperio, ma usatissima foglia di
fico, come gi la Civilizzazione d'epoca coloniale). Pur essendo diverse le circostanze,
le appartenenze ideologiche e la stessa personalit di ogni protagonista, risultano
alla fine sorprendentemente simili i moduli argomentativi. In questo caso D'Orsi
accompagna il lettore ad una sofferta uccisione del (di un) padre: l'interventismo
democratico, di ieri e di oggi. un'analisi non riassumibile, il capitolo espressamente
dedicato all'argomento uno dei pi interessanti, il pi improntato al magis amica
veritas.
Pi netta appare la diversit fra i molti atteggiamenti improntati a "realismo". Vi
sono posizioni sofferte, rassegnate al ricorso alla guerra (nell'auspicio della sua brevit
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e .moderazione) come ad una extrema ratio contro quelle che appaiono (e, ahim,
spesso pi sugli schermi televisivi che nella realt scrupolosamente studiata) palesi
violazioni del diritto. Errori di valutazione, in questo caso, possono essere compiuti
anche da grandi maestri, grandissimi poi nei ripensamenti e nella disponibilit
all'ascolto delle critiche (fra tutti, Bobbio).
Di altro tenore, e sostanzialmente ripetitive, si manifestano le posizioni del
"realismo" riconducibile a una interpretazione superomistica o darwiniana dei rapporti
internazionali: dall'asserzione dello Zarathustra di Nietzsche, secondo cui " la buona
guerra che santifica ogni causa, passando per i nazionalismi di inizio secolo, (da
noi, i Corradini e i D'Annunzio) e per le pi o meno equivoche teorie "geopolitiche",
collegandosi infine agli attuali teo o neo-cons, allo stesso tempo attori, consiglieri
del principe e diffusori di una pedagogia di massa capace di ricorrere con cinica
disinvoltura alla storia, intesa come serbatoio di materiali disponibili la carte, perci
fonte inesauribile di stereotipi e di suggestive quanto infondate analogie, da dare in
pasto al pubblico in forma di (presunti) "precedenti" giustificativi.
La documentazione offerta di D'Orsi di questo ricorso al "supermercato della
storia" estremamente vasta ed allarmante, tanto pi che esso non appare una (fra
le tante) strategia propagandistica, ma il nucleo portante di ogni propaganda bellica:
"A ben pensarci, senza il ricorso al gigantesco magazzino della Storia l'operazione di
propaganda insita nelle premesse di un conflitto, nella sua genesi, nel suo scatenamento,
non sarebbe possibile e forse neppure pensabile.
Purtroppo la nutrita rassegna di intellettuali-propagandisti offerta da D'Orsi
comprende, accanto ai molti filosofi ed esteti (quasi regolarmente dalla parte sbagliata),
anche una foltissima schiera di storici di professione (per non dire di giornalisti col
pallino della storia). Nel loro caso senza la giustificazione (a differenza dei primi) di
abitare mondi diversi dalla nostra empirica Terra.
Ettore Borghi
E. SAVINO, "Lo Stato Moderno" - Mario Boneschi e gli azionisti milanesi,
Franco Angeli, Milano 2005, pp. 240, 21,00 euro
Nel 1955 un volume laterziano a pi voci, Dieci anni dopo, presentava un bilancio
molto critico delle occasioni mancate e delle speranze deluse: restaurazione moderata
in corso, Costituzione inattuata, persistenza, nelle forme e nella prassi, di pesanti
aspetti del vecchio e non vinto stato autoritario. Comune la provenienza azionista
degli autori principali (Calamandrei, Lussu, Valiani. .. ), che s'incontravano, al di l
della diaspora subita dalla combattiva formazione antifascista, nel giudizio di fondo
sulla seriet della situazione presente. Nello stesso torno di tempo, catalizzato dal
"Mondo" pannunziano, nasceva il partito radicale, frutto dell'incontro fra sinistra
liberale (Villabruna, Libonati, Carandini, Cattani) e, appunto, reduci dall'esperienza
di "Giustizia e Libert", del liberalsocialismo, del Partito d'azione (Guido Calogero,
Ernesto Rossi, Mario Boneschi, Mario Paggi). Era il generoso tentativo di affermare
l'esigenza di un sostanziale rinnovamento civile la cui attuazione, a dispetto della
Carta costituzionale, sembrava a quegli uomini bloccata dal reciproco neutralizzarsi
dei due maggiori partiti. L'esito deludente delle elezioni del 1958 s'incaric ben presto
dell'esecuzione sommaria di quell'aspirazione ad una "terza via", che non intendeva
essere semplicemente la strada di una sinistra moderata o, come si sarebbe detto allora
"borghese". Rispetto alla sinistra "di classe" la differenza va piuttosto cercata nei temi
e nelle priorit, per alcune delle quali la linea dell'azionismo, e in particolare di quello
milanese di cui erano espressione Paggi e Boneschi, presentava fortissimi rifiuti del
compromesso e intransigenti proposte di rottura. Sul tema dello Stato, innanzitutto, che
socialisti e comunisti avrebbero trascurato, oscillando tra l'illusione che la Resistenza
avesse assunto come tale il carattere di una rivoluzione compiuta ed il rinvio sine die di
questo tema "sovrastrutturale" ad un secondo e conclusivo passaggio rivoluzionario.
Laboratorio di questa visione critica fu la rivista "Lo Stato Moderno", la cui
pubblicazione inizi gi nel periodo clandestino (944) e si protrasse sino al marzo
1949.
Il volume di Elena Savino ci consente di ricostruirne la vicenda attraverso uno
studio esaustivo, che ne inquadra il profilo avendo d'occhio particolarmente la figura
del pi longevo fra i suoi protagonisti: Mario Boneschi. Di grande utilit risultano poi
gl'indici 1944-49 e una antologia di scritti retrospettivi di Boneschi stesso.
Vaccinati da ogni "mentalit mitizzante" da vent'anni di retorica fascista, la pattuglia
dei collaboratori (fra gli altri Gaetano Baldacci, Arrigo Cajumi, Vittorio Albasini Scrosati)
si posero in continuit con la linea lombarda degli illuministi e di Cattaneo, sia in
quanto fautori del principio di autonomia contro lo Stato accentratore-burocratico, sia
come propugnatori del progetto di una "rivoluzione concreta". L'antifascismo, in altri
termini, doveva assumere il compito di impadronirsi della macchina dello stato ...
rifacendola pezzo per pezzo, attraverso un'opera di riforma tenace, lenta, paziente e
instancabile delle vecchie strutture. L'allarme, condiviso da pochi all'indomani della
Liberazione, che sotto la cappa di una costituzione democratica avrebbe resistito
pressoch intatta la legislazione illiberale del fascismo, si riveler purtroppo un'amara
quanto realistica previsione. La sottovalutazione di quella insidia avrebbe consentito
al fascismo di rimanere capillarmente annidato come una tenia nelle viscere dello
Stato.
Fra le proposte inascoltate (gi elaborate nel corso della lotta clandestina) molte
rivestono oggi grande interesse e rivelano aspetti di persistente attualit: abrogazione
del codice Rocco e ritorno con ritocchi al codice Zanardelli; legislazione sociale
secondo le linee di Beveridge; leggi urbanistiche sui modelli inglesi e olandesi;
ritorno alla nazione delle acque privatizzate nel 1917; immediata riorganizzazione e
potenziamento dell'lRI ... come uno dei principali strumenti di politica economica.
Espressione fra le pi significative del "vento del Nord", l'azionismo lombardo -
che non s'illudeva che la cacciata dei nazifascisti fosse la vittoria dell'antifascismo
- avrebbe poi dovuto fare i conti con gli aspetti reali del nostro Paese, su cui la sua
stessa analisi antiretorica aveva gettato tanta luce. Come osserva Boneschi nel suo
bilancio retrospettivo: Nel contrasto trionf la forza opposta, l'astuzia elementare, il
realismo freddo, la conservazione pura.
Ettore Borghi
E. FICARELLI, B. DOMENICHINI, E per questo resisto. Bambini e bambine in tempi di
guerra, Equilibri, Modena 2005, pp. 144, 13,00 euro
I bambini appunto. Quando s'immagina e si pensa alla guerra e alle sue inevitabili
conseguenze la prima immagine che ci viene in mente quella della sofferenza di chi
con questa guerra non c'entra nulla, di chi la subisce senza nulla sapere e senza nulla
comprendere. I bambini appunto. E la guerra vista con gli occhi dei bambini appare
agli adulti in tutta la sua semplice e scontata atrocit. Pi di tanti discorsi, pi di tante
immagini di torture o di riprese di distruzioni sono le semplici parole di bambini
come Alex, Misha (ebrei), Harry (inglese), Asmir 0ugoslavo) e Parvana (afgana) ad
illustrarci le ingiustizie che tutte le guerre portano inevitabilmente con s. Ed proprio
la convinzione che temi come la disumanizzazione dell'individuo, le sofferenze, le
privazioni dei diritti pi elementari e tutto quello che di pi drammatico si accompagna
ad ogni conflitto, trovi una privilegiata forma di espressione nella letteratura per
ragazzi che sta alla base di questo progetto e delle intenzioni delle curatrici del libro.
Le parole le frasi e i racconti dei protagonisti delle pagine dell'antologia vanno dritte
al cuore del lettore e imprimono emozioni forti che fanno riflettere: il ragazzo lettore
si immedesima facilmente con il ragazzo protagonista e siamo certi che quando si
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chiuder il libro, qualcosa di quella storia rimarr nella sua mente e nel suo cuore.
Cos se si leggono i dialoghi di Jurek e Kazik, bambini protagonisti del dramma
autobiografico dello scrittore per ragazzi Uri Orlev, ebreo sopravvissuto a Bergen-
Belsen, riportato nelle prime pagine del libro. Nella Varsavia occupata dai tedeschi i
due bambini ebrei polacchi vivono nascosti nella soffitta di un palazzo passando il
tempo a giocare alla guerra mentre la guerra vera solo pochi piani sotto di loro.
Il Vento Giallo il titolo del saggio di David Grossman che spazia dal luogo reale
del campo profughi palestinese di Deheisha ad un'analisi dei sogni di bambini ebrei
e palestinesi. La prima parte del volume si conclude con una riflessione di Sarah
Kaminski sull'impatto eterno che gli orrori della guerra hanno sul bambino non solo
in termini di effetti traumatici ma anche di perpetrazione della violenza. Ancora una
volta, dunque, la letteratura rivolta ai pi giovani pu essere quella lanterna magica
che proietta e filtra il male raccontando che la vita umana ha sempre, in tutte la
circostanze, un significato.
La seconda parte del libro costituita da una variegata sezione antologica che
riporta significativi e commoventi stralci di racconti aventi come protagonisti bambini
nelle pi varie situazioni di guerra, dalla seconda guerra mondiale all'Afghanistan,
dalla ex-Jugoslavia al Cile. Il volume si conclude con una ricca bibliografia della
letteratura che vede bambini ed adolescenti protagonisti dei conflitti nei pi diversi
scenari bellici.
Flaviolori
Storia della Shoah. La crisi dell'Europa, lo sterminio degli ebrei e la memoria del XX
secolo, UTET, Torino 2005, volI. 5, sip.
Con un'opera voluminosa ed estremamente dettagliata, nonch suddivisa in cinque
differenti volumi, si voluto ricostruire !'intera storia della Shoah, non solo nei suoi
aspetti pi noti durante la seconda guerra mondiale, ma analizzando anche le sue
origini passate, individuate nel colonialismo ottocentesco e metodi e stili del suo
ricordo nei decenni del dopoguerra. Ogni volume raccoglie una serie di saggi storici
e fotografici che ripercorrono le varie tappe che portarono l'Europa dal colonialismo
ad Auschwitz: il primo La crisi dell'Europa: le origini e il contesto riguarda proprio
l'ambiente culturale, sociale e politico nel quale venne tracciata attraverso i secoli la
strada che port ai campi di sterminio. Il secondo volume La distruzione degli ebrei
ricostruisce gli anni della dittatura nazista e della guerra visitando anche i suoi aspetti
poco noti quali i collaborazionisti filonazisti nei paesi occupati o la gestione burocratica
ed amministrativa della soluzione finale. La terza e la quarte parte, intitolate Riflessioni,
luoghi della memoria, risoluzioni ed Eredit, rappresentazioni, identit si occupano
di far conoscere ai lettori tempi, modi e luoghi coi quali il ricordo dei lager stato
trasmesso alle generazioni cresciute dopo la caduta del nazismo. L'ultimo volume
infine una collezione di Documenti storici, questo il suo titolo, delle epoche trattate
nell'opera che corredano i precedenti tomi, come una sorta di nota a pi di pagina.
L'importanza del lavoro svolto attestata anche dagli autori dei numerosi saggi che
compongono questa storia della Shoah: Nicola Labanca, Saul Friedlander, Ian Kershaw
solo per citarne alcuni fra i pi noti.
Un ulteriore e moderno strumento di corredo ad un'opera tanto voluminosa quanto
importante sono tre DVD ed un CD-ROM di ipertesto, preparati per far conoscere pi da
vicino alcuni eventi ed istituzioni inestricabilmente legati allo sterminio degli ebrei: il
processo di Norimberga, il processo Eichmann ed il tribunale dei Giusti.
Attualmente sono gi disponibili presso ISTORECO i primi due volumi e il DVD del
processo di Norimberga.
Michele Bellelli
H. ARENDT, Responsabilit e giudizio, Einaudi, Torino 2004, pp. 238, 22 euro
Quando ci si riferisce al nazionalsocialismo ed, in particolare, alle politiche
di sterminio verso gli ebrei e verso tutte le altre vittime, impossibile individuare
un'unica chiave di lettura. L'eredit della Shoah non ci permette di seppellire il
passato: Auschwitz ancora un'urgenza etica, oltre che politica. L'opera di Hannah
Arendt ha nell'orrore nudo del Lager il suo riferimento costante e pi sofferto. I
saggi americani (lezioni, conferenze, discorsi), risalenti agli anni Sessanta e Settanta e
raccolti in Responsabilit e giudizio, non sono sempre direttamente rivolti ai fenomeni
legati allo sterminio, ma, non v' dubbio, che essi li sottendono sempre, mostrando
anzi una fortissima passione intellettuale: il problema della responsabilit del singolo
in condizioni di crisi, in una realt eccezionale, dove tutto sconvolto e travolto, il
problema di vivere in uno Stato totalitario, l'urgenza che il nazionalsocialismo ci ha
lasciato.
La tensione pi profonda, che emerge da questi saggi, quella fra persona e politica,
fra la libert interiore e la libert esterna. Ogni termine del nostro patrimonio etico,
dalla necessit del ricordo alla libera volont, dalla capacit di giudizio alla funzione
del senso comune, viene discusso attraverso i motivi e i movimenti fondamentali della
filosofia morale.
Chi gi conosce il pensiero arendtiano, trover in queste pagine conferma ai suoi
testi pi significativi, Le origini del totalitarismo e La banalit del male. La figura di
Adolf Eichmann emerge tanto spesso, da poter affermare che la vita del burocrate
del Reich a rappresentare, per Arendt, la base, o l'antimodello, su cui ingaggiare un
confronto con la tradizione morale occidentale. Ci riferiamo qui soprattutto allo scritto
pi consistente e pi elaborato della raccolta, Alcune questioni di filosofia morale
0965-1966), nel quale sono ripercorse e poste in questione, da Socrate a Heidegger,
le vicende concettuali e storiche della morale. In estrema sintesi, mettendo in risalto
alcuni fra i tanti motivi presenti, emergono il pensiero e la volont, come chiavi per
aprirsi all'universo della responsabilit. Vediamo.
Anzitutto, Arendt non pu che iniziare con la questione del nichilismo e del
relativismo etico. La crisi di valori, che esplosa nei primi decenni del Novecento, ha
coinvolto tutto e tutti. Non si pu per questo prescindere dalla lezione (dalle leZioni)
di Nietzsche, con cui Arendt mostra di avere un'intima comunanza - di "spirito", pi
che di argomenti e soluzioni. A lui va senz'altro un grande merito, quello di aver
osato denunciare la pochezza e l'insensatezza della morale dei nostri tempi (p. 43).
La questione, esplosa soprattutto dopo il '45, non tanto e ancora quella di adeguarsi
alla morale, intesa come mores, costumi, tradizione, ma di considerare il fallimento
dei sistemi di morale.
Ormai soltanto nei tribunali rimasta viva l'idea della responsabilit umana,
dell'autonomia del giudizio, della coscienza libera. La pi grande meraviglia verso le
diverse condotte dei tedeschi durante e dopo il nazismo non riguarda tanto i pochi,
autentici sadici (che ovunque si trovano e che trovarono in quelle condizioni un
"paradiso" per poter compiere i propri crimini), ma i pochi che dissero Non posso
davanti alla possibilit del delitto, i pochissimi che resistettero al male. Il totalitarismo
sovverte a tal punto i riferimenti della morale, che diventa pi facile compiere il male
che il bene. La maggioranza fece una doppia capovolta, divenendo nazista in un
momento e in un momento mostrando di aver dimenticato quella ideologia e quella
violenza. .
Per Arendt, i filosofi hanno troppo spesso eluso il problema del male, che poi il
problema stesso dell'attivit del pensiero. Laicamente - ma senza ignorare il peso della
religione e, soprattutto, della filosofia cristiana sull'etica - la filosofa tedesca vede nel
pensiero e nel ricordo i veri bastioni che possono ancora "salvare" la responsabilit.
La coscienza, l'essere due-in-uno, il luogo del dialogo interiore del s con se stesso
ci che permette di ricordare ci che si fatto, ci che impedisce, come invece
209
210
avviene nel tipo Eichmann, di perdere contatto con il proprio agire, di rimanere
sulla superficie dell'esistenza, di acquisire una naturale anestesia per il peso della
responsabilit. Socrate, con quel suo "Meglio patire che infliggere il male, ad essere
l'ispiratore insuperato di questa funzione, certo ancora soltanto negativa, del pensiero.
La coscienza costringe il malfattore a vivere continuamente in compagnia di s, di
ricordare ci che ha fatto, e ci avviene specialmente nella solitudine, che non , fra
l'altro, il mero isolamento che si pu provare in mezzo ad una folla. Per Arendt, ed in
ci avvicinandosi ed anticipando il pi recente dibattito sulle questioni di biopolitica
(si pensi all'eugenetica), l'uomo non di per s una "persona. Per il "personalismo"
arendtiano, "l'espressione "personalit morale" , a ben vedere, un'espressione
ridondante (p. 81).
Cosa resta, dunque, della morale? Ad esempio, cosa resta dell'imperativo categorico
di Kant? Non si dovr forse abbandonare ogni tentativo di fissare il male in tutta la
sua forza? No, il male, anzi, il peggiore male, ancora coglibile. Esso non consiste nel
"male radicale", ma - e qui chiaro l'eco del processo Eichmann - nel male senza
radici, nel male che non si ricorda di s. Non si pu, per, pensare di affidarsi ancora
una volta ad una morale degli obblighi, confondendo, come in fin dei conti ha fatto
Kant, legalit e moralit e, soprattutto, ad una morale come verit universale.
Se la coscienza, come divisione interiore, una barriera, l'unica, contro la
svalutazione morale in condizioni eccezionali, all'idea di volont che bisogna
rivolgersi per recuperare l'altruismo, il bene, il lato positivo dell'etica. Anche qui
emerge l'importanza di Nietzsche. La volont, "creatura" del cristianesimo, non va
considerata come arbitro fra la ragione ed i desideri, fra il pensiero e le passioni. La
volont spontaneit iniziale ed "iniziante". Si pu far del bene, solo se non si pensa
ad esso. A questo proposito, Arendt scorge una contraddizione fra Ges, che afferma
"Non sappia la tua mano sinistra ci che fa la tua mano destra e Paolo, che dice "C' in
me la volont del bene, ma non la capacit di attuarlo. la stessa contraddizione fra
quei tedeschi che si r i t r a s s ~ r o davanti alla violenza, con un semplice <Non posso e chi
dice (giustificandosi) Io-voglio-ma-non-posso (p. 102). La volont non il pensiero,
la volont non tollera divisioni al suo interno, non libero arbitrio.
Non c', dunque, niente che ci possa sostenere durante la prova del giudizio
morale? Se vero che la morale oggi non pu prescindere da una continua autocritica
e da un continuo rinnovamento, c' qualcosa cui il senso comune pu aggrapparsi,
quando si innalza al livello del giudizio, e questo qualcosa l'esempio (p. 124). Si
pensi che i vizi e le virt politici vengono solitamente rappresentati attraverso dei
casi individuali (reali e meno). Gli esempi sono <<i principali cartelli stradali in campo
morale (p. 125).
Questa idea morale dell'esempio ha, infine, una significativa declinazione nel
problema della scelta delle persone, con cui si vuoI condividere l'esistenza. <Nel
malaugurato caso che qualcuno venisse a dirci che preferisce la compagnia di Barbabl,
prendendolo ad esempio, la sola cosa che potremmo fare sarebbe di assicurarci che ci
stia lontano (p. 126). Questo non , per, il caso pi pericoloso. Il rischio pi grave
per la vita morale e politica rimane l'indifferenza, o addirittura la scelta di non voler
giudicare. L si nasconde l'orrore e al tempo stesso la banalit del male (ibidem).
Francesco Pao/ella
S. CAVAZZA, Dimensione massa. Individui, folle, consumi 1830-1945, il
Mulino, Bologna 2004, pp. 347, 24 euro
Viviamo in una societ di massa, ed abbiamo, pur in una perenne celebrazione
dell'individualismo, consumi di massa, divertimenti di massa, idee politiche di massa.
Il libro, opera di un contemporaneista di Bologna, cerca di uscire dal luogo comune
del Novecento come secolo della nascita delle masse (nel bene come nel male),
ponendosi in una prospettiva di lungo periodo, andando a ricercare alle origini della
modernit i diversi (a volte ambigui) significati di massa e folla nel pensiero e nella
politica europea dalla fine del Settecento alla seconda guerra mondiale. Facciamo
qualche riferimento. Anzitutto, spicca la ricchezza e, per certi versi, l'inattualit
storiografica del capitolo dedicato alla nascita della psicologia sociale, della psicologia
delle folle. Non c' stato solo Le Bon. La cultura europea (quella francese e quella
italiana su tutte) si progressivamente concentrata sullo studio dei comportamenti
collettivi, ed in particolare sulle valenze politiche di quelli. Cavazza ha ripreso in mano
studi di autori ormai dimenticati, ma che hanno contato tanto nei dibattiti sulle folle
criminali e sui pericoli legati ad esse (pensiamo agli anarchici).
Altro argomento quello dei consumi. L'autore riporta le grandi rivoluzioni del
commercio (l'affermazione dei grandi magazzini, dei nuovi metodi di vendita come
anche i cambiamenti, altrettanto rivoluzionari, nella domanda dei consumatori. A
questo proposito, emerge anche l'interessante posizione dell'autore verso ci che di
massa: Cavazza, contro ogni facile moralismo e pur riconoscendo le contraddizioni di
un processo non lineare, afferma che, a partire dall'Ottocento, non esiste pi nessuna
barriera che impedisca ad una persona di acquisire i beni. E poco prima si legge: Non
va dimenticato che il successo del grande magazzino dovette superare l'opposizione
dei moralisti che vedevano in esso una potenziale minaccia alla moralit femminile,
mentre per le donne esso rappresentava un ampliamento della propria sfera di libert
(pp. 196-197).
L'ultima parte del libro quella pi propriamente politica. Riferendosi alla politica
del Novecento ed all'inedita presenza in essa delle masse, il riferimento non pu che
andare anzitutto al fascismo e, pur con importanti differenze, al nazionalsocialismo.
Il fascismo efficacemente definito come rivolta di massa contro le masse e non
va sommariamente ricondotto alla reazione di vecchie lite. La novit propria del
fascismo nell'idea di nazione, in quanto massa organicamente unitaria. L'idea di
nazione consentiva di collegare l'ideale aristocratico del fascismo alla sua base di
massa, rifiutando, da un lato, l'egualitarismo della tradizione socialista e, dall'altro il
primato dell'individuo della tradizione liberale (pp. 316-317). Il fascismo non ha certo
respinto la massa in quanto tale, ma il principio di maggioranza. Lo storico timore
verso le folle divenuto rifiuto della loro scelta democratica. Democrazia significa solo
demagogia e mediocrit. Il fascismo (specie gli intellettuali) ha voluto imporsi come
reazione dei migliori, anche se poi, come si preso visto, non riuscito a produrre una
nuova classe dirigente degna di questo nome. La massa totalitaria non pi la massa
di individui isolati, ma la massa riunita in un unico corpo, quello della nazione, di
cui lo Stato simbolo efficace. Qui il significato del Plebiscito, espressione massima
dell'identificazione autoritaria fra Stato e masse: per significativo che fascismo e
nazismo sentissero il bisogno di legittimare simbolicamente il loro potere attraverso il
rito della votazione plebiscitaria, atto con il quale la massa-nazione si riconosceva nel
regime che la dominava (p. 320).
Francesco Paolella
G. MARRAMAO, Messianismo senza attesa. Sulla teologia politica di Walter
Benjamin, in "Aut Aut", il Saggiatore, Milano, 2005/6, 328, pp. 119-134
Marramao ha inteso in questo saggio rifocalizzare le tesi benjaminiane Sul concetto
di storia (1940). Gi il titolo spiega il pensiero dell'autore: in Benjamin il messianismo
deve essere spogliato di ogni traccia di attendismo e di passivit. Messianismo
appello all'azione; , anzi, l'azione stessa, effrazione del tempo omogeneo e vuoto,
idea di tempo, quest'ultima, fatta propria dall'ideologia del progresso. Messianismo ,
211
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massimamente, passaggio dallo jetztzeit (il tempoora) all'Augenblick (l'attimo). Tale
passaggio si compie attraverso l'intersecazione fra il messianismo ed il materialismo
storico. Benjamin pensa ad un salto dialettico, che faccia esplodere il continuum del
progresso. Il riferimento ovviamente al salto rivoluzionario, marxianamente inteso.
Benjamin si riferisce al Marx della Darstellung, capace di fare una sintesi di scienza
e redenzione, de l'analisi "spettroscopica" del mondo dominato dal feticismo della
merce con la tensione messianica latente in ogni agire autenticamente rivoluzionario
(p. 133). Marramao cita la tesi XVII: Nell'idea della societ, Marx ha secolarizzato
l'idea del tempo messianico. Ed era giusto cos. La sciagura sopravviene per il fatto
che la socialdemocrazia elev a "ideale" questa idea (W. Benjamin, Sul concetto di
storia, Einaudi, Torino 1997, p. 53). Ovvero: da Vorstellung marxiana ad IdeaI (puro
asintoto), frutto di una disattivazione neokantiana (il compito infinito), della carica
politico-messianica. Chiosa Marramao: Il carattere passivo dell'attesa non , allora,
una prerogativa del messianico, ma piuttosto di un concetto indifferenziato del tempo
storico, incapace di cogliere la costellazione insieme singolare e "vertebrata" del
presente (qui, p. 127).
Marramao insiste sull'influenza ebraica, nella fattispecie cabalistica (meglio
ancora, lurianica) ma anche della filosofia della storia di Hermann Cohen, sull'idea
benjaminiana della ricomposizione dell'infranto della tesi IX. Altrettanto ebraica
l'idea, massimo paradosso ripreso appieno da Benjamin, secondo la quale l'Origine
non si pone mai all'inizio, ma essa viene sempre compiuta dopo, mai prima. possibile,
quindi, e riprendendo Isaia, affrettare il compimento dell'Origine. Solo gli uomini
possono salvare Dio (contra Heidegger). Benjamin si pone su un piano pienamente
storico, collocandosi sulla via tracciata dal messianismo rabbinico: Il Meshac della
tradizione rabbinica pu virtualmente sopraggiungere in ogni momento, non
preparato da alcuna plenitudo temporum: n da un' escatologica "pienezza dei tempi",
n da un'apocalittica "fine del tempo". Il Messia ebraico figura umana, umanissima:
"generato da uomini" (pp. 125-126).
Benjamin, come noto, ha riletto il messianismo alla luce del tempo passato, contro
ogni "simbolica" infuturante dell'attesa (pp. 128-129). Il fascismo, poi, nell'analisi
benjaminiana non romantica nostalgia del passato, ma manifestazione potente del
"tecnocraticismo", proprio del concetto moderno di progresso. Ecco la tesi XI: Non
c' nulla che abbia corrotto i lavoratori tedeschi quanto la persuasione di nuotare
con la corrente (W. Benjamin, cit., p. 39). Per questo rispetto, non esiste semplice
alternativa fra fascismo e movimento operaio.
Quale spazio resta per veder esplodere la storia? Uno spazio piccolo (la piccola
porta da cui pu entrare il Messia), spazio instabile per giunta pericoloso. Tutto in
equilibrio precario, specie alla luce della radicale contingenza e pochezza della storia
umana (qui soprattutto alla luce di Blanqui).
Concludiamo ricordando quale sia, per Marramao, la cifra pi piena del messianismo
politico di Benjamin: il suo corrispondere all'appello del passato, anzich a
un'ingiunzione del futuro (p. 133). Riprendiamo la tesi II: Allora noi siamo stati attesi
sulla terra. Allora a noi, come ad ogni generazione prima di noi, stata consegnata
una debole forza messianica, a cui il passato ha diritto. Questo diritto non si pu
eludere a poco prezzo. Il materialista storico ne sa qualcosa (W. Benjamin, cit., p.
23). la responsabilizzazione del presente, affinch esso sia messianico. il carattere
potenzialmente rivoluzionario della memoria (dei vinti, dei sommersi a dirla con
Levi). Dobbiamo essere mossi dalla consapevolezza che neanche i morti sono al
riparo dal nemico.
Francesco Paolella
A. ALES BELLO, P. CHENAUX Ca cura), Edith Stein e il nazismo, Citt Nuova,
Roma 2005, pp. 120, 9,00 euro
Tutto il libro ruota attorno ad un documento per molti versi eccezionale. la lettera
che Edith Stein (1891-1942), filosofa tedesca, di origine ebraica, appartenente alla
scuola fenomenologica, convertitasi nel 1922 al cattolicesimo, deportata e sterminata
ad Auschwitz, scrisse a Pio XI nel 1933, pochi mesi dopo la presa del cancellierato da
parte di Hitler. Si tratta di una lettera, di cui gi gli specialisti erano a conoscenza, ma
che stata resa nota nel 2003, nell'ambito dell'apertura degli archivi relativi ai rapporti
fra Santa sede e Germania negli anni fra le due guerre mondiali. Ne vogliamo citare
gli elementi essenziali.
"Padre Santo! Come figlia del popolo ebraico, che per grazia di Dio da Il
anni figlia della chiesa cattolica, ardisco esprimere al Padre della cristianit ci
che preoccupa milioni di tedeschi. Da settimane siamo spettatori, in Germania, di
avvenimenti che comportano un totale disprezzo della giustizia e dell'umanit, per
non parlare dell'amore del prossimo. [...J Tutto ci che accaduto e ci che accade
quotidianamente viene da un governo che si definisce "cristiano". Non solo gli ebrei,
ma anche migliaia di fedeli cattolici della Germania e, ritengo, di tutto il mondo, da
settimane aspettano e sperano che la Chiesa di Cristo faccia udire la sua voce contro
tale abuso del nome di Cristo. L'idolatria della razza e del potere dello Stato, con la
quale la radio martella quotidianamente le masse, non un'aperta eresia?".
Edith aveva programmato in quel periodo anche un viaggio a Roma (a cui poi
rinunci) per un'udienza privata con il pontefice, al fine di ottenere una condanna
dottrinale dell'antisemitismo.
I primi due saggi, dei quattro che compongono il volume, sono dedicati ad
inquadrare storicamente questa epistola, sia con il saggio La Santa Sede e la questione
dell'antisemitismo sotto il pontificato di Pio XI di Philippe Chenaux, sia con quello
di Hugo Ott sui rapporti fra Edith, "filosofa e pubblicista cattolica", e l'intellettualit
tedesca negli anni del nazismo trionfante. In quest'ultimo contributo emerge la
storia della protagonista, le sue difficolt nel mondo accademico, ma anche il suo
attaccamento patriottico (da liberale) e, soprattutto, lo choc determinato dalla vittoria
del nazionalsocialismo, assieme alle ben note ripercussioni di tale vittoria nel mondo
intellettuale: ci riferiamo, ovviamente, all'adesione di Heidegger al nazismo ed al
suo discorso per il rettorato del 27 maggio 1933, L'autoaffermazione dell'Universit
tedesca. Questo ed altri episodi, assai penosi per Edith, come, ad esempio, il congedo,
ricevuto da Husserl (egli pure era di origini ebraiche), influirono certo non poco sulla
sua decisione di "ritirarsi" nella clausura del Carmelo.
I due saggi successivi, quello di Angela Ales Bello (curatrice del volume, nonch
direttore del Centro italiano di ricerche fenomenologiche) su Edith Stein, la Germania
e lo Stato totalitario e quello, conclusivo, di Vincent Aucante, Lo statuto paradossale
della filiazione in Edith Stein: popolo eletto, razza, nazione, indagano la possibilit di
stabilire un'interpretazione steiniana del fenomeno del totalitarismo e, in particolare,
di quello nazista. Merita - crediamo - attenzione soprattutto il lavoro della Ales Bello,
la quale, alla luce degli scritti di filosofia politica e di "fenomenologia dello Stato" di
Edith*, mette in luce la ricchezza degli studi della Nostra sui rapporti fra comunit,
societ e massa (alla luce, certo, anche della lezione scheleriana), cos come sulla
"struttura ontica dello Stato".
Francesco Paolella
Cfr. di E. STIIN soprattutto Una ricerca sullo Stato (Roma 1993), Psicologia e scienze dello spirito
- Contributi per una fondazione filosofica (Roma 1996), e La struttura della persona umana
(Roma 2000).
213
214
M. SARFATII, La Shoah in Italia: la persecuzione degli ebrei sotto il fascismo,
Einaudi, Torino 2005, pp. 165, 8,50 euro
Le leggi razziali del 1938 aprirono la strada alla persecuzione fascista degli ebrei
anche in Italia che, durante gli anni della Repubblica sociale mussoliniana, vennero
deportati a migliaia nei campi di sterminio nazisti. Poich la Shoah non stata un
fenomeno esclusivamente italiano o tedesco, ma ha interessato di fatto tutti le nazioni
ed i popoli del vecchio continente vi un'ampia premessa che spiega le origini e
l'evoluzione della Shoah a cominciare anche dal termine stesso, da qualche tempo
utilizzato al posto di quello tradizionale di "Olocausto".
Una seconda parte introduce sia il periodo storico fra le due guerre mondiali, con un
particolare riferimento agli anni trenta e alle leggi di Norimberga volute da Hitler, sia
gli anni della seconda guerra mondiale nei quali venne attuato lo sterminio. Sebbene
la guerra sia iniziata nel 1939 Michele Sarfatti inizia l'analisi del genocidio dal 1941,
quando con l'operazione Barbarossa i nazisti invasero l'Unione sovietica. L'ultima
e pi consistente parte del saggio quella riguardante le persecuzioni antisemite
attuate dai fascisti che l'autore ipotizza suddivise in due distinti periodi cronologici:
la persecuzione della mente (dalla promulgazione delle leggi razziali all'armistizio
del 1943) e quella delle vite (attuata dalla Repubblica sociale italiana). Del primo
sono ricordati i principi ideologici e quelli cosiddetti scientifici che furono alla base
della legislazione antisemita quale il documento ufficiale denominato "Il fascismo
e i problemi della razza", pi noto come il "Manifesto degli scienziati razzisti" dal
quale scatur l'aberrante idea dell'antisemitismo biologico. Nella persecuzione delle
vite ampiamente ricordata l'attivit delle autorit repubblichine che operarono fianco
a fianco con quelle naziste (ss, forze armate e polizia) nel portare a compimento
la Shoah degli ebrei italiani (che al famigerato congresso di Verona del PPR furono
dichiarati appartenenti a nazionalit nemica).
In appendice una serie di cartine geografiche e di documenti d'epoca riprodotti
illustrano la realt razzista del fascismo, repubblichino e non: il fascismo e il problemi
della razza, Dichiarazione sulla razza del Gran consiglio del fascismo, il Regio decreto
legge 17 novembre 1938 n. 1728, una circolare del comandante della Gestapo, generale
Muller, successiva all'8 settembre 1943, Manifesto programmatico del Partito fascista
repubblicano.
Michele Bellelli
P. ALLEGRI, Il viaggio di un resistente. Per un mondo fraterno senza armi e
rispettoso del creato, a cura di Giovanna Boiardi, Diabasis, Reggio Emilia 2005,
pp. 320, con DVD allegato, 20 euro.
Paride Allegri, il partigiano Siria, comandante della 76
a
Brigata SAP di Reggio
Emilia. Siria l'utopista. Ma, badate bene, "utopia" non intesa nella comune accezione
di progetti o scopi irraggiungibili, ma, kantianamente, di idee che, realizzandosi nella
storia (mondo fenomenico), tendono a sostituire il diritto alla forza, la pace universale
allo stato di guerra fra gli uomini (Hobbes). 0, ancora, utopia che agisce come stimolo
per la storia (E. Bloch).
Per capire l'Allegri della giovent bisognerebbe leggere la sua autobiografia dalla
fine, da quando d vita alla comunit di Ca' Morosini, a Montalto di Vezzano sul
Crostolo, negli anni '70 del secolo scorso, e a tutte le iniziative a favore della natura
e del disarmo. Solo cos, credo, si pu comprendere il candore (alle volte, confesso,
un poco "disturbante"), che lo fa attraversare la lotta al nazifascismo come un insieme
casuale di eventi, a seconda del loro esito, fortunati o sfortunati; che lo fa calare con
nonchalance nel ruolo di "agente segreto" infiltrato nei nuclei comunisti reggiani in
odore di eresia, come, ad esempio, i "Magnacucchi"; che gli fa rivelare che le armi
migliori, i partigiani, le avevano nascoste per ogni eventualit ... Ma la sua lotta futura
per un mondo migliore e senza armi sgombra il campo da qualsiasi ombra: il suo
battersi per la costituzione della scuola convitto "Rivaltella", rivolta alla formazione
professionale degli ex partigiani e non solo; il suo "battagliero" scandalizzarsi per la
deriva capitalistica di alcune aziende nate come cooperative e per l'''imborghesimento''
del PCI, che si sarebbe sempre pi allontanto dagli ideali che lo avevano fondato; la sua
resistenza nonviolenta. E, qui, forse, ritorna in filigrana la sua formazione giovanile
nel volontariato della San Vincenzo, quando frequentava l'oratorio di San Rocco. Il
comunismo - cita Zambonelli nella prefazione che a mia volta riporto - come i princpi
cristiani, sono la base per l'unit e la convivenza fra gli uomini, perch comunismo
vuoI dire equit e solidariet ... I principi del comunismo sono ancora validi e non
finiranno mai, perch i beni della terra sono a disposizone di tutti gli uomini e di tutti
gli esseri viventi".
L'autobiografia di Sirio, risultato di lunghi colloqui con Giovanna Boiardi, pu
offrire una prospettiva diversa, che pu piacere o no, della storia di Reggio dalla fine
degli anni '50 agli anni '90; di una storia, cio, dello sviluppo socio-economico visto
con gli occhi di chi quel tipo di sviluppo "troppo realistico" contrastava non con spirito
reazionario, ma con gli occhi dell'utopista che pone domande al mondo fenomenico
e "vede" avanti, sintonizzandosi con un sentire ecologista che diverr, solo in questi
ultimi anni, patrimonio di una pi vasta minoranza.
Gli spunti per una riflessione sul nostro modo di vivere sono tanti, come sono tanti
i documenti in appendice che tracciano l'attivit politica (da intendersi in senso pieno)
di un uomo oggi ultraottantenne, che ha attraversato il Novecento con le sue utopie
e le sue tragedie, dal fascismo al nazismo al crollo della "patria del socialismo", l'uRSs.
Una dissoluzione, quest'ultima, fissata nella memoria collettiva mondiale con la caduta
del muro di Berlino nel 1989, che per Allegri non stato il de prufundis dell'ideale
comunista. Sono morti loro - dice - nella loro coscienza. Sapevano e sanno bene che
nell'uRss il comunismo non stato mai realizzato".
Non sta certamente al vostro recensore andare oltre ci che ha scritto Sirio, per
vuole chiudere queste chiose con una frase che anche una speranza per tutti. Sarebbe
bello - dice - se, invece che rumori di morte, si udissero solo le voci dei bambini. .. ".
Parole che Allegri ha rivolto al sindaco di Reggio Emilia nel corso della manifestazione
di inaugurazione del Parco della Resistenza. L, a pochi passi, c' il tiro a segno ... dei
Cervi, di don Borghi e di tanti altri ammazzati. ..
Da leggere.
Glauco Bertani
A. GIBELLI, Il popolo bambino. Infanzia e nazione dalla Grande Guerra a
Sal, Einaudi, Torino 2005, pp. 412, 25 euro
L'opera affronta il tema dell'educazione dell'infanzia da parte del regime fascista
puntualmente inserito dall'autore in un quadro cronologico pi ampio, che rimanda
alle origini di questo processo, databile nei primi anni del Novecento e, in particolare,
negli anni della Grande guerra. Questo un terreno di studi ben conosciuto dall'autore,
che pu vantare diversi interessanti studi e ricerche sulla prima met del :xx secolo e
una cattedra di insegnamento di Storia contemporanea all'universit di Genova.
Gibelli, nel suo saggio, affronta diversi aspetti, che vanno dall'inquadramento nelle
formazioni balilla alle tecniche di convincimento utilizzate per trasformare bambini
e adolescenti in fedeli adoratori della patria e potenziali soldati, ricostruendo una
visione soggettiva dell'infanzia che passata attraverso quel tipo di formazione. Un
lavoro reso possibile dall'utilizzo di fonti scritte dagli stessi bambini, quali esercizi
215
216
di scrittura, lettere ai combattenti e diari, e di fonti inusuali come cartoline illustrate
e copertine dei quaderni di scuola, veri veicoli di propaganda capaci di colpire con
immagini mirate la fantasia e i desideri infantili.
L'ampiezza della visione dell'autore ci permette di inserire il fenomeno all'interno
del processo di forte disciplinamento e nazionalizzazione delle masse, che caratterizza
soprattutto gli Stati totalitari, "ossessionati" dalla propria funzione formativa. Un
processo che affonda le radici nell'affermazione progressiva della formazione nello
Stato moderno, con la progressiva appropriazione di competenze, come, ad esempio,
l'educazione tradizionalmente controllata da istituzioni quali la Chiesa e la famiglia.
da sottolineare che l'attenzione statuale all'et infantile si sviluppata solo all'inizio
del XX secolo - si pensi allo scoutismo, ed da qui che inizia l'analisi di Gibelli.
Siamo di fronte, secondo l'autore, all'ennesima dimostrazione storica di quanto
lo Stato totalitario non sia una casuale patologia dello Stato di diritto ma una sua
continuazione. Infatti, l'interesse all'infanzia dimostrato in tutti i regimi del Novecento,
anche da quelli democratici. tuttavia indubbio che questo fenomeno assume nel
regime mussoliniano Ce ovviamente anche negli atri regimi totalitari) livelli mai visti.
Attingendo a piene mani dal fenomeno dello scoutismo sia laico sia cattolico, che vede
la luce nei primi anni del secolo scorso, il Partito fascista ha creato il suo originale
modello di inquadramento dei giovani. Il balillismo, ad esempio, si basava sullo spirito
di corpo e sull'indubbio fascino di una vita comunitaria e avventurosa, da "adulto",
che i gruppi scout offrivano, ma inserita in un contesto fortemente militarizzato, in
cui l'aspetto rituale, con le sue parate e le sue marce, era preponderante. L'aspetto
pedagogico si fondeva cos con una precoce leva militare, in grado di fornire, con
maggior velocit, soldati alla vorace macchina bellica statale, affamata sempre pi di
"carne da macello".
L'opera approda al tragico epilogo di questo processo: la particolare congiuntura
storica della seconda guerra mondiale, con le bombe che cadono sulle citt, che
porter all'infrangersi delle fantasie infantili sulla guerra, fatto che non si era verificato
durante la prima guerra, dove i combattimenti si svolgevano nelle trincee, lontano dai
luoghi abitualmente frequentati dall'infanzia. Inevitabilmente il risveglio dal sogno
offerto dalla propaganda di regime sar traumatico, in modo particolare per giovani
educati fin dall'infanzia all'ideale della patria e al culto del duce: la guerra distrugger
insieme agli uomini e alle citt tutte le convinzioni che con estrema cura lo Stato aveva
instillato in loro.
Il saggio - dotato di un buon apparato di note, sempre puntuale nei rimandi
a fonti documentarie e bibliografiche senza intaccarne la scorrevolezza - si mostra
interessante sia all'occhio esperto dello storico, in particolare a chi si cimenta con la
storia sociale e/o politica, sia all'occhio inesperto, di chi, cio, si interessa di storia per
semplice curiosit.
Marco Marzi

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