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Sommario
Introduzione
CAPITOLO 8°. L’utilizzo dei dati in sede di accertamento e l’incidenza dei costi occulti. . . . . . . . . 19
CAPITOLO 9°. L’utilizzo dei dati di natura finanziaria in altri comparti impositivi . . . . . . . . . . . . .20
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INTRODUZIONE
Con le innovazioni introdotte dalla Legge 30 dicembre 2004 N. 311 (Legge Finanziaria per il 2005), la procedura che
comunemente era definita “Indagine Bancaria” acquisisce oggi la più ampia connotazione di “Indagine Finanziaria”, a
seguito dell’ampliamento soggettivo ed oggettivo che la Legge citata ha determinato rispetto ai destinatari delle richieste
degli Uffici aventi potere istruttorio e delle operazioni da sottoporre ad indagine. Non più solo Banche e Poste, quindi, ma
tutta la numerosa platea di soggetti che operano nel mercato finanziario, e non più solo “conti” da analizzare, bensì
“operazioni finanziarie”. Analizzeremo più avanti tutti i particolari della portata innovativa delle Legge 311/2004 rispetto
agli articoli 32 e 51 rispettivamente dei D.P.R. n. 600/1973 e n. 633/1972. Per ora basti dire che durante tutto il corso del
presente elaborato useremo il termine “Indagini Bancarie” nell’esposizione dello sviluppo temporale della procedura fino a
quando, grazie alla L. 311/2004 non diventerà riconducibile alla locuzione “Indagini Finanziarie”.
Le indagini finanziarie costituiscono da sempre un potere ed una procedura istruttoria di straordinaria portata ed efficacia,
poiché i dati desumibili dalle risultanze di tali indagini, risultato dei complessi rapporti di natura finanziaria che intrattiene
il soggetto sottoposto a procedura di accertamento, istituiscono un ausilio determinante per ricostruire in modo certo la sua
reale capacità contributiva.
Il Legislatore nel corso degli anni ha riconosciuto agli accertamenti bancari/finanziari la funzione di strumento
determinante per la lotta all’evasione, dandone prova con numerosi interventi legislativi tesi a semplificare la procedura di
acquisizione dei dati e ad ampliare le possibilità di accesso alle informazioni.
Nel corso del presente elaborato affronteremo quindi i temi del segreto bancario e delle norme che nel corso degli anni
hanno provveduto a rimuovere tale ostacolo, le innovazioni soggettive, oggettive e procedurali introdotte dalla Legge
311/2004, nonché gli aspetti dottrinali relativi sia alla natura delle presunzioni legali costituite dai dati finanziari rilevanti,
nonché dell’accertamento tributario scaturente dalle indagini finanziarie.
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Compartimentale, previa autorizzazione del Presidente della Commissione Tributaria di Primo grado territorialmente
competente potevano richiedere alle aziende ed istituti di credito e all'Amministrazione postale di trasmettere, entro
sessanta giorni, copia dei conti intrattenuti con il contribuente, con la specificazione di tutti i rapporti inerenti o connessi a
tali conti, comprese le garanzie prestate da terzi.
Indirettamente, quindi, il Legislatore introduceva due vincoli precisi per l’applicazione della deroga al segreto bancario. Un
vincolo di tipo soggettivo, in quanto era nei confronti del contribuente che lo Stato, rappresentato dall’Amministrazione
Finanziaria, poteva esercitarla, ed un vincolo oggettivo, in relazione alla necessaria sussistenza di precise circostanze.
Una prima considerazione è che tale normativa imponeva forti restrizioni al ricorso alle indagini bancarie sia relativamente
ai presupposti inderogabili che alla complessità del procedimento amministrativo per la sua attuazione.
Inoltre, inizialmente la deroga al segreto bancario riguardava solo l’accertamento delle imposte sui redditi: non si
introdusse al principio un’analoga disciplina in materia di IVA. Si aspettò circa un decennio perché il principio di deroga al
segreto bancario venisse ampliato al comparto dell’imposta sul valore aggiunto (previsione-ex novo-dell’art. 51 bis del
DPR633/72).
I dati e le notizie così acquisite potevano essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti ai sensi degli art. 38, 39
40 e 41 in caso il contribuente non dimostrasse di averne tenuto conto nella determinazione del reddito, oppure che non
avessero rilevanza a tale fine. Le richieste e le risposte dovevano, secondo tale norma, risultare da un apposito verbale
sottoscritto anche dal contribuente o dal suo rappresentante di cui il contribuente aveva diritto ad avere copia. Inoltre
veniva inserita la possibilità di richiedere alle pubbliche amministrazioni, agli enti pubblici, alle società ed enti di
assicurazione e agli enti e società che effettuano istituzionalmente riscossioni e pagamenti per conto di terzi la
comunicazione di dati e notizie relativi a soggetti indicati singolarmente e per categorie. L’art. 3 del DPR 463 del 1982
modificava anche l’art. 35 del DPR 600/73, nella parte in cui veniva previsto che la richiesta di accesso ai dati bancari
poteva riguardare anche i conti successivi al periodo o ai periodi d’imposta cui si riferiscono i fatti previsti dall’articolo 35
stesso e poteva essere estesa ai conti intestati al coniuge non legalmente ed effettivamente separato ed ai figli minori
conviventi.
Per la prima volta, con l’art. 3 del DPR 463/82 una norma analoga viene introdotta ai fini IVA, con la previsione contenuta
nell’articolo 51 bis del DPR 633 del 1972. Anche in questo caso venivano previste situazioni precise e specifiche affinché
gli Uffici IVA potessero fare ricorso allo strumento delle indagini bancarie. Circostanze speculari rispetto a quelle del DPR
600/73. In pratica l’innovazione è sostanzialmente quella di aver permesso anche agli Uffici IVA, in materia di
accertamenti e rettifiche ai fini dell’Imposta sul valore Aggiunto, di intraprendere indagini bancarie. Un’innovazione
comunque importante, in un periodo in cui non esisteva l’accertamento unificato poiché non esisteva un solo ufficio
tributario.
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Stato ed Enti Pubblici non economici e le assicurazioni, anche le società e gli enti che effettuano istituzionalmente attività
di gestione ed intermediazione finanziaria.
In merito all’articolo 33, veniva confermata la norma procedurale circa i soggetti titolari del potere autorizzativo allo
svolgimento dell’accesso presso gli istituti di credito e le Poste.
Si conferma anche il sistema sanzionatorio per gli enti che non ottemperano all’obbligo di comunicazione dei dati richiesti,
che oggi però va rivisto alla luce delle innovazioni introdotte dal D.Lgs. 471/97.
In sostanza, quindi, la Legge 413/91 sconvolge il quadro normativo in tema di rapporto tra segreto bancario ed indagine
bancaria, permettendo la possibilità di ricorrere al predetto strumento istruttorio anche in carenza di prove di evasione o di
presunzioni specifiche, in materia sia di accertamento ai fini delle imposte dirette che IVA e nei confronti di qualunque
soggetto. Un’estensione sia oggettiva che soggettiva.
L’eliminazione dei vincoli di carattere sostanziale, però, indusse il legislatore ad introdurre un sistema di pesi e di controlli
interni con l’intento di salvaguardare il diritto alla riservatezza e, più in generale di tutelare il contribuente sottoposto ad
indagine. Tali condizioni formali, tra l’altro si risolvevano esclusivamente all’interno delle strutture, con la soppressione
del passaggio autorizzativo da parte di un ente esterno di carattere giurisdizionale come era il Presidente della
Commissione Tributaria di primo Grado.
Il sistema di controllo consiste quindi nell’obbligo posto a carico degli uffici di:
a) indirizzare le richieste di dati e notizie al responsabile della sede o ufficio destinatario, nonché far inviare le relative
risposte al titolare dell'ufficio o Comando procedente;
b) fornire immediata informazione, da parte dell'istituto destinatario della richiesta, al contribuente i cui conti vengono resi
oggetto di accertamento;
c) eseguire, in sede di accesso, delle relative ispezioni e rilevazioni solo alla presenza del responsabile della sede o
dell'ufficio ovvero di un funzionario a ciò delegato;
d) assumere direttamente, da parte dei funzionari o ufficiali che eseguono le ispezioni o rilevazioni, tutte le cautele
necessarie al fine di garantire la riservatezza sui dati acquisiti o sulle notizie di cui si venga a conoscenza per ragione del
proprio ufficio;
e) impartire, da parte dei soggetti legittimati ad autorizzare la richiesta di accertamenti bancari, le opportune disposizioni
per un utilizzo riservato e corretto dei dati e delle notizie raccolti e rilevanti ai fini dell'accertamento dell‘ Iva o delle
imposte sui redditi.
Molto importante, sempre per la tutela del contribuente, è che la Legge 413/91, preveda (art. 18 co. 5) delle sanzioni
amministrative a carico di chiunque, senza giusta causa, riveli i dati e le notizie appresi in virtù dell'indagine ovvero li
impieghi a profitto altrui o ad altrui danno, ferma restando l'esperibilità dell'azione disciplinare ovvero, ricorrendone i
presupposti (art. 326 del codice penale), di quella penale.
Il quadro normativo di riferimento come rivisto dalla Legge 413/91 si completa con le innovazioni introdotte dall’articolo
20, che prevede, al comma 2 lett. B) attraverso l'inserimento di un nuovo comma nell'ambito dell'art. 7 del D.PR. 29
settembre 1973, n. 605 l’obbligo per le banche e l’amministrazione postale di tenere in evidenza i dati identificativi dei
soggetti che abbiano con gli stessi rapporti di conto corrente o di deposito. Tale norma, inoltre, delega il Ministro del
Tesoro, in concerto con i ministri dell'Interno e delle Finanze (siamo nel periodo ante riforma dei ministeri) per stabilire
«la destinazione e le modalità delle comunicazioni da parte delle aziende ed istituti di credito e dell'Amministrazione
postale nonché delle società fiduciarie e di ogni altro intermediario dei dati identificativi, compreso il codice fiscale, di
ogni soggetto che intrattenga con loro rapporti di conto corrente o che comunque possa disporre del medesimo, nonché i
criteri per le relative utilizzazioni».
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obsolescenza, in mancanza di modifiche, era causata dal mutato scenario degli intermediari finanziari che nel corso degli
anni hanno fatto il loro ingresso nei mercati, non più regno assoluto dei soli istituti di credito e dell’Amministrazione
postale, nonché della tipologia delle operazioni effettuabili nel mercato finanziario che nel corso dell’ultimo decennio si
sono moltiplicate e variegate. Ciò che intendiamo è che l’ampliamento dei soggetti destinatari delle richieste e delle
operazioni sottoponibili ad indagine era indispensabile per non vanificare il redditizio strumento investigativo.
Articolo 32 c. 1 n. 7) del D.P.R. n. 600 del 1973 Articolo 32 c. 1 n. 7) del D.P.R. n. 600 del 1973
Testo ante riforma Testo post riforma
La norma prevede per gli uffici il potere di La norma prevede per gli uffici il potere di
7) richiedere, previa autorizzazione dell'ispettore 7) richiedere, previa autorizzazione del direttore centrale
compartimentale delle imposte dirette ovvero, per la dell’accertamento dell’Agenzia delle Entrate o del
Guardia di finanza, del comandante di zona, alle direttore regionale della stessa, ovvero, per il Corpo della
aziende e istituti credito per quanto riguarda i rapporti guardia di finanza, del comandante regionale, alle banche,
con i clienti e all'Amministrazione postale per quanto alla società Poste italiane Spa, per le attività finanziarie e
attiene ai dati relativi ai servizi dei conti correnti creditizie, agli intermediari finanziari, alle imprese di
postali, ai libretti di deposito ed ai buoni postali investimento, agli organismi di investimento collettivo del
fruttiferi, copia dei conti intrattenuti con il contribuente risparmio, alle società di gestione del risparmio e alle
con la specificazione di tutti i rapporti inerenti o società fiduciarie, dati, notizie e documenti relativi a
connessi a tali conti, comprese le garanzie prestate da qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata,
terzi; ulteriori dati, notizie e documenti di carattere ivi compresi i servizi prestati, con i loro clienti, nonché
specifico relativi agli stessi conti possono essere alle garanzie prestate da terzi. Alle società fiduciarie di
richiesti con l'invio alle aziende e istituti di credito e cui alla legge 23.11.1939 n. 1966 e a quelle iscritte nella
all'Amministrazione postale di questionari redatti su sezione speciale dell’albo di cui all’art. 20 del T.U.F. di
modello conforme a quello approvato con decreto del cui al D.Lgs. n. 24.02.98 n. 58, può essere richiesto, tra
Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del l’altro,, specificando i periodi temporali di interesse, di
tesoro. La richiesta deve essere indirizzata al comunicare la generalità dei soggetti per conto dei quali
responsabile della sede o dell'ufficio destinatario che ne da' esse hanno detenuto o amministrato o gestito beni,
notizia immediata al soggetto interessato; la relativa strumenti finanziari e partecipazioni in imprese,
risposta deve essere inviata al titolare dell'ufficio inequivocamente individuati….
procedente;
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Tali norme descrivono ampiamente i soggetti destinatari delle richieste dei dati, per cui ci limiteremo, per esclusivi motivi
di spazio, a darne in questa sede una raffigurazione essenziale.
A. BANCHE Imprese che svolgono attività di raccolta del risparmio tra il pubblico e di esercizio del credito, o,
come dal D.Lgs. 385/93 (TUB), imprese la cui attività consiste nel ricevere depositi e nel concedere crediti per proprio
conto;
B. POSTE ITALIANE SPA Società per azioni costituita il 28.12.1998 per trasformazione dall’Ente Poste Italiane.
Delle cinque divisioni in cui è ripartita è quella autonoma di Bancoposta che in particolare riguarda la procedura di
indagini finanziarie in quanto è la struttura competente per i servizi finanziari della Società. Bancoposta oltre a ciò colloca
prodotti di soggetti terzi come i titoli di Stato, obbligazioni ecc., esercitando anche l’attività di gestione del credito con la
concessione di prestiti personali fino a 60 mesi e di mutui ipotecari; offre anche carte di credito, carte di debito e servizio
di trasferimento elettronico fondi Moneygram. Inoltre Poste Italiane è interessata in quanto controllante due società che
esercitano rispettivamente l’attività assicurativa ramo-vita e la produzione di fondi di investimento mobiliare.
C. ALTRI INTERMEDIARI FINANZIARI
C.1 Soggetti iscritti nell’elenco generale di cui all’art. 106 c. 1 TUB. Esercitano l’attività di concessione di finanziamenti,
locazione finanziaria, assunzione di partecipazioni, servizi di pagamento tra cui emissione e gestione di carte di credito,
trasferimento fondi.
C.2 Soggetti iscritti nell’elenco speciale tenuto da Banca d’Italia di cui all’art. 107 TUB. Sono gli stessi soggetti di cui
all’art. 106 TUB ed esercitano le stesse attività , ma sono caratterizzate da maggiori dimensioni e dal poter esercitare,
previa autorizzazione della banca d’Italia e su parere della Consob, l’attività di servizi d’investimento o di acquisizione
fondi con l’obbligo del rimborso.
I soggetti di cui ai punti C.1 e C.2 sono quindi società di leasing, di factoring, finanziarie che concedono finanziamenti
vari, come il credito al consumo, società di cartolarizzazione e di emissione di carte di credito.
C.3 Soggetti che svolgono attività finanziaria nei confronti del pubblico. Si tratta di operatori finanziari previsti dall’art.
113 TUB; sono le Holding di partecipazione (a volte anche definite “casseforti di famiglia”) e Holding miste, società che
svolgono l’attività economica “naturale” all’interno di un gruppo e che contemporaneamente esercitano attività di
finanziamento, come aumenti di capitale, prestiti obbligazionari e finanziamento soci, direttamente o attraverso altri
intermediari, come SIM e Società di gestione del risparmio.
C.4 Soggetti che rilasciano garanzie a favore di Banche. Sono disciplinati dall’art. 155 TUB; sono: consorzi e
cooperative di garanzia collettiva fidi, quindi fidimpresa, fidiconsorzi.
C.5 Soggetti che esercitano l’attività di cambiavalute iscritti nell’apposita sezione dell’art. 155 c. 5 del TUB.
C.6 Casse Peota. Fenomeno diffuso proprio nella nostra regione, il Veneto. Sono anch’esse strutture disciplinate dall’art.
155 del TUB e sono soggetti che esercitano la raccolta del risparmio ed erogano prestiti senza fini di lucro ma
limitatamente a piccole somme.
C.7 Agenti in attività finanziaria. Categoria prevista dall’art. 1 c. 1 lett. n) del D.Lgs. 374/99. Svolgono attività diverse
come custodia, trasporto valori, commercio in oro, gestione case da gioco, attività immobiliare, case d’asta o recupero
crediti.
C.8 Operatori professionali in oro. Interessano la presente trattazione poiché la loro attività può determinare vere e
proprie operazioni finanziarie (prestiti in oro, creazioni di garanzie).
C.9 Istituti di moneta elettronica. Quest’attività è riservata agli IMEL. Esercitano in via esclusiva l’attività di emissione
della moneta elettronica, ossia il “valore monetario rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente, memorizzato
su un dispositivo elettronico, emesso dietro ricezione di fondi il cui valore non sia inferiore al valore monetario emesso,
accettato come mezzo di pagamento da imprese diverse dall’emittente”.
C.10 Imprese di investimento. Sono le imprese di investimento mobiliare, ossia le SIM. Sono soggetti diversi dalla
banche e autorizzate, proprio come ed insieme alle banche, a svolgere servizi di investimento nei confronti del pubblico.
Introdotte con il D. Lgs. 415/96, hanno come attività preminente l’intermediazione di titoli e di collocamento per le nuove
quotazioni di imprese. Negoziano azioni, quote di fondi comuni, obbligazioni, prodotti derivati e collocano strumenti
finanziari.
C.11 Organi di investimento collettivo del risparmio (OICR). L’articolo 1 lett. m) del TUF indica come facenti parte di
tale categoria i Fondi comuni d’investimento e le SICAV (Società per azioni a Capitale Variabile) che sono società aventi
per oggetto esclusivo l’investimento collettivo del patrimonio raccolto tramite l’offerta al pubblico di proprie azioni.
Possono essere “armonizzati” e “non armonizzati” secondo che rispettino o meno i limiti di investimento previsti dalla
direttiva 85/611/CEE.
C.12 Società di gestione del risparmio (SGR). Sono società per azioni con sede legale e direzione generale in Italia.
Esercitano l’attività di gestione collettiva del risparmio tramite la promozione, istituzione, organizzazione e gestione dei
fondi comuni di investimento, propri o istituiti da altri soggetti.
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3.1 Società Fiduciarie
C.13 Società fiduciarie. Il Legislatore ha dedicato una particolare attenzione a questa categoria di operatori finanziari,
tanto che fa loro espresso riferimento nei nuovi punti 5) e 7) rispettivamente del D.P.R. 600/73 e 633/72, proprio,
presumibilmente, per la loro forte, tradizionale propensione a fare “da scudo” ai patrimoni personali.
Le società fiduciarie hanno per oggetto lo svolgimento dell'attività di gestione di beni (tipicamente partecipazioni
societarie) su incarico di un terzo soggetto detto "fiduciante". Lo scopo del fiduciante è quello di non rivelare a terzi la sua
posizione giuridica. La legge 1966/1939 definisce tali società come soggetti che si propongono di assumere sotto forma
d'impresa l'amministrazione dei beni per conto di terzi e la rappresentanza dei portatori di azioni e di obbligazioni.
L’affidamento dei titoli alla società fiduciaria comporta la creazione di una “proprietà fiduciaria” con le conseguenze che i
creditori della società fiduciaria non possono aggredire i titoli ad essa intestati per conto altrui e gli effettivi titolari dei
titoli possono sempre rivendicarli presso i terzi aventi causa dalla società fiduciaria.
In verità il Legislatore aveva già tentato una prima “aggressione”giuridica alla copertura delle società fiduciarie, e lo aveva
fatto con il già citato articolo 18 c. 1 lett. b) della legge 413/91, nel senso di riconoscere agli uffici, per l’adempimento dei
loro compiti, la facoltà di richiedere ”…agli enti che effettuano istituzionalmente riscossioni e pagamenti per conto di
terzi, ovvero attività di gestione e intermediazione finanziaria, anche in forma fiduciaria, la comunicazione, anche in
deroga a contrarie disposizioni legislative, statutarie e regolamentari, di dati e notizie relativi a soggetti indicati
singolarmente o per categorie”. Il riferimento della norma in questione all’attività di gestione ed intermediazione
finanziaria, anche in forma fiduciaria, aveva indotto una parte della dottrina e della giurisprudenza ad intendere il suo
effetto destinato alle sole fiduciarie “statiche” con esclusione di quelle “dinamiche”. La distinzione tra fiduciarie statiche e
dinamiche è nella Legge n. 1/91, che permise alle fiduciarie di gestire patrimoni mediante operazioni aventi ad oggetto
titoli mobiliari, con l’obbligo di iscrizione in un apposito albo istituito presso la CONSOB. Mentre una parte delle
fiduciarie già operative ex Legge 1966/1939 si avvalse della facoltà suddetta ottenendo l’iscrizione all’albo, le restanti
fiduciarie continuarono ad svolgere la propria attività come previsto dalla normativa previgente vedendosi inibita proprio
l’opportunità di effettuare operazioni “dinamiche” di gestioni relativamente ai titoli ad esse affidati.
Nel testo innovato dalla legge Finanziaria 2005, il testo precedentemente citato è stato confermato solo per la parte relativa
agli organi ed Amministrazioni statali ed agli enti assicurativi che effettuano pagamenti e riscossioni per conto terzi; è
stato abolito il riferimento alle “società o enti che effettuano….attività di gestione e intermediazione finanziaria, anche in
forma fiduciaria”. Parallelamente introduce nella nuova versione dell’art. 32 c. 1 n. 7) DPR 600/73 e dell’art. 51 C. N. 7)
DPR 633/72 con cui prevede una nuova potestà istruttoria in tema di indagini finanziarie avente come riferimento specifico
proprio le società fiduciarie. Sia le società fiduciarie di cui alla legge 1966/1939 che quelle iscritte nella sezione speciale
dell’albo presso la CONSOB (quindi sia le statiche che le dinamiche ) possono essere destinatarie di richieste da parte
degli organi preposti , che, “specificando i periodi temporali di interesse” intendano conoscere la generalità dei soggetti
per conto dei quali esse hanno detenuto, amministrato o gestito beni, strumenti finanziari e partecipazioni in imprese,
inequivocamente individuati. La differenza tra le due versioni normative appare importante, indipendentemente dalla loro
collocazione negli articoli. Infatti, nella versione che scaturiva dalla L. 413/91, alle società ed enti che esercitano attività di
gestione ed intermediazione finanziaria, anche in forma fiduciaria, potevano essere richiesti preventivamente dati e notizie
attinenti a soggetti preventivamente individuati, o appartenenti ad una specifica categoria, con esclusione quindi delle
richieste tese a conoscere gli estremi identificativi dei soggetti che avevano affidato le proprie risorse finanziarie o
patrimoniali alle predette società, con la nuova norma sono possibili, nei confronti delle sole fiduciarie, richieste finalizzate
anche esclusivamente ad individuare tali soggetti, anche se non preventivamente individuati.
Quindi, come specifica la Circolare 32/E, all’Amministrazione Finanziaria sono affidati poteri d’indagine nei confronti
dell’intestazione fiduciaria di beni, strumenti finanziari e partecipazioni che la stessa può esercitare a due condizioni:
innanzitutto che l’oggetto dell’indagine sia inequivocamente individuato con l’indicazione sia del bene fiduciariamente
intestato che del periodo temporale d’interesse per l’indagine e, in secondo luogo che sia precisato il collegamento tra
l’intestazione fiduciaria e l’attività d’indagine eseguita nei confronti dei soggetti sottoposti ad accertamento. Quindi la
norma consente sia di partire dall’indicazione del soggetto destinatario dell’accertamento (configurabile come elemento
noto) approdando così alle operazioni fiduciarie che ha messo in atto (ossia l’elemento ignoto), sia di prendere spunto
dall’intestazione fiduciaria (elemento noto) per risalire al soggetto (elemento ignoto). L’identificazione del soggetto è
naturalmente propedeutica al prosieguo dell’attività istruttoria.
Per spiegare ulteriormente il concetto, la Circolare 32/E espone l’esempio di una società ALFA soggetta ad accertamento.
Il capitale sociale di ALFA è detenuto da un soggetto ignoto che le ha intestate fiduciariamente a una società costituita ai
sensi della Legge 1966/1939. Nel corso della verifica i funzionari rilevano vendite di beni da ALFA a BETA a prezzi
inferiori a quelli di mercato, operazione che in base agli artt. 110 e 9 del TUIR può dare seguito ad una rettifica degli stessi
con conseguente imputazione, in capo ad ALFA, di un maggior reddito imponibile. Ciò a condizione che l’Agenzia delle
Entrate riesca a dimostrare che la controparte nell’operazione appartenga allo stesso gruppo di imprese della società
soggetta a verifica. Ciò, evidentemente, sarà possibile solo risalendo nella catena di controllo di ALFA Spa, e quindi sarà
necessario chiedere tale informazione alla società fiduciaria che ha intestato il pacchetto azionario. In questo ambito riveste
particolare importanza la motivazione con cui funzionari accompagneranno la richiesta di autorizzazione di accesso ai dati
finanziari (di cui parleremo più avanti), che dovrà indicare in maniera puntuale le ragioni per cui si ritiene necessaria la
richiesta dei dati ad una società fiduciaria, per evitare, come dice testualmente la circolare, il verificarsi di cosiddette
fishing expeditions, ossia richieste non giustificate dal tipo dell’istruttoria in corso di evoluzione.
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Da ultimo, nell’ambito del presente paragrafo dedicato all’analisi oggettiva della portata della norma e quindi dei
destinatari delle richieste dei dati, esaminiamo la cosiddetta “struttura accentrata”. Infatti è proprio la citata circolare 32/E
che prende atto dell’evoluzione che negli anni ha subito il mercato finanziario. Non solo nella nascita di nuovi soggetti –
operatori, ma anche restando nell’ambito del più ristretto mondo bancario, delle numerose operazioni di incorporazione,
fusione o concentrazione che lo ha caratterizzato. Istituti di credito con sportelli diversificati fanno spesso capo allo stesso
soggetto “a monte”. Per questo il legislatore ha introdotto un’ulteriore categoria di destinatari delle richieste, ossia i
responsabili della “struttura accentrata”. Tale principio aveva già trovato una prima applicazione, con la definizione di
“sede accentrata” a normativa previgente, con la circolare 116/E del 1996, che invitava gli uffici a rivolgersi
preferibilmente alle direzioni generali delle banche piuttosto che alle singole dipendenze. Comunque la struttura accentrata
costituisce una categoria ulteriore e diversa rispetto a tutte le altre elencate; inoltre non possiede gli elementi oggetto
dell’indagine, poiché i rapporti sono intrattenuti tra il contribuente e le singole società che si sono accentrate.
È, infine, la stessa circolare 32/E a dare un’indicazione conclusiva circa i soggetti destinatari delle richieste e la procedura
che gli uffici devono seguire nell’individuazione degli stessi:
1. per il settore bancario distinguere le banche soggette ad incorporazione, per le quali la richiesta va inoltrata alla
direzione generale del soggetto incorporante, e quelle che si sono unite con un processo federativo, per cui la
richiesta va trasmessa ad ogni singolo soggetto;
2. per i gruppi bancari attrezzati di specifiche strutture accentrate, spesso anche al precipuo fine delle indagini
bancarie, la richiesta è da inoltrare al responsabile della struttura accentrata;
3. per tutte le altre banche sono destinatari delle richieste la rispettiva direzione generale o centrale o le singole
dipendenze;
4. le suddette istruzioni, ove ne ricorrano le premesse, sono valide per tutti gli altri intermediari finanziari.
Oggi, il nuovo quadro normativo, con il subentro della locuzione “qualsiasi rapporto intrattenuto” rispetto al vocabolo
“conto” ha inteso proprio includere nell’oggetto dell’indagine qualunque movimentazione di carattere finanziario, sia (per
quanto riguarda ad esempio le banche) attraverso l’utilizzo di un conto, sia direttamente allo sportello; inoltre aumenta
l’attenzione verso servizi particolari offerti dagli intermediari, per cui aumenta di conseguenza anche l’ambito oggettivo, in
cui rientreranno anche conti transitori, gestioni patrimoniali, depositi e cassette di sicurezza.
Un aspetto preliminare circa la richiesta dei dati agli intermediari finanziari e la conseguente raccolta è stabilire se, anche a
seguito delle innovazioni legislative, il ricorso alle indagini finanziarie costituisca per gli organi istruttori un sistema cui
fare ricorso in modo indiscriminato e se invece debbano essere attentamente valutate le condizioni di opportunità di un suo
utilizzo, soprattutto valutando gli elementi di accertamento già in possesso dell’amministrazione. È evidente come la
soluzione debba propendere per questa seconda alternativa, e questo anche in virtù del combinato disposto dei nn. 2) e 7)
del novellato comma 1 dell’articolo 32 del DPR 600. Infatti il n. 7) sostiene che qualunque dato riferibile ad
movimentazioni di natura finanziaria può essere ottenuto seguendo “semplicemente” chiedendo la relativa autorizzazione;
ma se rapportiamo tale attestazione con quanto stabilito dal n. 2) dello stesso comma, che invita esplicitamente ad operare
con cautela nei confronti del soggetto individuabile ai fini della richiesta agli intermediari finanziari, otteniamo la
prescrizione che gli uffici dovranno attivare tale potere istruttorio nel momento in cui siano già in possesso di indizi utili a
far immaginare un occultamento di base imponibile, tant’è vero che l’indagine finanziaria è avviata di solito a fronte di
un’attività di controllo già iniziata con accessi, ispezioni o verifiche. L’indagine finanziaria, cioè, non è un elemento
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selettivo ai fini dell’accertamento, ma un’attività istruttoria che fa seguito a elementi precisi già in possesso
dell’amministrazione.
Anche per quanto riguarda l’aspetto oggettivo delle indagini finanziarie, dobbiamo assumere come guida interpretativa la
circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 32/E del 2006. Anche la citata circolare, infatti, conferma la universalità degli
elementi che possono essere sottoposti a controllo finanziario da parte dell’Amministrazione, rimarcando come la nuova
formulazione della norma comprenda dati e informazioni relativi non solo ai rapporti di conto e a quelle operazioni che vi
transitano (come comunque prevedeva già la normativa in vigore fino al 2004), ma anche “a qualsiasi rapporto intrattenuto
od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi”. Una
descrizione, quella della nuova versione degli articoli 32 del DPR 600/73 e 51 del DPR 633/72 che con forza centripeta
attira al suo interno tutta l’operatività di tutti gli intermediari, e non solo delle operazioni di natura finanziaria, ma anche
dei servizi accessori e di pagamento. Grazie alla novella normativa, quindi, continua la circolare, si risolve
definitivamente il problema interpretativo legato alla distinzione pregressa tra operazioni di conto ed operazioni extra
conto, che, ufficialmente, ora fanno il loro ingresso nella maxi categoria delle “operazioni”. In definitiva, gli uffici, a far
data dall’ 1.1.2005, con influenza anche sui precedenti periodi d’imposta, hanno facoltà di avanzare agli istituti di credito
in particolare circa tutti i rapporti, continuativi e non, e cioè: aperture, variazione e chiusure di conti, libretti, depositi e
altro, operazioni singole, contratti relativi a cassette di sicurezza, mutui, finanziamenti di qualsiasi natura e tutte le altre
operazioni di qualsiasi specie, sia finanziarie che relative a servizi accessori e ai mezzi di pagamento, sempreché siano
rilevanti ai fini dell’indagine fiscale.
Tra le operazioni che ordinariamente vengono poste in essere tra clienti ed intermediari riscontriamo:
operazioni di natura finanziaria: tutte quelle operazioni che consistono in movimentazioni di titoli o di denaro;
operazioni relative a mezzi di pagamento: all’interno o fuori da un rapporto, ossia incassi, pagamenti, trasferimenti in
denaro contante, tutti i vari tipi di assegni, l’emissione e la gestione di carte di credito
operazioni di carattere accessorio: legate ad un rapporto preesistente e ad esso connesse, come la custodia e
l’amministrazione di strumenti finanziari, locazione di cassette di sicurezza e tutti i servizi, anche di consulenza, che
ordinariamente, soprattutto le banche ma non solo, offrono alla loro clientela.
Come già visto, invece, la nuova disciplina elimina la disparità tra operazioni in conto ed operazioni extra conto, con al
conseguenza di consentire un’acquisizione totale dei dati di natura finanziaria.
E la stessa circolare 32/E afferma, basandosi sul presupposto che le operazioni extra conto possono essere oggetto di
acquisizione dei dati, che tali operazioni consistono quindi in tutte quelle fattispecie in base alle quali le transazioni
avvengono agli sportelli, soprattutto in banche e poste, ma anche di altri intermediari finanziari, dietro presentazione di
contanti o assegni.
Inoltre la circolare si sofferma sulle operazioni riconducibili ai servizi postali. Ne facciamo un excursus rimandando alla
predetta circolare, per motivi di spazio. Sono: conti correnti postali, libretti di deposito, buoni postali fruttiferi, bollettini di
conto corrente postale, vaglia postale, assegno vidimato, servizio Eurogiro, servizio MoneyGram.
Vi sono infine una serie di operazioni che la circolare 32/E ha inteso escludere esplicitamente dalla richiesta dati, perché
già in possesso dell’amministrazione o perché non significative al fine dei controlli. Nella prima fattispecie rientra il
pagamento di pensioni, il pagamento di utenze, di imposte, tasse e canoni radiotelevisivi e di contributi assicurativi e
previdenziali. Nel secondo, il pagamento di ticket sanitari, di canoni cimiteriali per lampade votive, di titoli di trasporto
pubblico o privato, l’acquisto di biglietti per manifestazioni sportive, artistiche e spettacoli di vario genere, e i pagamenti o
incassi effettuati nell’ambito del servizio di tesoreria svolto per conto dello Stato o di enti pubblici non economici.
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4.2 Archivio dei rapporti
L’articolo 37, commi 4 e 5 del D.L. 223/2006 convertito in Legge 248/2006 (c.d. Bersani – Visco ha effettivamente
introdotto nel nostro ordinamento l’”anagrafe dei rapporti finanziari”. Vediamo innanzitutto come è intervenuta la norma:
comma 4. All'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, sono apportate le seguenti
modifiche:
a) al sesto comma, dopo le parole: "1.500 euro" sono aggiunte le seguenti: "; l'esistenza dei rapporti, nonche' la natura
degli stessi sono comunicate all'anagrafe tributaria, ed archiviate in apposita sezione, con l'indicazione dei dati anagrafici
dei titolari, compreso il codice fiscale";
b) all'undicesimo comma, terzo periodo, dopo le parole: "Le rilevazioni e le evidenziazioni" sono inserite le seguenti: ",
nonche' le comunicazioni“ ed e' aggiunto, infine, il seguente periodo: "Le informazioni comunicate sono altresi' utilizzabili
per le attivita' connesse alla riscossione mediante ruolo, nonchè dai soggetti di cui all'articolo 4, comma 2, lettere a), b), c)
ed e), del regolamento di cui al decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica 4 agosto
2000, n. 269, ai fini dell'espletamento degli accertamenti finalizzati alla ricerca e all'acquisizione della prova e delle fonti
di prova nel corso di un procedimento penale, sia in fase di indagini preliminari, sia nelle fasi processuali successive,
ovvero degli accertamenti di carattere patrimoniale per le finalita' di prevenzione previste da specifiche disposizioni di
legge e per l'applicazione delle misure di prevenzione.";
comma 5. Con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate, (poi realizzatosi con il provvedimento 19/2007)
….. sono definite le specifiche tecniche, le modalita' ed i termini per la comunicazione delle informazioni di cui al comma
4, relative ai rapporti posti in essere a decorrere dal 1 gennaio 2005, ancorche' cessati, nonche' per l'aggiornamento
periodico delle medesime informazioni.
La modifica normativa ha quindi interessato l’articolo 7 del DPR 605/73.
In base alla Legge Bersani – Visco, quindi, gli operatori sono tenuti a comunicare l’esistenza dei rapporti intrattenuti con la
clientela con l’indicazione dei dati anagrafici e del codice fiscale.
In particolare, poi, il Provvedimento stabilisce che l’obbligo di comunicazione è limitato ai dati identificativi e a quelli
riguardanti la natura e la tipologia del rapporto stesso, alla data di apertura, modifica e chiusura. Non vanno in alcun modo
comunicati, né il dettaglio né il saldo dei rapporti.
Prima dell’introduzione dell’anagrafe dei rapporti, l’amministrazione, per poter aver una ragionevole certezza di non aver
trascurato probabili rapporti del contribuente sottoposto a controllo, e quindi tralasciato indizi di evasione, doveva
interpellare tutti gli intermediari. La conseguenza è un aggravio amministrativo, sia per gli intermediari stessi, le cui
risposte saranno perlopiù negative, ma anche per l’amministrazione stessa. È possibile, in realtà che l’amministrazione
chieda prima, allo stesso contribuente, quali sono gli estremi identificativi dei propri conti, ma è una procedura non molto
applicata dagli uffici, che hanno preferito fare ricorso alla richiesta generalizzata.
L’entrata in vigore dell'archivio dei rapporti finanziari dovrebbe venire in aiuto dell’amministrazione finanziaria, poiché si
potranno ottenere le informazioni necessarie direttamente dall’archivio . Sostanzialmente, i verificatori potranno procurarsi
le informazioni dall'archivio informatico e inoltreranno le richieste solo agli intermediari che hanno rapporti finanziari con
i contribuenti sottoposti ad indagine.
Le istruzioni che l'agenzia delle Entrate ha emanato con la circolare 22/E del 19 aprile 2007 confermano la necessità di
questa preselezione, auspicata da tutti gli intermediari che, in questi ultimi mesi, sono stati interessati da innumerevoli
richieste spesso senza un riscontro effettivo. Nelle note è affermato che la banca dati dell'archivio dei rapporti«deve essere
considerata ai fini di un'attività di selezione preventiva, affinché si possano dimensionare più precisamente le indagini
coinvolgendo almeno tendenzialmente solo gli operatori finanziari che hanno intrattenuto i rapporti con i contribuenti».
La procedura preselettiva, però, proprio come sottolinea l'agenzia delle Entrate, non soddisfa in pieno le finalità che lo
strumento istruttorio deve, secondo le intenzioni del legislatore, realizzare. Questo perché l'archivio dei rapporti non
contiene tutte le informazioni necessarie: sono esclusi dal monitoraggio, per esempio,tutti i rapporti non intestati, ma
delegati a terzi ovvero le operazioni fuori conto realizzate dal contribuente direttamente allo sportello di una banca.
Nell’architettura del sistema sono incluse delle precise norme a tutela del contribuente, che si estrinsecano innanzitutto
nell’inibizione per l’amministrazione finanziaria di apprendere l'entità dei movimenti realizzati dal contribuente sui
singoli strumenti finanziari di cui ha la disponibilità né l'entità dei saldi. L'archivio si limita a registrare e a mettere a
disposizione dei verificatori:
i dati identificativi dei soggetti, sia persone fisiche che giuridiche intestatari;
gli elementi relativi a natura e tipologia;
la data di apertura, modifica e chiusura.
L’acquisizione dei dati non è automatica, ma per il conseguimento dei dati l’amministrazione finanziaria deve attivare
un'indagine finanziaria vera e propria coinvolgendo direttamente gli intermediari. I quali — e questa costituisce la prima
forma di tutela dei contribuenti — devono, al momento del ricevimento della richiesta,informare immediatamente il
cliente. Inoltre, sempre sul piano delle tutele individuali, l'accesso dell'amministrazione finanziaria ai dati contenuti
nell'archivio non è libera. L'amministrazione può accedere all'archivio solo dopo aver iniziato un controllo nei confronti
del contribuente e solo dopo aver ottenuto un'autorizzazione che può essere emessa: per l'agenzia delle Entrate dal direttore
centrale dell'accertamento o dal direttore regionale; per la Guardia di finanza dal Comandante regionale; per gli agenti
della riscossione dai rispettivi direttori generali. L'archivio sarà accessibile anche da parte di altre autorità ( ministro
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dell'Interno, giudici e forze di polizia). Per queste ultime, però, l'accesso sarà possibile solo dopo che saranno siglate
convenzioni tra Entrate e autorità.
La costruzione di tale archivio è quindi sancita dal predetto articolo della Legge 248/2006 ed il contenuto delle
informazioni che gli intermediari hanno dovuto trasmettere, le modalità operative, e la tempistica, sono esplicate dal
Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate 19 gennaio 2007.
Il metodo per la trasmissione è quello informatico, attraverso il sistema Entratel o Fisconline. Al 30 aprile 2007 erano
pervenuti all’amministrazione finanziaria circa 200 milioni di comunicazioni, per quanto riguarda i rapporti intercorsi al
31.12.2006, mentre è previsto che tale numero arrivi a 300.000 con gli invii dei rapporti intercorsi tra il 1° gennaio ed il 30
aprile 2007. A partire quindi dalla fine di maggio 2007, l’archivio sarà operativo per poter rispondere alle esigenze di
indagine da parte dell’Amministrazione, che così, nella fase che chiameremo pre–istruttoria, potrà individuare già, previa
la necessaria autorizzazione, quali intermediari potranno essere destinatari delle richieste, senza inviarle genericamente a
tutti gli operatori. Per il periodo precedente all’ 1.1.2006, la base informativa delle operazioni extra conto è limitata a
quella che fornisce i dati all’Archivio Unico Informatico (AUI), per le operazioni fino all’importo di € 12.500
Vediamo innanzitutto, aiutati dalla grafica della tabella quali sono gli organi che detengono la “potestà” di inviare
la richiesta di informazioni in materia di indagini creditizie e finanziarie:
Uffici Centrali Della Direzione Centrale Accertamento Dell’agenzia Uffici Locali dell’Agenzia delle Entrate
Delle Entrate (Art. 32 DPR 600/73 – Art. 51 DPR 633/72)
(Art. 32 DPR 600/73 – Art. 51 DPR 633/72)
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La normativa, quindi, prevede una preventiva autorizzazione dell’organo sovraordinato all’Ufficio o al Comando che sta
procedendo all’accertamento. In linea generale, con la Legge 311/2004, in verità, la procedura autorizzativa non ha subito
cambiamenti rispetto al passato, se non per il fatto che ora la preventiva autorizzazione dovrà essere richiesta anche per
l’accesso all’”anagrafe dei rapporti finanziari” istituita con il c. 4 dell’art. 37 del D.L. 223/2006 (di cui si è già scritto).
L’autorizzazione ottenuta a tale scopo potrà essere utilizzata anche per l’inoltro agli intermediari. I nodi interpretativi
relativi alla procedura autorizzativa trovavano già una risposta con la circolare 116/E del 1996, oltre che nella circolare
32/E del 2006, che ribadiscono anche la natura discrezionale dell’autorizzazione, oltre che il suo ruolo di legittimazione al
ricorso del particolare metodo istruttorio, considerando che l’organo autorizzativo procederà alla verifica della consistenza
dei requisiti legali e sostanziali, nonché di economicità e proficuità dell’azione amministrativa.
Tali Organi svolgono un controllo sia di legittimità che di merito. Il controllo di legittimità riguarderà la verifica degli
elementi attinenti all’aspetto formale della richiesta, come ordinato dalla norma, ossia l’esatta indicazione del contribuente
e dei relativi dati identificativi, l’oggetto della richiesta ed il periodo cui si riferisce. Il controllo di merito afferisce, invece,
ai citati principi di economicità, proficuità ed opportunità non tanto della richiesta, ma dei fondamenti che ne sono
all’origine. Per questo la procedura prevede che gli organi accertatori corredino l’istanza con apposite motivazioni,
indicando proprio i presupposti di diritto e di fatto che sono alla base della necessità di procedere ad un accertamento
finanziario. Non esiste una casistica precisa di tali presupposti ma potremmo individuarne alcuni nei seguenti:
Lo scambio di informazioni tra organi procedenti e ente sovraordinato competente per l’autorizzazione può essere
riassunto graficamente come segue:
Richiesta Indagine
Finanziaria
Ufficio
Finanziario Rilascio autorizzazione
Reparto della Organo sovraordinato
Guardia di
Finanza
Operatori Finanziari
Il provvedimento autorizzativo, quindi, non si configura come un mero atto dovuto ma è un atto discrezionale, che può
essere eventualmente negato qualora non sussistano le condizioni legittimanti. Inoltre, nonostante la richiesta di
autorizzazione possa contenere più nominativi con l’indicazione delle motivazioni che giustificano l’estensione soggettiva
degli accertamenti bancari, deve essere rilasciata, per ogni soggetto, un’autonoma autorizzazione. La richiesta di
autorizzazione si configura come generico atto di tutela nei confronti del contribuente, il quale conserva comunque il
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diritto di avvalersi dell’accesso ai documenti amministrativi a conclusione del procedimento di accertamento, chiedendo di
ottenere copia del provvedimento di autorizzazione ai sensi della legge 241/90.
L'autorizzazione di cui trattasi rappresenta elemento costitutivo, momento determinante del procedimento di controllo:
pertanto, in sua mancanza o in caso di irregolarità, il controllo stesso è illegittimo.
A tal proposito, non può essere però sottaciuto un recente, ancorché isolato, indirizzo della Corte di Cassazione, la quale ha
ritenuto che "la mancanza dell'autorizzazione dell'Ispettore Compartimentale (o, per la Guardia di Finanza, del
Comandante di Zona)... non precluda l'utilizzabilità di dati acquisiti, atteso che detta autorizzazione attiene ai rapporti
interni e che in materia tributaria non vige il principio (presente nel c.p.p.) dell'inutilizzabilità della prova irritualmente
acquisita, salvi i limiti derivanti da eventuali preclusioni di carattere specifico .
Un aspetto rilevante consiste nell’impugnabilità in via autonoma dell’atto di autorizzazione alle indagini finanziarie per
assicurare la tutela della posizione soggettiva del contribuente. Citiamo a proposito la circ. 32/E del 2006 che nel capitolo
4° ribadisce che l’autorizzazione si qualifica come atto preparatorio allo svolgimento della fase endoprocedimentale
dell’istruttoria. In quanto tale non assume rilevanza esterna e quindi autonoma ai fini della sua immediata impugnabilità,
poiché non direttamente né certamente lesiva sotto il profilo tributario della posizione giuridica del contribuente, che non
ha subito o potrebbe addirittura non subire alcun atto impositivo.
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che lo riguarda. Su queste tematiche è necessario aggiungere che sulla documentazione trasmessa all’ufficio non pende
alcuna copertura, nel senso che il contribuente avrà libero accesso alla stessa presso l’intermediario, anche perché trattasi
di informazioni che lo riguardano direttamente.
Le risposte da parte degli intermediari devono pervenire presso gli uffici entro un termine stabilito dagli stessi, comunque
non oltre i 30 giorni, mentre nella precedente normativa i giorni erano 60. Tale termine potrà però essere prorogato, su
richiesta, per un periodo di ulteriori 20 giorni, mentre prima erano 30.
5.4 Modalità telematiche di trasmissione dei dati: P.E.C., firma digitale e formato XML
La Legge Finanziaria 311/2004 per il 2005, nei commi 402 e 403 dell’articolo 1, interviene nel comparto delle indagini
finanziarie, oltre che con i citati ampliamenti oggettivi e soggettivi, anche riguardo alle modalità di richiesta dei dati,
sancendo l’esclusività del mezzo telematico per la trasmissione e ricezione dei dati tra l’Amministrazione finanziaria e gli
intermediari finanziari. Il Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate n. 68538 del 28 aprile 2006 ha fissato definitivamente
la decorrenza delle nuove disposizioni dal 1° settembre 2006 (entro il 30 giugno 2005 andava comunicato l’indirizzo di
posta elettronica certificata).
Le innovazioni, quindi, hanno riguardato l’intero sistema dei rapporti tra intermediari ed amministrazione, attraverso la
completa eliminazione di qualunque comunicazione cartacea, sostituita con modalità “esclusivamente telematiche”.
Innanzitutto il nuovo sistema di posta elettronica certificata (P.E.C.), che, a partire dal 1° settembre 2006 è obbligatorio per
l’invio agli intermediari delle richieste dei dati e naturalmente per l’inoltro delle risposte da questi all’amministrazione. È
il Provvedimento 22 dicembre 2005 a stabilire e regolare tali regole di scambio delle informazioni.
Il sistema della Posta Elettronica Certificata (P.E.C.) è disciplinato dal D.P.R. 11 febbraio 2005 n. 68. Lo scopo di tale
norma è quello di attribuire allo scambio di informazioni così effettuato lo stesso valore giuridico delle comunicazioni che
avvengono per mezzo della posta raccomandata. In particolare l’articolo 3 statuisce quanto segue: “il documento
informatico trasmesso per via telematica si intende spedito dal mittente se inviato al proprio gestore e si intende
consegnato al destinatario se reso disponibile all’indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella casella di posta
elettronica del destinatario messa a disposizione dal gestore”. In un apposito elenco istituito presso il Centro Nazionale
per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione sono inseriti i soggetti abilitati ad attestare gli indirizzi di posta
elettronica. I soggetti del sistema P.E.C. sono: a) il mittente, cioè l’utente che si avvale del servizio di posta elettronica
certificata per l’invio di documenti digitali; b) il destinatario, cioè l’utente che si avvale del servizio di posta elettronica
certificata per la ricezione di documenti digitali; c) il gestore del servizio cioè il soggetto pubblico o privato che eroga il
servizio di posta elettronica certificata e ne gestisce i domini. Il messaggio che viene trasmesso dalla postazione
informatica del mittente viene firmato per garantirne l’integrità. Quindi il messaggio inviato dal mittente viene
“imbustato” dal gestore della PEC del mittente, e ne viene rilasciata immediata ricevuta. La “busta di trasporto” che
contiene il messaggio informatico da recapitare per conto del mittente viene inviata sulla rete al gestore del dominio della
P.E.C. del destinatario, il quale verifica che il messaggio sia integro e la consegna alla postazione informatica del
destinatario. Contemporaneamente alla consegna del messaggio, il gestore del dominio P.E.C. del destinatario emette una
“ricevuta di avvenuta consegna” che fa pervenire telematicamente al mittente. Questa “ricevuta di avvenuta consegna”
riveste particolare importanza perché è da questo momento che decorrono i termini per le risposte dei destinatari delle
richieste avanzate dagli uffici. Come disposto dal Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 28 aprile durante il
periodo 1° gennaio – 30 giugno 2006 gli intermediari hanno dovuto comunicare all’Agenzia delle Entrate il proprio
indirizzo di posta elettronica certificato. Tale indirizzo andava comunicato ad uno specifico indirizzo predisposto
dall’Agenzia, ossia: ifinanziarie@pcert.agenziaentrate.it .
La firma digitale deve essere apposta dal responsabile delle rispettive strutture sia sulle richieste dell’amministrazione
finanziaria e sulle relative risposte degli intermediari. La firma digitale garantisce che il documento digitale, dopo
l’apposizione della stessa non possa essere più soggetto a modifiche, poiché costituisce la certezza che solo il titolare del
certificato possa aver sottoscritto il documento sia perché possiede il dispositivo di firma indispensabile
(smartcard/tokenUSB) sia perché è l’unico a conoscere il PIN (Personal Identification Number) necessario per utilizzare il
dispositivo stesso. La combinazione di questi strumenti, ossia la firma digitale ed il ruolo del certificatore che garantisce la
correttezza e la veridicità delle informazioni riportate sul certificato danno allo strumento della firma digitale una forza che
impedisce al sottoscrittore di disconoscere la propria firma. Come disposto dal D.Lgs. 7 marzo 2005 n. 82 (Codice
dell’Amministrazione digitale), un documento informatico sottoscritto con firma digitale o con un altro tipo di firma
elettronica qualificata ha l’efficacia prevista dall’art. 2702 c.c., con la conseguenza che fa piena prova, fino a querela di
falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi le ha sottoscritte. Quindi se una sottoscrizione digitale è “forte” perché
rispetta contemporaneamente i requisiti di essere una firma elettronica avanzata, di essere basata su un certificato
qualificato e di essere generata per mezzo di un dispositivo sicuro per la generazione delle firme, ad essa viene data la
medesima validità giuridica di una firma autografa autenticata da pubblico ufficiale.
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L’architettura del sistema informatico si completa con il formato XML dei file. XML è l’acronimo di Exstensible Markup
Language ed è un linguaggio che permette di raffigurare documenti e dati strutturati su supporto digitale . E’ un sistema
per la creazione, archiviazione, conservazione e diffusione dei documenti digitali. Le Note di orientamento operativo sulle
Indagini finanziarie dell’Agenzia delle Entrate di dicembre 2006 lo definiscono come un metalinguaggio che permette di
definire sintatticamente linguaggi di mark-up, ossia mediante marcatori che vanno inclusi all’interno di un testo.
Il file XML viene articolato in tre partizioni:
• la prima partizione raggruppa i dati generali dell’indagine finanziaria;
• la seconda parte contiene i dati specifici della richiesta degli organi procedenti (codice indagine, organo
procedente, protocollo e data richiesta, protocollo e data autorizzazione, tipo richiesta, destinatari richiesta);
• la terza parte conserva le risposte degli intermediari.
Ci preme rimarcare però che la nuova struttura dinamica delle richieste che si basa esclusivamente sul formato digitale
delle stesse, non ha apportato modifiche sostanziali alla procedura amministrativa, soprattutto per quanto riguarda la
necessaria autorizzazione dell’ente sovraordinato di cui abbiamo già detto.
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dell’interposizione fittizia; è necessario quindi riuscire a dimostrare un complesso di circostanze in cui il soggetto terzo
funga da semplice schermo con l’obiettivo di non far comparire il reddito dell’effettivo percettore. Questa teoria ha avuto
anche l’avallo della Suprema Corte, che innanzitutto ha più volte rimarcato il principio per cui “l’esistenza
dell’interposizione fittizia di persone non deve costituire lo scopo dell'indagine bancaria, ma la premessa" (Sent. 4423 del
26/03/2003), ma che ha anche avuto occasione di affermare che il potere di richiedere agli istituti di credito notizie dei
movimenti sui conti bancari intrattenuti dal contribuente e di presumere la loro inerenza ad operazioni imponibili
(sempreché non si dimostri che i movimenti in questione siano stati conteggiati nella dichiarazione annuale o siano
ricollegabili ad atti non soggetti a tassazione), trova applicazione unicamente ai conti intestati o cointestati al contribuente,
ma non trova applicazione con riguardo ai conti bancari intestati esclusivamente a persone diverse, anche se legate al
contribuente medesimo da vincoli familiari o commerciali, salvo che l’ufficio opponga e poi provi in sede giudiziale che
l’intestazione a terzi è fittizia o, comunque, è superata in relazione alle situazioni della fattispecie, cioè del caso concreto, e
quindi quando sono effettivamente imputabili al soggetto operazioni su conti intestati fittiziamente a terzi (sentenza n. 8826
del 28/06/01).
Si tratta di un inquadramento teorico – normativo che si pone, in sostanza, a tutela del contribuente, in quanto
l’amministrazione finanziaria, se porterà in giudizio movimenti bancari intestati a terzi, ma che ritiene riconducibili al
medesimo contribuente, dovrà produrre la prova dell’interposizione fittizia, prova che potrà essere fondata anche su
presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti.
Quindi, pur riconoscendo la facoltà dell’amministrazione di ottenere i dati bancari di terzi soggetti diversi dal contribuente
ispezionato, il loro utilizzo, non è automatico, ma le risultanze devono essere accompagnate dalla dimostrazione che i
movimenti bancari si riferiscano al contribuente sottoposto al controllo. In aderenza al generale obbligo di motivazione
degli atti amministrativi, è necessario che tanto la richiesta, quanto l'autorizzazione, esplicitino chiaramente gli elementi
probatori o presuntivi che consentano di ritenere o di supporre che, nel caso specifico, ricorra l'eventualità di un fenomeno
di interposizione fittizia.
A questo punto quindi la dissertazione si trasferisce nell’ambito degli elementi probatori legittimanti l’estensione a terzi,
ossia sulla loro gravità, precisione e concordanza, requisiti che verranno eventualmente analizzati in sede contenziosa. Da
ribadire, peraltro, che già il provvedimento autorizzativo da parte degli organi competenti sovraordinati, di cui abbiamo già
parlato, nella sua doppia veste di controllo di legittimità e di merito, può costituire, nel caso dell’estensione delle indagini a
conti correnti intestati a terzi già il risultato della valutazione preventiva.
Il SECIT, con la delibera del 16 novembre 1992, n. 129, ha affermato: «In sostanza, l'indagine sarà opportunamente estesa,
sin dall'origine, a tutti quei soggetti - persone fisiche, società o altro - che si ritiene possano essere intestatari di rapporti
bancari facenti capo al contribuente indagato. Trattasi, naturalmente, di valutazione di merito in ordine alla quale è
possibile dare soltanto indicazioni di carattere generale. Così, nel caso di professionista o di imprenditore individuale,
1'indagine sarà di regola estesa ai familiari che risultino intrattenere stretti rapporti con il medesimo (coniuge, figli
Conviventi coinvolti nell'attività produttiva, ecc.); nel caso di società di persone o di società di capitali a ristretta base
azionaria, 1'indagine dovrà essere di norma estesa agli amministratori, ai soci che risultino comunque coinvolti nella
gestione sociale, ai loro familiari ed, eventualmente, anche a terzi». In definitiva, risulta quindi necessario che l'estensione
dell'indagine bancaria a soggetti terzi sia motivata da elementi indiziari in base ai quali sia consentito ritenere o presumere
che questi ultimi movimentino, nei propri conti correnti, disponibilità in realtà riferibili al soggetto (persona fisica, ditta
individuale, professionista, società di persone o di capitali, ecc.) sottoposto o da sottoporre ad attività ispettiva, a
prescindere dalla natura del legame intercorrente fra gli stessi (parentela, rapporto di lavoro, vincolo societario), in maniera
tale da configurare un fenomeno di interposizione personale fittizia, ex art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 600/73.
Lo stesso Consiglio di Stato, nella sentenza n. 1680/95, ha sostenuto che l'estensione dell'indagine bancaria a terzi (nella
fattispecie, soci della società e familiari conviventi degli amministratori) è ammissibile non solo quando già sussistano i
suddetti elementi probatori o presuntivi, ma anche allorquando l’azione accertativa, nel cui contesto si inserisce l'indagine
stessa, ha lo scopo di verificare se, effettivamente, debbano imputarsi al contribuente redditi di cui appaiono titolari altri
soggetti, ferma restando l'esigenza che ricorrano significativi collegamenti fra questi ed il soggetto sottoposto a controllo.
Ci sembra importante la posizione della suprema corte a proposito del rapporto tra Società di capitali e soci. La Corte di
Cassazione, infatti, con la sentenza n. 2980 dell' 1/03/02, ha sostenuto che l'acquisizione di copia dei c/c intrattenuti dal
contribuente e l'utilizzazione dei dati da essi risultanti ai fini delle rettifiche e degli accertamenti, «non possono ritenersi
limitate, in caso di soc. di capitali, ai conti formalmente intestati alla società, ma riguardano anche quelli formalmente
intestati ai soci, amministratori……., allorché risulti provata dall'A.F., anche tramite presunzioni, la natura fittizia
dell'intestazione o la sostanziale riferibilità all'ente dei conti medesimi o di singoli dati od elementi di essi». Da qui la
conferma che l’estensione dell’indagine finanziaria a conti intestati a terzi può riguardare anche questa fattispecie di
rapporti.
Inoltre, successivamente la stessa Corte ha superato, anche se solo con riferimento al coniuge del contribuente oggetto del
controllo dell'Amministrazione, il proprio orientamento consolidato, ritenendo in ogni caso legittima l'acquisizione dei
conti bancari intestati esclusivamente al coniuge, anche a prescindere da qualsiasi riferimento ad una sottostante situazione
di intestazione fittizia dei conti medesimi. In particolare, con la sentenza n. 8683 del 14 gennaio 2002, la Sezione tributaria
della Cassazione, ha tra l'altro, affermato che “ premesso che rappresenta un espediente normale l'intestazione a nome del
coniuge di un c/c quando il contribuente sia soggetto a verifiche fiscali, non pare esservi dubbio che l’ indagine sul c/c
cointestato è senz'altro legittimata quando i coniugi sono co-dichiaranti; ma risulta del pari legittima siffatta indagine in
ragione della connessione e della inerenza del conto intestato al coniuge, al conto intestato al contribuente. Se la legge
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consente l'acquisizione delle garanzie prestate da terzi, a maggior ragione è consentita l'acquisizione di dati relativi a conti
correnti del coniuge ...l'art. 37 non è il presupposto per l'applicazione dell'art. 32 del D.PR. 600/73; è vero invece il
contrario, perché sulla base dell'accertamento ex art. 32 sarà possibile imputare al contribuente i redditi formalmente
appartenenti ad altra persona». Di contro, la stessa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10598 del 2002, ha ribadito la
propria posizione tradizionale relativamente a soggetti "terzi" diversi dal coniuge, quali, in particolare, i soci di società di
persone, stabilendo che l'accertamento sui conti correnti di questi è consentito solo se i conti stessi sono riconducibili alla
società, per essere fittiziamente intestati alle singole persone, a meno che i soci medesimi non siano autonomamente
sottoposti a controllo dall'Amministrazione quali titolari dei redditi di partecipazione, anche in maniera unitaria e
contemporanea rispetto al controllo nei confronti della società.
Interessante è la posizione della medesima Corte in riferimento ai soci amministratori di società di persone, sostenendo,
con la sentenza n. 4987 del 1° aprile 2003, che il rapporto intercorrente fra questi ultimi e la società amministrata è
talmente stretto da realizzare una sostanziale identità di soggetti, tale da giustificare automaticamente, salvo prova
contraria, l'utilizzazione dei dati bancari raccolti attraverso l'indagine svolta anche relativamente ai conti intestati ai soci
stessi; e ciò in quanto «la presunzione di riferibilità dei movimenti bancari ad operazioni imponibili si correla a una
valutazione di rilevante probabilità che il contribuente si avvalga di tutti i conti di cui possa disporre per le rimesse e i
prelievi inerenti all'esercizio di attività».
È comunque necessario un distinto provvedimento autorizzativo per ciascuno dei soggetti per i quali deve essere inoltrata
la richiesta della copia dei conti e, quindi, anche per quello che, rispetto al contribuente oggetto dell'attività istruttoria,
assume la veste di terzo.
A seguito di tale variazione, gli organi accertatori potranno considerare solo gli ammontari complessivi risultanti dai conti
e rinunciare ad una contestazione analitica. L’Amministrazione può quindi procedere ad una contestazione “per masse”,
che si rileverà certamente meno gravosa e desistere rispetto ad una contestazione analitica. Importante, a proposito, è la
sentenza n. 7329 del 13 maggio 2003 della Corte di Cassazione, secondo cui, in tema di accertamento delle imposte sui
redditi, è legittima l’utilizzazione da parte dell’Amministrazione Finanziaria dei dati relativi ai movimenti bancari del
contribuente, anche senza l’indicazione delle singole annotazioni utilizzate per la ricostruzione dell’imponibile, fermo
restando che l’onere della prova liberatoria, per il contribuente, si commisura alla natura ed alla consistenza degli elementi
indiziari contrari impiegati dall’amministrazione. Di conseguenza, pur accogliendo la validità di una contestazione “per
masse” dei dati bancari, come disposto, tra l’altro, dalla nuova normativa, sussiste comunque l’obbligo di agganciare le
risultanze della verifica fiscale alla realtà concreta del contribuente. Ciò vuol dire che il valore probatorio delle
contestazioni, sarà più forte in caso di contestazione “analitica” delle operazioni, aumentando le difficoltà del contribuente
di replicare, ossia di apportare prove contrarie rispetto a quelle dell’amministrazione. Aumenteranno dunque le possibilità
di un esito dell’accertamento favorevole all’Amministrazione Finanziaria in caso di contestazione analitica anziché per
masse.
Per tali motivi bisogna considerare indispensabile il ricorso allo strumento del contraddittorio nella fase
endoprocedimentale proprio per evitare contestazioni che potrebbero, in sede contenziosa, mettere a rischio la
“sopravvivenza” dell’avviso di accertamento. Nella nostra legislazione fiscale, però, ed è giusto rimarcarlo, manca una
norma che imponga la necessità di un contraddittorio, né esiste alcun principio di carattere generale che in qualche modo
lo inserisca nel diritto positivo. Ciò è insito nella natura stessa del procedimento tributario, che, in quanto espressione di un
potere autoritativo esercitato dall’Amministrazione Finanziaria, di matrice amministrativistica e capace di produrre
condizionamenti nella sfera giuridica del destinatario, ad esso non possono essere applicati tutti gli istituti della Legge
241/90 (avviso dell’inizio del procedimento amministrativo, diritto all’accesso degli atti istruttori) che prevedono un vero
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coinvolgimento del destinatario dell’atto con l’ufficio emittente il provvedimento. Configurandosi quindi l’atto tributario
come la conseguenza un procedimento di controllo a posteriori sulla regolarità della posizione fiscale del contribuente, e
quindi finalizzato all’acquisizione di circostanze reali e non di interessi contrapposti da soppesare, il contribuente assume
più la configurazione di inquisito che quella di soggetto giuridico paritario rispetto all’Amministrazione. Quindi, pur
riconoscendo che l’Amministrazione Finanziaria userebbe il proprio potere in modo migliore con il ricorso ad un
contraddittorio con il soggetto sottoposto ad indagine finanziaria, non esiste a tutt’oggi un “principio” del contraddittorio.
In questo senso anche lo Statuto del Contribuente ex Legge 212/2000, che prevede, all’articolo 6 commi 1 e 2 all’articolo
12 comma 7 l’obbligo del contraddittorio sono nei casi in cui l’Amministrazione debba invitare il contribuente a fornire
chiarimenti su determinate circostanze o a comunicare osservazioni e richieste in seguito allo svolgimento di verifiche
fiscali e al rilascio di copia del processo verbale di constatazione. Non sussiste quindi alcun obbligo, anche in caso di
indagini finanziarie, di intraprendere un contraddittorio con il contribuente prima dell’emanazione dell’atto impositivo.
Anche la dottrina, in verità, ha avuto modo di esprimersi in tal senso, confermando la mancanza nel nostro ordinamento
dell’obbligatorietà del contraddittorio; è utile comunque sottolineare che parte degli studiosi ha invece affermato la
necessità di tale contraddittorio, quantomeno per contemperare la specifica praesumption iuris tantum prevista dall’articolo
32 c. 1 del D.P.R. 600/73 e dall’articolo 51, c. 1 D.P.R. 633/72.
È legittimo l’accertamento emanato senza preventivo contraddittorio per quanto riguarda la giurisprudenza. Numerose
sono le sentenze della Corte di Cassazione in tal senso (6232/2003, 7267/2002, 4601/2002, 2814/2002, 3128/2001,
9946/2000, 14191/2000, 10060/2000, 11094/1999, 9103/2001). Secondo la Suprema Corte, quindi, è legittima
l’utilizzazione da parte dell’Amministrazione Finanziaria dei movimenti dei conti corrente bancari del contribuente, anche
nel caso che egli non sia stato convocato per giustificare le operazioni bancarie oggetto di verifica. Nello specifico, la
Corte, ha considerato che l’attività di accertamento degli uffici finanziari, avendo natura amministrativa, pur dovendosi
svolgere nel rispetto delle previste cautele per evitare arbitri e la violazione dei diritti del contribuente, non è retta dal
principio del contraddittorio; è escluso quindi che i rilievi risultanti dall’attività di verifica preliminare all’emissione
dell’avviso di accertamento/rettifica non siano in grado da soli di fondare un’efficace base probatoria per la pretesa
impositiva, solo perché non ulteriormente supportati dall’immediata contestazione al contribuente in sede di verifica.
D’altro canto, però, soffermandoci nella lettura dell’articolo 32 del D.P.R. 60073, ed in particolare del comma 1 n. 2 ove
chiaramente condiziona la facoltà spettante agli uffici di avvalersi dei dati dei conti per le rettifiche e gli accertamenti di
cui agli articoli 38, 39, 40, 41, del D.P.R. alla mancata dimostrazione di averli considerati nella fase del computo del
proprio reddito, o della loro irrilevanza al fine della determinazione del reddito complessivo, appare chiara quale deve
essere l’azione degli organi accertatori. Infatti sembra manifesto il “vizio” di diseconomia procedurale che commetterebbe
un ufficio in caso di mancata istituzione di un contraddittorio con il contribuente prima dell’emanazione di un avviso di
accertamento basato sull’attività istruttoria costituita da un’indagine finanziaria. Effettivamente gli uffici hanno la
possibilità, avviando il contraddittorio, di prevenire, collocandola nella fase dell’attività istruttoria, la prerogativa del
contribuente di esercitare la facoltà di prova di cui comunque disporrebbe in sede contenziosa. Il concetto di diseconomia
procedurale consiste quindi proprio nella necessità di istituire il contraddittorio per escludere che il contribuente, in fase di
contenzioso, mostrando quegli elementi probanti la determinazione dei dati al fine del computo del reddito o della loro
irrilevanza a tal fine, vanifichi una procedura quale quella dell’accertamento che quindi poteva essere evitata.
Per ultimo, occorre dire però che gli uffici ricorrono ordinariamente all’istituto del contraddittorio in caso di accertamento
basati sull’attività istruttoria delle indagini finanziarie, e questo sia in virtù di un ormai generalizzato e diffuso principio di
trasparenza quanto con lo scopo di consolidare la valenza Probatoria delle presunzioni legali.
Di conseguenza le presunzioni degli accertamenti finanziari, nell’ambito delle imposte dirette sono duplici, secondo che si
basino sui versamenti o sui prelievi effettuati. Sul fronte dei versamenti, e alla luce delle innovazioni della normativa gli
importi a qualsiasi titolo accreditati nell’ambito dei rapporti intrattenuti e delle operazioni effettuate, ivi compresi i servizi
ricevuti rappresentano, oggi come anche nel precedente quadro normativo, “presunzioni di componenti di reddito
positive”, quindi sia ricavi che compensi – sia per imprese che per lavoratori autonomi – se il contribuente non riesce a
dimostrare di averne tenuto conto ai fini della determinazione del reddito, ovvero che le stesse operazioni non abbiano
rilevanza fiscale.
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7.1 Lavoratori autonomi
Viceversa, nel caso di prelevamenti non risultanti da scritture contabili e sempre a condizione di non riuscire a dimostrare
di averne tenuto conto ai fini della determinazione del reddito o ad acclararne la non rilevanza, ed in assenza di indicazione
del beneficiario da parte del contribuente, essi erano considerati, prima della L. 311/2004, unicamente ricavi. Pertanto
l’elemento presuntivo sui prelievi veniva impiegato esclusivamente per ricostruire il reddito d’impresa e non altre
categorie reddituali. La conseguenza era che i lavoratori autonomi, non percependo ricavi ma compensi, restavano esclusi
dall’applicazione della norma e quindi dalla presunzione. Tale limitazione non ha mai trovato riscontro, invece, nell’IVA:
l’articolo 51 c. 2, n. 2) secondo periodo del D.P.R. n. 633/72, infatti, stabilisce come discriminante applicativa della norma
il solo fatto di essere soggetti IVA. Ciò vuol dire che non prevedeva già in precedenza differenze di trattamento tra
percettori di ricavi o di compensi, tra imprenditori e lavoratori autonomi. Questa discriminazione ai fini delle II. DD. è
stata corretta dalla Legge 311/2004, che introduce nell’ordinamento tributario la nuova variante del n. 2) del c. 1
dell’articolo 32 del D.P.R. 600/73. A seguito di tale innovazione, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito di
rapporti od operazioni intrattenuti o effettuati con enti creditizi o di intermediazione finanziaria, se non riportati sulle
scritture contabili e in mancanza di dimostrazione che siano stati stimati dal contribuente per la determinazione del reddito
o che siano stati irrilevanti per la sua formazione, e sempre che non ne venga indicato il soggetto effettivamente
beneficiario, potranno essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41 del
D.P.R. 600/73 sia come ricavi che come compensi.
Per entrambe le categorie economiche, quindi, la presunzione legale relativa opera nel senso di considerare i versamenti
bancari vendite in nero ed i prelevamenti acquisti in nero.
Bisogna dire che se da sempre è stato accettato il principio che la presunzione di reddito dei versamenti non giustificati
valesse nei confronti di tutti i soggetti contribuenti, e quindi anche persone fisiche non imprenditori, lo stesso non poteva
dirsi, fino alla novella, per quanto riguarda l’equazione: prelevamenti = ricavi in nero, valida solo per gli imprenditori. Si
tratta di un aspetto da non sottovalutare, per le numerose implicazioni che può generare. Pensiamo innanzitutto
all’applicazione retroattiva della norma. La posizione dell’Agenzia delle Entrate, in proposito, è di ammettere l’influenza
della norma anche per gli anni pregressi, a dispetto del generale principio di irretroattività della norma tributaria, in virtù
della natura stessa delle disposizioni introdotte dai commi 402, 403, 404 della Legge 311/2004, che non può che essere di
tipo procedimentale, in quanto tali norme estendono i poteri di indagine bancaria, che si connotano come poteri istruttori.
Proprio sulla natura procedimentale e non sostanziale delle norme suddette si fa leva per ammetterne, quindi,
l’applicazione anche ad anni pregressi, naturalmente limitatamente a tutti gli anni accertabili alla data di effettuazione del
controllo.
E’ evidente, quindi, che la suddetta presunzione opera in modo abbastanza energico nei confronti dei lavoratori autonomi,
nei confronti dei quali sussiste l’ulteriore perplessità della promiscuità del conto corrente bancario riguardo alle spese di
tipo professionale e personale. È vero che l’articolo 35, commi 12 e 12-bis, del Dl 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla
legge 4 agosto 2006, n. 248 impone ai professionisti la “tracciabilità” dei propri incassi per cui sono obbligati a tenere uno
o più conti correnti bancari o postali ai quali affluiscono, obbligatoriamente, le somme riscosse nell’esercizio dell’attività e
dai quali sono effettuati i prelevamenti per il pagamento delle spese, ma è altrettanto vero che con il paragrafo 7 della
circolare 28/E del 4 agosto 2006, l’Agenzia delle Entrate afferma che i conti correnti bancari o postali, da tenere
obbligatoriamente sia per il prelievo di somme finalizzate al pagamento delle spese sostenute sia per il versamento dei
compensi riscossi, non necessariamente devono essere «dedicati» esclusivamente all’attività professionale, ma possono
eventualmente essere utilizzati anche per operazioni non riguardanti l’esercizio dell’arte o della professione. Né
l’eventuale annotazione nei conti di operazioni riconducibili nella sfera familiare o extra-professionale deve essere di
ostacolo alla corretta applicazione della norma di cui all’articolo 32, comma 1, n. 2, Dpr 600/73, secondo cui anche i
«prelevamenti» dai predetti conti sono presi a base della rettifica come «compensi» qualora il contribuente non dimostri
che gli stessi non hanno rilevanza ai fini della determinazione del reddito. Infatti, chiarisce la circolare, i contribuenti
interessati possono ritenersi sollevati dall’onere di fornire la sopra indicata dimostrazione in relazione a prelievi che, avuto
riguardo all’entità del relativo importo e alle normali esigenze personali o familiari, possono essere ragionevolmente
ricondotte nella gestione extra-professionale.
L’obbligo di istituzione del conto corrente bancario o postale, comunque, decorre dall’entrata in vigore del citato decreto
legge (4 luglio 2006). Inoltre la legge di conversione n. 248/2006 e poi definitivamente la Legge 296/2006 stabiliscono
che l’obbligo di riscuotere i compensi mediante strumenti finanziari “tracciabili” vale fino ad un limite di 1.000 euro fino
al 30 giugno 2008, di 500 euro fino al 30 giugno 2009 per poi essere fissato in modo definitivo a 100 euro.
Ciò che interessa a che esercita il potere istruttorio, quindi, è che i prelevamenti fatti dal conto bancario o postale, avuto
riguardo all’entità del relativo importo e alle normali esigenze personali o familiari, possano essere ragionevolmente
ricondotti alla gestione extra-professionale. Di conseguenza, i professionisti possono pagare in contanti i pagamenti riferiti
all’attività professionale, a prescindere dal loro importo, così come possono sempre prelevare le somme dal conto corrente
per esigenze personali.
Per il prelevamento delle somme necessarie per esigenze personali o altre esigenze extra-professionali, non occorre alcuna
specifica documentazione. Il controllo del Fisco sui conti correnti bancari o postali potrà avvenire sulla base delle entrate e
delle spese dichiarate per l’attività professionale, messe a confronto con i dati del conto o dei conti correnti bancari o
postali.
Riassumendo, quindi, per quanto concerne il valore probatorio dei dati, notizie e documenti acquisiti dagli Organi di
controllo nell'esercizio del potere di indagine bancaria, questo è stato, fino ad ora, diversamente configurato a seconda
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tanto del settore impositivo interessato, quanto della categoria economica di appartenenza del soggetto sottoposto a
controllo. Abbiamo visto come tale valore probatorio sia ricollegabile alle cosiddette “presunzioni legali”, che consentono
all'Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento, di non dover esplicitare ogni volta le caratteristiche di gravità,
precisione e concordanza delle medesime risultanze e determinano l’inversione dell’onere della prova a carico del
contribuente.
La struttura della presunzione si basa quindi sulla legge, e quindi l’Amministrazione sarà svincolata dall’obbligo di fornire
ulteriori prove. Il suo compito consisterà nell’accertare prelievi personali non documentalmente finalizzati. La sola forma
di controprova prevista dalla legge consiste peraltro nell’indicazione del beneficiario del prelievo, che, ad esempio, non sia
fornitore di beni e servizi.
7.2 Natura procedimentale o sostanziale della nuova norma e retroattivita’
Un aspetto giuridico da approfondire riguarda la natura giuridica delle novità introdotte dalla legge finanziaria n.
311/2004. Il problema non è di poco conto, soprattutto considerando i riflessi sull’ampliamento non solo temporale, ma
anche soggettivo che da un certo tipo di interpretazione della norma può scaturire.
Per comprendere quindi la portata della novella normativa, bisogna fare un passo indietro e tornare sull’argomento delle
presunzioni.
Abbiamo visto, infatti, come l’inserimento del riferimento “compensi” nel primo comma dell’articolo 32 del D.P.R.
600/73 ha effettivamente ampliato anche ai lavoratori autonomi il meccanismo legale per cui “sono posti come ricavi o
compensi alla base ⎨di⎬ rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempre che
non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti e gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti ed operazioni
(bancarie e finanziarie)”. E’ evidente la portata sostanziale di tale novella normativa, che ci porta a collocarla nell’ambito
delle presunzioni legali iuris tantum. Ricordiamo quindi che le presunzioni consistono in un ragionamento logico deduttivo
che ci permette di risalire ad un fatto ignoto partendo da un fatto noto, (Articolo 2727 del codice civile: “le presunzioni
sono le conseguenze che la legge od il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignorato”); le presunzioni legali
sono quelle poste dalla legge.
La differenza acquista tanto più rilievo per stabilire la possibile retroattività della stessa con particolare riferimento ai
professionisti lavoratori autonomi per i quali la norma ha introdotto la possibilità di considerare compensi i prelievi
effettuati ai periodi anteriori al 2005. Proprio per la riconducibilità della norma nell’ambito delle presunzioni legali, e per
aver modificato, a carico dei professionisti le modalità di ricorso alle stesse presunzioni, secondo molti la novella
normativa si colloca in una modifica sostanziale della legge, e, come tale irretroattiva. L’articolo 3 della Legge 212/2000
“Statuto del Contribuente” ha sancito, infatti, la irretroattività delle disposizioni tributarie. La posizione dell’Agenzia delle
Entrate e della giurisprudenza dà alla norma e alle novità introdotte una connotazione “procedimentale” e non
“sostanziale”. Con ciò si ribadisce che la portata innovatrice della Legge 311/2004 ai commi 402 e 403 si limita all’aspetto
procedurale delle indagini finanziarie, senza modificare l’aspetto sostanziale; tant’è vero che durante tutto il corso della
presente trattazione abbiamo visto i mutamenti dell’ambito soggettivo, in relazione ai destinatari delle richieste ed
oggettivo, in merito ai dati e alle operazioni da sottoporre a verifica. Non altri elementi sono stati inseriti nel diritto
positivo. Quindi se la stessa Corte di Cassazione (sentenza n. 11274/2001) sostiene che “in materia tributaria, il principio
di non retroattività delle leggi, sancito in generale dall’art. 11 delle preleggi, è stato specificamente codificato dall’art. 3
della Legge 212/2000 limitatamente ai profili sostanziali del rapporto tributario e agli obblighi, anche formali, della cui
violazione possano conseguire effetti negativi per il contribuente; è pertanto, applicabile ai rapporti sorti anteriormente al
1991 l’art. 54 c. 5 del D.P.R. 633/72 come novellato dall’art. 3 della Legge 413/91, trattandosi di norma procedurale, per la
quale vale il principio tempus regit actum.
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Bibliografia
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Giovanni Valcarenghi finanziari
Guida alla Riforma Fiscale – Guida Normativa Il Sole 24 ore N. 3/2005
Carlo Lombardi. .. . . . . . . . . . . . . . . . . Le disposizioni della Finanziaria 2005 “a ritroso” sulle verifiche ancora aperte
Tiziano Lucchese Guida alla Riforma Fiscale – Guida Normativa Il Sole 24 ore N. 3/2005
Francesco Napolitano . . .. . . . . . . . . . . . Nel mirino anche conti e operazioni che fanno capo alle società fiduciarie
Alessandra Militerno Guida alla Riforma Fiscale – Guida Normativa Il Sole 24 ore N. 3/2005
Giovanni Barbato. . . . . . . . . . . . . . . . . . . Riflettori sulle nuove indagini “allargate” – Tutti i problemi interpretativi sul
Marco Thione tappeto
Guida alla Riforma Fiscale – Guida Normativa Il Sole 24 ore N. 3/2005
Giovanni Maccagnani. . . . . . . . . . . . . . . .Spunta un “presunzione” a garanzia del Fisco: un brivido lungo la schiena del
Gian Paolo Ranocchi professionista
Guida alla Riforma Fiscale – Guida Normativa Il Sole 24 ore N. 3/2005
Stefano Screpanti. . . . . . . . . . . . . . . . . . .. Dalle indagini bancarie alle indagini finanziarie – Il Fisco n. 5/2005