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Il commissario Lorenzo Martini accese l’abat-jour e cercò


il cellulare sul comodino con gli occhi ancora chiusi, in fretta,
prima che potesse svegliare la sua compagna. Caddero tre
libri nella concitazione e Viola, che prima gli dormiva
accoccolata addosso, si spostò dall’altra parte del letto.
- «Pronto?»
- «Commissario, sono Montali», gracchiò il suo braccio
destro da chissà dove, «so che lei è ufficialmente in
vacanza, ma…»
- «Vieni al sodo».
- «Sono all’ex Italgas, al distaccamento di Scienze
Politiche e Giurisprudenza. Abbiamo ricevuto una
chiamata, una studentessa ha trovato un cadavere».
- «E perché non hai chiamato Matta?», s’inalberò,
riferendosi al suo vice.
- «Non era raggiungibile al cellulare, l’abbiamo cercato
a casa, dai genitori… Non si trova».
- «Va bene, poi a lui ci penso io… La Mobile non è
ancora arrivata?»
- «Hanno dichiarato il caso di nostra competenza».
- «Mmmm… Amore chi è?», mugugnò Viola ancora in
dormiveglia.
- «Dormi, ora ti spiego... Montali, dammi una mezz’ora
e sono lì. Spanò è già arrivato?», chiese, parlando
del capo della Scientifica.

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- «Sì, stanno già effettuando i rilevamenti anche se
c’è ben poco da rilevare… È arrivato anche il dottor
Pignataro».
Salvo Pignataro, calabrese di origini, ironico e diretto,
era il miglior medico legale di Torino e una tra le migliori
nuove leve in Europa. Il fatto che fosse il suo migliore amico
da sempre facilitava non poco le cose.
- «Me lo passi un secondo?»
Si sentì un po’ di trambusto e poi una serie di improperi.
- «Lorenzo, e che cazzo! Non so niente tranne che
aveva un alluce valgo! Piuttosto alza le chiappe e
raggiungici, ci servi perlomeno per sorridere ai
fotografi».
- «Dammi mezz’ora, tempo di una doccia e un caffè e
arrivo, ok?»
Interruppe la comunicazione e si preparò alla sfuriata.
Viola Ferrari sapeva essere più pericolosa di un plotone di
Marines sul piede di guerra quando si arrabbiava davvero, e
quella era la terza volta che le vacanze saltavano.
- «Fammi indovinare… Non partiamo, vero?»
- «Dammi il tempo di rintracciare quello stronzo di
Matta e torno», garantì, sollevato dalla reazione
pacata di lei.
- «Stai scherzando vero? E con questa sono tre… Ma
per chi ti hanno preso per un burattino, per un cane
che possono tenere al guinzaglio?»
- «No, ma…» Mi sembrava strano che si mantenesse
così calma.
- «Ecco, appunto. Siamo sempre noi a rimandare. Non
è possibile che Matta sparisca tutte le volte che
dobbiamo partire! Amore, è il tuo lavoro, so quanto è
importante per te e se hanno bisogno di te… È giusto
che restiamo. Però non intendo sottostare ai ritardi
del tuo vice!»
- «Hai ragione, però non posso lasciare gli altri nella
merda… Cerca di capire». È proprio incazzata, chissà
per quanto tempo me la farà pagare…

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- «Beh, senti, io… Non volevo prendermela con te, solo
che è già la terza volta che va tutto all’aria. I fiordi
della Norvegia non si muovono, se andiamo via tra
dieci giorni non succede niente… Però di questa
storia ne riparliamo, non sei pagato per sopperire
alle mancanze degli altri!»
- «Viola, la vacanza è andata a monte, però ci tenevo.
E ci tenevi tu. È un mucchio di tempo che non ti
prendi una pausa, l’ultimo libro ti ha portato via un
sacco di energie, è stato un successone, però sei
stanca e mi rendo conto che tu abbia bisogno di
evadere. Abbi pazienza per altri dieci giorni».
- «Va bene, ti concedo dieci giorni, dopodiché parto da
sola e ti lascio qui a badare ai tuoi bei cadaveri… so
che i colleghi non si tradiscono, ma parlane col
questore, è una persona comprensiva e Matta si
merita un cazziatone senza precedenti».
- «Hai effettivamente ragione… Prometto che gliene
parlerò oggi, i superiori devono essere a conoscenza
di un certo tipo di cose, dopo un tot di volte è
perlomeno corretto. Se ha dei problemi ha solo da
dirlo. Finché non ne parla rimane uno stronzo
assenteista».
- «Mi alzo anche io magari… ti preparo il caffè?»
- «No rimani a letto, in fondo è sabato e tu sei
comunque in vacanza, sono solo le otto…». Le
stampò un bacio sulle labbra. «Ti chiamo dopo, ok?»

Martini si fece una doccia a tempo di record. Allo


specchio i capelli scuri, ravvivati da qualche tocco di grigio
sulle tempie e la barba di tre giorni lo fecero apparire
ancora più pallido. Trentacinque anni, occhi blu, alto più di
uno e ottanta, Martini faceva la sua figura nonostante un po’
di pancetta e le maniglie dell’amore.
Uscì dall’appartamento di piazza Cavour che divideva
con Viola e in capo a venti minuti giunse sul luogo del
ritrovamento. L’aria era gelida, il quattordici ottobre a Torino
poteva riservare qualche sorpresa climatica; un’intera
sezione della Squadra Mobile di Torino sembrava essersi

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trasferita nel giardino antistante alla Palazzina Einaudi.
Montali gli andò incontro.
- «Commissario, mi segua… È dietro i giochi per
bambini, venga».
Dopo una ventina di metri trovarono Pignataro
inginocchiato vicino al corpo di una ragazza nuda, con una
stella inscritta in un cerchio incisa sulla pancia,
probabilmente con un coltello, e una bottiglia di vetro, delle
dimensioni di quelle da birra da trentatré cc, inserita nella
vagina con la forza.
- «Era ora che arrivassi…», lo provocò Pignataro.
- «Era ora un corno, dimmi piuttosto cos’abbiamo».
- «Donna, bianca, razza caucasica, tra i venti e i
trent’anni…», attaccò il medico, impostando la voce
come se parlasse ad una platea.
- «Salvo, sai che la tua sindrome di Gil Grissom non la
sopporto, per favore», si lamentò Martini. Per
Pignataro i cadaveri erano la normalità e riusciva a
scherzarci sopra ma lui non riusciva ad abituarsi alle
brutture della morte, soprattutto su soggetti così
giovani.
- «Scusa, scusa… Ti sei svegliato male? Comunque, la
ferita che vedi non può averla uccisa. Dagli occhi
direi un’overdose, probabilmente di coca».
- «Perché?»
- «Perché ho l’impressione che le sia scoppiato il
cuore, i vasi sanguigni dei bulbi oculari si sono
fracassati, e solo un’assunzione elevata di cocaina
comporta cose simili. A meno che non avesse
patologie cardiache gravissime, ma questo lo potrò
sapere soltanto dopo averla aperta. Hanno per caso
trovato i documenti?»
- «No», intervenne Montali, «nei dintorni non c’è
niente».
- «Salvo, quando pensi di potermi dire qualcosa di più
preciso?»
- «Dammi tre ore almeno, anzi quattro. Ti chiamo io,
ora la faccio portare via… Pensi a qualcosa legato al
satanismo?»

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- «Non è da escludere del tutto secondo me»

Dopo i primi rilevamenti della Scientifica, Martini tornò in


questura con Montali e cominciò a disporre le prime
indagini, richiamando a sé tutto il gruppo di lavoro che di
solito lo assisteva.
- «Allora, cominciamo dalle persone scomparse, non fa
mai male... Bassani, te ne occupi tu? Ferretti, devi
chiamare Costel e Brahim», ordinò, alludendo a due
informatori, «quella è zona di immigrati ed è a due
passi da Porta Palazzo. Voglio sapere se qualcuno ha
visto qualcosa, un ufo, un unicorno, Babbo Natale
fuori periodo, qualsiasi cosa. Montali, tu stai addosso
a Spanò, Andrea se la prende sempre comoda
quando può e io ho bisogno di sapere subito chi è la
vittima, le indagini su i figli di NN non mi piacciono.
Io chiamo il questore, è importante che concordi con
lui cosa far sapere ai giornalisti e cosa no».
I colleghi si accinsero a dedicarsi ai compiti assegnati ed
uscirono dal suo ufficio, e Martini digitò il numero diretto del
questore.
Bruno Fissore, astigiano, robusto e dall’espressione
gioviale, era un poliziotto sveglio, nonostante l’aria paciosa
ed inoffensiva. Poco amante dei salamelecchi di solito
tributati alla sua carica, aveva intavolato un rapporto di
stima ed amicizia con Martini da quando era il capo della
polizia di Torino.
- «Bruno, sono Lorenzo. Immagino che avrai già
saputo del ritrovamento di stamattina…»
- «Sì. E’ chiaro che di Viola ho tutta la fiducia possibile,
so che spesso le parli di lavoro e non mi dispiace, è
ovvio, ma per il resto… Una ricostruzione grafica del
volto al tg regionale di stasera e niente altro. Finchè
non sappiamo chi è manteniamo il riserbo sulle cause
di morte e i dettagli del rinvenimento del corpo,
soprattutto su quella stella a cinque punte. Il giudice
è stato molto chiaro, non deve trapelare nulla. Siamo
d’accordo?»
- «Siamo d’accordo».

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- «Ah, chiama il professor Sellino dell’università,
quando ha tenuto il seminario sulle sette sataniche
tu eri in vacanza, potrebbe tornarti utile per riuscire
a determinare la pista giusta… a Torino è sin troppo
facile scaricare il barile su bestie di Satana e
compagnia bella.»
- «Certo… è un vecchio professore di Viola, è molto
disponibile, cercherò di parlarci già oggi.»
- «A proposito di Viola, quando ha saputo che non
sareste partiti mia moglie ha pensato di invitarvi a
cena una di queste sere, è molto che non venite…»
La moglie del questore, una ginecologa di cinquantatre
anni, e Viola, giornalista de La Stampa e scrittrice di
successo di vent’anni più giovane, apparentemente non
avevano nulla in comune. Marta Gassino Fissore era alta
non più di un metro e cinquanta, era esile, aveva i capelli
biondi, gli occhi azzurri e le labbra sottili; Viola era alta uno
e settanta, era mora, aveva gli occhi grandi, scuri,
espressivi, la bocca carnosa ed aveva le forme che di solito
un uomo si volta a guardare per strada.
Si erano incontrate la prima volta ad una cena di
rappresentanza tre anni prima e si erano piaciute subito,
tanto da essere diventate buone amiche.
- «Dirò a Viola di chiamarla.»
- «Ah, senti un po’, il tuo vice, Matta, che fine ha
fatto?! È ancora irreperibile? Stavolta gli faccio
passare un brutto quarto d’ora, non è la prima volta
che si comporta così. Appena ricompare
mandamelo». Il cellulare di Martini trillò.
- «Bruno, è Pignataro, forse ci sono novità… ti tengo
aggiornato».
Concluse il colloquio con Fissore ed aprì il suo Motorazer.
- «Era ora!», sospirò Pignataro. «Credevo fossi a casa
per pranzo e tanto che c’ero ho scippato un invito a
Viola».
- «Hai novità, squartatore della Sila? Oppure stai
aspettando che Grissom ti porti le novità dell’ultima
ora? »

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- «Ma vattene affanc… Comunque è morta di droga,
overdose di cocaina come pensavo, aveva il cuore in
pappa praticamente… Lo stupro è… strano. Ante
mortem e post mortem, ti farò avere i risultati al più
presto, sto verificando alcune cose che non mi
tornano.»
- «Pensi ad una prostituta?»
- «Non con quella manicure.»
- «Che vuoi dire?»
- «Che è raro che una prostituta abbia le unghie
ricostruite in ceramica e dei residui di creme costose
sulla faccia… Chiunque fosse si trattava bene ed
aveva i soldi per farlo».
- «Mandami i risultati con Spanò, e scrivi una
spiegazione dei tossicologici, abbi pazienza. Ci
vediamo stasera, porta i dolci».

Pietro Sellino aveva avuto una predilezione per Viola


quando, dieci anni prima, era stata sua studente nel corso di
Storia delle religioni, e Martini non si stupì di vederlo nel suo
ufficio nel primo pomeriggio. Era bastata una telefonata
della sua vecchia allieva per attivare l’anziano e grassoccio
docente, addentro nelle credenze più strambe mai sentite
dal commissario: era arrivato a tempo di record,
stravolgendo le abitudini di lentezza esasperante di Palazzo
Nuovo. Dopo i convenevoli, il professore andò al punto.
- «Allora, ragazzo mio, che è successo?»
- «Professore, lei è debole di stomaco?»
Sellino lo guardò come avrebbe guardato una matricola
dai voti mediocri.
- «Fammi vedere, su.»
Martini gli porse una cartellina, all’interno della quale si
trovavano le foto scattate sul luogo del ritrovamento del
cadavere non ancora identificato.
- «Che grandissima puttanata!» Il professore era
visibilmente agiato.
- «Perché?»

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- «Sembra una presa per il culo, mio caro. E non posso
garantirti che non lo sia.»
- «Perché?»
- «Perché lo schema parzialmente coincide, ma siamo
a Torino e dare la colpa alle bestie di Satana o ai figli
di Lucifero è sin troppo semplice.» A Martini sembrò
di sentire il questore.
- «Continui.»
- «Scusami, ma dov’eri quando ho tenuto il seminario
per la Squadra Mobile?»
- «A Parigi con Viola», confessò il commissario,
sorridendo come un ragazzino che aveva marinato la
scuola con la fidanzatina.
- «Bene, la prossima volta cerca di esserci…»
- «Professore, la prego, mi spieghi come funziona il
satanismo, quello vero però.»
Sellino aprì la sua portadocumenti e tirò fuori dei tomi.
- «Dovresti leggere questi, ti aiuterebbero ad
addentrarti nell’arg…»
- «Professore, mi piacerebbe poter studiare ma
abbiamo in ballo un omicidio che potrebbe crearci
non pochi problemi. La prego, cerchi di essere
esauriente per quanto possibile.»
- «Ti faccio un riassunto delle puntate precedenti
allora, ma scordati Torino Magica e simili», l’avvisò il
professore, alludendo ad un tour organizzato per i
turisti, che con quello visitavano i luoghi misteriosi
della città.
- «D’accordo.»
- «Prima di tutto, l’uguaglianza heavy metal –
satanismo va sfatata per il settanta per cento. Chi
segue l’heavy metal solitamente pratica un
satanismo d’ottava categoria, i veri satanisti sono
quelli che non ti aspetti. Industriali, avvocati, figli di
papà. E ci credono eccome.»
- «Come funziona?»
- «Le strutture sociali sono principalmente circolari,
con un Grande Maestro al centro, o piramidali, con il

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maestro posto al vertice. Si è posti ad una certa
distanza, diciamo, dal centro o dal vertice a seconda
del livello di conoscenza raggiunto.»
- «In cosa consiste questa conoscenza?»
- «Mantra, evocazioni, lettura di testi “sacri”. Non
giocano a fare i macellai coi gatti del vicino di casa.
La fede è volta al raggiungimento della piena
conoscenza e consapevolezza del tutto, che secondo
gli ideali cristiani è negata all’uomo proprio dalla sua
stessa natura umana.»
- «Capisco.»
- «No, non capisci, perché adesso sicuramente starai
pensando che sia un fenomeno nato col
Cristianesimo, mentre non è così.»
- «Non lo è?»
- «Sicuro che non vuoi leggerti questi testi?»
- «Sicuro, continui.»
- «Dicevo, è un fenomeno ampiamente precristiano.
Perlopiù ha origini nel nord Europa. Cosa sai sui riti
druidici?»
- «Poco.»
- «Il centro dei culti druidici è la Madre, identificata
con la Terra, che è la madre di ogni cosa. Il ciclo
delle stagioni è paragonato ad una ruota, le
ricorrenze principali sono otto, Samhain il trentuno di
ottobre, l’inizio dell’anno, Yule il solstizio d’inverno,
Imbolc l’uno e il due febbraio, Ostara l’equinozio di
primavera, Beltane il primo maggio, Litha il solstizio
d’estate, Lughnasadh con il primo di agosto, Modron,
la fine dell’anno, l’equinozio d’autunno», sciorinò
pazientemente Sellino.
- «Ehm… e?»
- «Bene, Ostara e Beltane sono le celebrazioni volte
alla fertilità e alla luce, in cui la Dea Madre si
accoppia col Dio maschio di turno e regala vita e
prosperità. Durante Beltane, ed è su questo che mi
concentrerei per farti capire a fondo la cose,
succedeva qualcosa di particolare.»

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- «Perché?» Martini immaginò Viola affascinata dalle
lezioni di Sellino, e comprese perfettamente perché
le piacessero tanto. L’insegnante era un affabulatore
nato.
- «Beltane è la festività durante la quale la Dea si
accoppia con il Dio Cervo. Il cervo è anche uno degli
animali venerati dai satanisti, anzi, rappresenta il Dio
per eccellenza.»
- «Ah.»
- «Ad ogni modo, devi pensare a riti di quel genere
che si sono evoluti con il tempo. Essendo precedenti
al Cristianesimo è totalmente sbagliato considerarli
suoi nemici, perlomeno all’inizio; è stato proprio il
Cristianesimo, con la sua diffusione, a dichiararli tali.
Non dimentichiamoci che per molti popoli il
Cristianesimo è stato una vera e propria piaga, una
religione imposta con la forza, e il mancato rispetto
dei suoi dettami poteva portare ad accuse di eresia e
di stregoneria. Le pene non erano certo miti,
Lorenzo. Carcere, torture, morte sul rogo. Questo ha
portato i fedeli agli antichi culti a nascondersi, l’aura
di segretezza che li ha circondati per secoli non ha
fatto altro che aumentare il livello di fascinazione per
gli aspiranti adepti.»
- «Credi che il mio caso possa, almeno in parte,
riguardare l’ambiente delle sette sataniche?»
- «Sì. Se la ragazza è stata stuprata è possibile, quella
stella a cinque punte mi fa dubitare però. Non
avrebbero mai lasciato una traccia di questo genere,
insomma, non sono certo stupidi.»
- «Gli stupri di gruppo sono parte dei riti?»
- «Prendono una ragazza esterna alla setta, la fanno
divertire e bere e poi la drogano con sostanze che
solitamente si usano per gli animali. I riti durano
molte ore, gli accoppiamenti sono molteplici e tutti
volti a celebrare la superiorità maschile. Se la
poveretta si risveglia, e dico se, è fortunata. A meno
che non venga sacrificata come capri, cani e galli,
tutti neri ovviamente. Lì le cose si complicano. Se è

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stato un sacrificio ti anticipo che sarebbe inutile
cercare un… movente, li chiamate ancora così?»
- «Sì certo… capisco, perché sarebbe una vittima al
tempo stesso designata e casuale… oppure c’è un
criterio nella scelta?»
- «I criteri purtroppo sono nella testa di chi sceglie, in
questo non posso aiutarti, mi spiace.»
- «Saprebbe farmi qualche nome sui fedeli qui a
Torino?»
- «Naaa, sono più guardinghi e cauti di un gruppo di
carbonari durante il Risorgimento. Sono società
segrete vere e proprie, in cui è difficilissimo entrare e
dalle quali solitamente non si esce vivi. La
conoscenza va tutelata da coloro che non la
comprenderebbero perché non hanno la stessa…
chiamiamola apertura mentale.»
- «Professore, io non so come ringraziarla per il suo
tempo e per la sua collaborazione…»
- «Non scherzare… piuttosto, di’ a Viola da parte mia
di passare a trovarmi più spesso: non ho studenti
svegli come lei di questi tempi.»

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- «Salvo», chiese Martini all’amico quella sera a cena,


«ho letto la tua relazione, devi darmi dei
chiarimenti».
- «Dimmi… Buono l’arrosto, Viola».
- «Grazie», rispose lei.
- «Dicevo… Hai scritto che gran parte della cocaina è
stata iniettata…»
- «Vedi, quando uno la coca la sniffa ci impiega
pochissimo a fare effetto, è una cosa veloce ma
l’assorbimento è paradossalmente più lento, perché
avviene per mezzo delle mucose nasali, che sono
meno veloci del sangue. Quando però viene iniettata
l’overdose è quasi istantanea perché le sostanze
raggiungono il cervello e il cuore praticamente
subito, considera che il cuore pompa circa cinque litri

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di sangue al minuto in un soggetto con quella
costituzione fisica…»
- «Vuol dire che in nemmeno venti secondi, a seconda
di dove la inietti, puoi andartene al Creatore?»
- «In parole povere sì. Tra l’altro gli esami non hanno
individuato le sostanze che solitamente si
accompagnano alla cocaina, niente anfetamine,
lidocaina, efedrina, mannite e nemmeno un po’ di
bicarbonato, di solito la tagliano con questa roba…
C’erano solo alcaloidi della coca. Era pura, è morta
senza accorgersene».
- «Qualsiasi tossico con un minimo di coscienza dei
propri limiti non si farebbe mai una dose del genere…
Per riuscire a capirne un po’ di più dobbiamo
aspettare di ident…»
Suonò il telefono, Viola rispose dal cordless ma la
chiamata durò pochissimo.
- «Era Montali. Si è presentato in commissariato un
ragazzo, dice di conoscere la vostra vittima, deve
aver visto la foto che avete dato al TG3. Devi andare
subito».

Chi aspettava Martini in via Verdi era di buona famiglia,


era evidente dai suoi modi e dai suoi abiti ma soprattutto
dal suo accompagnatore, l’avvocato Vincenzo Marchi,
principe del Foro di Torino.
- «Sono il commissario Lorenzo Martini… Noi ci
conosciamo già, vero avvocato?»
Si strinsero la mano.
- «Infatti… Eravamo un po’ titubanti sul pronunciarci
data l’identità della ragazza ma non appena ho
saputo che era lei ad occuparsi della cosa ho
tranquillizzato il mio cliente… »
Cliente che, finalmente, proferì parola.
- «Mi chiamo Marco Ajmoni-Marsan, commissario».
Gli tese la mano, e Lorenzo fece lo stesso, rendendosi
contemporaneamente conto che la faccenda era più grossa
di ciò che si aspettavano, se non altro per le persone che vi

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erano coinvolte. Il padre di quel ragazzo era Giovanni
Ajmoni-Marsan, discendente di una famiglia di banchieri
torinesi che operava in Piemonte dalla metà del Seicento.
Oltre alle ovvie disponibilità liquide aveva proprietà
immobiliari in ogni dove, la sua era un istituzione d’élite, col
tempo si era trasformata in una banca d’investimenti dalle
grandi alleanze internazionali.
- «Allora, signor Ajmoni-Mars…»
- «Mi chiami Marco e mi dia del tu, la prego, di solito la
gente fa persino fatica a scriverlo il mio cognome».
- «Bene Marco. Tu sai chi era la ragazza che abbiamo
trovato».
- «Sì, è la ragazza del mio migliore amico e anche io la
conoscevo da moltissimo tempo, sebbene non la
frequentassi con piacere».
- «E di chi si tratta?»
- «Di Marika Del Gaudio, la figlia del professor Del
Gaudio», s’intromise l’avvocato.
Porca miseria. Immaginava una cosa grossa, ma non
così grossa. Luciano Del Gaudio era professore di medicina
all’università di Torino, era titolare della cattedra di chirurgia
plastico-ricostruttiva. A Torino era una celebrità non soltanto
per i meriti accademici e scientifici, ma perché lavorava in
tutto il mondo e si dedicava continuamente a progetti
umanitari. Operava pro bono casi provenienti dai paesi più
poveri in convenzione con una clinica tedesca, collaborava
con alcuni premi Nobel italiani per la ricerca di nuove
soluzioni applicabili al suo ramo chirurgico. Un santo, in
pratica, sul quale non era mai circolata una brutta parola o
una chiacchiera di troppo. Chissà quante se ne sarebbero
scatenate quando si sarebbe saputo che sua figlia era morta
in circostanze tanto sporche.
- «Posso chiederti da quanto non la vedevi?»
- «Commissario, Marika era una drogata che aveva
rovinato la vita del mio migliore amico. Quando
potevo la evitavo, cercavo di vedere solo Carlo…
L’ultima volta l’ho vista circa venti giorni fa, ero
andato a casa dei genitori di Carlo a prenderlo e lei lo
aspettava fuori. So che vivevano insieme da un paio

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d’anni ma non ho mai voluto sapere dove, così come
non volevo vederla… Spacciava, commissario. Era
per resistere alla tentazione di denunciarla, oltre che
per il disgusto che provo per lei. Carlo non me
l’avrebbe mai perdonato. Non ho mai capito cosa
trovasse in lei».
Evidentemente Marco non aveva bisogno di essere
incalzato.
- «Perché dici questo?».
- «Io e Carlo siamo coetanei e ci conosciamo da
sempre, i nostri genitori erano amici da prima che
noi nascessimo. Ci siamo laureati in International
Management a Eton, abbiamo fatto un master negli
Stati Uniti. Contavamo di avviare un’attività nostra,
chiaramente avremmo avuto bisogno dei nostri
genitori all’inizio ma sarebbe servito per poco.
Avevamo un’idea ottima, i soldi sarebbero arrivati in
pochissimo, avremmo restituito tutto. Ho già ventisei
anni, le cose mi hanno costretto a fondare una
società con mio padre all’inizio dell’anno scorso per
realizzare il nostro progetto, Carlo non era più lo
stesso.. Durante le vacanze di tre anni fa siamo
tornati a Torino e ha avuto un flirt con Marika.
Quando siamo rientrati del tutto lei gli si è incollata
addosso. Tra i due la personalità forte era lei, non lui.
Ha cominciato a pippare di brutto, sono andati a
vivere insieme. Il resto è storia, commissario. Lei
aveva appena la maturità, ha lasciato l’università
perché “non riusciva a concentrarsi”, diceva. Carlo
era una persona intelligente, lei un’ochetta che
bramava per la coca e i vestiti firmati».
- «Chi è il Carlo di cui mi stai parlando?»
- «Carlo Bosco».
Se continui a lanciare bombe simili finirai per aprirmi un
cratere nella scrivania.
Eugenio Bosco era stato uno dei primi imprenditori italiani
ad intrattenere rapporti commerciali con il Sud America e a
credere nelle sue potenzialità senza limitarsi a caffè e cacao.
Trent’anni prima aveva cominciato un’intensa attività di
import-export con gli Stati Uniti e col tempo aveva spostato

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l’attenzione verso il Brasile, la Colombia, il Perù, il Cile ed il
Venezuela. Per un caso del tutto fortuito era diventato amico
personale del presidente João Baptista Figueiredo. Grazie
alle indubbie doti imprenditoriali e ai suoi favori, guadagnati
grazie al fatto che il brasiliano amava i prodotti di lusso
italiani che Bosco poteva agevolmente fornirgli, era
diventato uno dei principali imprenditori italiani nel campo.
Da circa dieci anni stava espandendo gli affari anche in
Russia e in Cina . Aveva appreso tutte queste cose da Viola
che, abbonata a Forbes, aveva scritto un articolo su uno dei
pochissimi italiani, torinese doc, ai quali la rivista americana
dedicava attenzione.
- «Da quanto non vedi Carlo?»
- «Da cinque giorni. È normale però… Carlo aveva un
appartamento a Milano e spesso ci andavano, non mi
è parso granché strano non incontrarlo a Torino
finché non ho visto la foto di Marika al telegiornale
un paio d’ore fa. L’ho cercato ovunque e non l’ho
trovato, i suoi sono fuori Torino e non sanno
assolutamente nulla, comunque dovrebbero rientrare
stanotte stessa, erano in ansia anche loro e l’avermi
sentito li ha messi in allarme ».
- «Temi che possa essergli successo qualcosa? Sai se
anche lui spacciava?»
- «Carlo odiava la sua dipendenza, era uscito da poco
da una clinica per la disintossicazione e non toccava
coca da sei mesi, questo glielo posso garantire, lo
controllavo di continuo anche con le analisi e sono
sicuro che ne era venuto fuori, era addirittura venuto
a lavorare con me, sarebbe diventato socio a breve.
Non ha mai spacciato, si rifiutava di venderla, Marika
continuava a dargli dello scemo perché era
“un’attività redditizia”. Ultimamente era arrivata
anche ad organizzare festini in casa sua, nel periodo
in cui Carlo è stato in clinica mi ha chiamato per
invitarmi ad una di queste… orge».
Un bel soggettino, questa Marika… Si spiegherebbe però
l’intensa attività sessuale precedente alla morte..
- «Devo pregarti di lasciarmi tutti i recapiti telefonici di
cui disponi, gli indirizzi, tutto quello che può aiutarci

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a trovare i loro genitori e a scoprire i loro ultimi
movimenti».
Prontamente Marco tirò fuori dalla portadocumenti
un’agenda ed un block notes e cominciò a trascrivervi sopra
numeri di telefono ed indirizzi. La conoscenza fra le due
famiglie doveva essere piuttosto profonda, i dati erano
ordinatamente divisi fra “lavoro” e “privato”; di Marika
invece c’era solo un cellulare, e nonostante fosse ben poco
rispetto alle informazioni su Carlo era una traccia
importante.
Marchi prese nuovamente la parola, approfittando del
silenzio di Marco.
- «Commissario, direi che il mio cliente ha finito…»
- «Infatti, e non ha idea di quanto ci sia stato utile.
Marco» disse poi, rivolgendosi al testimone, «ti
chiedo comunque di non lasciare Torino per almeno
una settimana, conosci bene Carlo e se non
dovessimo riuscire a rintracciarlo nemmeno noi
potremmo avere ancora bisogno di te, se non altro
perché conosci le sue abitudini»
- «Ho seriamente paura per lui, commissario».
- «Ti terrò aggiornato personalmente, Marco, hai la
mia parola».
Il ragazzo era chiaramente affezionato a Bosco, ed
appariva seriamente preoccupato. In meno di dieci minuti
Ajmoni-Marsan e Marchi lasciarono il commissariato e
Martini chiamò il questore direttamente a casa.
- «Pronto?»
- «Marta, sono Lorenzo. Perdonami ma ho necessità
urgente di parlare con Bruno». Il tono grave di
Martini riuscì a scoraggiare la ciarliera moglie del suo
superiore.
- «Te lo passo subito».
Lorenzo sentì del movimento in sottofondo e qualche
secondo dopo era il linea con il suo superiore.
- «Non sei il tipo da chiamarmi a casa per lavoro, che
è successo?»
- «Abbiamo un testimone, hanno riconosciuto la
vittima. È la figlia del professor Del Gaudio».
- «Brutto affare, bruttissimo».

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- «Dobbiamo assolutamente parlare con lui e la moglie
al più presto, mi chiedevo se volevi venire con me
data la famiglia coinvolta».
- «Dammi una mezz’ora e sono in commissariato da
te».

Cinquanta minuti dopo Martini, il questore ed un paio di


agenti erano seduti nel salotto della villa sulle colline
torinesi di proprietà del professor Del Gaudio.
La signora piangeva silenziosamente in un angolo della
stanza arredata in stile Luigi XIV, probabilmente con mobili
originali dell’epoca, mentre il professore ostentava
un’espressione rassegnata, quella di chi si aspettava da
tempo una notizia tanto terribile, ed aveva preso posto
vicino al questore.
- «Siamo davvero desolati, speriamo sempre di non
dover mai dare notizie simili ad un genitore ma
vostra figlia è stata riconosciuta da un suo amico,
Marco Ajmoni-Marsan, come la ragazza rinvenuta
questa mattina nel giardino della vecchia Italgas»,
esordì il questore.
- «Devo provvedere al riconoscimento, comunque».
- «Certo, domattina potrà recarsi al centro di medicina
legale».
- «Mi scusi, professore, ma se dovesse trattarsi di sua
figlia come pensiamo… può dirci qualcosa di lei?»,
domandò Martini.
- «Non avevamo grossi contatti con Marika, ormai era
grande, si gestiva da sola».
- «Aveva terminato gli studi?»
- «No, aveva cominciato Medicina ma non è andata
oltre il secondo anno».
- «È proprio vero che a volte non si seguono le orme
paterne… Si era iscritta ad un’altra facoltà?»
- «No ma le ripeto, non avevo grossi contatti con mia
figlia, non so se avesse optato per qualcos’altro».
Il professore sembrava nervoso, il che era comprensibile
visto che gli avevano annunciato che con grossa probabilità
sua figlia era ospite di una camera mortuaria, ma le ragioni

18
dovevano avere ben diverse da quella che appariva come
scontata. Martini aveva già avuto a che fare con genitori che
avevano appena perso un figlio e le reazioni erano state
diverse, dalle urla al dolore composto, dagli svenimenti alle
aggressioni a chi era stato incaricato di avvisare le famiglie.
Non aveva mai visto tanta indifferenza in un padre.
- «Professore, lei sapeva che genere di compagnie
frequentava sua figlia?»
- «So che non erano consone alla sua persona ma
soprattutto a noi. I nostri rapporti si erano diradati
anche per questo».
- «Immaginava che facesse uso di sostanze
stupefacenti?»
- «Non vedo come…»
- «Professore, le parlerò da uomo a uomo, la prego di
non prendersela».
Lo sguardo di Fissore diceva Attento a dove metti i piedi.
- «Mi dica commissario».
- «Se la ragazza che è in questo momento all’obitorio
è sua figlia, lei ha il diritto di sapere che era piena di
coca quando l’abbiamo trovata, ed è morta
ammazzata da un’iniezione di cocaina pura.
Dovrebbe sapere meglio di me che non è una bella
morte».
- «Certo che lo so».
- «Le sto solo chiedendo di essere sincero, professore.
Tutto quello che lei dirà non uscirà da questa stanza,
non siamo giornalisti. Il questore ed il giudice per le
indagini preliminari hanno disposto il più alto grado
di segreto istruttorio. Se quella ragazza è sua figlia
merita il suo aiuto».
- «Mia figlia non meritava nulla, commissario».
- «Per quale motivo?». L’affermazione era piuttosto
pesante.
- «Si drogava. Aveva vent’anni la prima volta che ha
provato la cocaina a Montecarlo. L’abbiamo mandata
nelle migliori cliniche del mondo, a ventidue anni
sembrava esserne completamente uscita, ma ci ha

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solo presi in giro. Io e sua madre siamo stati a Parigi
per festeggiare un anniversario di matrimonio,
quando siamo tornati avevamo la casa letteralmente
invasa da ragazzi pieni di coca. Abbiamo minacciato
di chiamare la Polizia e sono scappati tutti. Lei ha
fatto una scenata, non ha nemmeno provato a
negare. Quando ha alzato le mani su sua madre ha
fatto traboccare il vaso… L’ho cacciata di casa, in
maniera definitiva».
- «Non avete più provato a mandarla in comunità?»
- «Commissario, sono un medico. Aveva avuto le
migliori cure ed assistenza possibili, nonostante
questo aveva continuato a fare i suoi porci comodi
alle nostre spalle. Fingeva di volere il nostro aiuto e
poi ci pugnalava alle spalle. L’ha fatto per due anni.
Ci siamo stancati, la sopportazione ha un limite
anche verso i figli».
- «Come faceva Marika a mantenersi? Non aveva un
lavoro fisso e abitava da sola... Abbiamo dei sospetti
ma crediamo che il tenore di vita che riusciva a
sostenere non fosse raggiungibile soltanto con dello
spaccio saltuario».
- «Mia moglie ha insistito perché continuassimo a darle
dei soldi, per quello che mi riguarda avrei speso tutto
in adozioni a distanza. Un bonifico di cinquemila euro
partiva tutti i mesi dal mio conto corrente in maniera
automatica. Non ha mai detto grazie».
Una vera vipera.
- «Da quanto tempo non vi vedevate?»
- «Dalla sera in cui l’ho trovata in casa con quei
maledetti».
- «Non sa dove abitasse? Non l’ha più sentita
nemmeno al telefono?»
- «No».
Bene, ci toccherà trovare la casa seguendo le tracce del
cellulare, riesco già a sentire i cristoni di Spanò.
- «L’ho sentita io».

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La signora Del Gaudio parlò per la prima volta, stupendo
soprattutto il marito.
- «Come dice, signora?», interloquì il questore.
- «La sentivo io».
- «Antonia! Non posso crederci!», il professore si alzò
in piedi e prese a percorrere la stanza a grandi passi
nervosi, gesticolando con foga. «Ti rendi conto? Hai
sempre voluto dargliele tutte vinte! È stata colpa
nostra se Marika è diventata quello che era».
- «Era mia figlia, tu non l’hai mai capita!»
Martini si avvicinò alla donna, visibilmente sconvolta, e
l’approcciò con tono comprensivo.
- «Signora, quando ha parlato con sua figlia l’ultima
volta?»
- «Giorno undici, verso le sette… Stava bene, diceva
che sarebbe andata a Milano con Carlo, era
tranquilla…»
- «Non le ha detto nulla?
- «Nulla, commissario».
- «Aveva rovinato anche quel povero ragazzo»,
lamentò Del Gaudio. «Tutto quello che toccava si
distruggeva! E tu l’hai aiutata!»
- «Era mia figlia!»
Martini e il questore si scambiarono un’occhiata d’intesa.
Leviamo le tende, i litigi non sono affar nostro.
- «Professore, signora… Noi togliamo il disturbo, la
nostra presenza qui non è più necessaria e ci
rendiamo conto della difficoltà di questo momento...
Il dottor Pignataro dell’istituto di medicina legale vi
aspetta domattina per un riconoscimento ufficiale, io
sono disponibile in questura per ogni vostra richiesta,
la stesa cosa vale per il dottor Martini».
Il professore li accompagnò alla porta, li ringraziò
brevemente e li accomiatò; in macchina Martini e Fissore si
scambiarono le prime impressioni.
- «Lui è un uomo duro. Corretto, ma duro… Non sono
in molti a trattare i propri figli in questo modo, anche
se ne combinano di tutti i colori».

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- «Mettiti nei suoi panni… È un medico, è una persona
importante. Non può rischiare di perdere la faccia e a
pensarci bene non sarebbe neppure giusto.
Evidentemente la moglie è una persona debole o
comunque facilmente manipolabile… È dovuto
intervenire il marito quando la figlia ha cercato di
aggredirla, e nonostante questo lei ha insistito per
continuare a passarle dei soldi e tranquillamente le
rivolgeva ancora la parola».
- «Abbiamo informazioni ufficiose su questo fiorellino
di famiglia?»
- «Mia moglie fa la ginecologa, è la tua ragazza la
giornalista…»

Martini rientrò a casa che erano le tre passate. Trovò sul


tavolo un biglietto di Viola. “Ti ho lasciato da parte la cena
ed il dolce, ti aspetto a letto, se dovessi dormire quando
torni svegliami, voglio sapere chi è la ragazza”.
Saltò la cena, gli eventi e le parole della serata gli
avevano fatto passare la fame, e raggiunse la donna a letto.
Dormiva talmente beata che gli dispiaceva destarla, cercò di
spogliarsi senza fare rumore. Quell’immagine di lei
contrastava talmente quella diurna, chiacchierona ed attiva,
che spesso rimaneva a guardarla chiedendosi quale gli
piacesse di più. Sorrise ricordando come si erano conosciuti.
Poco più di dieci anni prima dei suoi cugini, figli di una
sorella del padre trasferitasi in gioventù a Roma, erano
andati a Torino a visitare la città e lui li aveva portati al
Museo Egizio. Uno aveva insistito per vedere anche la
Galleria Sabauda, che si trovava al piano superiore.
I cugini erano spariti nelle varie sale e lui aveva preso a
girare da solo per la pinacoteca. Ad un certo punto aveva
notato una ragazza, immobile davanti ad un quadro.
Bellissima, aveva pensato.
Le si era avvicinato, aveva preso a fare lo scemo e
quando si era presentato lei aveva chiesto, evidentemente
interessata, “Discendente di quel Martini?” e lui aveva
risposto “Sì, forse alla lontana ma dovrei essere parente dei
proprietari della Martini&Rossi”. Lei era scoppiata a ridere
come se lui avesse detto la cosa più assurda del mondo, e

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aveva un sorriso bellissimo. “A dire il vero parlavo di Simone
Martini, era un pittore del Duecento”.
Il resto era storia.
- «Viola, amore?»
- «Mmmmm… Sei tornato… Ma che ore sono?»
- «Le tre e venti».
- «Allora, cosa dice Del Gaudio?»
- «Sapevano che la figlia si drogava, le passavano un
tot al mese per evitare gli scandali».
- «Ma che bella famiglia felice...»
- «Del Gaudio dice che la figlia aveva rovinato
Bosco…»
- «Non mi riesce difficile concordare con lui».
- «Salvo ha tardato qui da noi?»
- «Abbiamo finito di cenare e poi abbiamo fatto due
chiacchiere, nulla di che, saranno state le undici
quando è andato via... Vieni a nanna?»
- «Agli ordini capo…»



Martini dormiva ancora alle otto meno venti del mattino


ma a quanto pareva Montali no: La cavalcata delle Valkyrie
di Wagner, gentilmente offerta dal suo Motorazer, svegliò lui
e Viola di soprassalto.
- «Pronto?»
- «Commissario sono Mont…»
- «Giuseppe, sono andato a dormire alle tre e mezza…
Spera di avere una buona ragione».
- «Abbiamo trovato Carlo Bosco».

23
- «Ah… Era a Milano?»
- «Era morto, commissario. Sotto il ponte sulla Dora di
via Rossini…»
- «Il dottor Pignataro è lì?»
- «Sì, ci sono anche anche il dottor Spanò e il
giudice».
- «Benissimo, manda una volante a prendermi tra una
mezz’oretta».
- «Ah, commissario, Costel ha chiamato Ferretti
questa mattina alle sette, ha detto di avere qualcosa
per noi».
- «Lo voglio alle undici in ufficio. Ricordati di mandarmi
la macchina, ci vediamo più tardi»
Appoggiò il cellulare sul comodino e guardò Viola.
- «Hanno trovato Bosco, morto».
- «Quando chiedi di Salvo immagino sempre…»
Lorenzo ebbe un’idea.
- «Amore, c’è una qualche tuo collega che si occupa di
cronaca cittadina… rosa?»
- «Sì… Aspetta… Non proprio “cittadina”, ma lei è di
Torino, quindi conosce molto bene l’ambiente… Si
chiama Chiara Pozzato. Perché?».
- «Pensi che ci potrebbe passare qualche pettegolezzo
su Del Gaudio e su Bosco? Stranamente voi
giornalisti sapete spesso cose che noi sbirri neppure
ci sogneremmo»
- «È il nostro mestiere… Vuoi che te la porti in ufficio?»
- «A cena non si può?»
Viola sfoggiò un’espressione che diceva Quella stronza in
casa mia non ci metterà mai piede.
- «Non sono esattamente pazza di lei, preferirei
portarla lì».
- «Come vuoi… Se riesci a rintracciarla riesci ad
organizzarmi un incontro nel pomeriggio?»
- «Ti chiamo… Ti ripeto, non siamo grandi amiche, può
anche darsi che mi dica di no».
- «Aspetto una tua chiamata allora»

Un paio d’ore dopo Martini ed il questore erano a casa


dei signori Eugenio e Maria Bosco e si resero conto che

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quasi sicuramente i due non immaginavano quali fossero e
vizi e le virtù del figlio. La loro sì che è una reazione
normale, pensò Martini.
La signora aveva avuto una crisi di nervi e il marito
l’aveva messa a letto con l’aiuto di una domestica e di un
paio di sonniferi; lui stesso, con gli occhi gonfi di pianto,
scuoteva la testa e non si capacitava di ciò che era
successo.
- «Signor Bosco», disse finalmente il questore,
«abbiamo bisogno che rispondiate a qualche
domanda. Ci rendiamo conto di quando possa essere
terribile ma è necessario che ricostruiamo le ore
precedenti alla morte di Carlo».
- «Non posso nemmeno aiutarvi, è questo il fatto. Ero
in Germania con mia moglie, io ero lì per lavoro e lei
voleva vedere Francoforte… Siamo rientrati cinque
ore fa, abbiamo fatto i salti mortali per tornare a
Torino dopo che Marco ci ha avvertiti… Lui e mio
figlio erano molto legati, povero ragazzo, le aveva
provate tutte per aiutarlo».
- «Lei sapeva che suo figlio faceva uso di stupefacenti,
signor Bosco?»
- «L’ho saputo soltanto quando ne è uscito… Aveva
chiesto aiuto a Marco e non a me, ma Marco ce
l’aveva fatta… L’ha portato in Svizzera per tre mesi e
quando è tornato Carlo era una persona diversa…».
- «Non si è stupito quando ha appreso questo lato di
suo figlio? Non è intervenuto in nessun modo?»
- «Le ripeto, avevo qualche sospetto prima ma ho
avuto la certezza della sua tossicodipendenza
soltanto quando ne era già fuori… Purtroppo nel
nostro ambiente non è raro che avvengano cose
simili».
- «Voi conoscevate Marika?», s’inserì Martini.
- «La conoscevamo perché era figlia di suo padre,
commissario, e sinceramente non ci piaceva.
Sebbene non si drogasse più Carlo non voleva
abbandonarla, diceva che era buona, che l’amava...
Né io né mia moglie l’abbiamo mai avuta in simpatia
ma certo non potevamo proibire a Carlo di

25
frequentarla, non puoi permetterti di scremare le
amicizie e gli amori dei tuoi figli se hanno già ventisei
anni».
- «Lei sostiene comunque che Carlo avesse smesso
con la droga…»
- «Sì, ne sono sicuro. Era evidente. Si era messo a
lavorare con Marco, stavano sviluppando un’idea che
avevano sin dal liceo… Insomma, nell’ultimo anno
c’erano stati dei cambiamenti positivi».
- «Marco non viveva più con voi, vero?»
- «No, divideva un appartamento con Marika in via
Belfiore».
- «Potrebbe lasciarci l’indirizzo preciso?» Finalmente
qualcosa di concreto!
- «Dovrebbe essere il numero… Aspetti…», Tirò fuori il
portafoglio dalla tasca della giacca ed estrasse un
bigliettino. «Via Belfiore quarantatre».
Sia a Martini che a Fissore parve chiaro che Bosco non
poteva aiutarli oltre e dopo le rituali raccomandazioni,
riguardanti il non allontanarsi dalla città ed il renderli
partecipi di ogni cosa che potesse facilitare le indagini,
lasciarono la villa.
- «Tu pensi che Bosco ne fosse uscito come sostiene
suo padre?»
- «La sua versione e quella di Marco collimano…
Chiama Spanò, Bruno, se sente la tua voce è
possibile che si sbrighi molto prima…
Quell’appartamento va perquisito, per adesso
abbiamo soltanto vittime e qualche pista
impercorribile per mancanza di conferme… Non è
detto che invece non troviamo lì qualcosa che ci aiuti
davvero».
- «Perfetto… Tu senti cos’ha da dire il tuo informatore,
e speriamo che la collega di Viola possa rivelarci
qualcosa che ancora non sappiamo su queste
persone… I figli ormai li conosciamo, sono i padri
quelli che vorrei riuscire a capire meglio».

Quando riuscì a sedersi sulla poltrona del suo ufficio


erano ormai le undici e venti e Costel Baltag stava già

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aspettando da un bel po’ insieme a quello che doveva
essere un suo connazionale e a Montali.
Rumeno, cinquantenne, paffuto, con qualche precedente
per scippi e furti d’auto, Costel aveva deciso di smettere di
delinquere e aveva messo la testa a posto una quindicina
d’anni prima per sposare una coetanea italiana altrettanto
ben piazzata fisicamente. La sua attività al mercato di Porta
Palazzo come verduriere, la sua curiosità morbosa, l’udito
fine e la marea di conoscenze dovute al carattere gioviale e
alla parlantina lo rendevano un prezioso collaboratore.
- «Ciao Costel».
- «Salve commissario». La mano ruvida del rumeno
strinse la sua. «Il mio amico Marian ha qualcosa da
dirle».
Marian guardò Costel, titubante.
- «Ti ho detto che puoi parlare col commissario,
Marian, è una persona fidata e tu non hai fatto nulla
di male… Sta’ tranquillo».
- «Commissario, l’altra notte ero in giro e avevo
bevuto moltissimo… Ero andato a casa di un amico
che festeggiava l’anniversario di nozze, poi ci siamo
spostati in una taverna rumena e lì ci siamo
ubriacati... Tornavo a casa a piedi sul Lungo Dora e
ho pensato di accorciare un po’ la strada, volevo
passare dal giardino interno della scuola che c’è lì».
Martini capì che parlava dell’università.
- «Non sapeva che adesso c’è il cancello?», domandò,
riferendosi alle basse ringhiere in metallo con le quali
da poco tempo veniva chiusa la facoltà alla sera,
come se la si potesse, con quel mezzo ridicolo,
preservare dai furti.
- «Sì, ma quelle scavalca anche un bambino
commissario… e poi io non rubare, solo accorciare la
strada per tornare a casa».
L’italiano del suo interlocutore era incerto, ma Martini
comprese dal suo sguardo che questi aveva soprattutto
paura di finire in galera e lo rassicurò.
- «Continui pure, Marian, nessuno la sta accusando di
niente».

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- «Sono entrato nel giardino e per terra ho visto una
bella ragazza nuda… ero ubriaco, io non ho mai fatto
una cosa simile altrimenti, ma era lì senza vestiti…»
Marian non poteva sapere di aver violentato una morta,
sicuramente tra l’ubriachezza e la foga non se n’era neppure
accorto.
- «Marian, le ripeto, lei non è accusato di niente…
Deve dirmi soltanto se ricorda qualcosa in
particolare, non so… Un oggetto, una macchina, delle
persone».
- «Non c’era nessuno in quel momento, era tardi, era
mezzanotte, solo… sì, forse una cosa ma non credo
che importa».
- «Non si preoccupi di sembrare superfluo, mi dica
tutto».
- «C’era una macchina molto bella, commissario».
- «Che macchina? Me la può descrivere? Ricorda il
marchio?»
- «No, non ricordo… in realtà l’ultima cosa chiara che
ho in mente è qualcuno che mi punta una forchetta
in faccia, non ricordo chi è stato però. Hanno provato
a cacciare me e miei amici in molti modi dalla
taverna, forse è stato lì… ma me confuso».
- «Solo un’ultima domanda… È stato lei a mettere
nella vagina di quella ragazza quella bottiglia?»
- «Non avevo bottiglie, non ho fatto niente a parte…»
- «Capisco. Signor Marian, la ringrazio moltissimo, lei
ci è stato molto utile». Forse non sapremo mai chi le
ha messo lì quella bottiglia, potrebbe essere stato
chiunque sia passato di lì, per sfregio.
- «Davvero non dovete farmi niente? Non vuole vedere
nemmeno il permesso di soggiorno?», si stupì,
mentre riponeva il prezioso documento che Martini
nemmeno aveva dispiegato.
- «No. Può andare. Grazie per l’aiuto Costel». Strinse
la mano di entrambi e notò che Marian non riusciva a
distenderlo completamente.
- «Che le è successo al braccio?»

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- «Nulla, credo mi sono fatto male l’altra notte ma di
nuovo non ricordo come, ho livido e molto dolore
anche sul fianco ma io deve lavorare, non può
andare in ospedale».
- «Cerchi di non trascurare… Arrivederci».
I due salutarono e lasciarono l’ufficio.
- «Crede che abbia detto la verità, commissario?»
- «Ti dirò, mi è parso sincero. Avrebbe potuto anche
non presentarsi, è venuto addirittura col permesso di
soggiorno… Che doveva fare ancora?»
- «È che a volte sono davv…»
Squillò il telefono.
- «Pronto?» Era Spanò della Scientifica.
- «Lorenzo, sono Andrea. Sono al quarantatre di via
Belfiore, il questore ha detto che era della massima
importanza… E lo è davvero. Vuoi fare un salto o
preferisci che ti riassuma tutto al telefono?»
- «Riassumi, ieri sera non ho mangiato, stanotte ho
dormito quattro ore e se non bevo una tanica di caffè
con un chilo di croissant adesso mi sento male».
Montali si allontanò, cogliendo il messaggio subliminale
del suo capo: Procurami del cibo.
- «Ti do prima le cattive notizie, che però
confermeranno i tuoi sospetti, credo. Abbiamo
trovato il “kit del piccolo tagliatore di cocaina” nei
pensili della cucina, delle dosi nell’armadio della
camera da letto, dei video porno fatti in casa, un
sacco di bei giocattolini nel comodino, mezzo
miliardo di preservativi usati fra pattumiera e
gabinetto…»
- «Sembra evidente che la Del Gaudio si prostituisse».
- «Beh, a meno che non fosse una gran…»
- «Andrea…»
- «…non vedo altre possibilità, questa stanza sembra
un sexy shop..»
- «Il testimone ha parlato di orge, festini a base di
coca… combacia. Dammi le buone notizie adesso».
- «Ci sono due cellulari e in cucina abbiamo trovato
una rubrica ed un quaderno di partita doppia con dei
dare ed avere in denaro ed in dosi, ci sono un sacco

29
di numeri di telefono, non sarà facile tracciarli tutti
ma in capo a stasera dovrei poterti dare i risultati, se
non altro di quelli che risulteranno essere i più
rilevanti».
- «Era precisa… Puoi mandarmi le fotocopie
dell’agenda?»
- «Sembra il servizio clienti “Pronto Spaccìno”, a parte
i numeri è zeppo di nomi, cognomi, per alcuni anche
indirizzi… doveva avere un bel giro».
- «Sfido, conosceva tutti i ricchi di Torino, i
consumatori abituali di coca sono loro». Martini
sorrise fra sé e sé. Spanò era sempre a dir poco
creativo nelle sue descrizioni.
- «Infatti qualche cognome è veramente altisonante».
- «Analizzala e mandamela, ok?»
- «Sarà fatto… ti faccio sapere».
Mentre finiva di parlare con Spanò era tornato Montali
con un vassoio colmo ed un messaggio per lui.
- «Ha chiamato la signorina Viola, ha detto che per le
due e mezza sarà qui con una sua collega come
avevate concordato… le ho preso qualcosa da
mangiare, non vorrei mai che la signorina la trovasse
di cattivo umore».

Puntuali come un orologio, Viola e Chiara Pozzato alle


due e ventinove erano sedute nel suo ufficio.
- «Finalmente conosco il commissario con gli occhi blu
che ha incantato la nostra scrittrice!»
Chissà perché il modo in cui aveva detto nostra scrittrice
non gli era piaciuto, suonava quasi derisorio. Viola lo guardò
come a dire Capisci adesso perché non la sopporto?
La Pozzato aveva più o meno cinquant’anni, i capelli
biondo platino e sembrava essersi truccata appositamente
per mettere in luce le rughe che di certo cercava
disperatamente di nascondere.
- «Chiara, Viola ti ha spiegato perché abbiamo bisogno
del tuo aiuto?»
- «Sì, ma non credo che vi sarò utile. I genitori di quei
due sono personaggi troppo in vistai, di loro si sa
praticamente tutto…»

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Il telefono interruppe il discorso.
- «Pronto?»
- «Ho i risultati di Bosco». Era Pignataro.
- «Allora?».
- «Il nostro amico è morto per un’iniezione di coca
come la sua fidanzata, ti stupirà sapere che non era
abbastanza per ucciderlo in condizioni normali… era
malato di cuore, probabilmente non lo sapeva
neppure lui, ha ceduto per una malformazione
congenita che da problemi reali in un caso su
diecimila, avrebbe potuto vivere fino ad ottant’anni e
non avere attacchi. La cocaina pura in vena ha creato
un meccanismo per il quale il cuore è stato
sottoposto ad uno sforzo eccessivo, la malformazione
ha fatto il resto. I genitori non hanno mentito
comunque, non si drogava da parecchio».
- «Capisco… Ti ringrazio molto». Forse non volevano
ammazzarlo… Una morte accidentale?
- «Aveva due costole rotte». Il tono del medico era
dubbioso.
- «Che vuoi dire?»
- «Capita quando si cerca di rianimare qualcuno e ci si
mette troppa forza, solo che… Perché dare della coca
in vena a qualcuno e poi fargli un massaggio
cardiaco? Non ha senso… Ho cercato segni di caduta,
ecchimosi, altre fratture, ferite da difesa, ma non c’è
niente. Non può esserseli fatti in nessun altro modo,
hanno cercato di evitare che morisse ma non capisco
perchè».
- «Questo cercherò di scoprirlo io… Ciao Salvo»
- «Ciao Sherlock».
L’attenzione di Martini tornò a Chiara e Viola.
- «Delle mogli di Del Gaudio e Bosco cosa sai dirmi?»
- «Antonia Macchi ha sposato Luciano Del Gaudio nel
settantotto. Faceva l’anestesista, si sono incontrati in
una sala operatoria ed è scattato il colpo di fulmine.
Lei è milanese di origini ma quando si sono sposati
Del Gaudio ha insistito per abitare a Torino. Non
esercita più dal giorno prima del matrimonio, e che io

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sappia non ha mai tradito il marito, sebbene sia una
bella donna e sia rimasta a casa da sola molto
spesso non si è mai udita una chiacchiera. E se non
lo so io puoi star tranquillo. Praticamente vive
nell’ombra del marito».
- «E la Bosco?»
- «Maria Bellone è figlia di operai, esattamente come il
marito. Hanno fatto fortuna insieme, pare che si
siano conosciuti ad una festa universitaria e che non
si siano mai più lasciati. Al contrario della Del Gaudio
si fa spesso vedere in giro, viaggia con il marito…
Lavorava con lui prima, la nascita di Carlo l’ha
costretta ad assentarsi sempre di più finché non ha
smesso del tutto. La conosco di persona, è quella che
viene comunemente definita una brava donna».
- «In città si sapeva delle defaillance dei due pargoli?»
- «Si sapeva, ma si preferiva evitare di parlarne. Come
al solito, insomma».
- «Beh, Chiara, io ti ringrazio molto…»
La donna gli allungò un biglietto da visita ed un floppy
disk, cercando di usare uno sguardo seducente.
- «Qui ci sono dei file, articoli che ho scritto sulle
famiglie, interviste fatte, magari possono esserti utili,
potrei aver dimenticato qualcosa… Qui invece ci sono
tutti i miei numeri, se hai bisogno di me… chiamami
quando vuoi».
Quando fu uscita dall’ufficio Martini si avvicino a Viola,
visibilmente contrariata.
- «Mi dai un bacio?»
- «No, sto programmando un omicidio… Anzi, un
cretinicidio».
- «Non penserai davvero che possa prendere in
considerazione quella strega avvizzita, vero?»
- «No, è lei che ha preso in considerazione te, mentre
io sto prendendo in seria considerazione un
cretinicidio…»
- «Se commetterai questo cretinicidio dovrei metterti
le manette… So che si chiama istigazione a
delinquere ma l’idea mi piace, falla fuori».
Viola scoppiò a ridere e lo guardò maliziosa.

32
- «Magari più tardi, commissario, ci vediamo a casa».



Verso le sei e mezza del pomeriggio Martini dava


un’occhiata distratta al dischetto che Chiara Pozzato gli
aveva portato. Solo cose inutili, pensò. Il colore del vestito
della signora Bosco al Ballo della Croce Rossa di Monaco;
una partita di tennis di beneficenza fra vip a Milano; il
professor Del Gaudio che annunciava la prossima apertura
di una sua clinica specializzata in chirurgia plastico-
ricostruttiva sulle colline torinesi, centro che probabilmente
avrebbe visto scorrere fiumi di botox nelle rughe di donne

33
facoltose; il nuovo collier di brillanti acquistato dalla signora
Del Gaudio durante lo shopping in via Condotti a Roma.
Entrò Bassani con le copie appena giunte dell’agenda
che Spanò aveva trovato a casa delle vittime. Andrea non
aveva esagerato dicendo che c’erano nomi e cognomi del
fior fiore della città. Al fondo, però, senza seguire l’ordine
alfabetico rigoroso usato per i clienti, c’erano due nomi che
forse potevano sbloccare davvero la situazione. Ci meditò su
una ventina di minuti, poi chiamò i “soccorsi”.
- «Montaaalii!!!», urlò.
In meno di dieci secondi il collega si materializzò nel suo
ufficio.
- «Dottore?»
- «Siediti qui, ho bisogno di ragionare».
Montali, che ormai conosceva il suo capo, prese posto di
fronte a lui. Sapeva che l’acume di Martini aveva bisogno di
uno specchio con cui confrontarsi e piuttosto che parlare da
solo preferiva avere davanti lui, che solitamente esprimeva
il proprio parere per le sue elucubrazioni. Martini era strano,
poco ma sicuro. A volte camminava per le strade del centro,
per ore, con la fidanzata, spiegandole lo svolgimento di
un’indagine in un dato momento, chiedendo la sua opinione
su ogni cosa. La signorina Ferrari era notoriamente una
persona intelligente ma Montali si era convinto col tempo
che anche lei fosse un mezzo per comparare le sue
impressioni con qualcun altro. Martini aveva anche la testa
dura, era ostinato e coriaceo, e Viola sapeva sicuramente
tenergli testa, molto più di quanto sapesse e potesse fare
lui.
- «Allora, sappiamo che lei era un bel fiorellino di
campo, guarda qui chi frequentava però».
Il commissario gli mise sotto il naso una fotocopia
sottolineata con un evidenziatore, alla quale aveva aggiunto
dei cognomi a penna.
- «Amhed Kassam e Jamel Ysuf…Mmm…»
- «Ho fatto una ricerchina sul database nuovo...
Dovremmo proporre per il premio Nobel l’informatico
che l’ha creato». Il nuovo sistema prevedeva anche
ricerche incrociate. Martini aveva inserito i nomi
Amhed e Jamel, il criterio era la parola “cocaina”: i

34
nomi erano molteplici ma due risultavano essere stati
arrestati nella stessa data. Prima che Montali
entrasse aveva stampato le loro schede. «Questi due
simpatici benefattori li ha messi dentro Morelli di
Barriera Nizza sei anni fa. Il Pm aveva prove
circostanziali per lo spaccio di cocaina, non hanno
potuto dimostrarlo però, sono stati dentro per
spaccio di droghe leggere fino a due anni e mezzo
fa… Chiamiamo Morelli, voglio capire cosa non ha
funzionato e che prove mancavano, perché forse
adesso le abbiamo noi».
In meno di mezzo minuto si misero in comunicazione
con Daniele Morelli, commissario del distretto di Barriera
Nizza.
- «Oh, Martini, dimmi tutto. Non ci vediamo da una
vita! Come stai? Ma non dovevi partire?»
- «Stendiamo un velo pietoso, se incontri Viola per
strada evita le parole “Norvegia”,”viaggio”, “partenza”
e “vacanze”… Sto bene comunque, ti ringrazio… Tu?
La tua famiglia? Tua moglie a che mese è?»
- «Non ci lamentiamo! Dovrebbe partorire tra un
mesetto… sembra un dirigibile! Piuttosto, volevamo
fare i complimenti a Viola per l’ultimo libro, l’abbiamo
letto in meno di due giorni, è stupendo!»
- «Le porterò i vostri complimenti, magari una sera di
queste andiamo a mangiare una pizza fuori».
- «Per me va benissimo, ma qualcosa mi dice che non
mi hai chiamato solo per invitarmi in pizzeria».
- «Infatti… Ti dicono qualcosa Amhed Kassam e Jamel
Ysuf?»
- «Qualcosa posso dirtela di sicuro, sono due stronzi.
Ai tempi ero ancora ispettore in zona San Donato… Li
abbiamo tampinati per mesi ma non siamo
comunque riusciti ad incastrarli sulla coca. Sono
furbi, molto furbi».
- «Dove credevate che prendessero la coca? Il Marocco
non è un paese produttore di certo».
- «Infatti, l’operazione era coordinata con dei colleghi
di Milano, le tracce portavano sin lì, stavamo
cercando di capire chi fossero i fornitori ma ti ripeto,

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quei due sono furbissimi. Avevamo persino pensato
di infiltrare qualcuno, a Milano il giro è molto piiù
grosso che qua, e so che… Aspetta… Teodoro
Brambilla, ecco chi è il collega, sta ancora dietro alla
cosa, cercalo… Comando Duomo, lì nel locali del
centro scorre a fiumi, quando sono stato lì ho visto
cose che noi poveri poliziotti torinesi neppure
sogniamo».
Milano? Ma quei due non avevano casa a Milano? Forse
le complicatissime ipotesi accampate da lui e dal questore di
ritorno da casa Del Gaudio la notte precedente erano del
tutto inconsistenti, la morte dei due ragazzi cominciava a
farsi sempre meno misteriosa.
- «Insufficienza di prove, dice la scheda».
- «Sì. Lo spaccio c’era, mettici la mano sul fuoco.
Quanto siamo andati a prenderli però non ne
avevano né in casa né addosso. Nemmeno un
granello. Spanò e company avevano rivoltato l’intero
condominio e non avevano trovato nemmeno un
grammo di polvere bianca».
- «E sei io potessi darti la prova che ti mancava?»
- «La pizza te la offro io. Cos’hai?»
- «La ragazza che abbiamo trovato ieri mattina…».
- «La Del Gaudio? Sì, il questore mi ha detto che te ne
stai occupando tu».
- «Bene, Spanò stavolta ha recuperato a casa sua
un’agendina, lì c’erano scritti i nomi di quei due
simpaticoni. Spacciava coca e ne è morta. Fatti due
conti».
- «Notiziola di prima mano… Andiamoli a prendere».
- «Sento prima il questore, dopodiché organizziamo il
tutto. Tieni conto dell’effetto sorpresa, non si
aspettano niente, possiamo anche sbatterli dentro
domani no? Ti faccio sapere».
Montali lasciò che Martini terminasse la chiamata,
dopodiché domandò cosa avesse in mente.
- «Vedi Giuseppe, noi pensavamo che ci fosse dietro
chissà cosa visto chi c’è di mezzo, invece dopo il
ritrovamento dell’attrezzatura per tagliare la coca a

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casa della Del Gaudio mi è parso evidente lo schema
più classico degli omicidi nel mondo dello spaccio».
- «Il regolamento di conti fra pesce grosso e pesce
piccolo? Pensa ad uno sgarro?»
- «Mah, abbiamo trovato un sacco di dosi nell’armadio,
è possibile che trattenesse la coca pura per se stessa
e rivendesse dosi molto più impure ai clienti. I due
l’hanno saputo e l’hanno rimessa al suo posto».
- «Questi nomi sono stati un immenso colpo di
fortuna… Telefoniamo al questore?»
- «No, tu chiami Teodoro Brambilla e gli chiedi da
parte mia vita, morte e miracoli di tutti quelli che
sono coinvolti nella loro indagine che sono
riconducibili per qualunque motivo alla nostra città…
Fatti mandare tutto, digli che c’è grossa possibilità
che ciò che era sfumato qualche anno fa con Morelli
ora forse si può fare, spiegagli tutto insomma, più gli
spifferi più ci aiuterà, non vorrei che pensasse che
cerco di fregargli l’indagine. Soprattutto, lasciagli
l’indirizzo di Bosco a Milano e raccomandagli una
perquisizione accurata».
- «E poi?»
- «Poi te ne torni a casa come faccio adesso, sono
quasi le otto… Ho molto, molto da fare e ti prego,
non disturbatemi prima delle dieci domattina, potrei
diventare pericoloso».

Svegliarsi con Viola accanto era una delle cose che gli
piacevano di più, se però era il telefono a scuoterlo dal
sonno e dall’altra parte del filo c’era Montali la giornata non
cominciava benissimo. Rispose al quarto squillo.
- «Dimmi la verità Giuseppe, tu sei un androide».
- «Perché?»
- «Non dormi mai, ecco perché. Che ore sono?»
- «Le undici meno un quarto, ho mantenuto la
promessa… Sono arrivati da Milano tutti i documenti,
anzi, Brambilla è stato molto disponibile, ha chiesto
di poter parlare con lei al più presto per poter
decidere una strategia comune, si è già messo in
contatto con Morelli».

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Martini per un momento si vergognò di essere ancora a
letto, poi guardò di nuovo la schiena di Viola e la vergogna
svanì all’improvviso.
- «Per curiosità… quando ti ha chiesto di me cosa gli
hai detto?»
- «Che aveva improrogabili questioni familiari da
risolvere e che lo avrebbe richiamato appena
rientrato in ufficio». La voce di Montali lasciava
trasparire ironia.
- «Che farei senza di te? Dammi una mezz’ora,
arrivo».

Brambilla era effettivamente una grossa fonte


d’informazioni e Martini comprese di aver trovato un alleato
prezioso nonché un buon investigatore.
- «Lorenzo, giusto? Perdonami, ma io odio chiamare i
colleghi per cognome. Sono Teo Brambilla, mi ha
cercato per tuo conto Giuseppe Montali».
- «Ciao Teo… Ti ringrazio per avermi dato risposte
tanto in fretta, è talmente insolito di questi tempi che
mi hai stupito. Ho letto con grandissimo interesse
l’incartamento che avete messo insieme,
chiaramente non ho fatto in tempo a finirlo ma devo
ammettere che dalle vostre parti c’è un bel
movimento..»
- «Grazie a te per averci messo in condizioni di riaprire
le indagini in direzione Torino, credevamo dover
gettare la spugna dopo l’arresto di sei anni fa, la
mancanza di prove concrete ci aveva tagliato le
gambe… Piuttosto, i tuoi imprevisti familiari si sono
risolti per il meglio?»
- «Sì, ti ringrazio molto». Martini tornò per un
momento a casa da Viola con la mente, poi si
concentrò sul proposito della telefonata. «Immagino
che le spiegazioni di Morelli e di Montali ti siano state
d’aiuto per comprendere la situazione di Torino….
Kassam ed Ysuf sono dei galletti qui ma sappiamo
bene che in confronto ai loro capi milanesi sono dei
signori nessuno».

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- «Ti dirò, a questo punto i capi milanesi a cui ti
riferisci devono essere per forza i gemelli Dida e
Ronaldo, come pensavamo sin dall’inizio».
- «Eh?!?!»
- «Dida e Ronaldo, sì, altrimenti non se ne esce. Clicca
sui link che ti sto inviando via mail, è più semplice
che dettarti i nomi».
Martini armeggiò per qualche secondo con il pc e si trovò
davanti le facce di due sudamericani dall’aria innocua,
paffuti e sorridenti.
- «Sembrano le foto dell’annuario scolastico, non delle
segnaletiche».
- «Sono carini, vero? Mai visti bastardi simili, te lo
garantisco».
- «Non si direbbe».
- «Provengono da una zona del Brasile…»
- «Brasile, non Colombia?», l’interruppe Martini.
- «Sì… Nazario e Diego Valera Dos Milagros y Randega,
che noi in commissariato chiamiamo per comodità
Dida e Ronaldo, sono fratelli. Sono nati a Cruzeiro do
Sul, una cittadina relativamente piccola per i canoni
del Brasile, “appena” duecentotrentamila abitanti, fra
Amazzonia e Mato Grosso».
- «Complimenti per la fantasia, non avreste potuto
trovargli nomi migliori…»
- «In commissariato siamo tutti del Milan o dell’Inter e
dovresti vedere come gli somigliano, è pazzesco»,
ridacchiò Brambilla.
- «In geografia avevo cinque quando andava bene,
puoi spiegarmi perché è così rilevante la loro
provenienza?
- «Quelle regioni confinano con la Colombia a nord, il
narcotraffico spesso passa per le regioni tropicali del
Brasile per forza di cose».
- «Capisco…»
- «Per quello che ne sappiamo hanno grosse
conoscenze in Colombia, che a loro volta ne hanno in
Olanda, dove avviene lo smercio principale della coca
per l’Europa… Hanno problemi con la giustizia da

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quando erano ancora in fasce… Sono sospettati
anche di usura e tempo fa pensavamo che fossero
trafficanti internazionali di esseri umani, forse questo
era troppo persino per loro… La loro occupazione
principale è la cocaina».
- «E loro sono i principini milanesi della situazione».
- «Vedo che hai capito… Milano è lo spaccio principale
della coca per l’Italia e via di seguito. Considerata la
vicinanza i nostri Dida e Ronaldo preferiscono
conoscere direttamente i loro parigrado torinesi,
prima di tutto per verificare quanto sono al sicuro e
poi per valutare le potenzialità del mercato,
diciamo».
- «E così conoscono Kassam e Ysuf».
- «Già, collaborano ma qualcosa va storto, perché
Morelli li arresta».
- «Ed è allora che la migliore cliente di Kassam ed Ysuf
si fa avanti e funge da corriere fra Milano ed i
momentanei sostituti dei due… A proposito, a che
punto siete con la perquisizione a casa di Bosco?»
- «È un bell’appartamento naïf sui Navigli, vale un
sacco di soldi… Abbiamo già finito, non c’era nulla di
particolare dentro. Qualche busta di cocaina, una
specie di registro dei corrispettivi, per il resto è una
casa normalissima».
- «Non mi stupisce, lui si era ormai ripulito, era lei la
mela marcia tra i due… Noi abbiamo trovato un
quaderno con registrazioni in dare ed avere,
controlliamoli, magari sono uguali. Ah, il padre di
Carlo Bosco conosce mezzo Brasile, non è detto che
il figliol prodigo fosse il santo che abbiamo creduto
sinora. Potremmo approfondire in questa direzione,
magari troviamo elementi utili».
- «Certo, tienimi informato, intanto ti faccio avere
delle copie appena possibile, intanto avviso il mio
questore della collaborazione e spero racimolare
abbastanza prove per convincere il giudice a
firmarmi un mandato d’arresto per Dida e Ronaldo,
direi che voi per Kassam ed Ysuf ne avete anche per
omicidi…»

40
Quel pomeriggio stesso, verso le cinque, Martini, il
questore, Morelli ed il Pubblico Ministero Cosimo Dogliani, a
capo delle indagini, erano nel pieno dell’interrogatorio di
Amhed Kassam. L’avvocato di Amhed, il giovanissimo
Giuliano Fortebracci, assegnatogli d’ufficio dal tribunale, non
aveva abbastanza esperienza da manipolare l’interrogatorio
ed aggirare le domande più spinose, come invece avrebbe
fatto un qualsiasi giurista più navigato. Kassam parlava a
ruota libera, faceva mezze ammissioni per quanto
riguardava gli stupefacenti ma rispetto alla morte dei due
giovani declinava ogni responsabilità, il tutto
nell’imbarazzante silenzio del suo difensore.
- «Commissario Morelli, Marika lavorava per me. Che
motivo ho per ammazzare lei?»
- «Spacciava la cocaina per tuo conto, sai che il traffico
di droghe pesanti adesso va dagli otto ai vent’anni?»
- «Già», disse Dogliani, il reale titolare
dell’interrogatorio. «Considerate le aggravanti,
induzione a commissione di reato, concussione
sessuale del tossicodipendente, uso di sostanze
illegali, medicinali e tossiche per il “taglio” della roba,
starai dentro per circa trent’anni. Tutto questo senza
considerare l’omicidio, pensa!» Aveva citato tutte le
più tipiche cause di aumento della pena, forse senza
rendersi conto che potevano essere tutte
realisticamente applicabili.
- «Io non ho ammazzato lei! Lei puttana! Lei spacciava
per noi sì ma noi amici di lei!»
- «E Bosco?»
- «Carlo diverso… lui è buono, lui non spaccia perché
dice che cocaina uccide e lui non vende morte». Il
sorriso sardonico che gli si dipinse in faccia lasciò
intendere ai tre uomini di legge che Kassam vedeva
in Carlo Bosco un sempliciotto, un buono a nulla. I
sospetti di Martini sul ragazzo nati durante lo
scambio di informazioni con Brambilla caddero del
tutto.
- «E Marika vi faceva da tramite con Milano?»
- «Sì».
- «Chi le dava la roba a Milano?»

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- «Io non sa».
- «Suuuu, Amhed! L’omicidio è quanto di peggio
potessi fare, se ci dai una mano magari un’altra te la
diamo noi».
- «Voi sempre dice così, io non crede».
- «Vedi Amhed», disse il questore, «il tuo problema è
che non capisci… Sai che Marika vi fregava sulle
dosi?»
- «Impossibile, Marika fidata, io conosce e controlla
sempre, lei segna sempre tutto!!!» Il marocchino era
livido dalla rabbia, l’idea di essere stato gabbato da
una ragazzina di vent’anni più giovane lo faceva
imbestialire.
- «Tu sei un’idiota invece Amhed, perché tu controllavi
male! Marika tagliava la roba di nuovo dopo che tu
gliel’avevi passata, non so dirti se la rivendeva o se
se la faceva direttamente, fatto sta che guadagnavi
lo stesso rivendendo un prodotto molto più scarso.
Forse era un modo dei milanesi per estromettere te e
Jamel, che ne sai? Per quello che ne so io potresti
averla ammazzata per questo motivo».
- «Noi non ha ammazzato, io non ha ammazzato!
Forse Valera ha ammazzato ma non io non Jamel!»
- «Quindi la roba da Milano vi arriva dai Valera?»
- «Sì, loro porta in Italia, noi gestisce Torino ma Milano
più ricca e loro piange noi compra poco».
Da quel momento in poi Amhed Kassam prese a
lamentarsi della crisi, esattamente come avrebbero potuto
fare il suo panettiere o un pensionato alla fermata del tram.
Si lagnava di insolvenze e di clienti troppo esigenti, la
volevano sempre più pura ma poi volevano pagarla poco,
sosteneva. Dogliani aggiunse qualche domanda i rito,
dopodiché passarono a Jamel Ysuf, che li deluse rimarcando
la stessa identica linea del “collega” e negando a gran voce
l’omicidio.
- «Tu che ne pensi, Bruno?», chiese Martini mentre
tornavano verso il centro della città in auto.
- «Ti dirò, stranamente… mi veniva quasi voglia di
credere ad entrambi. Hanno ammesso tutto, fino
all’ultima schifezza, per quanto riguardava la droga,

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ma l’hanno definita addirittura un’amica, una
persona fidata… Bosco sembrava fargli quasi pena»,
rispose il questore.
- «Sono dei commedianti nati», s’inserì Morelli,
pienamente convinto della colpevolezza dei due.
- «Senza dubbio… sicuramente il pm formulerà anche
l’accusa per omicidio… Quei due disgraziati staranno
comunque dentro un bel po’, se non altro perché
avranno una difesa di quelle che Dogliani
abitualmente mangia a colazione… Bisogna solo
aspettare notizie da Milano adesso, credo che i due
brasiliani abbiano responsabilità più grosse».
- «Che io sappia Dida e Ronaldo sono ancora uccel di
bosco, Brambilla ha tirato su una vera caccia
all’uomo però, in capo a qualche giorno dovremmo
sapere qualcosa».
- «Benissimo, abbiamo trovato gli assassini di Marika
Del Gaudio e Carlo Bosco o comunque coloro che
hanno commissionato il tutto… Lorenzo, direi che
puoi andare in vacanza, vai pure a congelarti in
Norvegia, Matta rientra domattina stesso».
- «Posso sapere come mai è sparito senza dare
spiegazioni?»
- «Gli hanno rubato l’auto in una stazione di servizio
sulla Salerno-Reggio Calabria».
Pensando al suo schizzinosissimo vice in una situazione
simile a Martini trattenne a stento le risate.
- «Vorrà dire che per questa volta lo perdono…».

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Due sere dopo Martini e Viola stavano cenando, mentre


il telegiornale della sera, quasi giunto al termine, propinava
nuovamente ai telespettatori un servizio sullo sviluppo
dell’enogastronomia già mandato in onda all’ora di pranzo.
- «Mi dicevi che Brambilla ha preso i suoi Dida e
Ronaldo?»
- «Sì, li hanno presi ieri, con tanto di ringraziamenti al
sottoscritto, a Morelli e a Fissore».
- «Io ringrazio soprattutto Matta per essere tornato…
Chissà che brutta avventura la storia della macchina
Questo vuol dire che noi possiamo partire per la
Norvegia?»
- «Sì, certo, vado domattina stesso in agenzia a
prenotare i voli». Si sorrisero, poi l’attenzione di
Viola fu distratta da una pubblicità. Un’importante
azienda di telefonia aveva ingaggiato due calciatori,
non certo famosi per la loro cultura, per una
réclame.

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- «Guarda che bella Maserati che hanno». Mentre Viola
pronunciava il marchio dell’auto, Martini mosse un
braccio ed una posata cadde dal tavolo. «Amore, ti
cambio la forchetta?»
A Martini sembrò che qualcuno lo avesse punto con uno
spillo dietro la nuca, e quella era la sensazione che si
presentiva sempre quando qualcosa gli stava sfuggendo, lui
se ne rendeva conto e comunque non riusciva a capire di
cosa si trattasse. Viola lo capì al volo.
- «Questa è la segreteria telefonica del commissario
Lorenzo Martini, sono momentaneamente assente,
lasciate un messaggio dopo il segnale acustico,
grazie!»
- «Viola, devo aver trascurato qualcosa di importante,
non può essere così… facile».
- «Perché no?»
- «È per qualcosa che hai detto, è come se… non lo so,
forse non significa nulla, ma domattina darò di nuovo
un’occhiata all’incartamento della Del Gaudio prima
di farlo archiviare. Non si sa mai».

Il mattino seguente Martini rilesse da cima a fondo tutto


il caso Bosco-Del Gaudio senza che i suoi dubbi fossero
fugati. Riguardò i risultati delle autopsie, le foto dei
ritrovamenti, le schede dei malviventi coinvolti. Dida e
Ronaldo, dall’aria tanto serafica, oltre che per le
imputazioni che avevano comportato la collaborazione fra
Brambilla e Morelli, erano stati sospettati di traffico esseri
umani, bambini sudamericani, molti dei quali erano spariti
senza lasciare traccia una volta messo piede in Europa.
Brambilla, come già gli aveva sottolineato per telefono,
aveva annotato che per quel ramo dell’inchiesta le prove
erano talmente incerte e poco attendibili che non era
possibile accusarli di nulla. Kassam ed Ysuf avevano una
carriera da spacciatori di serie A, erano al secondo arresto e
non sarebbero più usciti.
Era tutto lì, sotto i suoi occhi, e non riusciva a capire
cosa mancasse.
Squillò il telefono.
- «Pronto?»

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- «Martini, sono Fissore… Dobbiamo andare dai Bosco
e dai Del Gaudio a comunicare la chiusura
dell’inchiesta… Viene con noi anche il pm, vuole
informarli a proposito del processo… Facciamo in
commissariato da te alle quattro?»
- «Va benissimo». E speriamo che fino ad allora riesca
a capire cosa non mi quadra.

- «Signori Bosco, la Polizia di Stato ha concluso le


indagini riguardanti la morte di vostro figlio… Allo
stato attuale avete domande? Chiaramente
comprendiamo il vostro dolore, capiremo se
preferirete aspettare il processo…»
- «No, dottor Dogliani, io una domanda ce l’avrei»,
disse Eugenio Bosco. «Ho fatto in modo che un perito
di nostra fiducia si mettesse in contatto con il dottor
Pignataro, che è stato molto disponibile e davvero
gentile e comprensivo, un professionista degno della
sua fama».
- «Posso chiederle quali sono stati i risultati delle
analisi del vostro perito?»
- «Identiche a quelle del dottor Pignataro, non
intendevo contestare i risultati infatti».
- «Ebbene?»
- «Il professor Maggiorana, che voi sicuramente
conoscerete», continuò, ben sapendo che lo
specialista citato era noto in tribunale per svariate
ottime perizie, «mi ha ventilato un’ipotesi che, visti i
risultati degli esami, potrebbe non essere del tutto
inattendibile. Mio figlio potrebbe essere morto per
uno sbaglio di chi gli ha iniettato la cocaina».
- «Cosa vuole dire?», lo incalzò Dogliani.
- «Vuol dire», intervenne Martini con voce bassa, come
se stesse parlando a se stesso, «che chiunque abbia
ucciso i due ragazzi non voleva Carlo morto, voleva
solo tenerlo buono per poter far fuori Marika in tutta
tranquillità… Solo che non sapeva dei problemi di

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cuore di Carlo e l’ha ucciso, ma è stato… collaterale,
diciamo».
Dogliani guardò prima lui e poi il questore, rendendosi
conto che Martini poteva aver ragione, poi riprese la parola.
- «Signori, analizzeremo la perizia del professor
Maggiorana al più presto, voglio che siano esclusi
tutti i dubbi riguardanti i possibili colpevoli, che tra
l’altro abbiamo già arrestato».
- «Chiediamo solo giustizia, dottor Dogliani. Solo
quella».

La casa dei Del Gaudio alla luce del giorno sembrava un


polveroso e trascurato museo. Tutto quel mobilio Luigi XIV, i
soffitti ricoperti di stucchi dorati ed i lampadari infondevano
all’espressione assente della signora una luce giallastra che
la rendeva inquietante. Il professore aveva mantenuto il
solito atteggiamento duro ed implacabile nei confronti della
figlia, anche se ormai non poteva più nuocergli in nessun
modo.
- «Dottor Dogliani, non ci costituiremo parte civile al
processo. Per quanto mi riguarda mia figlia è morta
quando ha messo piede fuori da questa casa».
- «Professore, noi avremmo comunque agito d’ufficio,
non sono qui per questo, volevo informar…»
Il cellulare di Martini squillò, domandò scusa ed uscì
sulla veranda antistante il salone della grande casa.
- «Pronto?»
- «Lorenzo sono Teo, scusami se ti disturbo ma mi
hanno detto che non eri in ufficio e la cosa è di
importanza vitale».
- «Dimmi tutto».
- «Abbiamo avuto i nastri delle conversazioni dei
brasiliani, stavano concordando qualcosa di davvero
impensabile con la Del Gaudio, non avremmo mai
pensato che si appoggiassero ad un pesce così
piccolo per un affare tanto rischioso».
- «Di che stai parlando?»

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- «Traffico di organi… I sospetti erano fondati. Chi
gestiva l’affare per l’Italia aveva deciso di ritirarsi e si
erano rivolti a lei, ma perché proprio lei?»
- «Non ha senso, non era andata oltre il primo anno di
medicina e in casa sua non c’era nemmeno un
cerotto… Dida e Ronaldo non parlano?» Ecco di
nuovo quella maledetta sensazione di aver
dimenticato qualcosa.
- «Stavo pensando di minacciarli con l’olio bollente ma
non credo servirebbe, sembrano due statue… Le
chiedevano quando sarebbe stato tutto pronto, lei
nicchiava dicendo che “la vecchia” dava problemi.
Non c’è altro di utile, purtroppo».
La comunicazione con Brambilla non durò molto, ma
Dogliani aveva già praticamente finito con i Del Gaudio.
Probabilmente si era dovuto scontrare contro un muro di
gomma, un padre troppo duro ed una madre inesistente.
Il professore li accomiatò in fretta, giustificandosi elencando
una serie di operazioni infinita. Erano già quasi arrivati al
fondo del vialetto che giungeva al cancello quando Martini si
accorse di aver dimenticato il cellulare sul tavolino del
salotto dei Del Gaudio, e rientrò in tutta fretta a recuperarlo.
L’uomo lo attendeva già sulla porta di casa.
- «Ha dimenticato questo, commissario».
- «La ringrazio professore».
Voltandosi per riprendere il vialetto notò, parcheggiata sul
retro dell’abitazione, una lunga auto nera, con il tipico
tridente della Maserati rivolto proprio verso di lui, con la
calandra anteriore leggermente ammaccata. Ebbe la
sensazione di essere stato investito da una secchiata
d’acqua gelata. Oddio, torna tutto. Lui l’ha vista e lei l’ha
investito!
- «Bella macchina, è sua la Maserati?»
- «La Maserati? No, l’ho acquistata per mia moglie
qualche anno fa, la usa quando esce da sola, le
piaceva tanto».
- «Che idiota,… il tridente della Maserati!»
- «Come mi scusi?»

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Martini capì ogni cosa, finalmente. Fece segno al
questore e a Dogliani di tornare indietro e guardò Del
Gaudio negli occhi.
- «Professore, devo parlare con sua moglie». Ecco la
“forchetta” che le hanno puntato in faccia, signor
Marian.

Come ho fatto a trascurare una cosa simile?? Come ho


potuto non pensare ad una Maserati quando ha parlato di
forchette e belle macchine? Come ho fatto a non capire che
chiunque avesse ammazzato Bosco senza farlo apposta non
poteva sapere che lui era malato di cuore, ma aveva
calcolato la dose di cocaina ad occhio, come un
professionista, qualcuno che conosce bene droghe,
narcotcii, tutto quanto? Ma perché l’ha ammazzata?
- «Signora, da quanto tempo sua figlia la ricattava?»
Antonia Del Gaudio non provò nemmeno a negare,
nemmeno stesse aspettando di essere scoperta.
- «Da quando aveva saputo che mio marito aveva
terminato i lavori per la clinica».
- «Cosa le aveva chiesto di preciso?»
- «Aveva detto che alcuni amici avrebbero avuto
bisogno di una sala operatoria qualche notte al
mese, che dovevo solo procurarle gli agganci giusti
all’interno della clinica».
- «Infermieri compiacenti, guardiani ciechi… sbaglio?»
- «Non sbaglia».
- «Lei sapeva che ne aveva bisogno per l’espianto di
organi da clandestini comprati in Sud America?
Perché non ha detto tutto suo marito? Perché non
ha chiamato noi?»
- «Gli aveva già creato tanti di quei problemi che
questa volta ho preferito occuparmene io. Di
persona».
- «E così l’ha uccisa, ma perché anche Carlo?». Martini
volle piena conferma delle sue teorie.
- «Non volevo che morisse, il suo cuore ha ceduto, ho
persino cercato di rianimarlo…».

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Ne sarà felice Salvo, non dormiva la notte per quelle due
costole rotte, la sua ipotesi era corretta.
- «Come ha fatto ad entrare in casa?»
- «Avevo la chiave. Ho aspettato che uscissero i due
che stava… intrattenendo. Poi sono entrata. Stavano
dormendo, Carlo era nella camera al fondo del
corridoio, lei in salotto… Sono andata prima da lui,
poi da lei».
- «Certamente non avrà avuto dei problemi, d’altronde
lei è un’anestesista anche se non esercita più da
quasi trent’anni.».
- «Gli studi di una vita non si dimenticano mai».
- «Perché è arrivata a tanto, signora?»
- «Perché non potevo tollerare che uccidessero delle
persone per curarne delle altre ricche e potenti,
perché avrebbe rovinato la reputazione che suo
padre si era costruito con tanta fatica nel corso degli
anni, perché era arrivata ad offrire della cocaina
persino a me pur di convincermi ad aiutarla,»
- «Perché avrebbe dovuto accettarla secondo sua
figlia? Avete fama di benefattori, lei è un medico,
perché avrebbe dovuto prendere della coca?»
- «Diceva che sono sciatta e depressa, che mi avrebbe
aiutato a darmi un tono».
- «L’ha disegnata lei quella stella a cinque punte?»
- «Volevo che pensassero che li avevano ammazzati i
satanisti, con il giro che avevano mi sembrava quasi
normale che avessero contatti del genere».
- «Ha fatto tutto da sola, signora?»
- «Sì, tutto da sola».
- «Carlo era un ragazzo robusto, come ha fatto
caricarlo in macchina?»
- «Li ho trascinati per il corridoio con un tappeto ed ho
usato l’ascensore, nessuno ha visto nulla. Il tappeto
lo troverete nel cofano della mia auto».
- «E perché è rimasta lì dopo aver scaricato il corpo
nel giardino?»

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- «Volevo accertarmi che qualcuno passasse di lì, che
la vedessero e dessero l’allarme...»
- «Però ha investito un uomo».
- «L’ho aiutato, l’ho messo sul marciapiede. Mi aveva
vista, mi avrebbe riconosciuta».
- «Quell’uomo era ubriaco, signora, ricorda a
malapena quello che è successo».
- «L’ho visto col corpo di mia figlia commissario… Ma
lei era un mostro. Un mostro».
La signora tacque e Martini capì che non avrebbe più
parlato in quel frangente. Sembrava quasi in trance, mentre
il marito non proferiva parola, la guardava come se non la
conoscesse. Martini scambiò un’occhiata con il questore, poi
si avviarono insieme verso la porta di casa.
- «Meglio evitare clamore intorno a questa cosa, ok?»
- «Certo… Dove stai andando?»
- «A casa. Troppo marcio in questa storia, troppo
schifo. Chiamo subito Montali, verrà qui con
qualcuno, ma cerca di capire. Mi si rivolta lo
stomaco».
Fissore, comprensivo, gli diede una pacca sulla spalla.
- «Divertiti in vacanza, stacca la spina».

La sera prima non aveva potuto fare a meno di


raccontare tutto a Viola e aveva letto dapprima il disgusto e
poi l’orrore nei suoi occhi; quel mattino però, quando il suo
cellulare squillò mentre ancora dormivano non si aspettò
comprensione da parte sua. Se non fossero partiti sul serio
si sarebbe uscita dai gangheri.
- «Pronto?»
- «Commissario, sono Montali…»
Viola scattò a sedere sul letto.
- «Commissario, tu sei in vacanza, chiaro?» Lo
sguardo non ammetteva repliche.
- «Chiarissimo… Dimmi Giuseppe». Il tono di Martini
era piuttosto eloquente. Spero che tu non abbia
cattive notizie perchè sarei nella merda

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Montali avrebbe dovuto dirgli che Antonia Del Gaudio si
era tolta la vita nella sua cella nemmeno un’ora prima,
probabilmente schiacciata dal senso di colpa e dalla
vergogna che avrebbero travolto la sua famiglia. Che
avrebbe potuto fare però Martini, se non litigare con la
fidanzata e rimandare la partenza di un paio d’ore?
Conoscendo il senso del dovere del suo capo, che si sarebbe
ributtato nella mischia pur rischiando musi lunghi per
almeno un mese, preferì tacere, mettendo comunque in
conto a Martini un grosso favore.
- «La chiamavo per augurarvi buone vacanze,
commissario. Solo per questo. Ricordi che il vostro
aereo parte alle diciassette, ha bisogno di un’auto
per arrivare fino in aeroporto?».
- «No ti ringrazio, ci accompagna il dottor Pignataro…
Sicuro di non dovermi dire altro?»
- «Sicurissimo, mi saluti la signorina Viola e ci mandi
una cartolina in commissariato. Buone vacanze».
- «Grazie mille Giuseppe. Grazie mille».

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