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Mensile di intervento culturale Marzo 2012 Numero 17 Anno III euro 5,00

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DIMITRI DELIOLANES: Grecia, anno zero, TANIA RISPOLI: Il governo dei Professori di Ferro FEDERICO CAMPAGNA: In marcia verso la catastrofe ALBERTO LUCARELLI: Unione Europea, un modello senza democrazia LUCIA TOZZI: Beni comuni un anno dopo, FRANCO PIPERNO: Il vento del Sud

Umberto Eco: Di un realismo negativo

Jan Fabre

Populismi inquinanti
MARCELLO FLORES, ALFIO MASTROPAOLO, FAUSTO BERTINOTTI, CLAUDIO MARTINI, OMAR CALABRESE, ALESSANDRO CANNAMELA

LRND HEGYI: Il misterioso viaggio di Jan Fabre nella liminalit JULIA KRISTEVA: Contraddizioni di unatea dialogante DANIELE LOMBARDI: Il potere non ama il rumore PAOLO BERTETTO: Cinema, lavanguardia non finita, ALDO COLONETTI: In attesa dellExpo MANIFESTO TQ: Universit e ricerca

Jan Fabre, foto credit Stephan Vanfleteren

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Comitato storico Omar Calabrese, Umberto Eco, Maurizio Ferraris, Carlo Formenti, Francesco Leonetti, Pier Aldo Rovatti Redazione Nanni Balestrini, Ilaria Bussoni, Maria Teresa Carbone, Andrea Cortellessa, Davide Di Maggio, Manuela Gandini, Andrea Inglese Segreteria Erica Lese Coordinamento editoriale Sergio Bianchi Ufficio stampa Nicolas Martino ufficiostampa@alfabeta2.it Indirizzo redazione piazza Regina Margherita 27 00198 Roma redazione@alfabeta2.it Progetto grafico Fayal Zaouali Editore Assoc. Culturale Alfabeta Edizioni Via Tadino 26, 20124 Milano info@alfabeta2.it Tipografia Grafiche Aurora S.r.l. via della Scienza 21 37139 Verona Direttore responsabile Gino Di Maggio Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 446 del 17 settembre 2010 Distribuzione Edicole Messaggerie Periodici S.p.a, via Giulio Carcano 32 20141 Milano Distribuzione Librerie Joo Distribuzione via F. Argelati 35 20143 Milano Distribuzione Abbonamenti S.O.F.I.A. SRL Via Ettore Bugatti 15 20142 Milano tel. 02 89592287 alfabeta@sofiasrl.com Edizione digitale a cura di Jan Reister Progetto e realizzazione Quintadicopertina http://www.quintadicopertina.com ebook: ISSN:2038-663X

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mensile di intervento culturale


Cinema 32. Paolo Bertetto Lavanguardia non finita Kenneth Anger al MOCA di Los Angeles 33. Marco Rovelli Basta fobie Romeo Castellucci a Milano 34. Universit e ricerca Manifesto TQ/4 35. Michele Dantini Bauhaus vs Gotham I futuri possibili delluniversit Cultura materiale 36. Aldo Colonetti In attesa dellExpo: tre idee 37. Andrea Tomasetig Cibo di carta per lExpo 38. Alberto Capatti Lofferta, il dono e il diritto agli alimenti

Sommario

Dimitri Deliolanes Benvenuti nel capitale reale Grecia, anno zero 4. Tania Rispoli Con la frusta e il senso di colpa Il governo dei Professori di Ferro 4. Lidia Riviello Limpero della mente 5. Federico Campagna Lilliburlero In marcia verso la catastrofe, ordinati 6. Alberto Lucarelli Verifica dei poteri Unione Europea, un modello senza democrazia 6. Andrea Inglese Let dellansia per il ceto medio In Francia e in Italia 7. G.B. Zorzoli Mal dOlanda Quando detenere risorse un problema 8. Omeyya Seddik La Vandea che in noi La controrivoluzione nei paesi arabi 10. Lucia Tozzi Beni comuni un anno dopo 11. Franco Piperno Il vento del Sud Il bene comune, la comunit e De Magistris 12. Francesco Raparelli Oltre la catastrofe Un programma radicale per lEuropa sociale

3.

12. Andrea Inzerillo La citt invisibile Cantieri Zisa e Palazzo Riso a Palermo Populismi inquinanti 13. Marcello Flores Il populismo nella storia 14. Alfio Mastropaolo La democrazia e il populismo 15. Fausto Bertinotti Le promesse tradite della modernit 16. Claudio Martini Il populismo locale 17. Omar Calabrese A sinistra risponde uno squillo 18. Alessandro Cannamela La sindrome del meet-up

26. Luca Taddio Osservazioni sul Nuovo Realismo Verit come sistema di riferimento 27. Raffaella Scarpa La nube dei commenti Realismo non realitysmo 27. Jean Petitot Illuminismo e speranza Intellettuali e potere 28. Veronic Algeri Julia Kristeva 29. Carlo Cuppini Oltre il realismo della stanza accanto Come ci insegna lesperimento Milgram Arte 30. Manuela Gandini Tre Uomini Yves Klein, Marcel Broodthaers, Gino De Dominicis 30. Valeria Magli (m.g.) Musica 31. Daniele Lombardi Il potere non ama il rumore Una colonna sonora per gli indignados? 31. Michele Emmer Un secolo a memoria Vivere la musica di Roman Vlad

Jan Fabre
19. Luomo con le corna Anna Kreutzrger 22. Il misterioso viaggio nella liminalit Lrnd Hegyi New Realism 23. Maurizio Ferraris Introduzione 23. Umberto Eco Ci sono delle cose che non si possono dire Di un Realismo Negativo 25. Markus Gabriel Nuovo Realismo come Nuova Decostruzione

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Benvenuti nel capitale reale


Grecia, anno zero
Dimitri Deliolanes

ultimo a chiudere stato il cartolaio allangolo. Ma anche il piccolo caff accanto se la passa male. La sua clientela erano gli impiegati degli uffici vicini, ora sempre di meno. Qualche mese fa la proprietaria si chiedeva se era il caso di cercare fortuna allestero. Come hanno gi fatto in tanti, specialmente giovani neolaureati. Allidraulico proprio accanto gli hanno svaligiato il negozio. Si sono portati via una decina di rubinetti. Anche il negozio di vernici stato svaligiato. Il fast food di fronte, che vende tyropites (sfogliate al formaggio), gli hanno vandalizzato linsegna e la serranda. Poco pi in l, dopo la piazza dedicata a Lord Canning, c il cimitero dellex centro commerciale di Atene. Una sfilata di vetrine vuote con i cartelli affittasi. Sopravvive qualche banca con la facciata imbrattata e pochi uffici pubblici. Una quarantina di palazzine neoclassiche, ultime sopravvissute alla furia speculativa degli anni Sessanta e Settanta, sono state incendiate durante i tumulti del 12 febbraio, mentre il Parlamento approvava le nuove misure di austerit. Atene, quartiere Exarchia, il cuore alternativo della citt. A Est, nei paraggi del Politecnico, c la piazza dei tossici. Zombi vestiti di stracci che si fanno in pieno giorno. Di notte lungo via Solonos ci sono le prostitute africane, 10 euro a prestazione. Al centro del quartiere lomonima piazza, luogo di ritrovo di giovani inquieti. Sui muri manifesti che chiedono la liberazione di questo e di quello, sbeffeggiano i partiti e la Merkel, se la prendono con lo Stato e la democrazia tout court. Accanto ai residui del folklore gauchiste, compiaiono le sigle dei gruppi anarchici pi violenti. I quali non sembrano colpiti dalla crisi. Continuano da anni a detenere legemonia assoluta del movimento giovanile e possono portare allo scontro anche migliaia di seguaci. Come si visto nella notte del 12 febbraio, con la devastazione del centro di Atene, proprio come avevano gi fatto nel dicembre 2008, dopo luccisione di Alexis Grigoropoulos. La novit che alcuni combattenti contro il potere, come amano definirsi, si sono convertiti alla criminalit pura. Assalti alle banche, rapimenti di persona, incursioni nelle lussuose ville dei suburbi, ma anche traffico di droga e di armi in complicit con le potenti mafie balcaniche. I segnali cerano gi da tempo: i due maggiori gruppi terroristi, ora sgominati, Lotta Rivoluzionaria e Cospirazione dei Nuclei di Fuoco, si rifacevano direttamente alluniverso carcerario e alla criminalit comune. Ora ne sono entrati a far parte. Ma non sono loro che preocupano i pochi poliziotti che entrano a Exarchia solo in assetto di guerra. Sono le rapine di strada, alla luce del sole, spesso con il morto, con un bottino di 10 euro o anche meno. Spesso sono opera di immigrati disperati: sono arrivati attraversando il confine con la Turchia sperando di attraversare lAdriatico e raggiungere il Nord Europa e sono rimasti intrappolati in Grecia. Al confine Nord di Exarchia, verso il viale Regina Alexandra, c la parroc-

chia di San Nicola. Da un anno ha organizzato una mensa per i poveri. Il prete racconta che fino al 2009 in tutta lAttica ce ne erano cinque, per lo pi frequentate da immigrati. Ora ce ne sono una sessantina e sono frequenate da greci, famiglie intere con bambini al seguito, per un piatto di minestra fatta dalle volontarie con gli scarti dei supermercati.

l problema alimentare fa veramente paura. Le maestre delle elementari e degli asili lo hanno comunicato ufficilamente alla Commissione europea: sempre pi bambini sono denutriti, perch mangiano solo riso, pasta e pane. Nelle famiglie con tutti e due i genitori disoccupati veramente difficile arrivare a due pasti al giorno. Agli inizi di febbraio circa quattromi-

la si sono messi in fila nella centralissima piazza Syntagma a prendere qualche chilo di patate, verza e cavoli distribuiti gratuitamente dai coltivatori, come forma di protesta. A loro le patate sono pagate 5 centesimi al chilo, al supermercato costano 1 euro. Prezzi europei per un paese sempre pi lontano dallEuropa. Molte famiglie hanno abbandonato Atene e hanno cercato rifugio al paese di origine. L pi facile sopravvivere. Chi rimasto, spesso si rifugia dai nonni, che si ritrovano cos a mantenere tutta la famiglia con i 400 euro di pensione. Le statistiche dicono che sono circa tre milioni i greci sotto la soglia della povert. La stragrande maggioranza sono i nuovi disoccupati, gente che ha perso il lavoro dopo la liberalizzazione dei licenziamenti imposto dalla troika (Commissione europea, Bce e Fmi) nellestate del 2010. Il sussidio di disoccupazione di 500 euro al mese per un anno. Dopo nulla. I disoccupati sono il 19%, circa un milione e tercentomila persone. Per la maggior parte impiegati, il ceto medio pi colpito dalla crisi. Chi aveva qualcosa da vendere, lha gi venduto ai tantissimi compraoro che sono sorti come funghi in ogni angolo. Qualche mese fa il ministero del Commercio ha fatto circolare un libretto di istruzioni per i venditori, in modo da evitare di farsi imbrogliare dagli acquirenti. Altre file fuori dalla Motorizzazione per restituire le targhe della macchina, considerata ormai un lusso. Di venderla non se ne parla nemmeno, tanto vale rotamarla. Il possente ceto degli statali e dei parastatali resiste ancora, seppure con lo stipendio falcidiato,ma anche l stanno arrivando licenziamenti a valanga: 15 mila entro lanno, 150 mila entro il 2015. Una strage di clientele. Circolano gi le liste dei licenziandi socialisti, nel probabile caso in cui il nuovo governo sia targato centrodestra. questo il motivo dellinsistenza con cui Nuova Democrazia ha chiesto e ottenuto elezioni ad aprile. Il sentimento dominante la rabbia, frammista a rassegnazione. I canali privati proiettano improbabili teorie del complotto: colpa della nazista Merkel, del traditore Papandreou, dei massoni, delle multinazionali. Il direttore dellufficio di Statistica sotto processo per aver truccato i conti. Non per migliorare la situazione economica, ma per peggiorarla in modo da svendere il paese allo straniero, dice il capo dimputazione. La soluzione si trova nel petrolio sotto i fondali dellEgeo oppure nella restituzione da parte di Berlino del prestito coatto in oro del 1943. E dopo tanta informazione, ecco lintrattenimento: la telenovela turca. LEuropa sempre pi lontana.

In copertina: Jan Fabre, serie Gold, Brain with Angel Wing, oro, photo Pat Verbruggen copyright Angelos. A fianco: Jan Fabre, serie Gold, Le Scarabe Sacr, oro, photo Pat Verbruggen copyright Angelos. Le due sculture della serie Gold entreranno a far parte della collezione degli Uffizi, nella Galleria degli autoritratti e ritratti d'artista

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Con la frusta e il senso di colpa


Il governo dei Professori di Ferro
Tania Rispoli

l film inizia con lottantenne Margaret Thatcher che in preda alla demenza senile confonde presente e passato, vita privata e pubblica, ripercorrendone cos i tratti salienti. La scena in dissolvenza apre allattualit e pu essere letta alternativamente in senso critico oppure apologetico. Questultima linterpretazione prescelta dal nostro buon governo Monti (vedi le dichiarazioni ambigue di Fornero) e da alcuni giornalisti della Repubblica (per esempio Scalfari e De Nicola), che si affrettano a imitare o elogiare le tecniche adottate dalla Iron Lady, soprattutto affascinati dalla durezza nella repressione dei conflitti e dei movimenti (Do you rembember Bobby Sands?). Film a parte, scopriamo che il paragone non funziona, dato che il contesto che stiamo affrontando presenta dei tratti assolutamente nuovi: il capitalismo oggi tenta una ristrutturazione a partire da condizioni di grave collasso, a differenza della grande offensiva neoliberista dei tempi di Reagan e Thatcher. Anche i soggetti e le strategie messe in campo sono di segno decisamente mutato. Limprinting di Monti non si richiama a un liberalismo puro alla Thatcher, piuttosto alleconomia sociale di mercato di stampo tedesco: non solo Stato e mercato devono essere separati, ma il primo deve intervenire con ogni mezzo per salvare il secondo. Privilegiare il pagamento del debito pubblico rispetto allinvestimento sulle istituzioni, le liberalizzazioni alle pensioni, le imprese e le banche alla forza lavoro, significa di fatto optare per la difesa indiscriminata della finanza, a prezzi molto cari per ogni cittadino/a. Michel Foucault, quando tracciava lorigine genealogica della biopolitica e del liberalismo, si richiamava esattamente a questa corrente che inizialmente si espresse nellordoliberalismo tedesco, chiarendo in che misura leconomia (ora finanziaria) investe, trasforma e applica indiscriminatamente il suo potere sulla vita. Recentemente il segretario del Pd Bersani, sfiorato da un refolo di buonsenso, dopo aver plaudito alle tuttora contrastate liberalizzazioni, si invece espresso negativamente sulla soppressione dellarticolo 18, che tutela il lavoratore dal licenziamento senza giusta causa. Una piccola presa di posizione a fronte di un pi esplicito cedimento in materia di governo tecnico. Alcuni ipotizzano (Financial Times e copertina del Time) supposizioni confermate dagli esiti dellincontro tra Monti e Obama che questo governo sia indispensabile agli Usa per garantire lequilibrio fra dollaro ed euro evitando un rischioso disastro dellEuropa. Monti starebbe a Obama come la Merkel a Hu Jintao, in unequivalenza sorretta dallo spettro di una Grecia salvata in extremis, come monito per i paesi sullorlo del default. In questo senso lo schema valoriale di Monti, lordine del discorso di questo governo, risponderebbe quantomeno alla linea della socialdemocrazia internazionale. Ma in uno scenario di crisi feroce, le alternative riformistiche sia sul terreno economico che su quello politico, vengono di fatto annullate: la dittatura della finanza sopprime la possibilit della mediazione, scompare il ruolo delle istituzioni, dei partiti, del Parlamento, della stessa democrazia liberale. Daltra parte, dal lato dei movimenti vengono rifiutati espressamente gli strumenti tradizionali di rappresentazione e i modi consueti dellorganizzazione delle lotte: lo mostrano lo sciopero metropolitano di Oakland, le lotte dei lavoratori dello spettacolo, i movimenti #Occupy e Indignados. Unepoca senza mezze misure, in cui non pi sufficiente vivere con i fantasmi del berlusconismo per salvarsi lanima e pretendere di risollevare il paese. Il discorso che la sinistra articolava contro la casta viene ora riproposto dal sobrio governo Monti e dai suoi sostenitori contro i la-

fatto non ha alcuna garanzia di ingresso nel mondo del lavoro a tempo indeterminato. Nessuno infine comprende quali saranno gli strumenti e le risorse dal momento che lunica cosa a non essere in crisi in Italia sono le banche Monti dixit per garantire delle forme di salario minimo, di coperture intervallari tra un lavoro e un altro e i diritti fondamentali di un lavoratore (malattia e maternit). Ammortizzatori sociali e tutele non hanno nessuna verosimile copertura finanziaria con il bilancio attuale e con lapplicazione del fiscal compact che prevede ulteriori tagli scaglionati negli anni a venire. Quanto al pagare di pi il lavoro flessibile, ce le vedete le aziende nostrane in crisi nera? Ai pi informati, infine, non sfugge che lattacco allarticolo 18 dello Statuto dei lavoratori mette sotto attacco lultimo labile baluardo del lavoro garantito, disarmando simbolicamente ed effettivamente il sindacato e frantumando la resistenza di fabbrica per far passare i cambiamenti nellorganizzazione del lavoro (orario, ritmi, turni, pause). Il bocconiano Monti, durante lincontro con Obama, ha ben riassunto la logica della riforma del mercato del lavoro che ben si accompagna con la svalutazione del ruolo delle universit pubbliche e dellistruzione in generale. Bisogna educare gli italiani (cominciando dai giovani) alla meritocrazia e alla concorrenza. Nietzsche ci ha gi spiegato nella Genealogia della morale come si educa luomo a ripagare il debito a forza di dure sanzioni e come il prete perfezioni la frusta con il senso di colpa. Prima si nega ai giovani un accesso al reddito, poi li si bolla come sfigati e mammoni che mendicano un posto fisso. Di preti e pedagoghi aggratis ne abbiamo abbastanza!

Limpero della mente


Lidia Riviello
In piedi in rivolta il cane preso d'assalto. Ristabilire il principio naturale del ritorno a casa. A Castellammare senza portoni una disfatta generale il vento ha tracciato il sogno del cane un abbrutimento generale quello delle menti
Jan Fabre, Chapter X, 2010, bronzo, photo Pat Verbruggen copyright Angelos

voratori, i pensionati, gli operai e i giovani. Bisogna scegliere da che parte stare. Quali sarebbero i vantaggi che i giovani traggono dal governo Monti? E soprattutto: ci sono dei vantaggi? Stando alle inchieste condotte nelle universit e nei luoghi della precariet si scopre che in realt ai giovani non piace molto n la natura n la tecnica del governo Monti. Gli esperti come il vice-ministro Martone sembrano un po troppo sfigati per arrogarsi il compito di indicare una via di uscita seria dalla crisi. Una buona percentuale di giovani poi intimamente convinta che la crisi andr fino in fondo, dato che allo stato attuale il capitalismo non pi in grado di promettere una vita migliore a nessuno.

oltissimi si sorprendono a scoprire che il governo ritiene necessario e razionale per uscire dalla crisi e dalla gravissima recessione secondo lIstat la produzione industriale sostanzialmente paralizzata nel 2011 seguire il modello greco di uninflessibile austerit. Il meccani4

smo semplice: si paga il debito pubblico riducendo una popolazione al lastrico e poi si smorza il volume degli assordanti rumori delle piazze. Lidea che i propri desideri e le proprie aspirazioni non vengano prese in considerazione risulta alla maggior parte insopportabile chiss perch! Buona parte degli interpellati, infine, esprime interesse, attenzione e viva preoccupazione per la riforma del mercato del lavoro proposta dal ministro Fornero. Indaghiamone le ragioni. Se pure suscita una certa fascinazione lipotesi di una introduzione del contratto unico dingresso (Cui), utile a ridurre le svariate forme contrattuali cui sono sottoposti i precari, uninorridita indignazione prodotta dallintenzione di utilizzare a tal fine listituto dellapprendistato. Le recenti proposte di regolamentazione in materia porterebbero a termine quanto avviato dalla legge Biagi e rilanciato nella legislatura precedente da personaggi del calibro di Sacconi e Meloni. Tre anni di prestazioni scarsamente retribuite durante e dopo le quali il lavoratore di

un dolore senza anestesia senza sinestesia sopratutto. Dunque totale. Una disfatta che parte dalla testa. l'aggressione del cane in rivolta verso la presunta adorazione. Un bambino adotta il principio naturale senza cane e vince una caramella. Depone sulle mani del nonno il miele non profuso uno spettacolo disgustoso. Ma il cane salvo altrove lontano dalle fabbriche, dalle case dai negozi dalle aggressioni al gioielliere dalla statale, dalle banche. Dalle uova d'uomo d'acciaio, dalle vene di un polso duro. Il cane sul pendo. Un caso di rivolta.

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Lilliburlero
In marcia verso la catastrofe, ordinati
Federico Campagna
orrei cominciare con unimmagine. Una scena del film Barry Lyndon, diretto da Stanley Kubrick. Sullo sfondo nebbioso di una campagna europea del XVIII secolo, la voce fuori campo introduce lavanzata delle giacche rosse inglesi contro la retroguardia francese, asserragliata in un frutteto. Secondo lo stile militare dellepoca, la fanteria marcia lungo il prato, in file orizzontali e parallele. I francesi sono disposti anchessi in file, le prime inginocchiate, le seconde in piedi, le terze pronte a ricaricare i fucili. Lavanzata lenta, estenuante, al suono dei flauti che intonano il Lilliburlero. Come direbbe il personaggio di Vincent Cassel in una banlieue di vari secoli dopo, il problema non la caduta, ma latterraggio. E qui, latterraggio e la caduta quasi si fondono. I fanti inglesi avanzano, a passi cadenzati. Le truppe francesi restano immobili, prendono la mira. I fanti mantengono il passo. I francesi attendono lordine dei superiori. I fanti proseguono. Lordine arriva. Fuoco. Le prime file della fanteria inglese cadono decimate. Le seconde file, imperturbabili, prendono il posto dei caduti. Le truppe francesi ricaricano i fucili. Fuoco. Il prato si riempie di cadaveri vestiti in divise rosse. Le terze file si fanno avanti di nuovo. La marcia prosegue, lentissima. Fuoco. Guardando questa scena non ho potuto che pensare al futuro che ci attende. La marcia lenta, ma inesorabile. I ristoranti e gli aeroporti sono ancora pieni, come diceva Berlusconi. I fucili nascosti nel frutteto hanno appena iniziato a sparare. Le prime file sono cadute, ma, si sa, nelle prime file ci va da sempre la carne pi a buon mercato. Alla prima raffica sono saltate le pensioni, sono arrivati gli accordi di Pomigliano, sono finiti i soldi per le scuole e le universit, sono affondati i barconi dei migranti. Ma il silenzio che segue, interrotto dai flauti lontani di chiss quale marching band, sia quella di Benigni o di Jovanotti, nasconde il suono del ricaricarsi dei fucili. Le seconde file prendono il posto dei caduti. I disperati di Pomigliano firmano gli accordi, i lavoratori accettano di buon grado la riforma necessaria delle pensioni, gli studenti si bevono lo sciroppo della meritocrazia e dellautopromozione, i migranti si alzano alle cinque del mattino per raccogliere i pomodori. E intanto i fucili si ricaricano. E questa volta mirano ad altezza uomo. Letteralmente. Basta guardare quello che accade in Grecia, dove per la prima volta sono stati utilizzati i corpi speciali dellEurogendfor, la polizia militare europea creata appositamente per affrontare emergenze di ordine pubblico e non sottoposta ad alcuna legislazione nazionale. Oppure in Inghilterra, dove le rivolte del proletariato consumista dello scorso agosto sono state affogate nei poteri speciali dati alla polizia e in un mare di sentenze punitive che hanno mandato in carcere quasi quattromila persone. Come cantava la band il Teatro degli Orrori, nel terzo mondo fanno finta di vivere in democrazia. E la terzomondializzazione dellOccidente un fatto ormai conclamato. Le affinit con il passato recente di molti Stati africani, asiatici e sudamericani sono ormai evidenti. Non solo la marginalizzazione economica e sociale, ma soprattutto lespropriazione forzosa dei meccanismi democratici da parte di organi come lFmi o la Bce rimbalzano in eco rapidissime tra la Grecia e il West Africa, tra lItalia e il Sud-Est Asiatico, tra lIrlanda e le Ande. Come notoriamente accade nelle metropoli brasiliane, il paesaggio europeo va sempre pi configurandosi come un deserto chiazzato di oasi, in cui la mi-

come definizione degli automi meccanici. Pi che come desiderio di potenza, dunque, stiamo parlando oggi della tecnica come obbedienza. E cos torniamo alla scena di Barry Lyndon da cui siamo partiti. Lo spirito del presente, quello che anima i tecnocrati e le loro legioni di simpatizzanti, lo stesso che muove le gambe dei fanti in marcia lungo il prato, in noiosa processione verso il massacro. La disciplina militare che informava i movimenti dei cadaveri in divisa del diciottesimo secolo si rivela oggi come disciplina delleconomia capitalista. In marcia verso la catastrofe, ma ordinati. E non c dubbio che nellordine, in quello intimo della marcia e in quello apocalittico di chi attende la venuta di un potere giusto, ci sia qualcosa di pacificatorio, di confortevole. il movimento ordinato delle gambe, o dei moti dellanimo, che ricorda la dolce routine di una danza. Verso la morte, certo, ma pur sempre danzando, tenendosi tutti per mano. We are all in this together, no? a a quali altre danze potremmo pensare, mentre siamo incastrati nel minuetto del suicidio collettivo? A quali danze stavano pensando i fanti inglesi di Barry Lyndon, mentre marciavano al ritmo delleroismo immemorabile? Probabilmente a quelle delle locande, al suono di qualche violino sgangherato, tra le braccia delle donne del paese, o delle prostitute, o in quelle ubriache luno dellaltro. Mentre marciavano, con il pensiero i fanti fuggivano indietro nelle locande fumose, si perdevano in altre danze, pensavano al ballo della diserzione. Proviamo a seguire la deriva dei loro pensieri, a seguire la deriva del pensiero dei nostri predecessori sul nostro stesso cammino. E disertiamo, allora! quello che stanno facendo i crescenti movimenti anarchici in tutto il mondo, nelle loro occupazioni di piazze, edifici, cantieri stradali di alta montagna. Con lesempio della loro diserzione, channo ricordato innanzitutto come dietro le file di martiri coscritti in fuga, ci siano sempre le retrovie di altri coscritti, ugualmente svogliati, ma pronti a obbedire agli ordini dei generali e a dare la morte ai disertori. I loro sorrisi sdentati, cos simili ai nostri, cos tristi, che a suo tempo tanto commossero Pasolini, non renderanno le loro baionette meno obbedienti o meno letali. Alcuni di noi, forse i migliori, si fermeranno a discutere con loro, magari pure a combattere contro di loro. Questi saranno i riformisti, nel senso migliore del termine. Gli anarchici riformisti, coscienti del fatto che, da sempre, il conflitto fonte di diritto. Cos stato per esempio nel XIX e XX secolo, in cui le lotte sociali e il conflitto dei lavoratori hanno portato a modificazioni sostanziali dei sistemi di legge. Ma oggi, queste brigate ottimiste convinte che ci sia ancora la possibilit di cambiare da dentro il passo della danza dello Stato e del capitale, credo saranno davvero in poche. Gli altri, tanti altri, stanno invece gi guardando pi in l, oltre la ribellione, verso lorizzonte a cui si rivolge la pura e semplice fuga. Come i fanti in divisa rossa, questi nuovi fuggiaschi si perdono col pensiero nel fumo di altre danze, di altre locande. E appena possono, con i mezzi che hanno, cercano di ricrearle. Ma saranno davvero gli accampamenti di Zuccotti Park o di piazza Tahrir le nostre locande del futuro, in cui potremo rifugiarci, in cui potremo ballare gli uni con gli altri, al suono di una musica che non trascina verso la morte?

Jan Fabre, Chapter XIII, 2010, cera, photo Pat Verbruggen copyright Angelos

seria crescente delle popolazioni circonda da presso gli atolli di ricchezza trabordante in cui si accumula il capitale. Parallelamente allascesa globale di paesi in via di sviluppo come il Brasile, il vecchio occidente andato via via regredendo, sprofondando a sua volta nel vortice di contraddizioni tipico della via dello sviluppo capitalista. Siamo ormai un intero mondo in via di sviluppo, bloccati in un procedere senza progresso, in un tunnel in cui, come dice iek, c s una luce alla fine del buio, ma probabilmente quella di un altro treno lanciato a tutta velocit verso di noi. E dunque, in tutto questo, che fare? Dovremmo davvero, come spesso implicitamente suggerisce iek, attendere la fine dei tempi, aspettare larrivo di un immenso potere calato dal cielo che punisca i malvagi e premi i buoni? Bisogna stare attenti, perch lultima volta che stata adottata una tattica del genere durante una crisi di dimensioni paragonabili a quella attuale, nella Germania caricata di debiti del primo do5

poguerra, il potere immenso arrivato dal cielo vestito di svastiche. Il desiderio di un potere sovrumano che arrivi a mondarci dalla lordura del presente vive ancora nel cuore di molti, a destra come a sinistra dello spettro politico. Ma mentre a destra tende a sfaldarsi in un populismo ancora in fasce, a sinistra va coagulandosi attorno al culto di untuose figure sacerdotali: i tecnocrati. Dopo la fine della borghesia come corpo sociale composto di corpi fisici, della borghesia rimasto solo lo spirito pi abietto. Lo spirito malevolo della tecnica, che sarebbe troppa grazia far risalire a nobili tradizioni quali quelle rinascimentali e illuministe. Lo spirito della tecnica quello che dallalba dei tempi anima lartigiano il mattino dopo una sbronza colossale, quando le sue mani fabbricano sedie senza nemmeno dover svegliare un briciolo della sua sapienza. lo spirito di chi guida in autostrada di notte, mezzo addormentato, per pura forza di abitudine. lo spirito, insomma, che fa s che la parola russa per lavoro, robota, calzi a pennello anche

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Verifica dei poteri


Unione Europea, un modello senza democrazia
Alberto Lucarelli

l modello costituzionale europeo, sin dallorigine, non si mai posto nello specifico, n la reale configurazione di un modello di democrazia, n leffettiva garanzia dei diritti. Le continue mediazioni e negoziazioni, prive di ununivoca chiave di lettura, anche e soprattutto nelle sue scelte di fondo di politica economica, non hanno espresso n un modello economico, n tanto meno un modello sociale, recidendo la tradizione weimariana dello Stato sociale, rifacendosi piuttosto al binomio libert-solidariet, in larga misura gi presente nella tradizione tardo ottocentesca dei Paesi dellEuropa occidentale. Inoltre, nel passaggio dallEuropa monetaria allEuropa che aspira ad avere una sua dimensione politica, n la rappresentanza istituzionale (Parlamento europeo), n il cittadino, anche attraverso forme pi o meno strutturate, hanno avuto un giusto grado di coinvolgimento. Si realizzato un netto distacco tra Stato-apparato e Stato-comunit causato non soltanto dallinesistenza di un popolo europeo, ma soprattutto dallinesistenza di modelli democratici (rappresentanza-partecipazione) in grado di esprimere una cittadinanza europea articolata intorno a uno spazio di decisione propria. Un processo tecnocratico dintegrazione che, ben lontano dal recepire le reali esigenze e istanze delle popolazioni coinvolte, ha piuttosto configurato un modello di postdemocrazia, nel quale il progetto di unit politica, nella sua articolazione e nel suo sviluppo, continua a ruotare, in prevalenza, intorno agli esecutivi, agli apparati burocratici, alle lobby, ignorando i modelli della democrazia partecipata e della democrazia della prossimit. La peculiarit di tale processo, lontano o comunque eterodosso rispetto alle nozioni classiche di partecipazione popolare e di rappresentanza democratica, sembrerebbe caratterizzare un assetto politico-normativo distante dagli archetipi della tradizione giuridica. evidente che tale processo normativo eu-

ropeo abbia segnato una rottura rispetto allevoluzione del costituzionalismo moderno, attraverso laffermazione di modelli tipici autoritari del diritto internazionale pubblico con la netta prevalenza degli accordi interstatuali sulle istanze partecipative dei cittadini e sul ruolo delle sue camere di rappresentanza. Si nutrono, inoltre, forti perplessit in merito al ricorso a strumenti, quali il referendum confermativo, che potrebbero facilmente scivolare su declini plebiscitari e assembleari, che poco hanno a che vedere con la partecipazione politica e in senso pi ampio con la democrazia diretta. Tuttavia, pur in un quadro fortemente caratterizzato dagli assetti autoritari burocratici, qualche segnale di valorizzazione delle istanze partecipative si avvertito negli ultimi anni. Il Trattato di Lisbona introduce nel Tfue il titolo II (Disposizioni relative ai principi democratici) che contiene gli artt. 9-12, e che riprende gli ex artt. 1-45, I-46 e I-47 del Progetto di Trattato costituzionale. Lart. 9 Tfue (ex art I-45 del progetto di Trattato costituzionale) fissa il principio delluguaglianza dei cittadini dellUnione e riprende la definizione di cittadinanza europea, lart. 10 Tfue (ex I-46) ha a oggetto la democrazia rappresentativa e lart. 11 Tfue (ex I-47) attiene alla democrazia partecipativa. evidente che si tratta di norme che, al di l della loro enunciazione, dovranno essere poste su un piano di effettivit, ovvero essere messe in grado di passare da un piano formale a uno sostanziale; ma ci, al di l di pi o meno esplicite volont istituzionali, necessita di una netta volont politica che intenda realmente spostare il baricentro della sovranit dal livello degli esecutivi e dal livello burocraticoamministrativo a quello popolare delle societ intermedie, ai partiti, ai sindacati, alle associazioni, ai comitati, ai movimenti, pi o meno strutturati. Viceversa, si costruirebbe un modello formale di democrazia della rappresentanza privo della sua linfa naturale e comun-

que del tutto estraneo al modello di democrazia della partecipazione. Il deficit democratico, al quale poi non pu non essere collegato il deficit sociale, potrebbe essere superato soltanto se si arriver alla configurazione di una sfera pubblica europea, nella quale si radichi un processo che valorizzi gli istituti della democrazia della partecipazione e della rappresentanza.

n sostanza, leffettiva affermazione di diritti sociali in ambito europeo sarebbe raggiungibile soltanto attraverso una social policy che esprima conflitto, dialettica, antagonismo tra interessi contrapposti e realmente rappresentati. Una democrazia del comune che si contrapponga al binomio sovranit-propriet, a una repubblica della propriet fondata su una sovranit autoritaria e unidea di propriet espressione di una concorrenza a tratti selvaggia. Stento a concepire uno Stato sociale europeo calato dallalto, asettico e burocratico, che odora soltanto di norme formali, privo delle tensioni tipiche e necessarie per la conquista di certi traguardi e obiettivi. Com possibile parlare di un modello sociale europeo in presenza di una cos debole cornice della rappresentanza, della partecipazione e quindi del conflitto? Se questo passaggio non dovesse avvenire si continuer a rimanere su un piano tecnico di organizzazione del potere e di distribuzioni delle funzioni e, per parlare realmente di diritti e di loro tutela, occorrer ancora spostarsi nellalveo rassicurante delle Costituzioni dei singoli Stati membri, la cui tenuta per messa costantemente in pericolo dallo stesso diritto comunitario. Si pensi in particolare alle c.d Costituzioni sociali post-weimariane, qual la nostra, continuamente sotto pressione proprio nella parte pi innovativa la c.d. Costituzione economica con la quale si era avuto il coraggio di rompere il binomio libert-solidariet su di un piano orizzontale di equilibrio e di porre leguaglianza sostanziale e il diritto dei lavoratori in una posizione di assoluta rilevanza.

necessario, dunque, un quadro pi articolato e sofisticato dei rapporti tra poteri, rappresentanza politica e istanze partecipative, al fine di agevolare la configurazione di un modello giuridico europeo in grado di spostarsi, o meglio di porre in relazione, con un profilo pi nobile e maturo, il piano dellorganizzazione e della distribuzione delle funzioni con il piano dei diritti. Per agevolare tale processo, oltre a porre il Parlamento al centro della funzione di determinazione e attuazione dellindirizzo politico, rafforzando la costruzione di un cos detto principio di legalit europeo, nel quale possa trovare fondamento giuridico lazione del Consiglio dei Ministri e della Commissione occorre rendere effettivi gli artt. 9-12 Tfue, laddove attribuiscono a ogni cittadino il diritto di partecipare alla vita democratica dellUnione, assegnando ai partiti politici di livello europeo il ruolo di contribuire a formare una coscienza politica europea, tale da esprimere la volont dei cittadini. Non credo che la partecipazione politica possa esaurirsi in dichiarazioni di principio quali quelle contenute nellart. 11, par. 2 del nuovo Tfue (Le istituzioni mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con le associazioni rappresentative e la societ civile) o nel successivo paragrafo, che prevede: Al fine di assicurare la coerenza e la trasparenza delle azioni dellUnione, la Commissione procede ad ampie consultazioni delle parti interessate. Tali disposizioni sembrano configurare pi modelli di rappresentanza di interessi individuali e confusi, tipici del comunitarismo o del lobbismo, piuttosto che una rappresentanza sociale strutturata, o comunque non sembrano affermare chiaramente il diritto di partecipazione, quale strumento veramente in grado di interloquire, influenzare e controllare il processo decisionale.

L et dellansia per il ceto medio


In Francia e in Italia
Andrea Inglese
Tema del giorno in Francia (ma non solo) La Francia entrata da ormai un paio di mesi in quelleffervescenza tipica delle campagne presidenziali. Lintera macchina mediatica macina temi vecchi e nuovi, fattacci dattualit e spettri ideologici ricorrenti, nodi politici reali e miti nazionali intramontabili. Tra i leitmotiv prediletti, quello del declino delle classi medie risulta particolarmente malleabile e permette di essere declinato secondo i vocabolari ideologici pi diversi, da quello socialista a quello del Fronte nazionale. Le classi medie fungono cos da oggetto di dibattito, ma anche da interlocutore privilegiato di tutto lo scacchiere politico francese, generando una vera e propria concupiscenza da parte dei candidati alla presidenziale, che sono pronti a legare a esse il loro destino politico. Il protagonismo mediatico di quello che in Italia viene chiamato il ceto medio non certo una prerogativa francese. Dagli Stati Uniti allEuropa, la salute di questa classe sociale ha guadagnato sempre maggiore centralit nel dibattito pubblico, proprio nel momento in cui la classe operaia non tanto si estingueva, ma spariva semplicemente di scena, portandosi dietro le sue nuove difficolt e sofferenze. Il dramma della classe media, per, nasce allinsegna di una confusione tra condizioni reali e proiezioni immaginarie, come testimonia uno dei pioneristici studi sullargomento, The shrinking middle class: myth or reality?, firmato nel 1985 dalleconomista statunitense Neal H. Rosenthal. quindi fondamentale, ancora oggi, distinguere tra mito e realt intorno ai ripetuti allarmi di una fine del ceto medio. Questa distinzione pu introdurla solo un discorso proveniente dallambito delle scienze sociali, che sia in grado per di imporsi anche al di fuori della ristretta cerchia di specialisti, giungendo a condizionare il dibattito pubblico. Da questo punto di vista, la Francia risulta essere un caso pi felice dellItalia, dove il divario tra saperi disciplinari e doxa giornalistica pare essere una condizione ineluttabile. I francesi, infatti, non solo continuano a produrre una gran quantit di studi storici, sociologici, politici sul loro paese, ma sono anche capaci di trarre da questo materiale conoscitivo spunti importanti per una critica delle opinioni correnti. I due tempi delle classi medie In tutto lOccidente, le classi medie hanno svolto il ruolo di grande promessa nel processo di democratizzazione. Alla fine degli anni Ottanta, Sylos 6 Labini1, nel suo ampio studio sulle classi sociali, constatava in tutti i paesi capitalistici avanzati una rapida crescita assoluta e relativa delle classi medie, che costringeva a ripensare la tesi del bipolarismo classista, sottolineando invece una positiva tendenza egualitaria. Ma da buon socialista riformista come lui stesso si definiva lautore ricordava come tale tendenza non riposasse su un processo automatico, ma richiedesse piuttosto sforzi duri e incessanti. Con la fine del comunismo, i pi disinvolti apologeti delle democrazie liberali hanno rimpiazzato gli sforzi duri e incessanti con un pi gradevole e rassicurante disegno teleologico, che conducesse a una societ mono-classe, in cui il ceto medio fosse destinato a ingrandirsi indefinitamente, assottigliando sempre pi i poli estremi della grande borghesia e della classe operaia. Se le classi non scomparivano del tutto, almeno sarebbe scomparsa quella stratificazione palese, che sollevava lo scandalo della disuguaglianza e dei destini sociali predeterminati. Diventando numericamente irrilevante tanto il gruppo dei primi quanto quello degli ultimi, il ceto medio acquisiva i caratteri delluniversalit, occupando placidamente tutta la scena. Che le cose non andassero proprio in tale direzione non si aspettata la crisi finanziaria statunitense e quella del debito sovrano europeo per capirlo. Se prendiamo il caso della Francia, probabilmente intorno ai primi anni del nuovo secolo che si moltiplicano gli annunci di un declino conclamato delle classi medie. Una sommaria rassegna delle inchieste dedicate allargomento dal 2006 in poi rivela un vero e proprio climax apocalittico: Classi medie: langoscia di una generazione (le Figaro, 2006), Classi medie: la crisi (Le Nouvel Observateur, 2006), La crisi degli alloggi colpisce anche le classi medie (La Tribune, 2007), Lo smarrimento delle classi medie (Le Monde, 2008), Classi medie: il crollo (Le Point, 2008), Salviamo le classi medie (Enjeux Les Echos, 2009), Le classi medie in via di proletarizzazione (Marianne, 2011). Nellarco di un decennio, le belle speranze nei confronti del processo (inerziale) di democratizzazione hanno lasciato il passo a un susseguirsi di Al lupo! Al lupo!, che legittimano unangosciata e aggressiva difesa dellesistente2. Prove di realt Ora, proprio nel momento in cui le classi medie sembrano unanimemente costituire le vittime pri-

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vilegiate del declassamento, esce in Francia uno studio rigoroso e aggiornato sullargomento condotto da Dominique Goux (sociologa) e ric Maurin (economista), Les nouvelles classes moyennes3. Questo libro non solo invita a distinguere tra realt effettiva del declassamento e paura del declassamento, ma anche mette a nudo le mistificazioni che intorno a tale paura si sono costruite. Prendendo in esame diversi parametri (tasso di disoccupazione, salari medi, rendimento dei titoli di studio sul piano lavorativo, mobilit verso lalto o il basso della scala sociale, opportunit di ascensione sociale rispetto ai genitori, situazione abitativa), gli autori constatano una fondamentale tenuta delle classi medie, a fronte di un peggioramento reale delle condizioni desistenza dei ceti popolari. Le classi medie, insomma, non solo non stanno peggio di prima, ma rispetto sia ai ceti popolari sia alle classi superiori (liberi professionisti, dirigenti, manager ecc.) risultano le pi protette dai rischi di declassamento. Esistono anche per loro inedite fonti dincertezza e pericolo, ma queste non giustificano la posizione vittimistica che tendono ad assumere nel discorso pubblico. Chi pi ha subito gli effetti della trasformazione del mercato del lavoro, prima, e della crisi, poi, sono i ceti popolari, esposti alla povert e allesclusione sociale. Quella povert ed esclusione, che lattuale sistema di welfare mira a contenere, non certo a prevenire. Le politiche sociali, in Francia, piuttosto che promuovere lestensione verso il basso degli standard di vita e sicurezza delle classi medie, intervengono oggi a tamponare una condizione di marginalit gi radicata. Ed su questo punto che i due autori, nella conclusione, prendono posizione, formulando proposte politiche concrete. Le Monde dedicava a gennaio un paginone centrale al libro di Goux e Maurin, imponendo una revisione critica del topos del declassamento generalizzato. Inoltre, Les nouvelles classes moyennes uscito per una collana tascabile, a larga diffusione e con un prezzo molto accessibile. un libretto di un centinaio di pagine, non sprovvisto di grafici e cifre, ma scritto in uno stile chiaro e sobrio. A dimostrazione di quanto gi accennato in precedenza: nel dibattito pubblico francese sono mobilitate anche le risorse conoscitive e critiche delle scienze sociali4. Se ci non sufficiente, di per s, a neutralizzare le propagande politiche basate sulla paura e sul risentimento, contribuisce almeno a riproporre periodicamente unimmagine della societ pi precisa e articolata, fornendo anche a un pubblico non specialistico degli strumenti indipendenti di giudizio.
1. Paolo Sylos Labini, Le classi sociali negli anni 80, Laterza, Roma-Bari 1986. 2. Vale giusto la pena di ricordare che, nel 2006 in Italia, a firma di Massimo Gaggi (giornalista del Corriere della Sera) e Edoardo Narduzzi (manager hi-tech), usciva per Einaudi un accattivante libretto, La fine del ceto medio e la nascita della societ low cost. In esso, gli autori spiegavano come leguaglianza verso il basso, paventata da Sylos Labini ventanni prima, fosse in realt un accettabilissimo obiettivo, e che, defunto definitivamente il ceto medio, si faceva largo una fantomatica classe della massa. 3. Dominique Goux, ric Maurin, Les nouvelles classes moyennes, Seuil, Paris 2012. 4. Neppure da noi studi seri su argomenti simili mancherebbero. Penso, ad esempio, a un libro uscito nel 2010 per il Mulino, Restare di ceto medio, a cura di Nicola Negri e Marianna Filandri. Libro che, per altro, conferma anche per lItalia la tenuta del ceto medio, e nello stesso tempo la nuova fase critica che si sta aprendo. Si legge, nelle conclusioni: Per rapporto alla fase di crescita dei primi tre decenni del dopoguerra ci sembrato allora corretto parlare di una crisi delle condizioni di costruzione di una societ di ceto medio in assenza di cedimento della classi medie. La differenza con la Francia riguarda un aspetto diverso. Restare di ceto medio sembra destinato fin dalla sua pubblicazione a rimanere materia per i soli addetti ai lavori. Costa il doppio del volume francese. scritto in un prudenziale e ostico stile universitario. Difficilmente ha fatto o far sentire la sua voce nel dibattito pubblico.

Jan Fabre, Chapter XI, 2010, bronzo, photo Pat Verbruggen copyright Angelos

Mal dOlanda
Quando detenere risorse un problema
G.B. Zorzoli

he cosa hanno in comune la pacifica Olanda degli anni Sessanta e la Nigeria dove i Boko Haram fanno strage di cristiani nel Nord del paese? La medesima malattia, il Dutch desease, che dal primo dei due paesi ha preso il nome. La correlazione non intuitiva per le differenze che, strada facendo, si sono manifestate nel suo decorso. LOlanda guarita. Forte dellesperienza olandese, la Norvegia riuscita per tempo a immunizzarsi. In Nigeria, come in altri paesi estranei al club di quelli ricchi, si viceversa cronicizzato. Se la scienza economica si fosse sviluppata con qualche secolo di anticipo, la malattia sarebbe arrivata a noi con la denominazione di enfermedad espaola, scelta per descrivere in modo analitico il declino della Spagna a partire dallultimo scorcio del XVI secolo per effetto dellafflusso massiccio doro e dargento dalle Americhe. Anche ai tempi nostri alle origini del male troviamo limprovvisa abbondanza di una risorsa mineraria: il gas in Olanda, il petrolio (e il gas) in Nigeria. Allinizio degli anni Sessanta i Paesi Bassi erano una delle nazioni economicamente e socialmente pi progredite, per di pi convinta di avere vinto un terno al Lotto: la scoperta, nel 1959, di un gigantesco giacimento di gas naturale a Slochteren, che la trasform in uno dei maggiori esportatori di questo combustibile. Conseguenza del tutto inattesa, leconomia olandese entr in crisi. Lafflusso di valuta pregiata port a una sopravvalutazione del fiorino olandese, con il conseguente crollo delle esportazioni e aumento dellimport; situazione aggravata dallinflazione dovuta alla maggior quantit di denaro messa in circolo, che a sua volta contribu a rendere ancor meno competitive le imprese nazionali.

Inevitabili il fallimento di diverse aziende e la crescita della disoccupazione. Un paese da secoli nel novero di quelli capitalisticamente pi avanzati (secondo Braudel furono gli olandesi a inventare le societ multinazionali), dove oltre tutto il business del gas era gestito da Gasunie, una societ ad hoc partecipata da Exxon, ma anche dallanglo-olandese Shell e dallo stesso governo olandese, per curare la malattia invent uno strumento che avrebbe fatto scuola. Una parte dei profitti venne tolta dalla circolazione e conferita a un fondo sovrano per investimenti allestero.

razie alla tempestiva adozione di un identico strumento, la Norvegia riusc addirittura a non contrarre il Dutch desease che, data la maggiore sproporzione fra entrate petrolifere e reddito nazionale, sarebbe stato ancora pi devastante. Anche in Norvegia giov non poco il controllo pubblico delle societ coinvolte nellattivit estrattive, ma in entrambi i paesi la scelta di segregare una parte della ricchezza prodotta fu agevolata dal relativo benessere della stragrande maggioranza dei cittadini. Il Dutch desease venne cos debellato con una terapia che contribu non poco a diffondere nel mondo i germi di quel capitalismo finanziario di cui oggi stiamo pagando gli effetti. La Nigeria rappresenta laltra faccia della medesima medaglia. Innanzitutto non una nazione, cio il prodotto di vicende storiche principalmente autodirette, ma uninvenzione del colonialismo britannico, che ha aggregato 250 gruppi etnici diversi per religione e linguaggio, accumunati solo dalla cultura tribale. Oltretutto diventata indipendente solo nel 1960, per di pi quattro anni dopo linizio dellattivit petrolifera, quindi col Dutch desease congenito. Ovviamente il decorso fu analogo a quello olandese. 7

La Nigeria era caratterizzata da un settore agricolo relativamente sviluppato, che rappresentava principale voce dellexport: il boom del petrolio in pochissimi anni lo port al collasso. Oggi il paese importare netto di prodotti alimentari. La ristretta, ma efficiente, burocrazia pubblica, uno dei pochi lasciti positivi del colonialismo britannico, venne rapidamente corrotta dal flusso di denaro piovuto sul paese. Gi sarebbe stato quasi impossibile costituire un fondo sovrano in un paese con una vasta popolazione da sfamare (155 milioni oggi, poco meno della met nel 1960); la distruzione dellunica struttura pubblica esistente in uno Stato privo di identit nazionale si tradusse in sprechi, ruberie, arricchimenti illeciti, impoverimento diffuso: il reddito procapite oggi inferiore a quello del 1960, malgrado il governo nigeriano incassi pi dell80% dei ricavi petroliferi. Lodierno progrom di matrice confessionale solo il sintomo esteriore del conflitto sulla distribuzione della rendita petrolifera, con il Nord a prevalenza musulmana, privo di questa risorsa, convinto di essere penalizzato dal Sud a maggioranza cristiana. Un conflitto che nel corso dei decenni ha assunto le forme pi disparate. La pi clamorosa, nel 1967, fu la secessione della regione sudorientale, il Biafra, sconfitto dal nord dopo tre anni di guerra civile e pi di tre milioni di morti. Poco importa che la maggioranza della popolazione nelle zone ricche di petrolio lungi dal trarne vantaggi soffra gli effetti di uninflazione ancora pi galoppante che altrove, e il degrado territoriale prodotto da modalit di estrazione poco rispettose dellambiente (per esempio nel 2008 il mancato intervento immediato della Shell per fermare le fuoriuscite di petrolio e bonificare la zona inquinata a Bodo, ha devastato la vita di decine di migliaia di persone).

Un risorsa come il petrolio, che altrove rende ricchi, per la Nigeria stata definita una tragedia. Il petrolio scorre dove la terra sanguina, ha scritto Amnesty International. Anche in un altro Stato inventato dagli occidentali, lIraq, dove per qualche decennio la malattia stata sedata (non sconfitta), lo si deve alla violenza di una dittatura, dove i sunniti, che occupano la parte del paese priva di petrolio, hanno imposto la loro terziet a sciiti del sud e curdi del Nord, entrambi con miliardi di barili di greggio ancora sepolti nel sottosuolo. Liberato dagli americani, le violenze, anche l in superficie etnico-religiose, sono puntualmente riprese. complicare la situazione, anche negli altri paesi produttori di petrolio, contribuisce la volatilit dei prezzi del greggio, pi che altro prodotta dalle manovre del capitale finanziario internazionale (si veda larticolo di Drilling sul numero, 16 febbraio 2012, di alfabeta2). Per tacitare il malessere sociale, nelle fasi di quotazioni alte i governi varano ambiziosi programmi pubblici e sovvenzionano i prezzi politici per i generi di prima necessit, misure che sono sostanzialmente costretti a proseguire anche quando i prezzi vengono fatti calare; naturalmente indebitandosi, prendendo i denari a prestito dagli stessi che manovrano le quotazioni del barile. Insomma, le malattie economiche non evolvono in modo differente da quelle che affliggono la salute degli uomini. Ad esempio nei paesi capitalistici sviluppati la mortalit da parto e infantile ai minimi termini; perfino una malattia solo venti anni fa devastante, come lAids, sotto controllo. Altrove, continuano a essere dei flagelli. Unanalogia, ovviamente, non casuale.

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La Vandea che in noi


La controrivoluzione nei paesi arabi
Omeyya Seddik

artiamo da una domanda. Che cos la controrivoluzione araba? Ci che chiamiamo controrivoluzione un processo contemporaneo alla rivoluzione, che in alcuni casi le strettamente connesso, e che si presenta nella forma di un insieme di strategie, di resistenze o di blocchi, il cui obiettivo tanto ostacolare i processi di democratizzazione e di allargamento del controllo popolare scaturito da quei movimenti chiamati rivoluzioni arabe, tanto restaurare forme di controllo messe in crisi, indebolite o distrutte da parte delle insurrezioni, in Tunisia, Egitto, Libia o altrove. Si tratta di strategie legate a forze politiche o economiche interne o di strategie di potenza dispiegate su un piano internazionale. Il tema della controrivoluzione sta diventando in questi paesi un discorso molto diffuso, dove spesso pu assumere la forma di una lotta di potere o di una lotta dinfluenza tra diversi attori concorrenti allinterno di una stessa corsa per il potere e per le risorse, come conseguenza della caduta dei regimi precedenti. Oppure pu assumere la forma di teorie cospirazioniste, utilizzate da campi diversi, come espressione giustificatoria di singole politiche. Per questo oggi assolutamente cruciale sviluppare una definizione meno relativa, meno polisemica del concetto operativo di controrivoluzione. una delle poste in gioco della rivoluzione stessa. Nel concetto di controrivoluzione c comunemente lidea di un elemento preesistente alla rivoluzione che tornerebbe per ristabilire un ordine ex ante. Io intendo qualcosa di diverso, poich non si tratta semplicemente dellurto tra ci che cera prima e ci c dopo. In realt credo che in nessun momento storico, rivoluzioni e controrivoluzioni siano mai state la semplice successione di due fasi ben separate e distinte. Questa visione vale solo per i manuali di storia e per certe teorie meccaniciste. In realt, il problema oggi quello della preesistenza del passato o, meglio, di come il passato si riproduca. Come dicevo poco sopra, tale questione pu porsi anche nella forma di teorie cospirazioniste. Intendiamoci, non vorrei che lespressione teoria cospirazionista venisse intesa in modo volgare, poich queste teorie spesso si fondano su una base di verit che viene disinnescata da letture e interpretazioni che possono essere oscure o personalizzanti. Mi spiego, nei diversi paesi toccati dalle rivoluzioni arabe le parole utilizzate sono molto diverse. In Tunisia, ad esempio, nel parlare di controrivoluzione si utilizza spesso unespressione che tradotta significa mani nascoste. In Egitto si utilizza unaltra espressione che significa avatar, gli avatar del vecchio regime. In via generale ci che viene indicato con esse ci che resta dei dispositivi di coercizione o delle reti di potere economico maggiormente convergenti con i regimi dittatoriali precedenti. Questi interi blocchi di apparati di sicurezza o di borghesia parassitaria legata ai vecchi regimi, che continuano a esistere, nel tentativo di riposizionarsi si sono da subito alleati a un certo numero di altri attori e di altre reti politici, economici, sociali tanto interni a questi paesi quanto internazionali. Si tratta di dispositivi con una certa efficacia. Soprattutto quando le alleanze si traducono in strategie di riposizionamento allinterno della nuova configurazione politica o di ripresa di controllo, con varie gradazioni, dei nuovi assetti del potere. Pi semplicemente in strategie di riciclaggio. Si tratta comunque di strategie flessibili che tengono conto di dinamiche esistenti, incluse dinamiche di trasformazione sociale rispetto alle quali possono essere tanto degli oppositori quanto degli alleati, degli sponsor o dei sostenitori, ricollocandosi cos per le fasi a venire in funzione dei rapporti di forza. Possiamo chiederci se vi siano paesi in cui queste strategie sono pi forti o pi efficaci, pensando alla differenza degli esiti provvisori delle rivoluzioni arabe. C una grande differenza tra la situazione tunisina e quella egiziana, questo per molte ragioni.

Una delle ragioni risiede nella struttura del potere del vecchio regime. In Egitto esso si caratterizza per un esercito estremamente influente e affatto isolato dal tessuto sociale, ovvero che dispone, da un lato, di una base e di legami con la popolazione e, dallaltro, di una forza economica rilevante, oltre ai classici fattori di potenza per un esercito, cio il numero degli effettivi e i mezzi materiali. Un esercito che ha goduto di flussi finanziari molto importanti provenienti da altri Stati, oltre che di aiuti materiali esterni molto rilevanti provenienti dagli Stati Uniti, e che non pu essere considerato come un corpo separato dal potere di Mubarak il quale, a prescindere dal filone clanistico o famigliare di cui era rappresentante, rimasto fino in fondo unespressione della gerarchia e del potere militare. Un potere militare che non stato messo in discussione dalla prima fase della rivoluzione egiziana, che stato considerato e si comportato come il paradossale garante della continuit dello Stato, ma pretendendo al contempo di figurare come il garante della continuit della rivoluzione. Un esercito che dunque contemporaneamente lespressione della preservazione di ci che del vecchio regime pu essere preservato e lespressione di una volont di preservazione dello Stato egiziano, e tocchiamo qui un punto importante e complesso. Quando il movimento rivoluzionario ha preso piede in Egitto, un certo numero di forze economiche essenzialmente forze di tipo liberista presenti allinterno del paese e alcune delle potenze tutelari a livello regionale e internazionale hanno preso atto della nuova situazione, e si sono preoccupate di promuovere le forze della preservazione, di un vecchio ordine che era loro favorevole, ma si sono anche applicate, con una capacit di adattamento assai notevole, a promuovere parzialmente il campo rivoluzionario. Questo al fine di avere la possibilit di mantenere un controllo sul nuovo regime a condizione che nuovo regime vi sia , ma anche di fare in modo, laddove venisse meno la forza di controllo, che il nuovo Stato fosse molto fragile, o al limite suscettibile di disintegrarsi. Perch la ricomposizione di forme di controllo sulla base di un nuovo ordine tanto pi facile se lo Stato debole o un failed State. Per questo lesercito egiziano si vede, si visto, ed visto, anche da una parte della popolazione, come tanto lagente della controrivoluzione quanto come il principale attore che resiste alla versione caotica della controrivoluzione, alla versione libica o balcanica. Si tratta di realt estremamente ambigue, un po ovunque. In Egitto persino il movimento rivoluzionario insieme un fattore di approfondimento della dinamica popolare, di allargamento del controllo popolare sullo Stato, e un fattore di disintegrazione di ci che pu costituire la garanzia della conservazione di unindipendenza nazionale e delle condizioni di una democrazia che non assuma il volto di una guerra civile, larvale o meno. Questa una delle specificit dellEgitto rispetto alla Tunisia, dove il problema dellesercito non si pone in modo altrettanto importante.

del vecchio regime e dinamiche rivoluzionarie abbia assunto in Tunisia un tono meno frontale e abbia lentamente consentito la nascita di una nuova scena politica che pu negoziare il cambiamento, anche con lamministrazione, il potere economico e gli apparati di sicurezza. Forse tutto questo dipende anche del fatto che allinterno della regione la Tunisia rappresenta molto meno dellEgitto un anello cruciale, dal punto di vista militare, dellaccesso alle risorse e dunque lintervento dei diversi interessi economici e geostrategici nazionali e internazionali sia meno violento. Ci sono poi altri fattori di differenza tra la Tunisia e lEgitto. Il fattore della composizione stessa del movimento insurrezionale che sfociato in quella che chiamiamo la rivoluzione: in Egitto si tratta di un movimento che rimasto estremamente urbano e molto isolato da una grossa parte della popolazione, cosa che fin quasi da subito non accaduta in Tunisia, dove il movimento si allargato pressoch alla totalit del territorio del paese e a strati sociali molto diversi che si sono alleati in un arco temporale piuttosto breve (dal 17 dicembre 2011 al 14 gennaio 2011). In Egitto, anche questa la debolezza del campo rivoluzionario. Debolezza che fa s che possa essere combattuto con maggiore efficacia da parte dei suoi avversari, ma anche manipolato pi facilmente da eventuali padrini. Per paradosso, questo fattore costituisce anche ci che definire il potenziale estensivo della rivoluzione egiziana, suscettibile di allargarsi ulteriormente a settori sociali che funzionano da riserva della rivoluzione. Laddove in Tunisia, si tratta di un potenziale intensivo, rispetto al quale in gioco c solo la crescita della capacit di organizzazione, di immaginazione e di elaborazione di unarea sociale che ha raggiunto una superficie che socialmente pu solo restringersi.

rapporti di forza. Potremmo avere delle evoluzioni contraddittorie, in Tunisia ad esempio il principale partito religioso ha votato a favore della parit di genere con alternanza obbligatoria alle elezioni, si impegnato a non mettere mano allo statuto delle libert personali del periodo di Bourguiba, ma a volte emergono a discorsi o pratiche retrograde che vengono tutti dal loro sacco. Ma tutto questo oggetto di rapporti di forza che non corrispondono alle suddivisioni che supponiamo. Ovvero, si tratta di rapporti di forza che possono opporre il campo dei secolari e il campo dei religiosi, ma anche campi diversi proprio allinterno di ciascuno di questi schieramenti. Questo riguarda i costumi e le relazioni di genere, ma lo stesso accade per le questioni sociali, i rapporti di lavoro, i rapporti di produzione, le scelte politiche e finanziarie: le posizioni non corrispondono affatto alla suddivisioni quali le immagina la stampa internazionale, che ha la tendenza a dividere tutti questi paesi tra barbuti e sbarbati o tra velo e minigonna.

e guardiamo alla Tunisia, rispetto allEgitto, assistiamo a un rapido approfondimento dei processi rivoluzionari. Cosa legata anche al fatto che qui non c alcun soggetto in grado, quale lesercito in Egitto, di mantenere un controllo sulla situazione e dove un consenso politico molto allargato sfociato in un processo costituente, ovvero un processo che rifonda in tutto e per tutto le istituzioni dello Stato, lasciando da parte, almeno teoricamente o almeno per il momento, ci che resta del vecchio regime, un vecchio regime che conserva resti importanti ma che non sono dotati della stessa forza durto dellesercito in Egitto. Si tratta di settori dellamministrazione e dellapparato di sicurezza, i quali non sono capaci di strategie di controllo offensive ma sono capaci di strategie inerziali che rendono pi stretto il margine di manovra del processo di trasformazione politica. Questo ha fatto s che lo scontro tra forze 8

ultimo fattore di cui tenere conto, e che meriterebbe un approfondimento a s, la differenza di natura, di storia e di composizione delle principali forze politiche esistenti, nella fattispecie forze di ispirazione religiosa. Per quanto riguarda gli attori politici presenti. Non possiamo dire che le forze politiche di ispirazione religiosa siano in quanto tali ascrivibili a fattori controrivoluzionari. Tanto in Tunisia che in Egitto, gli islamisti possono essere sia con la rivoluzione che con la controrivoluzione. Il campo politico di ispirazione religiosa attraversato da entrambe le strategie, ovviamente dipende da ci che sintende con rivoluzione. Io assumerei una definizione semplice, la rivoluzione un cambiamento radicale, quelli che stanno sotto vanno sopra direbbe Mario Tronti. O, in termini pi propri alla fisica, il compimento di un ciclo e linizio di uno nuovo. Non credo che la rivoluzione centri niente col progresso. Tornando alla questione delle forze politiche islamiste: in Tunisia, ad esempio, ci che pu fare ostacolo a un processo di profonda trasformazione sociale che sia il prolungamento di quanto stato espresso nel corso della rivoluzione la rivendicazione di libert, giustizia, dignit non sono gli islamisti in quanto tali o i non islamisti in quanto tali, ma la conservazione della questione religiosa o identitaria come la principale discriminante politica. La prima delle rivoluzione delle primavere arabe, quella dellottobre 1988 in Algeria, sfociata in una sceneggiatura caricaturale che ha trasformato un movimento sociale di cambiamento radicale in uno scontro frontale sulla discriminante tra religiosi e non religiosi, traducendosi poi in una guerra civile e in opzione militare. Questa sceneggiatura caricaturale pu essere alimentata tanto da posizioni, tendenze, pratiche, politiche particolarmente settarie dalla parte del campo politico di ispirazione religiosa o da discorsi dello stesso tenore provenienti dal cosiddetto campo di ispirazione laica. Il problema della traduzione politica dei concetti di giustizia, di uguaglianza, di libert, che sono concetti molto importanti per gli eventi tunisini ed egiziani, da parte degli uni o degli altri, e sar oggetto di continui

er tornare a una descrizione delle strategie di potenza dispiegate su un piano internazionale e a fattori di controrivoluzione esogeni, dobbiamo guardare alla Libia. Lintervento internazionale in Libia stato un tassello fondamentale della presa in conto, da parte di Stati Uniti e Unione Europea, di una dinamica ineluttabile che avrebbe portato alla loro esclusione da questa regione, un tassello fondamentale delle strategie di assorbimento o di controllo di questa dinamica. Ma contrariamente a ci che potremmo credere, tutto ancora da giocare. Anzitutto, quanto accaduto in Libia non significa che si sia assistito a un trionfo americano. Aspetto ancora qualcuno che possa provare concretamente che gli Stati Uniti controllano il territorio libico in una forma qualunque. vero che hanno avuto un ruolo molto importante nella caduta di Gheddafi e nel corso degli eventi in Libia, ma facendo leva su una dinamica che esisteva davvero allinterno del paese e che non pu essere considerata come determinata da strategie esogene. Chiunque vada in Libia, potendo godere di un rapporto di fiducia con i libici, la frase che sente pi spesso un proverbio che tradotto significa Chi non ha protettore, pu chiamare zio anche il cane. In Libia questa lopinione dominante su Obama, Sarkozy, Berlusconi ecc. Oggi la situazione ancora aperta, occorrerebbe aspettare che alcune dinamiche si stabilizzino, ma non credo che sia per forza scontato che tutto proceda verso il ripristino di una regione sotto controllo. Ben inteso, si trattato di una strategia di riposizione molto importante. E ha rivelato che non cos facile passare in tre mesi da una regione americana a una regione postamericana. Ma non siamo comunque pi dentro la regione americana dellanno scorso. Credo che per il futuro assisteremo a evoluzioni di forze contraddittorie, i processi in corso non sono chiusi e persino le alleanze che appaiono scontate dovrebbero essere guardate con maggiore circospezione. Penso ad esempio ai posizionamenti molto ambigui e contradditori di paesi quali la Turchia o il Qatar, che conservano una solida alleanza con gli Stati Uniti rinegoziando con essi alcuni rapporti regionali e rivendicando per s una capacit di stabilizzazione e quindi di destabilizzazione che impone un riequilibrio regionale delle forze e una rimessa in discussione di relazione primitivamente coloniali. Ci sono, inoltre, altri soggetti di cui tenere conto. Ma, oltre agli Stati, c un soggetto che ha largamente dimostrato le propria capacit di intervento. Questo soggetto il popolo: in modo pressoch unanime in tutta la regione, il popolo ritiene che la rivoluzione significhi anche frattura con lordine mondiale dominante.
Testo ricavato da unesposizione orale. Trascrizione e traduzione dal francese di Ilaria Bussoni

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Jan Fabre, Chapter VIII, 2010, dettaglio, cera, photo Pat Verbruggen copyright Angelos

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Beni comuni un anno dopo


Lucia Tozzi

beni comuni sono sotto attacco. Non solo dal punto di vista materiale, per mano del governo Monti adesso e degli ultimi disperati atti compiuti dal governo Berlusconi prima di affondare. il concetto stesso che comincia a dare molto fastidio negli ambienti politici italiani, e non solo in quelli di destra, ma anche e soprattutto in quelli di centro-sinistra. Linsofferenza un buon segno, significa che finalmente quello che era un tema da convegni universitari o un oggetto stravagante per piccole consorterie di giuristi esploso, diventato un paradigma vitale che offre a un elevatissimo numero di persone la possibilit di interpretare gli eventi globali e locali il cronicizzarsi della crisi economica, la qualit delle soluzioni proposte in un modo alternativo al dogma liberista. Si trattato di un passaggio violento, che in Italia ha preso la forma del colpo di scena primaverile del referendum e delle elezioni amministrative. Contro ogni previsione, in un clima mefitico, governo, opposizione e media hanno dovuto prendere atto che la popolazione stava ragionando con strumenti diversi dai loro: lacqua, lenergia e le citt erano diventati beni comuni da sottrarre alla logica della merce. Gli italiani, che credevano obnubilati, erano stati capaci di esprimere un pensiero complesso e alternativo alle proposte del 90% della rappresentanza politica in Parlamento. Un pensiero elaborato localmente dalle associazioni, dai movimenti, dalle reti non istituzionali, ma collegato alle lotte internazionali pi avanzate, dai movimenti contro il land grabbing in India, in Africa e Sudamerica ai vari Indignados e Occupy, alle mobilitazioni studentesche, contro il precariato, contro le politiche di chiusura delle frontiere. Sul piano della prassi la reazione stata immediata: gi in estate un decreto annullava tecnicamente lesito referendario, reintroducendo di fatto la privatizzazione dellacqua, poi in autunno sotto la minaccia della crisi si avviata una politica di privatizzazioni e liberalizzazioni senza precedenti. Pi in generale, passata lidea che la democrazia diretta negativa, anzi dannosa agli effetti della governabilit di un paese, e quindi le espressioni della volont della popolazione vanno ignorate, avversate o meglio eliminate sul nascere, come successo in Grecia per il referendum sul debito o in Italia con il referendum sul sistema elettorale. Molti gridano al golpe o ritengono che stiamo vivendo una sospensione temporanea del diritto, in una logica da stato di eccezione. Tuttavia, come spiegano Massimiliano Guareschi e Federico Rahola nel loro ultimo, bellissimo libro Chi decide? Critica della ragione eccezionalista (ombre corte 2011), evocare leccezione significa chiamare in causa la sovranit, lidea tutto sommato rassicurante di qualcuno che decide. Ma oggi davvero possibile identificare un soggetto unico della decisione e distinguere chiaramente un dentro e un fuori rispetto a cui si esercita la sua autorit?. Il continuo ricorso allemergenza (la crisi, il debito, lEuropa in questo caso) pi che altro un dispositivo retorico utile a stabilire un nesso con la necessit ineluttabile, di fronte alla quale non pu darsi scelta, ma solo una reazione obbligata: il suo contenuto non la decisione politica di tradire la volont popolare sospendendo lo stato di diritto, ma limpossibilit strutturale di decidere sul proprio territorio per effetto del processo globale di sovrapposizioni e conflitti tra sovranit geograficamente sparse. La consapevolezza riguardo a questa geografia multiscalare che rende le forme di governo localmente definite (Stato, amministrazione regionale, comunale ecc.) strutturalmente impotenti ma anche meno responsabili nei confronti dei cittadini uno strumento fondamentale ai fini

della valutazione tanto delloperato dei governanti quanto delle azioni politiche dei governati. Se possibile invalidare un referendum, in barba alla Costituzione, chiaro ormai che il principio della delega definitivamente morto. Per imporre la propria volont politica la popolazione non pu pi semplicemente affidarsi al voto, seppure referendario, ma costretta a una mobilitazione permanente tanto nelle forme partecipative che in quelle conflittuali.

in questo quadro che sta montando la nuova ostilit nei confronti dellidea di beni comuni. Proprio perch lanalisi della propriet su cui essa si fonda non solo mette a nudo linconsistenza delle pretese di autonomia del politico e del diritto dalla sovranit del mercato e degli altri attori internazionali, organizzazioni governative e non governative, ma appunto implica anche un ritiro della delega quasi totale di cui finora politici e istituzioni hanno goduto nelle nostre democrazie. Le politiche dei beni comuni non sono realmente attuabili senza il controllo e la partecipazione costante della popolazione o, nellipotesi pi radicale, senza lappropriazione della sovranit. Il pi benintenzionato dei governanti non riuscir mai a rendere veramente comuni, ovvero accessibili a tutti e inalienabili, i beni e i servizi che ora sono di propriet pubblica e quindi considerati come privatizzabili e liberalizzabili a piacimento quando occorra fare cassa senza coinvolgere direttamente le energie positive e negative della collettivit. E questo, insieme alla capacit di mobilitazione che le politiche dei beni comuni effettivamente possiedono, incute timore al ceto politico dominante. Pi complessa la questione della diffidenza di molti intellettuali e attivisti nei confronti dellegemonia che il comune e i beni comuni stanno assumendo nel discorso politico. In grandissima parte il fenomeno dovuto alle ambiguit di un pensiero che ancora in fieri, e che viene declinato in modo molto diverso a seconda dei contesti, pi orientati alla speculazione o allazione politica diretta. Nel panorama italiano appaiono sotto molti aspetti distanti le posizioni assunte da Toni Negri, Ugo Mattei e Alberto Lucarelli. Con Commowealth (Comune. Oltre il privato e il pubblico, Rizzoli 2010), Negri e Hardt istituiscono

la nozione di comune come processo produttivo, come espansione cio della cooperazione e dellinterazione orizzontale tra esseri umani, potenzialmente in grado di restituire la sovranit alle masse. I beni comuni sono linsieme di ricchezze naturali e artificiali, appartenenti al mondo materiale, e di pratiche, conoscenze, linguaggi, informazioni che scaturiscono dallinterazione tra gli uomini: opporsi alla loro espropriazione da parte di un capitale ormai orientato alla rendita pi che alla sfera del profitto tradizionalmente inteso la chiave fondamentale per scardinare le relazioni immanenti tra sovranit, diritto e propriet che definiscono i rapporti di forza contemporanei. In questa prospettiva non c alcuno spazio per il pensiero ecologista legato alla scarsit dei beni o alle nostalgie comunitarie: Hardt e Negri avversano con la massima energia il modello della decrescita con tutti i suoi annessi e connessi. Allopposto, levoluzione delle riflessioni di Ugo Mattei, dal volume del 2006 curato assieme a Reviglio e Rodot, Invertire la rotta. Idee per la riforma della propriet pubblica (il Mulino 2006) a Il saccheggio. Regime di legalit e trasformazioni globali (con Laura Nader, Bruno Mondadori 2010) fino allultimo libro Beni comuni. Un manifesto (Laterza 2011), segna uno slittamento verso un comunitarismo che mescola lecologia di Fritjof Capra a una rappresentazione idealizzata del medioevo europeo dove la maggior parte della popolazione viveva con poche risorse nelle campagne, dedita a uneconomia di sostentamento. Insieme si mangiava, si dormiva, ci si scaldava, si coltivavano i campi, si andava a caccia, si raccoglieva la legna, si cantava e si ballava durante il tempo libero. Nellera precedente alle enclosures trattate da Marx nel capitolo del Capitale dedicato allaccumulazione originaria, questa vita cooperativa si svolgeva felice secondo Mattei nellambito di territori circoscritti e fecondi di beni comuni, analogamente a quanto ancor oggi accadrebbe nelle comunit di villaggio semplici e periferiche. Ora, se vero che in questo periodo riemergono con sempre pi forza le critiche allo sviluppismo e allidentificazione del benessere con la ricchezza, naturale che a molti questa rappresentazione idilliaca della povert e del comunitarismo appaia connotata da tratti potenzialmente reazionari. Daltra parte la straordinaria cultura giuridi-

ca, gli anni di lavoro nella commissione Rodot per la riforma dei beni pubblici, la redazione dei quesiti referendari sullacqua e la vulcanica campagna elettorale (esperienze condivise con Alberto Lucarelli), oltre a un esperimento come la stesura dello statuto del Teatro Valle Occupato, hanno fatto di Mattei uno dei pi intelligenti, attivi ed efficaci interpreti della crisi e della stagione politica attuale, un forte oppositore del governo Monti e della sua ideologia violentemente classista. La sua analisi dellasimmetria giuridica tra la tutela costituzionale dei beni privati nei confronti del pubblico esproprio e la vulnerabilit dei beni e servizi di propriet dello Stato nel trasferimento dal pubblico al privato (privatizzazioni e liberalizzazioni), formulata con forza e chiarezza esemplari. Eppure le sue argomentazioni nella lotta contro i decreti liberalizzatori, pur riconducendo giustamente la ratio di questi provvedimenti allinteresse delle corporations e non, come da propaganda, a quello della popolazione , finiscono per difendere lobby e ordini professionali. Invece di invocare una ripubblicizzazione totale (o meglio uno statuto di beni comuni) dei servizi offerti da notai, tassisti, farmacisti, Mattei supporta lideologia del professionalismo, una delle pi becere invenzioni dellindividualismo ottocentesco americano, come ha mostrato Sergio Bologna in Vita da Freelance (con Dario Banfi, Feltrinelli 2011). Poich queste categorie esigono la protezione statale senza rinunciare allo status di professionisti-imprenditori, trasformando di fatto il servizio pubblico in lusso, la loro sublimazione in vittime eroiche del capitale in nome dei beni comuni unoperazione non propriamente condivisibile.

no dei luoghi pi interessanti per osservare i primi effetti delle politiche dei beni comuni in una prospettiva a sua volta distante dalle teorie negriane Napoli: qui Alberto Lucarelli, professore di diritto pubblico, autore di Beni Comuni. Dalla teoria allazione politica (Dissensi 2011; per questa pubblicazione e lultima di Mattei citata si rinvia altres alla recensione di Paolo Cacciari su questo stesso numero di alfalibri, N.d.R.), nominato da De Magistris assessore ai beni comuni, impegnato nel tentativo di dotare una delle citt pi complesse del mondo di strumenti di governo partecipativo. Il primo atto stato la trasformazione della S.p.a. Arin, la societ dellacqua, nellazienda speciale Abc (Acqua Bene Comune Napoli), ente di diritto pubblico senza fini di lucro e governato attraverso il coinvolgimento dei cittadini. Ha poi creato il Laboratorio Napoli, un sistema di consultazione e di controllo da parte della popolazione sulloperato della giunta, e ha fatto approvare le delibere sul territorio bene comune e sul testamento biologico. Con il sindaco ha lanciato la Rete dei Comuni dei Beni Comuni. Unattivit intensa, i cui esiti sono per continuamente minacciati del governo Monti e degli altri attori che a vario titolo esercitano forme di governo sul territorio. Oltre alla pressione esterna, le politiche dei beni comuni sono continuamente messe a rischio dai fisiologici cali di partecipazione dei cittadini, dalla difficolt di mettere in atto gli indispensabili meccanismi di trasparenza sulle decisioni della giunta, e allo stesso tempo dallurgenza reale delle pratiche di governo dellamministrazione, che compete con i tempi lunghi del modello partecipativo. Ma la lotta per vincere le naturali resistenze che questo esperimento rivoluzionario comporta va combattuta perch, nella visione di Lucarelli, beni comuni e partecipazione sono le due categorie giuridiche fondamentali per destrutturare il binomio sovranit-propriet e costruire un nuovo modello di democrazia.

Jan Fabre, Chapter XII, bronzo, photo Pat Verbruggen copyright Angelos

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Il vento del Sud


Il bene comune, la comunit e De Magistris
Franco Piperno
La composizione sociale Cera di tutto o quasi, quel pomeriggio di sabato 28 gennaio a Napoli, nella sala del cinema-teatro Politeama, per lappuntamento con De Magistris. Intanto, allingresso, fuori dalla porta, come dabitudine tenuti a bada dalle guardie municipali, i disoccupati organizzati reincarnazione degli antichi lazzari che narravano, con la nuda e rituale presenza, limpresa a loro riuscita: come rendere la ricerca del lavoro un mestiere malpagato ma certo tra i pi stabili che offra il mercato globale a Napoli. Dentro, in platea e nei loggioni, losservatore attento poteva distinguere a occhio, dallabbigliamento, la borghesia delle professioni, le lite operaie senza classe operaia, le femministe di seconda generazione, gli intellettuali modernizzatori i begriffi napoletani, curiosit locale come i nodini di bufala ancora accecati dai lumi francesi e acciaccati dal naufragio della rivoluzione partenopea del 99. N mancavano i reduci del 68, attempati e melanconici, con quei loro occhi carichi di una fiducia senza speranza; i militanti tenebrosi dei centri sociali, in particolare veneti, romani e campani; gli effervescenti studenti dellOnda; qualche urbanista smarrito. Era anche presente, come ormai duso, un team, dir cos, di tecnici, accademici del diritto, intenti a delineare un quadro giuridico che faccia posto alla democrazia partecipata o deliberativa; andando, in questo modo, inevitabilmente oltre, non senza qualche reverenziale timore, la Costituzione della Repubblica italiana; in modo che la democrazia partecipata, imbottita di plebisciti pudicamente chiamati referendum diventi un corroborante della esangue democrazia rappresentativa. Ma, soprattutto, cera tanto ceto politico intento a fare il suo mestiere, in cerca di migliore occupazione, alla caccia spasmodica di consenso per lalternativa di governo, per i posti di rappresentanza del popolo di centro-sinistra nei prossimi comizi elettorali. Si pu ben dire che, malgrado la presenza dei sindaci sul palcoscenico stesse l a ricordare la citt piuttosto che la nazione, era questa la componente politicamente egemone, quella che conferiva una aura salvifica allappuntamento; e questa aura, va da s, si specchiava nel volto e nelle parole di Nichi Vendola, Stupor Apuliae, candidato alternativo autentico a Palazzo Chigi. La sua oratoria quasi colta, modulata da climax ascendenti e discendenti, in un teatro con una acustica perfetta, fluttuava tra le volte qualche po conventuali della sala come un canto ammaliante di sirena. Non cera, per la verit, Luxuria; e mancavano pure i dirigenti del Pd nazionale, campano e napoletano; inoltre i sindaci delle citt settentrionali avevano prudentemente evitato quel pubblico appuntamento. E tuttavia queste assenze apparivano leggere rispetto al vuoto prodotto dallassenza, questa s ben pi ingombrante, dei luoghi propri di Napoli, i suoi antichi Quartieri. Beni comuni e comunit Questa assenza privava di fondamento materiale tutta la verbosa discussione sui beni comuni; risolta, infatti, con la riproposizione, negli interventi finali, della legittimit, per il municipio, di possedere aziende pubbliche che ben difficile far rientrare tra i beni comuni. Insomma si avvertiva una sproporzione materiale tra temi e soggetti che li trattavano, quasi si fosse davanti a una imperizia dei corpi. Cos la citt diviene federale a partire dal suo stesso interno mentre, in filigrana, sintravede un orizzonte federale e consiliare per le mille e pi di mille citt italiane. Per Napoli poi, per la sua storia, risulta evidente che non avverr alcuna significativa trasformazione urbana senza la partecipazione attiva dei Quartieri storici. Infatti, si tratta di riannodare quel filo tra intellettuali e moltitudini che si spezzato da tempo: la ferita inferta alla citt gentile dalla rivoluzione partenopea del 1799, quando i giacobini napoletani strinsero un patto scellerato con gli invasori francesi, e cos facendo impedirono la metamorfosi dei lazzari in sanculotti il che ha poi ostruito il cammino che avrebbe potuto menare la citt a divenire moderna. E, sia detto qui per inciso, questa la via maestra per porre il problema della criminalit organizzata meglio sarebbe dire socialmente radicata come questione della metropoli napoletana, da affrontare e risolvere in loco, da parte dei napoletani stessi. Si badi, non si tratta tanto della camorra (la cui vera potenza risiede nel suo un ruolo di supplenza di una imprenditorialit che non c o pi precisamente di borghesia allo stato nascente, nella fase di accumulazione originaria) quanto, piuttosto, di una etica, o, se si vuole, di una subcultura, un senso comune premoderno che privilegia l rapporti parentali o amicali rispetto allo scambio mercantile. In altri termini a Napoli vi sono, dir cos, comunit criminali il cui radicamento sociale attesta una appartenenza moltitudinaria a quei luoghi che certo non sar lacerata a colpi di stato dassedio, legislazione speciale e carcere duro. Si tratta, piuttosto, di recuperare a un livello comunitario pi complesso la forma premoderna di quel legame e la sua preziosa energia cooperativa, sottraendovi laspetto d devianza criminale e offrendo una possibilit di riscatto. Del resto, non forse cos, riscattando la malavita, che hanno avuto luogo le trasformazioni dellimmaginario collettivo nelle citt del Mediterraneo? Valga un solo esempio: il rapporto tra Kasbah e movimento di liberazione ad Algeri allepoca della insurrezione contro loccupazione francese. Certo, quellultimo sabato di gennaio al Politeama di Napoli non faceva difetto la confusone. E tuttavia va riconosciuto che, per la prima volta nella storia repubblicana, qualche centinaia di sindaci erano l a discutere sul modo di superare i limiti della democrazia parlamentare. E se Nichi Vendola, gi governatore di una regione, si riproponeva come leader nazionale di una alleanza elettorale per la crescita economica dellItalia, anche vero che nelle parole di molti sindaci in particolare di quelli di Cagliari, Bari e Napoli si sentiva leco nostalgica della perduta sovranit urbana; e qualche disponibilit a recuperarla. Cera confusione, di lingue e di propositi, quel sabato pomeriggio al Politeama di Napoli. Molto giacobinismo e pochi giacobini. Eppure, pu darsi che si tratti di un segnale precursore, un annunzio; forse sta per alzarsi il vento, il vento del Sud. La situazione ottima.
Testo tratto da ciroma.info

Jan Fabre, Chapter XIII, bronzo, photo Pat Verbruggen copyright Angelos

Il punto che il concetto di bene comune, perch riaffiori nella memoria comune, nel senso comune, deve incarnarsi in forme riconoscibili; in altri termini bisogna mostrare di quale comunit quel bene il legame. Infatti, i beni comuni esistono solo dentro la relazione comunitaria: non c bene comune senza una comunit che lo definisca e lo viva in quanto tale altrimenti si corre il rischio dellastrazione indeterminata, la cattiva astrazione, luso mistico della parola comune; e, come avvenuto quel sabato a Napoli, scambiare il demanio pubblico per bene comune. Potremmo quindi dire che la questione de beni comuni comporta la focalizzazione della discussione sulle comunit, massimamente su quelle urbane, relegando in secondo piano la questione dello Stato nazionale e delle sue magnifiche sorti e progressive. Insomma, perseguire il bene comune comporta un ritorno alla politica nel significato etimologico del termine, la politica come autogoverno delle citt, esercizio di sovranit, di virt civili, di buona vita. Riandare allorigine non vuol dire tornare indietro. Quartieri e democrazia diretta Tutto questo con ragione giacch esistono forme distinte del legame comunitario. Ci sono le comunit naturali come la famiglia, quelle coatte come la fabbrica, quelle elettive come Ciroma, quelle di destino come la citt. Ora la citt come luogo comune, la citt dellabitare, della passione dellabitare, si manifesta nella sua intima e complessa natura di sistema auto-organizzato solo se la si ricostruisce attraverso i suoi Quartieri, che sono le comunit destinali di base. La citt quindi, in primis, una comunit di comunit. Dunque, nel risarcimento della politica, nel suo tornare allorigine, c, come precondizione, lautorganizzazione dei quartieri, in particolare 11

di quelli storici, di lunga persistenza. Qui la cittadinanza attiva, lazione diretta pu liberarsi dal vincolo mortifero del consenso elettorale proprio perch la democrazia diretta diviene lagenzia naturale della vita civile e morale del Quartiere. Qui, sia detto per i militanti dei centri sociali come per i giovani del volontariato cattolico, la pratica leninista di radicalizzare il senso comune ha una possibilit di successo. In ogni quartiere storico esiste in latenza la memoria comune della dignit del cittadino e della solidariet tra i cittadini, ovvero della capacit collettiva di far da s; esiste perch altre volte, in una storia plurisecolare, venuta allo scoperto e si fatta valere. Si tratta di trovare le parole giuste per rievocarla e attualizzarla. una sorta di energia libera allo stato potenziale, che aspetta sorniona dessere chiamata, linnesco insomma, perch dispieghi intera la sua potenza trasformativa dellimmaginario collettivo. E la democrazia diretta non abbisogna di inventori di costituzioni che la disciplinino e la regolamentino; perch le sue istituzioni sono gi qui dallinizio, coeve alla fondazione della citt. Queste istituzioni, che sarebbe pi proprio chiamare agenzie, sono la sovranit e unit dei poteri nellAssemblea di Quartiere, cariche gratuite di durata breve, sottoposte a rotazione e a sorteggio; la cooperazione con gli altri Quartieri assicurata tramite delegati con mandati imperativi e revocabili. Il vento del Sud In questo quadro vorremmo suggerire agli amministratori che hanno partecipato allincontro di Napoli, piuttosto che elaborare regolamenti per la democrazia partecipata, di investire fin da subito le Assemblee di Quartiere di un potere deliberativo su questioni come il traffico, la mobilit, larchitettura,il patrimonio edilizio

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Oltre la catastrofe
Un programma radicale per lEuropa sociale
Francesco Raparelli

n una delle poche illuminazioni di un film tutto sommato modesto, A Dangerous Method, lultima prova di David Cronemberg, il protagonista, un Gustav Jung ormai solido e distante dal maestro di Vienna, Freud, incontra per unultima volta la sua ex paziente e amante Sabina Spielrein. Nellincontro Jung, Michael Fassbender, racconta della catastrofe che investe i suoi sogni: linconscio si presenta come una macchina prefigurativa; nellinconscio viene anticipata la catastrofe della guerra mondiale. Con i titoli di coda si apprende che Freud morir a Londra, costretto alla fuga dai nazisti: limmagine onirica della guerra e della morte diventa carne, e sangue. Cosa ne sar dellEuropa nellepoca della seconda Grande contrazione? Forse bisognerebbe ascoltare anche il nostro inconscio, cogliere la veggenza che lo abita e lo costituisce. Sono convinto che la recessione lunga e profonda, di cui parlano con sobriet i Monti o i De Benedetti, non sia un gioco. Meglio: per qualcuno, pochi, ha la forma del rischio e della scommessa, per qualcun altro, milioni di persone, prende corpo nella disoccupazione, nella povert, nella perdita di speranza. La vicenda greca, daltronde, presenta gi con violenza unanticipazione degli esiti disastrosi che attendono lEuropa e il suo incerto e confuso demos. Ma un demos che occorre costruire in Europa? Una sfera pubblica razionale e riflessiva capace di rilanciare, nonostante la dittatura commissaria dei mercati finanziari e della Bce, quel modello liberale e socialdemocratico nello stesso tempo che per anni ha qualificato la differenza

europea? Penso proprio di no. In Europa non serve un demos, omogeneo e dialogico (perch dotato delle stessa competenza comunicativa), piuttosto ci vogliono linee di frattura, discontinuit, lotte. Il progetto neoliberale tedesco ha tentato di costruire lEuropa attraverso una moneta e un patto di stabilit, una governamentalit attiva a sostegno del rigore di bilancio e della libera concorrenza. I risultati disastrosi sono sotto gli occhi di tutti: non ci voleva la spietatezza degli hedge fund americani per capire che una moneta senza una vera banca centrale e delle politiche fiscali unitarie non aveva e rischia di non avere alcun futuro. Ma per la Merkel che guarda a Oriente la sopravvivenza delleuro, evidentemente, non sembra pi cosa fondamentale. in questo quadro che si inserisce la sfida dei movimenti sociali: solo il conflitto, solo una moltiplicazione virtuosa di contropoteri pu ridare senso alla prospettiva europea! Da qui nata la sfida del meeting europeo dal titolo Reddito, beni comuni e democrazia che si svolto al Teatro Valle Occupato tra il 10 e il 12 di febbraio. Oltre quaranta associazioni e gruppi europei (dalla Romania alla Grecia, dalla Spagna alla Germania, dallAustria alla Bulgaria) hanno discusso per tre giorni e con grande passione della necessit di rilanciare con forza la costruzione di unEuropa sociale fatta di diritti fondamentali e di nuova democrazia. Beni comuni e reddito di cittadinanza sono stati i terreni privilegiati del confronto politico e organizzativo, nella consapevolezza che sono questi gli assi strategici lungo i quali far crescere unalternativa potente alla catastrofe neoliberale.

Beni comuni e reddito di cittadinanza sono due questioni fortemente intrecciate. Quando si parla di beni comuni, infatti, non si parla semplicemente di beni o di categorie merceologiche: al centro c la questione del comune, della cooperazione produttiva, della relazione di servizio. Non ci sono beni comuni senza la comune gestione delle risorse, siano esse naturali o artificiali. Altrettanto: senza cogliere il processo di violenta espropriazione dei commons, dalla privatizzazione dellacqua al land grabbing, dalla propriet intellettuale ai brevetti, impossibile riuscire a parlare di reddito di cittadinanza. la nuova accumulazione originaria che si fatta regola, lo sfruttamento biopolitico che investe la societ per intero, a rendere il reddito di cittadinanza una pretesa necessaria: una rendita sociale contro il profitto che si fatto rendita finanziaria e speculazione. stato davvero interessante ascoltare i racconti dei movimenti rumeni, da inizio gennaio in rotta di collisione con il governo e con lausterit europea che impongono tagli alla sanit. Le lotte per il welfare nei paesi postcomunisti segnano una novit decisiva nella scena dellUnione a 27: non pi vero che a Est si annida solo una minaccia per il modello sociale europeo. Da Est arriva un vento che chiede di farla finita con il neoliberismo selvaggio e mafioso che ha fatto seguito al crollo del socialismo reale. Hanno appassionato gli interventi tedeschi che, a vario titolo, hanno chiarito che non c alcun modello sociale e del lavoro tedesco da imitare o da invidiare: le riforme del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali imposte da Schr-

der hanno violentato salari e diritti, mentre le politiche attive hanno fatto il resto, imponendo forme di controllo inedite sui tempi di non lavoro e la formazione di milioni di giovani. Proprio dalla Germania arrivata una grande indicazione di lotta. Il 18-19 maggio, al seguito della giornata di mobilitazione globale proposta dal coordinamento spagnolo 15M per il 15 maggio, il movimento e la sinistra radicale tedeschi intendono occupare la city di Francoforte, contro le politiche di austerit e la troika che sta affamando Atene e lEuropa tutta. Se ne discusso ulteriormente in una action conference che si tenuta proprio a Francoforte a fine febbraio. Sono state le Ice (Iniziative dei cittadini europei) motivo di riflessione operativa sulle due campagne da avviare nei prossimi mesi. Strumento introdotto dallarticolo 11 dellinfelice Trattato di Lisbona, la Ice consente ai movimenti di attivare, attraverso la raccolta di un milione di firme (anche per via telematica) in sette paesi europei a sostegno di una proposta di legge da presentare alla Commisione, una rete di comunicazione ampia, utile a comporre quel corpo sociale europeo, indispensabile per fare dellEuropa sociale da conquistare un obiettivo realistico e non velleitario. Lurgenza della crisi greca ci chiede di procedere pi rapidamente, ma con questa urgenza che occorre guardare positivamente alla costruzione di una concreta trama organizzativa transnazionale. Un programma radicale per unalternativa di sistema, che sappia portare lEuropa oltre la catastrofe che incombe, mentre in Siria e in Iran gi rombano i cannoni.

La citt invisibile
Cantieri Zisa e Palazzo Riso a Palermo
Andrea Inzerillo

a notizia della chiusura del Museo darte contemporanea di Palazzo Riso, vicenda tortuosa e controversa che ha rapidamente ottenuto gli onori della cronaca nazionale, ha coinciso casualmente con la conclusione di unimportante manifestazione che si svolta ai Cantieri Culturali alla Zisa, il pi grande spazio culturale della citt di Palermo. Se al clamore della notizia sulle sorti del Museo Riso non corrisponde per una situazione chiara, vista la difficolt di stabilire fino a che punto la paventata chiusura sia legata a rischi reali e non gi a lotte di potere interne al centro-destra siciliano, essa manifesta tuttavia la necessit di un ripensamento rapido e radicale della gestione degli spazi pubblici (culturali e non) secondo logiche realmente alternative, trasparenti e partecipate. La storia di quanto in atto ai Cantieri Culturali allora da questo punto di vista di particolare interesse. Breve riassunto: area di quasi 60.000 metri quadrati, sede delle officine Ducrot allinizio del XX secolo, gioiello dellindustria del Liberty poi abbandonata da uno sviluppo irrispettoso della storia. Acquisita dallamministrazione comunale, viene riconvertita a uso culturale e vive una stagione di splendore non privo delle contraddizioni che hanno caratterizzato gli anni dellorlandismo palermitano nella seconda met degli anni Novanta. Allinserimento allinterno dei Cantieri di alcuni presid culturali cittadini (Istituti stranieri di cultura e Istituto Gramsci, cui si aggiungeranno nel corso degli anni la sede locale del Centro Sperimentale di Cinematografia e lAcca-

demia di Belle Arti) segue per un abbandono totale, frutto di una damnatio memoriae da attribuire tragicamente pi alla colpevole noncuranza della nuova amministrazione che a una deliberata volont di cancellare le vestigia di quella passata. Fino allultima provocazione: un invito a manifestare interesse per la valutazione di progetti di idee sui Cantieri, aperto a tutti meno che alle associazioni culturali e soprattutto emanato a fine legislatura, a pochi mesi dalle elezioni. Come a proseguire fino alla fine una politica verticista che predilige gli eventi ai progetti, e che pensa di affidare la gestione degli spazi pubblici a un gigante qualunque gira insistente il nome di Confindustria senza preoccuparsi di ragionare con la citt di modelli di sviluppo e gestione democratica del territorio. La motivazione ufficiale di carattere economico, ma come spesso accade la ragionevolezza economica malcela una questione squisitamente politica. La risposta della citt stavolta non si fatta attendere. A una diffida rivolta al sindaco per ritirare lavviso seguito un percorso di alcuni mesi che ha portato alla manifestazione Cultura Bene Comune, organizzata il 6, 7, 8 gennaio 2012 da pi di 70 associazioni e 100 artisti, palermitani e non. Il comitato I Cantieri che vogliamo questo il nome che li riunisce ha rilanciato con un progetto politico ambizioso: un modello di costruzione partecipata, realizzato da quella parte invisibile della citt che ha continuato a lavorare costantemente negli anni pi bui della sua non-gestione. La risposta alla provocazione dunque un progetto reale che riparte dalla storia e dalle tracce lascia12

te ai Cantieri da chi li ha vissuti per riportare la citt a discutere di un modello alternativo di gestione dei beni comuni, violentati da un abbandono che riguarda i luoghi e gli animi di chi ha assistito spesso inerme.

os il capannone Spazio Zero rivive della voce e delle immagini dello spettacolo di Thierry Salmon che lo inaugur nel 1996, proiettate sui resti scalcinati di una parete davanti alle rovine della Torre del tempo donata alla citt da Emilio Tadini, oggi fatta a pezzi e abbandonata, spaventosa metonimia del disprezzo nei confronti della cosa pubblica. Come pubblica la sala cinematografica da 500 posti ribattezzata dal movimento Sala Vittorio De Seta pronta dal 2008, inaugurata e mai pi aperta, sui muri della quale le voci dei pescatori de Lu tempu di li pisci spata hanno restituito un momento di poesia davanti a centinaia di spettatori infreddoliti mentre appena di fronte, nella neonata Casa Marceau sottratta ai detriti e allincuria, al laboratorio pomeridiano di mimo seguivano la sera altri fantasmi, film pluripremiati in festival internazionali e mai usciti in sala a Palermo. Gli artisti visivi nel frattempo mettevano le mani, simbolicamente, su un Museo darte contemporanea di 2000 mq anchesso ristrutturato da anni e mai aperto n realmente pensato. La citt invisibile si raccolta a discutere nei forum e nei gruppi di lavoro per ripensare una gestione indisponibile alle logiche di mercato dei beni comuni negati: linfanzia, lenergia, gli spazi culturali, i giardini, le biblioteche, i musei, provando a ragionare concretamente anche su modelli di sostenibi-

lit economica da offrire alla citt. Pi che col Teatro Valle Occupato ci si confronta allora con analoghe esperienze di siti industriali riconvertiti a fini culturali: la Tabacalera di Madrid, la Friche de La Belle de mai di Marsiglia. Senza trascurare le specificit di un quartiere come quello della Zisa, che nei mesi scorsi ha assistito a una recrudescenza della violenza nei confronti degli immigrati che lo abitano in gran numero. Ma il discorso sui Cantieri solo la base per un ragionamento pi ampio che riguarda tutti gli spazi negati della citt, e per un ripensamento pi generale dei concetti di (e dei rapporti tra) bene pubblico, bene privato e bene comune, da un punto di vista politico o pi specificamente giuridico. Non si pu negare che la tempistica sia sospetta. Con le amministrative a maggio, il rischio di strumentalizzazioni elettorali altissimo. Nei documenti finali dellassemblea cittadina questo rischio denunciato e respinto con forza al mittente. I candidati alle elezioni finora sono stati a guardare. Certo, la forza di un movimento si sperimenta sui tempi lunghi. Alla costruzione di questi tempi sono tutti invitati a partecipare.

Populismi inquinanti
Il populismo nella storia
Marcello Flores

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l primo capitolo della grandiosa e meravigliosa opera di Franco Venturi, Il populismo russo, descritta da Alexander Gerschenkron come un capolavoro perch risultava interessante, memorabile, rileggibile, si apriva con una netta e indiscutibile affermazione: Herzen pu essere considerato il creatore del populismo. [] Prima di diventare un movimento politico, cio, il populismo non si era espresso in una dottrina, ma in una vita, in quella di Herzen1. Che il grande intellettuale russo, una delle figure pi complesse dellintero Ottocento per la sua multiforme attivit politica e profonda riflessione storica e teorica, aperto e mai dogmatico, venisse indicato come il precursore e fondatore di un movimento col cui nome nel secolo successivo vennero contrassegnate esperienze politiche e istituzionali autoritarie e demagogiche, quando non decisamente dittatoriali, un segno della confusione che ha accompagnato lo sviluppo e diffusione del termine populismo. Al di l del senso generico con cui populismo stato e viene usato per connotare un richiamo strumentale alle masse da parte di leader pi o meno carismatici per ottenere consenso e legittimazione, un atteggiamento accentuato ed estremizzato nellepoca del peso crescente dei media, da un punto di vista storico si pu dire che populismo sia un termine utile a indicare tre o quattro grandi tendenze politiche e ideologiche del mondo contemporaneo, molto diverse tra loro sia per le manifestazioni sia per lepoca e lorizzonte geografico in cui si sono manifestate. Il populismo in Russia a seguito della sconfitta della rivoluzione europea del 1848 (la primavera dei popoli avvenuta lo stesso anno in cui veniva pubblicato il Manifesto del Partito comunista) che Herzen ritiene lOccidente incapace di praticare gli ideali che esso stesso ha creato e suscitato e ritorna quindi alla Russia e alla sua tradizione di villaggio

semiclandestino; fu la pratica degli attentati individuali (il pi famoso quello contro lo zar Alessandro II nel 1881) e la repressione che ne segu, insieme allo sviluppo economico e industriale del paese, a permettere alla socialdemocrazia russa di prendere il sopravvento ed emarginare progressivamente il populismo. Il populismo negli Usa Mentre declinava progressivamente in Russia il populismo si radicava negli Stati Uniti a partire dagli anni Ottanta sotto forma di un movimento prevalentemente rurale che trover poi nel Peoples Party la sua espressione politica. Fondato nel 1891 come espressione degli agricoltori poveri della cintura del cotone (Alabama, North Carolina e Texas) e di quella del grano (Kansas e Nebraska), e come fusione tra la Farmers Alliance e i Knights of Labor, il populismo americano aveva un forte connotato antistatalista e di lotta alle lites industriali e finanziarie, promuovendo al tempo stesso la propriet pubblica delle ferrovie, dei telefoni e telegrafi, labolizione delle banche nazionali, una tassazione progressiva, la giornata lavorativa di otto ore e lelezione diretta dei senatori. Nelle elezioni del 1892 il candidato populista, James B. Weaver, ottenne oltre un milione di voti contro i cinque e mezzo del democratico Cleveland e i cinque del repubblicano Harrison. Alleati di volta in volta con i democratici nel Middle West e con i repubblicani nel sud (ottennero insieme ai repubblicani il governatore del North Carolina, con i democratici quelli dellIdaho, del Nebraska e dellOregon, da soli il Colorado, il Kansas e il South Dakota), i populisti decisero nel 1896 di appoggiare il candidato democratico William J. Bryan avendo in cambio la promessa poi non mantenuta di candidare vicepresidente Thomas E. Watson. Per soli seicentomila voti vinse, tuttavia, il repubblicano McKinley, assassinato da un anarchico nel 1901 dopo aver riconquistato la presidenza (sempre contro Bryan) lanno precedente.

ri ebrei con posizioni vicine al fascismo si dovette soprattutto al suo uso moderno e disinvolto del mezzo radiofonico. Quello del governatore della Louisiana e poi senatore Huey Long, a un piano radicale di redistribuzione della ricchezza con tassazione progressiva soprattutto per i ricchi ma anche a una polemica contro il governo federale e favore dei singoli Stati. Il populismo degli anni Trenta cedette al fascismo americano (poco esteso e influente, in realt) i suoi valori legati al capitalismo familiare, al disprezzo delle istituzioni democratiche, a una teoria complottista che aveva al centro banchieri e capitani dindustria. Il populismo latinoamericano probabilmente dallesperienza latinoamericana, tuttavia, che il termine populismo ha trovato la diffusione e il significato con cui viene maggiormente utilizzato anche oggi. In questo caso pi che una categoria analitica chiara, populismo stato il termine con cui descrivere una sorta di stile politico che ha accomunato diversi movimenti e regimi in America latina, caratterizzati da una mobilitazione di massa, da un forte richiamo popolare focalizzato attorno a un leader carismatico, a proclamate politiche di redistribuzione, a un nazionalismo antisocialista e anticomunista, a unindifferenza nei confronti delle regole democratiche. Si pu infatti parlare di populismo rivoluzionario soprattutto per le esperienze del Messico nel 1910 e della Bolivia nel 1952, ma in parte anche per quelle del Guatemala nel 1945 e del Nicaragua nel 1979. Anche se probabilmente il populismo statale quello del varguismo in Brasile e del peronismo in Argentina quello che ha contribuito maggiormente a creare limmagine del populismo associato a un tipo di regime. Al di l degli indubitabili vantaggi che la classe operaia e la piccola industria, soprattutto con Pern, raggiunsero nella prima fase del suo potere, il suo regime e quello di Vargas in Brasile risultarono socialmente progressisti ma fortemente ambigui e

questi casi, di unaccumulazione di capitali di una parte della borghesia, fondato sullo scambio materie prime-importazioni e su una redistribuzione delle ricchezze che potesse favorire lo stesso processo di accumulazione (essa va intesa non o non prevalentemente come strumento di giustizia sociale o di riduzione dei conflitti o di semplice demagogia, ma considerando la crescita del consumo individuale come aspetto fondamentale dellaccumulazione). Quanto questi diversi aspetti storici del populismo la variante russa, quella statunitense e quella latinoamericana siano significativi e coerenti con le forme di neopopulismo (ri)emerso in Europa e in parte anche negli Stati Uniti negli ultimi anni questione complessa. La destra francese e olandese, italiana e belga, austriaca e danese, oltre a quella polacca e ungherese, hanno una principale caratteristica comune che Tzvetan Todorov ha riassunto cos: Innanzitutto seguono regole che possiamo riassumere col termine generico di demagogia, che consiste nellidentificare le preoccupazioni della maggioranza e proporre loro soluzioni che sono semplici ma impossibili da applicare Il populismo si oppone allelitismo ma facilmente recuperato da forze estremiste che si posizionano lontane dal centro dellarena politica, sia sulla sinistra sia pi frequentemente, in questi giorni, sulla destra3.

1. F. Venturi, Il populismo russo. I. Herzen, Bakunin, Cernyevskij, Einaudi, Torino, 1972, p. 3. 2. Ivi, p. XXIII. 3. T. Todorov, The New Wave of Populism, Salmagundi, 139/140 (Summer/Fall 2003), p. 9.

(lobc ina e il mir: la comunit e la sua assemblea di autogoverno) per indicare una strada solidaristica di sviluppo democratico e socialista allarretratezza del suo paese. Unidea, come riassumer Venturi, che sembra guardare allindietro ma che rappresenta anche un tentativo di reculer pour mieux sauter, un pur fruttuoso tentativo di conservare quel che cera di prezioso nel passato per trasmetterlo allavvenire2. Su questa base si svilupper il movimento populista, che dagli anni Sessanta agli anni Novanta dellOttocento dominer la scena politica e si manifester in forme diverse e mutevoli: dalla prima andata al popolo degli intellettuali, di migliaia di studenti e giovani della piccola nobilt frustrata dalla fedelt alla chiesa e allo zar della stragrande maggioranza dei contadini alla creazione dei movimenti che optarono per strategie rivoluzionarie, educative ma anche per il terrorismo politico come fecero Terra e Libert e Volont del Popolo. Il populismo russo, nel suo insieme, ebbe caratteristiche legate al socialismo e alla democrazia radicale, come pure di giacobinismo cospirativo

Col nuovo secolo il populismo scomparve rapidamente, ambiguamente ancorato a posizioni reazionarie e passatiste e insieme a proposte riformatrici; vi fu chi ritenne il movimento capace di influenzare la Progressive Era ma in realt tutti i leader di questepoca (Theodore Roosevelt, Robert La Follette, Woodrow Wilson) furono apertamente antipopulisti. La deriva politica conclusiva di Thomas E. Watson divenuto ferocemente antisocialista, anticattolico, antisemita e probabilmente vicino al Klu Klux Klan ed eletto infine al Senato nel 1920 testimonia le ambivalenze del populismo americano. Successivamente, soprattutto negli anni Trenta del XX secolo, il populismo riemerse con un forte impianto ruralista e piccolo borghese ma decisamente antidemocratico, profondamente ostile allesperienza del New Deal. La lotta degli agricoltori contro la Agricultural Adjustment Administration segn il primo vero ostacolo nel progetto di riforme di Roosevelt. Il successo di Padre Charles E. Coughlin iniziato con un programma di riforma monetaria e nazionalizzazione delle ferrovie e continuato poi polemizzando contro i banchie13

riduttivi sul terreno della democrazia. Fu anche quellambiguit una sorta di baratto tra inclusione sociale e limitazione dei diritti politici che costitu uneredit di tensioni politiche, polarizzazioni sociali e ideologiche, debolezze istituzionali, su cui nei decenni successivi si inserirono sempre pi frequentemente gli interventi militari. In parte diversi sono stati i populismi latinoamericani successivi al crollo delle dittature militari nel corso negli anni Ottanta: da quello di Alberto Fujimori in Per a quello di Carlos Menem in Argentina e a quello di Hugo Chavez in Venezuela. Questo differenziato neopopulismo, da una parte (i primi due casi) si costruito nel contesto della globalizzazione e di una piena accettazione di modelli economici neoliberisti, dallaltra di una demagogia accentuata (cercando il sostegno dei settori pi marginali della societ con unideologia antilitarista) accompagnata da pratiche autoritarie. stato giustamente ricordato che il livello di sviluppo economico arretrato dellAmerica latina stato essenziale per lo sviluppo del populismo. Esso stato lo strumento principale, in

Jan Fabre, DE MACHT EN DE DOOD VAN HET UUR BLAUW, 2011, (THE POWER AND DEATH OF THE HOUR BLUE), Bic ballpoint pen on cibachrome prints 12 panels, 4 x (49cm x 3,50m) / 8 x (1,24 m x 4m) Oeuvre spcialement conue loccasion de lexposition Les annes de lHeure Bleue Dessins et sculptures 1977-1992, photo Attilio Maranzano copyright Angelos

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La democrazia e il populismo
Alfio Mastropaolo

opulisti, sempre che il termine sia appropriato, non si nasce. Lo si diventa come si diventa tante altre cose alla luce delle circostanze, che modellano anche la leadership, o che miscelano altrimenti gli ingredienti che la contraddistinguono in partenza. troppo superficiale pure archiviare la pratica imputando lo stile politico di Berlusconi alla sua rudimentale cultura democratica e alla sua istintiva propensione a ritenere i vincoli che la democrazia suppone divisione dei poteri e legalit in primo luogo un insopportabile ingombro. Verosimilmente c dellaltro. Ovvero: taluni tratti biografici hanno fatto reazione con altri fattori prodotti dalla congiuntura politica e culturale. Proviamo a vedere in che modo. Si gi detto della nuova cultura politica e delle istituzioni che si era imposta negli anni precedenti. E dellattesa del leader in grado di pilotare lAzienda Italia nel mare aperto della globalizzazione. Che Berlusconi corrispondesse a questo profilo fuor di dubbio. certo del pari che egli abbia avuto eccellenti ragioni per riconoscersi in esso. Mettiamoci nei suoi panni: chi pi meritevole di un imprenditore di successo, che aveva inventato la televisione commerciale, che aveva fatto audaci acquisizioni in Francia e in Spagna, che era stato consacrato ufficialmente dal cavalierato del lavoro, la pi alta onorificenza della Repubblica? E chi pi di lui in un universo politico e politologico ormai saturato di metafore economiche estraneo alle tormentose lungaggini della politica e alle sue degradate consuetudini, era in grado di rispondere alla domanda di governo e di cambiamento che, a quanto raccontava, prepotentemente si alzava dal paese? Non possiamo negare neppure a Berlusconi una straordinaria capacit dinnovare le routine della politica. Berlusconi pu non piacere. Ci sono prove evidentissime della sua propensione a curare i suoi affari privati assai pi di quelli

della collettivit, ma tocca riconoscergli anche non comuni capacit politiche: anzitutto quella di miscelare gli ingredienti offerti da una congiuntura particolarmente concitata, in cui gli attori, politici e non, non si erano risparmiati in mosse a dir poco scomposte e in discorsi a dir poco avventurosi. A Berlusconi sarebbe onesto riconoscere anche di aver saputo inaspettatamente, e brillantemente vincere le elezioni del 1994, in una contesa dopotutto leale: lui aveva le televisioni, i suoi contendenti erano profondamente radicati nel sistema di potere. Se cera trucco, era modesto e ampiamente compensato. Mai scoraggiato dalle sconfitte, ha pure vinto le elezioni del 2001 e del 2008. Possiamo discutere lattuale legge elettorale. Ma lui ha comunque preso pi voti dei suoi concorrenti. Del pari, Berlusconi ha inventato dal nulla un post-partito al posto degli odiatissimi partiti, che nientaffatto mediatico e di plastica, ma che alla lunga si rivelato saldissimo e profondamente radicato. E allora: un leader con tanti e pregiati requisiti personali, professionalmente incline a decidere, direttamente investito dal cosiddetto popolo sovrano quanto di pi democratico vi sia, a quanto pare e come nessun altro capace dinterloquire direttamente con esso, come poteva, e pu, sottomettersi alle severe e scomode regole della democrazia costituzionale? Come poteva subire passivamente il teatrino della politica, il petulante contraddittorio delle opposizioni, locchiuta vigilanza del capo dello Stato, le impudenti indiscrezioni della stampa, le vocianti reazioni della piazza, levocazione continua, bench velleitaria, del conflitto dinteressi? Limponente armamentario mediatico di cui Berlusconi personalmente disponeva gli stato di grandissimo aiuto. Ma laccusa rivoltagli di dovere a esso il suo successo un ben modesto espediente (come era un modesto espediente laccusa di clientelismo rivolta alla Dc).

Il controllo da lui esercitato sulle tv (e sulla carta stampata) democraticamente scandaloso, ma ad aiutarlo stata assai di pi lintrinseca predisposizione dei media, specie della tv, a spettacolizzare la politica. Chi studia queste cose sa bene che i media cambiano le preferenze degli elettori solo in misura assai ridotta. Semmai servono a riattivarle e a mobilitare gli elettori distratti o esitanti. In compenso gradiscono un certo modo di far politica. Prediligono lo spettacolo e i personaggi. Anzitutto quelli che denunciano linsopportabile degrado della politica. Berlusconi aveva il talento, e il know-how, per giovarsi di codesta propensione dei media e se ne pure avvalso per disegnare la sua figura di leader: un uomo cui il popolo sovrano aveva affidato il suo destino, ma impacciato da insopportabili regole e assediato da ogni parte. furia di recitare il suo copione, possibile che lattore si sia identificato nel personaggio: lui e i suoi comprimari. Lo stile populista ha infatti contagiato tutto il gruppo dirigente del centrodestra Bossi, a dire il vero, ne stato un precursore distinto e cos alleroismo del leader hanno fatto da condimento esibizionismi personali, polemiche feroci, linguaggio informale, colpevolizzazioni indiscriminate di questo o quella categoria professionale, gruppo sociale, regione del paese. Con il conseguente scempio delle buone maniere e delle regole istituzionali, stata alimentata una contesa politica furibonda, spietata, addirittura incivile, i cui miasmi potrebbero aver infiltrato perfino la societ. Che il paese si sia involgarito e imbarbarito rischia di essere un giudizio da intellettuali. Ma vi sono molti segni di un mutamento dei costumi sulle cui ragioni converrebbe interrogarsi. C da augurarsi che labusivo ricorso al concetto approssimativo e in fondo innocuo di populismo non distolga lattenzione, mascherando i profondi malanni

che affliggono il paese e che il berlusconismo ha parecchio aggravato. C ancora una questione su cui converrebbe interrogarsi. Tra i fattori facilitanti la deriva cosiddetta populista non rientrer per caso lincrocio tra societ unipolare e democrazia maggioritaria, che d per scontato lesaurimento del conflitto, che si ritiene governabile da chicchessia, avvicendando al governo quipe diverse secondo il giudizio degli elettori e il successo delle operazioni di marketing effettuate dai concorrenti? I regimi maggioritari, a ben vedere, sono prigionieri dellelettoralismo ancor di pi di quelli consensuali. Cercano di risolvere il problema sottorappresentando il pluralismo e riducendolo a due alternative elettorali. Se non che, la loro maggiore efficienza solo simbolica. Poich gli elettorati sono stabili, e si muovono solo al margine, bastano spostamenti marginali a far pendere la bilancia da una parte o dallaltra. Pertanto i governanti sono pi che mai prigionieri delle pretese delle loro constituencies. In situazioni economiche favorevoli, tutto pi semplice. Ma tutto diviene arduo quando la situazione economica si deteriora. Ultimamente, avendo per giunta dismesso buona parte del loro armamentario economico, i governanti sono debolissimi. Lo stile populista, la retorica antipolitica, levocazione di minacce, complotti, aggressioni contro il popolo sovrano diventano allora strumenti utilissimi a unificare provvisoriamente, e superficialmente, le loro constituencies. Non solo. Il diavolo, come di consueto, si nasconde nei dettagli. Non solo non infondato supporre che la democrazia maggioritaria incoraggi lo stile populista, ma si pu supporre che incoraggi anche quella che stata definita la democrazia populista. Si detto che la democrazia storicamente figlia del conflitto, la cui possibilit lha lungamente tenuta in equilibrio. vero che leccesso di conflitto ha talora provocato la crisi della democrazia. Ma il deficit di conflitto per la democrazia altrettanto rischioso delleccesso. Quando il conflitto non c, o si svolge a unintensit troppo bassa, o simbolicamente espunto dallorizzonte sociale e politico, magari con lausilio di qualche atto giuridico la proibizione degli scioperi nei servizi di pubblica utilit, per esempio o ancora quando lo si riduce a horse race spettacolare tra candidati, il rischio di abusi del principio di maggioranza si aggrava. Sprovvista di contropoteri radicati socialmente, la democrazia maggioritaria di una societ unipolare pi agevolmente si presta a travolgere principi e diritti mutandosi in democrazia populista.
Il presente saggio costituisce una parte della relazione presentata al Forum annuale 2012 organizzato dalla Rivista delle Politiche Sociali in collaborazione con il network europeo di studi Espanet-Italia dedicato al tema: Populismi in Europa (Roma, 24 e 25 novembre 2011). Il saggio verr pubblicato nel n. 1/2012 della Rivista delle Politiche Sociali, monografico sui populismi.

Jan Fabre, DE MACHT EN DE DOOD VAN HET UUR BLAUW, 2011, (THE POWER AND DEATH OF THE HOUR BLUE), Bic ballpoint pen on cibachrome prints 12 panels, 4 x (49cm x 3,50m) / 8 x (1,24 m x 4m) Oeuvre spcialement conue loccasion de lexposition Les annes de lHeure Bleue Dessins et sculptures 1977-1992, photo Attilio Maranzano copyright Angelos

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Le promesse tradite della modernit


Fausto Bertinotti

oloro che hanno un atteggiamento critico nei confronti della societ nella quale siamo immersi (cio quelli per i quali pu valere lantica formula siamo uomini in questo mondo, non di questo mondo) hanno lobbligo di essere assai sorvegliati nel far ricorso, di questi tempi, alluso della categoria politica del populismo. Viviamo un tempo nel quale il capitalismo attuale tanto forte nel determinare le scelte di governo delleconomia e della societ, quanto nellimpossibilit di costruire il consenso attorno a esse. Questo apparente paradosso allorigine della tendenza in atto in Europa di dar vita a sistemi politici postdemocratici, a sistemi di fatto oligarchici, governati dai sacerdoti dellultima ortodossia, quella della presunta ineluttabilit delle scelte comandate dai mercati. Le lite tendono allora a chiamare populista la pi parte delle manifestazioni di protesta, di rivolta, di ribellione, di collera, cos da destituirle di ogni significato politico e da negarne ogni soggettivit politica al fine di poter evitare di fare i conti con le concrete contestazioni del carattere naturale, oggettivo delle scelte di governo. Ma lesigenza critica di evitare di prendere lucciole per lanterne non deve impedire di leggere i segni di un possibile e inquietante emergere di un nuovo populismo di destra. Al contrario, bisognerebbe aguzzare la vista, non rifiutare di leggerne i possibili annunci, bens leggerli diversamente dal passato. Il dispiegarsi della crisi in Europa e lavvento in essa della grande controriforma covano duri rancori nel profondo della societ, nelle sue pieghe meno illuminate dai riflettori delle comunicazioni, dove gi sono state spezzate tante relazioni e, in particolare, quelle tra la vita e la politica. Sono le connessioni tra le pulsioni dal basso e alcuni determinati orientamenti culturali dallalto che possono dar luogo a quel processo politico. l, in quella linea dombra, che va indagato ci che cova di un futuro minaccioso. Alla base c un risentimento sociale duro e diffuso che nella realt trova solo ragioni di conferma, ulteriori pezze dappoggio. Dallalto sono piovuti tutti i possibili elementi inquinanti. Del resto, da sinistra, siamo soliti denunciare gli oscuri depositi della destra, quanto in questi lunghi anni stato da loro disseminato di razzistico, di xenofobo, di canagliesca avversione al diverso come allemarginato e, in fondo, al povero. Uno scandalo etico e culturale reiterato, ostentato: la musica di accompagnamento allinno alla diseguaglianza, quale motore dello sviluppo. Tutto vero, ma resta cos senza risposta la domanda sul perch quel risentimento e quella rabbia possono incontrare quella inseminazione minacciosa, piuttosto che organizzarsi secondo la tradizione del movimento operaio o piuttosto prendere la via della rivolta, degli indignati. Va sottolineato che la minaccia che si intravede non tanto quella delladesione di massa alle tesi della destra politica, quanto quella dellincontro tra risentimenti sociali e alcuni di quei depositi. Di chi e di che cosa allora stiamo parlando? Credo proprio di ci che potrebbe fare la differenza, configurando un nuovo populismo di destra e di massa. il rischio del baratro che lEuropa tecnocratica e neoautoritaria pu spalancarsi di fronte con le sue proprie mani. Non si tratterebbe solo dellestensione di ci che gi conosciamo, che pure d conto di fenomeni allarmanti. Sul terreno della rappresentanza politico-istituzionale si pu pensare al successo del Front National di Marine

Le Pen per quanto essa si rivela capace di calamitare un consenso trasversale proprio negli storici insediamenti popolari. Nella societ civile, in molti paesi europei, come anche in Italia, si esprime una costellazione di esperienze e di organizzazioni che segnalano possibili fuoriuscite dalle loro nicchie, dagli ultimi inquietanti processi politici nelle curve degli stadi alle molteplici iniziative che marcano il rifiuto della convivenza tra diversi e eguali e che fanno della prevaricazione nei confronti dellaltro il tratto distintivo di quella pratica sociale. Su un altro ed estremo terreno, le orribili manifestazioni di aggressione violenta ai campi rom, fino al perseguimento della strage, come le violenze contro degli immigrati, tengono accesa la lampada mortifera del capro espiatorio, che ispira anche propensioni meno tragicamente evidenti ma certo assai pericolose perch pi diffuse. Fenomeni diversi, eppure parte di una costellazione che avvelena il terreno, sebbene non ancora configurabile come il nuovo populismo di destra. Persino la Lega, che in Italia lespressione politica pi prossima a dar voce al populismo di destra, ne una manifestazione datata, quella della risposta della piccola patria chiusa e arroccata alla destrutturazione prodotta dalla globalizzazione, una risposta capace di cogliere uno smottamento di una parte del popolo della sinistra di fronte alla drammatica crisi di questultima, ma non di andare oltre, di oltrepassarla. Ma ora interviene il cambio di passo del sistema. Ora le grandi realt sociali sono esposte a un devastante terremoto, senza eguali nella storia del lungo dopoguerra, seguito alla vittoria contro il nazifascismo. Ora la povert ritorna dove la lotta di classe laveva cacciata. Ora la disoccupazione diventa spesso una condanna sociale irreversibile. Ora la precariet diventa per i pi giovani la divisa stessa della vita. Ora la diseguaglianza offende e scarica disprezzo sulla politica che non lha contrastata. Il risentimento e la rabbia pervadono di s i ceti popolari. Non si tratta solo del risentimento dettato dalla condizione sociale, che pure la lente che fa leggere lingiustizia in termini cos

brucianti. Essi sono anche il portato di una percezione di fondo, culturale, politica e umana. La percezione del tradimento delle promesse; della promessa della democrazia, della politica (della sinistra) e della cultura (degli intellettuali). Norberto Bobbio, fin dal 1985, osservava come una delle promesse non mantenute dalla democrazia fosse proprio il fatto che la democrazia politica non si estesa alla societ e non si trasformata in democrazia sociale. Stava gi l lorigine del suo attuale scacco, della sua sostituzione con regimi oligarchici. La promessa della politica della sinistra con lavvento del movimento operaio si era fatta molto alta; essa si chiamava giustizia. La sconfitta del Novecento ha aperto la strada al colpevole tradimento della promessa, non solo rispetto a quello minimo della riformistica lotta contro le ineguaglianze, per limitarne le peggiori conseguenze sociali. Infine, la cultura, nella modernit, con lopzione dellimpegno, ha suggerito la possibilit di realizzare quella connessione sentimentale tra intellettuali e popolo che Gramsci considerava necessaria agli stessi fini della conoscenza. Unaltra promessa tradita. nata cos la solitudine politica e culturale degli operai di oggi come quella della nuova popolazione lavorativa gi sottoposta alla spoliazione dai processi socio-economici del capitalismo finanziario globalizzato. Perci paura e rabbia possono avere pi di un esito politico. Cova su questo territorio accidentato, quello dei ceti popolari esposti al rischio sociale e allimpoverimento, dunque, anche il possibile esito del formarsi di una nuova specie del populismo di destra. Esso potrebbe, diversamente dal passato, nascere dal basso, con una fenomenologia non cos dissimile da quella dei nuovi movimenti anticapitalistici. Leredit del populismo storico fungerebbe da betoniera; in essa entrerebbero dei materiali in senso lato di sinistra (la denuncia dellintollerabilit della propria condizione sociale e dellaccanimento del sistema contro gli strati popolari), ma ne uscirebbe una miscela di destra. Di destra in primo luogo perch prigioniera dellimpotenza a cambiare gli

assetti della societ e del potere; poi perch mutilata dalla perdita di una precisa nozione di avversario e infine per il dissolvimento di una critica di classe delle relazioni sociali esistenti. Alleclisse della coscienza di classe quale fondamento della politica della sinistra e, in essa, loscuramento del conflitto tra la borghesia e il proletariato, si venuta aggiungendo, in Europa, sul tema del governo, la perdita, da parte della sinistra istituzionale, del suo carattere di alternativa alla destra e al centro. Cos resta pressoch solo il conflitto tra il basso e lalto della societ. Ma esso pu diventare una prigione che alimenta il disagio sociale, la frustrazione di ogni aspettativa, il senso di solitudine. Diventerebbe allora possibile che la giustizia scivoli nel giustizialismo e che la rabbia venga canalizzata nella ricerca del capro espiatorio, come gi ci spiegava Paul Ricoeur. Per tutte queste ragioni, quelle che attengono alle cause del fenomeno (possibile) e alle sue potenziali caratteristiche, e non per qualche tardiva concessione allo spontaneismo, lunico antidoto forte al nuovo populismo di destra, quello stesso che pu far rinascere la democrazia, la politica e la sinistra; laria di rivolta che circola dai paesi del Nordafrica a Wall Street, attraversando diversi paesi europei e alla quale gli indignati hanno dato il loro nome. Aria di rivolta che nasce sul suo stesso terreno, quello segnato dallo svuotamento della democrazia e dalleutanasia della sinistra, perci essa pu prosciugare lacqua in cui potrebbe, al contrario, nuotare il nuovo populismo di destra. Pu farlo, se sapr crescere, espandersi e costituirsi in una coalizione capace di fare societ. Unimpresa tuttaltro che facile. In quel Noi 99%, voi 1% c, per, iscritta una possibilit. Certo, questaria di rivolta sarebbe aiutata da una ripresa, nelle culture critiche e nelle pratiche sociali, del tema, tanto dimesso quanto irrinviabile, della trasformazione. E sarebbe aiutato dalla ripresa di un lavoro politico per la resurrezione dellunica sinistra plausibile, quella delleguaglianza. Vaste programme, direbbe De Gaulle.

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Il populismo locale
Claudio Martini

l populismo esiste anche a livello locale. fatto di scelte, comportamenti e messaggi di forze politiche, amministratori pubblici (soprattutto Sindaci e Presidenti di Regione), protagonisti della vita economica e sociale. Subito si pensa alla Lega ma non solo quello. Le mille sindromi Nimby, usate da Comitati e da politici; la Regione del Nord che non accoglie i rifiuti di Napoli; il Sindaco che non vuole nemmeno un rom uno di numero nel suo territorio; la proliferazione di progetti di aeroporti, centri congressi, emodinamiche a pochi km di distanza; la competizione tra Camere di Commercio, agenzie di promozione, universit decentrate; la gara a chi fa pi Notti bianche, o rosa, blu linterazione tra differenti attori, non leffetto di una sola forza. Una sfera concettuale e comportamentale che coinvolge il territorio. Il concetto di sfera fa pensare alla possibilit che si tratti di una bolla. Ma di questo parleremo in conclusione di articolo. Insistiamo, in questo incipit, sul carattere anche sociale del fenomeno. Il populismo locale vive perch c predisposizione a riceverlo, sostenerlo, alimentarlo da parte delleconomia, del sociale, dellinformazione. Che spesso si esprimono e agiscono in modo pi politichese degli stessi partiti. Il populismo locale certo proiezione di quello nazionale e internazionale. Ha gli stessi caratteri distintivi: delegittimazione dei partiti e della classe politico-istituzionale; raffigurazione del popolo come gente comune, contrapposta alle lite e ai loro intellettualismi; utilizzo delle paure della gente (immigrazione, crisi economica e sociale) per tirare su il fortino della difesa identitaria. C un mix di antipolitica, di narcisismo storico-geografico, di promesse mirabolanti e irrealizzabili anche nei populisti locali. Legemonia culturale populistica del resto tale da condizionare tutti e da indurre pi di una imitazione sul territorio. Ma c anche una qualche autonomia nel populismo locale: segue tracciati propri, usa forme e strumenti specifici ed entra in una relazione dialettica (anche antagonista) con quello nazionale. Di che si tratta? Oltre agli strumenti generali e consueti, oggetto degli altri saggi di questo speciale, il populismo locale si affida a certi aspetti particola-

ri. Ne evidenzieremo tre. Primo: il crescere dello sciovinismo territoriale, che si alimenta anche di una buona dose di antiromanit. La cultura del noi e loro e la ricerca costante di nemici, tradizionali della visione populistica, trovano sui territori una declinazione geograficamente se non addirittura etnicamente connotata. Si risponde alla sfida dei tempi dicendo innanzitutto che qui, nel Comune o nella Regione, siamo i pi bravi di tutti, abbiamo una storia speciale ed eccellenze che gli altri si sognano. Il che spesso del tutto infondato, o non tale da fare eccezione. Secondo: la curvatura talora strumentale che prende, localmente, il tema della prossimit, del vivere tra la gente. C del vero, ovviamente, ma caricato spesso di un retorico e furbesco atteggiamento anti-nazionale, rivolto contro il Parlamento, il Governo centrale, i propri partiti nazionali. Terzo: lambiguit di soggetti sociali e produttivi, soliti a un doppio linguaggio a seconda che si trovino sulla scena nazionale o su quella locale. Esempio: le associazioni datoriali o sindacali che a Roma approvano le manovre finanziarie (tagli alla spesa pubblica) e poi, sul territorio, la contrastano esplicitamente, preoccupate che saltino i propri sussidi o incentivi. Questa doppiezza sposta il confronto di merito su terreni artificiosi, distanti dalla realt, ove predomina lelemento teatrale, cos congeniale alla logica populista. Ma pi interessante ancora cercare di capire le cause di questo fenomeno. Ecco unaltra triade, tre filoni di ricerca che hanno anche una valenza generale. l primo posto sta la relazione nuova creatasi, negli ultimi anni, tra la dimensione globale e quella locale. Tanti studiosi hanno approfondito il nesso che esiste tra la spinta irresistibile alla globalizzazione e il risorgere di una frontiera locale che non ha conseguenze solo sulla dimensione cultural-antropologica ma d spessore specifico anche alla politica. E non solo a quella macro. Senza una valida sintesi teorico-pratica tra mondializzazione e tutela/valorizzazione delle differenze culturali e storiche, il movimento localistico pu anche prendere derive consistenti, fino alletno-populismo della Lega, ma con molte tinte interme-

die. Difficile descrivere tutte le varianti, baster fissare bene il punto: alla domanda di riconoscimento e rappresentanza del locale bisogna dare in tempi di dominio del globale una risposta robusta in termini teorici e concreti, agli antipodi da tentazioni protezionistiche o separatiste. Ma questa risposta presuppone un pensiero forte, la capacit di leggere e soprattutto di reggere le inevitabili tensioni e contraddizioni che si producono. proprio questo che oggi manca, da parte della politica ma anche della societ civile. pi facile il ripiegamento individualistico, pi immediata la fuga dallimpegno. Splendide giustificazioni per il populismo. Lesasperazione dellistanza locale ne soddisfa un bisogno proprio di legittimazione pratica, fattuale. La conferma a posteriori che le nostre ragioni sono superiori a quelle degli altri.

ruciale poi il secondo elemento, quello della difficolt crescente di trovare soluzioni concrete e vere ai problemi di tutti i giorni. Langoscia montante di amministratori e forze sociali di fronte allirriducibilit delle questioni, anche per la pi ferrea volont, andrebbe guardata con uno sguardo profondo, non superficiale. Non solo lovvia constatazione che ormai non c pi soluzione ai problemi se si resta nel recinto provinciale, se non si internazionalizzano il pensiero e la produzione. C di pi: la percezione che questo non baster se non cambiano i paradigmi generali, se non si ricrea una gerarchia sana dei valori e delle cose. Ma il realizzarsi del concetto non cos automatico, lo si ottiene compiendo lattraversata del deserto. Bisogna bere lamaro calice fino in fondo. E finch il tragitto non compiuto resta lillusione (o la velleit) di avere noi, in questo specifico territorio o con questa specifica cultura di governo, una risposta adeguata. chiaramente un circuito vizioso, che non porta da nessuna parte, ma che si ripete fino a che le prove della sua inconsistenza non diventano schiaccianti. E fino allora ci si riprova, incessantemente, come Sisifo verrebbe da dire. Va da s che la risposta populista non fa che aggravare la disillusione perch essa non pu dare soluzioni. Non c spazio per andare oltre sul tema. Vale piuttosto invitare alla lettura delle splendide pagine scritte da Lorella Cedroni su populismo e neutralizzazione della policy.

Infine troviamo il tema dellelezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti di Provincia e Regione, connesso alla discussione che in alcuni partiti si fa sulle primarie. Sono passati 16-17 anni dalle prime elezioni dirette ed tempo di qualche primo bilancio generale sullesperienza e sulle modificazioni che esse hanno introdotto nella cultura politica, nella sua intima essenza, nella sua permeabilit quasi naturale al populismo. Lelezione diretta ha portato, con un moto ascendente che non ha ancora toccato il punto alto della parabola, allaffermarsi dei processi di personalizzazione della politica, di marginalizzazione dei partiti e dei programmi, allesasperazione del rapporto diretto tra eletto ed elettori visto come unico modo legittimante della democrazia. La componente populista di questi fenomeni indiscutibile. Partire da qui non significa militare tout court per labolizione dellelezione diretta quanto trovare, come propone Sergio Fabbrini nel suo saggio Addomesticare il Principe, i modi per governare la partita del leaderismo e della personalizzazione. Lo stesso si pu dire delle primarie, da tempo ormai sospese tra promesse di apertura e rinnovamento dei partiti e modo di garantire il diritto di candidarsi pi che quello di scegliere il leader migliore. Concludendo, davanti a noi stanno verosimilmente due prospettive. La prima si basa sulla previsione che il meccanismo populista, malgrado qualche sconfitta e le crescenti difficolt di consenso, vada avanti e magari si consolidi. Ci produrr, nel panorama locale che stiamo esaminando, laccentuazione di tutti i localismi, personalismi, particolarismi che abbiamo fin qui analizzato. Bench non funzionino e non facciano altro che prolungare lagonia, questi meccanismi corrispondono allorgoglio locale, a un senso di appartenenza alla squadra territoriale. Dunque, si ripeteranno fino a che non sbatteranno la testa nel muro. possibile che proprio dal versante locale il populismo riceva quellalimento che a livello nazionale comincer a mancare, come qualche sintomo dice, sia pure non risolutivamente. Il secondo scenario che la spinta populista smorzi e allenti la sua presa anche sulla cultura locale. Potr nascere un equilibrio pi serio tra dimensione territoriale e sfera globale, con la possibilit di un aiuto reciproco e la fuoriuscita dalla negativa logica del noi e voi. Ma servir una sintesi alta, non la semplice cancellazione delle aspirazioni locali. Anzi, condizione essenziale sar che la politica nazionale (quella dei partiti e quella dei corpi sociali) assuma il valore locale come fondante della sua riscossa. E cessi di considerare importanti e dirimenti solo i fatti (ma lo sono poi davvero sempre?) che accadono nei palazzi e nei salotti romani, nelle sedi nazionali aprioristicamente definite come rilevanti. E abbia invece la pazienza e lumilt di capire che molto spesso assai pi importante quello che accade, che si decide, che si muove a livello locale, anche perch gravido di significati che ne faranno presto un fatto di valenza complessiva.
1. Lorella Cedroni, Il linguaggio politico della transizione. Tra populismo e anticultura, Armando, Roma 2010. 2. Sergio Fabbrini, Addomesticare il Principe. Perch i leader contano e come controllarli, Marsilio, Venezia 2011.

Troubleyn / Jan Fabre PREPARATIO MORTIS (creazione 2010) concept: Jan Fabre coreografia: Jan Fabre, Annabelle Chambon danzatrice: Annabelle Chambon composizione musicale e organo: Bernard Foccroulle produzione: Troubleyn/Jan Fabre (Anversa, Belgio) Teatro Era, Pontedera - Italy 9, 10 March 2012 Teatro Fabbricone, Prato - Italy 28, 29 April 2012

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A sinistra risponde uno squillo


Omar Calabrese

possibile parlare oggi dellavvento in Italia (ma in realt non solo nel nostro paese) di un populismo di sinistra? La domanda molto pi complessa di quanto non possa sembrare, soprattutto per il fatto che la parola populismo non ha un significato molto ben definito. Quello attualmente prevalente nel linguaggio giornalistico, infatti, deriva da una semplificazione e da un malinteso. Di ci che proviene dai movimenti che storicamente si sono autodefiniti populisti (quello russo iniziato attorno alla met dellOttocento, quello americano del Peoples Party alla fine del XIX secolo, quello argentino dei descamisados di Juan Domingo Pern nel 1946, ad esempio) resta soltanto lidea di carisma del leader, giudicato fedele (e perci amato) interprete dei bisogni del popolo, e portatore di un consenso diretto da parte di questultimo, senza la mediazione di organizzazioni di massa. Il malinteso, invece, consiste nelluso del termine come sinonimo di demagogia: aggressivit verbale contro le lite del potere, considerate come caste dotate di privilegi e intrise di corruzione. Proprio per questi motivi, tuttavia, occorre dire che le varie ideologie populiste sono basate su un principio intrinsecamente reazionario o quanto meno iperconservatore. Il loro fondamento la relazione diretta fra il capo e le masse. Il primo si qualifica come destinato a governare, i secondi come fedeli portatori di quella missione che gli hanno riconosciuto. Le varianti del populismo, insomma, si presentano come declinazioni del medesimo concetto. Quella tecnocratica (modello: Berlusconi, Thatcher, Sarkozy, Putin) considera la capacit individuale come matrice della fatal sorte attribuita al capo. Quella tribunizia, sul tipo della Lega Nord, della Bndnis Zukunft sterreich (Alleanza per il futuro dellAustria) di Jrg Haider, del Partijvoor de Vrijheid (Partito per la Libert) di GeertWilders in Olanda, del Perussuomalaiset (Partito dei Veri Finlandesi) di Timo Soini attribuisce al capo il sentimento della rivendicazione identitaria nazionale o locale. E infine quella fascista, pur con laccettazione della democrazia elettiva come nei casi del Front National di Jean-Marie Le Pen in Francia, degli Sverigedemokraterna (Democratici Svedesi) di Jimmy Akesson, del DanskFolkeparti (Partito Popolare) di Pia Kjaesgaard in Danimarca, o dello JobbikMagyarorszgrtMozgalom (Movimento per unUngheria migliore), vede nel leader la figura delluomo forte, capace di realizzare uno Stato etico, fondato sui doveri pi che sui diritti dei cittadini. Dicevamo allinizio, per, che non tutto cos semplice. Intanto, anche altre forme di pensiero politico hanno assorbito elementi del populismo. Le dittature comuniste, ad esempio, hanno spesso perseguito lidolatria per il capo, e non sempre sulla base della riconoscenza per aver guidato rivoluzioni o riconquiste di libert (Mao-TseTung, Fidel Castro, Charles De Gaulle), ma in tempi pi recenti per avere sviluppato un aggiramento della democrazia rappresentativa tradizionale attraverso leggi maggioritarie sempre pi estreme e mediante lutilizzazione di sistemi di comunicazione di massa efficaci e persuasivi. Il partito ungherese denominato Fidesz, per esempio, si lentamente trasformato da partito liberale in formazione conservatrice, e oggi, sotto la guida di Victor Orbn, addirittura in gruppo autoritario. Fortemente populista divenuta lUnione Democra-

Jan Fabre, Art Kept me out of Jail, Louvre, Galerie Daru, April 22, 2008 artist/performer Jan Fabre assistants: Katrien Bruyneel, Barbara De Konick, photos Attilio Maranzano, Marten van den Abeele

tica di Centro di Christoph Blocher in Svizzera, e altrettanto accaduto allsterreichische Volkspartei (Partito Popolare) in Austria. Ma anche la sinistra democratica ha subito, in maniere diverse, il fascino della demagogia di massa. Qualche commentatore, ad esempio, ha intravisto nei comportamenti di Franois Mitterand sul finire della carriera presidenziale alcuni tratti di culto della personalit, e altri hanno segnalato in quelli di Tony Blair e di Barack Obama il ricorso alla seduzione mediatica del popolo senza le intermediazioni tradizionali delle organizzazioni di partito. Si potrebbe, dunque, legittimamente parlare di una contaminazione ideologica, persino involontaria, intervenuta negli assetti concettuali dei partiti o dei movimenti della sinistra.

n secondo luogo, lincerta definizione di populismo fa s che caratteri fra loro differenti vengano confusi in ununica prospettiva semplificata. In un bellarticolo divulgativo sulla materia (Populismo: una definizione indefinita per eccesso di definizioni, del 2010, reperibile sul sito di Italianieruropei), Ilvo Diamanti ha segnalato dieci diverse tipologie di manifestazione del populismo. Fra queste, inserisce anche alcuni fenomeni non certo riconducibili a posizioni reazionarie, come laffermarsi della e-democracy, lespressione della cosiddetta antipolitica, la personalizzazione delle investiture a governare. Daltro canto, anche una personalit fortemente orientata a sinistra come Marco dEramo ha auspicato lavvento di un benvenuto populismo di sinistra, laddove questo esprima legittime aspirazioni popolari, a suo parere mancanti nei programmi attuali dei partiti progressisti, soprattutto italiani. Alla base della ricerca di forme alternative di assetto sociale ci sono, insomma, la crisi della democrazia rappresentativa e la sfiducia negli organismi che abitualmente la alimentavano. Avviene, per, che i due fenomeni appena descritti (inquinamento ideologico e caduta del principio di delega) possano combinarsi a causa di una azione endogena e di una esogena concomitanti. Proviamo a dimostrarlo attraverso lanalisi di qualche espressione populista recente nellambito delle forze di sinistra. Il caso del sindaco di Firenze, Matteo Renzi, abbastanza esemplare. Come noto, Renzi ha prevalso nelle primarie del 17

centrosinistra grazie allo slogan della rottamazione della vecchia classe dirigente, al potere da troppo tempo. In questo senso, la sua campagna teneva conto di spinte esterne ai partiti che lo sostenevano, o quanto meno esterne al funzionariato dominante. Un anno e mezzo dopo lelezione, per, Renzi ha avanzato la propria candidatura per la scelta del prossimo leader nel voto politico del 2013 (o magari anche prima). Durante una specie di convention alla Stazione Leopolda del capoluogo toscano, ha apparentemente sostenuto che non si trattava di candidare una persona, bens un nuovo programma. Con una piccola contraddizione: il programma non cera, ma lassemblea era convocata proprio per sostenere lui. Stavolta, la matrice era tutta interna, e concentrata sulla proclamazione di una leadership. Un esempio abbastanza simile , ormai da tempo, quello di Antonio Di Pietro e dellItalia dei Valori. Laggressivit di questa formazione resa evidente dal linguaggio utilizzato, tendente alla denigrazione e delegittimazione degli avversari, considerati come nemici della legalit repubblicana e sostanzialmente corrotti. Anche in questa circostanza la matrice populista esterna. Cerca di tener conto di un sentimento popolare (tipicamente italiano, ricordiamolo), secondo il quale chi governa probabilmente reo di malaffare amministrativo. Basti riportare alla mente gli slogan social-comunisti del 1948 e del 1953 contro i forchettoni democristiani, ma anche qualche campagna del Partito Radicale negli anni Settanta e Ottanta contro la cosiddetta partitocrazia. Dallaltro lato, per, quel medesimo partito ricorre al nome del capo riconosciuto nella propaganda elettorale, giungendo a denominarsi anche come Lista Di Pietro (e i Radicali come Lista Pannella o Lista Bonino) in ossequio alla presunta forza persuasiva del nome del leader. Il fenomeno identico, tuttavia, anche a destra o al centro, dove si sono riscontrate operazioni analoghe. Ricordiamo la fugace apparizione del Patto Segni, della Lista Dini, della Lista Sgarbi. Ma perfino Forza Italia-Polo delle Libert-Popolo delle Libert ha talora inserito il nome di Silvio Berlusconi a sigillo dei propri manifesti, e, nel 1996, una delle sigle partecipanti allUlivo, i Popolari, si denomin Popolari per Prodi. Si ha la netta sensazione, insomma, che la de-

riva populista che ha investito la sinistra sia frutto di uno smarrimento identitario assommato a un forte inquinamento dei contenuti. Il primo dipende dalla forte carenza di spirito partecipativo nelle organizzazioni di partito. certamente vero che la comunicazione politica si lentamente ma inesorabilmente trasferita dai luoghi tradizionali (piazze, sedi fisiche) ai mezzi di comunicazione di massa, televisione in testa, che favoriscono il protagonismo dei singoli a scapito di quello dei programmi. altrettanto vero, per, che la politica tradotta in spettacolo assume di questultimo soltanto i caratteri recitativi, e perde quelli passionali. Cos, assistiamo allesplosione della retorica dellinvettiva (facile ma banale) e allinvoluzione della dialettica (difficile sui media, ma almeno interessante). Peraltro, la debolezza dei contenuti va fatta risalire a unidea preliminare del suffragio, ovvero la credenza che il corpo elettorale sia ormai frammentato in gruppi di interesse e non pi in blocchi sociali, e che la vittoria finale dipenda dunque dalla capacit di attrarre le pi ampie ed eterogenee diversit. Le proposte, allora, diventano fragili e poco identificabili, e le stesse candidature rivelano i negoziati nascosti che a loro soggiacciono. Diventa quasi inevitabile far ricorso alleventuale carisma del capo per coprire lassenza di fascino dei concetti, e sperare nelle sue capacit di contatto col pubblico in sostituzione della perdita di efficacia simbolica dei contenuti (altro che popolo, gli elettori sono diventati nientaltro che pubblico). Fausto Bertinotti ha sostenuto, a suo tempo, che candidato un participio passato, non un sostantivo. Magnifica frase: segnala che il participio implicherebbe in una democrazia partecipativa la decisione dei tanti e la successiva accettazione del singolo; il rovescio presuppone invece un atteggiamento autoritario, quello di mettersi a capo di passivi, ancorch schieratissimi, seguaci. Come si vede, le due motivazioni della spinta al populismo esistente oggi a sinistra finiscono per convergere proprio nella dimensione dellinquinamento dei princpi. E pertanto, pur accettando le buone definizioni di Ilvo Diamanti citate poco sopra, occorre affermare, una buona volta, che la natura del populismo intrinsecamente di destra, e che costituisce una minaccia per chi si senta autenticamente progressista. A Marco dEramo, infine, occorre forse rispondere di non fare confusione fra le legittime aspirazioni popolari (giustamente tipiche dei movimenti o delle organizzazioni spontanee) e i programmi politici con finalit di governo. Le prime devono essere rispettate e assunte dai secondi, ma questi rimangono necessari. In caso diverso, il nostro futuro sar solo un intollerabile regno dellindifferenza.

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La sindrome del meet-up


Alessandro Cannamela
n occasione del primo Vday, (Beppe Grillo ndr) gridando dal palco I partiti sono morti! lanci un grido di allarme su un fenomeno allora in corso, oggi sotto gli occhi di tutti, completamente compiuto. Insomma Grillo laveva previsto, e da quel momento i cadaveri, parlarono espressamente di antipolitica, per difendersi da un movimento che lentamente li sta spazzando via. La rete, infatti, pu rappresentare la nuova resistenza, azzerando la vecchia politica, e in questo senso attraverso il web ognuno vale uno, i leader politici sono una contraddizione in termini, non hanno senso. Il web istantaneo, e ha una memoria eterna, qualsiasi articolo rester in una cache a disposizione di tutti. I dinosauri che smentiscono il giorno dopo, ritrattando, sono anchessi passati alla storia di ieri. Esordisce cos la recensione del libro Siamo in guerra. La rete contro i partiti1, un testo realizzato a quattro mani da Beppe Grillo e Giuseppe Casaleggio, scritta nel blog Il Grillaio del meet-up di Altamura, in Puglia. Questa citazione potrebbe rappresentare un vero inno del populismo formato web, di cui il libro in questione sicuramente uno dei testi sacri. Il web come vettore di informazione e luogo di scambio di conoscenza: questa larchitrave della riflessione condotta da coloro che, tra i primi, hanno provato a rendere internet un terreno della contesa politica. Riflessione che non possiamo che condividere: la potenza di scambio e il volume delle informazioni che circolano sulla Rete non ha evidentemente alcun paragone possibile. La sensazione che si prova navigando la sensazione di linkare una biblioteca multidimensionale, di possedere o di poter accedere a qualunque informazione, e a qualunque segreto, naturalmente. Non servono pi filtri nella societ di in-

ternet e dunque ciascuno titolato a discutere di tutto: nellera dei tecnici e dei tecnicismi invocati da tutte le parti in campo, la rete rappresenta ci che di pi intersettoriale esista, un bar virtuale in cui poter discutere di tutto invocando (anzi linkando) la congruit, la verit dei propri argomenti. Ovviamente le informazioni a cui si accede possono essere anche tra loro contrastanti, e dunque qualunque tesi lecita poich qualunque argomentazione a suffragio di essa lo . Il secondo assunto dei nostri commentatori la distruzione del livello di mediazione istituzionale: niente pi partiti, ma in definitiva, potremmo dire, niente pi comunit. Nel web ognuno vale uno, nessuno rappresenta nessuno, si compie la democrazia perfetta dellindividuo. Del resto la politica emozionale degli ultimi anni ci ha abituati a enucleare i problemi di ciascuno senza perdere neanche del tempo nel processo del problem solving. sufficiente, per arrivare al cuore (o alla pancia) delle persone, enunciare il loro specifico problema, la loro specifica difficolt personale. Individuale: la politica dello sfogo delle frustrazioni, sostanzialmente delle incomprensioni di ciascuno, pi che il processo collettivo della soluzione dei problemi comuni. nche il fenomeno dei meet-up o, se vogliamo uscire dallesempio grillista, delle comunit virtuali, vive di una transitoriet assoluta i gruppi cambiano continuamente riproducendo peraltro la figura del leader, o forse dovremmo dire dellopinion leader, nel microcosmo della micro organizzazione virtuale. In altre parole, la tesi per cui non esistono pi leader politici contraddetta dallesplicarsi della realt, dal sorgere spontaneo di figure trascinatrici a livello macro (Beppe Grillo) o micro (i vari capi delle sezioni locali dei meet-up). Detto altrimenti, ai limiti tipici dei movimenti, queste aggregazioni aggiungono il fatto

di non accompagnare una evoluzione reale nella forma dellorganizzazione. La rete riproduce dinamiche verticalizzanti in modo naturale. Perch, per, dovremmo definire populiste dinamiche di aggregazione politica spontanea sulla rete che si manifestano con forme precipue? Lo facciamo per alcune ragioni sostanziali: la prima, gi accennata, attiene al carattere individuale delle rivendicazioni, che potremmo definire sterili, che non cercano soluzione, ma testimonianza; la seconda concerne il tema del linguaggio. Non intendo scendere in polemica con i toni forti del V-Day o di altre forme di espressione colorite, quanto piuttosto provare ad analizzare le forme in cui sui vari social network i militanti della rete colpiscono i propri obiettivi. Le bacheche dei politici o quelle dei siti istituzionali sono tempestati di attacchi ripetuti, una sorta di spam continuo, di mind bombing, un loop che con argomentazioni scarne e riferimenti a link di siti di controinformazione amici, insistentemente afferma, pi spesso insinua e denuncia. In questo assai evidente la somiglianza con la tattica televisiva cara a Silvio Berlusconi, per cui era sufficiente ripetere continuamente una cosa per farla apparire vera o verosimile: la rete, che conserva i dati e le affermazioni, una straordinaria e naturale cassa di risonanza. Infine, traspare nelle fluttuazioni della rete, e in particolare dei social, londa del consenso e la capacit di alcuni di cavalcare le opinioni giuste. Nellannichilimento della realt e del materialismo, trionfa lopinione liquida e facile, quella che trova riscontro immediato nellapprezzamento del pubblico. La rete si trasforma nello studio televisivo ideale, dove tutti sono connessi e le affermazioni possono trovare facile riscontro e automatica scientificit. Questa costante rinegoziazione delle idee conduce inesorabilmente ad assumere posizioni particolari, ad esempio, sul tema immi-

grazione o sulle vertenze locali, accomunate dalla sindrome nimby, e che dunque non possono che avere un giudizio netto e contrario da parte degli agitatori della rete. per interessante notare un fenomeno recente che, seppure destinato a breve durata, colpisce lattenzione per il suo carattere peculiare: la bolla di consenso attorno al governo Monti ha dimostrato a tutti noi come del populismo (in questo caso definibile come dellunit nazionale) possa beneficiare anche un governo che non esercita teoricamente funzione politica. La rete ha rappresentato nei giorni dellelezione del Professore a Palazzo Chigi unautentica arena in cui alcune idee (avverse ai dogmi del sacrificio, del rigore, dellausterit) erano bandite: assistevamo dunque allemergere dellultimo fenomeno tipicamente populista, ovvero la censura delle idee, anzi lautocensura dellopinione da parte degli esclusi. Tutto vorremmo con queste nostre argomentazioni, per, tranne che condannare o biasimare la rete; essa uno strumento eccezionale; come qualsiasi strumento, tuttavia, e in particolare come qualsiasi strumento mediatico nato nella societ di massa, pu essere usato in modi differenti e, pi o meno, corretti. Astenendoci dal giudizio. Conducendo unanalisi dei processi di aggregazione sulla rete, si pu semplicemente constatare che in quella sede emergono fenomeni di natura intrinsecamente populista. Daltra parte, nel declino dellera della televisione e, conseguentemente, della deformazione di quello strumento di informazione a fini politici, il populismo non pu che passare dal web, ovvero dallo strumento oggi privilegiato per la diffusione delle informazioni, in cui, parafrasando un fenomeno pop degli anni Novanta, ciascuno padrone a casa sua.
1. B. Grillo, G. Casaleggio, Siamo in guerra. La Rete contro i partiti, Chiarelettere, Milano 2011.

Buste II Janus, Homage to Jacques Mesrine, Installation view, 2009 Galerie Bernd Klueser, Muenchen

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Jan Fabre
Luomo con le corna: Capitoli I - XVIII
Anna Kreutzrger
Le dicotomie vita e morte, corporeo e incorporeo, transitoriet ed eternit costituiscono da sempre i temi portanti dellopera di Jan Fabre. Nella nuova serie Capitoli I-XVIII, queste condizioni apparentemente inconciliabili convergono tutte nellimmagine dellartista. I Capitoli si collocano a met tra un assurdo gabinetto delle curiosit e una Galerie des grands hommes, offrendo uno spettacolo enigmatico e grottesco. Lartista lascia da parte il suo corpo, per porsi sul capo delle corna e rappresentare il proprio volto in diciotto bronzi lucidati e altrettanti calchi in cera. Il contributo che segue propone alcune interpretazioni della serie, suggerendone una lettura in prospettive diverse e fra loro complementari. Fabre ha dotato i suoi alter ego di unampia variet di corna e di altre appendici prese in prestito dal mondo animale. Su alcune teste torreggiano i palchi di un cervo rosso in paio o in singolo o quelli di un daino; le corna di un muflone o di unantilope prorompono ai lati di altre teste. Da un sopracciglio spunta il corno di un bufalo acquatico, mentre il naso di unaltra testa si coagulato nel corno di un toro Watusi. Queste appendici provengono da animali che generano le corna da sostanze corporee, ad esempio cellule cornificate e pelo, o plasmano dentina e tessuto osseo in forma di pugnali, spuntoni e corna ramificate. Soltanto i maschi possiedono queste corna poderose, a cui possono fare ricorso per difesa personale, ma di cui si servono soprattutto nei conflitti con altri membri della loro specie. In realt, il fine di questi scontri non tanto infliggere un danno, quanto piuttosto appagare il desiderio istintivo di testare la reciproca capacit offensiva e imporsi sul rivale. Prima che il confronto abbia inizio, la dimensione e la struttura delle corna dello sfidante gi ne indicano la forza e let. Di conseguenza, spesso il confronto si rende superfluo: queste appendici funzionano come simboli di una mascolinit, superiorit e possanza che sono riconoscibili a distanza. Le connessioni che legano umani e animali nellopera di Fabre sono stabilite sia nei termini di uno scenario fantastico, nel quale Fabre si appropria delle capacit dellanimale, che nella rappresentazione delle analogie tra il comportamento umano e quello animale; Fabre sottolinea come, sebbene abbiamo perso gran parte del nostro istinto animale, per molti versi i nostri comportamenti non sono dissimili1. Tra gli uomini, rivalit, sete di potere, aspirazione al riconoscimento e alla promozione di s a scapito degli altri semplicemente trovano altre modalit despressione. Poich percepiamo la testa umana nel suo complesso come qualcosa di familiare e inalterabile, il procedimento additivo di Fabre resta pressoch inintellegibile. Nonostante nellopera le corna siano innestate mediante un atto distruttivo, difficile affermare che questevento sottintenda una metamorfosi interiore. A differenza delle figure stereotipate che popolano le rappresentazioni medievali dellinferno o di creature mitologiche, come i centauri o il Minotauro, con questi innesti non si attribuisce alcuna nuova, specifica caratteristica alle creature provviste di corna. I busti sono chiaramente presentati come una combinazione tra due esseri autonomi e non come una sintesi. Le corna sulla testa di Fabre possono considerarsi come un riferimento a caratteristiche proprie delluomo. Collocate l, funzionano simbolicamente non solo da mezzi dintimidazione, ma anche da attributi che conferiscono al busto tratti come forza, calma, aggressivit, fertilit e intelligenza, caratteristiche associate nella realt o a livello figurativo alle singole specie. Tuttavia, queste appendici sono ben pi che un riferimento allorigine: sebbene sia impossibile guardare delle corna senza pensare allanimale corrispondente, esse acquistano una funzione e una qualit estetica nuova in quanto prolungamenti di una testa umana. Perci, dimensione, forma e peso delle stesse in questo caso non esprimono la possanza e maestosit che esprimerebbero sulla testa di un cervo, in particolar modo quando compare solo una delle due corna, o quando spuntano dal viso invece che ai lati del cranio. Le corna consentono inoltre numerose altre associazioni, ad esempio con antenne, tentacoli, falli, o peli. Infine, alcune di esse possono interpretarsi come una visualizzazione del pensiero, che trabocca dal cervello e assume la forma di corna. La figura di Fabre fornisce una costante familiare in tutta la serie: lattenzione dellosservatore si concentra perci sulle appendici sopra il capo dellartista. Tuttavia, le diciotto ripetizioni della sua immagine non danno luogo a un complesso e strutturato autoritratto: le singole variazioni non arricchiscono limmagine che abbiamo di Fabre; semmai, lindividuo va sempre pi ritirandosi dietro la gamma delle trasformazioni. Noi tentiamo di ricostruire le metamorfosi e consentiamo allindividuo Fabre di scomparire nel gruppo. Sebbene il Fabre-copia perda la sua unicit e individualit, ci nondimeno quelli che ci vengono presentati sono degli individui. Dopo avere identificato lanimale e avere visualizzato il busto nel suo insieme, notiamo che le diverse tipologie di corna non sono state semplicemente accorpate, ma i volti esprimono stati danimo che variano: certuni una gioia trionfante, altri unattitudine contemplativa, altri ancora orgoglio o insicurezza. Queste espressioni del viso conferiscono ai busti una vita interiore e sembrano manifestare una reazione rispetto a determinate appendici: indicano gli stereotipi dellartista o riflettono modelli di pensiero e comportamento. Il portato degli individui accresciuto dal fatto che i volti abbiano diversi livelli di lettura. Alcuni sembrano essere coscienti che le corna non sono di alcun vantaggio per gli umani e meditano, stoicamente o con aria afflitta, sulle loro appendici. Altri sembrano considerare le proprie corna in una luce positiva, come strumenti per la conquista del potere. Sotto corna quasi insostenibili ritroviamo uno sguardo pieno dorgoglio, una figura sembra consapevole del proprio fardello, e unaltra appare persa nella contemplazione di s. Dunque, Fabre ritrae qualcosa di essenzialmente umano e universale. Cos come sviluppare le corna e affrontare i rivali fa parte della natura del cervo, secondo Fabre lo stesso vale per gli esseri umani, in particolare per i maschi. In questo caso sono le idee a svilupparsi al posto delle corna. Sono le loro armi, gli strumenti per emergere in societ e conquistarsi un posto nella galleria dei grandi. Le diverse reazioni a questo desiderio e alle appendici possono perci intendersi come proprie delluomo. Come Elckerlijk (lUomo qualunque), del morality play olandese del XV secolo Speygel der Salicheyt van Elckerlijc, Fabre appare come qualunque uomo, uomo qualunque e lUomo qualunque, in quanto personificazione dellumanit. Le figure allegoriche delle principali attitudini e qualit umane accompagnano e nel loro insieme incarnano Elckerlijk. Analogamente, i Capitoli rappresentano i comportamenti delluomo, i suoi sentimenti e i suoi tratti: i busti mettono in mostra arroganza, ambizione e senso di inferiorit, cos come prudenza, sensibilit, pace, concentrazione, ignoranza e conoscenza di s. LUomo qualunque di Fabre non solo indotto a conquistare nuove conoscenze, ma anche a creare immagini che siano espressione di una prospettiva, di una realt, ovvero una visione che unicamente sua. lui lartista, il pensatore, il filosofo. Un pensiero, una forma o un testo ci inducono a promuoverlo nella cerchia degli eletti. Il formato del busto, la raffigurazione realistica e la presentazione collettiva, come fosse una galleria di ritratti di nobili antenati o passati presidenti, consente a Fabre non solo di rivendicare il dovuto rispetto per i suoi Capitoli, ma anche di collocarli in uno spazio incerto fra transitoriet ed eterna presenza. Nella tradizione, il busto ha la funzione di un monumento in memoria del defunto, commissionato per commemorare individui significativi, pensatori, artisti, o potenti governanti. Essendo privo del corpo, dalla 19 sua gestualit non si pu ricavare alcuna informazione; in memoria, in rappresentazione, e probabilmente a riflettere lessenza del defunto, rimane solo il volto. Lespressione contegnosa e leliminazione del corpo escludono qualsiasi azione narrativa e collocano il soggetto in un contesto atemporale. In aggiunta a questa funzione commemorativa, i busti servivano spesso per propagandare limmagine di un governante nelle province pi remote, dove non poteva essere fisicamente presente. Il busto-ritratto perci direttamente associato allidea di presenza in assenza, anche nel caso di un soggetto vivente2. Inoltre, dando vita a unimmagine che dura nel tempo mentre il suo transeunte soggetto invecchia, il busto mette in risalto lincongruit che si prefigge di superare3. Dimostra la presenza dellassente e al tempo stesso ne implica lassenza; oscillando tra presenza e assenza, tra vita e morte, proietta il proprio soggetto in questo spazio incerto. Questa relazione ambigua del busto-ritratto con limmagine e con il nostro senso di mortalit consente a Fabre di tematizzare il fatto che la morte metter fine alla vita per come la conosciamo, senza dover illustrare la transizione tra questi due stadi. Lesecuzione dei busti con due materiali tra loro assai diversi esemplifica il ruolo chiave che la scelta dei mezzi gioca in tutta lopera di Fabre. Tratti fisici e connotazioni iconografiche accordano ai busti in cera e bronzo possibilit espressive distinte: fragili entit si confrontano con icone dellindividualit. La cera un materiale impermanente e instabile, che mediante la tecnica del calco dal vero riproduce con precisione la superficie di un oggetto. Laddove altri materiali dopo la colata si seccano e sinduriscono, la cera resta malleabile. Questa impermanenza rende le opere in cera manufatti vivi e fragili, costantemente esposti alla minaccia del calore e del contatto fisico. Nelle maschere mortuarie, la cera veniva usata per ottenere un calco con le fattezze del defunto appena morto. Per produrre i Capitoli stata usata questa tecnica di stampo; nonostante la vitalit di molti busti, Fabre viene perci associato a un contesto post mortem. Il fatto che i busti in cera siano stati fusi nello stampo ricavato direttamente dal volto di Fabre e che la loro superficie richiami la qualit della pelle al tatto e la sua reazione alla pressione e al calore li rende pi realistici. Incarnano efficacemente la transitoriet e la vulnerabilit umana. Anche il processo creativo nei Capitoli indica la fragilit e la caducit dei soggetti. Alcune parti della testa sono state asportate per linserimento delle corna, uno squarcio nella fronte segnala lincastro, mentre la cera rossa suggerisce il sangue che scorre; dunque, la giuntura tra corna di cera e teste assume la forma di un atto distruttivo. A ogni modo, non mai evocato alcun s realmente malato, ferito o sofferente. Le ferite rappresentate non sono brutali: sofferenza e dolore restano assenti. Ferite e morte sono presenti a livello concettuale, come aspetti naturali della vita e non necessariamente negativi. Nellopera di Fabre artista visuale, si nota sempre linteresse per lo stadio di transizione tra vita e morte, mentre langosciosa condizione della morte e della malattia non assurge mai a tema. Allo stesso modo, i busti non evocano in modo enfatico unesperienza di vulnerabilit e transitoriet, sono soltanto dei segnali, delle indicazioni, nel senso di un memento mori. Diversamente dalla cera, il bronzo una lega di rame e alluminio, pregiata, resistente e durevole; stato tra i primi metalli adoperati dagli uomini e, insieme al marmo, il mezzo pi tradizionalmente usato per la scultura. Fin dallantichit lo si impiegato in busti e statue come simbolo di potere e di eternit. Una differenza significativa tra Capitoli in cera e quelli in bronzo che questi ultimi sono lucidati, il che riduce la precisione dei dettagli e conferisce loro quel carattere definito. La finitura a specchio sfuma i tratti fisici del viso e le espressioni. La qualit dei dettagli della versione in cera si fonde in una maschera omogenea. Lespressione controllata, le forme fortemente semplificate di segno opposto rispetto al carattere illusionistico , il lessico standardizzato e formale e limpressione di magniloquenza riconducono il busto al ruolo di icona. Fabre non si limita a evocare unatmosfera di venerazione, ma presenta lartista come salvatore e guaritore. Le icone sono basate su un concetto dimmagine che lega cos intimamente i soggetti ritratti allimmagine stessa che questultima finisce con lessere venerata e ci si aspetta persino che offra aiuto4. Il potere sacro del soggetto presente nellimmagine e pu operare attraverso di essa5. Analogamente al busto, licona segna un momento di transizione tra mondi o stati dellessere. Stabilendo un collegamento fra terreno e ultraterreno, licona rappresenta manifestamente qualcosa al di l della realt mortale, ma lo fa senza rendere immediatamente visibile lultraterreno. Fabre adopera i Capitoli in bronzo per conferire a fenomeni universali in specifico il bisogno di creare e la variet e unicit dei diversi tratti caratteriali un posto donore e attribuire loro un carattere addirittura messianico. Viene messa in mostra, a ogni modo, anche lassurdit dei soggetti e le motivazioni individuali e altruistiche che presiedono al bisogno di creare. Limportanza della creazione come mezzo per trasformarsi in icona, per non essere dimenticati e non scomparire in tutto e per tutto, diviene particolarmente chiara in congiunzione con la transitoriet incarnata dalle versioni in cera. Fabre non attribuisce allo stato contemplativo, allimpulsivit, allostinazione, allintellettualit o alledonismo un valore relativo. Nessun busto viene eletto vincitore, e il loro impegno non sottoposto a giudizio. Sta a noi decidere se i busti mettano in evidenza il bisogno di creare o, piuttosto, quello di lasciarsi dietro uneredit ed eccellere tra i propri pari. Allo stesso modo in cui le corna possono essere considerate un elegante ed efficace ornamento o elemento strutturale, ma anche un aggressivo strumento di potere sui rivali, lintenzione dietro latto creativo rimane ambigua. Il bisogno di creare e listinto animale sono parimenti innati? Lurgenza di sviluppare il pensiero o larte dei nostri predecessori culturali scaturisce dalla spinta a proseguire nellevoluzione della mente proprio come un cervo deve trasmettere i propri geni per garantire la sopravvivenza della specie? Oppure tutto un tentativo di contraddistinguersi e creare qualcosa di nuovo e di grande, cos da guadagnarne in prestigio? A ogni modo, mentre noi mettiamo in discussione il mito dellartista, i Capitoli di Fabre svelano la sua motivazione in quanto artista e i conflitti che per lui rivestono maggiore importanza. Non considera il conflitto con la storia, la tradizione, gli artisti suoi colleghi, il mercato, o losservatore come gli ostacoli pi grandi da superare. Riducendosi a complemento di idee, attaccando e deformando la propria immagine, e creando senza sosta un busto dopo laltro, Fabre colloca il rapporto conflittuale con s stesso al di sopra di tutto il resto. Accanto al rapporto conflittuale con unidea, Fabre esprime la ricerca del suo posto nel mondo e di risposte sullorigine, sul fine, sul significato e i vincoli esterni della sua attivit creativa. Traduzione dallinglese di Giulia Antioco
1. Jan Fabre in unintervista alla Galerie Daniel Templon in occasione della mostra Les messagers de la mort dcapits (19.01.2006). 2. Dieter Brunner, Die Bste nach der Bste: Ein Forschungs- und Ausstellungsprojekt, in Die obere Hlfte: Die Bste seit Auguste Rodin, catalogo della mostra: Stdtische Museen Heilbronn/ Kunsthalle in Emden/ Stiftung Liner Appenzell, a cura di Dieter Brunner e altri, Heidelberg, 2005, pp. 8-9 (p. 8). 3. Ibid. 4. Ikone, in Lexikon der Kunst, a cura di Harald Olbrich (Leipzig, 1991), pp. 387-90 (p. 387). 5. Ikone, in Lexikon der Kunst in zwlf Bnden: Malerei, Architektur, Bildhauerkunst, a cura di Wolf Stadler (Eggolsheim, 1987), pp. 119-23 (p. 123).

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Jan Fabre

Jan Fabre, Chapters VIII, 2010, bronzo, photo Pat Verbruggen copyright Angelos

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Il misterioso viaggio nella liminalit


Lrnd Hegyi
Osservando il mondo enigmatico, misterioso, esotico di Jan Fabre, coi suoi paesaggi oscuri, le strane architetture, gli spazi interni ed esterni riempiti da immagini e proiezioni della nostra debordante fantasia, delle nostre paure e memorie dinfanzia, ci si sente avvinti in una narrazione assai complessa che si fonda su esperienze personali, ricordi, e al tempo stesso su un certo contesto educativo e culturale che lega profondamente la prassi artistica dellautore alla filosofia occidentale europea, alla letteratura, al teatro, alleredit culturale del Medioevo, allintera storia dellarte fiamminga e belga, e alla sua tematica simbolica. Il suo creare potrebbe essere considerato come un eterno viaggio, una condizione di continuo transito tra epoche e luoghi, sistemi simbolici e linguaggi, tra saperi personali, privati, psicologici, e collettivi, comunitari, tradizionali, tra discorsi razionali, contesti scientifici, e regno dellinconscio. L interesse ossessivo di Jan Fabre per lenigmatica, complessa qualit, a un tempo spirituale-astratta e sensoriale-concreta, del blu crepuscolare rivela la volont artistica di lavorare in una condizione liminale, nella quale si manifesta tutta la problematica della sua idea di metafora. Il fenomeno della liminalit, come pure la problematica estetica posta dallessere s-vincolato, il fatto di esistere sulla soglia tra due diverse condizioni contrapposte, o lincertezza volutamente, artisticamente cercata sono elementi fondanti dellestetica di Jan Fabre; unincertezza che circoscrive, tendenziosamente e intenzionalmente, lo status dellopera darte, il terreno, lambito di competenza dellattivit artistica a unisola di libera immaginazione ed enigmatiche improbabilit, ben lontana dalle attivit razionali, pragmatiche e logiche, utilitaristiche e ordinate, condizionate da un agire utile nel concreto. Eppure, per un altro verso, il pensiero metaforico sembra fondamentale nella determinazione del suo approccio complessivo alle realt antropologiche con le loro implicazioni storiche, culturali, filosofiche e religiose. Tutta la sua creativit visuale e scultorea altro non che una continua, ossessiva, straziante interrogazione sul ruolo dellarte, la quale, attraverso la creazione di efficaci metafore, potenti, toccanti, drammatiche, mediante la forza poetica della fantasia assoluta e dellimmaginazione sovversiva, mette in relazione diretta ambiti diversi della vita, differenti livelli dellesistenza, forme simboliche diverse, consegnando alla coscienza spiegazioni universali. Queste metafore catartiche, potenti e poeticamente efficaci, riescono a trasformare alcune esperienze di vita fondamentali e illuminanti in una rivelazione sensualmente tangibile, irresistibilmente emotiva, ineluttabile e profondamente enigmatica di condizioni esistenziali universali. I dettagli in apparenza insignificanti della nostra vita, i frammenti a prima vista poco interessanti del nostro mondo esperienziale, acquistano una dimensione catartica, essendo posti in rapporto diretto col livello delle narrazioni universali, archetipiche ed esistenziali dellumanit. Ogni aspetto, ogni dettaglio, ogni futilit della vita si presta a una significazione essenzialmente catartica che coinvolge le pi piccole, irrilevanti esperienze personali nelle grandi narrazioni archetipiche di miti, religioni, culti, della magia, della stregoneria e dello sciamanesimo, dellalchimia e dei rituali di guarigione. In questo modo i fatti biografici e le esperienze personali, le specificit culturali, i frammenti di storia familiare, i sogni e le idee dellinfanzia e giovinezza, gli incontri con gli altri e con la natura, ecc., vengono tutti coinvolti nel complicato processo creativo di una potente metafora catartica, che si svolge appunto entro questa enigmatica condizione di liminalit. Ci spiega perch lopera artistica di Jan Fabre caratterizzata da una persistente, sfrenata, catartica intensit luminosa; continuamente essa ci mette di fronte alla dimensione mitologica delle metafore universali e archetipiche, mentre le sue realizzazioni concrete, le sue figure, originano da frammenti minori, dai dettagli, dalla micro-realt personale di concrete esperienze di vita, di ricordi e avvenimenti. Questa intensit enigmatica e mentale, al tempo stesso culturalmente, storicamente e filosoficamente contestualizzata, una componente dello speciale autenticit di questo fare artistico nasce proprio dalstatus di cui gode la creativit artistica. L lesasperato processo di interrelazione tra i banali, effimeri avvenimenti personali e biografici e la dimensione metaforica delle narrazioni archetipiche universali.
Traduzione dallinglese di Giulia Antioco

Jan Fabre
The Horned One: Chapters I - XVIII
Anna Kreutzrger
The dichotomies of life and death, the body and the incorporeal, and transience and eternity have always provided the themes of Jan Fabres work. In the new series Chapters I-XVIII, these apparently incompatible conditions all converge on the image of the artist. The Chapters oscillate between an absurd chamber of curiosities and a Galerie des grands hommes while providing a grotesque and enigmatic spectacle. The artist sets aside his body, takes on antlers and horns, and presents his countenance in eighteen polished bronzes and as many casts in black wax. The following essay offers insight into the series by approaching it from a variety of complementary perspectives. Fabre has given his alter egos a broad range of horns, antlers, and other outgrowths borrowed from animals. The antlers of a red deer as a complete pair or as a fragment or those of a fallow deer tower above some of the heads; the horns of a mouflon or an antelope break through the sides of other skulls. The horn of a water buffalo grows out of one brow, while the nose of another head has congealed into the horn of a Watusi bull. These outgrowths stem from animals that create horns from bodily substances, such as horn cells and bristle, or form dentine and bone material into daggers, spikes, and forked antlers. Only males bear these powerful horns and antlers, which can be used for self-defence, but are primarily used in conflicts with other members of their own species. The purpose of these conflicts is not to actually inflict harm, but to satisfy an instinctive drive to test Ones strength against and to defeat an opponent. Before the confrontation begins, the size and structure of the challengers antlers indicate his strength and age. A confrontation is thus often rendered unnecessary: these outgrowths function as symbols of manliness, superiority, and power recognizable at a distance. The links that bind the human and the animal in Fabres work are established both in terms of a fantastic scenario, in which Fabre appropriates the abilities of the animal, and in terms of a depiction of analogous tendencies in human and animal behaviour. Fabre emphasizes that, while we have lost many animal instincts, our behaviour is scarcely different in many respects1. Rivalry, thirst for power, and striving for recognition and advancement at the cost of others simply find other means of expression among humans. Because we perceive the human head as an inalterable and familiar whole, Fabres additive process remains almost incomprehensible. While the horns are grafted onto the artwork in the course of a destructive act, this event hardly suggests an inward metamorphosis. No new, defined characteristics are ascribed to the horned creatures through their combination unlike the stereotyped inhabitants of medieval depictions of Hell or mythological creatures, such as centaurs or the Minotaur. The busts are clearly presented as combinations of two autonomous beings and not as syntheses. The horns on Fabres head may be seen as references to human traits. Placed here, they symbolically function not only as a means of intimidation, but also as attributes that assign the busts traits such as strength, calm, aggression, fertility, and intelligence characteristics really or figuratively associated with the individual species. But these growths do more than refer back to their source: while we can never see antlers and horns without thinking of the corresponding animal, these take on a new function and aesthetic quality as extensions of the human head. Thus, the size, form, and weight of these antlers do not convey the power and majesty that they would on the head of a deer particularly when only half of a pair appears, or when they grow out of a face instead of the sides of a skull. The horns also permit numerous other associations, such as antennae, feelers, phalluses, or hair. Finally, some can be interpreted as a visualization of thought, Growing out of the brain and taking on the structure of horns or antlers. The image of Fabre provides a familiar constant throughout the series: the viewers attention is thus focused on the growths on the artists head. The eighteen repetitions of Fabres image do not lead to a complex and comprehensive selfportrait our image of Fabre is not supplemented by each new variation. Instead, the individual retreats ever further behind the variety of transformations. We attempt to reconstruct the metamorphoses and allow Fabre the individual to vanish in the group. Although Fabre the copy loses his uniqueness and individuality, we are nonetheless presented with individuals. After identifying the animal and viewing a bust as a whole, we recognize that the numerous horns and antlers have not simply been gathered together, but that the faces convey varying moods: some triumphant joy, others contemplativeness, and others pride or insecurity. These facial expressions invest the busts with an inner life and seem to indicate their reaction to specific outgrowths: they suggest stereotypes of the artist or reflect diverse patterns of thought and behaviour. The scope of individuals is Increased by the fact that the faces can be interpreted on various levels. Some of them seem aware that horns and antlers offer no advantages to humans and Stoically or dejectedly reflect upon their outgrowths. Others seem to see their antlers in a positive light and as useful in the quest for power. We find a proud gaze from beneath nearly unbearable antlers, an image that seems to be aware of its burden, and another that seems lost in self-contemplation. Fabre thus creates a portrait of something fundamentally human and universal. Just as it is in the nature of a stag to develop antlers and to confront his rivals, Fabre asserts that the same is true of humans, particularly men. Here, ideas are developed in the place of antlers. They are his weapons, his means to advance in society and to win a place in the gallery of great men. The various reactions to this drive and to the outgrowths can thus be understood as typically human. Like Elckerlijk (Everyman), of the fifteenth-century Middle Dutch morality play Speygel Der Salicheyt van Elckerlijc, Fabre appears as every one, as everyone, as Everyman as the personification of humanity. Allegorical figures of fundamental human capacities and qualities accompany and collectively embody Elckerlijk. The Chapters similarly represent human behaviour, sentiments, and traits: the busts exhibit arrogance, ambition, and feelings of inferiority as well as prudence, Sensitivity, peacefulness, absorption, ignorance, and self-knowledge. Fabres Everyman is not only driven to achieve new insights, but to create images that communicate a perspective, a reality, or a vision that is uniquely his own. He is the artist, the thinker, and the philosopher. A thought, a form, or a text leads us to elevate him to the circle of the elect. The format of the bust, the realistic depiction, and the collective presentation as in a portrait gallery of noble ancestors or former presidents allow Fabre not only to assert a special claim to respect for his Chapters, but also to situate them in an uncertain space between transience and eternal presence. Busts traditionally serve as personal memorials for the deceased; they are commissioned to commemorate significant private individuals, thinkers, artists, or powerful rulers. Disembodied, no Information can be conveyed by means of gesture: only the face remains as reminder, representative, and presumably as a mirror to the essence of the deceased. The reserved expression and the removal of the body exclude any narrative activity and place the subject in a timeless context. In addition to this memorial function, other busts served to symbolically disseminate a rulers image to distant provinces, where he could not be physically present. Portrait busts are thus directly associated with the idea of presence in absentia even in the case of a living subject2. By creating an image that endures while its transient subject ages, busts also underline a discrepancy that they are intended to overcome3. They simultaneously demonstrate the presence of the absent and imply absence; oscillating between presence and absence, between life and death, they cast their subjects into this uncertain space. This ambivalent relationship of the portrait bust to the image and to our sense of mortality allows Fabre to thematize the fact that death will end life as we know it without his having to illustrate the actual transition between these two states. The execution of the busts in two very different materials exemplifies the key role that the choice of media plays in all Fabres work. Physical traits and iconographical connotations grant the wax and bronze busts distinct expressive possibilities: fragile entities confront icons of individuality. Wax is an impermanent and instable material; when cast from life, it precisely reproduces the surface texture of an object. Whereas other materials become brittle and hard after casting, wax remains malleable. This impermanence makes wax artworks living and fragile artefacts, in constant danger from heat and physical contact. In death masks, wax is used to create a mould from the features of the recently deceased. This moulding technique was used to produce the Chapters: despite the vitality of many of the busts, Fabre is thus associated with a post-mortem context. The fact that the wax busts were cast in the mould created directly from Fabres face and that their surface recalls skins tactile qualities and its reaction to pressure and warmth render them more lifelike. They powerfully embody human transience and vulnerability. The creative process of the Chapters also indicates the fragility and transience of their subjects. Parts of heads were removed to add horns, an impact is marked by a burst brow, and red wax suggests flowing blood: the joining of the wax horns and heads thus takes the form of a destructive act. However, no genuinely sick, injured, or suffering self is ever evoked. The injuries are not depicted as brutal: suffering and pain remain absent. Injury and death appear on a conceptual level, as natural and not necessarily negative aspects of life. In Fabres work as a visual artist, we always recognize his interest in the state of transition between life and death, while the distressful condition of dying and disease is never thematized. Similarly, the busts do not arouse an empathic experience of vulnerability and transience: they are only signs in the sense of a memento mori. unlike wax, bronze is a valuable, long-lasting, and durable alloy of copper and tin; it was among the first metals used by humans and, alongside marble, it is the most traditional sculptural medium. Since ancient times, it has been used to symbolize eternal power and presence in busts and statues. One significant formal difference between the wax and bronze Chapters is that the latter were polished, reducing the precision of their details and giving them their distinct character. Their mirror finish moderates their facial features and expression. The fine details of the wax version melt into a smooth mask. The subdued expression, strongly simplified forms, signal as opposed to illusionistic character, standardized formal vocabulary, and regal impression recast the busts in the role of icons. Fabre not only evokes an atmosphere of veneration, he presents the artist as saviour and healer. Icons are based on a concept of the image that links the portrayed subject so intimately to the image that it is venerated and even expected to offer aid4. The holy power of the subject is present in the image and can operate through it5. Analogously to the bust, the icon marks a moment of transition between worlds or states of being. By establishing a connection between the earthly and the otherworldly, the icon manifestly represents something beyond mortal reality, but it does so without directly visualizing the otherworldly. Fabre uses the bronze Chapters to elevate universal phenomena specifically the urge to create and the diversity and singularity of various character traits to a place of honour and even to assign them a messianic quality. However, the subjects absurdity and the individual and altruistic motives behind the urge to create are also exposed. The importance of creation as a means to become an icon, to not be forgotten and to not vanish completely from the world, becomes particularly clear in conjunction with the transience embodied in the wax versions. Fabre does not assign relative value to contemplativeness, impulsiveness, stubbornness, intellectuality, or hedonism. No bust is named champion, and their efforts are not evaluated. It remains for us to decide whether the busts exhibit a drive to create or, rather, to leave behind a legacy and to excel before their peers. Just as antlers may be seen as a graceful and powerful ornament or structure, but also as an instrument for aggressively gaining power over rivals, the intention behind the creative act remains ambivalent. Are the need to create and animal instincts equally innate? Does the urge to develop the thoughts or art of our cultural ancestors spring from a drive to continue the evolution of the mind just as a deer must pass on its own genes to insure that its species survives? Or is it all an attempt to set oneself apart and to create something new and great, in order to Gain prestige? In any case, as we question the myth of the artist, Fabres Chapters reveal his own motivation as an artist and which conflicts are most important to him. He does not consider the struggle with history, tradition, fellow artists, the market, or the viewer the greatest obstacles to be overcome. By reducing himself to a foil for ideas, by attacking and deforming his own image, and by tirelessly creating bust after bust, Fabre places his struggle with himself above all else. Alongside his Struggle with an idea, Fabre communicates his own search for his place in the world and for answers about the origin, purpose, significance, and external constraints of his creative activity. Translation Michael Wetzel

1. Jan Fabre in an interview at the Daniel Templon Gallery during the exhibition, Les messagers de la Mort dcapits, (19.01.2006). 2. Dieter Brunner, Die Bste nach der Bste: Ein Forschungs- und Ausstellungsprojekt, in Die obere Hlfte: Die Bste seit Auguste Rodin, exhibition catalogue: 3. Stdtische Museen Heilbronn/ Kunsthalle in Emden/ Stiftung Liner Appenzell, ed. By Dieter Brunner and others (Heidelberg, 2005), pp. 8-9 (p. 8). 3. Ibidem. 4. Ikone, in Lexikon der Kunst, ed. By Harald Olbrich (Leipzig, 1991), pp. 387-90 (p. 387). 5. Ikone, in Lexikon der Kunst in zwlf Bnden: Malerei, Architektur, Bildhauerkunst, ed. By Wolf Stadler, (Eggolsheim, 1987) pp. 119-23 (p. 123).

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New Realism
Questo focus sul realismo particolarmente ricco. Il suo nucleo principale costituito dal saggio con cui Umberto Eco ha inaugurato il convegno torinese Nuovo Realismo, una discussione aperta del 5 dicembre scorso raccontando la sua lunga fedelt al realismo e i suoi legittimi interrogativi rispetto al nuovo realismo. Markus Gabriel, Luca Taddio e Jean Petitot rendono conto dei molteplici aspetti del problema, e Raffaella Scarpa propone unanalisi critica dellampia discussione mediatica sul realismo negli ultimi mesi (una versione pi ampia presente on-line). Non voglio mettere altra carne al fuoco, anzi, al focus, e mi limito a tre precisazioni. La prima riguarda laggettivo nuovo nel sintagma nuovo realismo, su cui a giusto titolo si interroga Eco. Perch questo nuovo? Che cosa c di nuovo? Semplicemente questo, che se guardiamo alla filosofia del secolo scorso, lantirealismo di gran lunga prevalente. Si consideri la seguente lista: Davidson, Derrida, Dummett, Feyerabend, Foucault, Gadamer, Kuhn, Putnam (versione intermedia) Rorty, Van Fraassen, Vattimo. Sono undici, una squadra da coppa del mondo, e non uno realista. E lasciando lempireo per venire allambiente filosofico medio, come ricorda Taddio, Alla fine degli anni Ottanta dirsi realista equivaleva a darsi del fesso. Posso assicurare che era cos anche alla fine degli anni Settanta. Dunque mi sembra legittimo puntualizzare, sia pure nella brevit delle formule, che un realismo che viene dopo tanto antirealismo (e di cui non ha dimenticato la lezione, nel bene e nel male) sia un nuovo realismo.

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La seconda riguarda la mia personale posizione, che espongo dettagliatamente nel Manifesto del nuovo realismo in uscita da Laterza il 15 di questo mese. Come ho detto pi volte, con nuovo realismo non indico una qualche mia teoria, ma appunto la presa datto di un cambiamento di clima filosofico. Per quello che mi riguarda, per esempio, non ho una nuova teoria della realt, di cui non mi pare che si senta il bisogno. Semplicemente, mi capitato di affrontare in termini realistici questioni, come la natura della percezione, i rapporti tra essere e conoscenza, le propriet degli oggetti sociali, che nel secolo scorso si affrontavano prevalentemente in termini antirealistici. La terza ha a che fare con il cambiare idea. A me capitato, cos come capitato a tanti pensatori pi insigni di me, nellarco di tanti anni non credo ci sia niente di male. Poi c chi continua a dire che la realt non esiste o che il realismo dogmatico, con una posizione ammirevole nella sua coerenza anche se (almeno ai miei occhi) risente un poco proprio di quel dogmatismo che condanna nel realismo. Quello che pi singolare per latteggiamento di chi sostiene di non essere mai stato antirealista, o che lantirealismo non c mai stato. Dimostrando, in una maniera un po tortuosa, di essere rimasto fedele al suo credo, e cio che non ci sono fatti, solo interpretazioni. Maurizio Ferraris

Ci sono delle cose che non si possono dire


Di un Realismo Negativo
Umberto Eco

o letto in vari siti di internet o in articoli di pagine culturali che sarei coinvolto nel lancio di un Nuovo Realismo, e mi chiedo di che si tratti, o almeno che cosa ci sia di nuovo (per quanto mi riguarda) in posizioni che sostengo almeno dagli anni Sessanta e che avevo esposte poi nel saggio Brevi cenni sullEssere, del 1985. So qualche cosa del Vetero Realismo, anche perch la mia tesi di laurea era su Tommaso dAquino e Tommaso era certamente un Vetero Realista o, come si direbbe oggi, un Realista Esterno: il mondo sta fuori di noi indipendentemente dalla conoscenza che ne possiamo avere. Rispetto a tale mondo Tommaso sosteneva una teoria corrispondentista della verit: noi possiamo conoscere il mondo quale come se la nostra mente fosse uno specchio, per adaequatio rei et intellectus. Non era solo Tommaso a pensarla in tal modo e potremmo divertirci a scoprire, tra i sostenitori di una teoria corrispondentista, persino il Lenin di Materialismo ed empiriocriticismo per arrivare alle forme pi radicalmente tarskiane di una semantica dei valori di verit. In opposizione al Vetero Realismo abbiamo poi visto una serie di posizioni per cui la conoscenza non funziona pi a specchio bens per collaborazione tra soggetto conoscente e spunto di conoscenza con varie accentuazioni del ruolo delluno o dellaltro polo di questa dialettica, dallidealismo magico al relativismo (bench questultimo termine sia stato oggi talmente inflazionato in senso negativo che tenderei a espungerlo dal lessico filosofico), e in ogni caso basate sul principio che nella costruzione delloggetto di conoscenza, leventuale Cosa in S viene sempre attinta solo per via indiretta. E intanto si delineavano forme di Realismo Temperato, dallOlismo al Realismo Interno almeno sino a che Putnam non aveva ancora una volta cambiato idea su questi argomenti. Ma, arrivato a questo punto, non vedo come possa articolarsi un cosiddetto Nuovo Realismo, che non rischi di rappresentare un ritorno al Vetero. Nel convocarci oggi qui, ieri a New York, domani a Bonn e poi chiss dove a discutere di queste cose, Maurizio Ferraris ha fissato dei confini alla nostra discussione. Il Nuovo Realismo sarebbe un modo di reagire alla filosofia del postmodernismo. Ma qui nasce il problema di cosa si voglia intendere per postmodernismo, visto che questo termine viene usato equivocamente in tre casi che hanno pochissimo in comune. Il termine nasce, credo a opera di Charles Jenks, nellambito delle teorie dellarchitettura, dove il postmoderno costituisce una reazione al modernismo e al razionalismo architettonico, e un invito a rivisitare le forme architettoniche del passato con leg-

gerezza e ironia (e con una nuova prevalenza del decorativo sul funzionale). Lelemento ironico accomuna il postmodernismo architettonico a quello letterario, almeno come era stato teorizzato negli anni Settanta da alcuni narratori o critici americani come John Barth, Donald Barthelme e Leslie Fiedler. Il moderno ci apparirebbe come il momento a cui si perviene alla crisi descritta da Nietzsche nella Seconda Inattuale, sul danno degli studi storici. Il passato ci condiziona, ci sta addosso, ci ricatta. Lavanguardia storica (come modello di Modernismo) aveva cercato di regolare i conti con il passato. Al grido di Abbasso il chiaro di luna aveva distrutto il passato, lo aveva sfigurato: le Demoiselles dAvignon erano state il gesto tipico dellavanguardia. Poi lavanguardia era andata oltre, dopo aver distrutto la figura laveva annullata, era arrivata allastratto, allinformale, alla tela bianca, alla tela lacerata, alla tela bruciata, in architettura alla condizione minima del curtain wall, alledificio come stele, parallepipedo puro, in letteratura alla distruzione del flusso del discorso, sino al collage e infine alla pagina bianca, in musica al passaggio dallatonalit al rumore, prima, e al silenzio assoluto poi. Ma era arrivato il momento in cui il moderno non poteva andare oltre, perch si era ridotto al metalinguaggio che parlava dei suoi testi impossibili (larte concettuale). La risposta postmoderna al moderno consistita nel riconoscere che il passato, visto che la sua distruzione portava al silenzio, doveva essere rivisitato: con ironia, in modo non innocente. Se il postmoderno questo, chiaro perch Sterne o Rabelais fossero postmoderni, perch lo certamente Borges, perch in uno stesso artista possano convivere, o seguirsi a breve distanza, o alternarsi, il momento moderno e quello postmoderno. Si veda cosa accade con Joyce. Il Portrait la storia di un tentativo moderno. I Dubliners, anche se vengono prima, sono pi moderni del Portrait. Ulysses sta al limite. Finnegans Wake gi postmoderno, o almeno apre il discorso postmoderno, richiede, per essere compreso, non la negazione del gi detto, ma la sua citazione ininterrotta. Ma se questo stato il postmodernismo in architettura, arte e letteratura, che cosa aveva o ha in comune col postmodernismo filosofico, almeno quale lo si fa nascere con Lyotard? Certamente, teorizzando la fine delle grandi narrazioni e di un concetto trascendentale di verit, si riconosce linizio di epoca del disincanto e nel celebrare la perdita della totalit e dando il benvenuto al molteplice, al frammentato, al polimorfo, allinstabile, il postmodernismo filosofico mostra alcune connessioni con lironia metanarrativa o con la rinuncia dellarchitettura a prescrivere modi di vita razionali. Ma queste analogie, questa comunit di clima 23

culturale, non sembrano aver alcuna connessione diretta con la questione del realismo, perch si pu essere polimorfi e disincantati, rinunciare ai grandi racconti per coltivare saperi locali, senza per questo mettere in dubbio un rapporto quasi vetero-realistico con le cose di cui si parla. Caso mai verrebbe messo in dubbio il sapere degli universali, non la credenza anche fortissima nella persistenza dei particolari e nella nostra capacit di conoscerli per quel che sono (e in tal senso sarei tentato di ascrivere a una temperie postmoderna anche la teoria kripkiana della designazione rigida e infine ricordiamo che il passaggio da Tommaso a Ockham, se sancisce la rinuncia agli universali, non mette in crisi i concetti di realt e di verit).

uello che piuttosto emerge (nel cosiddetto postmodernismo filosofico), passando attraverso la decostruzione (sia quella di Derrida sia quella doltre oceano, che solo un articolo prodotto dallindustria accademica americana su licenza francese) e le forme del pensiero debole, un tratto molto riconoscibile (su cui in effetti si accentra la polemica di Ferraris), e cio il primato ermeneutico dellinterpretazione, ovvero lo slogan per cui non esistono fatti ma solo interpretazioni. A questa curiosa eresia avevo da gran tempo reagito, a tal segno che a una serie di miei studi degli anni Ottanta avevo dato nel 1990 il titolo I limiti dellinterpretazione, partendo dallovvio principio che, perch ci sia interpretazione ci deve essere qualcosa da interpretare e se pure ogni interpretazione non fosse altro che linterpretazione di una interpretazione precedente, ogni interpretazione precedente assumerebbe, dal momento in cui viene identificata e offerta a una nuova interpretazione, la natura di un fatto e che in ogni caso il regressum ad infinitum dovrebbe a un certo punto arrestarsi a ci da cui era partito e che Peirce chiamava lOggetto Dinamico. Ovvero ritenevo che, quandanche conoscessimo I promessi sposi solo attraverso linterpretazione che ne dava Moravia nelledizione Einaudi, quando avessimo dovuto interpretare linterpretazione di Moravia avremmo avuto davanti a noi un fatto innegabile, il testo di Moravia, punto ineliminabile di riferimento per chiunque avesse voluto, sia pure liberissimamente, interpretarlo, e dunque fatto intersoggettivamente verificabile. vero che quando si cita lo slogan per cui non esistono fatti ma solo interpretazioni anche il pi assatanato tra i post modernisti pronto ad asserire che lui o lei non hanno mai negato la presenza fisica non solo delledizione Einaudi dei Promessi sposi, ma anche del tavolo a cui sto parlando. Il postmodernista dir semplicemente che questo tavolo diventa oggetto di conoscenza e di discorso solo se lo si interpreta come supporto

per unoperazione chirurgica, come tavolo da cucina, come cattedra, come oggetto ligneo a quattro gambe, come insieme di atomi, come forma geometrica imposta a una materia informe, persino come tavola galleggiante per salvarmi durante un naufragio. Sono sicuro che anche il postmodernista a tempo pieno la pensi cos, salvo che quello che stenta ad ammettere che non pu usare questo tavolo come veicolo per viaggiare a pedali tra Torino e Agognate lungo lautostrada per Milano. Eppure questa forte limitazione alle interpretazioni possibili del tavolo era prevista dal suo costruttore, che seguiva il progetto di qualcosa interpretabile in molti modi ma non in tutti. Largomento, che non paradossale, bens di assoluto buon senso, dipende dal problema delle cosiddette affordances teorizzate da Gibson (e che Luis Prieto avrebbe chiamato pertinenze), ovvero dalle propriet che un oggetto esibisce e che lo rendono pi adatto a un uso piuttosto che a un altro. Ricorder un mio dibattito con Rorty, svoltosi a Cambridge nel 1990, a proposito dellesistenza o meno di criteri dinterpretazione testuali. Richard Rorty allargando il discorso dai testi ai criteri dinterpretazione delle cose che stanno nel mondo ricordava che noi possiamo certo interpretare un cacciavite come strumento per avvitare le viti ma che sarebbe altrettanto legittimo vederlo e usarlo come strumento per aprire un pacco. Nel dibattito orale Rorty alludeva al diritto che avremmo dinterpretare un cacciavite anche come qualcosa di utile per grattarci un orecchio. Nellintervento poi consegnato da Rorty alleditore lallusione alla grattata dorecchio era scomparsa, perch evidentemente Rorty laveva intesa come semplice boutade, inserita a braccio durante lintervento orale. Possiamo astenerci dallattribuirgli questo esempio non pi documentato ma, visto che se non lui qualcun altro ha usato argomenti consimili, posso ricordare la mia controobiezione di allora, basata proprio sulla nozione di affordance. Un cacciavite pu servire anche per aprire un pacco (visto che strumento con una punta tagliente, facilmente manovrabile per far forza contro qualcosa di resistente); ma non consigliabile per frugarsi dentro lorecchio, perch appunto tagliente, e troppo lungo perch la mano possa controllarne lazione per una operazione cos delicata; per cui sar meglio usare un bastoncino leggero che rechi in cima un batuffolo di cotone. C dunque qualcosa sia nella conformazione del mio corpo che in quella del cacciavite che non mi permette di interpretare questultimo a capriccio. Rorty aveva rinunciato allargomento dellorecchio, ma che dire di tanto decostruzionismo che rivisita lantico detto di Valery per cui il ny a pas de vrai sens dun texte e di Stanley Fish che nel

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suo There a Text in This Class? Consentiva alla libera interpretazione di ogni testo? Che non vi siano fatti ma solo interpretazioni viene attribuito a Nietzsche e credo che persino Nietzsche ritenesse che il cavallo che aveva baciato non lontano da qui esistesse come fatto prima che lui decidesse di farlo oggetto dei suoi eccessi affettivi. Per ciascuno deve assumersi le proprie responsabilit, e queste responsabilit emergono chiaramente in quel testo che Su verit e menzogna in senso extra-morale. Qui Nietzsche dice che, poich la natura ha gettato via la chiave, lintelletto gioca su finzioni che chiama verit, o sistema dei concetti, basato sulla legislazione del linguaggio. Noi crediamo di parlare di (e conoscere) alberi, colori, neve e fiori, ma sono metafore che non corrispondono alle essenze originarie. Ogni parola diventa concetto sbiadendo nella sua pallida universalit le differenze tra cose fondamentalmente disuguali: cos pensiamo che a fronte della molteplicit delle foglie individuale esista una foglia primordiale sul modello della quale sarebbero tessute, disegnate, circoscritte, colorate, increspate, dipinte ma da mani maldestre tutte le foglie, in modo tale che nessun esemplare risulterebbe corretto e attendibile in quanto copia fedele della forma originale. Luccello o linsetto percepiscono il mondo in un modo diverso dal nostro, e non ha senso dire quale delle percezioni sia la pi giusta, perch occorrerebbe quel criterio di percezione esatta che non esiste, perch la natura non conosce invece nessuna forma e nessun concetto, e quindi neppure alcun genere, ma soltanto una x, per noi inattingibile e indefinibile. Dunque un kantismo, ma senza fondazione trascendentale. A questo punto per Nietzsche la verit solo un mobile esercito di metafore, metonimie, antropomorfismi elaborati poeticamente, e che poi si sono irrigiditi in sapere, illusioni di cui si dimenticata la natura illusoria, monete la cui immagine si consumata e che vengono prese in considerazione solo come metallo, cos che ci abituiamo a mentire secondo convenzione, avendo sminuito le metafore in schemi e concetti. E di l un ordine piramidale di caste e gradi, leggi e delimitazioni, interamente costruito dal linguaggio, un immenso colombaio romano, cimitero delle intuizioni. Che questo sia un ottimo ritratto di come ledificio del linguaggio irreggimenti il paesaggio degli enti, o forse un essere che rifiuta a essere irrigidito in sistemi categoriali, innegabile. Ma rimangono assenti, anche dai brani che seguono, due domande: se adeguandoci alle costrizioni di questo colombaio si riesce in qualche modo a fare i conti col mondo, per esempio decidendo che avendo la febbre pi opportuno assumere aspirina che cocaina (che non sarebbe osservazione da nulla); e se non avvenga che ogni tanto il mondo ci costringa a ristrutturare il colombaio, o addirittura a sceglierne una forma alternativa (che poi il problema della rivoluzione dei paradigmi conoscitivi). Nietzsche non sembra chiedersi se e perch e da dove un qualche giudizio fattuale possa intervenire a mettere in crisi il sistema-colombaio. Ovvero, a dir la verit, egli avverte lesistenza di costrizioni naturali e conosce un modo del cambiamento. Le costrizioni gli appaiono come forze terribili che premono continuamente su di noi, contrapponendo alle verit scientifiche altre verit di natura diversa; ma evidentemente rifiuta di riconoscerle concettualizzandole a loro volta, visto che stato per sfuggire a esse che ci siamo costruiti, quale difesa, larmatura concettuale. Il cambiamento possibile, ma non come ristrutturazione, bens come rivoluzione poetica permanente. Se ciascuno di noi, per s, avesse una differente sensazione, se noi stessi potessimo percepire ora come uccelli, ora come vermi, ora come piante, oppure se uno di noi vedesse il medesimo stimolo come rosso e un altro lo vedesse come azzurro, se un terzo udisse addirittura tale stimolo come suono, nessuno potrebbe allora parlare di una tale regolarit della natura. Bella coincidenza, queste righe vengono scritte due anni dopo che Rimbaud, nella lettera a Demeny, aveva proclamato che le Pote se fait voyant par un long, immense et raisonn drglement de tous les sens, e nello stesso periodo vedeva A noir, corset velu de mouches clatantes e O suprme Clairon plein des strideurs tranges. Cos infatti per Nietzsche larte (e con essa il mito) confonde continuamente le rubriche e gli scomparti dei concetti, presentando nuove trasposizioni, metafore, metonimie; continuamente svela il desiderio di dare al mondo sussistente delluomo desto una figura cos variopinta, irregolare, priva di conseguenze, incoerente, eccitante ed eternamente nuova, quale data dal mondo del sogno. Un sogno fatto di alberi che nascondono ninfe, e di di in forma di toro che trascinano vergini. Ma qui manca la decisione finale. O si accetta che quello che ci attornia, e il modo in cui abbiamo cercato di ordinarlo, sia invivibile, e lo si rifiuta, scegliendo il sogno come fuga dalla realt

(e si cita Pascal, per cui basterebbe sognare davvero tutte le notti di essere re, per essere felice ma Nietzsche stesso ad ammettere che si tratterebbe dinganno, anche se supremamente giocondo), oppure, ed quello che la posterit nicciana ha accolto come vera lezione, larte pu dire quello che dice perch lessere stesso, nella sua languida debolezza e generosit, che accetta anche questa definizione, e gode nel vedersi visto come mutevole, sognatore, estenuatamente vigoroso e vittoriosamente debole. Per, nello stesso tempo, non pi come pienezza, presenza, fondamento, ma pensato invece come frattura, assenza di fondamento, in definitiva travaglio e dolore (e cito Vattimo, Le avventure della differenza, p. 84). Lessere allora pu essere parlato solo in quanto in declino, non simpone ma si dilegua. Siamo allora a una ontologia retta da categorie deboli (Vattimo p. 9). Lannuncio nicciano della morte di Dio altro non sar che laffermazione della fine della struttura stabile dellessere (introduzione al Pensiero debole, p. 21) Lessere si dar solo come sospensione e come sottrarsi (Vattimo Oltre linterpretazione, p. 18).

n altre parole: una volta accettato il principio che dellessere si parla solo in molti modi, che cosa che ci impedisce di credere che tutte le prospettive siano buone, e che quindi non solo lessere ci appaia come effetto di linguaggio ma sia radicalmente e altro non sia che effetto di linguaggio, e proprio di quella forma di linguaggio che si pu concedere i maggiori sregolamenti, il linguaggio del mito o della poesia? Lessere allora, oltre che (come ha detto una volta Vattimo con efficace piemontesismo) camolato, malleabile, debole, sarebbe puro flatus vocis. A questo punto esso sarebbe davvero opera dei Poeti, intesi come fantasticatori, mentitori, imitatori del nulla, capaci di porre irresponsabilmente una cervice equina su un corpo umano, e far dogni ente una Chimera. Decisione per nulla confortante, visto che, una volta regolati i conti con lessere ci ritroveremmo a doverli fare con il soggetto che emette questo flatus vocis (che poi il limite di ogni idealismo magico). Qual lo statuto ontologico di colui che dice che non vi alcun statuto ontologico? Non solo. Se principio ermeneutico che non ci siano fatti ma solo interpretazioni, questo non esclude che ci possano essere per caso interpretazioni cattive. Dire che non c figura vincente del poker che non sia costruita da una scelta del giocatore (magari incoraggiata dal caso) non signi-

fica dire che ogni figura proposta dal giocatore sia vincente. Basterebbe che al mio tris dassi laltro opponesse una scala reale, e la mia scommessa si sarebbe dimostrata fallace. Ci sono nella nostra partita con lessere dei momenti in cui Qualcosa risponde con una scala reale al nostro tris dassi? Tornando al cacciavite di Rorty si noti che la mia obiezione non escludeva che un cacciavite possa permettermi infinite altre operazioni: per esempio potrei utilmente usarlo per uccidere o sfregiare qualcuno, per forzare una serratura o per fare un buco in pi in una fetta di groviera. Quello che sconsigliabile farne usarlo per grattarmi lorecchio. Per non dire (il che sembra ovvio ma non ) che non posso usarlo come bicchiere perch non contiene cavit che possano ospitare del liquido. Il cacciavite risponde di S a molte delle mie interpretazioni ma a molte e almeno a una risponde di NO. Riflettiamo su questo NO, che sta alla base di quello che chiamer il mio Realismo Negativo. Il vero problema di ogni argomentazione decostruttiva del concetto classico di verit non di dimostrare che il paradigma in base al quale ragioniamo potrebbe essere fallace. Su questo pare che siano daccordo tutti, ormai. Il mondo quale ce lo rappresentiamo certamente un effetto dinterpretazione, e sino a ieri lo interpretavamo come se i neutrini viaggiassero anchessi alla velocit della luce e forse domani dovremo deciderci a cambiare idea mettendo in crisi una presunta costante universale. Il problema piuttosto quali siano le garanzie che ci autorizzano a tentare un nuovo paradigma che gli altri non debbano riconoscere come delirio, pura immaginazione dellimpossibile. Quale il criterio che ci permette di distinguere tra sogno, invenzione poetica, trip da acido lisergico (perch esistono pure persone che dopo averlo assunto si gettano dalla finestra convinti di volare, e si spiaccicano al suolo e badiamo, contro i propri propositi e speranze), e affermazioni accettabili sulle cose del mondo fisico o storico che ci circonda? Poniamo pure, con Vattimo (Oltre linterpretazione, p. 100) una differenza tra epistemologia, che la costruzione di corpi di sapere rigorosi e la soluzione di problemi alla luce di paradigmi che dettano le regole la verifica delle proposizioni (e ci sembra corrispondere al ritratto che Nietzsche d delluniverso concettuale di una data cultura) e ermeneutica come lattivit che si dispiega nellincontro con orizzonti paradigmatici diversi, che non si lasciano valutare in base a una qualche con-

Jan Fabre, Art Kept Me Out of Jail, (Homage to Jacques Mesrine), drawings, The Escape of the Artist, photo Pat Verbruggen copyright Angelos

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formit (a regole o, da ultimo, alla cosa), ma si danno come proposte poetiche di mondi altri, di istituzione di regole nuove. Quale regola nuova la Comunit deve preferire, e quale altra condannare come follia? Vi sono pur sempre, e sempre ancora, coloro che vogliono dimostrare che la terra quadra, o che viviamo non allesterno bens allinterno della sua crosta, o che le statue piangono, o che si possono flettere forchette per televisione, o che la scimmia discende dalluomo e a essere flessibilmente onesti e non dogmatici bisogna pure trovare un criterio pubblico onde giudicare se le loro idee siano in qualche modo accettabili. Di l lidea di un Realismo Negativo che si potrebbe riassumere, sia parlando di testi che di aspetti del mondo, nella formula: ogni ipotesi interpretativa sempre rivedibile (e come voleva Peirce sempre esposta al rischio del fallibilismo) ma, se non si pu mai dire definitivamente se una interpretazione sia giusta, si pu sempre dire quando sbagliata. Ci sono interpretazioni che loggetto da interpretare non ammette. Poniamo che su quel muro sia dipinto uno splendido trompe loeil che rappresenta una porta aperta. Posso interpretarlo come trompe loeil che intende ingannarmi, come porta vera (e aperta), come rappresentazione con finalit estetiche di una porta aperta, come simbolo di ogni Varco a un Altrove, e cos via, forse allinfinito. Ma se linterpeto come vera porta aperta e cerco attraversarla, batto il naso contro il muro. Il mio naso ferito mi dice che il fatto che cercavo di interpretare si ribellato alla mia interpretazione. Certamente la nostra rappresentazione del mondo prospettica, legata al modo in cui siamo biologicamente, etnicamente, psicologicamente e culturalmente radicati cos da non ritenere mai che le nostre risposte, anche quando appaiono tutto sommato buone, debbano essere ritenute definitive. Ma questo frammentarsi delle interpretazioni possibili non vuole dire che anything goes. In altre parole: esiste uno zoccolo duro dellessere, tale che alcune cose che diciamo su di esso e per esso non possano e non debbano essere prese per buone. Chi ha mai detto che i fatti che interpreto possano pormi dei Limiti? Come posso fondare il concetto di Limite? Questo potrebbe essere un semplice postulato dellinterpretazione, perch se assumessimo che delle cose si pu dire tutto non avrebbe pi senso lavventura della loro interrogazione continua. A questo punto anche il pi radicale dei relativisti potrebbe decidere di assumere linterpretazione del pi radicale dei realisti vecchio stampo, visto che ogni interpretazione vale laltra. Noi abbiamo invece la fondamentale esperienza di un Limite di fronte al quale il nostro linguaggio sfuma nel silenzio: lesperienza della Morte. Siccome mi avvicino al mondo sapendo che almeno un limite c, non posso che proseguire la mia interrogazione per vedere se, per caso, di limiti non ce ne siano altri ancora. Ci che voglio dire ora si ispira a una teoria non metafisica ma semiotico-linguistica, quella di Hjelmslev. Noi usiamo segni come espressioni per esprimere un contenuto, e questo contenuto viene ritagliato e organizzato in forme diverse da culture (e lingue) diverse. Su che cosa viene ritagliato? Su una pasta amorfa, amorfa prima che il linguaggio vi abbia operato le sue vivisezioni, che chiameremo il continuum del contenuto, tutto lesperibile, il dicibile, il pensabile se volete, lorizzonte infinito di ci che , stato e sar, sia per necessit che per contingenza. Chiamiamolo pure essere o Mondo, come ci che presiede ogni costruzione e donazione di forma operata dal linguaggio. Parrebbe che, prima che una cultura non labbia linguisticamente organizzato in forma del contenuto, questo continuum sia tutto e nulla, e sfugga quindi a ogni determinazione. E in tal senso Hjelmslev non avrebbe detto nulla di diverso da Nietzsche. Tuttavia ha sempre imbarazzato studiosi e traduttori il fatto che Hjelmslev chiamasse il continuo, in danese, mening, che inevitabile tradurre con senso (ma non necessariamente nel senso di significato bens nel senso di direzione, nello stesso senso in cui in una citt esistono sensi permessi e sensi vietati). Che cosa significa che ci sia del senso, prima di ogni articolazione sensata operata dalle conoscen-

Nuovo Realismo come Nuova Decostruzione


Markus Gabriel

l nuovo Realismo la nuova decostruzione: distrugge lidea che tutto sia una costruzione, quindi decostruisce e lo fa perch preferisce la verit allillusione, alla fantasia di massa e alla bugia. Il fatto che possiamo interpretare ogni situazione o persino realt in modo differente stato inteso come il fatto che non c alcuna realt. Naturalmente, questa una fallacia, dannosa tanto nella teoria quanto nella pratica. Certo, a volte siamo persi nellinterpretazione, ma anche in questi casi vero che siamo persi nellinterpretazione. Un fatto qualcosa che vero di qualcosa. vero della Sicilia che appartiene allItalia ed vero della terra che gira attorno al sole, cos come vero di Picasso che un pittore migliore di Braque, o almeno che dipinge meglio di me. Se ignoriamo i fatti, non possiamo nemmeno dire che li interpretiamo in modo diverso, perch le interpretazioni sono sempre interpretazioni di qualcosa e, se sono vere, sono esse stesse dei fatti. Persino le false interpretazioni appartengono al dominio dei fatti, poich di loro vero che sono false. Quindi, un fatto che molte persone credono che non ci siano fatti ma solo interpretazioni, anche se ci che credono falso. Dunque, tempo di tornare alla realt dopo la rivoluzione di Kant, che si diceva copernicana ma stata tolemaica, perch ha fatto girare luniverso attorno a noi. Noi non siamo i creatori dello spazio e del tempo, n di tutti i fatti. Le buone intenzioni non sono la stessa cosa della verit. Il nuovo realismo non nega che gente diversa possa vedere cose in modo diverso e che talvolta due o pi interpretazioni di una stessa situazione possano risultare tutte vere, ma nega che tutti i fatti siano interpretazioni. Inoltre, nega che i nostri pensieri abbiano sempre a che

fare con distorsioni ideologiche. I pensieri veri riguardano le cose in se stesse. Difatti, qualsiasi forma di costruttivismo globale assurdo: anche quelli che lo credono hanno corpi composti da organi, hanno genitori biologici, vivono in citt, che a loro volta sono localizzate da qualche parte sulla terra e cos via. Questi fatti sono cose in se stesse, strutture, e sono ci che sono in maniera indipendente dalle nostre opinioni al riguardo, anche se possiamo cambiarli con laiuto della tecnologia. Il costruttivismo di stampo nietzschiano tende a obiettare riecheggiando un vecchio detto del sofista Gorgia: Beh, anche se ci fossero quei fatti di cui il tuo nuovo realismo parla, non potremo comunque comprenderli. Tutto ci che possiamo comprendere sono distorsioni ideologiche, espressioni di potere. L obiezione che Vattimo ha sollevato contro la felice accettazione della realt del nuovo realismo si basa su presupposti analoghi. Vattimo preferisce sapere chi pretende di conoscere qualcosa piuttosto che sapere se la loro pretesa sia vera. Ma, naturalmente, non chiaro a cosa porti tale insistenza, visto che si spera almeno Vattimo vuole sapere qualcosa di vero, a esempio che Ferraris e io affermiamo di sapere che la realt in larga misura indipendente dallideologia e che lideologia pu dunque essere soggetta a una critica radicale e a una analisi scientifica. Vattimo sembrerebbe accettare che sia semplicemente vero che Ferraris non crede che la realt non sia altro che interpretazione. O questa solo uninterpretazione di Vattimo, il cui valore di verit non che unespressione della sua volont di potenza? La battaglia riguarda il potere o la verit? E se combattiamo per il potere, vero, o stiamo combattendo per il potere di combattere per il potere?

eliminerebbe il fatto che noi le incontriamo. Esiste uno Zoccolo Duro persino nel Dio delle religioni rivelate, dove Dio prescrive dei limiti persino a se stesso. C una bella Quaestio Quodlibetalis di San Tommaso in cui il filosofo chiede utrum Deus possit reparare virginis ruinam e cio se Dio possa riparare al fatto che una vergine abbia perso la propria verginit. La risposta di San Tommaso chiara: se la domanda riguarda questioni spirituali, Dio pu certamente riparare al peccato commesso e restituire alla peccatrice lo stato di grazia; se riguarda questioni fisiche, Dio pu con un miracolo ricostituire lintegrit fisica della fanciulla; ma se la questione logica e cosmologica, ebbene, neppure Dio pu fare che ci che stato non sia stato. Lascio da decidere se questa necessit sia stata posta liberamente da Dio o faccia parte della stessa natura divina. In ogni caso, dal momento che c, anche Dio ne limitato. Credo che ci siano dei rapporti tra questo mio modestissimo Realismo Negativo (per cui avvertiamo qualcosa fuori di noi e dalle nostre interpretazioni solo quando riceviamo un diniego) e lidea popperiana per cui lunica prova a cui possiamo sottoporre alle nostre teorie scientifiche quella della loro falsificabilit. Non sapremo mai definitivamente se una interpretazione giusta ma sappiamo con certezza quando non tiene. Credo di essermi attenuto a questo principio di realismo negativo sin da quando, allinizio degli anni Sessanta, nel sostenere lindispensabile collaborazione del fruitore a ogni testo artistico, intitolavo il mio libro Opera aperta. Questo apparente ossimoro mirava a sostenere che lapertura, potenzialmente infinita, si misurava di fronte allesistenza concreta dellopera da interpretare. Che era poi da parte mia una ripresa dellidea pareysoniana che linterpretazione si articola sempre in una dialettica di iniziativa dellinterprete e fedelt alla forma da interpretare. Infinite sono le interpretazioni possibili del Finnegans Wake ma neppure il pi selvaggio tra i decostruzionisti pu dire che esso racconta la storia di una contessa russa che si uccide gettandosi sotto il treno.

za umana? Hjelmslev lascia a un certo momento capire che per senso intende il fatto che espressioni diverse in lingue diverse come piove, il pleut, it rains, si riferiscano tutte allo stesso fenomeno. Come a dire che nel magma del continuo ci sono delle linee di resistenza e delle possibilit di flusso, come delle nervature del legno o del marmo che rendano pi agevole tagliare in una direzione piuttosto che nellaltra. come per il bue o il vitello: in civilt diverse viene tagliato in modi diversi, per cui la sirloin steak americana non corrisponde a nessuna bistecca nostrana. Eppure sarebbe molto difficile concepire un taglio che offrisse nello stesso momento lestremit del muso e la coda. Se il continuum ha delle linee di tendenza, per impreviste e misteriose che siano, non si pu dire tutto quello che si vuole. Il mondo pu non avere un senso, ma ha dei sensi; forse non dei sensi obbligati, ma certo dei sensi vietati. Ci sono delle cose che non si possono dire. Non importa che queste cose siano state dette un tempo. In seguito abbiamo per cos dire sbattuto la testa contro qualche evidenza che ci ha convinto che non si poteva pi dire quello che si era detto prima. Naturalmente ci sono dei gradi di costrizione. Si prendano due esempi, la confutazione del sistema tolemaico e quella dellesistenza della Terra Australis Incognita come una immensa calotta fertilissima che avrebbe avvolto lemisfero sud del pianeta. Quando vigevano le due ipotesi, ora confutate, il mondo noto permetteva di essere spiegato in modo verosimile e ragionevole: la teoria tolemaica per secoli ha dato ragione di moltissimi fenomeni, e la persuasione dellesistenza di una terra australe ha incoraggiato innumerevoli viaggi di scoperta, che di quella terra avevano persino toccato le presunte propaggini. Poi si scoperto che il sistema copernicano (con le varie correzioni apportatevi sino a Keplero) spiegava meglio i fenomeni celesti, e che la Terra Australe in quanto calotta globale non esiste. Potremmo persino pensare che un giorno anche se per ora la teoria eliocentrica risponde a pi quesiti e ci permette pi previsioni di quanto non potesse la teoria geocentrica emerga un sistema pi esplicativo che met25

te in crisi entrambe le teorie. Ma per ora noi dobbiamo scommettere sul sistema di Keplero, come se fosse vero, e non possiamo usare pi la teoria geocentrica. Quanto alla Terra Australe, nella misura in cui dobbiamo prestar fede ai dati di una esperienza provata da migliaia di testimoni e da misurazioni scientifiche, pare assolutamente impossibile affermare che esiste un continente che copre a calotta lemisfero sud del pianeta, a meno che non decidiamo di definire come Terra Australis lAntartide (ma si tratterebbe di un puro gioco sui nomi). Ci sono delle cose che non si possono dire. Ci sono dei momenti in cui il mondo, di fronte alle nostre interpretazioni, ci dice NO. Questo NO la cosa pi vicina che si possa trovare, prima di ogni Filosofia Prima o Teologia, alla idea di Dio o di Legge. Certamente un Dio che si presenta (se e quando si presenta) come pura Negativit, puro Limite, pura interdizione.

qui debbo fare una precisazione, perch mi rendo conto che la metafora dello zoccolo duro pu fare pensare che esista un nocciolo definitivo che un giorno o laltro la scienza o la filosofia metteranno a nudo; e nello stesso tempo la metafora pu fare pensare che questo zoccolo, questi limiti di cui ho parlato, siano quelli che corrispondono alle leggi naturali. Vorrei chiarire (anche a costo di ripiombare nello sconforto gli ascoltatori che per un attimo avevano creduto di ritrovare una idea consolatoria della Realt) che la mia metafora allude a qualcosa che sta ancora al di qua delle leggi naturali, che persisterebbe anche se le leggi newtoniane si rivelassero un giorno sbagliate e anzi sarebbe proprio quel qualcosa che obbligherebbe la scienza a rivedere persino lidea di leggi che parevano definitivamente adeguare la natura delluniverso. Quello che voglio dire che noi elaboriamo leggi proprio come risposta a questa scoperta di limiti, che cosa siano questi limiti non sappiamo dire con certezza, se non appunto che sono dei gesti di rifiuto, della negazioni che ogni tanto incontriamo. Potremmo persino pensare che il mondo sia capriccioso, e cambi queste sue linee di tendenza ogni giorno o ogni milione di anni. Ci non

otrei tradurre questa mia idea di Realismo Negativo in termini peirceani. Ogni nostra interpretazione sollecitata da un Oggetto Dinamico che noi conosceremo sempre e solo attraverso una serie di Oggetti Immediati (lOggetto Immediato essendo gi un segno, che pu essere chiarito solo da una serie successiva di Interpretanti, ciascun interpretante successivo spiegando sotto un certo profilo il precedente, in un processo di semiosi illimitata). Ma nel corso di questo processo produciamo degli Abiti, delle forme di comportamento, che ci portano ad agire sullOggetto Dinamico da cui eravamo partiti e a modificare la Cosa in S da cui eravamo partiti, offrendo un nuovo stimolo al processo della semiosi. Questi abiti possono avere o meno successo, ma quando non lottengono il principio del fallibilismo deve portarci a ritenere che alcune delle nostre interpretazioni non erano adeguate. sufficiente intrattenere questa idea minimale di realismo, che coincide benissimo col fatto che conosciamo i fatti solo attraverso il modo in cui li interpretiamo? Una volta Searle aveva detto che realismo significa che siamo convinti che le cose vadano in un certo modo, che forse non riusciremo mai a decidere in che modo vadano, ma che siamo sicuri che esse vadano in un certo qual modo anche se non sapremo mai quale. E questo ci basta per credere (e qui Peirce viene in soccorso a Searle) che in the long run, alla fin fine, sia pure sempre parzialmente noi possiamo portare avanti la torcia della verit. La forma modesta del Realismo Negativo non ci garantisce che noi possiamo domani possedere la verit, ovvero sapere definitivamente what is the case, ma ci incoraggia a cercare ci che in qualche modo sta davanti a noi; e la nostra consolazione di fronte a ci che altrimenti ci parrebbe per sempre inafferrabile consiste nel fatto che noi possiamo sempre dire, anche ora, che alcune delle nostre idee sono sbagliate perch certamente ci che avevamo asserito non era il caso.

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Osservazioni sul Nuovo Realismo


Verit come sistema di riferimento
Luca Taddio

l pay-off di una collezione di quaderni alla moda recita: Facts are the enemy of truth, citazione di Cervantes oggetto di un brand management azzeccato. Si tratta di quaderni bianchi di diverso formato adatti a qualunque tasca. Frasi a effetto utili a vendere un prodotto, fin qui nulla di nuovo. Non so se il 2011 sar ricordato per la morte del postmoderno e per la nascita del new realism, che certamente stato, a torto o a ragione, il tema pi dibattuto degli ultimi tempi. Il dibattito avviato da Maurizio Ferraris andato oltre ogni aspettativa: la fortuna di un evento mediatico nasce anche per caso, diversamente avremmo in mano la formula del successo. Dovuto al caso fu anche limprevedibile successo che, a suo tempo, ebbe il libro Il pensiero debole. Due eventi destinati a intrecciarsi. Il nuovo realismo muove una forte critica al pensiero debole, che in parte anche una forte autocritica, visto che la figura di Ferraris in entrambi recita da protagonista. Al centro della discussione troviamo il tema della verit o, meglio, il presunto relativismo di ogni verit. Tema che definire nuovo parrebbe azzardato. Infatti, linizio stesso della filosofia coincide con laffermazione di qualcosa di assolutamente stabile, in grado di sottrarsi alla potenza annichilatrice del divenire delle cose. Cos, almeno, alcuni ci raccontano la storia della filosofia. Se il concetto di episteme che emerge nella grecit classica si caratterizzato per lassoluta stabilit del tempo, la sua antecedenza rispetto alla temporalit dellessere stata interpretata come il tentativo da parte della tradizione metafisica occidentale di porre la verit al riparo dal divenire. Lincondizionata affermazione della verit riflette la potenza salvifica del divino e la stessa perfezione dellarte, con un vantaggio non da poco: che la verit della filosofia non si afferma n per fede n per vocazione, ma assunta secondo il senso di necessit espresso dal logos. Si dir che una storia che dura da oltre due millenni dovr pur avere un qualche fondamento; ma in questo caso, ironia della sorte, no. Il finale tragico: la stessa necessit del logos ad averci guidato verso lepilogo, la frantumazione e la dissoluzione della verit. Un caso paradigmatico di eutanasia. La verit assoluta avrebbe dovuto condurre luomo al riparo dal divenire che tutto trasforma e distrugge. Ruolo salvifico che oggi spetta alla tecnica. Luomo vuole vivere e per questo alla ricerca di ci che gli consente di sottrarsi al suo destino di essere mortale, di trascendere il suo essere-tempo. Afferrare la verit implica la stabile affermazione dellessere, ci che appunto sta fermo, non diviene, ossia sta al di sopra del divenire: appunto, epi-steme. La verit non pu stare nel tempo, poich se cos fosse, sarebbe anchessa soggetta al divenir-altro, ma la verit non pu divenir-altro da s, altrimenti non sarebbe ci che essa . La verit deve quindi essere a s identica. Da qui la forza del pensiero identitario che presuppone, anzi trova nel suo inizio la necessit della verit. Il pensiero debole, allopposto, eredita da Nietzsche il crollo della verit (metafisica), presentandosi come una prassi anzich come una nuova teoria. Diversamente, la critica al pensiero identitario si trasformerebbe in una nuova teoria identitaria: laffermazione dellidentit della differenza. Negare ogni verit assoluta o non una verit? Se non lo , perch dovremmo tenere in considerazione questa affermazione? In tal senso lunica verit sarebbe che non esistono verit assolute. Si ascrive al pensiero identitario una presunta violenza: leggiamo infatti che laffermazione della verit, della nostra identit, non pu che condurci allo scontro con laltro. Se noi possediamo la verit e qualcun altro non la pensa

gia, per le quali il mondo una costruzione soggettiva, il risultato di uninterpretazione. Si risponder che ci che si nega non il fatto o lesistenza di un mondo esterno, bens linterpretazione univoca di quel fatto e di quel mondo. Posizione questa condivisa da molti semiotici che segnano, il caso di dirlo, una differenza rispetto a chi si occupa di filosofia della percezione. In questambito non tutto linguaggio, la parola cane non morde: il mondo rimane il terreno di confronto dove far collassare le nostre interpretazioni. Questo mondo un primo sistema di riferimento condiviso che consente il coordinamento del nostro linguaggio e del nostro agire. Ci intendiamo proprio perch non tutto interpretazione, altrimenti gli altri e il mondo rimarrebbero per noi qualcosa di misterioso, anche quando smettiamo di fare filosofia. Si potr obiettare che non tutti coloro che si occupano di percezione sottoscrivono questa posizione. Ed effettivamente vero: i paradigmi della psicologia restano il costruttivismo e il cognitivismo. Ismi e mode? Certo. Ma anche posizioni teoriche, e teoretiche, assai diverse: c chi sostiene che la percezione sia diretta e chi al contrario la considera non indipendente n autonoma da attivit di ordine superiore quali pensiero, concetto e linguaggio. Questa differenza teorica si ripercuote su coloro che pensano il mondo esterno come un dato di fatto e coloro che lo interpretano come risultato o costruzione della coscienza, degli schemi concettuali, e pi in generale, del linguaggio.

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Jan Fabre, Art Kept Me Out of Jail, (Homage to Jacques Mesrine), drawings, The Escape of the Artist, photo Pat Verbruggen copyright Angelos

come noi, costui non pu che essere in errore. Perci ogni mediazione impossibile. Al contrario, negando lesistenza di verit assolute, dovremmo poter imparare a comprendere e ad accogliere laltro, poich entrambi partecipiamo al gioco della verit che nessuno possiede in maniera definitiva. Ci implicherebbe comunque lassunzione della verit come paradigma.

l pensiero debole appare pi democratico. Il prezzo da pagare comunque alto se, per essere pi democratici, dobbiamo con ci sbarazzarci della verit. Una perdita pesante che conduce ogni nostra affermazione sullo stesso piano: ogni nostro valore, ogni nostra conquista di diritti e civilt potrebbe trasformarsi con facilit nel suo opposto. Se non esistono pi giusto e ingiusto, bello e brutto, bene e male, vero e falso, su quali basi costruiamo la nostra civilt? Se tutto relativo, allora non possiamo scomodare lidea che esistano diritti universali, n evocare il male della guerra o ripudiare la pena di morte. Prendendo partito per una delle tesi, senza ulteriori precisazioni, in ogni caso avremmo perso qualcosa di non poco conto. Lottenimento di questa relativit rappresenta una magra, se pur democratica, consolazione, non priva di conseguenze sul piano etico ed estetico oltre che epistemologico e metafisico. Il nostro agire, infatti, non pu essere in alcun caso migliore o peggiore di un altro, nemmeno nei casi pi estremi. La realt, a questo punto, non pu che apparirci soggettiva, anzi assoggettata alla nostra volont di potenza. Il pi forte scrive la verit della storia. Dato che non esiste di per s la verit, come sostiene Severino, il pi forte impone al pi debole la propria verit. Popper spiegava che la democrazia non consiste semplicemente in una decisione presa a 26

maggioranza, ma include la possibilit che la minoranza di oggi possa diventare maggioranza di domani. Cos si evita il paradosso per il quale una maggioranza pu sospendere, a maggioranza, la democrazia. Ci implica un certo sospetto nei confronti della verit: la democrazia incarna il dubbio che la maggioranza rappresenti la verit e per questo deve sempre poter essere autocorrettiva. Si anche sostenuto che la verit proprio questo: la possibilit, forse infinita, di autocorreggersi verso la verit. Infatti, se esiste lerrore, deve necessariamente esistere il suo opposto. Ma ci implica un essere nella verit o un poter giungere alla verit? Il nuovo realismo si oppone ad affermazioni quali tutto interpretazione, ritenute emblematiche del postmoderno. Se non esistono pi fatti, ma solo interpretazioni, allora, conclude Ferraris, in linea di principio possiamo negare ogni cosa, persino i campi di sterminio la cui esistenza non sarebbe che una nostra interpretazione della storia. Lanomalia che nessuno, o quasi, pare rivendicare tout court questa posizione relativista. Eppure, chiunque abbia frequentato aule di filosofia negli ultimi ventanni ricorda quei modelli soggettivisti tipici della cultura postmoderna che oggi paiono orfani. Alla fine degli anni Ottanta dirsi realista equivaleva a darsi del fesso: un realista era fondamentalmente un ingenuo per il quale esistono verit, esiste un mondo esterno e le cose appaiono per come sono. Queste tesi venivano liquidate come posizioni ascrivibili al senso comune e non alla filosofia in quanto tale. In quegli anni, nei quali un maestro di scuola realista come Paolo Bozzi andava predicando la sua fede realista, la sua posizione era decisamente minoritaria rispetto alle mode imperanti, sia in filosofia che in psicolo-

e consideriamo la relazione tra concetto e percetto come costitutiva della percezione, il mondo diventa una nostra rappresentazione soggettiva. solo a questo punto e con questo presupposto che possiamo efficacemente dubitare di ci che percepiamo. Lapparire della cosa sarebbe risultato del suo concetto. Percepiamo un cubo solo in quanto sappiamo che cos un cubo: se non conoscessimo la definizione non potremmo classificare quella cosa come un cubo. Quella cosa quella cosa, possiede quella specifica unit e identit sulla base del concetto che la identifica. Un ente geometrico si presta a questo tipo di argomenti. Tuttavia, quante volte nella nostra vita abbiamo preparato un caff senza sapere quanti lati ha la moka? La percezione guida il nostro comportamento nellambiente circostante, ma non possiede il rigore preteso dal pensiero filosofico. Rispetto al senso comune, infatti, la certezza cui ambisce lanalisi filosofica mira a eliminare ogni dubbio e ogni presupposto, allo scopo di fondare un sapere incontrovertibile, al riparo dallo scetticismo. In base a cosa scegliamo un parametro di certezza piuttosto che un altro? Potremmo rispondere con Wittgenstein che la verit di certe proposizioni empiriche appartiene al nostro sistema di riferimento. Lincommensurabilit tra linguaggio e mondo pi apparente che reale, poich ogni verit implica e presuppone un sistema di riferimento. Ecco un nuovo compito per la filosofia: mostrare il sistema di riferimento implicito nelle scienze e in ogni teoria della conoscenza. Per stabilire la verit di una descrizione dobbiamo precisare il sistema di riferimento in cui essa si inserisce: tale relativismo il presupposto stesso di ogni oggettivazione della realt. Dovremmo a questo punto recuperare la domanda sulla verit? Potremmo dire che il compito di un nuovo realismo anche il compito di una nuova fenomenologia: cogliere i sistemi di riferimento immanenti alla nostra forma di vita.

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La nube dei commenti


Realismo non realitysmo
Raffaella Scarpa

ranco Fortini, in una intervista del 1992, diceva che quando una questione teorica si apre al contraddittorio pubblico si consegna alla dissipazione, e questo non per una legge universale ma per una disfatta storica: considerando fallita la ricerca di una misura etica, politica e stilistica del linguaggio della comunicazione, la difesa fisiologica dai falsi scopi della dialettica resterebbe il silenzio. Lampiezza e la durata del dibattito sollecitato dallarticolo di Maurizio Ferraris uscito su la Repubblica nel cuore dellestate, spinge alla verifica di quel fallimento linguistico dei mezzi dinformazione denunciato da Fortini ventanni fa. Nel pezzo in questione, Ferraris constata una svolta storico-culturale in atto, la fine del postmoderno, delle sue postreme derive populiste, sopravanzata da un nuovo realismo o New Realism che riporta al centro del discorso filosofico, politico e della stessa vita quotidiana la nozione di realt (reputata limitante e autoritaria dal postmodernismo, neutralizzata in reality il suo doppio fabulizzato, edulcorato, fittizio dai populismi mediatici); nello strumentario teoretico di Ferraris le parole-chiave del Nuovo Realismo sono ontologia, critica, illuminismo, agenti di contrasto allhabitus realitysta e mezzi per una ridefinizione politica ed etica dellattualit. Questo, in estrema sintesi, largomento che innesca la querelle, che si svolge senza intervalli da agosto a oggi, inanellando una quantit imponente di interventi su quotidiani, riviste, spazi-web, mostrando una tenuta significativa, anche in ragione del fatto che Ferraris, nel corso dei mesi, non rilancia la tesi controargomentando, se non in un breve articolo online (tutti i testi relativi alla questione sono raccolti e consultabili alla pagina http://labont.it/dibattito-sul-nuovo-realismo). Al netto della difformit di sedi e stili, si riscontrano nel dibattito intorno al New Realism caso interessante anche perch il contraddittorio si autoalimenta sostanzialmente in assenza di repliche del portavoce alcune invarianze formali profonde, interpretabili come cifre del registro linguistico-argomentativo del dibattito mediatico oggi. Mi permetto una rapida operazione di dissezione.

mentali): nelle sue varie fogge, la fallacia ad hominem, che non attacca la tesi ma chi la sostiene (le pi diffuse nei testi: si inventa una teoria per uccidere il padre accademico come fanno spesso i filosofi; era un debolista anche lui e adesso tradisce le origini; di scuola torinese e questi argomenti interessano solo loro; si inventa una teoria per propagandare il suo convegno); la fallacia ermeneutica, quella che per attaccare la tesi la presuppone o la ripredica omettendo o manipolandone i contenuti (stralciando: la teoria si limita ad attestare che la realt esiste; sostiene lidentit di pensiero debole e postmodernismo; sovrappone verit e senso comune; una filosofia che si occupa dellesistenza di tavoli e tazzine). Sin qui nulla di strano, essendo tutte forme accreditate della comunicazione mendace nella sfera pubblica. Ci che invece attesta lincrudelirsi e lo specializzarsi del dolo argomentativo nel contraddittorio mediatico il sistematico abuso dei nessi sintattici sistematico e non episodico , nel senso che interi testi vengono sorretti da poich, quindi, nonostante: che rispettivamente mimano rapporti causali, conclusivi, concessivi che di fatto non ci sono (esempio: quando ci si pone una domanda sulla realt perch mancano sistemi di pensiero e teorie, quindi, circa il dibattito a cui stiamo assistendo, tutto gi stato detto nella diatriba tra idealismo e positivismo).

Illuminismo e speranza
Jean Petitot

er quanto riguarda la forma esterna, gli interventi si distinguono di massima in due classi: risposte, dirette alla confutazione della tesi; contributi collaterali a partire da questa, per affermare o riaffermare posizioni anche allotrie rispetto alla materia. La ricorrenza di queste due forme, variamente declinate, produce rispettivamente una cristallizzazione della postura dialettica in pro e contro (che storicamente la sigla macroscopica del ristagno concettuale) e nel contempo una tendenza alla diversione dalla tesi, che da oggetto diventa antefatto. Si oscilla cos dal corpo a corpo reattivo al parlare daltro, perch troppo sporadico, per riuscire a rimettere in asse la forma del contraddittorio, un atteggiamento mediano propenso allo svolgimento critico. Quanto alla condotta generale si confermano quindi i procedimenti sintomatici dellinformazione mediatica: coazione allantagonismo oppositivo e conseguente induzione allo schieramento; diversione dallargomento-tesi in chiave spesso parassitaria e autopromozionale. Nello specifico delle tecniche della confutazione mi limito agli incipit, dove ricorre luso preventivo di argomentazioni scorrette, i cui effetti si riverberano per su tutto il testo; la controargomentazione massificata nelluso delle fallacie pi la page nel dibattito pubblico attuale (non a caso le pi violente e rudi-

icordo di aver partecipato nel 1988 al dibattito, Dialogo per unepoca di crisi, organizzato da Le Monde, tra Jean-Franois Lyotard, che dieci anni prima aveva pubblicato La condizione postmoderna, e un certo numero di scienziati. Noi difendevamo tesi neo-illuministe sul ruolo umanistico ed emancipatore del progresso, e Lyotard rispondeva a questo bilancio delle conquiste con un bilancio delle disfatte. Spiegava che il tentativo di ripristinare oggi gli obiettivi umanistici dellilluminismo si basa su una completa ignoranza di ci che accade. La scienza non persegue gli scopi dellumanit. Era un netto rifiuto dellinsegnamento kantiano. Una caratteristica dellilluminismo di Kant di esser riuscito ad articolare in maniera coerente e sistematica tre ordini di razionalit e di esperienza. Primo, lordine del sapere scientifico e delloperativit tecnica, dove dominano lesperienza empirica, la verit teorica e lefficacia pragmatica. Secondo, lordine deontologico e giuridico delletica, della giustizia e delle regole comunicazionali intersoggettive. Infine, lordine dellemancipazione, dellautenticit esistenziale e della speranza. Questi tre ordini corrispondono rispettivamente alle tre famose domande kantiane: che cosa posso conoscere?, che cosa devo fare?, che cosa posso sperare?. Da Hegel in avanti le tre componenti si sono allontanate e autonomizzate ponendo le basi per la crisi postmoderna. In particolare, se si considera il primo ordine come dominante e si pretende di sottomettergli gli altri due, si approda a dispotismi illuminati

guidati dagli scienziati, un po come nella Repubblica di Platone. Pensiamo al positivismo politico e allideologia tecnocratica di SaintSimon e di Comte, o ancora al costruttivismo pianificatore dei regimi totalitari. Questa violenza politica del razionale far allora apparire loggettivit come reificazione e la verit come dominio. Ed largomento postmoderno sviluppato a partire dalla Dialettica dellIlluminismo di Horkheimer e Adorno, fino al pensiero debole di Gianni Vattimo e Pier Aldo Rovatti, passando per la teoria del potere di Michel Foucault. Ma, appunto, ci che i postmoderni criticano non lIlluminismo, ma una deriva tecnocratica. L illuminismo, lo abbiamo visto, non solo scienza, ma anche ricerca della giustizia e proposta di speranza, che passano necessariamente attraverso un confronto con la realt. Ecco perch Maurizio Ferraris ha ragione quando propone un Manifesto del Nuovo Realismo mettendo in connessione il realismo e lemancipazione. Nelle democrazie mediatiche contemporanee lemancipazione, che era inizialmente un impegno politico ed etico, divenuta un semplice principio di piacere immaginario. dunque ovvio che un principio di realt si riaffacci. E mi sembra che il ritorno del realismo e del razionalismo critico, cos come anche la riabilitazione della verit ben al di l della scienza, in filosofia, in politica, o nelle pratiche quotidiane, venga a rinnovare la sfida kantiana. Per quanto mi riguarda, penso che sia possibile e necessario affrontare la sfida.
Traduzione dal francese di Elena Casetta

e cose non sono sempre andate cos. Da una ricognizione linguistica dei dibattiti pubblici dalla met degli Sessanta a oggi (che sta alla base di un mio studio dinsieme in corso di preparazione con unampia sezione finale dedicata alla vicenda New Realism, corredata di esempi e rimandi probatori, e di cui questo articolo un breve compendio) possibile ricostruire una storia dellargomentazione mendace per epoche, caratterizzate da tipici registri linguistici. Un esempio per quanto riguarda i tempi recenti: sino a pochi anni fa la manipolazione dellinformazione nel dibattito mediatico avveniva di massima attraverso fenomeni linguistici di superficie, essenzialmente mediante la retorica figurale (traslati in genere e metafore per eccellenza) e procedimenti retorici usati in chiave ambiguante (allusione, ironia), una retorica ornamentale e alleggerente volta a ridurre e sminuire la tesi altrui senza controargomentarla e promuovere la propria con mezzi fondamentalmente persuasivi, seduttivi. Oggi, e il case study Nuovo Realismo lo dimostra, la via linguistica alla confutazione mendace la sintassi, che sposta la manipolazione a un livello pi profondo e meno avvertibile: relazioni sintattiche arbitrarie ristrutturano il falso come fosse vero, anzi, secondo un ipercorrettismo tipico della menzogna come fosse pi vero del vero. Questo certifica il fallimento politico del linguaggio dei mezzi di informazione tematizzato da Fortini e mostra, secondo il motto beckettiano, che si pu fallire ancora, fallire meglio.

Jan Fabre, Art Kept Me Out of Jail, (Homage to Jacques Mesrine), No Wife No Kids, drawings, The Escape of the Artist, photo Pat Verbruggen copyright Angelos

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Intellettuali e potere

Julia Kristeva
Contraddizioni di unatea dialogante
Conversazione con Veronic Algeri
Dal formalismo russo al post-strutturalismo, dalladesione al Pcf al maoismo, passando per il femminismo americano e fino allo slogan postmoderno del romanzo poliziesco e filosofico Meurtre Bysance, in cui approda con il suo Je me voyage a una polifonia delle identit e dei generi, Julia Kristeva ha attraversato alcune delle principali correnti intellettuali degli ultimi cinquantanni. Arrivata dalla Bulgaria a Parigi negli anni Sessanta, Kristeva studia con Barthes e affianca lavanguardia del gruppo Tel Quel, dove conosce Philippe Sollers (un incontro amoroso e intellettuale che ha coinvolto tutti i livelli), segue i seminari di Lacan attraverso il quale pensa un nuovo ritorno a Freud. La sua ricerca, che si articola fra la linguistica, la critica letteraria e la psicoanalisi, ha mostrato negli ultimi anni un interesse crescente per il discorso religioso, volto allobiettivo di sempre: Interrogare il senso e insieme a esso il senso della relazione con lAltro. Abbiamo incontrato Kristeva in occasione dellincontro interreligioso di Assisi, dove stata invitata dal papa Benedetto XVI in qualit di rappresentante dellateismo. In che modo lesperienza degli anni in Tel Quel le ha insegnato a leggere il mondo di oggi? Tel Quel era un gruppo di giovani borghesi che volevano rompere tutte le norme, sia sul piano del soggetto, per fare della letteratura un luogo di riflessione, sia per la volont di interrogare le correnti culturali la psicanalisi, la politica, il maggio 68, la Cina in una sorta di presentimento della globalizzazione. Era unesperienza che mi limitavo ad accompagnare, essendo vicina a Sollers. In seguito, il mio percorso si avvicinato soprattutto allo Strutturalismo, al Poststrutturalismo e alla Psicanalisi. Questa molteplicit di interessi, rappresentava per me una necessit, un insieme che mi portava sempre nella stessa direzione: linterrogazione sul senso. Quando mi si chiede dove si trova la coerenza in questo discorso, rispondo che si tratta di uno sfaccettamento della realt o di una visione del cosmo che la scienza oggi preannuncia parlando non pi di un universo ma di un multiverso. Si tratta di una molteplicit di culture, di religioni, di gusti e di creazioni, una molteplicit di spazi, di materie e di energie che si compongono con il vuoto. Allora io stessa mi definisco un multiverso. Cosa deve fare oggi un intellettuale impegnato, ammesso che questo termine abbia ancora un senso, rispetto agli anni della contestazione? Oggi ci sono due tipi di intellettuali: quelli che si concedono appassionatamente alle richieste del marketing e intervengono con pi o meno talento nei dibattiti mediatici due figure esemplari in questo senso sono Bernard Henry Levy o Michel Onfray e quelli che rimangono chiusi nel loro laboratorio dedicandosi alla ricerca. Io non faccio parte di queste tipologie di intellettuale engag. Penso che quando ci si specializza in un discorso scientifico doveroso svilupparlo con il massimo rigore. Ma cerco anche di riversare le mie conoscenze nel dibattito pubblico, dove le mie esperienze hanno un impatto su un numero maggiore di persone. Per esempio il tema dello straniamento, il discorso sullinfanzia, o la questione del rapporto tra estetica e religione, che tento di abbordare nel libro Bisogno di credere. Un punto di vista laico dove affermo che la secolarizzazione, attaccando loscurantismo, ha dimenticato di interrogarsi sul bisogno di credere sotteso al desiderio di sapere. A partire da qui, mi avvicino ad alcuni grandi nodi come la psicanalisi, la maternit, lesperienza dellhandicap come nel libro che ho scritto con Jean Vanier , il ruolo degli stranieri e infine, soprattutto, la funzione della religione e la possibilit di una secolarizzazione intransigente e tuttavia disposta a una sorta di collaborazione con gli ambienti religiosi che accettano questo tipo di dibattito. Leclettismo dei suoi interessi e la dimensione collettiva per la scelta dei suoi interlocutori, lidea che lesperienza letteraria sia messa a confronto con una rete di saperi in un laboratorio di lettura e di interpretazione rappresenta la sostanza teorica del suo lavoro. Come arrivata a dialogare con la materia religiosa? Fin dallinizio della mia ricerca sono stata sensibile allintertestualit, cio allidea che un testo in risonanza con quelli che lo precedono, che lo scrittore ha letto o nei quali si immerso per allusione o per lambiente culturale nel quale cresciuto. In questo ordine di idee, lesperienza della psicoanalisi mi ha aperta allimportanza del continente religioso per limmaginario letterario. Ce ne rendiamo conto quando studiamo la letteratura medioevale e quella del Rinascimento che echeggiano costantemente la fede, i dogmi, la pittura religiosa e la musica. Ma anche importante, sebbene diversamente, per i testi che seguono lUmanesimo laico e che sono in posizione di rottura con la tradizione che si espressa a partire dal Rinascimento e dal secolo dei Lumi. Gli scrittori del XVIII secolo, Diderot, Voltaire, Rousseau, reagiscono alleredit religiosa. Ma anche gli scrittori moderni, da Faulkner a Joyce, Proust, Artaud, Bataille, fino allo stesso Sollers sono tutti allascolto, e alcuni pi di altri, delleredit religiosa che transvalutano, per riprendere il termine di Nietzsche, che cio assimilano, criticano e muovono. Tale dimensione mi ha colpita, in quanto teorica della letteratura. Ma ancor pi lo ha fatto lopera di Freud lui stesso molto attento alla storia delle religioni che ha trovato questa eredit non solo nei testi letterari, che considerava come una via regia per la psicoanalisi, ma anche nei nostri sogni e nel nostro inconscio. Ed , per cos dire, la legittimazione freudiana del substrato religioso dellinconscio che mi ha stimolata a continuare seguendo questa strada. Al contrario della religione cristiana che diffonde lidea di una comunit fatta di individui uguali, lei ha sempre sottolineato la singolarit dellesperienza di ciascuno, che si parli del femminismo, di cui ha proclamato la irriducibilit dellesperienza individuale, o che si parli dellesperienza religiosa, alla quale nel suo romanzo su Teresa dAvila si avvicina da un punto di vista psicanalitico. forse questa irriducibilit che permette un accesso privilegiato allAltro? Certo il cristianesimo abborda lesperienza umana in uno spirito di formazione delle coscienze e di costituzione di una comunit di credenti. Questa volont di collegare, di religare (una tra le spiegazioni etimologiche del termine religione) nei cristiani il valore delluniversalit. Al tempo stesso allinterno di questo gran continente che la teologia cristiana, non solo si formulata lidea delluniversalismo, che noi riprendiamo oggi con i diritti umani, seppure a partire da altre premesse, ma anche lidea della singolarit dei diritti della persona. Questa idea non si generata dal Cristianesimo bens, come Benedetto XVI, che un bravo filosofo, ha fatto notare, nata dallo stoicismo greco e cristiano che ha sviluppato una giurisdizione dellindividuo. Ma nel Cristianesimo, e in particolare nel pensiero di Duns Scoto, che si cristallizzata una nozione della singolarit, che i successori del teologo scozzese hanno chiamato lecceitas, definizione che riposa sul pronome dimostrativo ecce, questo o quello. Lidea che la verit non sia nelle idee assolute, astratte, n nella materia oscura e difficile da percepire, ma nella singolarit di ogni entit umana. La concezione secondo la quale lessere stesso la natura, il cosmo, il divino sia costituito da diverse ecceitas attraversa tutto il pensiero cristiano fino al personalismo derivato dalla fenomenologia. Io riprendo questo tema a partire da Duns Scoto, da Hannah Harendt e in particolar modo dalla nozione della soggettivit che ereditiamo dalla psicoanalisi: lidea che ogni soggetto parlante eredita una singolarit che lo individua nella relazione con lAltro, come una creativit costante e in evoluzione che si compone di diverse strategie biologiche e logiche a costituire il suo inconscio, il suo preinconscio. Oggi, la ricerca psicoanalitica si propone di specificare al meglio, secondo modelli differenti, tale singolarit. Melanie Klein, Lacan, Winnicott e io stessa abbiamo cercato di penetrare in questa alchimia della singolarit che i pazienti ci propongono. A partire da qui forse potremmo contribuire alla rifondazione dellumanesimo inteso soprattutto come insieme di singolarit di cui importante proteggere le libert. Va detto poi che la presa di potere, attraverso la parola, da parte del secondo sesso ha aperto una questione supplementare: come pu il continente femminile coniugarsi al singolare per essere libero? possibile conquistare la libert per tutte le donne, cos come abbiamo voluto la libert per tutti gli operai e per tutti i terzi mondi, oppure questa idea di libert per tutti implica il rischio di cadere nel totalitarismo? E in questo caso, la liberazione delle donne non dovrebbe forse passare attraverso la liberazione della singolarit di ciascuna? Questa posizione, che mi distingue dal femminismo di massa, mi ha portata a scrivere la trilogia sul genio femminile, che un appello a tutte le donne a cercare la propria creativit, ma anche un appello al femminile delluomo e al suo sviluppo che non si manifesta solo nel passaggio alla pratica omosessuale, ma risiede in una simbolizzazione e una sublimazione della libido, della tenerezza, e del legame con lAltro. Sono questioni di attualit che toccano, al di l della crisi del femminismo, le difficolt della virilit nel mondo moderno. Nel mondo della comunicazione globalizzata oggi siamo pi vicini al rseau di Michel Foucault o a una dispersione del soggetto che, privo di storia e memoria, rischia di perdersi in un banalizzato hic et nunc? Nella cultura delle tecnologie intelligenti che si introducono nellintimit pi nascosta, assistiamo alla scomparsa di quello spazio interiore di cui godeva Teresa nelle sue sette dimore dellanima e che Diderot tentava di riabilitare. Questa cultura delliperconnettivit ha elementi assolutamente insufficienti, anche se molto positivi che danno lillusione di una comunicazione. Ma mandando dei messaggi si pratica una comunicazione orizzontale che non ha la profondit tragica o giubilatoria delle sensazioni, che ignora la ricerca dellespressione pi giusta, quella che richiede tempo, che convoca la memoria, che ha bisogno di spazio per svilupparsi. Ora, non si tratta di opporsi a tutto questo, ma mi sembra che per evitare la banalizzazione, bisogna che ci sia anche unesperienza interiore con i suoi disastri e le sue complessit. E questa profondit io la trovo per esempio nella psicanalisi, nella letteratura e, non ultima, nellesperienza religiosa non tanto per abbracciarla in quanto tale, ma per interrogarla e per prendere una posizione rispetto a questa. Limportanza del racconto e del linguaggio, sul lettino psicanalitico, ma anche nella letteratura offre la possibilit di risolvere le nevrosi, le nouvelles maladies de lme come lei le ha chiamate. Rimane un margine di indicibile, nellindividuo contemporaneo? Certamente. Freud stesso parlava di ombelico dei sogni. Perch per quanto molteplice possa essere linterpretazione dei sogni rimane sempre un margine di non abbordabile e di innominabile. Il silenzio qui, ma anche nei limiti delle nostre conoscenze attuali. Esiste un margine irriducibile tra i condizionamenti biologici e la loro traduzione nel linguaggio della psiche. Tra la biologia e il senso rimane una zona dombra e questa, costituita dalla nostra incapacit di colmarla, non appunto solo unangoscia e una difficolt, ma anche una fonte di libert, perch proprio in questa intraducibillit si situa la sfida alla creazione: cerchiamo di dire di pi, di dire meglio, in un cammino infinito.

Jan Fabre, The Years of the Hour Blue, 2011 (Installation view), Kunsthistoriches Museum, Vienna photo Stefan Zeisler, Khm, copyright Angeloss

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Oltre il realismo della stanza accanto


Come ci insegna lesperimento Milgram
Carlo Cuppini

ra il 1961 e il 1963 il giovane psicologo statunitense Stanley Milgram condusse un esperimento di psicologia sociale destinato a gettare una nuova, inquietante luce sui fondamenti delletica e del comportamento umano. Il dispositivo di ricerca era semplice: le cavie, ignare del funzionamento e degli scopi reali dellesperimento, erano incaricate da un finto scienziato di infliggere scariche elettriche ad altre cavie (finte), ogni volta che queste fornivano una risposta sbagliata ai quiz proposti. A ogni errore la scarica elettrica aumentava di intensit, fino al livello definito attenzione: scossa molto pericolosa. Lesperimento dimostr statisticamente che persone normali, selezionate a caso, possono essere disponibili a infliggere altissimi livelli di sofferenza ad altri esseri umani, a sangue freddo e nella totale assenza di motivazioni: il 40% dei partecipanti si spinse fino al penultimo livello (scossa molto intensa), prima di protestare e ritirarsi; il 30% continu fino al livello pi alto, che portava le finte cavie a una simulata perdita di conoscenza, dopo grida, suppliche e convulsioni. Naturalmente gli addetti al pulsante non sapevano di essere essi stessi il vero oggetto di studio, n potevano immaginare che fosse tutta una messa in scena e che non esistesse alcuna scarica elettrica. Lesperimento si articolava ulteriormente: la disponibilit a torturare veniva studiata in funzione di diverse configurazioni spaziali. In alcune sessioni torturatori e torturati erano posti molto vicini, a distanza di contatto fisico; in altre veniva frapposta una maggiore distanza, ma allinterno dello stesso ambiente; ancora, il torturatore veniva portato in uno spazio contiguo, da cui poteva vedere attraverso un vetro ma non sentire le reazioni del torturato; infine si dava la condizione dellisolamento fisico completo tra i due soggetti. Gli esiti mostrarono che a ogni passaggio di distanziazione i partecipanti erano pronti a spingersi un po pi in l nellobbedire ciecamente al compito e quindi nellinfliggere dolore. Lesperimento nasceva sulla scia dello sgomento ancora fresco per le atrocit compiute dai nazisti: Milgram trasse ispirazione dal processo a Eichman, che si stava svolgendo a Gerusalemme, lo stesso evento che influenz Anna Harendt nellelaborazione di La banalit del male. Ma fin per rivelare che chiunque, anche in una societ democratica, potenzialmente pronto a ricoprire un ruolo analogo a quello del carnefice nazista. Persone normali compivano un crimine in assenza di movente, semplicemente perch gli veniva detto che non stavano affatto compiendo un crimine: lo certificava la figura dello scienziato (finto) che si presentava come garante dellutilit, della legalit e della normalit della situazione. Lesperimento cre sconcerto. Venne ripetuto e riformulato anche da altri ricercatori, con la comprensibile aspettativa di vedere smentiti i risultati. Unultima versione risale al 2009, attualizzata in relazione al fenomeno del reality show. Le conclusioni di Milgram sono sempre state confermate. Perch tornare a parlare di Milgram, oggi, nellambito di una riflessione sulla letteratura, sullarte e sul linguaggio? Lintera vicenda offre importanti indicazioni sulle modalit di rappresentazione della realt, nella misura in cui rivela che possibile, di fronte a situazioni identiche, assumere comportamenti opposti. Lacanianamente, i risultati dellesperimento Milgram invitano a delle considerazioni sui linguaggi con cui ci rapportiamo alla realt, e grazie ai quali diamo senso alle nostre azioni allinterno di quel linguaggio che la realt. Sono chiamate quindi in causa le pratiche di chi il linguaggio lo utilizza nel lavoro poetico, artistico e intellettuale. Attualmente da pi parti si auspica un maggiore interesse della scrittura e dellarte per la realt, attraverso rinnovate forme di impe-

Jan Fabre, The Years of the Hour Blue, 2011 (Installation view), Kunsthistorisches Museum, Vienna photo Stefan Zeisler, Khm, copyright Angelos

gno. Sarebbe forse utile ripartire da Milgram per capire meglio di cosa parliamo quando parliamo di realt, e di realismo.

osa accaduto nel mezzo secolo che ci separa dalla formulazione dellesperimento? Oggi in effetti siamo sempre l, pronti a spingere quel bottone. Quotidianamente produciamo dolore e morte a volont: se non la infliggiamo direttamente spingendo un pulsante, pur vero che la commissioniamo, ne condividiamo la responsabilit, la tolleriamo o ratifichiamo: in ogni caso la perpetuiamo attivamente, magari perch essa un prodotto secondario ma inevitabile nel processo di produzione di ci che desideriamo ed esigiamo. Come nellesperimento Milgram (come nella Germania nazista, come nella guerra del Vietnam citata da Milgram nella conclusione del suo Obedience to Authority del 1974) c unautorit universalmente riconosciuta che si fa garante e solleva i singoli dalla responsabilit (legale ma anche morale) delle scelte individuali: questa autorit costituita oggi primariamente dal Mercato, in sintonia con i sistemi politici e quelli mediatici a esso integrati. Tutto ci che ha accesso al Mercato riceve automaticamente lautorizzazione e lautorevolezza necessarie. La merce emblema di verginit: entrando nel Mercato, la merce riceve un battesimo e, come un neofita, viene rilavata da ogni peccato, riacquista linnocenza, riceve un nuovo nome. In altre parole la merce porta con s, compresi nel prezzo, tutti i gradi di distanziazione che deportano nella stanza accanto di Milgram, azzerando lempatia e consentendo, come nellesperimento, di non darsi pensiero riguardo alla propria responsabilit nellaumento del tasso di sofferenza globale. Parlo di migranti incarcerati e drogati nei Cie; di centinaia di migliaia di persone massacrate nelle guerre mediorientali; delle infinite vessazioni a cui sono sottoposti i palestinesi; dei bambini costretti a lavorare per produrre i giocattoli dei nostri bambini (e nostri); dei milioni di morti per fame, sete e malattia a causa delleco(nomico)sistema di cui facciamo parte; delle violenze antisindacali e del saccheggio delle risorse nei quattro angoli del mondo. Ma anche dellecatombe quotidiana dei milioni di animali che vengono torturati e ammazzati per immettere nel Mercato qualcosa di eccessivo e, tutto sommato, futile. La grande conquista dellordine democratico globale non tanto loccultamento della colossale ingiustizia su cui esso si basa. Questa sotto gli occhi di tutti: se per ipotesi ogni abitante del pianeta potesse improvvisamente godere oggi stesso dei diritti essenziali che la democrazia promette e rivendica universalmente, la societ umana e il pianeta smetterebbero di esistere prima di domani. La cosa talmente lampante che nessuno cerca di nascondere il fatto che la vertiginosa disparit strutturalmente necessaria e che costituisce lasse portante del sistema. La conquista veramente innovativa piuttosto luniversalizzazione delleffetto Milgram. Pi illuminante del Principe di Machiavelli, Obedience to Authority indica a oli29

garchi e plutocrati globali lingrediente essenziale per esercitare il potere sulle masse e perpetuare la violenza dallalto nel tempo presente: la distruzione dellempatia, che si attua attraverso la distanziazione delle persone dal piano della realt. La ipermediatizzazione fa al caso: maggiore la meta-informazione, minore la capacit di reagire alla notizia; in questo senso ogni rimbalzo mediatico (e informatico) corrisponde a un grado di distanziazione nellesperimento Milgram. Chi sta nella stanza accanto sa tutto, ma disposto a compiere qualunque cosa, se lauthority solleva da ogni responsabilit morale e legale. Ecco che letica rifondata sulla base della prossemica. Ama il prossimo tuo come te stesso. Ci insegnano a considerare il precetto cristiano come unaffermazione rivoluzionaria, utopica e folle: ispirata dalla follia di un possibile amore sovrumano. Eppure, alla luce dellesperimento Milgram, la sentenza sembra pi una constatazione della natura umana che unesortazione a superarla. Suonerebbe assai pi eclatante: Ama chi sta nella stanza accanto come ami chi ti prossimo. C da credere che chiunque invocherebbe la grazia per il vitello-ingranaggio dellindustria alimentare, se venisse portato in prossimit delle atroci sofferenze cui la bestia destinata. Che differenza c tra la sofferenza di un animale e quella di un umano? A giudicare dallo sguardo, nessuna. Chi non farebbe di tutto per salvare una persona che sta rischiando la vita dallaltra parte dalla strada? Una legge, peraltro, obbliga a farlo. Per lomissione di soccorso sembra costituire reato solo nella distanza ravvicinata; se cos non fosse sarebbe imperativo salvare ogni giorno la vita di centinaia di migliaia di persone, alle quali basterebbe la piccolissima parte di ci che altrove viene sprecato. Si sta di fatto consumando una grandiosa omissione di soccorso globale, un olocausto di dimensioni inimmaginabili di cui nessuno alla fine sar chiamato a rispondere. Veniamo allarte e al linguaggio. I quali oggi difettano certamente della capacit di impegno, ma non di realismo. Non del realismo della verosimiglianza, perlomeno. La descrizione della realt anzi pervasiva, esaustiva e soddisfacente, come la sua denuncia. E tutto un pullulare di libri neri o di volumi che qualcuno di molto potente non ti farebbe leggere mai. consentito dire tutto, indicare lorrore, evidenziare statistiche che fanno rabbrividire. Si pu anche pubblicare per Mondadori un libro che critichi aspramente la propriet di Mondadori. Questa forma di realismo consentita quasi senza eccezioni: pur sempre un realismo sincronizzato con le caratteristiche del Mercato e dei sistemi a esso integrati. il realismo della stanza accanto, che non porter nessuno ad alzarsi dalla sedia o a staccare il dito dal bottone della scarica elettrica. il realismo del finto scienziato dellesperimento, che informa dettagliatamente i partecipanti riguardo alle sofferenze che essi stessi stanno procurando ad altre persone al di l della parete. Si potrebbe tentare tuttavia la strada di un rea-

lismo non-autorizzato, andando clandestinamente, con il linguaggio, dallaltra parte: nella stanza della realt, in prossimit delle conseguenze delle nostre azioni, per mettersi in condizione di non spingere mai pi quel pulsante. Neanche distrattamente, neanche se incoraggiati e rassicurati dallideologia che ci avvolge e pervade in modo inerziale lintera sfera del linguaggio. Questo non significa parlare di certe cose: piuttosto, relativamente alla letteratura, scrivere in un certo modo, forgiare il linguaggio in forme irriconoscibili perch possa essere usato come piede di porco per scardinare quella porta, o come grimaldello per far scattare la serratura, o come testa dariete per abbattere il muro. Un realismo dellapprossimarsi, della vicinanza, dellempatia tra la parola e la cosa, delladerire alla realt, che non significa ribadisco parlare della realt. Certamente sarebbe un realismo irriconoscibile, tanto quanto irriconoscibile la realt che ci sfugge, anche quando a un millimetro dalla nostra pelle, anche quando si tratta della nostra pelle. a specificato che non soltanto attraverso la coscienza del dolore che il reale ci convoca a s: il dolore, per il dolore degli altri, il dolore oggetto dellesperimento Milgram un indicatore efficace per comprendere schiettamente la faccenda. Si pensi per alla discesa non-autorizzata nel reale di Francesco dAssisi, orientata tanto alla possibilit reale della gioia quanto a quella del dolore limportante era che si trattasse del piano reale. Anche l era una questione di prossemica nei confronti dellaltro: prossimit fisica, concettuale, spirituale (dove per altro si deve intende gli altri, ma anche laltro in me stesso e lalterit assoluta). Probabilmente Simone Weil intendeva questo quando scriveva nelle Intuizioni precristiane che limmaginazione linferno. Limmaginazione weiliana lirrealt che ci conserva infantili, insoddisfatti e inoffensivi: la stanza accanto alla realt, da dove spingiamo bellamente il pulsante della scarica elettrica, senza scopo e senza darci pensiero. Limmaginazione weiliana tutta la libert che ci consentita, la quale, nel venire esercitata, ci ncora a questo sistema politico divenuto ormai fatto antropologico. E la stanza accanto senza dubbio la terra promessa del popolo della libert. Credo che compito, responsabilit e rischio del poeta impegnato sia far saltare il tavolo del realismo della stanza accanto; tirare il freno e scalare la marcia per de-sincronizzarsi rispetto alla milgramizzazione che rende tutto contiguo e connivente nel grembo del Mercato; tentare una nuova, non-autorizzata, sincronia (empatia, prossimit) con laltro. Discendere, perfino, con i piedi e con il linguaggio, nel reale, per essere prossimo a tutto, e a ogni cosa singolarmente. Edoardo Sanguineti con il suo portato rivoluzionario tanto eretico da apparire ortodosso non ci indicava forse questa strada dichiarando che le avanguardie sono state lunico realismo del Novecento? Il Novecento non il nostro secolo. Le avanguardie stanno nei musei e nei sussidiari. Ma di certo tornare a forme di realismo di mimesi, di denuncia, di documentazione, di epica, non sar sufficiente per arrivare ad avere un brivido che si propaghi dalla nostra colonna vertebrale fino alla realt circostante; scuotendoci, scuotendola. Bisogna rischiare molto di pi. Realismo come inizio della (iniziazione alla) realt. La perfetta letizia della decrescita, il compiuto realismo del disarmo materiale e mentale ci spingerebbero verso un silenzio assoluto: il silenzio del dopo-catastrofe, con la catastrofe in corso. possibile contrastare la tentazione del silenzio riaprendo ancora una volta, radicalmente, i conti irrisolti tra il linguaggio dellarte e il nostro destino?

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Arte

Tre Uomini
Yves Klein, Marcel Broodthaers, Gino De Dominicis
Manuela Gandini

re figure appaiono a distanza di pochi anni le une dalle altre sul palcoscenico terrestre. In un Occidente in crescita che comincia a diventare brand, affranto dalla Seconda guerra mondiale ma pronto a raggiungere le pi fragili utopie tecnologiche di conquista dello spazio e del tempo tre individui, molto diversi tra loro, generano nuove visioni liberando energie creative nellintento di mostrare linvisibile e annunciare tempi nuovi. Accade in Belgio, in Francia, in Italia. I tre uomini solitari, staccati da unidea di appartenenza, agiscono per conto proprio e sondano con ineguagliabile lucidit i territori dellarte, della vita, delleconomia e della morte, attraverso opere e dichiarazioni totalmente inedite. Si chiamano Yves Klein, Marcel Broodthaers, Gino De Dominicis. Klein nasce a Nizza il 28 aprile 1928 e muore di infarto nel 1962. Prima di giungere a quel suo blu intenso Il blu non ha dimensioni. fuori da ogni dimensione, mentre gli altri colori, loro, ne hanno svolge varie attivit: musicista, allevatore di cavalli da corsa, teatrante, libraio e, dopo un viaggio in Giappone, ottiene il grado di cintura nera IV Dan di Judo al Kodokan di Tokyo. Nelle sue peregrinazioni teoriche e spirituali analizza lipertrofia dellio considerandola il flagello dellOccidente. Annulla il concetto di artista, anzi meglio il concetto autorale di artista, e guarda verso il Vuoto e lImmateriale, delegittima le teorie economiche keynesiane e glorifica la vita in ogni possibile occasione. Il suo sguardo ampio e travalica la piccolezza umana. In una conferenza alla Sorbona, che tiene nel 1959, dichiara: Se la vocazione alloccupazione poteva condurre a una terapeutica tutto sommato valida, la totale incomprensione di una presa di coscienza collettiva dellintensit spaziale poteva portare ancora una volta soltanto a unapprossimazione quantitativa. Si vede dunque che tutto viene analizzato in termini di fallimento e il bilancio delle economie miste annuncia oggi solamente un largo deficit. Dovrebbe quindi sorgere una nuova era in cui una percezione qualitativa del campo energetico delleconomia potrebbe finalmente orientare linerzia fondamentale dellessere vivente verso una concezione dinamica della cosa creata. Per Klein, come si legge in un prezioso volumetto che raccoglie i suoi scritti Verso limmateriale dellarte (ObarraO Edizioni 2009) la conquista tecnologica dello spazio rende luomo un eterno turista. Secondo le sue teorie, leconomia produce il principio monetario, cio il denaro che, in quanto legame fissativo di tutti gli individui raggruppati nella societ, genera deprivazione qualitativa. Lavorando sul concetto Zen di spossessamento, propone a tutti di diventare dei non-autori, di procedere a fare opere alle quali chiunque possa mettere la propria firma aggiungendo ci che vuole. Con largo anticipo sullemotivit suscitata dalle azioni di Marina Abramovic, nellaprile del 1958, alla galleria parigina Iris Clert, Klein presenta La Vide, il vuoto. Trascorre alcuni giorni nello spazio ridipingendone le pareti, togliendo la stratificazione di emozioni, avvenimenti e stati danimo passati, per creare un luogo sensibilizzato. I visitatori che entravano infuriati uscivano calmi, alcuni piangevano, altri si fermavano a meditare per unora. Fu pieno successo. In trentaquattro anni Yves Klein, che voleva essere un uomo normale, ha lasciato uneredit immensa. Amo in me ha scritto tutto ci che non mi appartiene, cio la mia vita, e detesto tutto ci che mi appartiene: la mia educazione, la mia eredit psicologica e la mia ottica acquisita, tradizionale, i miei vizi, i miei difetti, le mie qualit, le mie manie; in poche parole tutto ci che mi conduce ogni giorno irrimediabilmente alla morte fisica, sentimentale ed emozionale.

Valeria Magli
Rivive la modella di Man Ray
tornata, tornata con Man Ray. AllOratorio San Filippo Neri di Bologna, per Arte Fiera Art First, Valeria Magli ha rimesso in scena La Fantasmatica di Man, una performance di danza e immagine che fa rivivere la modella di Man Ray sotto il cielo dal quale nasce la grande bocca rossa, mistica, sensuale, pre-pop, dellartista americano. Nello spazio barocco dellex Oratorio, gestito dalla Fondazione del Monte, la proiezione delle diapositive dello studio di Man traccia un incrocio tra lelevazione spirituale e la carnalit, tra i putti grassottelli e la modernit incombente della fotografia. Valeria Magli, sdraiata con il braccio steso in alto nella stessa posizione della donna, si alza e danza come risvegliata. Le diapositive si rincorrono, latmosfera anni Trenta ci risucchia nella creativit suprema del dada e del surrealismo. Intanto lei danza davanti allo sguardo intenso e immobile di Man Ray il cui volto, al suo passaggio, si proietta anche sul vestito

bianco a pois rossi. Sono cinque minuti di sospensione, felicit, intensa femminilit. La storia compiuta, eppure rivive grazie al sogno della danzatrice che si sovrappone alla modella. Tridimensionalit e movimento si contrappongono, in scala 1:1, alla staticit bidimensionale delle figure. Tra una replica e laltra, le voci riconoscibili di diciassette poeti, scrittori, intellettuali, amici di Magli, ripetevano con insistenza parole pi o meno irriconoscibili: la porcellanosa, legamberin, la laculine, ah le cinma! Ah la dance! Creando un cortocircuito auditivo ambiguo e trasversale. Ma non si tratta di parole inventate, bens di parolescritte sui tir e captate da Magli nei suoi viaggi. Prelevate dalla strada e rimesse ironicamente nel circuito dellarte e della poesia, sono diventate oggetto della multimedialit che da sempre caratterizza il lavoro dellartista-ballerina in una vitalit sempre crescente. m. g.

entre Klein entrava definitivamente nel suo blu kline, lasciando il pianeta che considerava essere la vera galleria darte, in Belgio, Marcel Broodthaers fondeva nel gesso una sua raccolta di poesie invendute, trasformandola in una scultura dal titolo Pense-Bte. A trentanove anni distruggeva il linguaggio scritto e costruiva la sua prima opera visiva. Nato il 28 gennaio 1924, muore esattamente cinquantadue anni dopo, il giorno del suo compleanno. Dapprincipio fotoreporter, poeta, critico darte e libraio. Frequenta gli artisti e le gallerie parigine. una persona fortemente celebrale e non si accontenta di visioni schematiche. Un giorno, dopo una visita alla Galerie Sonnabend, rimane impressionato dalla Pop Art americana tanto che, dopo averla analizzata in relazione al sistema dellarte e al ruolo dellartista, decide di allargare la propria produzione intellettuale rompendo gli argini e i confini tra le discipline. Gira i primi video, sposta i propri limiti espressivi, fonde la parola e limmagine per costruire ibrididisciplinari, i suoi riferimenti vanno a Ren Ma-

gritte, al surrealismo, a Duchamp e Mallarm. Trasforma la poesia in contesto sociale e il contesto in opera visiva. Tra i primi, analizza i meccanismi di mercato che regolano il mondo dellarte facendoli diventare arte stessa. Contravvenendo a qualsiasi logica, il 27 novembre 1968 inaugura il Muse dArt Moderne Dpartement des Aigles a casa sua, in rue Ppinire a Bruxelles. Si tratta dellassemblaggio di trenta casse da imballaggio usate per il trasporto di opere, contornate da cartoline di dipinti ottocenteschi. Sulle casse vengono proiettate le diapositive delle opere in cartolina e, dalla trasparenza dellimmagine proiettata, si leggono le scritte picture tableu, fragile ecc. Il mondo immateriale e immaginifico dellopera a diretto contatto con il mondo fisico spicciolo dello scambio e della dislocazione spaziale. Gli universi si incontrano e si misurano, coesistono e si equivalgono. Il quotidiano e lo straordinario sono messi sullo stesso piano cos come tutti i linguaggi usati dallartista. Si inventa qualcosa che si crede strettamen-

te legata a un avvenimento reale ha dichiarato Broodthaers in un intervista del 1972 che si produce nella societ e a quel punto la cosa comincia a vivere di vita propria, []. Secondo me, lartista controlla questo fenomeno solo per un lasso di tempo molto breve e in maniera molto generica. In seguito il fenomeno gli sfugge. Nella cerchia delle mie conoscenze questo museo divenuto realt e lo divenuto anche per le persone che venivano da fuori e che avendone sentito parlare volevano visitarlo. Nonostante il suo carattere effimero, tutto un nuovo sistema di relazioni cominci a germinare intorno a questo nuovo museo. Il museo continua a muoversi, si modifica, viene allestito in gallerie e acquisisce nuovi settori, una miniatura en valise, lidea di un museo domestico che, attraverso la Financial Section, ricostruisce rapporti di scambio fallimentari. In seguito entra negli altri musei e diventa unistituzione a tutti gli effetti. Al Mambo di Bologna, nella retrospettiva dedicatagli, intitolata Lespace de lcriture, attualmente esposto proprio un frammento del suo museo. Jean Hoet parlando dellarte in Belgio dichiar nexiste pas e cos pensava anche Broodthaers mentre nel sessantotto partecipava alloccupazione del Palais des Beaux Arts. Altra visione irripetibile quella del terzo uomo trasversale, Gino De Dominicis (Ancona 1947- Roma 1998), tra i pi importanti outsider italiani. Avvolto dalla sua aura di mistero, cappello nero, baffi e capigliatura alla DArtagnan, lartista era ironico, istrionico e serio. Con la sua opera poteva toccare indifferentemente la creazione cosmica e gli abissi del male evitando sempre la mediocrit, perch, come pittore, si considerava al di qua del bene e del male. Sembrava dominare, con larte, uno spazio e un tempo assoluti. Lavorava alla distruzione dellentropia, allimmobilit, allimmortalit, era contro la ciarlataneria e la creativit degli artisti vetrinisti. Scopre scrive Italo Tomassoni autore del prezioso catalogo ragionato della sua opera (Skira, 2012) linsopportabilit dellambizione umana e la sua parte maledetta. De Dominicis mantiene un rapporto costante con linvisibile che emerge dai volti appena accennati, dalle figure extraterresti, dalla profondit degli ori e dei blu, cos amati da Yves Klein. Traccia profili inespressivi, immobili, inumani, che hanno a che fare con epifanie di divinit misteriose e liturgiche. Lartista, che amava gli occhi di Silvana Mangano e custodiva centinaia di antichi testi esoterici da lui distrutti prima di morire, ossessionato dallimmortalit fisica. Fino a che afferma luomo sar un essere mortale la vita vera assente: noi non siamo al mondo. Solo raggiungendo limmortalit del corpo si otterr la vera vita. Queste parole sincarnano nelle sue figure, nelle stelle, nei due profili di Gilgamesh e di Urvasi, nella Madonna che ride e nei lunghi enigmatici nasi conici dei suoi fantasmi. Non esiste un mondo dellarte, ma solo opere darte nel mondo ha detto larte riguarda il genio, e il suo spazio quello della verticalit: non si sposta orizzontalmente da destra a sinistra, o viceversa, ma si muove immobile, dallalto verso lalto. Come giustamente pensava anche mia zia. Nel paradosso delle sue affermazioni si ritrova lidea delleletto, dello sciamano, dellartista stregone in senso verticale, mentre in Yves Klein, come per Beuys anchegli stregone, larte ha unestensione orizzontale ed un organismo aperto. Per Broodthaers invece larte incrocia le due visioni: lorizzonte della socialit e la verticalit dellessenza poetica. Tutte e tre le figure trattate hanno a che vedere con una surrealt calata nel quotidiano, indicano porte, possibilit individuali di cambiamento, vie duscita da superstizioni, convinzioni e preconcetti. Ciascuno, nella propria breve vita, regala al mondo visioni diverse e complementari in un panorama ancora poco esplorato.

Jan Fabre, Virgin Warrior, performance, 2004, Palais de Tokyo Paris, photo Attilio Maranzano, copyright Angelos

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Musica

Il potere non ama il rumore


Una colonna sonora per gli indignados?
Daniele Lombardi

a tempo si cominciato a parlare non soltanto sulle riviste specializzate della crisi del rock, e si dice anche che il jazz e la pop non stanno troppo bene: una caduta di consumi che sembra rientrare in una tendenza che riguarda in generale questi anni di crisi economica. Gino Castaldo sulla Repubblica del 6 gennaio ha pubblicato un lungo articolo intitolato Il silenzio del rock che esordiva dicendo: Ma allora proprio finita? I giovani trovano luoghi e ragioni per nuove proteste, che si chiamino Indignados o Occupy Wall Street, ma curiosamente, forse per la prima volta nella storia moderna, non esiste una colonna sonora che racconti di queste nuove esperienze.

Gianna Nannini, in unintervista sul Fatto Quotidiano del 13 gennaio scorso, diceva Il rock non un genere: una maniera di ribellarsi. La musica ha sempre dato suono alle vicissitudini delle ondate generazionali, si pensi allintreccio tra il free jazz, agli scritti come Rumori di Jacques Attali, la Musica Totale del nostro Giorgio Gaslini, le improvvisazioni di Cornelius Cardew nel periodo in cui scrisse Stockhausen al servizio dellimperialismo, tanto per tornare una quarantina di anni indietro. passata tanta acqua sotto i

ponti dal giro di boa che ha mutato la prospettiva filosofica della creazione non soltanto musicale, Duchamp, Fluxus, happening e concettualismi non facevano altro che far davvero germogliare i semi di tante avanguardie storiche: Futurismo, Dada ecc. La punta di diamante di una ricerca e innovazione a met del secolo scorso lo strutturalismo integrale di Karlheinz Stockhausen e Pierre Boulez, frutto di un darmstadtiano positivismo sorretto dalla cultura franco-tedesca ha portato la musica fuori dal contesto di un possibile largo pubblico. Il prodotto sonoro di quella ricerca non era pi un intrattenimento, bens una liturgia: un rituale, un percorso di grande arte ma impegnativo. Ferruccio Busoni aveva parlato di montagne da salire, a volte forse con fatica, ma via via il punto dosservazione pi alto offriva un panorama sempre pi vasto. Secondo questa immagine la musica che venne fuori dai Ferienkurse di Darmstadt era paragonabile a veri e propri sesti gradi superiori, per una tipologia di rarissimi ascoltatori: il mondo andato da unaltra parte. Nella fase storica delle avanguardie del secondo dopoguerra la dialettica tra strutturalismo integrale e idea di aleatoriet sono state sintomo di un horror vacui cui si reagito con un transavanguardistico neoromanticismo, un minimalismo, esperienze varie per ritrovare ritmo, melodia, armonia, timbri e convenzioni postmodern. Da

questo sono nati meravigliosi cuochi che hanno confezionato cibi sonori i pi vari, nei quali le interazioni, le fusions sono state dettate da un mestiere eccelso e tutto questo appartiene a un eldorado di beni artistici musicali, ma sempre nellambito di una ricerca che poco ha avuto a che fare con un immediato indotto commerciale. Il regime che si creato con il villaggio globale mediatico per andato di pari passo con un genere consumistico che dallarte passava alla applicazione quotidiana, una musica che sta nella pubblicit, nelle discoteche, nel cinema dazione e di vari generi che arricchiscono le distribuzioni, in una dimensione lounge e cos via. Su questa strada facile dirottare dalla filosofia alla gastronomia, dal carburante per il pensiero, il cervello e percorsi emotivi profondi a unimmediatezza emotiva che ricorda i sapori della cucina. Cage aveva portato in Europa lalea, il caso, il silenzio di 433 e statements come qualcosa accade sempre: una sospensione totale della nozione di valore, unestetizzazione narcisistica non soltanto dellatto creativo, ma del vivere tutto, dal proprio e laltrui respiro in poi, con modalit interattive liberatorie, frutto di un passo avanti oltre la precedente radice anarchica che per anni gli aveva fatto dire cose forti nei confronti delleconomia di mercato americana. Oggi possiamo vedere come lo scontro dello strutturalismo con le esperienze di concettualizzazione in notazioni dazione a volte persino autonome dallese-

cuzione, sia dimenticato e centrifugato dai media e dalla realt di una musica di vasto consenso.

a grande rivoluzione del Novecento per alcuni stato il jazz, per altri il mondo del digitale, per altri ancora un ancoramento alla tradizione, tenere duro dai merli della torre davorio, ad altri poi basta essere accarezzati come una brezza dalla lounge: insomma i tanti generi creano tante modalit di ascolto, lo diceva anche Adorno mezzo secolo fa. Il brivido nasce nellazzardarsi a mettere accanto Messiaen e i Velvet Underground, Miles Davis e Luigi Nono, vedendo se possibile, contro un mercato che non fa capire pi nulla, orientarsi a ventaglio su tutto questo e spaziare su un panorama di musiche diverse, ma con atteggiamenti diversi. Cos che pu legare nellascoltatore lemozione di uno spiritualista come Arvo Prt e la ferocia del pianismo di Cecil Taylor? Non certo la comunione di prospettive, ma il fatto che lascoltatore possa mettere queste avventure cos diverse tutte chiamate Musica in uno stesso punto dinteresse, possa crearsi una mentalit vasta su generi e usi e le loro contaminazioni. Purtroppo si applicano canoni estetici, e interpretazioni omologanti, mentre tante musiche sono singole isole a volte difficilmente collegabili. Su tutto sta il mito della globalizzazione, un generalismo culturale che produce unosmosi distratta, la musica diventa cos come sottofondo della vita.

Un secolo a memoria
Vivere la musica di Roman Vlad
Michele Emmer
Una donna vestita di scuro che lega una capra a una sedia. Il cielo sereno, in fondo si scorge una torre, un campanile forse. La scena si svolge su una grande distesa verde. Il film in bianco e nero, siamo nel 1948. Un lievito di vento, la gonna della donna si muove. Altrimenti tutto, per pochi istanti immobile. Ed ecco risuona una nota, una nota sola e a met dellorizzonte appare una vela, una barca che sta tagliando in due la grande distesa verde. Man mano che la barca avanza, unaltra nota lontana dalla precedente, distinta. La donna accarezza la capra, loro sono in primo piano. L, la vela continua ad avanzare. E la macchina da presa si alza, a mostrare quasi tutta la barca unaltra nota. E la donna e la capra man mano che la macchina da presa si alza, scompaiono in basso nellinquadratura. Ed ecco le macchie dacqua, il canale, la barca che naviga. Non terra, non mare, le vele passano per questa terra di mare, per questa strada di mare, parole dette dalla voce inconfondibile di Gino Cervi. E ora, ecco si vede la grande laguna, siamo vicino a Venezia. lo stupefacente inizio del film documentario di Luciano Emmer Isole nella laguna. Quella musica, quella nota sono il commento sonoro allinizio del film, ne autore Roman Vlad. Cos ricorda Vlad: Luciano Emmer aveva sentito alcune mie musiche al teatro delle Arti; era molto giovane e aveva iniziato a sperimentare un genere del tutto nuovo nel cinema, cio la lettura cinematografica di grandi capolavori della pittura rinascimentale, classica e romantica. Nei primi documentari darte utilizz per il commento musicale composizioni di grandi autori quali Prokofev, Stravinskij, Ravel e simili, incisi su disco, era sposato con Tatiana Grauding, figlia di un noto produttore discografico (lavorava alla Voce del padrone, era Lettone, si chiamava Otto Grauding, nota mia). Si era in pieno periodo bellico e nel caos legislativo esistente i diritti dautore non venivano protetti. Quando Emmer decise di commercializzare i suoi prodotti, si accorse di non poter utilizzare queste musiche perch non ne aveva i diritti, e quindi fu costretto a servirsi di musiche scritte per lo scopo, assolutamente originali e quindi si rivolse a me Mi attraeva lidea di dover sostituire musiche di Prokofev, Strawinskij e Ravel debbo dire che la collaborazione fu molto fruttuosa: diventammo veramente amici e quei documentari ebbero un grandissimo successo tra gli intellettuali, gli intenditori di cinema. A proposito di Isole nella laguna aggiunge Vlad: A volte nella musica da film i risultati migliori si ottengono con mezzi molto semplici. In Isole nella laguna usai come commento una sola nota suonata dal vibrafono, ripeto: una sola nota, che considero la pi bella e funzionale tra le scritte da me per il cinema. Piacque anche a Ren Clair che mio affid la composizione musicale del suo film La beaut du Diable. Dal 1948 sono passati molti anni, ma il ricordo nella mente di Vlad rimasto intatto. stato appena pubblicato Il suo libro autobiografico Vivere la musica (Einaudi 2011). I ricordi sono rimasti l, vivi e presenti nella mente di questo grande conoscitore di musica, grande amico di musicisti e di artisti di tutto il mondo, il grande affabulatore che non si vuole mai smettere di sentire quando inizia a ricordare. E dei ricordi parla il libro. Racconta si dovrebbe dire, visto che il racconto di Vlad stato registrato dalla sua viva voce e poi trascritto, senza poter naturalmente rendere del tutto quella sua capacit di iniziare un racconto, di legarsi ad altre idee che gli vengono in mente nel frattempo, poi riprendere e ripartire, letteralmente senza una fine. Sono immerso nella musica da quando ho memoria di me, cos comincia il racconto. E i ricordi, gli incontri, gli episodi, i giudizi, la musica fluiscono. E anche la sua storia vale la pena di sentirla raccontare, anche da chi, in parte, la conosce gi. In parte perch il racconto, come per tutti i grandi affabulatori, sempre, perennemente diverso. Nasce in Bucovina, a Vascauti, a quaranta chilometri da Czernowitz nel 1919. Citt dellImpero austro-ungarico, restituita alla Romania nel 1920, occupata dai Sovietici nel 1940, dai nazisti nel 1941, poi divisa tra Romania e Unione sovietica, alla caduta del muro Ucraina e la grafia diventa Cernivci. Anche il suo nome cambia da Vlad in Wlad per poi tornare Vlad. Chi incontra Vlad nella sua lunga vita? Parte per Roma nel 1938 per studiare con Alfredo Casella, che ignorava il suo arrivo. Ricorda di aver conosciuto Zoltan Kodly e Bela Bartk, Prokofev che suoner a Roma nel 1939. Studier per un certo periodo ingegneria (la ragione ufficiale per la quale era arrivato in Italia) sostenendo esami di fisica e analisi con Ugo e Edoardo Amaldi. Poi la guerra. Racconta dei suoi inizi artistici nella composizione musicale, ma parla poco di musica nel libro. Parla molto di pi delle sue esperienze, dei suoi incontri, dando giudizi anche sferzanti sulle persone che ha incontrato. Non dimenticando di raccontare le storie dei principi Vlad, in particolare spiegando il nome di Dracul che spettava a Vlad III (1431-1476). Tra i ricordi pi vivi la musica realizzata in 24 ore per il commento al film di Zeffirelli, con speaker Richard Birton, girato dal regista durante lalluvione di Firenze. Il film serviva a raccogliere fondi per aiutare la citt nella ricostruzione. Tra gli incontri con tutti i musicisti importanti che vengono in mente negli ultimi cinquantanni, vi un incontro che segner per sempre Vlad: Nel corso della mia vita ho incontrato i pi grandi esponenti della cultura e della musica del Novecento; fra questi giganteggia Igor Stravinskij con il quale ho avuto un rapporto straordinario, una amicizia lunga, sincera e bella. Sono tante le pagine in cui Vlad parla del compositore russo, a cui ha dedicato uno straordinario libro Modernit e tradizione nella musica contemporanea: Stravinskij (Einaudi, 1958). Nel 1960 Stravinskij doveva dirigere un concerto a Roma, era molto teso, per distrarlo Vlad ha unidea: Conoscendo il profondo amore di Igor per larte figurativa prima del concerto mia moglie Licia, che lavorava allIstituto centrale del restauro, lo condusse in Istituto per ammirare da vicino, quasi una eccezionale visione privata, unimportante tela di Piero della Francesca, la Madonna di Senigallia, in quei giorni a Roma per restauro. Un commosso ricordo per Giuseppe Sinopoli che aveva diretto alcuni lavori di Vlad. Alcune osservazioni sulla musica, disseminate qui e l. Per comprendere e capire come fatta la musica non basta losservanza della regola, occorre analizzare e studiare i modelli, le opere dei grandi compositori. Alla fine del suo raccontare: Non ho mai programmato di diventare compositore Per quanto mi riguarda non posso dire che la mia musica non abbia avuto successo; ma un successo assai maggiore arriso alla mia persona, considerata nella sua attivit globale. Le mie composizioni sono state pubblicate ed eseguite... Vorrei sperare che in futuro lo siano maggiormente, e che queste musiche, alle quali ho dato vita e nelle quali ritengo di aver dato il meglio di me, continuino a vivere. un peccato che la grande capacit affabulatoria di Luciano Emmer e Roman Vlad non abbia potuto essere registrata prima della scomparsa del regista per incidente stradale nel 2009. Era coetaneo di Vlad. Era un piacere sentirli parlare insieme della vita del nostro mondo.

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Le nuove generazioni vivono di Rock, Pop, Jazz, Country, fusions e non hanno accesso ai grandi beni musicali, alle opere geniali del novecento, atolli di sperimentazione, che fanno capo alla strada maestra dei conservatori, dove la formazione di un musicista darte basata su prospettive dannatamente serie e profonde, sul fatto che la musica come la filosofia, come uno spiritualismo simile a una confessione religiosa. Maestri sopraffini hanno coltivato legioni di giovani compositori alla nobile arte del contrappunto e dellarmonia, a tutti quegli stilemi che unanalisi della musica dei secoli passati ha visto creare, sviluppare, espandere e distruggere per altri stilemi che accompagnavano i tempi futuribili. La musica giovanile, diciamolo, in questi anni ha proposto non sempre fatti musicali rilevanti. Affidata sempre pi alla mitizzazione di figure di cantanti, complessi o jazzisti, tanti grandi successi sono stati possibili anche per il desolante abbassamento della competenza comune musicale, risultato di una decennale assenza di formazione scolastica. Si teso poi soltanto a un immediato ormonale piacere dellascolto, fatto di timbriche e ritmiche di forte impatto. In questo senso, poi, il pop e gli altri generi hanno cambiato radicalmente latteggiamento dascolto, al punto che Boulez o uno degli ultimi capolavori di Beethoven necessitano di una stessa concentrazione, sulla forma espressa dai suoni, pari a quella di chi la sta eseguendo, Busoni disse che questo era come un tiro alla fune che aveva ai due estremi esecutore e ascoltatore. Da allora lattenzione fluttuante pare aver sostituito questa modalit concentrata e meditativa, gli ascoltatori si sono abituati a una percezione velocizzata e da sci acquatico. Sarebbe sbagliato emettere giudizi di valore tout court, ma sono essenziali delle definizioni di campo per far convivere democraticamente musiche assai diverse, di diverse epoche, di diverso ascolto, dunque di diversa fruizione, ma tutte degne dinteresse. Non si pu andare a discutere di filosofie con i grandi cuochi, n far diventare bulimici dei filosofi anoressici e questo banale ma non si possono mettere queste due figure contrapposte allo stesso tavolo di discussione omologando il tutto con una presunta identit culturale comune, come forse metaforicamente si pu osservare nella Biennale di Venezia 2011 targata Sgarbi. Agli inizi del secolo scorso il vero primo teorizzatore di una possibile musicalizzazione del rumore, il suo uso per una nuova musica e una nuova estetica stato certamente Luigi Russolo con il suo manifesto LArte dei Rumori. Cancellata dagli eventi storici e incompresa nella sostanza utopica, lArte dei Rumori e i primordiali Intonarumori, con il passaggio dalla meccanica allelettronica, stata poi ripresa a Parigi con la Musique Concrte, resa possibile dai primi magnetofoni, e poi da John Cage che di Russolo aveva soltanto sentito parlare. La storia del rumore una storia di precursori degli Indignados, i quali tentavano utopie certo, una sensibilit diversa, e oggi si pu dire che nel grande magma di avvenimenti tante cose erano banali, altre infantili, altre sul filo della provocazione, ma lidea che possa esistere unestetica del caos organizzato in un nuovo modello formale che rivoluziona i parametri musicali resta lidea di una disobbedienza a speculazioni di sistemi come la numerologia, a criteri di profitto se si pu dire estetico, se per estetica si intende il consueto piacere dellascolto alla ricerca di nuovi modelli interindividuali, dove la creativit non viene pilotata da convenzioni coatte. Oggi lindustria che pilota la musica con esecuzioni, edizioni, approfondimenti etc. privilegia musiche certamente pi appetibili e immediate, le grosse catene di distribuzione non ammettono sperimentazioni al di l di un immediato consenso, riproducendo modelli di sviluppo paralleli a quelli delleconomia che combattono gli Indignados: da l non pu venire una musica consumabile per loro. Il discorso poi molto pi complesso, le musiche sono tante, tante sono le diverse finalizzazioni, fermo restando che ogni genere, dalla musica da film a qualsiasi altra fusion, possono essere fatti artistici, e il loro passaporto per la diffusione un percorso obbligatoriamente commerciale e il pensiero artistico non pu essere limitato a un vincolo di piacere immediato, ma questo presuppone una diversit di modalit di ascolto. logico che cos si cerchino patti chiari e amicizia lunga, sia per la hit parade della pop e del rock, che per la Quinta Sinfonia di Beethoven, o la Nona, o la canzone O sole mio, tutta musica destinata a largo consenso e commerciabilit. Se si conservasse nel confronto tra arte e intrattenimento latteggiamento di sacralit individuabile nella linea Beethoven-Brahms-Schnberg-Stockhausen, tanto per indicare un impegno sotteso, si potrebbe veramente gridare alla banalit di molte altre: effettivamente poi la competenza comune cui sono destinate sempre pi bassa e siamo veramente a un uso dalla musica en tapisserie che fa ridiscutere il suo ruolo storico. Resta di fatto che il nostro grande patrimonio di beni musicali del secolo scorso, 100.000 partiture e forse pi, tutto da prendere in esame, come una Galleria degli Uffizi di suoni che se ne stanno l, nei loro progetti grafici, ad aspettare che qualcuno li suoni e altri li ascoltino. La percentuale che viene eseguita di queste musiche, rispetto agli altri generi tuttora esigua, e per le nuove generazioni ancora pi; sarebbe una bella rivoluzione un trend che portasse gli Indignados a cercare e ad ascoltare musiche equivalenti al loro impegno sociale riducendo al minimo gli intrattenimenti da happy hour. Si sarebbe indotti a pensare che una delle poche musiche future per dare suono o rumore a questi indignados sia quella che passa oltre laccettazione o la negazione di sistemi formali, forse la musicalizzazione del rumore come speranza di una nuova estetica che si basi su happy new ears. Quanto sia possibile unespressione musicale subliminale attraverso sistemi sonori caotici, e quanto questo possa diventare sistematico non lo pu stabilire neanche il pi grande studioso di meccanismi neurologici, ma nellinterattivit passa unenergia che la sostanza della potenzialit profonda del suono. Gi Alberto Savinio temeva questa forza misteriosa della musica oltre la comunicabilit di strutture che relegavano levento in una dialettica di moto stasi, consonanza dissonanza, piacevole sgradevole, in contrapposizioni che lui vedeva come strategie di difesa. Avremo anche un futuro dimprovvisazione e di nuova arte dei rumori che trova in essi la forma, che non li usa per costruire architetture la cui statica dettata da convenzioni superate, codificata nelle forme di una interattivit che accetta tutto, anche qualsiasi musica del passato, con un sorriso, curiosit e pazienza, come ci ha insegnato Cage? La musica darte, in questo nuovo contesto, potrebbe trovare nuova attenzione e un rinnovato coraggio di sperimentare e inventare davvero nuovi modelli, modelli che per sono condivisi dagli ascoltatori, visto che negli ultimi trentanni il panorama sonoro profondamente mutato e arricchito da nuovi suoni che Russolo, ma anche il Pierre Henry della Musique Concrte di sessantanni fa, non potrebbero oggi immaginare. La musica non cambia il mondo diceva la Nannini nella intervista sul Fatto Quotidiano al massimo, informa, e questo va ricordato nella necessit di nuovi modelli di convivenza in cui ridiscutere differenze duso di tutte le musiche, cos come va ricordato che Luigi Nono diceva che limportante camminare per chiarire le proprie mete. Lattuale interattivit delle community per fortuna viaggia sullimmediatezza della comunicazione senza strategie di preparazione, con i limiti e i vantaggi di questa formazione in fieri. Se questa nuova realt sar un binario possibile per levoluzione di nuovi modelli culturali e artistici generati dal basso, come si suol dire, da un crescente numero di indignados, allora si potr ripensare la forma e la funzione della musica, stabilendo per esempio una finalizzazione diversa delle tante musiche che oggi sono poco identificabili nel loro uso. Vorrei vedere Edgard Varse navigare in internet

Cinema

L avanguardia non finita


Kenneth Anger al MOCA di Los Angeles
Paolo Bertetto

avanguardia non finita e nemmeno lunderground. E il Museum of Contemporary Art di Los Angeles lo afferma con una grande retrospettiva dedicata a Kenneth Anger (13 novembre 2011-27 febbraio 2012), filmmaker assolutamente anomalo del cinema sperimentale, che ha segnato la sua vita e il suo cinema con una radicalit del tutto particolare. Artista maudit per eccellenza, trasgressivo come lo erano gli artisti della galassia underground, satanista seguace di AlistairCrowley, vicino a storie criminali (il suo vecchio partner Bobby Beausoleil legato al gruppo Manson ed coinvolto in una storia di omicidio), autore di libri scandalo (Hollywood Babilonia I e II), collezionista di memorabilia hollywoodiani, Kenneth Anger approda a pi di 80 anni al Moca con unampia retrospettiva che sancisce la sua inscrizione nel tempio dellarte contemporanea, come artista riconosciuto ufficialmente. E dunque istituzionalizzato e santificato. Una bella sorte per un maestro di trasgressione. Ma anche una giusta affermazione di unavventura creativa che forse nella sperimentazione Usa non meno importante del cinema di Brakhage e di Warhol. Anger lartista maledetto, che crea una propria mitologia della trasgressione, con un occhio alla tradizione romantica (ma anche magico-alchemica) e un altro ai percorsi borderline americani. La sua idea di avanguardia innanzitutto unaffermazione dellossessivit soggettiva come territorio dellarte. Anger rivendica non solo la legittimit, ma la forza eccedente dei fantasmi e

contrappone al cinema narrativo-rappresentativo la prospettiva della figurazione dellinconscio e delle dinamiche pulsionali. I flussi travolgenti del desiderio si mescolano alle fissazioni psichiche, i grumi sado-masochistici si intrecciano alla ricerca sulla soggettivit e alla volont di scoprire lio profondo. Da Fireworksa Scorpio Rising, Anger configura una mitologia dellidentit e del soggetto alternativo e differente, in cui il desiderio diventa un vettore di verit, svela una esplicita opzione omosessuale e contribuisce a delineare nuove configurazioni e nuove immagini di riconoscimento collettivo. Fireworks, realizzato nel 1947 a 17 anni, una forma intensiva di trance film, che attraverso la dimensione del sogno scava nei percorsi pulsionali e fantasmatici dellautore stesso, e costituisce, insieme a Meshes of the Afternoon di Maya Deren, il modello della nuova sperimentazione americana, visionaria e radicata nelle profondit psichiche. E Scorpio Rising che uno dei film underground di maggiore successo contribuisce a costruire la mitologia omosessuale del desiderio e della bellezza, concretata esemplarmente nella figura dellAmerican Biker e della sua Dark Legion e nellesibizione dei giacconi di pelle nera, delle borchie e delle decorazioni di metallo. Scorpio Rising elabora una configurazione complessa di feticci e di oggetti di attrazione, destinati a delineare le icone del gusto omosessuale di massa. Insieme luso della musica pop degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta (da Blue Velvet a Wind-Up Doll, da Ricky Nelson a Elvis Presley) realizza un nuovo incontro tra sperimenta32

zione e cultura popolare, tra high brow e lowbrow, che anticipa opzioni significative della ricerca artistica successiva. Insieme Scorpio Risingafferma il carattere necessariamente trasgressivo dellavanguardia radicale, che non si oppone soltanto ai modelli testuali della tradizione, ma anche ai valori e allimmaginario diffuso, elaborando nuovi percorsi esistenziali segnati dallillegalit e dalla rivolta, al di l delle regole accettate e della legge. Ma gi negli anni cinquanta Kenneth Anger aveva aperto un nuovo itinerario di ricerca, volto non solo alla creazione di un orizzonte visionario del tutto personale, ma anche alla esaltazione del mondo esoterico e dei princpi e dei modelli del pensiero magico di Alistair Crowley. Con Inauguration of the Pleasure Dome, infatti, Anger costruisce un complesso rituale di iniziazione esoterica, caratterizzato dalla sperimentazione di una nuova libert del desiderio, che riflette unesperienza magico-spirituale del tutto particolare. Nella cerimonia descritta, i personaggi, spesso interpretati da adepti a gruppi esoterici californiani (Samson De Brier, Cameron, ma anche Anais Nin e Anger nella parte di Ecate), acquistano le sembianze di personaggi della mitologia classica e delle religioni indiana ed egizia, inscrivendosi in un rito di rafforzamento delle potenzialit del soggetto e di liberazione delle energie nascoste. una cerimonia che punta a una identificazione con gli dei antichi, trasformati dalla tradizione magica, e a una intensificazione delle esperienze e trova nellorgia finale il suo momento di massima tensione: i soggetti liberati e arricchiti dalliniziazione

finiscono per realizzare il principio di Crowley: Ci che tu vuoi sia la tua legge. Questa esperienza di trasgressione forte anche unesperienza di raffinamento dei soggetti che, nellunione con lincarnazione del dio Pan, raggiungono una sorta di fusione con il tutto. Anger costruisce questo processo rituale attraverso un uso straordinariamente intensivo dellimmagine, che trova la sua cifra linguistica nella realizzazione di numerose sovraimpressioni. La moltiplicazione delle immagini nella stessa inquadratura che giungono fino a sette (!) non solo allarga infinitamente lorizzonte del visibile, ma crea una dimensione di corrispondenze, di analogie e di simboli, che sembrano ridisegnare il mondo e i soggetti. E lintreccio di un montaggio rapido e a volte eidetico e delle sovraimpressioni permette la realizzazione di un mondo visionario dalla straordinaria intensit visiva. Lattenzione al mondo magico si afferma ulteriormente nei film pi tardi, che segnano una radicalizzazione dei temi esoterici. Oltre a Lucifer Rising, sorta di work in progress del messaggio magico dellautore, Invocation of my Demon Brother, che si avvale di un singolare accompagnamento musicale di Mick Jagger, realizzato con un sintetizzatore Moog, mostra direttamente un rituale demoniaco con Kenneth Anger nel ruolo di officiante. E al film nel ruolo del diavolo partecipa anche Anton LaVey, allora capo della Church of Satan (e interprete del medesimo ruolo anche in Rosemarys Baby di Polanski). La dimensione cerimoniale assume qui una nuova forza e in alcuni passaggi diventa anche

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particolarmente inquietante. Anger sviluppa una messa in scena di assoluta intensit, in cui la registrazione del rito si mescola allemergenza di figure e di simboli misteriosi, che delineano la scrittura filmica come traccia oscura di un universo esoterico. Insieme la ripetizione del tema musicale accresce il carattere ossessivo della cerimonia e la rende una sorta di cifrata discesa negli abissi. Ma al di l delle latenze simboliche e delle icone enigmatiche, il cinema Magick di Kenneth Anger mantiene una forza assolutamente singolare, in cui mirabilmente si fondono intensit e differenza, trasgressione e spettacolarit. un cinema che rifiuta limmaginario e la visione del mondo tradizionale e repressiva e attiva flussi di desiderio liberato, macchine schizo capaci di disgregare le cristallizzazioni repressive. In questa prospettiva anticipa i discorsi della psichiatria non repressiva e dellantipsichiatria, o delle istanze rivoluzionarie dellAnti-Edipo di Deleuze e Guattari. Fireworks davvero il prototipo di un cinema che lascia emergere la forza e lanomalia del desiderio, segnato anche da elementi masochistici, e costituisce il modello delle esperienze pi radicali e pi riuscite dellunderground americano. Un cinema del flusso schizoide contro lordine, dellaffermazione delleterogeneo contro le strutture pi rigide del discorso. Un cinema esemplare del passato, della grande stagione dellavanguardia o una macchina immaginaria ancora capace di influire sulloggi? In un momento di omologazione linguistica o di intrecci complessi tra livelli comunicativi ed espressivi, che delineano la nuova frontiera delle forme simboliche, cosa rimane dellavanguardia e della sua storia? Resta lavanguardia pi innovativa, restano le esperienze di alterit profonda che modificano lorizzonte immaginario e la messa in scena. Restano le ossessioni psichiche, le micronarrazioni anomale, le emergenze dellaltro, le scene inconsce, la riflessione sul vedere. Restano le sperimentazioni innovative correlate a frammenti di narrazione. Nella grande avanguardia franco-tedesca e poi americana, ci sono in fondo tre linee ancora significative. Da un lato libridazione, la sperimentazione linguistica, il mixage di tecniche diverse (Entracte di

Basta fobie
Romeo Castellucci a Milano
Marco Rovelli

ono tornato dopo ualche anno a vedere unopera della Societas Raffaello Sanzio grazie ai gruppuscoli di integralisti cattolici che avevano annunciato le contestazioni alla rappresentazione al teatro milanese Franco Parenti per la messa in scena di Sul concetto di Volto del figlio di Dio. Be, li ringrazio per la loro stolida ottusit. Il Parenti era strapieno, e molti erano l semplicemente a difendere la libert despressione. Ma poi hanno assistito a uno spettacolo che meritava desser visto. Questultima di Romeo Castellucci unopera breve, densamente concettuale e agisce come unostensione che invita alla meditazione. L ostensione , a un tempo, della merda e di Cristo. Nulla di stupidamente provocatorio, va da s. E non c bisogno di scomodare Bataille, la parte maledetta, scatologica, del divino. Qui c un Sacro annichilito dal Male, dallimpotenza, ridotto a Nulla pur non cessando di essere Sacro, pur non cessando di essere. Allinizio, nella penombra, il gigantesco Volto di Cristo (il Salvator Mundi di Antonello da Messina che riempie la scena, e che alla fine verr coperto dinchiostro, e squarciato) pare che muti di forma, se lo osservi fissamente: nella penombra, la vista non lo ferma. Egli sfugge. Pare, quella mitezza del Volto, una mitezza deforme e inafferrabile, e per questo terribile. Inizia di l il disfacimento del Volto di Cristo, che il disfacimento della Bellezza eterna, la quale non pu che cedere di fronte allincarnazione e al disfacimento che le proprio. levidenza del Male, l sulla scena, a disfare il Volto. Il Male sulla scena ha le sembianze di una estenuata solitudine, e sullo sfondo il mondo ridotto a un brusio (testimoniato dallincessante basso continuo delle voci asignificanti della tv accesa, che poi verr anchessa cancellata): una solitudine di due persone che non hanno pi niente in comu-

ne se la non la propria solitudine e una volont disperata di tener vivo un legame ormai disfatto. C infatti di un padre incontinente, che non si tiene pi in disfacimento , ridotto allimpotenza (sole tracce di s, la merda che non tiene: sono i resti a sopravvivere), un Padre umiliato di fronte al Figlio il figlio che lo cura, che cura, pietas, ma che non salva. Allimpotenza umana, al gemito balbettante del padre e alla disperazione del figlio, non pu che rispondere limpotenza divina. Non c scampo, a questa impotenza, al paradossale scacco dellimpotenza del tremendum: allo stesso modo, la luce bianca, algida, della scena teatrale illumina tutto senza piet, non lascia alcun angolo oscuro in cui nascondersi, in cui trovar rifugio, non ci pu essere alcun pietoso lenzuolo come quelli che si mettono sopra un cadavere. Su una vita in disfacimento non si pu stendere alcuna coltre di piet. Il Padre balbetta, si fa figlio infante del Figlio. Piange e parla nello stesso tempo, e il figlio protesta: Se piangi e parli nello stesso tempo io non capisco. Ma non c pi nulla da capire ormai in questo disfacimento: uno scandalo che non pu cessare. Tu (non) sei il mio Pastore, la scritta che compare sul Volto ricoperto dallinchiostro (la Parola delle Scritture che si sciolgono?), e sulla scena non c che rumore. in quellintermittenza del non, lo scandalo. La luce si spegne gradualmente, di nuovo la penombra, un sussulto di luce accecante prima dello spegnimento finale, mentre il rumore si disfa nel silenzio. ovvio che per chi chiede al Sacro di essere la logica ottusa ed esclusiva di una base identitaria, tutto questo non pu che risultare materialmente e politicamente inaccettabile, ed essere blasfemo, e Castellucci merita linferno eterno, com scritto sul blog Basta Cristianofobia.

Clair, Ballet mcanique di Leger Murphy, Vormittagspuk di Richter, Emak Bakia di Man Ray, Anticipationof the Night e i Songs di Brakhage). Dallaltro la linea concettuale e prevalentemente monomorfica di Duchamp (Anemic Cinema) di Warhol (Sleep, Empire), Snow (Wavelenght, Back and Forth), Sharits (N:O:T:H:I:N:G), Conrad (Flicker), Belson (Mandala) e di unautrice anomala destinata al cinema narrativo come Akerman (News from Home). E infine, e soprattutto, una prospettiva che non cancella il narrare ma lo subordina allirruzione dellaltro, delleterogeneo, del fantasma, del desiderio, dellinconscio: Germaine Dulac (La Coquille et le clergyman), Bunuel (Un Chien andalou, LAge dor), Maya Deren (Meshes of the Afternoon), Brakhage (Dog Star Man e la versione lunga The Art of Vision, Window Water Baby Moving, Scenes from under Childhood), Jack Smith (Flaming Creatures), Warhol (Vinyl, Chelsea Girls, Four Stars), Rice (The Queen of SheebaMeets the Atom Man). E Kenneth Anger naturalmente. una linea che ancora oggi ci pu catturare e affascinare.

Jan Fabre, Sanguis Mantis 2001, Festival Polysonnieres Lyon

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Universit e ricerca
Manifesto TQ/4

universit italiana unistituzione ben lontana oggi dal poter adempiere agli obblighi di pieno sviluppo della persona umana (art. 3) e riconoscimento del diritto al lavoro (art. 4) previsti dalla Costituzione. La politica di sinistra (a partire dalla riforma Ruberti e soprattutto con la riforma Berlinguer-Zecchino) e poi la politica di destra (la riforma Moratti e quella Gelmini) hanno condiviso lidea che la formazione e la ricerca universitaria dovessero essere professionalizzate, costantemente rimodulate attraverso lofferta di saperi usa-e-getta che hanno vita breve su un mercato del lavoro altamente precarizzato. In particolare attraverso le politiche di taglio delle risorse e di valutazione burocratica messe in atto con lultima riforma si avviato un processo di trasformazione delluniversit pubblica in un sistema a due velocit, inevitabilmente destinato ad approfondire invece che ad attenuare le diseguaglianze sociali: da un lato gli atenei di eccellenza e dallaltro atenei minori, dove paradossalmente le istanze qualitative dei corsi, il loro contenuto critico e il livello culturale sono sacrificati in nome della produttivit numerica (il numero di laureati). I presupposti ideologici che hanno orientato la riforma universitaria varata dallex ministro Gelmini non sono mai stati offerti alla discussione pubblica, forse per timore di rendere esplicito un atteggiamento conflittuale palesemente in contrasto con le politiche culturali europee. Gli stessi presupposti diventano tuttavia trasparenti se consideriamo i provvedimenti adottati sullo sfondo di molteplici affermazioni dei ministri del precedente governo, sommarie e non di rado insultanti. Senza mai valutazioni di merito o indagini specifiche, gli insegnanti, particolarmente universitari, sempre pi spesso in tempi recenti sono stati populisticamente chiamati a rispondere ad accuse di improduttivit e privilegio. Di contro, la propaganda a sostegno della riforma e di ununiversit per pochi abbienti stata alimentata da retoriche mistificatorie: si invocavano nozioni come eccellenza o merito quali direttive ispiratrici della nuova universit mentre le si svuotava di senso. Non si pensato di destinare alcunch al sostegno dei capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi richiamati dalla Costituzione. Si sono invece tagliate borse di studio, corsi di master e dottorati avviando processi di emigrazione culturale senza precedenti, che sottraggono al paese risorse intellettuali preziose. La campagna politico-mediatica contro luniversit, istituzione chiamata dai costituenti a promuovere rigore e competenza e a riparare vistose diseguaglianze sociali, non risulta essersi accompagnata, nel corso delliter legislativo, al proposito virtuoso di correggere le gravi distorsioni del sistema concorsuale, oggi persino pi localistico e baronale che in precedenza; n ha infranto colpevoli consuetudini del ceto accademico consolidato con linstaurazione di processi di selezione per merito. Al contrario: alla luce dei provvedimenti presi (ad esempio per quanto

Jan Fabre, Sanguis Mantis 2001, Festival Polysonnieres Lyon

concerne la disciplina dei concorsi) possiamo concludere che il potere accademico dei professori ordinari non solo non stato eroso, ma si consolidato in monopolio.

a richiesta di ununiversit pi qualificata e collegiale, avanzata dai movimenti studenteschi, stata prima stigmatizzata, poi irresponsabilmente disattesa, fino allattuazione, con la legge 240/2010, di un governo verticistico e autoritario degli atenei: si sono assegnati quasi tutti i poteri di indirizzo e di controllo ai rettori, ai direttori amministrativi e ai dirigenti e si sono ridotti a istituti consultivi (quando non sono stati eliminati del tutto) gli organi collegiali preesistenti. Bench la complessit della questione universitaria renda assai difficile lassunzione di un punto di vista unitario, valido al tempo stesso per le discipline tecnico-scientifiche e per quelle meno suscettibili di applicazione economico-industriale, obiettivo di ogni politica sulluniversit pubblica e libera deve essere la garanzia della ricerca di base in tutti gli ambiti del sapere: anche sotto questaspetto, riteniamo sia venuto il momento di superare la dicotomia storica fra di34

scipline tecnico-scientifiche e umanistico-sociali, poich la formazione superiore non pu e non deve essere offerta per comparti. La partecipazione di capitali privati un processo da incoraggiare nel quadro delle compatibilit previste per il ruolo sociale e civile di unistituzione culturale pubblica: al tempo stesso, non facilmente prevedibile al di fuori di ambiti tradizionalmente legati alla produzione, come ingegneria, chimica o farmacia, dove peraltro gi esistono collaborazioni significative. La riforma delluniversit deve soffermarsi sulle possibili difficolt di accesso al finanziamento da parte di discipline pure e prevedere misure per porre rimedio alleventuale disomogeneit del contributo privato. Concordiamo con quanto dichiarato dalla Rete 29 aprile: Il finanziamento della ricerca deve essere slegato da immediate dinamiche economiche e occupazionali e in nessun caso pu essere finalizzato alla sola ricerca applicata. In ambito internazionale ci si spesso confrontati, in tempi recenti e in coincidenza con la crisi diffusa dellistituzione universitaria, sullimportanza degli studi umanistici per la costruzione di comunit cosmopolite, riflessive e tolleranti, aperte al confronto, capaci di iniziativa politi-

ca, sociale, imprenditoriale. Linsegnamento umanistico universitario tuttavia oggi ridotto de facto, prima dallapplicazione della riforma Berlinguer, poi dalla riforma Gelmini, a unattivit discriminata e in via di liquidazione, sanzionata economicamente. Colpisce inoltre che competenze umanistiche, storiche e sociali risultino palesemente sottorappresentate nellAnvur, lagenzia nazionale di valutazione dellattivit scientifica dei docenti. Applicata sperimentalmente e in via preliminare proprio alluniversit, la politica dei tagli lineari risulta punitiva e dimissionaria, dagli ingenti costi sociali. Appare strategicamente discutibile, nel contesto politico, ideologico e legislativo ricordato, la posizione di blanda remissivit dei supremi organi di governo universitario. Occorre invece ribadire con fermezza che luniversit istituzione dello Stato, non di un qualsiasi esecutivo; ed chiamata a esaudire princpi fondamentali di democrazia e giustizia sociale. Criticare le riforme degli ultimi ventanni non equivale a difendere luniversit cos comera, n certamente a sostenere unidea di conoscenza come mera informazione, idea da cui discende la proliferazione in ogni citt di sedi universitarie e di dipartimenti a misura delle volont dei docenti influenti. Occorrono invece politiche che promuovano il valore dei saperi e dellattivit di ricerca dentro e fuori dalluniversit. Politiche simili possono e debbono invertire la direzione di un sistema che umilia le competenze, allarga le disuguaglianze sociali e brucia esperienze e risorse investite nella formazione di umanisti, tecnici e scienziati. Occorre dunque garantire tanto laccesso democratico alla professione della ricerca quanto la formazione qualificata degli studenti mediante specifiche protezioni. Inoltre, lintero ciclo formativo deve mirare alla promozione di un sapere critico in grado di superare il conformismo negli studi e conciliare innovazione e tradizione nel quadro di un ripensamento del rapporto tra universit e societ, tra sviluppo e tutela dei diritti. Deve essere affermato il principio che chi studia, chi insegna o fa ricerca allinterno o allesterno dellistituzione universitaria, con o senza contratto, borsa o progetto, ha diritto a garanzie di welfare come la continuit di reddito e lindennit di maternit, e a una previdenza equa, oltre che alla formazione permanente. Tq intende farsi portatrice di questo radicale rinnovamento promuovendo, attraverso gli strumenti che riterr di volta in volta opportuni, una discussione pubblica aperta ai diversi soggetti che potranno e vorranno concorrere allelaborazione di documenti dindirizzo e proposte e azioni condivise. Tq si impegna a contribuire alla creazione di una coalizione dei lavoratori della conoscenza, nel pubblico e nel privato, a salvaguardia e per il rilancio delluniversit e dellintero sistema della formazione in Italia. Obiettivo di Tq difendere, riqualificare e innovare i saperi, le competenze, i desideri di chi vive e lavora nelluniversit e nella ricerca.

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Bauhaus vs Gotham
I futuri possibili delluniversit
Michele Dantini

l processo che ha portato alla definizione del Manifesto Tq stato ampio e articolato. Vi sono state fasi di stesura per gruppi e fasi di emendazione assembleare. Tra linizio e la fine del processo sono corsi circa quattro mesi. Nel frattempo mutato il contesto sociale e istituzionale di riferimento, ma non le istanze di partecipazione, divenute se possibile persino pi impellenti. La riforma universitaria promossa da Mariastella Gelmini risponde a disegni egemonici piuttosto che a considerazioni tecniche, amministrative o contabili. Risulta di fatto mirata, invece che a emendare o perfezionare, a colpire un presunto blocco sociale da smobilitare e disperdere (i ceti riflessivi di Paul Ginsborg). I primi atti di Francesco Profumo non sembrano sventuratamente proporsi di bonificare distorsioni ideologiche o porre rimedio a cul-de-sac istituzionali. Esemplifichiamo. Con lentrata in vigore del Regolamento concernente il conferimento dellabilitazione scientifica nazionale per laccesso al ruolo dei professori universitari, in data 31 gennaio 2012, cooptazione e localismi risultano se possibile incoraggiati. La pubblicazione (a fine 2011) del bando di finanziamento dei Programmi di ricerca di rilevante interesse nazionale 20101011 (PRIN) ha destato dissenso per la restrizione delle risorse e la procedura. Si riducono ex ante le opportunit di ricercatori individuali, network giovanili e a team di ricerca che appaiano impegnati su temi troppo innovativi per essere accolti dalle burocrazie cognitive nazionali e comunitarie. La ricerca curiosity driver appare sacrificata a esigenze che il ministro stesso, in una recente intervista rilasciata al Sole 24 Ore, dichiara sistemiche.

Il processo di valutazione della qualit della ricerca risulta inoltre essere, per ammissione stessa di Sergio Benedetto, lingegnere che ne a capo, mirato a creare la distinzione tra teaching universities e researching universities: in assenza di unadeguata mobilit interuniversitaria e di processi di selezione trasparenti lintero processo deprime il contributo individuale e premia o colpisce in modo arbitrario a livello di Dipartimento. Vorremmo dirlo con chiarezza: disciplinare linvestimento pubblico in formazione e ricerca obiettivo condivisibile, come pure ridurre sprechi, qualificare i processi di selezione, ricostruire carriere su basi di competenza scientifiche e attitudini didattiche. Ma tutto questo non risulta essere stato fatto nel recente passato e non sembra neppure rientrare tra le priorit del nuovo ministro. evidente che la questione morale (o la rimozione di blocchi sociali, entusiasticamente perseguita dallattuale esecutivo con i decreti sulle liberalizzazioni) deve porsi con urgenza anche con riferimento agli istituti di alta formazione. Luniversit italiana ostacola oggi de facto mobilit sociale e gratificazione professionale, sottrae opportunit di avanzamento per competenza, dissuade dal praticare indipendenza e perseguire innovazione. Colpisce lirriflessivit con cui si consegnano le discipline artistiche, storiche e sociali a una marginalit crescente, malgrado la reputazione degli studi scientifici e le politiche a sostegno della creativit contribuiscano al prestigio politico, diplomatico, imprenditoriale di un paese. La semplice invocazione del termine internazionale, per quanto attiene alle discipline umanistiche, non chiarificatrice n di per s salvifica. Si

parte della cultura [umanistica] internazionale, oggi, se si capaci di costruire prospettive native, n mimetiche n subalterne; e si ricompongono storie situate nel punto di intersezione tra locale e globale. Ladozione di metodologie o topiche mainstream, di standard globali non invece in alcun modo premiata. Esistono attualmente sufficienti garanzie che la specificit delle discipline storiche e sociali sia riconosciuta e osservata in seno agli istituti di controllo e valutazione dellattivit universitaria? Le competenze in Humanities risultano palesemente sottorappresentate nellAnvur. I temi della sovranit linguistica, culturale e storiografica si intrecciano a elementari diritti di cittadinanza globale di cui potremmo a breve risultare sprovvisti.

ensiamo che luniversit debba (dovrebbe) essere un luogo di persone brillanti e di talento, con buona percentuale di docenti e ricercatori giovani. Costruiamo infrastrutture qualificate e accoglienti. Moltiplichiamo dottorati e borse di studio. Apriamo ai capaci e meritevoli. Diffondiamo figure intermedie come quella del tutor. Consolidiamo (o istituiamo ex novo) biblioteche di ricerca. Sosteniamo comunit innovative e network non ancora consolidati di giovani ricercatori. Riduciamo latroce burocrazia. Creiamo le condizioni economiche e urbanistiche per la nascita di campus con studenti residenti. Luniversit torner a essere un luogo abitabile, dove soffermarsi pi a lungo. Da circa quattro decenni lanalisi testuale (e iconografica) ha congiunto al proprio interno metodo filologico e prospettive critico-ideologiche maturate allinterno di discipline storicamente distinte dalla storia letteraria (o artistica),

quali letnografia, la sociologia, gli studi geopolitici, gli studi di genere, lecologia politica e sociale. Gli studi sullimmigrazione, la teoria postcoloniale o dellincontro culturale, i dibattiti sulle politiche della memoria o lindustria culturale hanno prodotto mirabili ampliamenti interpretativi e discorsivi, destato nuove sensibilit, sospinto luso del testo in direzioni civili e democratiche. Si sono prodotte discontinuit tecniche e storiografiche che dobbiamo riconoscere come innovazione e che possiedono rilevanti implicazioni sociali. Lenfasi sullinnovazione intesa in senso primariamente economico-industriale o la superiorit riconosciuta al modello tecnico-quantitativo nelle politiche dellistruzione risultano colpevolmente attardate persino rispetto al cambiamento in corso della competenza digitale e delle nuove professionalit a essa connesse. Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito a una formidabile mutazione di progetto e uso delle nuove tecnologie: si passati dal desktop computing allo hub digitale, con uno spostamento che non solo di computer graphics, di anagrafe o stili di consumo, ma economico, sociale e culturale insieme. Interprete elettivo delle potenzialit (anche imprenditoriali) dischiuse dalla mutazione non necessariamente il tecnico, lingegnere informatico, elettronico o il programmatore; ma chiunque riesca a collocarsi nel punto di intersezione tra ricerca, creativit e tecnologia. Le politiche della formazione devono potersi iscriversi in questa stessa mutazione: in alternativa, piccate difese dello statu quo accademico o disegni di egemonia neo-corporativa finiranno per trasformare luniversit, attraverso una fitta coltre di procedure normative, nella grigia Gotham.

Jan Fabre, The Years of the Hour Blue, 2011 (Installation view), Kunsthistoriches Museum, Vienna, photo Stefan Zeisler, Khm, copyright Angelos

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Cultura materiale

In attesa dellExpo: tre idee


Aldo Colonetti

e attese sono pi importanti dellesperienza, perch mettono in circolo desideri ma anche preoccupazioni. Lattesa dellExp, soprattutto per Milano ma direi per tutto il nostro paese, supera ogni immaginazione, perch si parla del cibo, ovvero di quella fondamentale cultura materiale che sta alla base dellesistenza, indipendentemente dai modi e dagli stili del mangiare, dalla produzione al consumo. La portata simbolica, insieme agli interessi economici e politici che un avvenimento di questo genere in grado di provocare, rischia di emarginare la specificit di un progetto che, proprio per la durata semestrale, lidentit di un luogo preciso, linternazionalit, da un lato, e dallaltro, la nostra tradizione culturale e produttiva, unica per la sua diversit rispetto al mondo, ha lambizione di un grande spettacolo, insieme alla possibilit di marcare linizio di un modo nuovo di pensare, ma soprattutto di esperimentare percorsi quotidiani e nuove relazioni tra natura e artificio, tra uomo e territorio, tra citt e contado. John Berger, in un testo del 1976, parlando dei diversi modi di mangiare, allinterno della grande distinzione storica ma tuttora di forte impatto simbolico, tra cultura contadina e cultura borghese, scrive che a livello globale la distinzione tra borghese e contadino strettamente connessa al bruto contrasto tra abbondanza e scarsit; tuttavia la distinzione non tra chi ha fame e chi sovralimentato, ma tra due modi tradizionali di considerare il cibo, limportanza del pasto e latto del mangiare. In sintesi, si potrebbero individuare due modi di acquisire, di possedere che, indipendentemente dallorigine sociale ed economica, andranno sempre di pi a condizionare e quindi a organizzare il nostro modo di mangiare: il modo di mangiare dei contadini incentrato sullatto stesso del mangiare e sul cibo mangiato, in sostanza centripeto e fisico. Mentre il modo di mangiare dei borghesi incentrato su fantasia, rito e spettacolo: centrifugo e culturale. Il primo pu appagarsi pienamente, il se-

condo non mai pago e d origine a un appetito che insaziabile. Ecco, credo che il progetto culturale dellExp di Milano, che ha le proprie radici in un gruppo di lavoro, coordinato da Stefano Boeri, composto da Richard Burdett, Iacques Herzog con la consulenza di Claudia Sorlini, abbia interpretato senza schematismi n ideologismi, alla luce dei problemi contemporanei, questa sorta di dualismo tra la tensione centripeta, che ci conduce allessenziale del nostro essere nel mondo, oggi, con il nostro corpo fisico ma soprattutto sociale, e la tendenza centrifuga, ovvero sviluppare la produzione, il consumo, gli stessi stili, verso territori e modi, sempre meno materiali e sempre pi simbolici e comunicativi. Per noi, questa non deve essere interpretata come una polarit negativa e insanabile; sufficiente esserne consapevole e navigare nel sistema, avendo tutti gli strumenti e le bussole per orientarci e diventare protagonisti e non solo teatranti. Questa la prima idea che vorrei vedere realizzare: il cibo al centro, inteso come scambio di culture, insieme al fatto che nel sistema internazionale della produzione e della circolazione delle merci, non esiste mai solo la cosa, ma c anche tutto il resto. Prima ancora che nascesse Slow Food, a Milano, allinterno di quel straordinario luogo di lavoro e di progetto che era Nuova Intrapresa, dal primo alfabeta a Milano Poesia, dalla Gola a una serie di iniziative e mostre, (si sta parlando degli anni Ottanya), si realizz un grande mostra (1988) ospitata a Milano, alla Besana, dal titolo emblematico, Gli stili del corpo: il cibo e i suoi simboli nel XX secolo (curata da Giovanni Anceschi, Aldo Colonetti, Gianni Sassi), alla quale collaborarono, tra gli altri, Alberto Capatti, Giorgio Celli, Valerio Castronovo, Marco Riva. Ecco, senza alcuna nostalgia, riandando ad alcuni dei capitoli di quel progetto, rivedo temi che potrebbero essere rimessi al centro di unoccasione come lExp di Milano: ad esempio, etica ed estetica del cibo; stili alimentari, salute e immagine del corpo; alimentazione tra scienza e ideologia; guarda come mangia-

mo; ricordo di un impero verde (un contributo molto attuale di Capatti), e un testo straordinario perch ora diventato attuale, la metamorfosi della mela, di Giorgio Celli. Sono solo alcuni esempi, declinando i quali, sarebbe possibile costruire alcuni percorsi espositivi, e non solo, di approfondimento, percorsi comunque vicini allesperienza quotidiana, per evitare rappresentazioni accademiche e totalmente autoreferenziali. Una seconda idea che mi piacerebbe trovare realizzata, o comunque presentata, una sorta di grande mappa della conoscenza, in grado di far capire, ai comuni mortali, senza alcuna ideologia di riferimento, cosa c dietro un piatto, un cibo, un ingrediente alimentare; ovvero, la parte per il tutto, evitando cos sia il trionfalismo dellassolutamente naturale, sia latteggiamento esclusivamente industriale, lasciando da parte utopie aristocratiche, ma anche permissivismi funzionali al grande mercato internazionale.

idea consisterebbe nel seguire un vecchio insegnamento di Fernand Braudel, quando parla di civilt materiale: la vita fatta soprattutto dagli oggetti, dagli utensili, dai gesti della maggioranza degli uomini, dove lalimentazione gioca un ruolo sia strutturale che simbolico narrativo. Il pane quotidiano non solo da interpretare come un problema di prezzi e di commercio di grani; ben altra cosa, i regimi calorifici, la tavola e la sua etichetta, i men, il superfluo e il necessario,le mense e altro. Per tutte queste ragioni, Braudel auspicava piuttosto che una storia del pane e del vino, una storia delle associazioni alimentari, cos come i geografi parlano di associazioni vegetali. Mi aspetto che lExp di Milano metta in scena questa grande geografia di associazioni alimentari, lunica in grado di parlare a ciascuno di noi, attraverso le singole parti e lesperienze individuali, senza dimenticare il mondo. In questo caso, il mondo non sar solo rappresentato dalla presenza dei singoli padiglioni dei

paesi, che comunque, nella loro autonomia, dovrebbero (visto che il nostro solo un auspicio) interpretare la visione del grande storico francese, pi geografica che storica e sociale. Il mondo, nel nostro caso, coincide con la citt di Milano che, pur nelle sue dimensioni di piccola metropoli, sta al centro di un sistema particolare per quanto riguarda il rapporto citt-campagna, produzione rappresentazione, fatto a manonuove tecnologie. Solo come esempio, la Brianza del fare e La citt Infinita di Aldo Bonomi non sono solo narrazioni sociologiche: rappresentano particolari sistemi progettuali e produttivi dove, comunque, la natura gioca un ruolo non marginale, sia nella produzione agraria sia per quanto riguarda lorganizzazione sociale. Non dico di tornare a una serie di microstorie, ma certamente mi piacerebbe, attraverso questo appuntamento internazionale, rimettere al centro alcune piccole storie del nostro territorio, storie emblematiche, non solo sul piano della qualit, ma anche per quanto riguarda laspetto metodologico e loriginalit delle soluzioni intraprese. Come scrive Carlo Ginzburg, partire da qualche luogo un proposito onesto, soprattutto se confrontato con lirresponsabile ubiquit relativista; nel 1943, il famoso fotografo Brassai, chiese a Picasso perch avesse labitudine di mettere una data (giorno mese anno) su tutte le proprie opere, compreso il pi piccolo disegno. Picasso rispose che voleva lasciare una documentazione, la pi completa possibile, tale da poter essere utilizzata, un giorno, da una scienza, che cercher di sapere di pi sulluomo in generale, studiando lindividuo che crea. Ecco, parlando del grande tema dellExp, non facciamoci scappare questa occasione: ovvero attraverso il cibo, come prodotto creato dallindividuo e quindi dalla societ, cercare di sapere qualcosa di pi sulluomo. Questa la terza idea e soprattutto il desiderio pi forte di chi cerca nel particolare luniversale, senza salti logici n scorciatoie metafisiche.

Jan Fabre, The Years of the Hour Blue, 2011 (Installation view), Kunsthistoriches Museum, Vienna, photo Stefan Zeisler, Khm, copyright Angelos

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Cultura materiale

Cibo di carta per lExpo


Andrea Tomasetig

no dei problemi che la futura Expo si trover ad affrontare quello del risvolto storico-culturale del grande tema dellalimentazione in Italia. infatti impensabile che il Paese organizzatore parli delloggi e delle prospettive future, lasciando in ombra una storia che non ha eguali per durata nei secoli e articolazione nelle sue cento citt e che costituisce il retroterra imprescindibile dellaffermarsi del cibo italiano nel mondo. A maggior ragione se ben il 70% dei visitatori previsti, 14 milioni su 20 complessivi, saranno connazionali disponibili per il fatto stesso di andare a quellExpo ad avvicinarsi allargomento con curiosit e interesse. A questo punto il problema si sposta su cosa far vedere, su quali immagini del cibo mettere in mostra. Il riflesso immediato degli addetti ai lavori legati allideazione di mostre di riferirsi allarte alta, pittura in primis, con un eventuale contorno bibliografico di edizioni importanti di classici della gastronomia. Cos facendo il rischio reale di proporre, in modo pi o meno impeccabile, una sequenza di opere gi note, poco stimolanti sul piano della ricerca iconografica e culturale. Bisogna invece chiedersi perch labbondanza di studi e ricerche sulla gastronomia italiana pubblicati negli ultimi quarantanni si accompagna alla scarsit di materiali visivi di corredo. Prevalgono quadri, stampe e frontespizi, di necessit riproposti di continuo. come se a tuttoggi mancasse un vero e proprio atlante iconografico nazionale della storia dellalimentazione. Eppure dalla met dellOttocento in poi si assiste a unintensa produzione di immagini in tema fissate sulla carta, ma finora sfuggite a un censimento. La spiegazione sta nel fatto che le biblioteche, gli studiosi e anche i bibliofili si riferiscono alla tradizionale editoria libraria e, in subordine, periodica, trascurando la quasi sconosciuta editoria aziendale fuori commercio e soprattutto il mare magnum della carta illustrata di uso quotidiano, che nel mondo di lingua inglese chiamata ephemera. l che stanno la soluzione del problema e la chiave di unoriginale ricerca. Il progetto Cibo di carta pensato in contemporanea con laffermazione di Milano nel confronto con Smirne, avviato nel 2010 e proiettato fino al 2015 nasce da qui, dalla consapevolezza che la carta stampata e illustrata un supporto con il quale nessun altro media, almeno fino alla soglia degli anni Sessanta del secolo scorso, pu competere per ricchezza e variet di materiali cui attingere. E nasce anche dalla conoscenza diretta, come libraio antiquario, di collezioni e collezionisti fuori dal giro, disposti a collaborare mettendo a disposizione il loro sapere e le loro raccolte per una inedita lettura trasversale allinsegna del tema dellalimentazione. Liniziativa si propone, in sintesi, di realizzare tra Milano e Lodi nel quinquennio 2010-2014 circa cinque mostre allanno, una diversa dallaltra, con iniziative collaterali didattiche e gastronomiche, per giungere allappuntamento del 2015 con una grande esposizione riepilogativa e lapertura di un Museo dellalimentazione, costituito per la gran parte con i materiali presentati nel corso degli anni. Esemplare lincontro con il colto collezionista milanese Michele Rapisarda e la sua raccolta di oltre 12.000 carte a stampa illustrate di uso quotidiano (comprendenti ben 55 diverse tipologie pubblicate dal Seicento al Novecento), che ha permesso di individuare circa 4000 pezzi inerenti: bandi, do-

cumenti di trasporto, carte intestate commerciali, cartoline, cataloghi e pieghevoli pubblicitari, etichette, figurine, locandine, riviste illustrate ecc. Tutti insieme non solo raccontano per immagini la storia del cibo in Italia, dando vita al virtuale atlante iconografico, ma ricostruiscono nel dettaglio tasselli decisivi per comprendere la nascita e lo sviluppo della moderna alimentazione. Primo tra tutti, come sottolinea Rapisarda, il passaggio dal cibo venduto sfuso nei mercati e nelle botteghe, dove si producono con metodo artigianale pane, pasta, salumi, dolci, liquori agli alimenti confezionati, con il miglioramento delligiene, della conservazione e della distribuzione. Di grande rilievo tutto ci che si sviluppa intorno alla produzione industriale degli alimenti in scatola: La pubblicit e il prodotto di marca. Prendono corpo aspetti della vita quotidiana del Novecento strettamente intrecciati al cibo e poco indagati: I concorsi a premi e le confezioni esposte nelle vetrine segnano il diffondersi della cultura del consumo, a cominciare dagli anni Venti per proseguire, dopo la seconda guerra mondiale, nellepoca del miracolo

economico degli anni Cinquanta. La diffusione degli elettrodomestici e del frigorifero porta altre novit negli acquisti alimentari fino allavvento del Supermercato. La collezione Rapisarda, esposta in mostra a puntate fino al 2014, si candida a giusto titolo a costituire la base del futuro auspicato Museo dellalimentazione. Rimandando al box allegato la descrizione delle mostre ideate nel biennio 2010-2011 e quelle programmate per il 2012, va detto che il metodo seguito nella ricerca dei materiali da esporre ed eventualmente inglobare nel futuro Museo porta a comprendere la carta depoca e quella contemporanea, senza pregiudizi e distinzioni errate tra arti alte e basse, inserendo la letteratura accanto a tipografia, illustrazione, fumetto, fotografia. Solo cos, tassello dopo tassello, si ricostruisce il mosaico della cultura gastronomica in Italia, si scoprono opere dimenticate e si d avvio a una nuova committenza capace di stimolare la creativit degli artisti coinvolti.

lcuni esempi. Degli oltre ottomila volumetti Pulcinoelefante editi in trentanni in

Mostre 2010-2011
Cibo di carta. Carte illustrate dal 600 al 900 dalla collezione Rapisarda Gorgonzola, Palazzo Pirola, 27 marzo 21 aprile 2010 La biblioteca sul latte e il formaggio. Quando Milano era Paneropoli Gorgonzola, Palazzo Pirola, 24 27 aprile 2010 Il panettiere Alberto Casiraghy. Il cibo nelle edizioni Pulcinoelefante Rocca Brivio (San Giuliano Milanese), 9 -27 maggio 2010 Pablo Echaurren. Vino, poesia della terra, e collage. Vita disegnata di Dino Campana Rocca Brivio (San Giuliano Milanese), 30 maggio 27 giugno 2010 Cibo & libri dimpresa. Collezione Midali: editoria aziendale e alimentazione Melzo, Teatro Trivulzio, 6 27 giugno 2010 Fare la spesa 1861 2011. Carte illustrate dalla collezione Rapisarda Melzo, Cinema Arcadia, 23 gennaio 20 marzo 2011 Pellegrino Artusi a fumetti. I fumetti di Alberto Rebori per il ricettario Cesano Boscone, Villa Marazzi, 13 marzo 10 aprile 2011 Alberto Casiraghy. Cibo, poesia e arte nelle edizioni Pulcinoelefante Lodi, Museo della stampa, 24 settembre 23 ottobre 2011 Omaggio al gorgonzola. Donazione di edizioni Pulcinoelefante in tema caseario Gorgonzola, Biblioteca comunale, 26 27 novembre 2011

Mostre 2012
(programma parziale)

poche copie ciascuno da Alberto Casiraghy, il pi fantasioso e originale stampatore contemporaneo, allincirca un centinaio e ogni anno, per fortuna, aumentano parlano di cibo con testi (aforismi e brevi poesie) e invenzioni grafiche senza pari. Quanto allillustratore Alberto Rebori, autore di una edizione illustrata, pubblicata nel 2001 dalleditore Corraini, del celebre ricettario di Pellegrino Artusi, comprendente 35 sorprendenti tavole a fumetti dedicate ad alcune ricette. Le tavole, stampate in soli tre esemplari nel 2011 per una mostra di Cibo di carta, costituiscono lunica iconografia possibile sullargomento, poich dellArtusi esiste solo una fotografia da vecchio. Anche gli archivi letterari possono riservare inaspettate sorprese se riletti in chiave alimentare. il caso di due figure di primissimo piano, molto diverse tra loro, come il poeta Emilio Villa e lo scrittore Aldo Buzzi, che verranno proposti nel corso del 2012. Accanto ai contenuti laltro elemento che caratterizza liniziativa il suo radicamento nel Milanese, nei luoghi stessi della futura Expo che vantano una storia agricola e poi industrial-alimentare deccezione, in particolare in quel Parco Agricolo Sud Milano che pochi sanno essere il pi grande parco agricolo dEuropa. Senza riandare alle abbazie fuori Milano di Chiaravalle, Viboldone, Morimondo, dove nata la marcita, e alle opere di ingegneria idraulica oggetto di ammirazione e studio da tutta Europa, dai Navigli e Leonardo al canale Villoresi, pensiamo a Gorgonzola e al suo formaggio celebre nel mondo (la citt, che gi vanta un importante fondo librario in tema, aspira giustamente al Museo del gorgonzola), a Melzo, a lungo capitale dellindustria casearia con la Galbani e la Invernizzi (e la loro efficace pubblicit ai prodotti), comprendendo anche Lodi, la citt del latte. Non mancano i presupposti per immaginare come possibile e sensato realizzare nella Grande Milano, in uno spazio adatto e con un allestimento allaltezza, il Museo dellalimentazione, in collaborazione con lExpo. Lobiettivo di progettare, con lapporto di intelligenze e sensibilit diverse, unopera destinata a durare nel tempo, in controtendenza con la macchina delleffimero che fa parte della natura stessa di ogni Expo. Dopo quattro anni dallaggiudicazione e a tre anni dallapertura le istituzioni pubbliche sono in grande ritardo sul fronte dellelaborazione di una proposta culturale condivisa e del relativo lavoro preparatorio nella societ civile. Va invece ricercato per tempo il coinvolgimento soprattutto di scuole, biblioteche e luoghi frequentati dalle nuove generazioni come avvenuto con Cibo di carta grazie al supporto del Sistema bibliotecario Milano Est nella consapevolezza che la carta racconta meglio di qualsiasi altro mezzo di comunicazione le tante storie del cibo e pu trasformarsi, a sua volta, in cibo per la mente.

Cibo da favola. Infanzia e alimentazione nelle carte illustrate della collezione Rapisarda Melzo, Cinema Arcadia, 4 marzo 15 aprile 2012 Mangiarsi lItalia. Cibo e potere nella satira politica 1861 2012 Roma, Eataly, fine maggio fine luglio 2012 Emilio Villa, il poeta clandestino. Larchivio Aldo Tagliaferri e inediti gastronomici Milano, estate 2012 Aldo Buzzi alla kok. Un maestro tra letteratura e cibo Milano, estate 2012

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Cultura materiale

L offerta, il dono e il diritto agli alimenti


Alberto Capatti
Dove vai, Cinesino di Shangai? A Milano col tranvai.

Infastiditi, irritati dal brusio, dalle voci di quel lunghissimo corridoio, lungo quanto gli scorsi due anni, su investimenti, aree, infrastrutture, opere, nomine, cariche, abbiamo deciso di parlare solo dellExpo che, a Milano, non sar mai realizzata. Ha un tema universale, Nutrire il pianeta. Energia per la vita e non lo discuteremo. Avremmo preferito non doverla designare con il termine di fiera, nellaccezione di luogo dove si espone (e vende), e non ricorreremo alla comparazione con le precedenti manifestazioni internazionali ai fini di misurare, prima della sua concretizzazione, il successo. Expo 2015 ci appare, sin dalla comunicazione del suo tema, un problema irrisolto per il quale sono necessari alcuni chiarimenti preliminari e alcune proposte che, secondo un facile calcolo previsionale, saranno inutili. Questo rende le nostre parole perfettamente libere e discutibili e disinteressate, improprie alla mediazione e al negozio, alla sfera politica e finanziaria. Il primo punto da affrontare il tempo prima e dopo lanno 2015. Esso concerne lattuale calendario della nostra alimentazione, e il suo futuro immediato, con un obbiettivo: dare al tempo un valore in cui non si ritrovino ripetuti i luoghi comuni della produzione, del mercato e della dieta. Per far questo, bisogna restituire voce allesperienza storica e immaginare un suo proseguimento, secondo una modalit che non solo sequenziale. Una Expo deve essere una immersione nel passato e lanticipazione delle esperienze prossime che intuiamo oggi come innovazioni, e ripeteremo domani, nei nostri discorsi, con neologismi. Fra passato e futuro, deve emergere la linea dellimmaginazione e dellutopia che sta al tempo come un moltiplicatore di valori positivi e negativi, di critiche e di fantasie. Fra tutte le forme del discorso storico, lutopia quella che meglio risponde a una Expo. Che essa sia declinata nel presente prossimo (1984 di Orwell) o nel ciclo epico (Fondazione di Asimov) questo dipender da altre considerazioni che esporremo; servir a fare del presente un luogo di pensiero virtuale e concreto, possibile e riconoscibile. Ma, attenzione, lutopia spazio soggetto a regole e vincoli. Il secondo punto concerne lapproccio globale e simbolico agli alimenti passando per gli oggetti (commestibili e non), i linguaggi, le immagini, gli spazi Riallacciandosi alle considerazioni espresse, la storia alimentare ha una sua continuit che pu essere osservata con diversi strumenti metodologici, religiosi o psicologici o sociali, sintetizzandola in una parola, il pane o il riso, oppure esemplificandola con un banchetto (romano, papale, regale) o un campo seminato, germinato e falciato a mano e a macchina. Andare oltre di essa, significa superare lordine cronologico, vero o fittizio, per ricercarne lorigine e il fondamento. Se lutopia offre il quadro futuro agli alimenti, esiste un linguaggio simbolico universale per tradurla? Possiamo rispondere con un esempio (immaginario): lExpo 2015 sar costruita attorno a uno spazio centrale a forma sferoidale, un enorme seno che nutre la specie, alla cui ombra, nelle cui cellule, lumanit costruisce, col passare degli anni, la vita nutritiva, affettiva, relazionale. Non solo una centrale del latte n il nodo che lega riproduzione e dieta, ma il luogo dove si ritrovano patologie (anoressia) e pulsioni (appetito). Un solo seno esposto, al centro e intorno il corpo da nutrire, curare, accarezzare: questo per il progetto urbanistico e per la coreografia. Ecco due idee per una Expo (che non sar): lutopia come sintesi della storia; il seno come simbolo della cultura nutritiva. Indipendentemente dalla loro attuazione, esse permettono, in via preliminare, di fornire alcune chiavi daccesso al tema e di risolvere alcuni problemi che riteniamo strutturali. mai possibile immaginare lExpo coi para-

metri della banalit, come una fiera dellalimentazione, come il supermercato pi grande del mondo? E inserirvi i forum della malnutrizione e della fame? Ne abbiamo veramente bisogno? superfluo rispondervi, e sarebbe meglio partire da un presupposto contrario cancellando la parola fame dove si tratta di sviluppo (sostenibile), e considerando che lestensione del supermaket globale arrivata al suo limite, e nessun investimento ulteriore necessario. Inoltre per entrare in utopia e succhiare il seno non c da pagare un pedaggio. Tenendo ferma letichetta nutrire il pianeta, consideriamone le implicazioni. Procederemo dunque ad analizzare alcuni requisiti indispensabili al progetto, prendendoli dalle culture selvagge e civilizzate, e rendendoli operativi. Gli indicatori di pi alto valore, di ogni civilt ci sembrano ruotare intorno alla gratuit, allofferta e al dono degli alimenti. A essi ora porteremo la nostra attenzione. Con una carta di credito e qualsiasi moneta di scambio, li faranno accedere, a migliaia, i visitatori nel recinto dellExpo. Il prezzo del biglietto gi stato ipotizzato: 22 euro. A qualsiasi ora, in qualsiasi punto, con prezzi scritti e scontrino fiscale, si toglieranno ogni appetito, mangiando a pagamento e piluccando qui e l, sfizi e bocconi. Conferenze, tavole rotonde, degustazioni, laboratori e video, per la digestione. Come in una qualsiasi fiera? No, meglio, per lampiezza dellofferta, per leterogeneit dei cibi. Turisti, anziani, scolaresche, gastronomi, tecnici e operai dovranno essere nutriti, e non sar possibile farlo altrimenti che nelle forme del recente passato e dellimmediato
Diego Masi, Maria Luisa Ciccone, Expo la scommessa. Come giocarsi il futuro dellItalia con un evento di comunicazione, prefazione di Bruno Tabacci, Lupetti, Bologna 2011, pp. 288, euro 20. Stampato dopo lestate 2011 e introdotto da una analisi della crisi politica, ultimo scoglio da aggirare concludendo la programmazione territoriale e definendo il progetto stesso, questo saggio vuol essere un contributo per riaffermare il valore dellExpo in un contesto politico ed economico profondamente mutato dal 2007 anno del suo varo. La cronaca , dei litigi e dei ritardi, delle nomine avanzate e ritirate e della mappatura stessa delle linee metropolitane di cui fruiranno, o meno, i cittadini milanesi, non risparmiata, e vale da premessa. Segue una analisi comparata delle esposizioni storiche (da Londra e Parigi) sino a Shangai, il modello fresco nella memoria e nel digitale. Il titolo alimentare emerge in seguito: Inizio a spiegare la storia pi importante, cio il tema. Noi sappiamo che il tema non conta nelle Expo. una scusa. Qualcuno riesce a usarlo e sfruttarlo, altri proprio no. Per Expo Milano 2015, credo che possa essere una architrave della storia. L idea Nutrire il pianeta. Energia per la vita: due frasi che ci seguiranno (e perseguiteranno?) per i prossimi decenni. Per affrontarlo viene formulato un principio, la stella che guida gli attuali manager e che guider i visitatori. C una Italia da vedere e da comunicare, quella del bello, del buono e del lusso, e il suo epicentro a Milano. Nutrire il pianeta, fuori di qualche assise ambientalista, di qualche conferenza sulla crescita demografica e sulla fame, significa questo. curioso che i nomi di aziende legate al lusso, Prada e Tods, abiti e scarpe, siano pi volte menzionate a differenza di Barilla citata una sola volta. Il lusso alimentare non pu essere qualificato da una confezione bl di spaghetti ma da una bottiglia storica di barolo, o da un tartufo bianco (lExpo si aprir in maggio e chiuder a fine ottobre); ma avrebbe un senso promuoverli quando i migliori vini italiani hanno un mercato globale, e cesti di tartufi bianchi convergono clandestinamente, per la fiera, ad Alba patria del tartufo? Accantonata la questione del marchio

futuro. Rifiutare questo metodo di gestione, significa buttare lExpo a gambe allaria, pregiudicarla prima che apra le porte. E non si risponda che i progetti virtuali, il cibo in rete sazier tutti, perch esso non sfama che gli assenti in grado di sgranocchiare di fronte al computer. Invece no! LExpo deve materializzare il diritto allalimentazione come principio concreto, con tutti i requisiti che oggi corrono sulla bocca di tutti e sono smentiti da infiniti scandali. Mangiare gratis non deve essere il privilegio di chi vi lavora, ma la scoperta di chi si informato prima del viaggio ed ha accesso fino al cuore dellevento. Le ragioni sono religiose, etiche, sociali, politiche, psicologiche rappresentano il primo cip per entrare nellutopia. Tutti bambini di fronte al cibo, con i desideri e la libert dei bimbi di afferrare e mordere e inghiottire, senza chiedersi se lo vuole la legge o lo concedono gli organizzatori. Il controbussiness e lantivendita. Per un futuro alimentare sostenibile lalimento deve essere previsto per tutti, e non solo per gli affamati, deve diventare la certezza senza requisiti burocratici. Sar entusiasmante provarlo nel corso dellExpo razionalizzando la disponibilit, eliminando ostentazioni e sprechi, cancellando la funzione del denaro. Obbiettivo complementare: i rifiuti dovranno essere contabilizzati in quota minima. Tutti hanno mangiato con piacere, di tutto, senza sprechi. Altra cosa lofferta remunerata, materiale e virtuale. Lasciamola fuori dal recinto dellExpo. Il vero lusso materiale e mondano una cultura del cibo che abbia caratteri di novit. Ogni alimento
che nel sistema alimentare gioca differentemente di altri campi, resta nebuloso un tema che sollecita il turista in modo convenzionale e lo solleciterebbe senza levento 2015. Nel capitolo Expo: una vetrina per lItalia, si suggeriscono cene al Gold Restaurant di Dolce e Gabbana e brevi escursioni fuori Milano verso Asti, sempre tartufo e barolo, con rientro da Torino, previa sosta a Eataly. Ma tutto questo scontato, proprio perch la trattazione del tema nutritivo non formulata, e gli autori mostrano tutta la loro prudenza nel non arrischiare altre ipotesi che quelle ovvie. L area nutritiva immensa, a prescindere dagli orti (ci saranno o no? Hanno smesso di domandarsi i lettori dei giornali). E poi, come riempire quei cento ettari? Che cosa dar da mangiare nelle dodici aree di servizio e di ristorazione da 30.000 mq? L importanza giustamente attribuita alla comunicazione, allExpo 2015 in rete, tocca, anchessa, un aspetto delicato del sistema alimentare, una virtualit su cui oggi si comincia a riflettere e non facile da abbinare ad assaggi e degustazioni. Conclusione: il tema nutritivo non stato sviluppato o forse deve ancora uscire dal bozzolo. Ma sar possibile formularlo a grandi linee e nei dettagli solo con una visione critica del sistema alimentare, in tutti i suoi aspetti buoni e accattivanti, patologici e nevralgici. La fame brutta, cos come il corpo dellanoressica, e sappiamo che fanno parte dello spettacolo alimentare globale. Sar stata colpa del comitato scientifico presieduto da Roberto Schmied, o molto pi probabilmente di una conduzione politica dei programmi che ha escluso di fronte a un tema cos complesso, Nutrire il pianeta. Energia per la vita, qualsiasi coinvolgimento di coloro che operano nella cultura alimentare (universitaria, aziendale, artigianale, associativa e mediatica) creando un interesse condiviso per il progetto. Che Milano debba, fra due anni, aver pronta unanalisi di come nutrire il pianeta, i milanesi lo ignorano e nessuno spiega loro che farebbero meglio a guadagnar tempo perch se ci saranno dei visitatori pignoli, dei turisti intelligenti, dovranno rispondere loro a. ca.

ricercato per il suo prezzo, ricade nel regime della fruizione contrattuale e pagata, come un capo di vestiario o un paio di scarpe. Siccome la bottiglia di Sassicaia valore aggiunto a qualsiasi bottiglia di vino e non ha bisogno di essere fatta conoscere allExpo, il prezzo dellalimento rientra in gioco altrove, dopo che si esaudito il diritto alla cultura alimentare. Questultima, a differenza del cibo, deve essere pagata. Una conferenza sulla bulimia, la partecipazione alla refezione delle mense di fabbrica italiane di cinquantanni fa (banchetto storico n. 7), devono avere un prezzo simbolico: con dieci centesimi, o sette euro, a differenza del bicchiere di Sassicaia, si deve pagare il valore aggiunto culturale. Istruire le persone ai numeri piccoli e alti, significa farle pensare non in termini di mercato ma di funzione. Il prezzo del cibo destinato a cambiare in futuro? Studiamolo dal vivo e, in uno spazio in cui c la mangiare gratis e a pagamento, scopriamo che cosa va pagato o no, a chi e perch. Ci saranno anche i doni. La storia dellalimentazione comporta nella dimensione di cuccagna, del banchetto, dei riti domenicali lepifania del dono. Ai sudditi, ai parenti, ai fedeli, agli amici e ai senzatetto. In questa chiave il cibo riveste una funzione comunitaria e sacrale. impensabile rinunciare a tale valenza del consumo cui dallinfanzia tutti i popoli sono stati educati istituendola come modalit rituale dellaccoglienza, dellospitalit e del commiato. LExpo dovr risolvere questo atto elementare diverso sia dal diritto al cibo sia dallofferta pagata. Sar indispensabile per gestire lannuncio e la comunicazione degli eventi, i rapporti presenti e futuri con delegati e turisti, il ricordo lasciato dopo la partenza, e una autorevolezza morale a Milano. La ragione stessa dellExpo oblativa, ma lo hanno dimenticato per ben due anni finanziatori, costruttori, burocrati e politici che, spudoratamente, hanno creduto di attirare lattenzione sullevento con lodore del denaro che circolava. Quindi una lunga lista di sinonimi: largizioni, regalie, offerte che caratterizzano non il beneficiato, non la gratuit (panem nostrum quotidianum da nobis hodie) ma lelargitore, il dispensiere. Con quale oggetto simbolico, il milionesimo turista prender commiato dallExpo? Lasciamo libera la scelta, immaginando un food shop in cui ha prelevato, senza pagarlo, il segno dellevento, il simbolo delle sue emozioni, se non laveva gi ricevuto, senza chiederlo. Con questi princpi si pu cominciare a coltivare lipotesi di Nutrire il pianeta. Niente biglietto dentrata se tale lo scopo, semmai una offerta spontanea; una prima deduzione, la qualit dei visitatori ancora un volta dar valore allo spettacolo. Nei due anni che rimangono, sar utile prepararsi con la fantasia e non dar troppo credito al marketing territoriale. Senza limmaginazione, si produrr una gran fiera campionaria, un ipermercato mal connesso o troppo connesso alle realt produttive e di ristoro lombarde e italiane, un luogo distrattamente visitato da quanti si sono sempre occupati di alimentazione e per anni ne hanno letto, senza interesse per un evento da cui sono stati tenuti a distanza. Ma cos importante immaginare il cibo, sognare in food? Le scaffalature di prodotti (tradizionali, tipici, naturali) o gli elenchi, i men con piatti (milanesi, regionali, di casa, esotici), fanno sbadigliare al solo pensiero, e la ripetizione dellesistente su di una scala enfatizzata dalle istituzioni e dagli sponsor, appare solo spreco. Persino il Sassicaia gratis non risolleverebbe il morale. Il cibo diventato la forma di pensiero pi scontata e buonista per affrontare la realt, ed ora di girare pagina. Una Expo 2015 non la si vedr mai popolata da fumatori, anoressiche e da bambini obesi, da culture di batteri e falsi marchi bio, da polli implumi e da pappatori narcotizzati da tutta quella storia e quella realt che ci sta attorno e che sar carino negare. La critica del sistema alimentare la ragion dessere dellutopia la quale oltre ad arborescenze perenni e frutti eterni, ospita mostri e morte

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